RICKY GIANCO

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  1. tomiva57
     
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    GiancoRicky-Arcimboldo

    Arcimboldo

    Recensione:

    Molti dei musicisti italiani esplosi negli anni ’60 si trovarono in profonda crisi nel decennio successivo: alcuni, come Celentano e Battisti, seppero reinventarsi grazie al loro carisma, o cavalcando l’onda dei nuovi suoni provenienti dall’estero, senza sembrare troppo stantii; altri, come i Giganti o i Califfi, tentarono di virare il loro stile verso un prog/pop avaro di soddisfazioni, per poi finire nell’oblio; i più e furbi camaleontici, come i Pooh, seppero resistere con alcuni cambi di formazione ed una strizzata d’occhio al prog rock, edulcorandolo il giusto. Mentre la scena era gradualmente occupata da cantautori di protesta, chansonnier, novelli Dylan, prog band, altri artisti sparivano a frotte, per non riemergere più dall’anonimato, se non a partire dalla metà degli anni ’80, grazie al revivalismo vanziniano à la “Sapore di Mare”: chi si ricordava più, tranne San Remo (sia come santo che come luogo) di vittime illustri quali Don Backy, Equipe 84, Gianni Pettenati, Caterina Caselli, Gian Pieretti, Dino, Rita Pavone, Little Tony, Peppino di Capri, Nicola di Bari, Piero Focaccia, Tony Santagata, Rokes, Mal & the Primitives, Edoardo Vianello? Pochi probabilmente, salvo i futuri autori di Buona Domenica, o altri analoghi programmi contenitore.
    Solo uno di loro seppe emergere dal nulla e farsi strada, controcorrente, in direzione “ostinata e contraria” (come direbbe un noto Cantautore) per tutti gli anni ’70, producendo autentici capolavori oggi dimenticati dai più, densi di ironia, umorismo, cultura, oltre che sorretti da grande musica: Riccardo Sanna da Lodi… meglio noto come Ricky Gianco, già nel clan Celentano ed autore in proprio. Non perdo tempo a raccontarvi nulla di lui, il suo sito basta e avanza (lo segnalo più giù a tutti i curiosi), preferendo soffermarmi sul suo album più bello e, a mio avviso, su uno dei più grandi album della storia della musica italiana: Arcimboldo (’78).

    L’album è un’interessantissima commistione di pop, rock, prog rock, guizzante ironia (grazie all’apporto di Gianfranco Manfredi ai testi), dolore e struggimento, poesia, suonato assieme ad alcuni membri della PFM.
    L’iniziale “Compagno sì, compagno no, compagno un cazz”, dall’accompagnamento rockeggiante, è un pezzo sferzante dedicato a certi alternativi di facciata che, ieri come oggi, confondevano “personale” con “politico” in un labirinto senza via d’uscita: con il suo humour caustico Gianco preconizza il tramonto delle ideologie, e traccia le vie dell’età del riflusso. La successiva “Arcimboldo”, dall’andamento più rilassato, è una struggente ballata dedicata alla fine di un amore clandestino in quel di Vienna, dove l’amante abbandonato si rassegna gradualmente ad essere dimenticato, svanendo nel nulla come merce ormai fuori moda: i testi la fanno da padrone, anche se la melodia è difficilmente dimenticabile. Gli stessi toni emergono in “Uomini non parlate più”, in cui la dimensione del dolore non è più privata, ma pubblica, in cui si prende coscienza di un destino irrimediabile, in cui i deboli resteranno perennemente oppressi, non vi saranno più icone, sarà impossibile sognare un ritorno all’Eden. Una doccia gelata, dal nichilismo quasi punk, si subisce con la successiva “Vita, morte e miracoli”, un rock in cui si attaccano frontalmente il pietismo, la finta cultura, la finta dimensione religiosa, il falso storicismo… dato che la Storia altro non è, secondo Gianco e Manfredi, che “un movimento… un movimento di pirla”: l’individuo, privo di orientamento in quel ’78 contrassegnato dall’esplosione del terrorismo (“rosso” e “nero”), si trovava privo di bussola, al cadere del velo delle illusioni, trovando appiglio solo sul proprio senso dell’umorismo, sulla sua vitalità. Proprio a questa dimensione della vita è dedicata la successiva “Ironia”, sferzante manifesto del pensiero di Gianco e Manfredi, pezzo delirante sotto il profilo musicale e testuale, in cui, su un tessuto sonoro da teatro di periferia, si invitano, tra le altre cose, “gli gnomi dell’Universo a distruggere la pallacanestro” (sic!), negando la coincidenza fra razionale/reale che, sul piano ideologico, veniva in quegli anni abusata da più parti.
    Con “Il deserto è pulito” le sonorità si fanno prog, specialmente nella parte strumentale posta al centro del brano, con splendido interplay di basso, batteria e chitarra: il pezzo ha sapori orientali, anche se dal testo ben si intende come il deserto a cui si fa riferimento sia molto più vicino all’Italia di quegli anni, abitando nelle persone e nella società dell’epoca. Toni meditativi accompagnano la jazzeggiante “Obrigado Obrigadinho”, dal testo piuttosto ermetico, cantata da Gianco con un pizzico di disincanto e nostalgia verso qualcuno che non c’è più, o non è più come un tempo: un altro pezzo che non di scorda facilmente. L’ambiente è il tema de “Il fiume Po”, in cui si descrive la progressiva morte della spina dorsale della pianura settentrionale, e per traslato la progressiva morte dell’Italia stessa, avvelenata da miasmi e scarichi inquinanti: anche qui non manca l’ironia, con riferimenti mitologici, politici e personali. La conclusiva “A Nervi nel ‘92”, narra, ancor una volta con toni struggenti e nostalgici, di un vecchio amore, in cui i ricordi cercano di restituire un passato che non c’è più.

    Un album storico, inspiegabilmente rimosso dalla memoria collettiva, che sarebbe un peccato non conoscere.


    Recensione scritta da vellutogrigio per DeBaser



    Tracce:

    Compagno si, compagno no, compagno un cazzo
    Arcimboldo
    Uomini non parlate più
    Davanti al nastro che corre
    Vita, morte e miracoli
    Ironia
    Il deserto e' pulito
    Obrigado obrigadinho
    Il fiume Po
    A Nervi nel '92