PARAFRASI

tutte quelle che servono sono qui!!!

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    parafrasi commento-A Zacinto

    A Zacinto: Io non verrò mai più sulle tue rive sacre dove io vissi da bambino, o Zacinto che ti specchi nel mar Greco da cui è nata secondo la mitologia la dea Venere, e rese quelle isole feconde con il suo primo sorriso.
    Motivo per cui cantò il verso inclito di Omero che cantò le acque fatali e giunse poi a baciarle la sua Itaca piena di pietre.
    Tu, mia Zacinto non avrai altro che il mio canto, a me il destino ha voluto una sepoltura illacrimata.

    __________________________________
    COMMENTO :

    A Zacinto, il nono dei sonetti di Ugo Foscolo, presenta numerose affinità con In morte del fratello Giovanni, che occupa la decima posizione. I due componimenti presentano temi affini, un linguaggio poetico corrispondente, e sono stati entrambi composti in un periodo circoscritto. Il decimo è stato scritto successivamente e completa il nono.
    Se il nono sonetto guarda al passato, il decimo guarda al futuro; se il motivo ispiratore del nono sonetto è la condizione esistenziale di esule del Foscolo e il presagio di avere una tomba senza pianto, il decimo sonetto, ispirato dal suicidio del fratello, constatata la disperazione del tempo presente e conferma i dubbi sul futuro e cioè di morire in terra straniera.
    Foscolo fu buon profeta del proprio destino: morì a Londra e solo grazie alla generosità degli inglesi, le sue ossa nel 1871 sono state rese all'Italia e traslate a Firenze, dove riposano nella chiesa di Santa Croce.
    Il tema del sonetto verte sulla precarietà della condizione di esule e sul sentimento nostalgico nei confronti di una piccola isola del mar Ionio, molto amata, dove il poeta è nato. Il nocciolo della poesia è l'amore per la patria, lontana e irraggiungibile. E la triplice negazione iniziale esprime per l'appunto la convinzione del poeta di non poter farvi più ritorno. Ripensando alla fanciullezza il poeta ricorda le bellezze del clima e della vegetazione dell'isola, creata dalla dea Venere – nata dalle acque del mare – che lei rese fertile con il suo primo sorriso; e il sublime poema di Omero non poté tacerne il limpido cielo e la vegetazione e narrò le acque fatali e il diverso destino di Ulisse il quale, esule anch'egli, ricco di fama e di sventura, riuscì a ritornare ad Itaca. Tu, o materna mia terra, conclude il Foscolo, non avrai che questa poesia da tuo figlio, perché il Fato ha prescritto a me una tomba senza pianto.
    La poesia procede senza soluzione di continuità in un crescendo di tensione che toglie il respiro. L'ultima terzina riprende e chiude il tema iniziale.
    Il motivo della disperazione del poeta è la condizione dell'esule che lancia il suo grido di dolore contro il fato avverso. Ma il Foscolo sviluppa questo messaggio in un crescendo di confronti tra sé e Omero e tra sé e Ulisse. Il Foscolo canta le proprie sventure, mentre Omero celebrò i viaggi di Ulisse, che potè a ritornare a baciare la «petrosa Itaca», mentre a lui non riuscirà di ritornare nella sua piccola isola. Ma come la poesia di Omero ha reso immortale Ulisse e Itaca, così la poesia di Foscolo ha una possibilità di perpetuare la fama di Zacinto e il ricordo del poeta che la canta.
    La composizione è perfetta, a rima ABAB ABAB CDE CED, ricca di allitterazioni consonantiche come la c- l - f - e suoni vocalici come la e - i - o.
    Il lessico della poesia è altamente letterario, aulico, pregiato, selezionato e connotativo. La poesia ha un lungo periodo ipotattico che abbraccia le due quartine e la prima terzina. L'ultima terzina ha due periodo paratattici, ma il secondo è in effetti una subordinata causale, introdotta dal punto e virgola. Il primo periodo sintattico ha un andamento sinuoso e veloce, come le acque di un fiume che scorre tra le anse sempre più veloce, fino ad arrivare alla cascata finale, e di nuovo nel letto piatto lentamente il fiume riprende la sua corsa. Così in questo sonetto dopo l'incipit si susseguono sei relative, una dopo l'altra, in un crescendo di immagini nuove e creative fino all'ultima che descrive Ulisse nel suo drammatico viaggio. Il sonetto nella sua ultima terzina riprende il percorso, lentamente, per finire il senso drammatico espresso nei primi due versi.
    Le figure retoriche donano al sonetto purezza formale e una perfezione stilistica e, insieme ai riferimenti alla cultura classica, una forma neoclassica all'interno della quale si materializzano i tumultuosi pensieri dell'autore.
    Due sineddoche, una perifrasi, un iperbato, un'apostrofe, una litote, enjambements, il neologismo «illacrimata»: la composizione è caratterizzata da un altissimo e raffinatissimo linguaggio poetico.
    Scritto dal Foscolo tra il 1802 e il 1803, il sonetto costituisce una perfetta sintesi della dominante tradizione neoclassica e degli innovativi orientamenti romantici dell'autore. Richiama il mondo della Grecia arcaica e manifesta i sentimenti tipici delle tendenze dello Sturm und Drang: l'amor di Patria, l'ossessione della morte, la precarietà del tempo, la Poesia, che celebra eroismo e sventura... La vita è avversa e va affrontata secondo una concezione materialistica che esclude un possibile rifugio nella religione. Tra le due componenti è l'anima romantica a prevalere.
    Il sonetto A Zacinto è un piccolo gioiello della letteratura italiana, in anticipo su quello che sarà quel grande e raffinato capolavoro che è il carme Dei sepolcri.

     
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    La morte di Ettore: Parafrasi attenta del brano epico di Omero



    LA MORTE DI ETTORE



    Quando si trovarono uno di fronte all’altro, Ettore dall’elmo scintillante parlò ad Achille per primo:

    “Non fuggirò più di fronte a te, Achille, come adesso così successe per ben tre volte che di fronte alle mura di Troia, non riuscii a difendermi dal tuo attacco; adesso il mio animo mi sprona

    a non fuggire più, qualunque sia la mia sorte. Ci rivolgiamo agli dei: perché essi saranno i migliori testimoni e conservatori degli accordi; io non intendo portarti disonore, se grazie all’aiuto di Zeus

    riuscirò a toglierti la vita; quando, Achille, ti avrò rimosso le tue gloriose armi, restituirò il tuo corpo agli Achei: e anche tu farai così”. Ma Achille guardandolo minacciosamente disse: “Ettore, o tremendo, non scenderò a patti con te: come non vi è alcuna alleanza tra uomini e leoni, e tra lupi e agnelli, i quali non sono mai in accordo, ma si detestano ininterrottamente, così non potrà mai succedere che noi ci vogliamo bene; fra di noi non ci saranno patti, il primo che morirà appagherà Ares con il sangue del nemico. Ricordati che ora devi essere perfetto nell’usare l’asta e veloce nel combattere, senza commettere errori! Ormai non puoi più sfuggire al tuo destino, gli dei hanno già deciso e Atena ti ucciderà per mezzo della mia lancia: sconterai tutto il dolore che hai portato al mio popolo”. Mentre parlò Achille scagliò l’asta contro Ettore; ma egli vedendola prima riesce ad evitarla: si abbassò e l’asta lo schivò, conficcandosi nel terreno; ma Atena, senza essere vista da Ettore, la ripose nelle mani di Achille. A quel punto Ettore disse ad Achille: “La tua mira non ha avuto un esito positivo! Allora in realtà tu non sapevi quello che mi sarebbe successo, Zeus non vuole la mia morte. Eppure tu lo hai dichiarato. Eri molto abile nel parlare, ma l’hai detto perché volevi che io mi scoraggiassi. No, non fuggirò di fronte al tuo attacco, ma ti affronterò a viso aperto, se mi vorrai uccidere, lo dovrai fare mentre ti attacco, se un dio ti aiuterà. Intanto cerca di evitare questa lancia che sto per scagliarti e spero che ti entri nel corpo. Certamente se riuscissi ad ucciderti la guerra risulterebbe molto più facile per i Teucri, perché tu sei il più grande problema” Mentre parlò, bilanciò l’asta e la scagliò ma centrò lo scudo di Achille, non fallì il colpo; ma l’asta rimbalzò cadendo per terra; Ettore si innervosì, perché il suo lancio fu inutile, e preso dallo sconforto, perché non aveva più lance; chiamò il fratello Deifobo, perché gli passasse un’altra lancia: ma egli non gli era più vicino. Allora Ettore capì il suo destino interpretato dal fato e gridò: “Ahi! Adesso non ho più alcun dubbio, gli dei hanno decretato la mia morte. Pensavo di aver vicino Deifobo, ma egli è all’interno di Troia, Atena mi ha imbrogliato. Il mio destino è di dover morire, tutto questo era già stato stabilito da Zeus e da suo figlio, Apollo, che adesso mi sono nemici però un tempo

    furono benevoli nei miei confronti. Ormai la morte mi ha raggiunto. So che devo morire, ma non mi ritirerò, lotterò fino all’ultimo perché io possa morire gloriosamente così che i miei posteri mi possano stimare”.

    E mentre parlava così, estrasse la spada, che gli pendeva da dietro al fianco, grande e pesante, e partì di scatto all’attacco, come un’aquila che piomba verso la pianura, attraversando le nuvole buie, per uccidere un giovane agnello o una lepre: in tal modo scattò Ettore, agitando la spada acuminata.

    Ma anche Achille scattò all’attacco, con il cuore selvaggio carico di collera: pose davanti a sé lo scudo bello, decorato, scuotendo la chioma lucente, che Efesto aveva creato fitta attorno al cimiero.

    Come la stella procede tra i vari astri durante la notte, Espero, l’astro più lucente del cielo. Così luceva la spada del glorioso Achille nella sua mano destra, riflettendo intensamente come poter uccidere Ettore, cercando con gli occhi un punto del suo corpo che fosse scoperto dall’armatura. Le armi bronzee ricoprivano tutto il corpo di Ettore, colui che uccise Patroclo; ma vi era una fessura dove le clavicole dividono le spalle dalla gola e dal collo, e quello è un punto di rapida morte.

    Qui Achille lo colpì, la punta dell’asta passò attraverso il morbido collo di Ettore, però non gli tagliò le corde vocali così che Ettore riuscisse a parlare. Achille si vantò: “Ettore, mentre spogliavi Patroclo delle sue armi credevi forse di poter sfuggire da me, che ti ero lontano! Ma io rimanevo suo difensore sulle navi. Ora cani e uccelli ti sbraneranno: ma lui seppelliranno gli Achei”.

    Senza più forze Ettore gli rispose: “Ti prego per la tua vita, per le ginocchia, per i tuoi genitori, non lasciare che venga sbranato dai cani degli Achei, ma accetta oro e bronzo senza fine, i doni che ti verranno dati da mio padre e dalla mia nobile madre: rendi il mio corpo alla mia patria, perché il mio corpo possa essere bruciato”.

    Ma guardandolo bieco, Achille disse: “No, cane, non mi pregare per nessun motivo; che la rabbia e il furore mi spingano a tagliuzzare le tue carni e a divorarle per quello che u hai compiuto: nessuno allontanerà dal tue corpo le cagne, per nessun motivo, nemmeno se Priamo offrirà tanto oro quanto pesi. Così la tua nobile madre non potrà piangere sul tuo letto, perché così i cani e gli uccelli ti sbraneranno. Rispose così Ettore: “Va, ti conosco! Non potevo persuaderti perché tu hai il cuore di ferro, che non prova passione. Bada però che la mia morte non ti porti l’odio degli dei; quel giorno che Paride, guidato da Apollo, ti ucciderà, tu ancora coraggioso, sopra le porte Scee”.

    Mentre parlava morì Ettore: il suo spirito volò via e scese nell’Ade, rimpiangendo la giovinezza e il vigore.

    Rispose al cadavere Achille illustre: “A muori! Anch’io dovrò morire quando gli di lo vorranno!”

    Disse e tolse al morto le armi insanguinate dopo aver strappato l’asta, accorsero gli altri ammirando la statua e la bellezza stupenda di Ettore, e nessuno si avvicinò senza martoriare e colpire il cadavere dell’eroe.

    E così diceva qualche infido volto al vicino: “ Davvero, è più morbida la carne d’Ettore, di quando appiccò fuoco alle nostre navi”.

    Iliade - Il duello tra Ettore e Achille


    parafrasi

    Quando si trovarono uno di fronte all’altro, Ettore dall’elmo scintillante parlò ad Achille per primo:
    “Non fuggirò più di fronte a te, Achille, come adesso così successe per ben tre volte che di fronte alle mura di Troia, non riuscii a difendermi dal tuo attacco; adesso il mio animo mi sprona
    a non fuggire più, qualunque sia la mia sorte. Ci rivolgiamo agli dei: perché essi saranno i migliori testimoni e conservatori degli accordi; io non intendo portarti disonore, se grazie all’aiuto di Zeus
    riuscirò a toglierti la vita; quando, Achille, ti avrò rimosso le tue gloriose armi, restituirò il tuo corpo agli Achei: e anche tu farai così”. Ma Achille guardandolo minacciosamente disse: “Ettore, o tremendo, non scenderò a patti con te: come non vi è alcuna alleanza tra uomini e leoni, e tra lupi e agnelli, i quali non sono mai in accordo, ma si detestano ininterrottamente, così non potrà mai succedere che noi ci vogliamo bene; fra di noi non ci saranno patti, il primo che morirà appagherà Ares con il sangue del nemico. Ricordati che ora devi essere perfetto nell’usare l’asta e veloce nel combattere, senza commettere errori! Ormai non puoi più sfuggire al tuo destino, gli dei hanno già deciso e Atena ti ucciderà per mezzo della mia lancia: sconterai tutto il dolore che hai portato al mio popolo”. Mentre parlò Achille scagliò l’asta contro Ettore; ma egli vedendola prima riesce ad evitarla: si abbassò e l’asta lo schivò, conficcandosi nel terreno; ma Atena, senza essere vista da Ettore, la ripose nelle mani di Achille. A quel punto Ettore disse ad Achille: “La tua mira non ha avuto un esito positivo! Allora in realtà tu non sapevi quello che mi sarebbe successo, Zeus non vuole la mia morte. Eppure tu lo hai dichiarato. Eri molto abile nel parlare, ma l’hai detto perché volevi che io mi scoraggiassi. No, non fuggirò di fronte al tuo attacco, ma ti affronterò a viso aperto, se mi vorrai uccidere, lo dovrai fare mentre ti attacco, se un dio ti aiuterà. Intanto cerca di evitare questa lancia che sto per scagliarti e spero che ti entri nel corpo. Certamente se riuscissi ad ucciderti la guerra risulterebbe molto più facile per i Teucri, perché tu sei il più grande problema” Mentre parlò, bilanciò l’asta e la scagliò ma centrò lo scudo di Achille, non fallì il colpo; ma l’asta rimbalzò cadendo per terra; Ettore si innervosì, perché il suo lancio fu inutile, e preso dallo sconforto, perché non aveva più lance; chiamò il fratello Deifobo, perché gli passasse un’altra lancia: ma egli non gli era più vicino. Allora Ettore capì il suo destino interpretato dal fato e gridò: “Ahi! Adesso non ho più alcun dubbio, gli dei hanno decretato la mia morte. Pensavo di aver vicino Deifobo, ma egli è all’interno di Troia, Atena mi ha imbrogliato. Il mio destino è di dover morire, tutto questo era già stato stabilito da Zeus e da suo figlio, Apollo, che adesso mi sono nemici però un tempo
    furono benevoli nei miei confronti. Ormai la morte mi ha raggiunto. So che devo morire, ma non mi ritirerò, lotterò fino all’ultimo perché io possa morire gloriosamente così che i miei posteri mi possano stimare”.
    E mentre parlava così, estrasse la spada, che gli pendeva da dietro al fianco, grande e pesante, e partì di scatto all’attacco, come un’aquila che piomba verso la pianura, attraversando le nuvole buie, per uccidere un giovane agnello o una lepre: in tal modo scattò Ettore, agitando la spada acuminata.
    Ma anche Achille scattò all’attacco, con il cuore selvaggio carico di collera: pose davanti a sé lo scudo bello, decorato, scuotendo la chioma lucente, che Efesto aveva creato fitta attorno al cimiero.
    Come la stella procede tra i vari astri durante la notte, Espero, l’astro più lucente del cielo. Così luceva la spada del glorioso Achille nella sua mano destra, riflettendo intensamente come poter uccidere Ettore, cercando con gli occhi un punto del suo corpo che fosse scoperto dall’armatura. Le armi bronzee ricoprivano tutto il corpo di Ettore, colui che uccise Patroclo; ma vi era una fessura dove le clavicole dividono le spalle dalla gola e dal collo, e quello è un punto di rapida morte.
    Qui Achille lo colpì, la punta dell’asta passò attraverso il morbido collo di Ettore, però non gli tagliò le corde vocali così che Ettore riuscisse a parlare. Achille si vantò: “Ettore, mentre spogliavi Patroclo delle sue armi credevi forse di poter sfuggire da me, che ti ero lontano! Ma io rimanevo suo difensore sulle navi. Ora cani e uccelli ti sbraneranno: ma lui seppelliranno gli Achei”.
    Senza più forze Ettore gli rispose: “Ti prego per la tua vita, per le ginocchia, per i tuoi genitori, non lasciare che venga sbranato dai cani degli Achei, ma accetta oro e bronzo senza fine, i doni che ti verranno dati da mio padre e dalla mia nobile madre: rendi il mio corpo alla mia patria, perché il mio corpo possa essere bruciato”.
    Ma guardandolo bieco, Achille disse: “No, cane, non mi pregare per nessun motivo; che la rabbia e il furore mi spingano a tagliuzzare le tue carni e a divorarle per quello che u hai compiuto: nessuno allontanerà dal tue corpo le cagne, per nessun motivo, nemmeno se Priamo offrirà tanto oro quanto pesi. Così la tua nobile madre non potrà piangere sul tuo letto, perché così i cani e gli uccelli ti sbraneranno. Rispose così Ettore: “Va, ti conosco! Non potevo persuaderti perché tu hai il cuore di ferro, che non prova passione. Bada però che la mia morte non ti porti l’odio degli dei; quel giorno che Paride, guidato da Apollo, ti ucciderà, tu ancora coraggioso, sopra le porte Scee”.
    Mentre parlava morì Ettore: il suo spirito volò via e scese nell’Ade, rimpiangendo la giovinezza e il vigore.
    Rispose al cadavere Achille illustre: “Muori! Anch’io dovrò morire quando gli dei lo vorranno!”
    Disse e tolse al morto le armi insanguinate dopo aver strappato l’asta, accorsero gli altri ammirando la statua e la bellezza stupenda di Ettore, e nessuno si avvicinò senza martoriare e colpire il cadavere dell’eroe.
    E così diceva qualche infido volto al vicino: “ Davvero, è più morbida la carne d’Ettore, di quando appiccò fuoco alle nostre navi”.
    Disse e meditò di fare un offesa al glorioso Ettore: gli forò i tendini dietro ai due piedi dalla caviglia al tallone, ci passò due cinghie, lo legò al cocchio, lasciando la testa ciondolare a terra, e balzato sul cocchio, alzando in alto le armi frustò per partire: desiderosi di correre i cavalli volarono. R intorno al corpo trainato si alzò la polvere: i capelli neri si scompigliarono; tutta la testa giaceva in mezzo alla polvere, prima stupenda: ma allora Zeus lo diede ai nemici, che lo sconciassero nella sua patria.
     
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    parafrasi della poesia "Il cigno" di Baudelaire nei Fiori del Male


    La misera condizione degli esuli che si struggono di nostalgia e di rimpianto per la patria lontana, è condivisa dal poeta, nostalgico di un ideale mai raggiunto ma sentito sempre vicino e di una patria dello spirito da cui si sente esiliato. Da questa presa di coscienza nascono, dunque, la compassione e la pietà per gli umili, i diseredati, gli emarginati e gli sconfitti.
    Questa poesia è dedicata a Hugo, esiliato dopo il colpo di stato a Napoleone III e quindi vinto e spazzato via dai nuovi avvenimenti.
    Come nel poema virgiliano, anche qui Baudelaire scrive dell’infelice vedova di Ettore, trasformata da una crudele destino da regina a schiava. Tuttavia il riferimento al mito è solo un punto di partenza per un’intensa meditazione sulla condizione umana.
    Il cigno, come altre figure invocate dal poeta, rappresenta la ricomparsa di un motivo incarnato già da Andromaca. Ella è l’emblema dell’eterna infelicità dell’uomo, preda di un destino al quale non ci si può opporre.
    Il dolore incarnato dalla sposa di Ettore è ancora vivo e attuale nella realtà contemporanea ed inserito dal poeta in un paesaggio urbano soffocante.
    Secondo una diversa interpretazione della poesia, non c’è un rapporto diretto tra la figura mitologica di Andromaca e quella del cigno. Quest’ultimo, infatti, potrebbe essere un simbolo utopico e positivo contrapposto al contesto negativo della poesia.
    Tutta la struttura del componimento punta ad un effetto di “straniamento del familiare” e di “sensazione del nuovo”; collabora a questo effetto anche l’uso della mitologia che porta i personaggi mitologici nei panni dei cittadini odierni. Un carattere mitologico ce l’ha anche il cigno, nel quale destino si materializza quello di Andromaca



    parafrasi di "addio di Attilio Regolo ai Romani"

    Addio, Romani. Quest'ultimo addio sia degno del nostro valore. Lode agli Dei, me ne vado. Conservate puro il nome di Roma e diventerete signori del mondo, che a sua volta diventerà romano. Dei che difendono la terra, Dee che proteggono i Romani, vi affido il mio popolo eroico: prendetevi cura di questa terra e di questa città. Fate in modo che il mio popolo sia sempre costante, religioso, glorioso, giusto, valoroso. E se Roma è minacciata, sia io la vostra vittima sacrificale e Roma resti sana e salva.

     
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    parafrasi di "un tragico destino: la morte di patroclo"

    777-810
    e fino al momento in cui il sole era in cielo(quindi era giorno) da entrambe le parti si scoccavano le frecce infuocate e la gente moriva,ma quando il sole si posò(quindi scese la sera) nell'ora in cui i buoi finiscono di lavorare, gli achei erano più forti,e e tirarono fuori dal carro Cebrione,che non sentiva le urla dei Teucri,e lo privarono delle armi. Patroclo si scagliò per tre volte contro i troiani,pensando ad una sconfitta(quella dei troiani!)ed era così simile ad ares ardente che gridando paurosamente ammazzò 27 uomini(9x3). ma quandò si scagliò per la quarta volta,che sembrava un dio, a te,Patroclo,si prospettò la tua morte:Apollo gli andò contro tramando,ma (patroclo)non lo vide arrivare nella mischia;(infatti Apollo) gli andò incontro celato da molta nebbia.E si fermò dietro Patroclo,gli colpì la schiena e le spalle larghe : a Patroclo girarono gli occhi.
    Apollo gli fece cadere l'elmo dalla testa che suonò rotolando con la visiera abbassata sotto gli zoccoli dei cavalli, i pennacchi si sporcarono di sangue e di polvere : ma prima non era mai stato possibile ciò perché l'elmo apparteneva ad un uomo dalla bella fronte: Achille, e gli proteggeva la testa: ma allora Zeus lo donò ad Ettore affinché lo portasse sulla sua testa: e la morte gli era vicina.l'asta dall'ombra lunga(epiteto), pesante, solida,grossa,appuntita che era in mano a Patroclo, si spezzò: e dalle sue spalle cadde a terra lo scudo insieme alla cinta di cuoio , e il dio Apollo, figlio di Zeus, gli slacciò la corazza.Svenne, le sue membra si afflosciarono e si fermò esterrefatto: venne colpito tra le spalle da un eroe troiano, Euforbo di Pantoo che tra i suoi coetanei si distingueva per la bravura con l'asta, per i cavalli e per la corsa.gettò giù dai cavalli venti guerrieri quando arrivò col cocchio a combattere per la prima volta.



    parafrasi -" l'onda " Gabriele D'annunzio

    La sera fiesolana è ambientata nella campagna di Fiesole, che presenta un tipico paesaggio collinare toscano, attraversato dall’Arno.
    La poesia è divisa in tre strofe, seguite da una ripresa di tre versi, sotto forma di lodi.
    In essa si racconta di una sera di fine primavera, nella campagna, dove è appena finito di piovere.
    Nella prima strofa viene descritto tutto il paesaggio che circonda l’autore, nel momento in cui il sole sta calando ed inizia la sera. Di fronte al poeta si trova un contadino che sta raccogliendo le foglie di gelso, e nonostante sia sera continua lentamente il suo lavoro; la luna che sta sbucando dall’orizzonte, causa un cambiamento di colori sia sugli oggetti (la scala s’annera) sia sul paesaggio (il fusto s’inargenta).
    Nella seconda strofa, invece, la protagonista è la pioggia, che è caduta prima che scendesse la sera. Il poeta si sofferma molto su tutti i particolari della campagna: dagli alberi che giocano con il vento, al grano non ancora maturo, al fieno già mietuto, alle colline sorridenti.
    Nella terza strofa, infine, si parla del fiume, degli alberi immersi nel silenzio dei monti e delle colline che s’incurvano per racchiudere un segreto.
    Infine, nelle lodi, si parla della sera, che viene personificata nelle sembianze di una donna. Questi versetti, inoltre, riprendono il Cantico di Frate Sole di san Francesco d’Assisi.


    Nel primo e nel diciottesimo verso sono presenti due sinestesie: fresche le mie parole (tatto-udito) e dolci le mie parole (gusto-udito).
    D’Annunzio si serve delle parole per descrivere la natura che lo circonda e per testimoniare che lui ne fa parte.
    Nella terza strofa, invece, utilizza le parole ti dirò, parlami, in una forma un po’ misteriosa come per voler dire e non dire qualcosa.

    Questo testo è indirizzato e Eleonora Duse che gli è accanto a Settignano, dove è stata scritta la poesia. Secondo me si capisce che è indirizzata alla sua donna perché nella lirica più volte compare ti sien che fanno intendere che lui si rivolge alla sua amata.

    Le laudi di tre versi che si alternano alle tre strofe, riprendono il Cantico di Frate Sole di Francesco d’Assisi che iniziava con laudato sii…, ma non in modo sacro ma assolutamente profano. Al contrario della spiritualità francescana si contrappone una personificazione della sera con sembianze femminili. Essa infatti è presentata come una donna che ha il viso perlaceo, le vesti profumate e che odora di fieno.

    D’Annunzio prende da Nietzsche il mito del superuomo e quindi egli rivendica una identità superiore agli altri uomini. In questa poesia, invece, il “superuomo”, entra in contatto con la natura ed è capace di ascoltarne la voce, di immedesimarsi nel paesaggio e di scoprirne i suoi segreti; infatti non descrive il paesaggio ma lo esprime con un suo stato d’animo.
    Nella poesia tutta la natura viene personificata, come per esempio la primavera che se ne va piangendo, i pini che giocano con il vento e le colline che si incurvano come delle labbra e racchiudono in se dei segreti. Questa tecnica è chiaramente simbolistica, dove si evidenzia il rapporto tra natura e uomo.
    Nella sera fiesolana, d’Annunzio descrive la sua stagione preferita: l’estate, il periodo della pienezza vitale, il momento che favorisce la fusione tra uomo e natura circostante. Il tema dominante è il panismo, nome che deriva dal dio Pan, venerato dagli antichi greci, come dio delle foreste e della vita dei campi. Infatti, l’autore, si identifica e si fonde con la natura.

    ------------------------

    Le mie parole fresche nella sera ti fanno come il fruscio che fanno le foglie del gelso nella mano di chi le coglie in silenzio e ancora si attarda il lento lavoro sulla scuola alta che diventa nera contro il fusto color argento con i suoi rami spogli mentre la luna è prossima ad uscire dalle soglie azzurre e sembra che davanti a sé distenda un velo dove il nostro sogno giace e sembra che la campana senta già sommersa nel gelo notturno e beva da lei la pace sperata senza vederla.
    Tu sia lodata per il tuo viso di perla, o sera, e per i tuoi grandi occhi umidi dove si tace l’acqua del cielo!
    Le mie parole dolci nella sera ti sentono come la pioggia che faceva rumore tiepida e sfuggente, pianto lacrimoso della primavera, sui gelsi e sugli olmi e sulle viti e sui novelli pini con le dita rosa che giocano con l’aria che si perde, e sopra il grano che non è ancora verde, e sopra il fieno che già tagliato sta ingiallendo, e sopra gli olivi, sopra i fratelli olivi che fanno di pallida santità i clivi sorridenti.
    Tu sia lodata per le tue vesti profumate, o sera, e per la cinta che ti cinge come il salice cinge il fieno che profuma!
    Io ti dirò verso quali reami d’amore ci chiama il fiume, le cui fonti eterne all’ombra degli antichi rami parlano del mistero sacro dei monti, e ti dirò per quale mistero le colline sugli orizzonti limpidi s’incurvano come labbra che chiudono un divieto, e perché la volontà di dire, le faccia belle oltre ogni desiderio umano e nel silenzio loro sono sempre consolatrici novelle, così che sembra che ogni sera l’anima le possa amare di un amore più forte.
    Tu sia lodata per la tua morte pura, o sera, e per l’attesa che fa palpitare in te le prime stelle.

     
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    PARAFRASI-LO SCONFORTO PER LA SITUAZIONE DELLA PATRIA. (U.Foscolo)

    Il sacrificio della patria nostra è consumato, tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che pe piangere le nostre sciagure e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m' opprime, mi commetta a chi mi ha tradito? Consolaa mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e le ho lsciato venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mi sciagurato paese, posso ancora sperare qache giorno di pace? Tu mi fai raccappricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può. Poichè ho discperato e dela mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente copianto dà pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra dè miei padri.
    Ugo Foscolo (Le ultime lettere di Jacopo Ortis).



    (Nicolas15)
    parafrasi

    lo sconforto per la situazione della patria di Ugo Foscolo

    e la mia prima parafrasi quindi non prometto niente se dovete copiarla per prendere un bel voto non lo so quando me la corregge il mio professore vi dirò il mio voto e poi decidete voi se usarla o prendere solo spunto


    Il destino del nostro paese è stato deciso: non c'è più niente da fare; e se ci verrà ancora concesso di vivere, sarà solo per piangere la nostra fortuna. So che il mio nome è nella lista dei cittadini sospettati politicamente: ma preferisci che per salvarmi dagli austriaci mi affidi a Napoleone? Consola mia madre: le sue lacrime mi hanno convinto a lasciare Venezia per evitare le prime e più violente persecuzioni. Adesso dovrò lasciare anche i Colli Euganei da dove posso ancora sperare in qualche giorno di vita senza lasciare il mio povero paese? Tu mi fai rattristare, Lorenzo; quante sono le vittime delle persecuzioni? Purtroppo sono gli stessi italiani gli esecutori delle persecuzioni. A me succeda quel che può succedere. Poiché ho perso la speranza sulla libertà della mia terra e sulla mia condizione, aspetto che vengano la prigionia e la morte. Se rimarrò qui almeno il mio cadavere non sarà seppellito in una terra straniera; il mio nome sarà compianto dai miei compagni di sventura; e le mie ossa saranno seppellite in patria.



    LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS
    di
    UGO FOSCOLO

    Jacopo è un giovane patriota che, dopo la cocente delusione per la cessione di Venezia all'Austria da parte di Napoleone, si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni. Indicato già nella prima lettera dell'11 ottobre (Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto....), il tema politico si rivela fondamentale in tutto il romanzo.
    La triste condizione dell'Italia venduta e schiava, è, infatti, lo sfondo cupo e drammatico di tutta la vicenda ideologica e sentimentale di Jacopo.
    Dinanzi alla situazione negativa dell'Italia napoleonica, Jacopo alterna due possibili atteggiamenti: la rivolta generosa ma astratta, pronta a tentare il tutto per tutto pur di contrastare tale situazione intollerabile (...sovente ho guardato con una specie di compiacenza le miserie
    dell'Italia, poiché mi parea che la fortuna o il mio ardire riserbassero forse anche a me il merito di liberarla...ma l'unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di
    tentare la libertà della patria... 4 dicembre) e l'analisi lucida e puntuale, ma realisticamente consapevole dell'impossibilità di ogni alternativa (E perché io debbo dunque, o mia patria, accusarti
    sempre e compiangerti senza niuna speranza di poterti emendare e di soccorrerti mai? 25 settembre).
    La critica nei confronti di Napoleone, che si era posto sulla scena storica come liberatore, è ferocissime ed è espressa, in particolar modo, nella lettera del 17 marzo: Moltissimi intanto si fidano del giovine Eroe nato da sangue italiano...la Natura lo ha creato tiranno e il tiranno non guarda a patria e non l'ha. Non mancano altri accenni a Bonaparte, così nella lettera del 15 febbraio, parlando dell'esule veneziano incontrato in Liguria, Jacopo afferma che egli non poteva più confidare in colui che poi lo tradì.
    Ma lo sdegno del giovane Ortis non è rivolto solo contro il tiranno francese, bensì anche contro le discordie degli Italiani, le loro lotte fratricide (25 settembre), le loro incapacità di unirsi per
    lottare contro gli oppressori (Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca se non la forza della concordia... 19-20 febbraio).

    Il motivo da cui nasce tale situazione è, secondo Jacopo, da individuare nella mancanza di una classe dirigente degna di una vera nazione. Nella lettera del 17 marzo è condotta una attenta analisi sulle condizioni di assenza e di vuoto ideologico: il clero mira solo al lucro; i nobili sono oziosi e ignoranti e non svolgono la loro funzione militare e politica; i borghesi non hanno dignità di cittadini.
    Per superare questa situazione negativa occorre ridare la sua funzione a ciascuno dei tre stati (Di preti e frati facciamo dei sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizi; i popolani tutti, o molti almeno, in
    cittadini abbienti e possessori di terre...). I mezzi per condurre questi cambiamenti non devono essere violenti (...senza carneficine, senza riforme sacrileghe di religione, senza fazioni...).
    Il rifiuto della violenza rivoluzionaria pone Jacopo in un vicolo cieco: da un lato l'impossibilità di sopportare l'infame servaggio, dall'altra l'impossibilità di pagare il prezzo terribile e sanguinario imposto dalle leggi della politica e della storia.
    L'alternativa è fuori dalla storia: è la scelta della morte. Ma tale soluzione può essere solo dell'individuo eccezionale, eroico, isolato (...una nazione non si può sotterrare tutta quanta...); sul piano della politica reale non vi può essere che rassegnazione fatalistica (Esorterei l'Italia a pigliarsi in pace il suo stato presente...).


    L’ "Ortis" infatti si inserisce nella letteratura europea sia come romanzo epistolare, sia come opera che risente del clima culturale precedente il Romanticismo. La sua prima caratteristica è l’autobiografismo: Jacopo è un alter ego del nostro Ugo. Nel personaggio si ritrova tutta la passione politica dello scrittore, l’esperienza dell’esilio, la volontà di lotta e di riscatto della propria patria Venezia e dell’Italia tutta, il contrasto con la società presente, lo scontro tra mondo ideale e realtà. In Jacopo poi si riflette tutto il vissuto sentimentale di Ugo ed il protagonista del romanzo assume quei caratteri di passionalità, di immediatezza dei sentimenti, di generosità che furono anche del suo autore. Egli così si pone sia come personaggio fantastico, sia come personaggio reale, divenendo il prototipo dell’eroe romantico, futuro modello per le generazioni successive. Il suicidio di Jacopo pertanto non risulta il semplice prodotto di una delusione amorosa, bensì appare, alla maniera alfieriana, il gesto di una protesta estrema, un atto volto ad affermare i propri principi ideali, un primo esempio di titanismo romantico. Ma romantici sono poi anche molti temi presenti nell’opera. Così quello dell’esilio, quello della morte come porto di pace, della tomba in terra straniera, della solitudine, della lontananza forzata dai propri cari, della patria amata ed umiliata, delle illusioni, dell’amore come solo ristoro terreno alla infelicità.

    Edited by Lussy60 - 5/2/2012, 14:48
     
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    "L'amica di nonna Speranza"

    Analisi del testo


    Questa lirica è suggerita, secondo un modulo ripreso da una lirica di Francis Jammes, da un vecchio album di foto di famiglia, una cui fotografia ingiallita sotto la data del 28 giugno 1850 è accompagnata da una dedica “… alla sua Speranza la sua Carlotta…”. Gozzano si lascia trasportare indietro nel tempo quando la sua futura nonna e l’amica di lei, Carlotta, avevano appena diciassette anni, erano tornate a casa dal collegio e vivevano i loro primi romantici sogni d’amore.
    Questi allora ricrea, ispirato dalla vecchia fotografia, il piccolo mondo provinciale di una volta, guardando con un rimpianto fra struggente ed ironico, attratto e respinto tutto a un tempo, interessato alla rievocazione sentimentale e, nello stesso tempo, compiaciuto di mettere in commedia un mondo così lontano dal proprio. Da ciò lo stile della lirica, uno stile tutto letterario, tramato ora di ricordi culturali (fino, addirittura, all’inserzione di versi di un poeta del Seicento), ora di vocaboli quotidiani, in un tono conversevole e piano, ironico nella sua quotidianità. Così la lirica oscilla continuamente tra il gioco compiaciuto e l’effusione sentimentale, dove però il gioco non diventa mai fine a se stesso, e l’effusione, a sua volta, trova un suo limite calcolato in quella specie di controcanto che il Gozzano stesso continuamente le fa con la sua commedia.
    Forma metrica: strofe distiche, cioè di due versi doppi, liberamente composti, ognuno di senari, settenari, ottonari, novenari, con doppia rima interna.
    1ª sezione: i primi versi descrivono il salotto degli antenati, a metà Ottocento, affastellando, in un disordine pittoresco, i mille oggetti di cattivo gusto (cioè di un gusto ormai antiquato) che lo riempiono. È un artificio a rievocare l’atmosfera di quell’Ottocento che il Gozzano sente provinciale, ma al quale, pure, si sente legato sentimentalmente. Il pappagallo impagliato, i busti di Alfieri, poeta italiano della seconda metà del Settecento, autore di tragedie, e di Napoleone, i frutti di marmo sotto la campana di vetro, gli scrigni costruiti con valve di conchiglie, l’immagine di Venezia e gli altri ricordini di viaggio, i quadri e le stampe, la tappezzerie damascata delle sedie, il lampadario a gocce di vetro sono tutti arredi e suppellettili di scarso pregio, ma con pretese di eleganza e di raffinatezza, almeno agli occhi dei padroni di casa.
    2ª sezione: la scena si popola di personaggi e si riempie di suoni. Arrivano le due fanciulle, che sono considerate ormai “signorine” e quindi da poco hanno avuto il permesso di allargare la gonna di crinolina. Una suona e l’altra canta, entrambe sognano l’amore e il Principe Azzurro mentre si sentono il vocio dei bambini e i discorsi degli adulti.
    3ª sezione: arrivano ora gli Zii. Tramite una successione casuale di stralci del dialogo, il poeta ci fa intuire i temi della banale conversazione, dalla quale le signorine vengono allontanate e condotte a giocare al volano, rudimentale gioco del tennis.
    4ª sezione: il volano rimane tra i rami di un albero e così le fanciulle cominciano a parlare del Principe Azzurro (incarnato dal giovane poeta rivoluzionario Mazzini) di cui è innamorata Carlotta. Qui si rifà a tanta letteratura dell’estremo romanticismo, di cui riprende le immagini, tra sentimentali e leziose, di cui cita le riviste famose (“Novelliere Illustrato”), e di cui ricorda eroi tipici, come la Carlotta amata da Werther nel romanzo famoso di Goethe, o come la Parisina, la cui storia di amore e di morte era stata anch’essa ricordata e rifatta tante volte dagli scrittori.
    5ª sezione: il nome Carlotta può essere non fine, ma ora, dopo tanti anni, è dolce come tutte quelle buone cose di pessimo gusto, e ricrea l’incantesimo di un tempo passato, di cui il Gozzano richiama qui tanti elementi, anch’essi lontani, non fini, ma dolci: le diligenze, lo scialle, le crinoline.
    Le donne che il poeta conosce e frequenta, non le può amare, impeditone da una sorta di aridità sentimentale; le sole che potrebbe amare, sono queste che egli rievoca, morte, lontane, abbellite appunto dalla lontana, dalla morte, dalla fantasia. Questo sogno impossibile indica che il Gozzano tende ad evadere dal presente e a vivere in mondi e tempi lontani sognando cose che avrebbero potuto essere e non sono state e il cui fascino sta proprio nel fatto che non sono mai accadute e non potranno accadere.
     
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    Come si fa la parafrasi?

    La parafrasi o versione in prosa consiste in una “traduzione” di un testo poetico allo scopo di favorirne la comprensione del significato letterale; proprio per questo deve essere il più possibile precisa e completa. Ad ogni espressione del testo di partenza (singola parola o locuzione complessa) deve corrispondere un’espressione equivalente nel testo d’arrivo. Non è un esercizio di bella scrittura, ma uno strumento preliminare di comprensione. Dunque, la parafrasi migliore non è quella più elegante, ma quella più aderente al testo.
    Ti Consiglio di usare il Dizionario o i sinonimi e i contrari :)

     
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    parafrasi -SERA D'OTTOBRE (G.Pascoli)

    Parafrasi

    Lungo il viale vedi sulle siepi ai lati i ridenti cespugli di rosse bacche del ginepro: nei campi arati le vacche tornano tarde nelle stalle.
    Per la strada viene un poveruomo che trascina tristemente il lento passo tra le foglie: nei campi una fanciulla canta a squarciagola una canzone popolare: "Fiori di Spine".



    parafrasi di "L'invocazione alla Musa" Libro I, v v 1-9

    "Cantami l'ira fatale di Achille, o Dea, del figlio di Peleo che dolori senza fine portò agli Achei e molti grandi eroi, pasto ai cani e agli uccelli di rapine, trascinò nell'Ade. [...]" Se intendi questo, la parafrasi è:
    O Dea, aiutami a raccontare l'ira di Achille, figlio di Peleo, voluta dal destino che provocò grandi dolori agli Achei e molti grandi eroi diventarono pasto dei cani e bottino degli uccelli e li trascinò nel regno dei morti.
    Come volle Zeus da quando un odio ostinato divise Agamennone e il valoroso Pelide.
     
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    parafrasi e commento- "Solo e Pensoso" (Petrarca)

    PARAFRASI

    Solo e pensoso percorro lentamente
    i più deserti campi,
    e volgo gli occhi attentamente per fuggire i luoghi
    in cui il suolo è segnato da impronte umane.

    Non trovo un altro riparo che mi eviti
    che la gente mostri di accorgersi della mia sofferenza,
    perchè nei gesti senza gioia
    da fuori si capisce come io dentro sia consumato dalla fiamma dell'amore:

    ormai credo che monti e campi
    e fiumi e boschi sappiano di quale genere
    sia la mia vita, che è nascosta agli altri.

    Tuttavia non riesco a trovare luoghi così impervi
    nè così deserti da impedire che Amore continui a seguirmi,
    parlando con me e io con lui.

    COMMENTO:

    Questo sonetto è uno dei più belli e celebri di Francesco Petrarca. Il poeta si apparta da tutti e si aggira per luoghi deserti nella speranza di nascondere agli altri uomini il suo tormento, la sua intima disperazione. Ma il pensiero della donna amata è diventato ormai un'ossessione, infatti egli ovunque vada, il pensiero dell'amore, lo raggiunge sempre in ogni suo minimo pensiero e lo pervade tutto.
    I temi dominanti di questo sonetto, sono il bisogno assoluto di solitudine e l'ossessione amorosa. Il poeta, infatti, descrive se stesso come una persona chiusa, sola e pensosa, in ogni modo triste. Lo spazio e il tempo in cui sono ambientati i fatti sono dimensioni reali. Il ritmo poetico è lento mentre il tono si presenta malinconico e triste: è proprio la maliconia che Petrarca vuole trasmetterci.

     
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    PARAFRASI-ETTORE ED ANDROMACA

    Andromaca gli andò incontro e con lei andava la tata portando in braccio il bimbo piccolo e ancora ingenuo, figlio di Ettore. Ettore lo aveva soprannominato Scamandrio, ma il popolo lo chiamava Astianatte in onore di *****. Egli sorrise in silenzio guardando il bambino: ma Andromaca gli andò vicino piangendo, gli prese la mano e gli disse: Oh, miserabile il tuo coraggio sarà motivo sarà motivo della tua morte, non hai pietà del tuo piccolo figlio, e di me che presto diventerò vedova, perchè i Graci ti uccideranno balzandoti addosso: sarebbe meglio che io morissi perchè sernza di te non avrò nessuna gioia ma soltanto dispiaceri: Io non ho più padre e madre. Il coraggioso Achille l'ha ucciso ed ha distrutto la città dei Greci, e Tebe delle alte porte; egli uccise mio padre ma non gli tolse le armi perchè ne ebbe compassione, lo fece bruciare con la sua armatura e lo sepolse; le ninfe montane figlie di Zeus piantarono olmi sopra la sua tomba. Avevo sette fratelli, che furono uccisi dalle frecce del veloce e coraggioso Achille, tutti in un solo giorno, moentre pascolavano i buoi e le pecore. Mia madre regina di Placo fu uccisa da Artemide dopo aver pagato un riscatto ad Achille per essere lasciata libera. Per me tu sei l'unica persone che ho; rimani a casa e non rendere tuo figlio orfano e me vedova, ferma l'esercito in prossimità del coprifuoco dove il muro è più accessibile e più facile assalire la città. Ettore allora che aveva un elmo in testa disse: Anche io penso a tutto questo ma mi vergognerei davanti ai troiani se resto come un vile lontano dalla guerra. Non vorrei che tutto questo accada ma ho imparato ad essere forte a combattere in mezzo ai troiani, procurando a me stesso e a mio padre grande gloria. Io so bene che verra un giorno in cui la sacra città di ***** con il suo re Priamo e il suo popolo morirà: in quel momento io non soffrirò così tanto per il popolo, per mia madre, mio padre e per i miei fratelli che cadranno sotto la mano dei nemici, ma soffrirò per te che sarai fatta prigioniera da qualche acheo che ti trascinerà via piangendo: allora vivrai ad Argo e sarai costretta a tessere la tela e a portare l'acqua alle sorgenti greche: e questa sarà una vita difficile per te. E chi ti vedrà piangere dirà: Ecco la sposa di Ettore il più forte guerriero dei troiani quando lottava per la sua patria. Per te sarà una cosa straziante perchè sarai senza l'uomo che ti avrebbe potuto tenere lontano dalla schiavitù. Spero di morire prima di sentire le tue grida di aiuto. dicendo così Ettore tese le braccia al suo bambino, ma questo si ritirò sul pestto dell'ancella impaurito dall'aspetto del padre, e spaventato dal cimiero piumato che stava in cima all'elmo. Sorrisero il padre e la mare, Ettore si tolse l'elmo el posò in terrà, poi baciò il figlio e lo sollevò tra le braccia e pregò tutti gli dei: "Zeus e voi tutti dei fate che mio figlio cresca come me e che si distingua fra i troiani per la sua forza e regni su ***** e fate che un giorno si dica molto più forte di suo padre". Quando tornerà dalla battaglia porti i corpi dei nemici uccisi e ne possa essere felice sua madre". Dopo che ebbe detto così dette il bambino ad Andromaca; lei lo strinse a se e sorrise piangendo; Ettore si commosse a guardarla e le disse: "Misero è il tuo destino, nessuno può mandarmi nel regno dei morti. non c'è umano che può evitare il suo destino". Dopo aver detto così accompagnò sua moglie a caasa e, vedeva le ancelle piangere che sapevano che non l'avrebbero più visto in quella casa.

     
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    Parafrasi-chi è questa che vèn, ch'ogn' om la mira?
    Guido Cavalcanti:



    Chi è costei che avanza e ogni uomo l'ammira, che fa vibrare di luce l'aria e conduce con sè Amore così che nessun uomo può parlare, ma ciascuno sospira?
    O Dio, che cosa sembra quando volge lo sguardo, lo dica Amore, perchè io non lo saprei riferire.
    Mi sembra a tal punto umile e benevola, che ogni altra donna rispetto a lei la chiamo malvagia.
    Non si potrebbe descrivere la sua bellezza, dato che a lei si inchina ogni nobile virtù e la bellezza la indica come sua dea.
    La nostra capacità intellettuale non fu mai così profonda e non fu posta mai in noi tanta grazia divina da poterne avere conoscenza

     
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    parafrasi-San Martino (Rime Nuove):Giosuè Carducci

    La nebbia agli irti colli
    Piovigginando sale,
    E sotto il maestrale
    Urla e biancheggia il mar;

    Ma per le vie del borgo
    Dal ribollir de’ tini
    Va l’aspro odor de i vini
    L’anime a rallegrar.

    Gira su’ ceppi accesi
    Lo spiedo scoppiettando:
    Sta il cacciator fischiando
    Su l’uscio a rimirar

    Tra le rossastre nubi
    Stormi d’uccelli neri,
    Com’ esuli pensieri,
    Nel vespero migrar.

    Tutto il carme è giocato sull’opposizione luce/ombra che il critico Binni (W. Binni, Carducci ed altri saggi, Torino Einaudi 1960) individua come elemento portante di tutta la poesia e perno della biografia carducciana "radicale incontro e contrasto di un sentimento della vita nella sua perenne e di un ugualmente energico sentimento della morte..".
    Costruito con uno schema chiasmico, San Martino si apre con una prima strofa incentrata su una visione di natura autunnale che non evoca tristezza ed abbandono malinconico quanto un senso cupo di morte. Le due strofe centrali presentano invece immagini confortanti, l’odore dei vini ed i ceppi accesi. Contro l’immagine ossessiva della morte della strofa precedente i simboli solari del vino e del fuoco, che evocano l’idea di gioia e di godimento, rimandano ad una tematica conviviale tipica della poesia classica: si coglie infatti un riferimento alla nota ode oraziana (I, 9 che si rifà a sua volta ad Alceo) in cui dopo un quadro di natura invernale il poeta invita a scacciare la tristezza ravvivando il fuoco e versando copiosamenete il vino.
    L’immagine dell’ultima strofa è affine a quella di apertura , "gli uccelli neri" hanno qualcosa di inqiuetante e di rimando al tema della morte.


    PARAFRASI

    Sempre caro mi è stato questo colle solitario e questa siepe che impedisce di vedere l’orizzonte. Stando fermo e guardando fisso io immagino nel pensiero spazi infiniti al di là di quella siepe e silenzi che un uomo non può percepire e quiete profonde. Per poco il cuore non si smarrisce. E quando sento stormire le foglie a causa del vento io paragono quell’infinito silenzio a questa voce e mi viene in mente l’eternità, le stagioni passate e presenti e i scarsi rumori. Tra questa immensità si smarrisce il mio pensiero ma il lasciarsi andare in questo mare mi è gradito.




     
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  13. DarkItalian190
     
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    :36_1_9.gif: scusa entro oggi potresti darmi la parafrasi di "Un papà di notte alla finestra"?
    se la cerchi su google la trovi subito ;)
    Scusa non vorrei chiedere troppo per l'amor di zeus ( :P ) ma potresti farla corta da...
    5a elementare?
    grazie mille!!!
    :germhello.gif:
     
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    CITAZIONE (DarkItalian190 @ 17/4/2012, 17:13) 
    :36_1_9.gif: scusa entro oggi potresti darmi la parafrasi di "Un papà di notte alla finestra"?
    se la cerchi su google la trovi subito ;)
    Scusa non vorrei chiedere troppo per l'amor di zeus ( :P ) ma potresti farla corta da...
    5a elementare?
    grazie mille!!!
    :germhello.gif:

    scusa...ma non mi hai scritto neppure l'autore.. :4qxek2b.gif: se e' cosi' facile..perche' non te la cerchi da solo?...ciao-ciao..
     
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    parafrasi della passione di Didone(eneide)

    La regina, appena dall'alto della rocca vide biancheggiare
    "la regina vide dall'alto della torre sorgere il giorno
    la luce, e la flotta procedere a vele allineate,
    e vide la flotta che procedeva allineata
    e scorse le rive e i porti nuovi, privi di equipaggi,
    e vide le rive e iporti nuovi, che erano senza equipaggi
    percuotendo tre o quattro volte con la mano il florido
    e si battè per tre o quattro volte la mano sul florido petto
    petto, strappandosi le bionde chiome, <<o Giove>> esclamò,
    mentre si strappava i capelli biondi, esclamò "o giove"
    <<lo straniero se n'andrà schernendo in tal modo il mio regno?
    lo straniero andrà via così dopo aver preso in giro il mio regno?
    I miei non prenderanno le armi, non accorreranno da tutta la città,
    i miei infatti non si armeranno e nessuno accorrerà dalla città
    non strapperanno le navi dai cantieri? Andate, portate
    nessuno prenderà le nvi dai cantier? andate, infuocate
    veloci le fiamme, date armi, forzate sui remi!
    velocemente le loro navi, distribuite le armi e remate velocemente
    Che dico? dove sono? che follia mi sconvolge la mente?
    che dico? dove sono? Quale follia sta tenendo occupata la mia mente
    Infelice Didone! adesso le empie azioni ti toccano?
    infleice Didone! Solo adesso ti senti ferita dalle azioni crudeli?
    Allora dovevano, quando accordavi lo scettro.
    Dovevi pensarci prima quando quando volevi condividere il tuo potere
    Ecco la destra e la lealtà di chi si dice che rechi
    Ecco la destra e l lealtà di chi porta con sé i Penati
    con sè i patrii Penati, ed abbia portato in spalla
    e di colui che ha portato in spalla
    il padre stremato dagli anni! Non potevo sbranarne
    il padre anziano! nn potevo uccidere il suo corpo
    il corpo e disperderlo nell'onde? e uccidere col ferro i compagni
    e poi disperderlo in mare? e ucidere con le armi i suoi compagni?
    e lo stesso Ascanio, e imbandirlo sulla mensa del padre?
    e lo stesso Ascanio e poi servirlo sulla tavola del padrE?
    Ma incerta era la lotta. E lo fosse stata! Chi mai,
    ma la lotta nn era sicura. Magari lo fosse stata! chi mai
    moritura, dovevo temere? Avessi portato fiaccole
    avrei dovuto temere? Se avessi alemno portato le fiaccole
    nel campo, e riempito le tolde di fiamme, estinto il figlio
    nel campo e riempito di fiamme per bruciarvi il figlio
    suo padre e poi tutta la stirpe, e poi gettarmi io stessa sul rogo
    e il padre e la stirpe, e poi anche me stessa!
    O sole, che illumini con le fiamme tutte le opere della terra,
    o sole che illumini co le tue fiamme tutte le cose della terra
    e tu, Giunone, autrice e complice dei miei affanni,
    e tu Giunone che ai voluto e aiutato questi miei dolori
    Ecate invocata per la città nei notturni trivii ululando,
    Ecate incovata con urla nelle vie oscure della città
    e Dite vendicatrici, e dèi della morente Elissa,
    e Dite con voglia di vendetta, e anche voi divinità della morente Elissa
    accogliete quello che dico, punite con giusta potenza i malvagi,
    accogliete le mie preghiere, punite coloro che osno stati malvagi nel modo giusto
    e ascoltate le mie preghiere. Se l'infame deve raggiungere
    ascoltate le mia preghiere, Se il traditore deve raggiungere
    il porto e approdare alla terra e questo richiedono
    il porto e la terra perchè è Giove a volerlo
    i fati di Giove, e il termine resta immutabile:
    sia così:
    ma travagliato dalle armi e dalla guerra d'un popolo audace,
    Ma che sia sconvolto dalle armi e dalla guerra per opera di un popolo abile
    bandito dalle terre, strappato all'abbraccio di Iulo,
    che era stato allontanato dalle terre, portato via all'abbraccio di Tulo
    implori aiuto, e veda le immeritate morti
    che chieda a voi aiuto e veda le morti nn meritate
    dei suoi, e quando si sia piegato alle leggi d'una pace
    dei suoi uomini, e quando si sia abbassato alle leggi di una pace
    iniqua, non goda del regno e del dolce lume;
    iniqua, non goda ne il regno ne il dolce lume
    ma cada prima dell'ora, insepolto tra la sabbia.
    e che muoia prematuramente e senza degna sepoltura
    Di questo vi prego, col sangue effondo quest'ultima voce.
    Questa è la mia preghiera, col sangue io grido quest'ultima voce
    E voi, o Tirii, tormentate con odio la sua stirpe
    e voi o tirii, tormentate tutta la sua stirpe
    e tutta la razza futura, offrite un tal dono
    e tutta la sua futura progenie, offrite un dono simile
    alle nostre ceneri. Non vi sia amore nè patto tra i po$poli.
    alle vostre ceneri. Che i popoli ne si accordino ne si amino
    E sorgi, vendicatore, dalle mie ossa,
    e che nasca una vendetta dalle mie ossa
    e perseguita col ferro e col fuoco i coloni dardanii,
    che perseguiterà con le armi e con il fuoco i coloni dardanii
    ora, in seguito, o quando se ne presenteranno le forze.

     
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181 replies since 11/11/2010, 13:34   260131 views
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