IL NATALE....esplode la magia

festa, tradizioni e usanze...decoupage

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    Natale


    Non ho voglia
    di tuffarmi
    in un gomitolo
    di strade

    Ho tanta
    stanchezza
    sulle spalle

    Lasciatemi così
    come una
    cosa
    posata
    in un
    angolo
    e dimenticata
    Qui
    non si sente
    altro
    che il caldo buono
    Sto
    con le quattro
    capriole
    di fumo
    del focolare.
    (Giuseppe Ungaretti)

     
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    LA STORIA DEL NATALE:

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    Spettacoli e Cultura: Come lo festeggiavano gli antichi
    abete_di_nataleNella Persia antica il solstizio invernale era celebrato cantando l'inno che narrava la nascita del mondo. In Alessandria d'Egitto esso ebbe la sua più completa espressione, prima dell'era cristiana, nella grande festa del Natale di Horus. Le statue della dea madre Iside, col piccolo in grembo o attaccato al seno, venivano portate in processione di notte verso i campi al lume delle torce.
    Nella Roma pagana lo stesso significato avevano le feste d'inverno che si celebravano due o tre secoli prima della nascita di Cristo, note con il nome di Saturnali o feste di Saturno. I Saturnali romani avevano inizio il giorno 19 dicembre e si prolungavano fino al successivo 25. Erano feste di gioia, di rinnovamento, di speranza per il futuro e in tale occasione si rinnovavano i contratti agrari.
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    Nel corso dell'ultimo cinquantennio precedente la nascita di Cristo fu introdotto a Roma il culto del Dio Sole, probabilmente diffuso dalle legioni reclutate in Siria e dagli schiavi orientali.
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    Come la festa pagana diventò cristiana:
    Il Cristianesimo inserì nelle proprie concezioni religiose tradizioni popolari preesistenti, e fu così che il giorno natalizio del dio solare e agricolo dell'Egitto e della Persia, cadente nel solstizio d'inverno, diventò il Natale cristiano: la statua di Iside che allatta Horus diventò quella della Madonna che allatta il sacro Bambino. Non fu facile, però, utilizzare la data del 25 dicembre dal momento che il racconto evangelico di San Luca, il più completo sull'argomento, narrando di pastori che passano la notte all'aperto, evocava piuttosto un ambiente primaverile, che non il freddo periodo invernale. Poi c'era la precedente tradizione cristiana che fissava la nascita di Cristo in un giorno di primavera: Clemente di Alessandria l'aveva stabilita il 19 aprile, altri padri della Chiesa il 18 aprile, altri ancora il 29 maggio e il 28 marzo. Fu dopo molte discussioni ed esitazioni che i vescovi di Roma scelsero il 25 dicembre. La data fu ricavata calcolando gli anni di Cristo a ritroso, partendo cioè dalla cifra "magica" di 33, quanti sono gli anni che il figlio di Dio avrebbe trascorso sulla terra. Essendo stata fissata in precedenza la morte di Cristo al 25 marzo, presumendo dunque che essa fosse caduta 33 anni esatti dopo la sua incarnazione, che quindi veniva fissata anch'essa a un 25 marzo, la nascita non poteva essere avvenuta che nove mesi dopo la sua incarnazione nel ventre di Maria e precisamente il 25 dicembre.

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    Il Natale oggi:
    La festa della Natività di Gesù, il Natale, quale lo conosciamo oggi, è divenuta la maggior festa ufficiale della cristianità solo in tempo relativamente recente. Le sue prime tracce come festività cristiana si incontrano solo intorno al terzo secolo dopo Cristo e il suo definitivo affermarsi solo a metà del quarto secolo. L'osservanza della festa natalizia fu introdotta in Antiochia solo verso il 375 dopo Cristo e in Alessandria solo dopo il 430. Così come viene vissuto e festeggiato oggi giorno, il Natale deriva dalle tradizioni borghesi del secolo scorso: abeti addobbati di luci, nastri e ninnoli (che in passato erano dolcetti); strenne; Babbi Natale con slitte e renne, sono tradizioni nordiche, protestanti che si sono mescolate ai nostri presepi cattolici. Il Natale comprende un periodo di festeggiamenti ininterrotti che dal solstizio di inverno arrivano all'epifania. Quest'ultima, che per la cristianità d'oriente è la data del Natale, è stata introdotta in occidente solo in un secondo tempo, con contenuti religiosi e valenze diverse sulle quali ha finito poi per prevalere il ricordo dell'offerta dei doni dei Magi nella grotta di Betlemme. In Italia si è sovrapposta a precedenti tradizioni popolari dalle quali è nata la figura della befana, che, metà mendicante metà strega, a cavallo della sua scopa, distribuisce doni (in origine erano poveri, come arance e frutta secca) attraverso i camini. Questa è la storia del Natale. E' una storia bella, poetica, creata dagli uomini per far posto a un poco di speranza e di letizia anche nel cuore dell'inverno più duro, quando sembra che tutto sia morto e sterile e invece il seme comincia a germinare nella terra e ha inizio la rivoluzione delle stagioni e la rapida, felice corsa dei giorni verso la fioritura di primavera.



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  3. gheagabry
     
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    .. spulciare qualcosa attorno alle più remote origini del Natale, e come queste si colleghino direttamente ai culti della Natura, pre-cristiani e pre-ellenici, cioè a quell’infanzia dell'Uomo, quando questo non dimenticava di provenire dalla terra e ad essa di ritornare, perlomeno nel corpo.

    Non è un caso che il Natale cada pochi giorni dopo il solstizio d'inverno, cioè il giorno più corto dell'anno. Gli equinozi e i solstizi sono dovuti all'inclinazione dell'asse terrestre, che determina anche l'avvicendarsi delle stagioni e quindi i cicli di produzione agricola. Sin da quando l'Uomo divenne stanziale, trasformandosi cioè da cacciatore in agricoltore, fu per lui di importanza capitale capire in che modo e con quale ritmo si avvicendavano i cicli stagionali, poiché da questo dipendeva la buona riuscita del raccolto e la sua stessa sopravvivenza. L'anno fu grosso modo diviso in quattro trimestri e nel tempo furono identificate le date chiave degli equinozi e dei solstizi, in corrispondenza delle quali si celebravano feste e si svolgevano riti e cerimonie.

    Quella del Natale ha origini presumibilmente persiane e deriva dal culto di Mitra, a sua volta – pare – identificabile con quello di Mazda o Zoroastro. I Romani celebravano in questa data il Solis Invictus cioè il Sole Vittorioso, o Sole Nascente, poiché è da questo punto dell'orbita che il moto apparente del sole, dovuto all'inclinazione ed alla rotazione dell'asse terrestre, inizia a risalire sul piano dell'eclittica, e i giorni ad allungarsi nuovamente.




    Nella celebrazione del Natale (come per altre date della religione cristiana) confluiscono quindi elementi di altre religioni del bacino del Mediterraneo, culti che avevano alla propria base il rapporto (tutt'altro che ideale) con la terra, con la sua fecondità, con il lavoro dei campi e con la conoscenza empirica del calendario. Molte di queste tradizioni si sono trasmesse alla religione ellenica, e sono poi confluite, con un processo che si chiama sincretismo, in quella cristiano-cattolica.

    Che uno di questi simboli sia l;abete non è un caso, poiché l'abete è in tutta l'Europa centrale albero legato ai culti pre-cristiani. Rappresenta in questo caso l'albero cosmico (tra gli alberi cosmici il più conosciuto è senza dubbio Yggdrasyl, un gigantesco frassino che appartiene alla mitologia protogermanica).

    Nell'Antico Testamento l'albero cosmico si chiama Albero della Vita ed è piantato al centro dell'Eden. In molti scritti l'Albero viene identificato con la figura stessa di Cristo, e sarebbe per tali motivi che l'abete di Natale viene addobbato con lumini (che dovrebbero rappresentare la sua luce, come Sole-Bambino), e dolciumi (cioè il suo amore offerto a noi).



    In realtà l'uso di inghirlandare lunghi tronchi con dolciumi e prodotti commestibili era già ben diffuso in tutta l'Europa continentale ed insulare, e ce ne rimane una testimonianza, relativamente recente, nell' “albero della cuccagna”. Ancora oggi in molte zone d'Italia e dell'Europa, rimangono tracce di queste usanze molto antiche. Addobbare l'abete con cose buone da mangiare era quindi solo un elementare rituale propiziatorio, per promuovere nel Sole-Bambino la volontà di essere prodigo. In molte parti d'Europa, nel medioevo gli abeti venivano decorati con uova dipinte e dolciumi. Si passava attorno all'abete tutta la notte, accanto a dei fuochi, e spesso ci si abbandonava a riti orgiastici.

    Nei paesi latini l'uso dell'abete, portato con le invasioni barbariche, ma poi scomparso dopo l'evangelizzazione degli invasori, si affermò più tardi. In Francia ad esempio vi fu portato solo nel 1840, dalla moglie del Duca d'Orléans (figlio di Luigi Filippo), Elena di Mecklenburgo. All'epoca la cosa generò una gran sorpresa e fu accolta come una novità. Ma l'albero di Natale così come lo conosciamo noi nasce alla corte della Regina Vittoria. Fu infatti suo marito, Alberto di Sassonia-Coburgo, a portarne l'uso in Inghilterra. Non stupisce che questa creatura, che nella sua forma moderna nacque sotto l'ala del decorativismo fracassone del vittorianesimo, si presti così facilmente a farsi portavoce del mercato e della speculazione.



    Oltre all'abete molte piante sono legate alle tradizioni religiose cristiane. Ad esempio in Inghilterra si dice che il biancospino metta le gemme il giorno dopo Natale e fiorisca a Pasqua. Secondo Giuseppe Pitrè, piante consacrate al Natale, in Sicilia, erano il mirto, l'oleastro, il pungitopo, l'asparagina, e la menta pulegium, che senza rinverdire, fiorirebbe a natale. Nel 1600 i contadini emiliani usavano bruciare rametti di ginepro nelle case per benedirle, oppure appenderne un rametto nelle stalle come portafortuna, o sulle porte per impedire alle streghe di entrare in casa. Il ginepro è una pianta assai considerata dalla liturgia cristiana, tanto che viene spesso identificato con la stessa figura di Cristo. In Germania si crede che il ginepro abbia uno spirito femminile, chiamato Frau Waccholder, che protegge le case dai furti.

    Anche l'agrifoglio e il pungitopo sono piante legate ai riti natalizi e considerate portafortuna. Gli antichi romani ne portavano dei rametti durante i saturnali, riti dedicati a Saturno, che precedevano il solstizio d'inverno. Probabilmente le loro funzioni di difesa dai malefici e il loro simboleggiare la nascita del Solis Invictus è dovuta all'aspetto coriaceo e lucido delle foglie, che sono molto spinose, e dal fatto che le bacche rosse siano presenti per tutto l'inverno. In Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera, se ne appendevano dei ramoscelli fuori dalle porte. Oggi noi appendiamo ghirlande già pronte, fatte con fiori e rami finti, comprate al supermarket, ma quest'uso moderno ha radici ben più antiche, millenarie.

    Altra pianta solstiziale, che poi è miseramente finita a rappresentare l'unità nazionale italiana, è il corbezzolo, poiché i colori delle bacche, dei fiori, delle foglie (rosso, bianco e verde), sono quelli dell'alba solstiziale. Il vischio meriterebbe un lungo discorso a sé, ma diremo che è un simbolo di rigenerazione ed immortalità, ed era pianta sacra presso i druidi dei culti celtici. Addirittura il nome celtico del vischio significava “ciò che guarisce tutto”. Noi, da buoni razionalisti, aggiungiamo che le bacche di vischio sono pericolose se ingerite.

    (Lidia, .compagniadelgiardinaggio.it)

     
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    Il galateo degli auguri di Natale


    Fotolia-47012063-Subscription-XXL-jpg_135819Ai tempi di Facebook e Twitter come scrivere gli auguri perfetti? E’ meglio non lasciarsi tentare dagli auguri ‘all-inclusive’, omologati per tutti, e seguire alcune semplici regole per auguri efficaci (evitando brutte figure). Ecco di seguito alcuni suggerimenti:
    Lettere: da preferire se i nostri destinatari sono persone anziane, poco abituati alla tecnologia oppure se si desidera fare un augurio speciale, magari alla personale del cuore. Oggi chi verga più lettere a mano? Nel caso, acquistare biglietti nei tanti negozi che propongono auguri solidali a sostegno di onlus (l’Unicef da anni è molto
    attiva su questo).
    25 cose da fare prima di Natale
    Cards: tradizionali/aziendali: si usano sempre meno, anche a causa della spending review negli uffici. Ma se il vostro capo è un uomo tradizionale, meglio scegliere un biglietto raffinato e una fase originale (non stampata a computer) e scritta a mano a penna stilografica: sarà apprezzata.
    SMS: se siete under 20tutto è lecito, anche il messaggino multiplo ai compagni di classe. Per gli altri, vanno considerati come‘l’ultima spiaggia’ dell’augurio di Natale: gli sms risultano freddi eomologati, specie se si capisce che sono scritti in maniera identica per molti destinatari. Da evitare. Se proprio non potete farne a meno, bandite almenodagli auguri di buone feste abbreviazioni ed emoticons!
    Il menù di Natale di Alessandro Borghese
    Facebook: questo sarà senz’altro il Natale di Facebook, grazie alla continua crescita degli utenti italiani sul social network. Facebook può essere un utile strumento per inviare gli auguri di Natale, specie se avete molti amici virtuali che vivono lontano. Usate però i messaggi privati ed evitate messaggi pubblici dai toni generici da postare in bacheca. Vietato anche, se non volete apparire stucchevoli, elencare i vostri ‘desideri’ natalizi sulla vostra pagina e men che meno, una volta aperti i pacchetti, le foto dei regali ricevuti. Il Natale è tradizione e mal sopporta il social!
    e-mail: l’abitudine di una mail comune per fare gli auguri di Natale ai propri amici/clienti può essere pratica, economica e comoda. Però dovete sforzarvi nel messaggio: vietate frasi standard e vietatissimi pesanti allegati, magari sonori, con renne o cornamuse. Sarebbero ridicole. Meglio scegliere un’immagine originale accompagnandola a un vostro pensiero personale. L’ideale sarebbe personalizzare almeno l’intestazione della mail, per fare ‘più calore’ al messaggio elettronico.
    Twitter: se siete addicted ai social media, perché no? Anche in questo caso, tuttavia, evitate banalità e frasi fatte. Avete 140 caratteri a disposizione: usateli per esprimere una vostra personale idea del Natale. Sarà notata (e apprezzata, se avete amici simili a voi).
    Telefono: una telefonata qualche giorno prima di Natale è di rigore per amici lontani cui tenete particolarmente, per una persona che conoscete e che vive un momento difficile, per tutti quei parenti che sapete apprezzano agli auguri fatti di persona. Prendetevi il tempo necessario per ciascuno dei vostri destinatari: da evitare la telefonata di un minuto il 15 dicembre, al mattino, alla spicciolata.
    Di persona: i migliori auguri sono sempre quelli fatti di persona, guardandosi negli occhi (ma valgono anche Skype e videochiamate!).

     
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    «Sì, Virginia, Babbo Natale esiste»

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    Mark Von Holden/Getty Images for CBS

    “Is There a Santa Claus?” era il titolo di un editoriale nell’edizione del 21 settembre 1897 del New York Sun. Quell’editoriale, che comprendeva la risposta “Yes, Virginia, there is a Santa Claus” (“Sì Virginia, Babbo Natale esiste”), è diventato un elemento indelebile del clima natalizio negli Stati Uniti. L’espressione “Sì Virginia, esiste…” è stata usata spesso anche nei titoli dei giornali anglosassoni, per indicare qualcosa che esiste o è vera, sotto gli occhi di tutti.

    La lettera di Virginia
    Nel 1897 il dottor Philip O’Hanlon di Manhattan si sentì domandare dalla sua bambina di otto anni Virginia se Babbo Natale esistesse davvero. Virginia aveva cominciato a dubitarne per quello che le avevano detto degli altri bambini.
    Suo padre le suggerì di scrivere al New York Sun, un importante quotidiano del tempo di orientamento conservatore, assicurandole che “se lo dice il Sun, allora è vero”. Uno dei direttori del giornale, Francis Pharcellus Church, che era stato corrispondente di guerra durante la Guerra Civile, scrisse una risposta che oggi, più di un secolo dopo, resta l’editoriale più riprodotto nella storia dei giornali anglosassoni.




    La lettera di Virginia diceva:

    Caro direttore, ho otto anni. Alcuni dei miei amici dicono che Babbo Natale non esiste. Mio papà mi ha detto: “se lo vedi scritto sul Sun, sarà vero”. La prego di dirmi la verità: esiste Babbo Natale? Virginia O’Hanlon


    Il direttore del Sun Edward P. Mitchell passò la lettera della bambina, perché rispondesse, a Church, uno dei veterani del giornale. Leggendola, si dice, sbuffò e sembrò arrabbiarsi perché gli era stato assegnato un compito di così poco conto. Poi, in meno di cinquecento parole e finendo prima della scadenza, Church le rispose così, in un editoriale non firmato:

    Virginia, i tuoi amici si sbagliano. Sono stati contagiati dallo scetticismo tipico di questa era piena di scettici. Non credono a nulla se non a quello che vedono. Credono che niente possa esistere se non è comprensibile alle loro piccole menti. Tutte le menti, Virginia, sia degli uomini che dei bambini, sono piccole. In questo nostro grande universo, l’uomo ha l’intelletto di un semplice insetto, di una formica, se lo paragoniamo al mondo senza confini che lo circonda e se lo misuriamo dall’intelligenza che dimostra nel cercare di afferrare la verità e la conoscenza.
    Sì, Virginia, Babbo Natale esiste. Esiste così come esistono l’amore, la generosità e la devozione, e tu sai che abbondano per dare alla tua vita bellezza e gioia. Cielo, come sarebbe triste il mondo se Babbo Natale non esistesse! Sarebbe triste anche se non esistessero delle Virginie. Non ci sarebbe nessuna fede infantile, né poesia, né romanticismo a rendere sopportabile la nostra esistenza. Non avremmo altra gioia se non quella dei sensi e dalla vista. La luce eterna con cui l’infanzia riempie il mondo si spegnerebbe.
    Non credere in Babbo Natale! È come non credere alle fate! Puoi anche fare chiedere a tuo padre che mandi delle persone a tenere d’occhio tutti i comignoli del mondo per vederlo, ma se anche nessuno lo vedesse venire giù, che cosa avrebbero provato? Nessuno vede Babbo Natale, ma non significa che non esista. Le cose più vere del mondo sono proprio quelle che né i bimbi né i grandi riescono a vedere. Hai mai visto le fate ballare sul prato? Naturalmente no, ma questa non è la prova che non siano veramente lì. Nessuno può concepire o immaginare tutte le meraviglie del mondo che non si possono vedere.
    Puoi rompere a metà il sonaglio dei bebé e vedere da dove viene il suo rumore, ma esiste un velo che ricopre il mondo invisibile che nemmeno l’uomo più forte, nemmeno la forza di tutti gli uomini più forti del mondo, potrebbe strappare. Solo la fede, la poesia, l’amore possono spostare quella tenda e mostrare la bellezza e la meraviglia che nasconde. Ma è tutto vero? Ah, Virginia, in tutto il mondo non esiste nient’altro di più vero e durevole. Nessun Babbo Natale? Grazie a Dio lui è vivo e vivrà per sempre. Anche tra mille anni, Virginia, dieci volte diecimila anni da ora, continuerà a far felici i cuori dei bambini.




    La fama di “Yes, Virginia” è sopravvissuta ai suoi creatori. Church morì nel 1906 e Virginia nel 1971, dopo una carriera come maestra di scuola e direttrice a New York. Malgrado l’editoriale fosse pubblicato come settimo nella pagina delle opinioni – dopo ben più seri argomenti come questioni politiche a New York e nel Connecticut, la forza della marina britannica e una ferrovia tra il Canada e lo Yukon, e persino dopo un commento sulla “bicicletta senza catena” appena inventata – lo scambio colpì moltissimi lettori del Sun. Venne ristampato ogni anno, prima di Natale, fino alla chiusura del giornale nel 1950, e ancora oggi viene recitato alla Columbia University di New York (l’università dove studiarono sia Church che Virginia) in una cerimonia prenatalizia ai primi di dicembre. Nel centenario dell’editoriale, nel 1997, il New York Times pubblicò una riflessione sulla fortuna di “Yes, Virginia, There is a Santa Claus” nella cultura americana.
    Nel 1932 l’emittente televisiva NBC lo mise in musica, e allo scambio si ispirarono anche un musical di David Kirchenbaum e Myles McDonnel (1996) e diversi cortometraggi e film per la TV statunitense. Dal 2008, la campagna pubblicitaria natalizia dei grandi magazzini statunitensi Macy’s si basa sulla lettera di Virginia e sulla risposta di Church: in uno spot televisivo, personaggi celebri come Jessica Simpson, Donald Trump e Martha Stewart citano frasi dell’editoriale.




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    A MERANO



    Merano a Natale è una fiaba di luci, di atmosfere natalizie che profumano di cannella e che lasciano trapelare la gioia del Natale. Le bancarelle riempiono le strade di colori e di allegria, gli stand gastronomici propongono le specialità natalizie e la città brulica della trepidazione del Natale.

    Marcello Jori ha inventato le palle presepe: nato e cresciuto a Merano, città dove si allestiscono tutti gli inverni i mercatini natalizi, Marcello Jori spiega come, da bambino, dalle sue parti, si faceva sempre l'albero di Natale, mentre lui invidiava chi faceva il presepe, con tutti quei personaggi che sembravano molto più vivi di semplici elementi decorativi.



    «Finalmente una notte – racconta Jori - ho sognato un angelo che attaccava all'albero delle palle mai viste: parlavano, cantavano, adoravano. Alcune erano sante, altre erano stelle, altre animali, una brillava più di tutte ed era Gesù bambino». Detto, fatto. La creatività non aspetta. Le classiche dieci figure del presepe, sono da lui interpretate con grande fantasia ed un pizzico di ironia per un albero di Natale tutto nuovo. La Madonna con Gesù Bambino e Giuseppe, il bue e l’asinello, l’angioletto, la stella cometa e i tre Re Magi decorano l’albero di Natale, un’intuizione geniale per unire la tradizione natalizia del Presepe con l’albero di Natale.



    Ma l’artista non si è fermato qui: nella piazza antistante le Terme, insieme ad un particolare pop up store, Marcello Jori ha creato una speciale installazione, sei gigantesche palle di Natale, “Thermenkugln“ in legno locale e fibra di vetro, ospiteranno al loro interno un tavolo con 12 posti a sedere dove si potranno degustare cibi tipici, rivisitati in chiave moderna. Il grande tradizionale albero di Natale sarà naturalmente decorato con le “Palle Presepe” di Jori, realizzate appositamente in dimensioni giganti.



    italiaatavola
     
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    "Si avvicina il Solstizio... le giornate si accorciano, la terra si tinge di grigio, di bianco, di nero e marrone. I toni scuri del verde degli abeti si mischiano alle rosse bacche dei sorbi, all’edera tenace... e colorano di terra e di incanto le brevi giornate. Il gelo si intensifica, il freddo spinge gli animali nelle tane: è il tempo del riposo, il momento della ricerca del calore..."



    YULE - SOLSTIZIO D'IVERNO



    Mentre l'anno volge al termine, le notti si allungano e le ore di luce sono sempre più brevi, fino al giorno del Solstizio invernale, il 21 dicembre. II respiro della natura è sospeso, nell'attesa di una trasformazione, e il tempo stesso pare fermarsi. E' uno dei momenti di passaggio dell'anno, forse il più drammatico e paradossale: l'oscuritá regna sovrana, ma nel momento del suo trionfo cede alla luce che, lentamente, inizia a prevalere sulle brume invernali. Dopo il Solstizio, la notte più lunga dell'anno, le giornate ricominciano poco alla volta ad allungarsi. E' il momento dell'anno in cui gli spiriti della Terra (e dei boschi) sono spinti a riposare, per prepararsi al lavoro che ci sarà nel ridare alla Terra i nuovi boccioli di vita, con la Primavera. Come tutti i momenti di passaggio, Yule è un periodo carico di valenze simboliche e magiche, dominato da miti e simboli provenienti da un passato lontanissimo.

    Il Natale e' la versione cristiana della rinascita del sole, fissato secondo la tradizione al 25 dicembre dal papa Giulio I (337 -352) per il duplice scopo di celebrare Gesù Cristo come "Sole di giustizia" e creare una celebrazione alternativa alla più popolare festa pagana. Sin dai tempi antichi dalla Siberia alle Isole Britanniche, passando per l'Europa Centrale e il Mediterraneo, era tutto un fiorire di riti e cosmogonie che celebravano le nozze fatali della notte più lunga col giorno più breve. Due temi principali si intrecciavano e si sovrapponevano, come i temi musicali di una grande sinfonia. Uno era la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Bambino, l'altra era il tema vegetale che narrava la sconfitta del Dio Agrifoglio, Re dell'Anno Calante, ad opera del Dio Quercia, Re dell'Anno Crescente.
    Un terzo tema, forse meno antico e nato con le prime civiltá agrarie, celebrava sullo sfondo la nascita-germinazione di un Dio del Grano... Se il sole è un dio, il diminuire del suo calore e della sua luce è visto come segno di vecchiaia e declino. Occorre cacciare l'oscuritá prima che il sole scompaia per sempre.

    Le genti dell'antichitá, che si consideravano parte del grande cerchio della vita, ritenevano che ogni loro azione, anche la più piccola, potesse influenzare i grandi cicli del cosmo. Così si celebravano riti per assicurare la rigenerazione del sole e si accendevano falò per sostenerne la forza e per incoraggiarne, tramite la cosiddetta "magia simpatica" la rinascita e la ripresa della sua marcia trionfale. Presso i celti era in uso un rito in cui le donne attendevano, immerse nell’oscurità, l’arrivo della luce-candela portata dagli uomini con cui veniva acceso il fuoco, per poi festeggiare tutti insieme la luce intorno al fuoco.
    Yule, o Farlas, è insieme festa di morte, trasformazione e rinascita. Il Re Oscuro, il Vecchio Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce dall'utero della Dea: all'alba la Grande Madre Terra dá alla luce il Sole Dio. La Dea è la vita dentro la morte, perche' anche se ora è regina del gelo e dell'oscuritá, mette al mondo il Figlio della Promessa, il Sole suo amante, che la rifeconderá riportando calore e luce al suo regno. Anche se i più freddi giorni dell'inverno ancora devono venire, sappiamo che con la rinascita del sole la primavera ritorna.
    (ilcerchio dellaluna.it)


    La parola Yule si crede derivi dalla parola scandinava o anglosassone "Iul", o addirittura dal norvegese "jul" che significa "ruota", quindi una data che segna il punto definitivo nella Ruota dell'Anno. Inoltre Jolfoor (padre di Yule) e Jolnir (Yule) sono nomi di Odino. Alcuni credono che in realtà Odino fosse colui che desse i regali. Prima che Babbo Natale diventasse popolare nell'epoca vittoriana come un elfo grasso e felice, era mostrato alto e longilineo, con un lungo vestito nero, invece che rosso e bianco. Le prime leggende raccontano che Babbo Natale guidasse un cavallo bianco, non una slitta piena di renne. Questo ci ricorda per l'appunto Odino e Sleipner. Il vecchio "Babbo" era anche una figura molto particolare, a tratti terrorizzante, soprattutto per le persone cattive e con intenti poco onorevoli.
    Come festa del sole, Yule è celebrato attraverso il fuoco e l'uso di un ceppo. Un pezzo del ceppo è salvato e tenuto durante l'anno per proteggere la casa. Questa antica tradizione di matrice inglese era fatta con un ceppo di Quercia che era tagliato, decorato con aghi di pino e pigne e quindi bruciato nel caminetto per simbolizzare il sole che ritorna.


    Gli antichi Greci festeggiavano una celebrazione simile per assistere il Dio Cronos in battaglia contro Zeus e i Titani. I Romani invece festeggiavano il Dio Saturno. La festa difatti si chiamava Saturnalia e iniziava a metà dicembre per finire il primo di Gennaio. Si era soliti dire "Jo Saturnalia" quando ci si incontrava mascherati per le strade e si utilizzava queste giornate per fare grossi e lauti pranzi, andare a trovare gli amici e parenti e per scambiarsi dei regali di buona fortuna chiamati Strenae (da qui la tradizione delle strenne natalizie). Decoravano le loro case con ghirlande di alloro e sui sempreverdi venivano accese candele. Gli schiavi venivano resi liberi.
    Celebrazioni venivano tenute in onore degli spiriti dei boschi. Gli alberi venivano portati nelle case e decorati con campanelle, candele e con nastrini dai colori brillanti per attrarre gli spiriti. Pane, frutta e noci venivano appesi sui rami per dare cibo agli stessi. Canti di gruppo erano anche un modo per guidare gli spiriti al rifugio delle case e i ceppi venivano accesi per dare calore.
    I Sassoni celebravano Modranect il 24-25 Dicembre. Significa la notte della Madre. Era la celebrazione della nascita del sole per il solstizio d'inverno. Il giorno che seguiva la notte della Madre era per festeggiare la Dea. Questo Sabbat rappresenta la rinascita della luce, nella notte più lunga dell'anno, la Dea da alla luce il Sole Bambino e aspetta la nuova luce. Alcuni celebrano un Festival della Luce per commemorare la Dea Madre. Altri celebrano la vittoria del Signore della Luce su quello dell' Oscurità.


    L'albero Solstiziale e l'albero di Natale



    Del resto Yule e Natale non sono poi così diversi. Entrambi celebrano l'arrivo del Dio/Sole, così come Cristo è stato chiamato, la luce del mondo.
    La tradizione cristiana dell'albero di Natale ha le sue origini nella celebrazione pagana di Yule. Famiglie pagane portavano un albero in casa così che gli spiriti dei boschi avrebbero avuto un posto dove restar caldi nei mesi invernali. Campanelle erano appese ai rami così che si poteva riconoscere quando uno spirito era presente. Il cibo era appeso per farli mangiare e una stella a cinque punti, il pentagramma, simbolo dei 5 elementi, era messo a capo dell'albero. I colori della stagione, rosso e verde, sono anche di origine pagana, così come l'abitudine di scambiarsi i regali.
    Così come gli alberi da frutta, anche i sempreverdi sono un elemento fondamentale delle celebrazioni del solstizio invernale. L'albero sempreverde, che mantiene le sue foglie tutto l'anno, è un ovvio simbolo della persistenza della vita anche attraverso il freddo e l'oscurità dell'inverno. La birra e il pane venivano offerti agli alberi in Scandinavia. L'albero di Yule rappresentava la fortuna per una famiglia così come un simbolo della fertilità dell'anno che sarebbe arrivato.

    Sono origini molto antiche, quelle che collocano il famoso abete nelle feste del Solstizio d’inverno, ovvero il Natale. I popoli germanici, lo usavano nei loro riti pagani, per festeggiare il passaggio dall’autunno all’inverno. In seguito era usanza bruciarlo nella stufa, in un rito di magia simpatica (secondo cui il simile attira il simile), in modo che con il fuoco si propiziasse il ritorno del sole. Fu scelto l’abete perché è un albero sempre verde, che porta speranza nell’animo degli uomini visto che non muore mai, neppure nel periodo più freddo e difficile dell’anno. Era un simbolo fallico, di fertilità ed abbondanza associato alle divinità maschili di forza e vitalità. Ecco che addobbarlo, prendeva quindi i connotati di un piccolo rito casalingo che portava fortuna ed abbondanza alla famiglia.
    Il Solstizio d’inverno, è il momento in cui la divinità maschile muore, per poi rinascere in primavera. Questo ciclo di morte-nascita, lo si ritrova in moltissime culture, oltre quella cristiana. E’ presente in Egitto, con la morte di Osiride e nel mito di Adone che si evirò proprio sotto ad un pino. Addobbare l’albero di Natale con le luci, accendendolo di mille riflessi, ricorda il rituale del grande falò dell’abete, che spesso si prolungava fino all’attuale festa della Befana. In alcune popolazioni europee, con il fuoco dell’abete, si bruciava simbolicamente le negatività del passato, e le streghe leggevano nel fuoco i presagi per il futuro. La tradizione dell’albero prese piede in Italia nel 1800, quando la regina Margherita, moglie di Umberto I, ne fece allestire uno in un salone del Quirinale, dove la famiglia reale abitava. La novità piacque moltissimo e l’usanza si diffuse tra le famiglie italiane in breve tempo.
    Molte leggende cristiane sono poi nate nel tempo attorno all’albero di Natale, come quella americana che racconta di un bambino che si era perso in un bosco alla vigilia di Natale si addormentò sotto un abete. Per proteggerlo dal freddo, l’abete si piegò fino a racchiudere il bambino tra i suoi rami. La mattina i compaesani trovarono il bambino che dormiva tranquillo sotto l’abete, tutto ricoperto da cristalli che luccicavano alla luce del sole. In ricordo di quell’episodio, cominciarono a decorare l’albero di Natale.
    (Michela Brandino)


    I bimbi venivano portati di casa in casa a regalare mele speziate ai chiodi di garofano e arance pieni di chiodini infilati nella buccia, che tenevano in cesti di rami di pino insieme a dei gambi di grano ricoperti di farina. Le arance e le mele rappresentavano il sole, i rami l'immortalità e il grano simboleggiava il raccolto. Infine la farina era la consapevolezza del trionfo, della luce e della vita. Il vischio, il pungitopo e l'edera non solo erano decorazioni di esterni ma anche di interni. Un rametto di agrifoglio veniva tenuto tutto l'anno per assicurare fortuna alla casa e a chi ci risiedeva.
    Ricordiamo anche l'importanza della ghirlanda, in quanto simbolo di Yule, perchè rappresenta la ruota che sempre gira e il cerchio senza fine che ogni volta si compie. Insomma, la natura infinita della vita. E' tradizione fare una ghirlanda di vischio e rami di abete per simboleggiare l'antica ruota attraverso cui passavano i pagani dei tempi.
    L'angioletto sopra l'albero di Natale, in realtà in molti posti della Germania, diventa una streghetta, per rappresentare la Corona, la vecchia Dea che presiede su questa fase dell'anno. Anticamente si era soliti posizionare una luce, proprio per simboleggiare la rinascita del sole. Nei tempi antichi si diceva che le tribù germaniche sacrificassero i prigionieri al Dio della vittoria, impiccandoli agli alberi per nove giorni, così come Wodan era stato impiccato all'albero della Vita per ottenere la sacra conoscenza delle rune. Quando le guerre finirono, sostituirono gli uomini con degli uomini di marzapane, per chiedere allo stesso Wodan, aiuto per attraversare il nero inverno.
    Bere Wassail a Yule è una delle tipiche tradizioni inglesi dai tempi dei tempi. La parola Wassail deriva da Wes Hal che significa "alla tua salute". Questa bevanda è a base di vino e/o sidro con frutta e spezie. Veniva inoltre offerto agli alberi di mele perchè continuassero a produrre i loro frutti.
     
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    ilpanettone




    Pasticcerie celebri: quel panettone (naturale)
    dell'ex ragazzo di Calabria

    I negozi famosi per il dolce milanese di Natale: farina, burro, canditi, uvetta e scorza d'arancio

    In questo periodo, ogni anno, torno a sfogliare un piccolo grande libro: «Il panettone-Storia, leggende e segreti di un protagonista del Natale» di Stanislao Porzio (Guido Tommasi Editore). Mi piace seguire le diverse traiettorie, dall'origine ai giorni nostri, dal dolce più tradizionale del Natale italiano (e non solo, visto che i nostri migliori pasticceri lo esportano ormai in tutto il mondo e in Francia lo hanno eletto miglior abbinamento con il foie gras) per arrivare fino a noi, sulle tavole della Grande Festa. Sia esso nato da un ciocco di legno, oppure da Toni (pan de Toni) per salvare il collo del suo padrone e/o per ammaliare una bella fanciulla (quella che preferisco), o dalle varie vicende di Suor Ughetta (l'uva passa in dialetto), tutte le strade del panettone, alla fine, portano a Milano. Lo fanno bene anche altrove (penso al mitico Dario Loison di Vicenza) ma il panettone è milanese. E alla vigilia del Santo Natale, non c'è niente di meglio che una scorribanda tra i profumi dei forni e delle pasticcerie in cui nasce il miglior panettone milanese.
    Dieci indirizzi centrali e periferici, a cominciare a Rocco Princi, ex ragazzo di Calabria dalle grandi idee e dai grandi numeri (25 mila panettoni già venduti, da Londra a Hong Kong e oltre) perché persegue una grande qualità. Un panettone con le farine, il burro, i canditi, l'uvetta, la scorza d'arancio migliori. Tutto a lievitazione naturale. I segreti di un grande panettone sono bontà e fatica. Esistono luoghi classici a Milano e tra questi cito Marchesi perché è stata la prima pasticceria milanese che ho frequentato: in un palazzo del '700, dal 1824 profuma di dolce. Un pezzo di storia mai demodé. La Martesana è sempre una garanzia, Ernst Knam non si discute. Da Pasta Madre mi dicono che il panettone è già esaurito, ma segnalo il posto per l'anno prossimo (e comunque c'è il resto, da provare). Tra le pasticcerie «trasversali» (cioè non sono solo pasticcerie) segnalo Pavé. Due indirizzi del cuore. La pasticceria Mozzanica di Michelangelo Schepis, siciliano, bravissimo con le mani in pasta (esperto di canditi) alla milanese in zona Città Studi (piazza Ferravilla) e l'Arte del Dolce, in viale Umbria, angolo via Colletta, una scoperta recente: gentilezza, simpatia, un posto caldo, insomma splendidamente dolce e rilassante.
    Infine una gita fuori porta. Imprescindibile arrivare fino da Besuschio ad Abbiategrasso, sempre una garanzia. Non solo per il panettone, ma per tutto il resto, cioccolato in testa (e nel cuore). E, last but non the least , il variegato Cristian Magri di Settimo, ristorante, pasticceria, caffetteria. Un mondo colorato, come questo che ci circonda. Buon Natale (goloso) a tutti.

    Roberto Perrone, corriere

     
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    Perché si dice Merry Christmas?

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    Su molti biglietti d’auguri, non solo nei paesi in cui si parla inglese, oggi appaiono due parole: Merry Christmas. Per quanto il senso sia immediatamente chiaro – Buon Natale – il Natale è probabilmente l’unico momento dell’anno in cui l’aggettivo merry conosce questa diffusione e popolarità, tanto da essere ormai associato quasi esclusivamente alla parola Christmas. Ma perché si dice Merry Christmas e non, come potrebbe sembrare più naturale, Happy Christmas? In inglese, infatti, si dice per esempio Happy New Year o Happy Thanksgiving. La spiegazione la riporta, tra gli altri, Matthew Schmitz sul sito della rivista religiosa First Things (ma è largamente diffusa su Internet).
    L’espressione Merry Christmas nasce naturalmente in Regno Unito, anche se oggi è diffusa soprattutto negli Stati Uniti e in Nord America. In inglese antico la parola merry significava piacevole più che felice o gioioso, ma già nel Cinquecento veniva utilizzata di tanto in tanto per augurare buon Natale. La prima attestazione dell’espressione risale al 1565 ed è contenuta nel manoscritto municipale della cittadina inglese Hereford: «And thus I comytt you to God, who send you a mery Christmas» («Vi raccomando a Dio, che vi mandi un Buon Natale»). Nel 1843 fu il Canto di Natale di Charles Dickens a renderla popolare e modificare il suo significato, associandola più a gioviale e festoso: nel romanzo Ebenezer Scrooge irride il Natale dicendo «If I could work my will… every idiot who goes about with ‘Merry Christmas’ on his lips should be boiled with his own pudding» («Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto ‘allegro Natale’ in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola», nella traduzione italiana più diffusa). Oltre alla grande popolarità dell’opera di Dickens, contribuì alla fortuna del termine anche il primo biglietto di auguri preparato per Natale (stampato a sua volta nel 1843) che conteneva l’espressione A Merry Christmas and a Happy New Year to You. L’aggettivo merry venne sempre più diffuso, venendo associato a un clima festoso e particolarmente sopra le righe.
    Già dal Medioevo l’aggettivo aveva assunto questo significato, indicando in particolare l’ubriachezza. Sia la Bibbia di Wycliffe (una traduzione della Bibbia in inglese medievale risalente al 1382-1395) e la Bibbia di re Giacomo (una traduzione in inglese della Bibbia completata nel 1611) usavano il termine in tal senso, nella descrizione di una festa organizzata dal ricco Nabal: «He held a feast in his house, like the feast of a king; and Nabal’s heart was merry within him, for he was very drunken» («Tenne una festa a casa sua, una festa da re; e il suo cuore era allegro perché era molto ubriaco»).
    Nell’Ottocento questo significato si rafforzò, finendo per indicare i festeggiamenti brilli e sfrenati delle classi più basse. Negli Stati Uniti la parola merry continuò a venire usata e a diffondersi nel corso dell’Ottocento, finendo per soppiantare il termine happy. Lo attesta per esempio la storia della poesia A Visit from St. Nicholas, una delle più popolari degli Stati Uniti, cha ha plasmato la figura di Babbo Natale come la conosciamo oggi. La versione originale, scritta dal poeta americano Clement Moore nel 1823, si chiudeva con l’augurio di Happy Christmas to all, che in molte edizioni successive venne sostituita con la più popolare Merry Christmas to all.
    In Gran Bretagna e Irlanda invece, la parola merry venne via via abbandonata dalle classi medio-alte dell’epoca vittoriana, caratterizzate da puritanesimo e da una forte volontà moralizzatrice. Mentre il termine merry indicava le feste dei ceti bassi, dissennate e alcolizzate, la parola happy suggeriva invece festeggiamenti più sobri, dove la contentezza derivava da una vita virtuosa e dal duro lavoro. Ancora adesso in Regno Unito la formula più diffusa è Happy Christmas: e non è un caso che sia quella preferita dalla regina Elisabetta, che la utilizza ogni anno per fare gli auguri ai sudditi nel tradizionale discorso di Natale.



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    Il Natale nel mondo: le tradizioni del Nord Europa




    Quali sono gli usi, le tradizioni e i costumi del Natale nel Nord Europa? Scopri come si dice e si festeggia in Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Islanda il Natale!

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    Come si dice Buon Natale in Svezia? God Jul! E così anche in Norvegia. In danese? Glædelig jul! In Finlandia, la patria di Babbo Natale si dice Hyvää joulua. Gleðileg jól, infine in islandese. Che modi complicati per farsi degli auguri! Li sapete ripetere?
    Che ne dite di scoprire piuttosto le tradizioni di questi paesi del Nord per il periodo natalizio?

    NATALE IN SVEZIA

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    Il periodo natalizio in Svezia (come in molti paesi del Nord) inizia il 13 dicembre, festa di Santa Lucia e finisce dopo un mese esatto, con un giro rituale della famiglia intorno all'albero. La mattina del 13 dicembre, la figlia più giovane di ogni famiglia indossa una veste e mette sul capo una coroncina adorna di tessuto verde e sette candeline intrecciate e così abbigliata porta caffè, latte e biscotti alla famiglia che è ancora a riposare sotto il tepore delle coperte. Gli Svedesi tengono molto all'addobbo della casa a Natale.
    Le abitazioni sono riempite di fiori rossi, rosa, bianchi o blu chiaro, specialmente giacinti colorati e nel giardino, viene collocato un covone di grano per gli uccellini.
    Ai piedi dell'albero di Natale, per auspicare buona fortuna, viene posto un caprone di paglia. Per il cenone, invece, il piatto tradizionale è il prosciutto arrosto. Il modo in cui vengono consegnati i regali in Svezia è davvero curioso: regalo di Natale in svedese si dice "joklappar" ("colpo di Natale"). Fino a poco tempo fa era tradizione che chi faceva il regalo dovesse bussare con veemenza alla porta domandando: "Ci sono bambini buoni in questa casa?". Una volta aperto, il dono era buttato subito per terra e la persona scappava per non essere riconosciuta. Insieme al regalo vengono spesso consegnate delle poesie che poi vengono lette ad alta voce il giorno di Natale.

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    NATALE IN NORVEGIA
    Anche i Norvegesi amano decorare l'albero e la casa. Sulla porta d’ingresso viene posta una corona e davanti alla casa come simbolo di buona sorte e prosperità vengono sistemati alcuni fasci di grano (come in Svezia) e un caprone di paglia. Ad ogni finestra è appesa una stella e all’interno della casa si trovano tulipani e i giacinti.
    Il 24 dicembre è tradizione accendere una candela sulle tombe dei propri cari e alla sera c’è la grande cena: qui non possono mancare le deliziose cialde a forma di cuore!
    Durante la serata si danza e si canta attorno all’albero di Natale con danze tipiche.


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    NATALE IN FINLANDIA
    Come si festeggia Natale nella patria di Babbo Natale? Babbo Natale abita infatti in Lapponia in un piccolo villaggio che si chiama Korvatunturii. Natale in finlandese si dice Joulu e Babbo Natale Joulupukki. Nelle case finlandesi la notte di Natale ha un sapore davvero magico: vengono accese candele in ogni casa e anche al cimitero sulle tombe di coloro che non ci sono più. Dopo venti giorni dal giorno di Natale, l’abete viene spogliato delle sue decorazioni e tolto dall’abitazione.

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    NATALE IN DANIMARCA
    Le strade danesi e soprattutto il parco di Tivoli a Copenaghen sono illuminati a festa. L'atmosfera è davvero suggestiva e ovunque si trovano ghirlande fatte con rami di abete. I bambini danesi scrivono le lettere per Babbo Natale e proprio in occasione delle festività, vengono emessi francobolli speciali.
    La cena tradizionale di Natale inizia alle sei e si conclude servendo il riso al latte. All’interno di uno dei piatti si cela una mandorla: chi la troverà, avrà diritto ad un maialino portafortuna fatto di proprio di mandorle. Per tradizione, a fine pasto, il papà aggiunge all'albero bandierine danesi, candele e cuoricini rossi e bianchi (i colori della Danimarca), poi accende le candele e una volta terminata l’operazione, chiama la famiglia al completo.


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    NATALE IN ISLANDA
    In islandese Natale si dice Jol, i folletti di quest’isola si chiamano, infatti, jolasveinar.
    Dall'inizio del mese di dicembre i bambini mettono sul davanzale della finestra della loro casa una scarpetta: se durante l’anno si sono comportati bene riceveranno il dono tanto sospirato, ma se sono stati cattivi… una patata! Anche per gli Islandesi il periodo natalizio si conclude il 6 gennaio.



    Edited by gheagabry1 - 18/10/2019, 23:14
     
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    Vorrei poter mettere lo spirito del Natale
    all’interno di un barattolo e poterlo tirare fuori
    mese per mese, poco alla volta.
    (Harlan Miller)



    IL BASTONCINO DI ZUCCHERO


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    In Inghilterra, durante la seconda metà del 18° secolo, venne proibito di esporre pubblicamente tutti i simboli religiosi, perciò i Cristiani non potevano più riconoscersi l’un l’altro tramite gli ornamenti simbolici che usavano portare addosso. Fu allora che un venditore di dolciumi cristiano si ingegnò per trovare un modo che consentisse ai membri della famiglia cristiana di identificarsi. Il pasticcere, emigrato di origini tedesche-svedesi di nome August Imgard appese un bastoncino di zucchero su un albero di Natale. Le cartoline di Natale dei decenni successivi iniziarono a mostrare alberi di Natale addobbati con bastoncini di zucchero. La prima ditta a produrre i bastoncini di zucchero fu la Bobs Candies di Bob McCormack negli anni venti del XX secolo, ma la produzione industriale iniziò soltanto negli anni cinquanta grazie alle innovazioni tecnologiche.
    Forma e colori del Bastoncino di Zucchero hanno un significato molto particolare e vengono tramandati da molti anni: il Bastoncino non è altro che un’allegoria del Natale! Fanno la loro prima comparsa negli “annali della storia natalizia” durante una rappresentazione della natività, furono infatti distribuiti dal Maestro del Coro della Cattedrale di Colonia per tranquillizzare dei chiassosi bambini.
    A partire dalla sua composizione:
    è fatto di caramello solidificato proprio perchè “Gesù è la solida roccia su cui sono costruite le nostre vite” (Matt 16:18)
    La sua classica forma, “J” ,è sia l’iniziale di “Jesus” (Gesù in inglese)(Atti 4:12), che la riproduzione stilizzata di un bastone da pastore (ricorda Gesù pastore di anime)(Giovanni 10:11).
    Anche i colori hanno un significato allegorico:
    Il Bianco rappresenta la purezza e l’assenza del peccato in Gesù
    Il Rosso (che somiglia ad una larga striscia che avvolge il bianco) rappresenta il sangue di Cristo versato per i peccati del mondo (Giovanni 10:11) e le tre strisce rosse sottili rappresentano le strisce lasciate dalle frustate del soldato romano (Isaia 53:5).
    Il sapore del Bastoncino, infine, è di menta piperita che è simile all'issopo, pianta aromatica della famiglia della menta usato nel Vecchio Testamento per purificare e sacrificare. Gesù è il puro agnello di Dio venuto a sacrificarsi per i peccati del mondo.
    Nella prima metà del 1800, un signore, August Imgard, immigrato dalla Germania al Nord-America appese quasi per caso un bastoncino di zucchero ad un ramo del suo albero di Natale, come decorazione. Da allora cominciarono ad essere utilizzati oltre che come semplice dolciume anche come decorazione natalizia entrata ormai nella tradizione.

    L'OMINO DI ZENZERO


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    L'Omino di Pan di Zenzero (The Gingerbread Man) è un biscotto, fatto appunto di pan di zenzero, che solitamente ha le fattezze di un uomo.
    Le origini degli omini di pan zenzero sarebbero oscure e misteriose, e secondo la tradizione il primo esemplare documentato sarebbe apparso alla corte inglese della regina Elisabetta I. Di indole scherzosa, la grande monarca avrebbe fatto più volte dono ai propri cortigiani di focacce che ne riproducessero le fattezze. Una piccola corte commestibile in miniatura. In realtà non esistono fonti certe in merito, ma la storiella è comunque entrata a far parte del credere collettivo. Ma se l’apporto della regina inglese alla diffusione del “gingerbread man” è storicamente incerto, sappiamo comunque essere stato proprio il XVI secolo il momento di maggior splendore per questo caratteristico dolce . Prima di allora il buio e poi, improvvisamente, la fama…
    E’ la Germania a diventare il cuore della produzione di dolci di pan di zenzero, con la città di Norimberga nelle vesti di capitale mondiale. Un notevole impulso alla sua diffusione venne grazie alle favole dei fratelli Grimm. In particolare fu la storiella di “Hansel e Gretel”, con la sua casetta di marzapane, ad eccitare l’avida mente di fornai e panettieri. Le vetrine iniziarono così a riempirsi di casette decorate con glassa e foglie d’oro, omini sorridenti e croccanti animali. Il tutto all’interno di complesse scenette natalizie alla cui realizzazione partecipavano addirittura artigiani e pittori.
    Il business del pan di zenzero divenne talmente importante nella regione che solo una determinata corporazione di fornai specializzati era autorizzata a dare vita a tali creazioni. Questo bizzarro divieto cadeva soltanto due volte all’anno, in occasione del Natale e della Pasqua.
    Poi successe quello che accadde per Halloween e la tradizione fu esportata in America. Nel XIX sec, da dolci caratteristici, gli omini di pan di zenzero furono promossi a decorazioni per l’albero di natale. Un’usanza tutt’oggi ancora viva.
    Una nota rivista per ragazzi, il St. Nicholas Magazine, pubblicata tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento in America, contribuì poi ad ampliare notevolmente il mito dell’omino di pan zenzero grazie ad una semplice storiella per bambinidi Richard Scarry. Una sorta di filastrocca caratterizzata da versi in rima e da strofe in continua ripetizione. La storia (Qui per leggerla) narra della frenetica fuga di un omino di pan di zenzero dalle fauci fameliche di una masnada di affamati individui. Una corsa dal finale alquanto croccante.
    (lacasadelcapellaiomatto.blogspot.it)

    L'omettin di panpepato

    Omino-Pan-Di-Zenzero

    I padron della casetta / sono un vecchio e una vecchietta: / lui sta andando a lovorare / lei vuol fare da mangiare.
    E con grande abilità / una gran specialità / nella pasta ha ritagliato / un omin di panpepato.
    Poi l'ha messo nel fornello / però quando lo sportello / lei riapre, mamma mia, / l'omettino scappa via!
    Fugge via velocemente / e poi grida allegramente: / "Son l'omin di panpepato / e nessun mi ha mai pigliato. / Vi assicuro, in verità, / che nessun mi piglierà!"
    I due poveri vecchietti / son sfiatati, poveretti, / e nel campo i falciatori / restan lì con gli occhi in fuori,
    nel vedere quell'ometto / correr via come un diretto. / E anche loro, sul momento, / Parton per l'inseguimento.
    Non lo riescono a pigliare / ...e finiscon col cascare!
    "Senti un po', comare mucca, / con quell'aria da bacucca! / I vecchietti e i falciatori / son cattivi corridori, / ma scommetto che anche tu / non mi piglierai mai più!"
    Corre lei velocemente / per pigliar l'impertinente / ma alla fin deve sostare / per potersi riposare.
    Grida agli orsi sopra il prato / l'omettin di panpepato:
    "Brutti orsi spelacchiati, / di salsiccia rimpinzati, / ora alzatevi e correte / e vediam se mi prenderete!"
    Babbo orso e mamma orsa / parton tosto alla rincorsa.
    Galoppando e galoppando, / ansimando e ansimando, / alla fin gli inseguitori / restan con la lingua fuori.
    Sotto un'albero, beata, / una volpe sta sdraiata / e l'omin di panpepato, / sempre più maleducato / anche a lei dice di già / che mai più lo piglierà.
    "Omettino, sei nei guai" / fa la volpe. "Come fai / a passar questo ruscello? / Sei caduto in un tranello!
    Quando gli altri arriveranno / di sicur ti piglieranno! / Ecco là: la gente arriva! / Vuoi raggiunger l'altra riva?
    Monta sopra alla mia schiena / chè io nuoto di gran lena!" / L'omettin di panpepato / sulla volpe è già montato.
    "Attenzione, l'acqua è fonda / e a momenti si sprofonda! / Forza, su, con mossa lesta, / monta sopra la mia testa!"
    L'omettino, divertito / per il viaggio, ha già obbedito. / E vien anche persuaso / a salire sopra il naso.
    Ma la volpe sul momento / con un brusco movimento / e con colpo da campione / lo divora in un boccone!
    E' finito divorato / l'omettin di panpepato!




    Il Natale, bambini, non è una data. E' uno stato d'animo.
    (Mary Ellen Chase)

    Edited by gheagabry1 - 18/10/2019, 23:21
     
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    Natale nel Medioevo

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    La natività del Cristo è festeggiata fin dal IV secolo a quanto si deduce dai calendari liturgici del periodo (prima non vi è documentazione). La chiesa romana la più antica fonte sulla celebrazione di questa festività la troviamo nel 354 d.c. sul CALENDARIO FILOCALIANO così chiamato dal nome del calligrafo Furio Dionisio Filocalo che lo scrisse per PAPA DAMASO I. Non è facile conoscere da quanto tempo sia in uso celebrare questa ricorrenza, ma certamente essa non è più antica del concilio ecumenico di Nicea, anche se all'epoca non era celebrata lo stesso giorno in tutto il mondo: non erano difatti tutti d'accordo sul giorno in cui il Salvatore fosse venuto al mondo. San Clemente Alessandrino riferisce che alcuni facevano cadere questa nascita nel giorno venticinquesimo del mese chiamato pachon dagli Egiziani, che corrisponde quasi al nostro maggio; altri al 24 o al 25 del mese pharmuthi, il nostro aprile. Al principio del III secolo, tuttavia, si cominciò a celebrare la festa del Natale sotto il nome di Epifania, il sesto giorno del mese di gennaio, insieme all'adorazione dei Magi ed alla memoria del battesimo di Gesù. Questa fu l'usanza della Chiesa orientale almeno nei secoli III e IV. Per la Chiesa d'Occidente, invece, Cassiano racconta che al suo tempo, cioè all'inizio del V secolo, si celebravano separatamente i due ministeri in due diversi giorni. Infatti la festa di Natale è segnata, per la Chiesa di Roma in particolare, al 25 dicembre nell'antico calendario che fu steso verso la metà del IV secolo. Quest'uso, poi, passò dalla Chiesa di Roma a quella d'Oriente. Sant'Agostino ci dice, in parecchi punti delle sue opere, che la Chiesa d'Africa, come quella di Roma, celebrava pure la nascita temporale del Figlio di Dio il 25 dicembre per tradizione antica ed immemorabile. L'uso di celebrare tre messe in questa solennità, una a mezzanotte, l'altra all'alba e la terza di giorno, esisteva già prima del VI secolo. Nel Medioevo per rendere ancora più ricca questa festa vi si rappresentavano certi misteri tra gli uffizi divini; il popolo cantava dei natali, cioè piccoli cantici accompagnati dall'organo che ricordavano i cantici dei pastori alla nascita del Salvatore.

    .....l'albero.....


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    L'albero di Natale deriva dall' antichissima tradizione del Ceppo... oggi le luci e le luminarie sono le scintille dei falò, le decorazioni sono la speranza di prosperità: e' così che la tradizione cristiana e pagana si è fusa. Ma il primo albero di Natale, non è l'abete del nostro immaginario, introdotto dai missionari per la sua forma triangolare, simbolo della Santissima trinità, bensì la quercia del ceppo. Gli antichi germani appendevano alle querce alcune pietre colorate in modo da richiamare gli spiriti fuggiti con la caduta delle foglie. Col tempo si sostituirono con ghirlande, nastri e frutti colorati. Nel Medioevo veniva decorato con ghirlande, uova dipinte e dolciumi.
    L'abete non è comunque solo segno cristiano: gli Egizi lo ritenevano l'albero della Natività sotto cui era nato il dio di Biblos. In Grecia l'abete era l'albero sacro di Artemide, protettrice delle nascite. Presso le popolazioni dell'Asia settentrionale, l'abete era considerato l'albero cosmico, piantato in mezzo all'Universo. Nel calendario Celtico l’ abete era consacrato al giorno della nascita del Fanciullo Divino, giornata supplementare che seguiva il solstizio d’ inverno.

    La leggenda, o meglio, le leggende sono tante. Le più note fanno risalire il primo albero al 1611 o al 1840. Nel 1611, in Germania, la duchessa di Brieg aveva già preparato tutto nel suo castello per festeggiare la ricorrenza del Santo Natale. Il salone era addobbato quasi interamente, ma la duchessa notò che un angolo appariva vuoto rispetto al resto della stanza. Avvoltasi nel suo scialle, uscì nel parco adiacente al castello sicura che la natura le avrebbe offerto qualcosa. Mentre passeggiava pensierosa, notò un piccolo abete e pensò che sarebbe stato sicuramente benissimo. Chiamò quindi uno dei suoi giardinieri e chiese loro di trapiantare l'alberello in un grosso vaso che venne poi trasportato nel salone delle feste.
    Oppure, ci spostiamo nel 1840 a Parigi, dove la principessa Elena di Mecklenburg, sposa del duca d'Orleans, preparò il suo albero di Natale alle Tuileries, suscitando lo stupore della corte. Ciò che è sicuro è che in Italia l'uso dell'albero si é diffuso solo appena dopo la seconda guerra mondiale.
    (sottocoperta.net)


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    Le querce servivano per le sacre rappresentazioni, durante le quali veniva messo in scena “il Gioco di Adamo ed Eva”, un rituale d’ispirazione biblica. In tale occasione, celebrata al momento della ricorrenza natalizia, l’albero veniva addobbato con mele rosse e cialde bianche: le prime erano il simbolo del frutto proibito che la Progenitrice invitava il proprio compagno a cogliere, le seconde, invece, simboleggiavano il perdono dei peccati conferito da Dio all’umanità. Poi quel tronco veniva arso per 12 giorni, secondo un rituale che significava, “bruciare” il passato per auspicare la nascita del futuro. Nel 1441 a Tallinn, in Estonia, nella notte del 24 dicembre, venne eretto un grande albero nella piazza del municipio, attorno al quale giovani scapoli, uomini e donne, ballavano insieme alla ricerca dell’anima gemella. Tale evento, segnò l’inizio ufficiale dell’Albero di Natale, che presto si diffuse in tutte le regioni a nord del Reno e fu sentita come una tradizione tipica dei paesi germanici. Nel secolo successivo in Germania, iniziarono ad essere addobbate le piazze antistanti le cattedrali con alberi da frutta, ornati di altri simboli cristiani, che dovevano ricreare l’immagine del Paradiso per riprendere la cerimonia delle sacre rappresentazioni medievali. Tempo dopo le querce vennero sostituite con gli abeti, pianta sempreverde, dalla profonda valenza simbolica che divenne immagine ed allegoria della vita. Tra i secoli XVII e XVIII, sempre nelle città della Renania, si aggiunse la prassi di addobbare i rami con candele che venivano accese per tutto il periodo natalizio, insieme ad altri addobbi. Con questa tradizione l’abete acquisì un significato salvifico, secondo il quale finì per essere identificato con Gesù: l’illuminazione rappresentava la luce portata da Cristo all’umanità, mentre i frutti, i doni e le varie decorazioni, simboleggiavano la sua generosità verso di noi.
    (Viviana Vannucci, neapolisroma.it)







    ....in Francia....


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    Nella Francia del Medioevo, si rintracciano forme di celebrazione del Natale costituite principalmente da tre componenti : le tropes, i misteri e i canti di Natale.
    Le tropes erano originariamente delle antifone dialogate, utilizzate durante la liturgia sacra, al fine di renderla più accessibile ai fedeli. Successivamente si svilupparono nel senso più spettacolare e profano, fino ad essere bandite dalla liturgia e recitate, quindi, sui sagrati delle chiese. Nel 1677 saranno poi proibite in tutta la Francia.
    I misteri rappresentano lo sviluppo profano dei drammi liturgici: essi, una volta proibiti dalla chiesa ufficiale, favoriscono lo sviluppo di forme popolari di celebrazione del Natale. I cantici ne sono un esempio : chiamati chants de Noël in Canada, noëls in Francia e carols in Inghilterra, sono l'espressione più popolare della celebrazione del Natale. Nel Québec fu Ernest Gagnon ad interessarsi per primo a questi canti di Natale, creandone una raccolta dal titolo Cantiques populaires du Canada français (1897). Di una qualche importanza, nel Medio Evo francese, sono anche i racconti e le leggende, che rappresentano una tradizione orale, che sarà riconosciuta come genere letterario solo alla fine del XVIII secolo, grazie a Charles Dickens, con il suo "A Christmas carol". Si tratta, comunque, di racconti ispirati alla vita quotidiana e alle caratteristiche delle singole regioni francesi.



    "Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che saranno ridere!" E rise ancora. "E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre), sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così, per piacere... e i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai" Sì, le stelle mi fanno ridere! "E ti crederanno pazzo. T'avrò fatto un brutto scherzo..." e rise ancora. "Sarà come se t'avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere..."

    -- "Il piccolo principe" Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry --



    Edited by gheagabry1 - 18/10/2019, 23:48
     
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  15. gheagabry
     
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    NATALE.....tutto l'anno


    Kathe-Wohlfahrt-DSC_6602
    Il “Villaggio di Natale” di Käthe Wohlfahrt a Rothenburg, una delle città medievali meglio conservate di tutta la Germania. La città è un vero gioiello architettonico sulla Strada Romantica, uno dei percorsi turistici più apprezzati della Germania, ed è facilmente raggiungibile. All'interno delle mura cittadine, interamente percorribili a piedi, a Rothenburg vi sono vicoli incantevoli, vecchie case patrizie e piazze pittoresche.
    Da più di 45 anni l'azienda Käthe Wohlfahrt è specializzata in decorazioni natalizie tedesche ed è famosa in tutto il mondo per i negozi natalizi aperti per tutto l'anno.
    La sede principale, il“villaggio natalizio” nella romantica Rothenburg o.d.T., trasforma in realtà tutti i sogni legati al Natale: Le straordinarie decorazioni sono impressionanti: un albero di Natale bianco alto 5,50 metri risplende illuminato da 15.000 luci e da più di 1.000 ornamenti in vetro. Un re schiaccianoci alto 3,50 metri veglia su ciò che accade nella riproduzione della piazza del mercato con le case a graticcio ricoperte di neve.
    Al primo piano al di sopra del "villaggio natalizio" si trova il "Museo tedesco del Natale" che offre un'eccezionale prospettiva sui magici gioielli di Natale di tempi ormai lontani. Centinaia di pezzi da esposizione storici raccontano la storia e le storie delle decorazioni natalizie tradizionali tedesche...Il museo tedesco del Natale narra la storia della festa di famiglia più tradizionale in Germania con addobbi, oltre 100 Babbi Natale e una curiosa esposizione straordinaria di antichi schiaccianoci.







    Kathe-W-1

    La fla famiglia Wohlfahrt, dovette lasciare la casa dove vivevano per fuggire dal regime comunista, con le poche cose che avevano potuto portare e tra queste, un bellissimo Spieldose. Da allora quel carillon faceva bella mostra di se’ in casa Wohlfahrt, tra tutti gli addobbi di Natale, ma nel Natale del 1963 accadde qualcosa che avrebbe cambiato la loro vita per sempre. I Wohlfahrt invitarono a pranzo dei loro amici americani che in quel periodo risiedevano a Boblingen. Per i Wohlfahrt addobbare e decorare la casa per il Natale era una tradizione sacra ed i loro amici rimasero colpiti dall’atmosfera di festa che regnava nella casa , ma soprattutto rapiti dalla bellezza del carillon. Wilhelm il capo famiglia, decise di omaggiare i suoi ospiti cercando di acquistare per loro un carillon come il suo. Ma oramai le feste erano passate ed i negozi avevano esaurito le decorazioni natalizie , così non restava altra soluzione che recarsi da un grossista ed acquistare uno stock di dieci carillon, dopo averne regalato uno agli amici americani gliene rimasero nove. Decise così di tentare di rivenderli porta a porta nel tempo libero. Forse per la sua simpatia forse per la bellezza di quei carillon, fù un vero successo e nel 1964 venne fondata la ditta Kathe Wohlfahrt, specializzata in balocchi di legno e decorazioni natalizie della tradizione tedesca ed avrebbe venduto i suoi prodotti tutto l’anno, perchè il buon Wilhelm non aveva dimenticato la fatica che aveva fatto per trovare un carillon natalizio fuori stagione!!![/color]



    Edited by gheagabry1 - 18/10/2019, 23:27
     
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