PARAFRASI

tutte quelle che servono sono qui!!!

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  1. Lussy60
     
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    Parafrasi " Il Proemio e la Temepesta"

    PROEMIO
    Canto le imprese di guerra, canto dell'uomo che per primo da Tr. arrivò in Italia, sulle spiagge del Lazio, profugo a causa del Fato.
    Soffrì molto, prima durante la guerra, poi vagando per terre e per mari, a causa della tenace ira di Giunone, dea crudele, finchè finalmente fondò una città e nel Lazio pose gli dei Penati provenienti da Ilio e diede origine, insieme agli albani (di Alba), alla stirpe dei latini e alle fondamenta della superba città di Roma.
    Musa, ricordami tu i motivi per cui dovette soffrire così tanto; ricordami dell'offesa e del rancore della regina del cielo, per cui ella costrinse un uomo famoso per la sua bontà a soffrire così tanto, ad affrontare tutti questi affanni.
    Dunque gli dei sono capaci di odiare così tanto?

    LA COLLERA DI GIUNONE
    Esisteva un tempo una città, abitata dai Tiri, che da lontano osteggiava l'Italia e l foci del Tevere: era Cartagine, città ricca e terribile in guerra. Si dice che fosse la città favorita di Giunone, preferita persino a Samo (la terra nativa della dea) che lì teneva le sue armi e il suo carro divino. Già allora la dea si sforzava in ogni modo per dare a Cartagine l'impero sul mondo, se il destino mai conceda una cosa simile. Ma aveva saputo che dai troiani sarebbe nata una stirpe destinata a distruggere Cartagine, che un popolo con immensi dominii e molto forte in guerra sarebbe arrivato a distruggere la Libia. Le Parche tessevano questo destino.
    Temendo il futuro e memore della guerra che aveva combattuto a Ilio per i suoi amati Achei, Giunone aveva altri motivi per provare rabbia e serbare rancore: le resta nell'animo il giudizio di Paride che aveva disprezzato la sua bellezza, l'odio verso la razza troiana e il risentimento per gli onori dati a Ganimede.
    Risentita per tutti questi affronti la dea teneva lontani dal Lazio, sballottati tra le onde, i Troiani scampati al feroce Achille e ai Greci. E questi erravano per mare da moltissimi anni, in balia del destino. Era infatti così arduo e terribile, fondare la stirpe romana!

    EOLO E LA TEMPESTA
    I Troiani, lasciate indietro le coste della Sicilia, spiegarono le vele verso il largo, e si misero a remare lieti.
    Giunone, sempre rancorosa nei loro confronti, vedendoli pensò: " Dunque devo desistere dal mio intento e darmi per sconfitta, senza essere riuscita a tenere Enea lontano dall'Italia? Il Fato me lo vieta! Però Minerva ha potuto incendiare le navi greche e farle affondare, per punire soltanto Aiace Oileo! Scagliò lei in persona i fulmini di Giove, disperdendo le navi e facendo nascere una tempesta, travolse Aiace colpito dal fulime e lo gettò su uno scoglio uccidendolo. Ma io, io che cammino solennemente in testa a tutti gli dei, io sorella e moglie di Giove, io lotto da tanti anni contro un popolo e non riesco a sconfiggerlo! Chi, d'ora in poi, onorerà il nome di Giunone e farà sacrifici ai miei altari?"
    La dea, rimuginando furiosa su queste cose, giunse all'isola di Eolo, la patria dei venti furiosi. Qui re Eolo tiene prigionieri in un'immensa caverna i venti ribelli, incatenati, e da qui controlla le tempeste.
    I venti fremono nella loro prigione, urlando di rabbia e scuotendo la ontagna; Eolo, seduto in cima al monte con in mano lo scettro, calma il loro furore e tranquillizza i loro animi. Se non lo facesse, i venti distruggerebbero tutti i mari, le terre e i cieli.
    Proprio temendo ciò Giove li aveva rinchiusi in caverne buie, sovrastate da immense montagne, e aveva posto un re che, secondo gli ordini del dio, sapesse di volta in volta lasciarli liberi o tenerli rinchiusi.
    Giunone, con voce supplichevole, si rivolse a Eolo: " Eolo (dato che Giove, padre degli dei e re degli uomini, ti ha dato il potere sui venti con cui puoi calmare le onde o alzarle fino al cielo) una stirpe che odio naviga nel Tirreno, per portare in Italia gli sconfitti Penati e Ilio stessa; scatena su di loro la potenza dei venti, affonda le navi, disperdile per il vasto mare. Ho 14 ninfe stupende e a te darò Deiopea, la più bella di tutte loro, la renderò tua per sempre. Per il servigio che ti sto chiedendo, in cambio lei trascorrerà con te tutta la vita e ti donerà dei figli splendidi."
    Eolo rispose: " Regina, spetta a te scegliere ciò che desideri, io eseguirò i tuoi ordini. E' a te che devo il mio regno, il mio scettro e il benvolere di Giove. E' solo merito tuo se prendo parte ai banchetti divini, se sono il re dei venti."
    Detto questo Eolo battè il fondo del bastone contro il fianco della roccia cava e così i venti irruppero dalla porta, come un esercito, e uscirono per scatenarsi turbinosi su tutta la terra.
    Euro, Noto e Africo (venti dell'est, sud e di sud-ovest) si scatenarono contemporaneamente sul mare, sconvolgendolo fino in profondità e portando enormi onde sulle spiagge.
    Gli uomini presero a gridare di terrore, le sartie delle navi stridettero.
    Nuvole improvvise nascondono agli occhi dei Troiani il cielo e la luce: una notte nera si spande sul mare. Il cielo tuona,nell'aria balenano fulmini e tutto sia in acqua che in cielo fa pensare a una morte imminente per i marinai.
    Enea si sente congelare di paura, piangendo alza le mani verso le stelle e dice: " E' mille volte beato chi fu così fortunato da morire sotto le mura di Ilio, davanti agli occhi del padre! Se solo fossi morto sotto i tuoi colpi, Diomede, il più forte dei Greci, nei campi d'Ilio dove giace Ettore ucciso dal figlio di Teti (Achille), lì dove giace il grande Sarpedonte e dove il fiume Simoenta passa sopra a tanti scudi, elmi e cadaveri di eroi!"
    In quel momento una raffica dell'Aquilone (vento del nord) colpisce la vela della nave e solleva le onde fino al cielo. I remi si spezzano, la prua gira e la nave si mette di lato ai cavalloni; sopraggiunge una montagna d'acqua, impetuosa.
    I marinai stanno sospesi, sopra le onde, alcuni invece vedono il fondo di sabia, tra le onde impazzite: la tempesta sconvolge anche la sabbia.
    Tre navi, spinte da Noto, si schiantano contro gli scogli che gli italici chiamano Are (sono scogli immensi che sfiorano la superficie del mare); Euro sospinge altre tre navi verso banchi di sabbia e le circonda di terra da ogni lato.
    Un'onda immensa colpisce la poppa della nave su cui erano i Lici e il fidato Oronte, proprio davanti agli occhi di Enea; il timoniere viene preso e gettato tra i flutti; un vortice fa girare la nave per tre volte su se stesa, prima di inghiottirla.
    Pochi naufraghi nuotano nell'immensa distesa marina e tra le tavole di legno galleggiano, sparsi qua e là, le armi e i tesori dei guerrieri.
    Intanto la tempesta distrugge la solida nave di Ilioneo, quella del forte Acate, di Abante e del vecchio Alete; tutti hanno falle da cui entra l'acqua, nemica, e il fasciame non resiste più.

    Intanto Nettuno si accorse, dal fatto che il mare rumoreggiava molto, che era in atto una tremenda tempesta, che sconvolgeva il mare fino al fondo sabbioso.
    Ne fu molto sorpreso, così sollevò la testa placidamente di poco al di sopra delle onde e, guardandosi attorno, vide la flotta di Enea dispersa nell'oceano, vide i Teucri sopraffatti dalle onde e dalla rabbia dei venti.
    Capì subito che era stato un inganno di Giunone, chiamò a sè i venti Euro e Zefiro (in realtà chiama tutti i venti) e disse: " Tutta questa aroganza deriva dai Titani, stirpe ribelle da cui discendete? Come osate, venti, sconvolgere cielo e terra, sollevare ondate immense senza il mio permesso? Non sapete cosa vi farò! Ma ora è meglio calmare e acque. Vi punirò in seguito. Ora fuggite, in fretta, correte a riferire al vostro padrone che ho io il dominio del mare, ho io il tridente, non lui. Eolo governa i monti dove risiedete voi, venti! Faccia ciò che vuole a casa sua, nel suo palazzo, e che regni solo sul vostro carcere!"
    Neanche aveva finito di parlare che già i flutti si eramo calmati e le nubi si erano disperse, riportando il sole. Tritone e Cimotoe (aiutanti di Nettuno) liberarono le navi rimaste in secca sugli scogli, unendo i loro sforzi. Nettuno stesso alzò il tridente e creò una via d'uscita dalle secche, calmando intanto il mare. Poi, con le ruote leggere del suo cocchio, sfiorò le onde.
    Come succede spesso, quando in mezzo alla folla si è accesa una rivolta e la plebe scalpita, fa volare sassi e tizzoni ardenti, la rabbia muove le mani di tutti, ma poi ecco apparire un uomo illustre, famoso per i suoi meriti, e la folla si zittisce, si ferma. Ed egli calma gli animi con le sue parle e intenerisce i cuori. Ecco, così il fragore del mare finì, quando Nettuno, guardando le acque, lanciò al galoppo i suoi cavalli





    Parafrasi "Il sabato del villaggio", di Giacomo Leopardi


    La ragazza torna dalla campagna al tramonto con il fascio di erba da dare agli animali. Torna anche con un mazzo di rose selvatiche, dato che si vuole ornare il petto e i capelli per il giorno di festa.

    Davanti alla porta di casa siede con le vicine un’anziana con lo sguardo rivolto al sole che tramonta.

    Racconta la sua giovinezza, quando al giorno di festa si abbelliva e, ancora sana e snella, era solita ballare quelle sere con tutti gli amici.

    Già il cielo si scurisce e si tinge di blu e tornano le ombre giù dalle colline e dai tetti alla luce della luna appena sorta.

    Il suono di una campana dà il segno della festa che inizia e, a sentire quel suono, il cuore si conforta.



    I bambini gridano nella piazza, e saltano qua e là, fanno un rumore bello, e intanto alla tavola imbandita poveramente lo zappatore che pensa al suo giorno di riposo.



    Poi, quando tutte le luci sono spente, e tutto tace, senti ancora il falegname lavorare per ultimare il lavoro da consegnare l’indomani.



    Il sabato è il giorno più bello pieno di speranza e gioie; domani ci saranno tristezza e noia e si penserà al lavoro abituale.



    Ragazzo allegro, questa età fiorita è come un giorno di primavera, che precede la giovinezza.

    Fanciullo, apprezza questa tua età soave.

    Non voglio dirti altro, ma la tua età, anche se tardi a venire, non ti pesi.



    Parafrasi "Il tuono", di Giovanni Pascoli


    E nella notte buia come il nulla, ad un certo punto, con il rumore di una frana, il tuono rimbombò improvvisamente; rimbombò, si ripeté, si affievolì e poi tacque, poi tornò di nuovo a rumoreggiare, poi svanì. Allora si sentì il canto dolce di una madre, e il dondolare di una culla.



    Parafrasi "Imitazione", di Giacomo Leopardi


    ccata dal proprio ramo,

    povera foglia fragile (frale: debole, in balia del vento; foglia frale è un’allitterazione), dove vai?

    Il vento mi ha portato via dal faggio su cui sono cresciuta. Mi staccò (mi divise) il vento.

    Esso (il vento) cambiando di volta in volta direzione (tornando) volando sul bosco, sulla campagna, mi porta dalla valle alla montagna.

    Con il vento (seco) vado continuamente come un pellegrino, e non so nient'altro (e tutto l’altro ignoro: ignoro tutto ciò che sia diverso da questo essere portata dal vento; risponde all’interrogativo del v.3).

    Vado dove vanno tutte le altre cose, dove va naturalmente (naturalmente: per legge di natura) la foglia di rosa e la foglia d'alloro (forse si tratta di un riferimento alla fugacità della bellezza e della gloria).




    Parafrasi "In morte del fratello Giovanni", di Ugo Foscolo


    Testo
    Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
    di gente in gente, me vedrai seduto
    su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
    il fior de' tuoi gentil anni caduto.

    La Madre or sol suo dì tardo traendo
    parla di me col tuo cenere muto,
    ma io deluse a voi le palme tendo
    e sol da lunge i miei tetti saluto.

    Sento gli avversi numi, e le secrete
    cure che al viver tuo furon tempesta,
    e prego anch'io nel tuo porto quiete.

    Questo di tanta speme oggi mi resta!
    Straniere genti, almen le ossa rendete
    allora al petto della madre mesta.

    Parafrasi
    Un giorno se io non sarò sempre costretto a fuggire di paese in paese mi vedrai seduto sulla tua tomba a piangere per la tua morte.
    Ora solo nostra madre ormai vecchia parlerà di me e io non posso fare altro che porgere le mie braccia e salutare la mia città.
    Sento anch’io l’ostilità degli dei e le angoscie che hanno turbato la tua vita.
    Adesso mi resta solo il desiderio di morire!
    Dopo la mia morte, che avverrà lontano dalla mia città, vorrei solo che le persone portino a mia madre le mie ossa.
     
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