ALBERI e ARBUSTI DA FRUTTO e a volte ....

PESCO, CILIEGIO,PERO, ALBICOCCO ECC

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  1. gheagabry
     
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    Il GELSO

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    Il gelso appartiene alla famiglia delle Moracee ed al genere Morus, all’interno del quale si annoverano soprattutto due specie: il gelso bianco (Morus alba) ed il gelso nero (Morus nigra). Il primo è utilizzato prevalentemente per l’allevamento del baco da seta, in quanto il fogliame è molto appetito dal filugello, mentre il gelso nero è interessante per la sua produzione frutticola.
    Il gelso bianco è un albero in genere alto 10-12 m, se lasciato crescere liberamente è in grado di raggiungere i 20 m d’altezza; è molto longevo, con un’età media di 100 anni, ma ci sono anche esemplari plurisecolari. Le radici sono profonde, robuste e di color giallo-aranciato, il tronco è eretto, dotato di ramificazioni irregolari e, negli individui adulti, raggiunge un diametro di circa 70 cm; è rivestito da una corteccia bruno grigiastra, screpolata, reticolata a piccole scaglie. La chioma è tondeggiante ed ampia, i rami sono di un colore grigio tendente al giallo, lisci e con lunghi internodi, le gemme sono relativamente piccole, larghe alla base ed appuntite all’apice. Le foglie sono caduche, alterne, lisce, di colore verde lucente non molto scuro, non molto grandi, di lunghezza variabile dai 7 ai 14 cm e larghezza tra 4 e 6 cm, di forma ovato-acuta e con un margine irregolarmente dentato. I fiori sono unisessuali ed entrambi si possono trovare sulla stessa pianta, quelli maschili sono raggruppati in piccoli amenti ed i fiori femminili in infiorescenze di forma ovale.
    Il gelso nero è un albero più piccolo rispetto al bianco, è dotato di rami grigi o scuri, di foglie piuttosto piccole, divise in lobi o intere, appuntite all’apice, con un bordo molto seghettato, di color verde scuro e ruvide; è proprio per quest’ultimo motivo che il fogliame è poco appetito dal filugello.
    Dalle infiorescenze femminili si origina il frutto, chiamato anche sorosio o mora di gelso. Il sorosio ha la forma di un lampone allungato ed è provvisto di un breve peduncolo, è un’infruttescenza formata dagli involucri fiorali divenuti carnosi, ossia da piccoli frutticini a forma di drupa (falsi frutti). Le more del gelso bianco sono lunghe 3-4 cm, di un colore bianco-giallastro, con un sapore dolciastro ed a maturazione, in luglio, cadono con il peduncolo che rimane attaccato; sono molli per cui mal sopportano il trasporto. Le more del gelso nero sono nere, succulente, mediamente consistenti, con un sapore dolce-acidulo e, quindi, più saporite rispetto a quelle del gelso bianco, infatti sono destinate alla produzione di confetture e sciroppi.




    "La vite è femmina e ha bisogno di avvinghiarsi, ha bisogno dell’omo”, dicono in Toscana. E “l’omo” è stato, in un passato non molto lontano, il gelso – ma anche l’acero, l’olmo e il pioppo - buono per i getti giovani da dare ai vitelli e buono per nutrire il baco, quello della seta, che ha retto l’economia dei contadini e dei commercianti durante parecchi secoli della storia italica, soprattutto quella padana. Il gelso, ora, è quasi inutilizzato, non si sposa più con la vite, né nutre gli animali; quei frutti dolcissimi di color porpora o bianchi – dal sapore
    tipico e indimenticabile per coloro che hanno memorie ultratrentennali - sono confusi con le more dei rovi e indesiderati perché “sporcano” appena caduti a terra. Così come le mani, la lingua e le labbra si sporcano, tinte di porpora, appena li gustiamo. In realtà il gelso è un albero imponente e con mille virtù che dovrebbe essere utilizzato più spesso nei giardini pubblici e privati, fatta eccezione per le aree asfaltate e i parcheggi."
    (dal web)





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    ....miti e leggende.....


    Il Gelso, noto per la bontà dei suoi frutti, come testimoniato da Plinio il Vecchio e Ovidio, già noti ai Romani, venne introdotto, dalla Grecia in Italia nel XII secolo, dal normanno Ruggero di Sicilia; in breve la coltivazione di questa pianta si diffuse in tutta la penisola italica. Nelle metamorfosi Ovidio racconta la drammatica storia di due giovani babilonesi: Piramo e Tisbe. I due giovani si amavano teneramente di nascosto perchè le famiglie contrastavano la loro unione, così trovavano riparo presso una fonte all'ombra di un albero di gelso. Un giorno la giovane innamorata, Tisbe, arrivata per prima alla fonte, se ne allontanò spaventata dalla presenza di una leonessa, lasciando cadere durante la fuga il velo che usava per coprirsi. La leonessa lacerò il velo sporcandolo del sangue di una preda che aveva precedentemente uccisa. Poco dopo arrivò il giovane, Piramo, che trovando il velo si convinse che Tisbe fosse morta e, disperato, si trafisse il cuore. Il suo sangue ricoprì le more del gelso. Quando Tisbe tornò, rendendosi conto di quanto era accaduto, condannò l'albero a portare per sempre quei frutti scuri in segno di lutto, per ricordare il sangue degli amanti che li avevano macchiati, poi si trafisse il cuore con la stessa spada usata da Piramo. Da allora i frutti del moro nero, quando maturano, assumono un colore porpora scuro. Anticamente da questi frutti se ne ricavavano diversi medicamenti ritenuti miracolosi

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    gelso-i-frutti



    Edited by gheagabry1 - 12/6/2020, 15:08
     
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