ALBERI e ARBUSTI DA FRUTTO e a volte ....

PESCO, CILIEGIO,PERO, ALBICOCCO ECC

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  1. gheagabry
     
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    Forte come la terra che ti nutre...Vasto come il cuore di ogni uomo.
    Resistente come gli anni che ti porti appresso
    Prezioso come il frutto che racchiudi
    Hai una forma così piena
    Che a guardarti ci rasserena.
    (dal web)


    Il NOCE



    Juglans è un termine latino coniato in onore di Giove: "Jovis glans" cioè la "ghianda di Giove" poiché presso gli antichi Romani il noce era l'albero consacrato al re degli dei. L'aggettivo "regia" che significa "regale" rivela che l'albero fu introdotto in Occidente dai re di Persia. Il genere comprende una quindicina di specie arnericane, europee, asiatiche. Si tratta di alberi decidui, resistenti, dalle foglie grandi,composte e pennate. I fiori maschili e i fiori femminili sono sullo stesso albero, fioriscono in aprile-maggio e sono impollinati dagli insetti. I frutti consistono in una drupa con un epicarpo ricchissirno di tannino, comunemente detto mallo. Il seme,carnoso, è edule ed infatti è racchiuso in un endocarpo legnoso. ll legno di queste specie è molto apprezzalo per mobili: è pesante, duro,compatto, omogeneo, di colore bruno chiaro. Sono alberi piuttosto longevi, la cui vita media si aggira intorno ai trecento anni.
    Specie coltivate: Juglans cinerea, noce bianco; alto fino a m 10, dalle foglie grandi e dai rametti caratteristicamente appiccicosi, è originario della parte nordorientale degli Stati Uniti d'America. Juglans nigra, noce nero, è un bellissimo albero ornamentale alto più di m 30, che cresce molto bene nei climi temperati : coltivato esclusivamente in Europa per motivi ornamentali, e solo in rari casi per il legname, è originario degli Stati Uniti Orientali , Juglans regia, noce comune, arriva fino a m 20-25 d'altezza ed ha un diametro di un metro e più. È l'unico rappresentante europeo della famiglia delle Juglandaceae, originario dell'Asia centro-occidentale e probabilmente
    anche dell'Europa sud-orientale: è coltivato da molto tempo in tutta Europa ed in molti paesi si è ormai naturalizzato. Specie tipica del Castanetum esce facilnrente da questa fascia, ma non arriva mai a grandi altezze essendo molto sensibile al freddo. Esige terreno profondo, fertile, sciolto e ben drenato,ed una notevole disponibilità idrica. È molto bisognoso di luce per cui entra di rado a far parte dei boschi, a meno che non sia spiccatamente dominante.
    Viene coltivato in regioni di collina e di bassa montagna un po' in tutta ltalia,ma specialmente in Campania, Piemonte,Emilia, Abruzzo, Toscana e Lazio. Di solito si trova nelle vallette fresche,sui prati e sui pascoli delle Alpi e degli Appennini dove è considerato una pianta fondamentale per le alberature campestri. Assume importanza nel campo della frutticoltura, soprattutto in Campania dove viene coltivato in modo da formare una copertura rada sopra colture di ortaggi, vigneti e frutteti. Proprio in Campania vengono poi prodotte le migliori varietà da frutto come la famosa Noce di Sorrento.


    La parola “noce” deriva da latino “nocere” che significa nuocere, probabilmente ciò è dovuto al fatto che l’odore della pianta, se intenso, può generare emicrania. Ancora, si osserva che sono molto poche le piante nascono all’ombra di un Noce, come se il contatto con questo albero non fosse benigno.
    Il noce è un albero alto da 10 a 20 m, a chioma folta, espansa e tondeggiante. Ha tronco eretto, dritto, con diametro basale fino a 1-2m, coperto da una corteccia liscia grigio-biancastra nei primi anni, più scura quella del tronco adulto, fessurata longitudinalmente...Il noce è pianta monoica con fiori diclini, cioè i sessi sono distinti, ma presenti nello stesso individuo. I fiori maschili sono raccolti in amenti penduli,cilindrici,alla base dei rami dell'anno precedente, hanno un piccolo perigonio di 3-4 pezzi,10-40 stami e resti di un pistillo atrofizzato; quelli femminili sono solitari o raggruppati a 2-4, hanno un perigonio di 4 tepali saldati alle brattee e alle bratteole,formante un involucro che nel frutto diviene carnoso avvolgendolo,ovario infero bicarpellare e uniloculare,sono inseriti all'estremità dei rami dello stesso anno. Fiorisce da aprile a maggio.
    Il frutto è una drupa, la cui parte commestibile si trova all'interno di un guscio legnoso, il quale è ricoperto da un mallo carnoso di color verde che, quando il frutto è maturo, annerisce e si stacca. La raccolta dei frutti avviene nei mesi di ottobre-novembre, appena il mallo inizia a staccarsi.
    Il noce predilige terreni profondi, freschi e ben drenati, teme i ristagni d'acqua, i quali possono favorire l'insorgere di marciumi alle radici, causando un generale indebolimento della pianta, con danni anche alla produzione dei frutti. Resiste bene al freddo pur prediligendo climi miti e non troppo umidi. La zona ideale è la collina con altitudini non superiori ai 600-800 metri, è molto diffusa anche la coltivazione in pianura, dove la maggior parte delle piante è destinata alla produzione del pregiatissimo legno.



    Non è dato sapere come nacque il noce, come crebbe e si fortificò, come fu distrutto, come e dove rinacque, eterno simbolo di libertà e liberazione.
    Certo è che lo spirito di tutte le donne/janare/streghe ripudiate e uccise aleggia a Benevento, città femminile, di Iside, della Madonna delle Grazie, delle immagini eteree e affascinati create dalla nebbia tra i due fiumi, l’umidità avvolge come liquido amniotico, portatore di vita, e alzando lo sguardo, le colline della Bella dormiente del Sannio distesa gentilmente a circondare e proteggere la città, abbracciano, raccolgono i pianti antichi, consolano e custodiscono tra le fronde dei noci, sussurri e incanti.
    (Antonella Cavuoto)


    ......storia, miti e leggende......


    Dione, re della Laconia , aveva sposato Anfitea che gli aveva dato tre figlie: Orfe, Lico e Caria. Un giorno la moglie accolse con i più grandi riguardi Apollo che viaggiava per quelle terre. Per ricompensa questi promise alle fanciulle doni profetici purché non tradissero mai gli dei e non cercassero di sapere quel che non le riguardava.
    Qualche tempo dopo capitò in quei luoghi Dioniso che, ospite nella casa di Dione, non seppe resistere al fascino di Caria, di cui si innamorò, riamato. Poi ripartì per il suo viaggio intorno alla Terra.
    Quando finalmente lo concluse, tornò nella casa di Dione, spinto dall’amore per quella giovane. Fu allora che Orfe e Lico, incuriosite, cominciarono a spiarlo, infrangendo il voto. A nulla valsero gli avvertimenti di Dioniso: le due curiose non riuscivano a resistere alla tentazione; sicché il dio decise di punirle facendole impazzire per poi mutarle in rocce. Caria ne morì per il dolore; ma Dioniso, che l’aveva tanto amata, la trasformò in un noce dai frutti fecondi. Spettò ad Artemide, sorella di Apollo, raccontare questa storia ai Laconi che, successivamente, eressero in suo onore, chiamandola Artemide Cariatide, un tempio dalle colonne scolpite in legno di noce modellato in sembianze femminili, che furono dette cariatidi.
    Il legame del noce con divinità femminili si tramandò anche nella cultura medioevale, come testimonia la leggenda del noce di Benevento.
    Si favoleggiava che nella notte di San Giovanni le streghe, a capo delle quali vi era Diana, la dea che in Grecia con il nome di Artemide aveva ereditato le funzioni di Caria, sciamassero a migliaia nei cieli recandosi al gran sabba che si teneva, appunto sotto il noce di Benevento. Quell’albero pare fosse molto vecchio perché nel VII secolo, sotto il regno di Costante II, il vescovo Barbato l’aveva fatto sradicare per troncare alcune pratiche pagane che vi si celebravano in onore di qualche dea lunare.
    La convinzione che streghe e demoni prediligessero il noce per i loro sabba era diffusa in tutta l’Italia. A Roma una leggenda narra che la chiesa di Santa Maria del Popolo fu costruita per ordine di Pasquale II nel luogo in cui precedentemente vi era un noce intorno al quale migliaia di diavoli danzavano nel cuore della notte. Anche a Bologna si credeva fino al secolo scorso che le streghe si riunissero sotto queste piante, specialmente nella notte di San Giovanni.
    Nelle campagne si dice ancora oggi che non conviene riposare e tanto meno dormire all’ombra di un noce perché è facile risvegliarsi con una forte emicrania se non addirittura con la febbre. E si crede che, se le radici dell’albero penetrano nelle stalle faranno deperire il bestiame. Effettivamente le sue radici, come le sue foglie, contengono una sostanza tossica, la iuglandina,capace di provocare la morte di molte piante che crescono nelle vicinanze.


    Nella Roma del tempo di Catullo le noci simboleggiavano virilità e forza proliferatrice (le “ghiande di Giove” eran dette…), tanto che durante i banchetti di nozze venivano distribuite come oggi i confetti, da consumare con apposite focaccine: per questo si dice “pane e noci, mangiare da sposi”. Nel medioevo invece venne ritenuto l’”albero della notte”, sotto le cui fronde si radunavano gli spiriti maligni; famoso era il “noce di Benevento” ove si diceva che la vigilia della festa del Battista (24 giugno) si radunassero tutte le streghe italiane per un sabba infernale. La credenza durò a lungo, tanto che nel 1861 Nino Bixio, per interrompere le chiacchiere, lo fece abbattere. Ma la mala nomea rimase; in Sicilia si pensa che dormire sotto un noce faccia risvegliare storpi; in Calabria con l’emicrania, nelle Marche con la febbre. In realtà l’unico pericolo possono essere i fulmini; è un albero talmente bello, alto e maestoso, che spesso purtroppo li attira. Invece i frutti di questo meraviglioso albero sono sempre di buon augurio; mangiati a Capodanno portano ricchezze, mescolati ad altri cibi infondono coraggio e il liquore ottenuto dai malli, il celeberrimo nocino, avrà virtù magiche solo se raccolto il 23 o il 24 di giugno (sempre per le credenze legate a San Giovanni). L’unico avvertimento è mangiarne pochi, e sempre in numero dispari.
    (M. Vigliero)



    ....La noce e il campanile.....


    Trovandosi la noce essere dalla cornacchia portata sopra un alto campanile, e per una fessura, dove cadde, fu liberata dal mortale suo becco, pregò esso muro, per quella grazia che Dio li aveva dato dell'essere tanto eminente e magno e ricco di sì belle campane e di tanto onorevole sono, che la dovessi soccorrere; perché, poi che le non era potuta cadere sotto i verdi rami del suo vecchio padre, e essere nella grassa terra, ricoperta dalle sue cadenti foglie, che non la volessi lui abbandonare: imperò ch'ella trovandosi nel fiero becco della cornacchia, ch'ella si botò, che, scampando da essa, voleva finire la vita sua 'n un picciolo buso. Alle quali parole, il muro, mosso a compassione, fu contento ricettarla nel loco ov'era caduta. E infra poco tempo, la noce cominciò aprirsi, e mettere le radici infra le fessure delle pietre, e quelle allargare, e gittare i rami fori della sua caverna; e quegli in brieve levati sopra lo edifizio e ingrossate le ritorte radici, cominciò aprire i muri e cacciare le antiche pietre de' loro vecchi lochi. Allora il muro tardi e indarno pianse la cagione del suo danno, e, in brieve aperto, rovinò gran parte delle sua membre.
    (Leonardo da Vinci)


    Schiuma su schiuma, la mia testa è una nuvola
    Il mio interno esterno è un mare.
    Io sono un albero di noce del parco Gulhane.
    nodo su nodo, pezzo su pezzo un vecchio noce
    ma né la polizia né tu lo sapete.
    Io sono un albero di noce del parco Gulhane.
    Le mie foglie brillano di uno scintillio
    come un pesce nell’acqua.
    Le mie foglie sono immacolate
    come un fazzoletto di seta
    strappale, o mia rosa, e asciuga
    le lacrime dei tuoi occhi.
    Le mie foglie sono le mie mani,
    esattamente io ho centomila mani
    e ti tocco con centomila mani, Istanbul.
    Le mie foglie sono i miei occhi, e vedo con meraviglia
    e ti guardo con centomila occhi, Istanbul.
    Le mie foglie battono, battono come centomila cuori.
    Io sono un albero di noce del parco Gulhane
    ma né la polizia né tu lo sapete.
    (Nazim Hikmet)




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