ALBERI e ARBUSTI DA FRUTTO e a volte ....

PESCO, CILIEGIO,PERO, ALBICOCCO ECC

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  1. gheagabry
     
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    Bell'isola dai mirti verdi, piena di fiori dischi
    venerata in tutti i tempi da ogni nazione
    dove i sospiri dei cuori in adorazione
    fluttuano come l'incenso in un giardino di rose
    o come l'eterno tubar di un colombo.
    (Charles Baudelaire, da: "I fiori del male")


    IL MIRTO

    mirto


    Il mirto è un arbusto appartenente alla famiglia delle myrtaceae. Questa famigliia è oltremodo ampia. La famiglia delle myrtaceae, infatti, comprende una centinaia di generi e fino a tremila specie. Questa famiglia è diffusissima in quasi tutto il mondo. Essa è presente nelle zone temperate, in quelle tropicali e subtropicali. Sono diffusissime naturalmente in tutto il sud Europa (Grecia, Francia mediterranea, Italia e Spagna). Inoltre in alcune zone inglesi ed irlandesi mitigate da particolari correnti atlantiche. Questa pianta è diffusissima, quindi, nelle regioni mediterranee, infatti il mirto è una pianta particolarmente comune nella macchia mediterranea. Poco frequente è tuttavia la presenza di questo arbusto nella macchia mediterranea alta. Particolarmente rinomate sono le macchie di vegetazione di mirto sarde e corse. Il mirto è una pianta che ha un portamento arbustivo o al massimo di piccolo albero. Questa pianta raggiunge, infatti, massimo i trecento centimetri di altezza. La corteccia tende a cambiare col passare del tempo. Infatti negli esemplari giovani la corteccia è rossiccia col passare del tempo la corteccia tende a diventare giallastra. Le foglie del mirto sono opposte, molto resistenti, permanenti, ovali, acute, glabre e lucide. Superiormente si presentano verde scure con numerosi punti traslucidi nelle vicinanze delle glandole aromatiche. I fiori che nascono da questo arbusto sono solitari, si sviluppano in modo ascellari, sono molto profumati, hanno dei lunghi penduncoli. I fiori del mirto possono assumere vari colori, possono essere di colore bianco o roseo.

    ...storia, miti e leggende...

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    Il nome Mirto deriva dal latino myrtus, greco myrtos, di origine semitica, derivante dalla stessa radice di myron, che significa “essenza profumata”. Secondo la mitologia greca il Mirto prende il nome da Myrsine, fanciulla uccisa da un giovane invidioso in quanto da lei battuto nei giochi ginnici; Pallade Atena, impietosita dalla triste fine della ragazza, decise così di trasformarla in un arbusto odoroso. Un’altra leggenda narra che Bacco, dovendo recarsi negli Inferi per liberare la madre Selene uccisa dai fulmini di Giove, avrebbe promesso di lasciare in cambio una pianta di Mirto. Per questo motivo all’arbusto viene assegnato un significato funereo, peraltro piuttosto raro in campo iconografico , mentre l’uso di decorare con le sue fronde urne sepolcrali e cimiteri è ancora attuale. In seguito divenne simbolo della colonizzazione greca: gli emigranti ellenici portavano con sé rami di mirto a dimostrare che così intendevano porre fine a un periodo della loro vita. Sempre secondo i Greci, Venere, uscita nuda dal mare e inseguita da un gruppo di satiri, trova rifugio in un boschetto di Mirti; per Ovidio, invece, la dea dell’amore, nata dal mare, approda sulla spiaggia di Citera e con rami di Mirto copre la sua nudità; per questo l’arbusto fu dedicato alla dea e se ne piantarono boschetti sacri. Attraverso la figura di Enea, mitico antenato dei Romani e figlio della stessa Venere, la leggenda passò in Italia, tanto che la bellissima dea divenne protettrice di Roma; mentre secondo Tito Livio la città era nata nel punto dove era spuntato l’arbusto. Plinio racconta come anche nell’Urbe fossero stati piantati alberi sacri di Mirto, soprattutto nei luoghi pubblici. Le fronde del Mirto divennero simbolo di vittoria: durante l’ovazione o trionfo minore, decretato dal senato per una guerra vinta senza spargimento di sangue, il vincitore, vestito di bianco, saliva al Campidoglio con una corona di Mirto e sacrificava una pecora (da cui appunto il termine ovazione, da ovis, pecora). Rami di Mirto venivano offerti, sempre dai Romani, a Venere nei sacrifici delle calende di aprile, mentre durante i banchetti un rametto profumato di Mirto passava da un commensale all’altro come testimone per il brindisi e incitamento al canto. Secondo Plutarco, scrittore di origine greca, ma fine conoscitore della società romana, l’uso conviviale sarebbe derivato proprio dai greci. Virgilio, che ben conosceva il nostro territorio, fa riferimento al Mirto come elemento caratterizzante della costa ionico-tarantina. Nel famosissimo passo delle Georgiche dedicato alla campagna nei pressi del fiume Galeso (breve corso d’acqua che sfocia nel Mar Piccolo di Taranto) per i mirti usa l’espressione “amantis litora myrtos”, cioè “i mirti innamorati delle spiagge”, avendo osservato come essi preferiscano vivere in zone calde e soleggiate. Nella seconda ecloga delle Bucoliche loda l’aroma del Mirto: “…e coglierò voi, allori e mirti che crescete vicini, perché così disposti mischiate soavi profumi.”; mentre nella settima ecloga ci ricorda che il Mirto teme il gelo: “…mentre difendevo dal freddo il tenero mirto” e che è pianta sacra a Venere: “il pioppo è gratissimo a Ercole, la vite a Bacco, il mirto a Venere bella, a Febo il suo alloro”; come ci dice anche Fedro, con quasi identiche parole, in una delle sue bellissime favole: “Piacque a Giove la quercia. Poi a Venere il mirto, a Febo il lauro, ed a Cibele il pino, e l’arduo pioppo ad Ercole”.
    Come si può ben vedere l’immagine del Mirto ha sempre avuto una valenza positiva e come pianta sacra a Venere è divenuta simbolo di fecondità: gli sposi durante il banchetto nuziale erano soliti portare corone di Mirto sul capo e lo stesso Plinio definisce questo arbusto myrtus coniugalis.
    Catone distingueva tre varietà di Mirto: la Nera, la Bianca e la Coniugale, e negli ultimi secoli dell’Impero Romano il Mirto era l’albero propiziatorio per la casa dei giovani sposi e se ne facevano ghirlande per le feste nuziali. La tradizione si rinnova ancora oggi in alcune regioni dove, nei mesi estivi, si usano rametti di Mirto fiorito al posto dei fiori d’arancio per il bouquet della sposa. Da parte loro gli inglesi citano un vecchio detto: “Myrtle for remembrance” (Mirto per ricordare) quando ne mettono i rami nei mazzi di fiori preparati in occasione dei matrimoni.
    In virtù della delicatezza e del colore bianco del suo fiore, il Mirto è stato accostato anche alla Vergine Maria, in riferimento alla sua purezza e umiltà. Durante il Rinascimento, infine, il Mirto fu associato alla fedeltà e all’amore eterno e come tale viene raffigurato nelle allegorie matrimoniali.


    L’infuso, il decotto e il vino medicato dei frutti aromatici raccolti in autunno, hanno proprietà rinfrescante, balsamica, astringente ed emostatica; mentre per uso topico il decotto viene utilizzato per irrigazioni antisettiche e antileucorreiche. Dalla pianta si ricava per distillazione un preparato denominato Acqua d’oro che viene utilizzata per le gengiviti, pelli screpolate e per le contusioni. Il mirtolo, contenuto nell’olio essenziale di Mirto, è stato anche indicato nelle febbri malariche come efficace succedaneo della chinina.
    Ippocrate prescrive alle donne affette da afte ed ulcere ai genitali, irrigazioni con acqua di Mirto o con vino in cui sia stato cotto del Mirto.... Plinio ricorda l’olio di Mirto con cenere di lepre per arrestare la caduta dei capelli, o con cenere di zoccolo di mulo per chiudere le chiazze alopeciche; vino di Mirto con cenere di lumache africane per la dissenteria e tordi con bacche di Mirto per i disturbi urinari.... Dioscorìde Pedànio, citato dal senese Mattioli nel XVI secolo, raccomanda l’olio di Mirto come utile per le ulcere del capo, le scottature, “le fracassature delle membra e proibisce il cascar de i capelli.”
    Antichi testi di medicina assicurano che lo sciroppo mirtino di Mesuè, medico siriano vissuto nell’XI secolo, “giova alla diarrea ostinata” e che l’Unguento della Contessa, con bacche ed olio di Mirto, e molti altri ingredienti, “ritiene il feto; proibisce l’Aborto; rimedia alle Hemorroidi; vale nella Gonorrea”. Il medico arabo Avicenna prescriveva lo sciroppo di Mirto contro la tosse e la dissenteria, le punture di ragni e scorpioni, esaltando le qualità antisettiche e balsamiche che anche la moderna industria farmaceutica sfrutta, estraendo un olio essenziale dalle foglie.


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    .....in cucina e altri usi .....


    Con le foglie del Mirto si aromatizzano gli arrosti e Plinio indica la salsa di bacche di Mirto come perfetta per accompagnare il maiale arrosto. Il fumo dei rametti di Mirto sulla brace del barbecue conferisce un piacevole aroma alla grigliata; i frutti possono essere utilizzati come sostituti del pepe mentre con i fiori di Mirto taluni ornano le macedonie di frutta. Insieme con il finocchio selvatico e l’alloro serve a profumare la salamoia delle olive nere “all’acqua”, con il metodo nostrano, mentre in Corsica ed in Sardegna si prepara un liquore dalle virtù digestive, facendo fermentare le bacche in acqua e zucchero.
    Un’altra ricetta inebriante è quella dell’infusione di bacche di Mirto in alcool, con un procedimento simile alla preparazione del Gin, che si ottiene invece dalle bacche di Ginepro. Il “vino” di Mirto era molto apprezzato già in epoca romana ed è citato da Plinio, Dioscorìde e da Columella. L’autore del De re rustica, che visse anche a Taranto nel I secolo d.C., lo descrive come un macerato di bacche in un buon mosto d’uva, con aggiunta di miele. Questa miscela aromatica e dolcissima si usava a volte per migliorare uve poco zuccherine e ottenere vini più alcolici.
    Ma è Catone a fornirci la precisa ricetta: mezzo moggio (poco più di quattro chili) di bacche di Mirto in una urna (tredici litri circa) di mosto, dicendolo adatto alla durezza di stomaco, al mal di reni ed alle coliche. Agli inizi del Rinascimento42 si chiama mortadella una salsiccia di carne di vitello, molto diversa da quella che oggi si prepara con il maiale, aromatizzata con il Mirto; già i romani però apprezzavano il myrtatum, un insaccato speziato con Mirto.
    Pesce di murta era detto il pesce che in Sardegna, in epoche antiche, si usava cuocere in un brodo di Mirto, per meglio conservarlo e poterlo trasportare facendone commercio.

    Nella Mesopotamia del II millennio a.C. era uso ungersi con olio profumato al Mirto, in quanto considerato una fonte di salute e benessere; il profumo diventava così un segno d’amore ed un rito purificatorio. Sappiamo, ad esempio, che prima di essere presentata al re persiano Assuero, l’ebrea Edissa (la Ester della Bibbia) dovette sottoporsi a due riti di purificazione consistenti in sei mesi di bagni di vapore profumati e di applicazioni, sul corpo, dell’olio di Mirto e, successivamente per altri sei mesi, di fumigazioni di Storace, Zafferano, Narciso e Cinnamomo. Plinio annota l’utilizzo dell’olio di Mirto, con cenere di corno di capra, contro l’eccessiva sudorazione. Gli speziali del Medioevo ricavavano dalle cortecce, dalle foglie e dai fiori del Mirto un distillato, detto Acqua angelica, lozione cosmetica detergente e tonica utilizzata nella preparazione di saponette o per aromatizzare tè, vini e liquori; con le bacche si può preparare un decotto per dare lucentezza ai capelli neri. Tra le curiosità legate all’uso del Mirto ricordiamo quanto riporta il cronista che commentò per i posteri il pranzo nuziale di Costanzo Sforza, signore di Pesaro, con Camilla d’Aragona, nella seconda metà del quattrocento: al levar delle mense i servitori spazzarono il pavimento con scope di Mirto profilate d’oro!
    In tempi trascorsi, nelle campagne, si usava mettere rami di Mirto nella biancheria per profumarla, mentre dalla macerazione dei fiori in olio e vino bianco pare si possa ottenere un ottimo rimedio per le zecche dei cani. Foglie, radici e corteccia contengono tannini usati per conciare cuoio fine, a cui danno un buon profumo. Quando il tronco della pianta raggiunge sufficienti dimensioni, il legno del Mirto, duro, compatto e di grana fine, è apprezzato per lavori di torneria ed intaglio, e per ottenere manici di attrezzi o di ombrelli; buon combustibile, fornisce un ottimo carbone48. Per finire, dalla spremitura dei frutti (che come abbiamo già visto sono ricchissimi di semi) in appositi frantoi, si otteneva in passato un combustibile adatto a rifornire lumi ad olio di Mirto.
    (Francesco Lacarbonara, culturasalentina)


    Edited by gheagabry1 - 3/5/2020, 18:26
     
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118 replies since 13/2/2011, 11:34   75790 views
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