MITOLOGIA ITALICA

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    ...la luce incantata che col sole riscalda la mia anima ed il mio cuore permettendomi di amare cosi
    tutte le cose che mai forse gli uomini hanno saputo amare...



    ARADIA


    7808bb5049aeb0a773ed4d460809242a__1_


    Aradia è un figura della mitologia popolare italiana introdotta dal folclorista americano Charles Godfrey Leland in Aradia, o il Vangelo delle Streghe (1899) . Aradia è presentata in tale testo come la figlia messianica della dea Diana, venuta sulla Terra per insegnare ai poveri e agli oppressi la stregoneria, come mezzo di resistenza sociale.
    A tutt'oggi le uniche testimonianze trovate della figura di Aradia in forma scritta prima della pubblicazione del testo di Leland sono rintracciabili sotto i nomi di Erodiade ed Erodiana.
    Lo stesso Leland non a caso indentifica Aradia con Erodiade, scrivendo:
    « ... il nome non deriva da Erodiade del Nuovo Testamento, ma una copia più antica di Lilith che portava lo stesso nome... nel VI secolo il culto di Erodiade e Diana da parte delle streghe fu condannato dalla Chiesa al Concilio di Angora »
    Nella storia dei processi alle streghe ricorre infatti quest'assimilazione: Diana è spesso affiancata alla figura di Erodiade, come nel processo di Milano del 1390 contro Sibillia e Pierina.
    Piperno e altri scrittori ipotizzano una identificazione di Erodiade con Lilith.
    Carlo Ginzburg, scrittore e saggista che nel libro "Storia notturna" si è occupato anche del fenomeno stregonesco popolare da un punto di vista storico e antropologico, fa derivare il nome "Aradia" dall'unione dei nomi Hera e Diana, entrambe sopravvissute all'avvento del Cristianesimo ed unite in una figura composita di nome Heradiana o Herodiana.
    Aradia è una dea "povera", non è mai stata adorata in un tempio come le sue sorelle lunari o terrestri più famose, non ha mai avuto l' onore di una statua o di un vero altare, è una dea della Natura e nella Natura va celebrata con pochi o nessun mezzo.
    Recentemente c'è chi ha avanzato l'ipotesi di Aradia come nome composto, di origine etrusca, atto ad indicare un ruolo o un titolo sacerdotale. Dalla radice Ar fuoco (il fuoco divino della conoscenza, riservata agli iniziati) e da Dia nome di un'antichissima divinità italica della vegetazione riconducibile a Diana.
    Aradia, quindi, potrebbe significare Sacerdotessa di Diana o Grande Sacerdotessa.

    Aradia, o il Vangelo delle Streghe comincia con la nascita di Aradia da Diana e dal fratello di questa,
    Lucifero, descritto come "il dio del sole e della luna, il dio della luce (splendor).
    Il discorso si sposta poi sulla situazione di oppressione sociale dei poveri dell'epoca che per sfuggire alla schiavitù dei ricchi e dei potenti spesso si trasformavano in briganti e assassini. Aradia viene quindi inviata in loro soccorso come maestra di arti stregonesche e protettrice

    La resistenza sociale si esprime quindi anche nell'opposizione alla religione dei potenti, vista anch'essa come strumento d'oppressione,così Aradia assicura il riscatto ultraterreno ai poveri e agli oppressi e una volta compiuta la sua missione, ritorna alla madre Diana, ma promette ai suoi discepoli di continuare a soccorrerli, insegnado loro un rituale da svolgersi nelle notti di luna piena, per adorare lo spirito di Diana e continuare a d apprendere.
    L'opera di Leland ha costituito un importante punto di riferimento nella stesura dei testi originali della Wicca. Alcune Tradizioni wiccan usano il nome di "Aradia" per indicare la Dea o la "Regina delle Streghe". L'Incarico della Dea, un importante passo della liturgia wiccana, si ispira al discorso attribuito ad Aradia nel primo capitolo del libro, cosi come anche altre formule rituali sono liberamente ispirate a vari passi dello stesso. Aradia è stata da allora genuinamente adottata come divinità, ispiratrice e protettrice della stregoneria, in molti pantheon wiccani.



    "..si dice che Aradia sia stata una grande sacerdotessa della vecchia religioneed esistita realmente attorno al 1300...Il vero nome è ignoto ma l'orogine è toscana.si ricorda come Colei che venne e si dice sia comparsa dal nulla...Si narra di 13 congregheposte sotto la sua saggia guida.Si stabilirono presso il lago di Nemi,conosciuto come lo specchio di Diana dove il bosco le era stato consacrato.
    A nemi però furono pure annientate dalla chiesa e dai suoi alleati.
    Chi scampò al massacro scappò e divenne parte della leggenda.
    Aradia si disse non morì, ma scomparve nel nulla.
    Quando il perduto tempio di Aradia risorgerà prossimo sarà il secondo avvento!

    (spunti ridotti da " i canti di Aradia" Aradia edizioni")



    Aradia è una creatura di origini divine e usa passare nei sogni, devi seguirla al chiaro di luna, in un luogo deserto,nella selva ad adorare lo spirito potente di sua madre diana..


    tumblr_m8fa5wAJ2B1rupj3so1_400


    ...Aradia e la sua storia.....



    Tutto ebbe inizio...Milioni di anni fa.....
    In principio, l'universo era vuoto, una grande manto nero.
    Le uniche creature esistenti erano, il Padre e la Madre, i Fondatori.
    Un giorno, questi Fondatori, decisero di creare i pianeti.
    Il primo pianeta creato fu la Terra.
    Non come la conosciamo noi, inizialmente era una grande massa di roccia, come un grande sasso.
    Poi si misero a modellare questa roccia, come un'opera d'arte, iniziarono col creare il cielo e il mare.
    Crearono le montagne, i prati, gli alberi e tante altre cose, come se stessero dipingendo un quadro.
    Finito il lavoro, crearono i primi esseri viventi, gli animali.
    Ne crearono di molti tipi, e di diverse misure, li misero nel mare, nelle montagne, nei prati e persino in cielo.
    Finiti gli animali, pensarono di creare 4 spiriti, per proteggere il loro creato ed aiutare gli esseri viventi.
    Questi 4 spiriti erano il fuoco, l'acqua, la terra e l'aria, che sono ancora in mezzo a noi,
    ma i Fondatori, gli hanno dato il potere di essere invisibili.
    Poi crearono la prima Dea, Diana, aveva il compito di gestire il funzionamento dei mari, della terra, dei prati e di tutto il creato.
    Per riuscire a controllare al meglio la Terra, decisero che lei non doveva abitarci, quindi crearono un pianeta dove farla vivere, la Luna.
    La Madre guardò la loro opera, ormai la Terra era finita e Diana controllava tutto, ma mancava ancora qualcosa, la luce.
    Così i Fondatori decisero di creare un Dio, Lucifero, il portatore di luce.
    Aveva il compito di illuminare la Terra e di riscaldare i suoi abitanti, crearono un pianeta dove farlo vivere, il Sole.
    I fondatori decisero di fare l'ultimo ritocco al loro capolavoro e crearono gli esseri umani, che dovevano procreare e vivere in pace e armonia con la natura e gli animali.
    Diana e Lucifero erano come fratelli, lavoravano insieme per dare la luce e l'oscurità alla terra,
    per far cambiare il tempo e aiutare la natura e tutti gli esseri viventi.
    Lei era molto attratta dalla luce di lui e un giorno decise di andare a trovarlo, spostò la Luna verso il Sole e quel giorno ci fu la prima eclissi.
    Quando Diana si incontrò con Lucifero, fu amore a prima vista, restarono assieme solo poco tempo, per non creare difficoltà sulla Terra.
    Prima di andarsene la Dea diede un bacio al Dio, si udì una grossa esplosione, un evento mai visto prima: come dei fuochi d'artificio, si crearono dei puntini luminosi in tutto l'universo, le stelle.
    Da quel giorno Diana e Lucifero hanno continuato a fare i loro brevi incontri e li fanno tutt'ora.
    In uno di questi incontri i due Dei si sono uniti, tra il buio dell'eclissi si poté vedere un grande bagliore in cielo, una stella con una scia di luce, che attraversò tutta la Terra, era una Cometa, annunciava l'arrivo della loro figlia, Aradia.
    Passarono anni e anni, la Terra era ormai già popolata da tantissimi esseri viventi, tanti uomini, che col passare del tempo iniziarono a sfruttare la natura e gli animali per le loro comodità.
    Gli umani infine si misero anche a sfruttare i loro simili, i più ricchi e benestanti, opprimevano i poveri e le donne.
    Il Dio e la Dea decisero di chiamare i Fondatori, li aggiornarono sulla situazione e gli chiesero il permesso di mandare Aradia sulla Terra, per mettere a posto la situazione.
    I Fondatori decisero che era la cosa migliore da fare, mandarono Aradia sulla terra, una immortale in mezzo ai mortali, con il compito di assoldare degli umani a cui insegnare la magia per poter migliorare la loro situazione.
    Aradia così fece, arrivò sulla Terra, iniziò a parlare con delle contadine, oppresse dagli umani di sesso maschile, raccontando loro chi era e quale fosse la sua missione.
    Cominciarono quindi ad incontrarsi nei boschi di notte, per non farsi scoprire, si radunavano formando un cerchio e tenendosi per mano.
    Aradia era in mezzo a loro e con il suo aiuto, riuscivano a contattare il Dio e la Dea, successivamente, riuscirono a farlo anche senza il suo aiuto.
    Le contadine impararono ad usare la magia e a fare pozioni e medicine con le erbe, e con queste a
    proteggersi dai soprusi.
    In seguito Aradia ha continuato a contattare altre persone per diffondere la sua sapienza, le sue seguaci erano sempre più numerose anche se rimanevano nascoste.
    La figlia degli Dei aveva il potere di distruggere tutti gli oppressori e i potenti sfruttatori, ma non lo fece, preferì mettere i poveri e gli oppressi in condizione di difendersi e vivere per il meglio le loro vite.
    Aradia fu così chiamata, la prima Strega, le sue discepole, le streghe, si riunivano in coven ed erano sempre più numerose.
    Curavano le malattie, parlavano con gli Dei e facevano incantesimi e pozioni per migliorare il proprio stile di vita.
    Tutt'ora ci sono ancora tante Streghe in giro per il mondo, si riuniscono per celebrare le feste Pagane
    e per i vari rituali.
    La leggenda di Aradia è ancora viva nei loro pensieri, colei che scese sulla Terra per difendere gli oppressi e i poveri.
    Quando guardate in cielo, ricordatevi degli Dei che ci guardano da lassù e di Aradia che veglia su di noi.



    Diana disse a sua figlia Aradia:

    E' vero tu sei uno spirito,
    ma sei nata per essere ancora
    Mortale, e tu devi andare
    sulla Terra e fare da Maestra
    a donne e a uomini che avranno
    Volontà di imparare alla tua scuola...




    .....una favola....



    Ogni volta che c' è la luna piena, come in queste notti, mi torna alla mente una favola che mi raccontavano da piccola. Parla di una fatina dei boschi, un gatto nero, e di una panchina bianca in mezzo al mare...


    Le figlie di Aradia amano cantare e passeggiare per i boschi, niente riempie loro il cuore di gioia come pregare per la grande madre, e onorarla ballando sotto la luna piena. Venivano appellate fate, e avevano grandi poteri, che traevano dall'amore stesso che nutrivano per Diana. Ognuna delle fate era dotata di bellissime ali, che permetteva loro di volare perfino sopra le nubi, in modo da non perdere mai di vista la luna, nemmeno nei giorni di pioggia. Un giorno, dal pianto di una ninfa, nacque Iris. Le sue ali erano le più colorate, ma avevano un difetto: non riuscivano a volare. Quelle ali erano troppo deboli, e Iris non poteva seguire le compagne qua e là per il bosco; dovete infatti sapere che le fate non amano muoversi a piedi, ma lo fanno sempre volando molto velocemente, in modo da non farsi vedere da occhio umano. Quindi Iris rimaneva sempre da sola, specialmente sotto la pioggia, mentre le altre fate erano lassà, sopra le nubi, a danzare alla luna piena. Iris altro non poteva fare che camminare. Camminava, e camminava tanto, e così scoprì tante piccole cose del bosco che alle fate sfuggivano, svolazzando qua e là. Scoprì su quale fiore su posava la rugiada più fresca, ad esempio, o dove cadeva la prima foglia in autunno. Ma camminando camminando, Iris iniziò ad uscire dal bosco, ed esplorò zone sempre più lontane.
    Un giorno, nelle sue esplorazioni, vide una grande massa d' acqua, che gli umani chiamavano "mare". Era incantata dal come riuscisse a rimanere lì, eppure muoversi con quelle sue onde. Ed era incantata da come la luna piena si riflettesse sopra di essa. Così danzò e ballò in onore della Grande Madre, da sola, senza le altre fate. Ma mentre danzava e ballava, qualcuno la stava guardando. Iris sentì il suono di un campanellino, e si accorse della sua presenza. Era un piccolo gatto nero con lo sguardo curioso. Iris rise, il suono di quel campanellino le piaceva. Allora il micio lo agitò apposta per farla ridere di nuovo.
    Iris e il Gatto Nero si presentarono, e iniziarono a parlare. E camminarono. Camminarono e parlarono tanto, fino a raggiungere una panchina, una panchina bianca che si trovava proprio in mezzo al mare, in mezzo alle onde. E li si sedettero per riposare un po'. Iris guardò in silenzio il piccolo micio, e iniziò a fargli delle carezze sulla schiena, come piacciono ai gatti. Il micio rimase stupito e chiese "perchè?", la fata rispose che sapeva leggere nell' animo, e sentiva che il suo era ferito e che più di ogni altra cosa, più di ogni altra parola, aveva bisogno di affetto. Il piccolo micio rimase sorpreso. Rimasero un po' li, il micio a farsi coccolare, e la fata a guardare la luna, con l' espressione triste di chi non può volare. Il micio chiese "Come mai non voli come le tue sorelle... non sei anche tu una fata?" e Iris diventò ancora più triste.
    "Vedi le mie ali? Sono troppo deboli per volare. Non hanno forza". Il piccolo gatto nero allora divenne triste. "Posso fare qualcosa?"..."No. Nessuno può farci niente".
    La piccola fata dei boschi indicò la luna piena. "E' che così, sono una fata a metà. Credo che nemmeno la grande madre mi voglia come sua figlia. Non sei una vera fata, se non sai volare".
    "Nemmeno io so volare" obiettò il gatto..."Tu sei un piccolo gatto nero. Non hai le ali, per questo non sai volare". Rispose Iris.
    "Credi che davvero servano ali per poter volare? Non credi che ci siano altri modi per poterlo fare?".
    Iris non aveva risposta.
    Si stava facendo tardi, la luna stava per tramontare, quasi sfiorava il mare. La fata disse frettolosamente addio, volto le spalle, e si diresse verso la sua casa, verso il bosco. Il piccolo gatto nero si sentiva tanto triste. Nessuno era mai stato tanto buono con lui, nessuno gli aveva fatto quelle coccole. E soprattutto, nessuna fata lo aveva mai fatto per lui. O per qualche altro gatto.
    Il micio tornò di nuovo a quella panchina in mezzo al mare, sperava di incontrare di nuovo quella fata. Lui era sicuro che avrebbe trovato il modo di farla volare, se solo lei gliene avesse data l' occasione.
    E la fata? La fata pensava e ripensava a quella domanda, c'erano altri modi per poter volare? E più ci pensava e più si arrabbiava e diventava triste, perchè non aveva, non aveva una risposta. E camminò in lungo e in largo per il bosco, per chiedere consiglio. Ma nessuno aveva una soluzione.
    E venne di nuovo la notte. E Iris guardava la luna piena, seduta su un ramo dell' albero più vecchio del bosco, la Grande Quercia. Iris guardava la luna, ma invece di danzare e ballare come le sorelle, sospirava.
    "Piccola fata, perchè sospiri ? Cosa ti affligge?".
    "Grande Quercia, io ho ali troppo deboli per volare. Esiste un altro modo per poterlo fare?"
    "Piccola fata, ti rende così triste non poter volare?"..."Si, molto." .."E cosa c' è che ti rallegra?"
    "Non lo so. Niente mi rallegra, Grande Quercia."
    "Chiudi gli occhi, fatti cullare dal soffio del vento. E cattura un pensiero felice".
    Iris chiuse gli occhi. Le tornò alla mente il piccolo micio nero, il tintinnare del campannellino, la lunga passeggiata, le mille parole. Sorrise. E poi sospirò nuovamente.
    "Piccola Fata, guarda le tue ali"
    Il micio miagolava triste seduto sulla panchina. Faceva freddo e tremava, ma aspettava. Aspettava che la sua fata tornasse, e agitava il campanellino, perchè così, seguendo quel suono, l'avrebbe trovato più in fretta. E la fata arrivò. Volando stavolta! Il micio era felice, e fece tante fusa alla sua fatina. Iris prese il micio fra le sue braccia e lo strinse forte.
    "Grazie, ho dovuto aspettare di incontrare te, perchè le mia ali potesso finalmente farmi volare. Perchè se c'è una cosa che ti da forza, che ti fa volare veramente in alto, sopra le nuvole, è l' amore."
    Il micio disse alla fatina "Rimani sempre con me".Da allora rimasero sempre insieme.

    (IrisLuna, alidcarta.splinder.com)



    83515be585058daf8be656d2ac7e5e0b__1_



    Canto di Aradia


    Io sono la volontà degli Dei, io sono la vita.
    Io sono la Signora del plenilunio, colei che ritorna per ricordare
    ai Figli del Cielo l'Antica Arte.
    Io sono la Dea dell'amore che stende un mantello di stelle sopra la notte.
    Io annuncio l'alba e saluto il tramonto. Io possiedo il segreto di ogni incantesimo.
    Io sono colei che comanda la folgore.
    Io sono la rugiada che scende sui prati fioriti, la linfa che scorre nei boschi,
    che anima i venti e le acque, che sposa e feconda la terra, che nasce nel fuoco e alimenta
    la fiamma perenne che grida giustizia agli Dei.
    Io sono colei che sconfigge la morte e spezza le catene della paura,
    io sono lo Spirito puro della Natura, lo Spirito libero dell'universo.
    Io sono la Gloria immortale della verita' mai tradita.
    Io sono l'amore, io sono la vita.
    Io sono la figlia della Luce infinita.



    Edited by gheagabry1 - 6/2/2022, 00:14
     
    Top
    .
  2. IrisLuna
     
    .

    User deleted


    Ti ringrazio per la cortesia :)
     
    Top
    .
  3.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie
     
    Top
    .
  4. arca1959
     
    .

    User deleted


    grazie Gabry
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted



    GIANO


    Giano è una divinità esclusivamente romano-italica, la più antica tra gli Dei nazionali, gli Di indigetes, invocata spesso insieme a Iuppiter.
    Il suo culto è probabilmente antichissimo e risale ad un'epoca arcaica, in cui i culti dei popoli italici erano in gran parte ancora legati ai cicli naturali della raccolta e della semina. È stato sottolineato da più autori, fin dal secolo scorso (Il ramo d'oro), come Giano fosse probabilmente la divinità principale del pantheon romano in epoca arcaica. In particolare rimarrebbe traccia di questo fatto nell'appellativo Ianus Pater che permase anche in epoca classica. Nei frammenti superstiti del Carmen Saliare Giano è salutato con particolare enfasi come padre e dio degli dei stessi:

    « cantate Lui, il padre degli Dei, supplicate il Dio degli Dei »
    (fragmentum 1)


    Varrone riporta però nel carmen anche l'epiteto di Cerus cioè "creatore", perché come iniziatore del mondo Giano è il creatore per eccellenza. Il console e augure Marco Valerio Messalla Rufo scrive nel libro sugli Auspici che Giano è colui che plasma e governa ogni cosa e unì circondandole con il cielo l'essenza dell'acqua e della terra, pesante e tendente a scendere in basso, e quella del fuoco e dell'aria, leggera e tendente a sfuggire verso l'alto, e che fu l'immane forza del cielo a tenere legate le due forze contrastanti. Settimio Sereno lo chiama "principio degli dèi e acuto seminatore di cose".
    Può essere annoverato tra le divinità marine, o per lo meno "acquatiche" anche Giano in quanto, secondo una versione del mito, sarebbe stato il primo dio di Roma (e in effetti esso non trova riscontro in altre mitologie e fu tipicamente italico e latino), dove giunse per mare dalla Tessaglia. Era quindi considerato l'inventore delle navi e il protettore della navigazione, dei porti e delle vie fluviali. Si credeva inoltre che avesse il potere di far zampillare all'improvviso dal terreno sorgenti e polle d'acqua, come ad esempio accadde quando salvò Roma dai Sabini, nemici dei Romani, che stavano per entrare in città attraverso una porta, rimasta inspiegabilmente aperta: fece scaturire una sorgente, addirittura una cascata, che mise in fuga gli assalitori.
    Ma Giano, definito anche Janus Pater, padre di tutti gli uomini, della Natura e dell'Universo, fu essenzialmente il dio dell'apertura e dell'inizio, con caratteristiche simili a quelle della divinità solare che apre il cammino alla luce accompagnando l'attività umana nel corso della giornata. Nella sua riforma del calendario romano, Numa Pompilio dedicò a Giano il primo mese successivo al solstizio d'inverno, gennaio, che con la riforma giuliana del 46 a.C. passò ad essere il primo dell'anno.
    Il suo nome stesso evoca la porta, in latino ianua, e januarius è il mese che apre l'anno e dà inizio alle stagioni, e il primo giorno di gennaio veniva dedicato alla festa del dio. Presiedendo alle porte, aveva la chiave e il bastone; sorvegliava tutto ciò che stava all'interno della città o della casa, non perdendo però di vista quello che accadeva all'esterno, e quindi era rappresentato con due facce (Giano bifronte).
    La prima preghiera nell'intraprendere qualsiasi impresa o attività era sempre rivolta a Giano, che proteggeva anche il concepimento e la nascita, principio della vita individuale. Il tempio a lui dedicato doveva rimanere aperto in occasione di imprese belliche, ma solennemente sbarrato in tempo di pace, e le cerimonie che avevano luogo per la chiusura delle porte del tempio tendevano ad esaltare il ruolo di custode della pace del dio Giano, perché solo in una situazione di tranquillità la vita quotidiana può dar luogo ad esordi positivi e creativi.


    Esistono due sole rappresentazioni di Giano: una moneta del Künthistoriche Museum di Vienna e la testa fittile da Vulsci (del II sec. a.C.) conservata a Roma, al Museo nazionale Etrusco di Villa Giulia. Nonostante questa scarsità iconografica, sappiamo che la divinità rivestiva, nella società romana, straordinaria importanza nella vita pubblica e nella religione. Virgilio parla di Giano nel Libro VII dell’Eneide quando ci narra dei profughi Troiani alla ricerca della antica madre. In quell’occasione il poeta ci ricorda che Giano avrebbe “… regnato in Italia prima di Saturno e di Giove”. E Ovidio – per parte sua – ne “I Fasti” e ne “le Metamorfosi” afferma che Giano fissò la propria dimora sul Gianicolo che da lui prese il nome. Per questo Giano, che nella più antica religione si era presentato come divinità solare, come alter ego al maschile di Diana, come divinità che, al mattino, apre e, la sera, chiude le porte del cielo, come ci rivela l’etimo latino di Janua.
    Giano finì così con il rivestire un posto sempre più elevato nel pantheon romano al punto che un suo sacerdote (il rex sacrorum), nelle processioni aveva la precedenza sui rappresentanti di tutte le altre divinità (compreso il sacerdote di Giove), mentre negli inni veniva invocato come “buon creatore”, cioè come creatore degli uomini (Ianus Pater) e padre Dio degli Dei (deorum deus, ovvero, deorum rex)”, padre in altri termini, di tutti gli uomini, della Natura e dell'Universo. Divenne la divinità dell'apertura e dell'inizio, con caratteristiche simili a quelle della divinità solare che apre il cammino alla luce accompagnando l'attività umana nel corso della giornata.

    Nel mito Giano avrebbe regnato come primo Re del Latium, fondando una città sul monte Gianicolo e donando la civiltà agli Aborigeni, suoi originari abitanti. Con la ninfa Camese avrebbe generato inoltre numerosi figli, tra i quali il dio Tiberino, signore del Tevere. È lui ad accogliere il dio dell'agricoltura Saturno, spodestato dal figlio Giove, condividendo con lui la regalità e consentendogli di portare l'età dell'oro. Giano ricevette dal dio Saturno per l'ospitalità ricevuta, il dono di vedere sia il passato che il futuro, all'origine della sua rappresentazione bifronte.
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted



    « quella regione fu chiamata Italia da Italo, re arcade »
    (Tucidide)


    ITALO



    Esistono varie leggende sul personaggio di Italo, vissuto, secondo il mito, 16 generazioni prima della guerra di Troia. Da lui deriverebbe il nome Italia, dato prima alla regione corrispondente all'attuale provincia di Catanzaro, e poi esteso a tutta la penisola.

    Le tradizioni variano sulle sue origini e sulla patria. Talvolta è ritenuto re di un territorio situato all'estrema punta meridionale del Bruzio. In questa versione, Italo era d'origine enotria. Regnò sul paese con tanta giustizia e saggezza, dando leggi al suo popolo e incivilendolo così bene che, per ricoscenza, fu dato al suo regno il nome d'Italia. Questo nome si estese poi progressivamente a tutta la parte meridionale della penisola (chiamata fino allora Ausonia), e ben presto all'intera penisola
    Narra Aristotele:

    « Divenne re dell'Enotria un certo Italo, dal quale si sarebbero chiamati, cambiando nome, Itali invece che Enotri. Dicono anche che questo Italo abbia trasformato gli Enotri, da nomadi che erano, in agricoltori e che abbia anche dato ad essi altre leggi, e per primo istituito i sissizi. Per questa ragione ancora oggi alcune delle popolazioni che discendono da lui praticano i sissizi e osservano alcune sue leggi »
    (Aristotele, Politica, VII, 9, 2)


    e ancora:

    « Italo, re degli Enotri, da lui in seguito presero il nome di Itali e Italìa l'estrema propaggine delle coste europee delimitata a Nord dai golfi [di Squillace e di S.Eufemia], di lui dicono che abbia fatto degli Enotri, da nomadi che erano degli agricoltori stabili, e che abbia imposto loro nuove leggi, istituendo tra l'altro per primo le sissizie »
    (Aristotele, Politica, VII, 10, 2-3)


    Aristotele parla dunque di Italo, re degli Enotri che da lui successivamente presero il nome gli Itali, il quale fece degli Enotri da popolo nomade un popolo stabile che si stanziò nell'estrema propaggine delle coste europee, nell'attuale istmo di Catanzaro nell'omonima provincia delimitata rispettivamente ad oriente dal golfo di Squillace e ad occidente dal Golfo di Sant'Eufemia.
    Antioco di Siracusa nel V secolo a.C. invece così scriveva:

    « L'intiera terra fra i due golfi di mari, il Nepetinico [S. Eufemia] e lo Scilletinico [Squillace], fu ridotta sotto il potere di un uomo buono e saggio, che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli altri con la forza. Questo uomo si chiamò Italo che denominò per primo questa terra Italia. E quando Italo si fu impadronito di questa terra dell'istmo, ed aveva molte genti che gli erano sottomesse, subito pretese anche i territori confinanti e pose sotto la sua dominazione molte città »


    Secondo Strabone la capitale del Regno enotrio fu Pandosia Bruzia,probabilmente da identificare con la città odierna di Acri. Dunque è da presumere che il Italo regnasse su Pandosia Bruzia e sul nord dell'attuale Calabria, oltre che sulla zona jonica ma non è da escludere che il dominio degli Enotri comprendesse tutta le odierne regioni Calabria e Basilicata. Inoltre, sempre secondo Strabone, Italo fu il fondatore di Pandosia Bruzia.

    Secondo un'altra versione, il buon Italo era di origine sicula, o anche lucana, o ligure, o corcirese, o anche nipote di Minosse, figlia della figlia Satiri. la confusione di queste leggende è estrema. Italo è ricollegato anche al ciclo di Ulisse e di Circe: sarebbe il figlio di Penelope e di Telegono.

    ..la protostoria..


    E’ il periodo compreso fra la Preistoria degli uomini primitivi e la Storia degli uomini che hanno conosciuto la scrittura. La differenza tra Protostoria e Storia si basa infatti sulla presenza di vere e proprie civiltà e non solo di insediamenti umani organizzati; e un fondamentale elemento di distinzione è proprio la presenza di una scrittura avanzata, non più arcaica.
    La Protostoria è così un periodo in cui le società certamente non sono più primitive ma neanche raffinate e alfabetizzate; generalmente, infatti, la sola differenza che conta è quella tra la Preistoria e la Storia, e la Protostoria è considerata solo come la parte finale della Preistoria. Il periodo è molto breve e, naturalmente, varia da area ad area; la Mesopotamia del 2500 aC, per esempio, è una società protostorica, mentre l'Europa settentrionale lo sarà solo più di tremila anni dopo! E’ il periodo compreso fra la Preistoria degli uomini primitivi e la Storia degli uomini che hanno conosciuto la scrittura. La differenza tra Protostoria e Storia si basa infatti sulla presenza di vere e proprie civiltà e non solo di insediamenti umani organizzati; e un fondamentale elemento di distinzione è proprio la presenza di una scrittura avanzata, non più arcaica.
    La Protostoria è così un periodo in cui le società certamente non sono più primitive ma neanche raffinate e alfabetizzate; generalmente, infatti, la sola differenza che conta è quella tra la Preistoria e la Storia, e la Protostoria è considerata solo come la parte finale della Preistoria. Il periodo è molto breve e, naturalmente, varia da area ad area; la Mesopotamia del 2500 aC, per esempio, è una società protostorica, mentre l'Europa settentrionale lo sarà solo più di tremila anni dopo!
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted


    LUPERCO


    Lupercus Faunus non è che uno dei volti del Fauno, un Dio della natura selvaggia e degli istinti, prima figlio e poi consorte di Fauna , Dea della natura che fece, come tutte le Dee Vergini, un figlio senza il concorso del marito, e che in seguito con lui si accoppiò. Veniva rappresentato col flauto, la cornucopia, abbigliato con pelli di capra e armato da una clava da pastore. La sua sposa dunque era Fauna, chiamata anche Fatua e in versioni più tarde fu associato al Dio greco Pan, oltre che al Satiro.
    Il nume di Luperco gli deriva dalla qualità di difensore delle greggi dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (Lupercus = lupus + hircus). Il Dio aveva doti profetiche e per questo era soprannominato Fatuus. Ma era anche nume ispiratore e invasante, che cacciava per possedere le sue prede, le Ninfe delle fonti e delle sorgenti, le quali, di conseguenza, divenivano simili alle Sibille nel loro profetare. A lui si attribuisce anche l’invenzione degli antichissimi versi saturnii su cui si fonda la poesia latina. E' dunque dio d’ispirazione profetica e poetica, come Pan e come le Ninfe a cui è connesso, anche associato al timor panico, con apparizioni spaventose e voci soprannaturali.
    Fauno nei secoli assunse significati diversi, da Dio dell’abbondanza, dipinto sulle pareti di quasi tutte le abitazioni latine, simbolo di prosperità e della bella vita, cui si rivolgevano continuamente tutte le preghiere dei pastori e dei contadini, loro protettore e “lupercolo” benigno per i loro greggi.... fino ad essere considerato infimo demone dei campi che non dava consigli utili agli uomini ma li esortava solo al divertimento sfrenato.

    .....i Lupercali......


    Pare che i lupercali si tenessero nei dintorni della grotta sacra a Luperco, ai piedi del Palatino, grotta in cui secondo la leggenda la famosa lupa trovò ed allattò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma.
    Qui i sacerdoti offrivano alla dea-lupa la mola salsa (tritello di farro misto con il sale) preparata dalle vergini Vestali, sacrificavano una capra (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione) e con il sangue degli animali battezzavano due fanciulli: il sacerdote ungeva le loro fronti con la lama insaguinata usata per i sacrifici per poi ripulirle con bende di lana bagnate nel latte mentre i pargoli ridevano fragorosamente, come prescritto dalla liturgia.
    I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta seminudi, con i soli fianchi coperti da una pelle di capra, le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia, correndo per la Via Sacra armati di februa (lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro da cui deriva il nome del mese di febbraio) in cerca di giovani donne da “fecondare”. Tutti coloro che erano colpiti dalla februa venivano “purificati” e resi fertili, sia la terra che gli individui.
    In particolare le donne, per ottenere la fecondità, offrivano volontariamente il ventre (in seguito, al tempo di Giovenale ai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle mani).
    I luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino. La festa prevedeva oltre alla rappresentazione nel lupercale anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale dove i nomi delle giovani vergini e quelli dei giovani aspiranti uomo-lupo erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori. Due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano un bigliettino formando così le coppie, che avevano a disposizione un anno per provvedere alla fertilitè di tutta la comunità, con la benedizione di tutti gli dei (marte, romolo, pan, fauno luperco) e delle grandi madri romane (ruma, rea silvia, fauna, acca laurentia) incarnatesi nel modello mitico universale noto come la lupa.
    Il culto di Luperco era molto sentito ed i Lupercali rimasero una ricorrenza significativa per i Romani , anche dopo l'avvento del Cristianesimo. L'antico rito pagano infatti fu celebrato fino al V° secolo dopo Cristo, quando subentrò la nuova festa cristiana nota come San Valentino, o Festa degli innamorati.
    (ilcerchiodellaluna.it)

    I FAUNI


    Bellissimi, allegri e gioviali, i Fauni insegnano molto all’istinto dell’uomo ed in questo sono dei veri formatori, una razza mediatrice nei rapporti tra l’uomo e gli animali. Il Fauno è una figura della mitologia romana, una divinità protettrice della natura, in particolare della campagna e dei boschi. Era quindi un Dio buono e pacifico. Esso rappresenta un simbolo erotico e selvaggio, amante della natura e della bella vita, quella semplice. Il suo aspetto è dalle forma umane, ma con i piedi di capra e con le corna sulla fronte, è ovvero una creatura per metà capra (le zampe) e metà uomo, dal viso ispido e barbuto, colmo di una precoce saggezza, ma anche di un’allegria indiavolata. I suoi passatempi preferiti erano cacciare e corteggiare le belle ninfe, anche se non disdegnava spaventare gli uomini che incautamente passavano nei pressi dei suoi boschi. Amava suonare il flauto, specie negli assolati meriggi estivi, o puntava le ninfe per accoppiarvisi, e questi non era a loro in genere sgradito, in quanto portatore di istinti sessuali e fertilità. Sia a Roma che nell’antica Grecia, Fauno era diventato così popolare tra la gente, tanto da essere adorato come una delle divinità più importanti. A lui infatti venivano rivolte un gran numero di preghiere e le sue profezie venivano tenute in gran considerazione. Fauno era anche venerato come il genio dei boschi che spaventa, di notte, gli uomini con sogni ed apparizioni paurose (onde il nome di Incubus), e che fa conoscere l’avvenire per mezzo dei rumori del bosco, del volo degli uccelli o coi sogni.
    “Ogni tipo di saggezza umana è vana” risponde il Fauno a chi lo interroga. Forse perché il Fauno è portatore dell’istinto che coglie direttamente se stesso e il mondo, senza elucubrazioni mentali. Questa scoperta non dà disperazione ma provoca solo riso, danza e voglia di vivere. Il Fauno sa come tutto sia solo un gioco; egli è il dio dell’anello, il dio della gioia che ritorna su di sé e diventa circolare, si piega in un cerchio perfetto, simbolo dell’eterno ritorno, immagine stessa dell’eternità diffusa su tutta la terra. Per alcuni il Fauno sarebbe stato il terzo re preistorico dell’Italia, ed avrebbe introdotto nella penisola il culto della divinità e l’agricoltura; dopo la morte gli vennero dedicati molti onori e venne venerato come dio dei boschi, protettore delle greggi e degli armenti. Secondo altre fonti, i Fauni sarebbero stati antichi pastori, abitanti, ai primordi del mondo, nel territorio sul quale verrà fondata Roma. È una delle più antiche divinità italiche, nonché l’istitutore dei Salii e dei Luperci, le due solidalitates dedicate al culto iniziatico di Marte.
    Nel culto Fauno decadde presto d’importanza, soprattutto in seguito alla parte sempre maggiore data ad un dio di umile origine, Silvano. Identificato col greco Pan, divenne un semplice semidio mortale e si confuse con la folla dei Pani, dei Satiri, e delle Ninfe.(dalweb)

    ....DAI FAUNI A SAN VALENTINO....


    Sin dai primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero demonizzate e in particolare i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani, si trasformarono in orribili diavoli, precisamente con le corna, gli zoccoletti e la coda. Nel medioevo infatti, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani per il loro aspetto animalesco, per i loro doni profetici, ma soprattutto per il loro carattere istintivo ed erotico, connesso ai culti della fertilità.
    Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati «incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane. Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali, sebbene tali non fossero. Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente, da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della Natura selvaggia, viva, numinosa, e dunque, ai loro occhi, diabolica: la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo, ad essere perseguitata.
    Fu così che la festa di Fauno fu gradualmente sostituita con la festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni sessuali.

    Tra le foglie, verde scrigno macchiato d'oro,
    tra le incerte foglie fiorite
    di splendidi fiori dove dorme un bacio,
    vivo, strappando il lieve ricamo,
    un fauno spaurito mostra i suoi occhi
    e morde i fiori rossi con denti bianchissimi.
    Scuro e sanguigno come vino invecchiato
    il suo labbro esplode in risa tra le fronde.
    ..
    E quando s'è dileguato - come uno scoiattolo -
    il riso suo ancor trema tra le foglie;
    lo vedi spaventarsi d'un fringuello
    quel bacio aureo del bosco, e rannicchiarsi.
    (Arthur Rimbaud)

     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted


    BONA DEA



    Sotto l'appellativo Bona Dea, che ha un significato generale di Grande Madre, si venerava un'antica divinità laziale, il cui nome non poteva essere pronunciato. In origine, questo non fu che un appellativo della dea romana Fauna, che formò, insieme con Faunus, una delle più antiche coppie degli dei indigeti del Lazio. Bona Dea Fauna era stata, come Fauno, una divinità della pastorizia e dei boschi, e anche, col nome di Fatua (Giustino XLIII; Macrob., Saturn; Servio, ad Aen), una dea che predice l'avvenire. La Bona Dea non trova una chiara caratterizzazione nemmeno esaminando le fonti antiche; in linea generale la versione più accreditata del mito la vuole moglie o figlia di Fauno, secondo la versione riportata da Lattanzio la dea è la moglie di Fauno, una moglie molto abile in tutte le arti domestiche e molto pudica, al punto di non uscire dalla propria camera e di non vedere altro uomo che suo marito. Un giorno però trovò una brocca di vino, la bevve e si ubriacò. Suo marito la castigò a tal punto con verghe di mirto che ne morì. Questo spiega l'esclusione del mirto dal suo tempio.
    Ella viene collocata quindi in quella che è la storia antica del Latium da cui proviene la genealogia degli eroi e dei principi, su cui si fonderà, in seguito, gran parte della propaganda imperiale romana, in particolare quella Giulio Claudia.
    La vera identità della dea traspare attraverso i vari miti che circondano la sua storia, così come ci vengono tramandati dagli autori antichi, oppure attraverso la tipologia del culto che veniva celebrato. Un'altra maniera per conoscere la dea è riscontrabile nella tipologia del culto a lei dedicato. La descrizione del culto ci mostra una divinità che opera pro populo, quindi, per la salute di tutta Roma.
    Quali rappresentanti al femminile dello stato, le donne dell’aristocrazia sono preposte alla celebrazione del culto, un culto che veniva svolto strettamente in privato escludendo qualunque figura maschile, compresi gli animali.
    Infatti, quando nel 62 a.C. Publio Clodio Pulcro si travestì da donna, per partecipare segretamente al culto che si celebrava nella casa di Giulio Cesare, seguì una grave crisi politica, dovuta a questa profanazione.

    Un tempio di Bona Dea, il cui ingresso era pure vietato agli uomini, sorse in Roma ai piedi dell'Aventino; restaurato da Livia, se ne celebrava l'anniversario della dedicazione il primo di maggio. In questo tempio, la dea assunse anche il nuovo aspetto, appartenente pur esso alla greca Damia, di divinità salutifera. In tale significazione, il culto di Bona Dea andò sempre più diffondendosi, nel periodo dell'impero: una piccola farmacia era annessa al suo tempio, e le donne ricorrevano volentieri allo aiuto della divinità e al consiglio di speciali collegi di sacerdotesse addette ai templi stessi e alle loro farmacie (sacerdotes Bonae Deae, a Roma: Corp. Inscr. Lat., VI, 2236 segg., 2240, 32461; magistrae o ministrae Bonae Deae in altre parti d'Italia; per es., Corp. Inscr. Lat., XIV, 4057; IX, 805; V, 757-759, 762).

    La festa di Bona Dea ricorreva una volta all'anno, a una data non fissa, ma sempre al principio di dicembre; si celebrava di notte, sul modello delle greche παννυχίδες, nella casa di un magistrato cum imperio; ivi convenivano le matrone romane, incaricate di compiere il rito per conto dello stato, pro populo, insieme con le Vestali e le matres familias dello stato: gli uomini erano rigorosamente esclusi. Al rito presiedeva la moglie del magistrato nella cui casa si allestiva la festa; ella assumeva in tale occasione, come sacerdotessa della dea, il nome di damiatrix. Il rituale e le formule del culto si mantenevano segreti: s'intende così come gli scrittori romani designino di solito tale festa col nome di mysteria. Come vittima, veniva offerta alla dea una scrofa; la sala della festa si ornava di tralci di vite, mentre non doveva comparirvi il mirto; nel rito, accompagnato da musica e da danze, aveva larga parte anche il vino, il quale però veniva sempre ricordato con falso nome (Macrob., Sat., I, 12, 25: vinum in templum eius non suo nomine soleat inferi, sed vas in quo inditum est mellarium nominetur et vinum lac nuncupetur).

    Ma sull'epiteto di Bona Dea venne ben presto ad innestarsi il culto di una divinità greca introdotta in Roma dalla Magna Grecia; e la nuova figura divina fece dimenticare l'antica. La dea greca che assunse a Roma il nome di Bona Dea fu Damia, divinità venerata specialmente nell'Argolide, e anche a Egina, a Sparta, a Tera e, in Italia, a Taranto. Il ricordo dell'antica Fauna Bona Dea non scomparve però del tutto; nelle campagne talvolta la si trova invocata come divinità tutoria di certi luoghi, in unione al Genius loci.

    Lo scandalo di Clodio


    L’originaria proibizione venne in seguito aggirata consentendo la partecipazione degli uomini, purché travestiti da donne. Nel dicembre del 62 a.C. un personaggio appartenente ad una delle più nobili famiglie romane, Publio Claudio Pulcro (meglio noto col gentilizio plebeo Clodio), amante della moglie di Cesare, si era introdotto nottetempo, durante la celebrazione dei riti della Bona Dea, travestito da donna, nella residenza di Cesare, pretore e pontefice massimo.
    Scoperto da una schiava per la voce, Clodio riuscì tuttavia a fuggire; Cesare, dopo aver ripudiato immediatamente la moglie, ormai compromessa, tentò di soffocare lo scandalo, ma non riuscì ad evitare l’istruzione di un processo, aizzato dalla forte riprovazione che il ‘sacrilegio’ perpetrato da Clodio (che venne poi assolto) suscitava nell’opinione pubblica.
     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted


    "O Fortuna
    come la luna
    tu sei variabile..."
    (Carmina Burana)


    FORTUNA



    Dea latina che aveva un famoso santuario a Preneste (odierna Palestrina), al quale, in occasione della festa annuale che si teneva nei giorni 11-12 aprile, affluiva gente da tutto il Lazio per chiedere responsi oracolari. La consultazione aveva luogo tramite tavolette lignee iscritte (sortes) estratte da un'arca da un bambino. Fortuna, detta Primigenia, era concepita come una madre primordiale, nel duplice aspetto di generatrice del mondo e di matrice di ogni realtà, presente, passata e futura. Di qui derivava il suo culto oracolare. Come pura potenzialità, il mondo di Fortuna era dialetticamente contrapposto all'attualità di Giove. Pertanto, la religione romana ispirata all'ordine di Giove proibiva ai pubblici magistrati la consultazione dell'oracolo prenestino. A Roma, sempre in aprile, era celebrata anche con i nomi di Fortuna Virile e di Fortuna Pubblica; la prima era venerata assieme a Venere Verticordia; la seconda aveva due templi sul Quirinale, e un terzo, sul medesimo colle, col nome di Fortuna Primigenia.
    Fortuna era una divinità antica, forse precedente alla fondazione di Roma anche se i romani ne attribuivano l'introduzione del culto a Servio Tullio, il re che più, fra tutti, fu favorito dalla Fortuna, alla quale dedicò ben ventisei templi nella capitale, ciascuno con un'epiclesi diversa.

    Dalla fine del Quattrocento in avanti l'iconografia della Fortuna si presenta con una quantità straordinaria di varianti con le quali incisori e pittori volevano sottolineare i più diversi comportamenti della dea. Lo studioso Giordano Berti ha individuato le seguenti tipologie:
    Fortuna con sfera: deriva dalla dea Tyche; una fanciulla nuda sta in piedi sopra una sfera e viene sospinta da una vela che tiene con le mani.
    Fortuna marina: deriva dall'iconografia di Iside pelagia e dalla Venere marina; la sua immagine è una fanciulla nuda che si muove sulle acque reggendo una vela o un timone; a volte sotto i suoi piedi c'è un delfino oppure una conchiglia.
    Fortuna con ciuffo: deriva del Kairos greco e dall’Occasio latina, divinità del momento opportuno; è una fanciulla con le ali ai piedi che corre veloce, mentre sulla sua testa calva spicca una lunga ciocca di capelli.
    Fortuna con cornucopia: unisce la dea romana Opi e il corno della capra Amaltea; la sua immagine è quella di una fanciulla, solitamente bendata, che distribuisce ricchezze lasciandole cadere da un grande contenitore a forma di corno.



    « Gli annali di Preneste raccontano che Numerio Suffustio, uomo onesto e ben nato, ricevette in frequenti sogni, all'ultimo anche minacciosi, l'ordine di spaccare una roccia in una determinata località. Atterrito da queste visioni, nonostante che i suoi concittadini lo deridessero, si accinse a fare quel lavoro. Dalla roccia infranta caddero giù delle sorti incise in legno di quercia, con segni di scrittura antica. Quel luogo è oggi circondato da un recinto, in segno di venerazione, presso il tempio di Giove bambino, il quale, effigiato ancora lattante, seduto insieme con Giunone in grembo alla dea Fortuna mentre ne ricerca la mammella, è adorato con grande devozione dalle madri.
    E dicono che in quel medesimo tempo, là dove ora si trova il tempio della Fortuna, fluì miele da un olivo, e gli arùspici dissero che quelle sorti avrebbero goduto grande fama, e per loro ordine col legno di quell'olivo fu fabbricata un'urna, e lì furono riposte le sorti, le quali oggidì vengono estratte, si dice, per ispirazione della dea Fortuna. »
    (Marco Tullio Cicerone, De Divinatione XLI 85-86)
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    « Maimone , Maimone
    chiede acqua il cereale
    chiede acqua il seccato
    maimone laudato »


    MAINONE


    Maimone è una divinità legata alle acque e alla pioggia della mitologia sarda. Le diverse tribù nuragiche, per ingraziarsi le divinità e poter progredire, praticavano probabilmente una religione che collegava la fertilità dei campi,la caccia, il ciclo delle stagioni, con la forza maschile del Toro-Sole e la fertilità femminile dell’Acqua-Luna.

    Si pensa che Maimone corrisponda all'antica divinità fenicia della pioggia di origine protosarda. La radice Maim'o, potrebbe derivare dal fenicio mem, ovvero acqua, mentre l'ebraico mishnaico 'ממון (mmôn) significa denaro o possessione, nonché la personificazione della brama di denaro, rappresentato come un demone, Mammona.
    Lo studioso Mario Ligia lo identifica con la divinità pluvia libico-berbera di Amon, con la differenza che la radice del vocabolo sardo Maimone, per la presenza della vocale i, risulterebbe più antica e provenga direttamente dall'Asia Minore e non dall'Africa. Il linguista Max Leopold Wagner nel suo Dizionario etimologico sardo, fa derivare il nome Maimone da "spauracchio", termine origini semitiche e che originariamente indicava una scimmia mentre successivamente una bestia immaginaria. Spesso identificato in Baku (Jaku, Jahw) e il Dioniso dei greci.
    Il padre dell'archeologia sarda Giovanni Lilliu, nella sua opera La civiltà dei Sardi, scrive che Maimone era un essere demoniaco invocato come facitore di pioggia a Cagliari ed a Ghilarza mentre ad Iglesias era lo spirito di un pozzo.
    Fino al secolo scorso, i contadini e i pastori sardi invocavano:

    « Maimone Maimone
    Cheret abba su laòre
    Cheret abba su siccau
    Maimone laudau! »

    « Maimone , Maimone
    chiede acqua il cereale (seminato)
    chiede acqua il seccato (campo)
    maimone laudato »


    Con l'avvento della Cristianità divenne un demone, se non addirittura il Demonio stesso.

    Il culto del Maimone è ancora oggi presente in Ogliastra e in alcuni centri della Barbagia. Il nome variava e varia spesso: Mamuthone a Mamoiada, Maimone e hune a Orgosolo, Su Maimulu a Ulassai. Le maschere sarde tradizionali fanno riferimento a questa divinità della Natura (Su Maimulu). Era fatta di pelle ovina conciata oppure di stoffa, ricoperta di lana ovina ed era munita di corna di capra. Come maschera del carnevale tradizionale sardo, Su Maimoni simboleggiava la miseria, i vizi, la paura. Era rappresentato da un uomo vestito di scuro, ricoperto di pelli, con la schiena carica di campanacci tenuti insieme da una sorta di imbragatura di corda e con in mano uno spiedo. Si aggirava per le vie del paese scuotendo i campanacci, avventandosi su chiunque e rotolandosi per terra come un indemoniato. Era seguito da un corteo di Stramaionis, due dei quali lo tenevano legato con delle corde. Gli Stramaionis erano vestiti di stracci scuri, avevano la faccia tinta di nero con un impasto di fuliggine e olio oppure nascosta da una maschera. Spesso portavano a tracolla una fune con alcuni campanacci, e in mano avevano bastoni e maccioccas con le quali tentavano di domare il dio furente, anche percuotendolo.
    La maschera viene considerata di buon auspicio, tanto che un fantoccio così chiamato veniva esposto nei campi per scongiurare e augurare una buona annata per i pastori, che lo invocavano in caso di annata siccitosa.
    Ad Aidomaggiore, i ragazzi con in testa corone di pervinca, realizzavano una specie di barella fatta da due canne incrociate ed al centro veniva sistemata una corona di piante di pervinca. Questo simulacro, che doveva rappresentare la divinità della pioggia Maimone, veniva portato in processione per tutte le vie del paese. Al suono dei canti dei ragazzi, la gente veniva fuori dalle case e con dei catini buttavano l’acqua su Maimone, “isperamus chi Deus bos intendat!”.
    Alla fine della processione il Maimone era gettato nel ruscello per essere sommerso dall’acqua. L’ultimo “Maimone” fu realizzato nell’annata 1999/2000 particolarmente asciutta.
    La pervinca veniva usata per addobbare il Maimone, in quanto in sardo questa pianta viene chiamata “Proinca”, termine che si avvicina al verbo “Proere”, cioè Piovere, per cui si potrebbe interpretare come “pianta che fa piovere”.
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    ......
     
    Top
    .
10 replies since 30/1/2011, 14:29   3326 views
  Share  
.