DINOSAURI...e ANIMALI PREISTORICI

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    Piume di dinosauro



    Un gruppo di paleontologi cinesi ha scoperto un frammento di coda di dinosauro perfettamente conservato nell’ambra e, per la prima volta, con ciuffi di piume chiaramente visibili. Il ritrovamento è stato descritto sulla rivista scientifica Current Biology da Lida Xing dell’Università di Bioscienze della Cina, che ha spiegato di avere trovato un’ampia serie di fossili lo scorso anno in un mercato del Myanmar, compreso il frammento di coda.



    I paleontologi sanno da tempo che numerose specie di dinosauri avevano le piume, e che erano sostanzialmente grandi uccelli (non necessariamente tutti in grado di volare), ma la scoperta è comunque molto importante perché dà la possibilità di farsi meglio un’idea di come fosse il piumaggio di alcuni di questi animali e quali funzioni assolvesse. Secondo le teorie più condivise, gli uccelli dei giorni nostri si evolsero da un gruppo di dinosauri saurischi carnivori chiamati teropodi. Sulla base dei fossili trovati finora, si ipotizza che i dinosauri avessero le piume per lo meno nel Cretaceo, il periodo di tempo tra 145 e 65 milioni di anni fa.



    Il frammento di coda trovato in Myanmar è lungo circa 3,5 centimetri ed è uno dei rarissimi casi in cui ci sono sia piume sia frammenti di osso. Considerate le dimensioni e lo stadio di sviluppo delle piume, il frammento di coda apparteneva a un esemplare di dinosauro di piccola taglia, probabilmente non più grande di un passero e appartenente al gruppo dei celurosauri, che includeva anche il sottogruppo dei tirannosauroidi. Era ancora un pulcino quando morì, probabilmente in prossimità della corteccia di un albero, dal quale fuoriusciva della resina.



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    Mini Jurassic Park, ottenuti moscerini con antichi geni



    In un Jurassic Park in miniatura, moscerini della frutta sono stati modificati con antichi geni e trasformati in laboratori viventi per studiare passaggi cruciali dell'evoluzione. L'esperimento, che ha ottenuto i primi organismi che contengono antichi geni ricostruiti in laboratorio. è pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution e si deve ai ricercatori coordinati da Joe Thornton, dell'universita' di Chicago.

    ''Uno degli obiettivi della moderna biologia evolutiva è identificare i geni che hanno permesso alle specie di adattarsi a nuovi ambienti'' ha detto il primo autore, Mo Siddiq, dell'universita' di Chicago. Tuttavia, ha aggiunto ''finora non e' stato possibile testare direttamente negli animali gli effetti degli antichi geni''. Adesso, ha proseguito ''ci siamo resi conto che possiamo farlo grazie all'ingegneria genetica''.

    Nel primo test di questo tipo, i ricercatori hanno scelto il moscerino della frutta Drosophila melanogaster, uno degli organismi piu' studiati nella genetica. Il primo passo e' stato ricostruire in laboratorio le antiche sequenze del gene considerato il principale regista dell'adattamento di questo insetto a vivere nella frutta in decomposizione ricca di alcol.

    Il gene si chiama Adh e governa la produzione dell'enzima che scompone l'alcol nelle cellule. Le sue antiche sequenze, prima e dopo l'adattamento all'alcol della Drosophila, avvenuta nel periodo compreso tra 2 a 4 milioni di anni fa, sono state dedotte usando simulazioni matematiche. Il passo successivo e' stato inserire nel Dna dell'insetto le antiche sequenze ricostruite in laboratorio.

    "Esperimenti di questo tipo permettono di valutare quali sono stati i processi evolutivi che hanno portato allo sviluppo degli organismi viventi", ha osservato Fiorentina Ascenzioni, biologa all'universita' Sapienza di Roma. Inoltre, ha aggiunto, "queste ricerche potrebbero anche aiutare a prevedere quali potrebbero essere gli effetti dei cambiamenti di alcuni geni in risposta alle variazioni ambientali".


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    Un insetto simile a ET imprigionato nell'ambra




    In un articolo pubblicato sulla rivista Cretaceo Research , i ricercatori della Oregon State University ha descritto una specie di insetti mai visti prima si trovano in un pezzo di 100 milioni di anni, l'ambra scavata da una miniera in Myanmar (precedentemente conosciuto come Birmania). "Ambra dal Myanmar ha rivelato fossili molto interessanti, molti dei quali rappresentano lignaggi estinti che non hanno stretta associazione con nessun gruppo esistenti", ha detto gli autori.

    "Esempi precedenti includono mosche con protuberanze corno-come emerge dalle loro teste, un ape fossile con alcune caratteristiche derivanti dal vespe ancestrali e una vespa senza ali bizzarro privo di ogni indicazione di una vita."
    "Ora descriviamo un insetto senza ali che visualizza caratteristiche sconosciute in qualsiasi ordine di insetti esistenti 59 o estinte."L'insetto, chiamato Aethiocarenus burmanicus , ha una testa triangolare, quasi alieno e 'ET-like' aspetto.
    "Non avevo mai davvero visto nulla di simile", ha detto il Prof. George Poinar, Jr. , autore principale sulla scoperta
    "Questo insetto ha una serie di caratteristiche che semplicemente non corrispondono a quelle di tutte le altre specie di insetti che conosco."
    "Forse più insolita era una testa triangolare con occhi sporgenti, con il vertice del triangolo rettangolo situato alla base del collo. Diverso da qualsiasi altro insetto conosciuto, e avrebbe dato questa specie la capacità di vedere quasi 180 gradi ruotando la testa di lato ".
    "La cosa più strana è che la testa sembrava così tanto come il modo in cui gli extraterrestri sono spesso dipinti. Con il suo lungo collo, occhi grandi e strana testa oblunga, ho pensato che assomigliava ET "

    Aethiocarenus burmanicus probabilmente ha vissuto nelle fessure nella corteccia degli alberi, alla ricerca di acari, vermi o funghi per nutrirsi, mentre i dinosauri erano nelle vicinanze.
    L'insetto, probabilmente un onnivoro, ha avuto anche una lunga e stretta, corpo piatto, e gambe lunghe e sottili.
    La testa si girava rapidamente, e letteralmente poteva vedere dietro di sé.
    Aveva anche le ghiandole sul collo che secreti un deposito che il Prof. Poinar e il suo collega, Alex Brown, ritengono più probabile era una sostanza chimica per respingere i predatori.
    Aethiocarenus burmanicus è stato assegnato l'ordine appena creato Aethiocarenodea.
    "Sembra essere unico al mondo nella famiglia degli insetti, e dopo molte discussioni abbiamo deciso che doveva prendere il suo posto in un nuovo ordine", ha spiegato il prof Poinar.


    G. Poinar Jr. & AE Brown. 2017. Un insetto esotico Aethiocarenus burmanicus gen. et sp. novembre (Aethiocarenodea ord. Novembre, Aethiocarenidae fam. Novembre) a partire da metà Cretaceo Myanmar ambra. La ricerca Cretaceo 72: 100-104; doi: 10.1016 / j.cretres.2016.12.011
    www.sci-news.com/





    La testa grande e triangolare ricorda quella di ET e al primo sguardo sembra una creatura aliena, ma è un insetto vissuto sulla Terra 100 milioni di anni fa e rimasto intrappolato nell'ambra. È così diverso da tutti gli insetti finora noti che per classificarlo è stato individuato un nuovo ordine, un evento rarissimo nella storia della biologia. Descritto nella rivista Cretaceous Research, è stato scoperto nel Myanmar, nelle miniere della Valle di Hukawng, dai ricercatori dell'Oregon State University.

    Caratteristiche mai viste
    "Questo insetto ha una serie di caratteristiche che non corrispondono a quelle di tutte le altre specie di insetti note", ha detto l'entomologo George Poinar, dell'Oregon State University, esperto di forme di vita animale e vegetale imprigionate nell'ambra. "Non avevo mai visto nulla di simile - ha aggiunto - e questo esemplare sembra essere unico nel mondo degli insetti, tanto che dopo molte discussioni abbiamo deciso che doveva prendere il suo posto in un nuovo ordine".

    Un nuovo ordine
    Così l'insetto è stato assegnato all'ordine degli Aethiocarenodea, e la sua specie è stata chiamata Aethiocarenus burmanicus, in riferimento al luogo dove è stato scoperto, la Birmania o Myanmar.
    Questo piccolo insetto senza ali, probabilmente viveva nelle fessure della corteccia degli alberi alla ricerca di acari, vermi o funghi per nutrirsi.

    La testa triangolare ruotava a 180 gradi
    Forse la sua caratteristica più insolita, ha detto Poinar, era la testa triangolare con gli occhi sporgenti, e il vertice del triangolo situato alla base del collo. Questa caratteristica è unica e avrebbe dato a questa specie la capacità di ruotare la testa di lato e avere una visione a 180 gradi. L'insetto aveva inoltre un corpo lungo, stretto e piatto, con zampe lunghe e sottili. Probabilmente riusciva a spostarsi molto rapidamente e si difendeva dai predatori grazie a una sostanza chimica, che produceva con le ghiandole che aveva sul collo.



    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
    (fonte: George Poinar, Oregon State University)
     
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    particolare di un murale del 1916 del pittore americano Charles R. Knight

    Il mammut lanoso (Mammuthus primigenius) è forse il più famoso degli animali estinti. Visse tra 2,6 milioni e 11.700 anni fa, in Europa, Asia e Nordamerica. Non era gigantesco come spesso si pensa, ma grande poco meno dell'attuale elefante africano; il suo parente più prossimo tra le specie tuttora esistenti è l'elefante asiatico.
    Si pensa che si sia estinto per una combinazione di due fattori, da un lato il cambiamento climatico che si verificò alla fine dell'ultima era glaciale e fece aumentare le temperature nel suo habitat, dall'altro l'intensa caccia da parte degli umani che la specie dovette subire. Per gli uomini era complicato uccidere un esemplare di mammut, ma in gruppo ne erano capaci; al tempo stesso i tempi di riproduzione di questi animali erano molto lunghi, come per i moderni elefanti, ragion per cui la specie faceva fatica a mantenere il suo numero di esemplari costante.

    (Wikipedia Commons)




    ricostruzione di rinoceronte lanoso fatta da Charles R. Knight

    Come i mammut, il rinoceronte lanoso (Coelodonta antiquitatis) viveva sulla Terra al tempo delle glaciazioni. Era diffuso in Europa e in Asia, soprattutto in Russia, dove c'erano anche molti mammut lanosi, e il suo nome è dovuto al fatto che tutto il suo corpo era ricoperto da un fitto strato di pelo.
    Le cause della sua estinzione sono probabilmente le stesse di quella dei mammut: la caccia praticata dagli esseri umani insieme ai cambiamenti climatici seguiti al periodo delle glaciazioni.
    Il parente più prossimo di questo animale è l'attuale rinoceronte di Sumatra (Dicerorhinus sumatrensis), una specie in via di estinzione di cui rimangono meno di 275 esemplari.
    (Wikipedia Commons)



    (Peter Macdiarmid/Getty Images)

    Il cranio di una tigre dai denti a sciabola, cioè di un animale appartenuto alla sottofamiglia dei Machairodontinae, che si estinse circa 11mila anni fa. I loro resti sono stati trovati in tutti i continenti.
    Queste "tigri" si svilupparono molti milioni di anni prima delle odierne sottofamiglie di felini e non sono strettamente imparentate con nessuna specie di oggi.
    Non si sa con esattezza perché si siano estinte ma è probabile che sia successo a causa dell'estinzione degli animali di cui le tigri si cibavano.

     
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  7. gheagabry
     
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    .Scoperta la 'Monna Lisa' dei dinosauri: è una nuova specie corazzata, considerata tra le più belle individuate finora. Vissuta 110 milioni di anni fa, si chiama Borealopelta markmitchelli, e il suo fossile è stato scoperto ad Alberta in Canada. La nuova specie è descritta sulla rivista Current Biology dai paleontologi del Royal Tyrrell Museum in Canada.

    Il fossile è eccezionale, perché ''è completamente ricoperto di pelle ben conservata in tre dimensioni, e questo ha fatto mantenere la forma originale dell'animale'', ha rilevato uno degli autori, Caleb Brown. ''E' uno dei più belli e meglio conservati esemplari di dinosauri: la Monna Lisa dei dinosauri'', ha aggiunto.

    La nuova specie appartiene alla famiglia dei nodosauri: erbivori corazzati vissuti principalmente nel Cretaceo. Era un dinosauro molto imponente: misurava 5,5 metri di lunghezza e pesava 1,5 tonnellate, ed era 'armato fino ai denti', tanto da essere considerato l'equivalente di un carro armato. Tuttavia nonostante le sue dimensioni e la sua corazza, questo nodosauro aveva molti predatori: erano i temutissimi dinosauri carnivori del Cretaceo, dai quali era costretto a difendersi con il camuffamento.

    E' stato possibile giungere a tale conclusione analizzando la pelle straordinariamente ben conservata, al punto che è stato possibile ricostruirne la colorazione, che era rossastro-marrone ed esibiva una forma comune di camuffamento, usata anche da molte specie di oggi, in cui la parte inferiore è più chiara rispetto alla parte superiore del corpo. Questo suggerisce che il dinosauro fosse sotto una pressione tale da parte dei predatori da scegliere di nascondersi.

    Il fossile è stato scoperto per caso nella miniera Suncor Millennium ad Alberta da un operaio che ha notato qualcosa di insolito in alcune formazioni rocciose. I paleontologi del Royal Tyrrell Museum, e soprattutto il tecnico Mark Mitchell, hanno impiegato cinque anni e mezzo per rimuovere delicatamente la roccia da tutto il fossile, per questo la nuova specie è stata chiamata Borealopelta markmitchelli, in onore di Mitchell.

    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA




    Circa 110 milioni di anni fa, nell'odierna Alberta, in Canada, un dinosauro simile a un ananas di 1270 chili (ne abbiamo parlato in questo servizio dal numero di giugno del magazine) morì trascinato da un fiume in piena. I suoi resti rappresentano i fossili meglio conservati di questo tipo mai ritrovati finora. Il dinosauro adesso ha anche un nome: Borealopelta markmitchelli, un dinosauro erbivoro corazzato, un nodosauro, che viveva nel Cretacico. In seguito alla sua morte, la sua carcassa fu trascinata sul fondo fangoso di un antico fiume, dove la metà anteriore del corpo si è conservata in modo straordinario.
    Scoperto per caso nel 2011 e mostrato per la prima volta a maggio al Royal Tyrrell Museum, nell'Alberta, il fossile ha subito offerto al mondo un'immagine senza precedenti dell'anatomia e della vita dei dinosauri corazzati.
    "È un magnifico esemplare", dichiara Victoria Arbour, ricercatrice post-dottorato al Royal Ontario Museum di Toronto, che si sta occupando dello studio di un altro dinosauro corazzato che si è ben preservato, Zuul crurivastator. "È fantastico aver riportato alla luce esemplari come Borealopelta markmitchelli e Zuul, che ci danno un'idea dell'aspetto di questi dinosauri quando erano in vita.
    Oltre ad annunciare il suo nome, la prima descrizione scientifica del nodosauro, pubblicata su Current Biology, rivela altri dettagli di questo dinosauro.
    "Sei anni fa sapevamo che si sarebbe rivelata una scoperta straordinaria", racconta Don Henderson, curatore dei dinosauri al Royal Tyrrell Museum. "Ma non credo fossimo consapevoli che lo sarebbe stato a questi livelli".



    È stato un lungo percorso, quello che ha condotto alla scoperta di Borealopelta. Il dinosauro fu portato alla luce il 21 marzo 2011, quando l'operatore Shawn Funk trovò per caso il fossile in una miniera nell'Alberta settentrionale, gestita dalla società energetica Suncor.
    Il fossile fu poi trasportato al laboratorio di preparazione del Royal Tyrrell Museum, dove il tecnico Mark Mitchell lo liberò pazientemente dalla roccia circostante: un'impresa durata più di 7 mila ore in quasi sei anni (solo per liberare il cranio sono stati impiegati circa otto mesi).
    "Se non fosse stato per il suo impegno, [Borealopelta] probabilmente non sarebbe mai venuta alla luce", dichiara Caleb Brown, ricercatore post-dottorato al Royal Tyrrell Museum e coordinatore del nuovo studio. "È un lavoro enorme. Spesso sono i tecnici preparatori i veri eroi, che restano nell'ombra".
    Tale lavoro incredibile è stato ricompensato da uno straordinario privilegio. Il nuovo studio conferma che il dinosauro rappresenta un nuovo genere e una nuova specie, il cui nome significa "la corazza settentrionale di Mark Mitchell", un riferimento allo scopritore del fossile, alla corazza dell'animale perfettamente conservata e al luogo in cui i suoi resti sono stati portati alla luce.
    "Ero molto emozionato [quando ho scoperto il suo nome]", racconta Mitchell. "Ho alzato le mani in aria e ho esultato".



    L'affermazione più audace dello studio riguarda la potenziale colorazione del nodosauro, che secondo gli autori si sarebbe preservata sotto un rivestimento nerastro che ricopre gran parte della superficie del corpo.
    Jakob Vinther, paleontologo dell'Università di Bristol, coautore dello studio, sostiene di aver trovato tracce chimiche di feomelanina, un pigmento rosso-marrone, all'interno di questi rivestimenti, che si pensa possano essere i resti della pelle del dinosauro.
    È importante sottolineare che Vinther e i colleghi non hanno trovato segni del pigmento su tutta la superficie dell'animale. Dopo aver effettuato il campionamento lungo le sezioni trasversali del fossile, Vinther sostiene che nel ventre non fosse presente feomelanina, cosa che avrebbe reso quella parte dell'animale di un colore più chiaro.
    Se in alcuni animali il dorso scuro e il ventre chiaro servono per aiutare a regolare la temperatura corporea, in altri la loro presenza costituisce un metodo di camuffamento, la controilluminazione. Le due tonalità di colore riducono la visibilità di un animale quando viene avvistato da lontano, rendendo così più difficile la sua individuazione da parte dei predatori.
    Negli attuali ecosistemi, i mammiferi terrestri costituiti da massa corporea superiore a circa una tonnellata, come i rinoceronti, non hanno bisogno di adottare questo tipo di strategia di difesa visiva per tenere a bada i predatori. Al contrario, se il grande e corazzato Borealopelta ricorreva alla controilluminazione, vuol dire che i suoi predatori dovevano essere davvero temibili.
    "Sostanzialmente, il Cretacico era spaventoso", spiega Vinther. "La prova è nel fatto che i teropodi si cibavano di Borealopelta e di altri grandi erbivori ben corazzati, uccidendoli e divorandoli".



    Secondo alcuni esperti, tuttavia, il nuovo studio non presenta evidenze sufficienti del fatto che il dinosauro ricorresse alla controilluminazione.
    "L'esemplare è senza dubbio incredibile. È una scoperta paleontologica assolutamente straordinaria", afferma Alison Moyer, ricercatrice post-dottorato della Drexel University, a Philadelphia, che ha studiato tessuti molli fossilizzati. Tuttavia, "lo studio relativo alla pigmentazione e alla colorazione - e alle conseguenti conclusioni sul rapporto predatore-preda - suscita ancora molti dubbi".
    Le prove di Vinther, acquisite grazie agli studi finanziati dalla National Geographic Society, sono indirette. Nonostante l'incredibile conservazione del nodosauro, il paleontologo è riuscito a individuare solo tracce di sostanze chimiche che si pensa possano essere rilasciate quando questo particolare pigmento si scompone.
    Secondo Moyer, lo studio non spiega chiaramente come la chimica del fossile possa essere cambiata nel tempo, né se il rivestimento nerastro sia davvero pelle fossilizzata oppure costituisca i resti di un rivestimento batterico che si è formato sul dinosauro in decomposizione. La ricercatrice osserva, inoltre, che la pelle preservata non si estende al ventre di Borealopelta, e dunque non è convinta del fatto che in questa parte del corpo mancasse la pigmentazione. Inoltre, diversi studi hanno documentato la stessa sostanza chimica, indicandola come componente naturale dei sedimenti marini, precisamente quelli in cui Borealopelta si è fossilizzato. "Ci sono infinite possibilità, più prudenti rispetto alle conclusioni sulla retroilluminazione, che non sono state prese in considerazione", dice.

    La paleontologa Mary Schweitzer della North Carolina State University, massima esperta nella conservazione dei tessuti molli nei dinosauri, è d'accordo con Moyer. "A mio avviso, i dati non supportano le loro conclusioni", afferma.
    Vinther risponde che non ha trovato nessuna sostanza chimica nei sedimenti che circondavano il fossile, ma solo nella presunta pelle di Borealopelta, e anche ad alte concentrazioni.
    In ogni caso - dichiara Johan Lindgren, paleontologo dell'Università di Lund (Svezia) - è possibile che le sostanze chimiche associate a feomelanina provenissero in realtà da altre sostanze localizzate all'interno o sulla superficie del dinosauro, liberate durante la fossilizzazione. "Ciò sottolinea ancora una volta la nostra esigua conoscenza su come i tessuti molli si siano preservati negli animali", dice.
    I ricercatori che studiano Borealopelta pongono l'accento sul fatto che il loro studio è il primo a fare riferimento alla colorazione del dinosauro, ma che certamente non sarà l'ultimo.
    Henderson aggiunge che attende con ansia gli anni in cui si aprirà il dibattito stimolato dallo studio del nodosauro. L'esemplare è conservato in un museo, dove altri studiosi potranno analizzarlo ulteriormente ricorrendo a tutti i tipi di tecniche.
    Borealopelta - conclude - "è conservato in un luogo sicuro per la sua eccezionalità, non è tenuto nascosto nel salotto di una persona qualsiasi".


    (www.nationalgeographic.it, 04 agosto 2017) © RIPRODUZIONE RISERVATA

     
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    C’era una volta una rana che mangiava i dinosauri




    È l'ipotesi di un gruppo di ricercatori che ha studiato le "rane diavolo",
    estinte 65 milioni di anni fa e che potevano pesare fino a 4,5 chili


    Tra 65 e 70 milioni di anni fa in Madagascar vivevano delle rane molto più grosse di quelle attuali: chiamate dai biologi rane diavolo, erano lunghe fino a 40 centimetri, pesavano fino a 4,5 chili e secondo uno studio pubblicato la settimana scorsa sulla rivista Scientific Reports forse potevano mangiare dinosauri e coccodrilli. Un gruppo di ricercatori britannici, australiani e statunitensi ha stimato la forza che queste rane potevano mettere nei loro morsi basandosi sui dati relativi ai Ceratophrys cranwelli, una specie di rane sudamericane non estinta che a differenza della maggior parte degli anfibi è capace di usare mascella e mandibola con grande forza. Stando ai calcoli dei ricercatori, le rane diavolo erano in grado di dare morsi che gli avrebbero permesso di mangiare cuccioli di coccodrilli e piccoli dinosauri non volanti che vivevano nel periodo Cretaceo.
    Il nome scientifico delle rane diavolo è Beelzebufo ampinga, che deriva dalle parole “belzebù” e “bufo”, cioè “rospo” in latino, e “ampinga” che in malgascio significa “scudo”. I fossili di questi animali sono stati trovati per la prima volta negli anni Novanta e i biologi hanno classificato la specie nel 2008. Tra le rane non estinte, le rane diavolo assomigliano molto alle Ceratophrys, specie di rane sudamericane particolarmente voraci: sono predatrici che usano la tecnica dell’attesa nella più completa immobilità per sorprendere le proprie prede e a differenza di altre rane hanno dei denti molto appuntiti. Le Ceratophrys cranwelli possono arrivare a pesare 148 grammi, quindi sono molto più piccole di quanto fossero le rane diavolo, ma facendo delle proporzioni tra le dimensioni delle teste di queste due specie, i ricercatori sono giunti alla conclusione che le rane estinte potessero mordere con una forza compresa tra 500 e 2.200 Newton – l’unità di misura della forza nel sistema internazionale – cioè con una forza simile a quella con cui mordono gli attuali mammiferi carnivori di grossa taglia.
    Considerando la forza con cui le rane diavolo potevano mordere, gli scienziati hanno ipotizzato che questi animali fossero in grado di mangiare piccoli coccodrilli e piccoli dinosauri. Tuttavia si tratta solo di un’ipotesi: può darsi che i muscoli delle rane diavolo fossero diversi da quelli delle Ceratophrys cranwelli e che quindi in realtà i loro morsi non fossero formidabili quanto stimato. Nel lavoro dei biologi evoluzionisti però l’unico modo per provare a fare delle ipotesi su come vivevano gli animali del passato, una volta studiati i fossili, è osservare i loro parenti più prossimi che ancora ci sono.
    In aggiunta alla sua stazza e alla sua possibile dieta, la ragione per cui la rana diavolo ha destato molta attenzione nel mondo scientifico è la sua presenza in Madagascar: le specie attuali più vicine ai Beelzebufo ampinga, come i Ceratophrys cranwelli, vivono tutte in America del Sud, che si trova da tutt’altra parte rispetto all’isola africana. La maggior parte degli scienziati ritiene che il Madagascar si sia separato dall’Africa circa 160 milioni di anni fa, con la rottura del supercontinente Gondwana, e che poi si sia staccato dall’India 88 milioni di anni fa: la presenza dei fossili di rane diavolo sembra indicare che esistesse una connessione terrestre tra America del Sud e Madagascar fino a 70 milioni di anni fa.


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  9. gheagabry
     
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    Il brutto anatroccolo della preistoria
    era un dinosauro




    Muso da papero, lungo collo da cigno e corpo da velociraptor: assomiglia ad un brutto anatroccolo preistorico, il primo dinosauro anfibio simile agli uccelli acquatici. Chiamato Halszkaraptor escuilliei, è vissuto 75 milioni di anni fa nell'attuale Mongolia: grande quanto un pollo, poteva muoversi sulla terraferma con le zampe posteriori e nuotare usando gli arti anteriori come pinne. Il suo fossile, sottratto al mercato nero, è stato analizzato ai raggi X del sincrotrone di Grenoble (Esrf) dal gruppo internazionale guidato da Andrea Cau, paleontologo del Museo 'Capellini' dell'Università di Bologna, che pubblica i risultati su Nature.



    "Lo scheletro di questo esemplare tardo adolescente è molto ben conservato, anche se in parte intrappolato nella roccia: il dinosauro viveva infatti in un ambiente semi-desertico dove le piogge monsoniche potevano trasformare le dune di sabbia in colate di cemento", spiega Cau all'ANSA.





    "La sua anatomia è talmente bizzarra che abbiamo usato il sincrotrone per assicurarci che non si trattasse di un falso. Abbiamo così ottenuto la più dettagliata scansione mai fatta su un fossile, che ci ha permesso di scoprire particolari altrimenti invisibili, come la presenza di un organo sensoriale simile a quello dei coccodrilli, per percepire le vibrazioni dell'acqua, e numerosi denti nel becco, che fanno pensare ad un predatore di pesci, crostacei, molluschi e insetti".(Ansa)



    Lo studio delle ossa del fossile ha permesso di identificarlo come un teropode, cioè quel gruppo di dinosauri da cui discendono gli uccelli e di cui facevano parte sia il velociraptor che il tirannosauro. Gli scienziati hanno anche fatto diverse ipotesi sul suo stile di vita basandosi sulla forma del suo collo e dei suoi arti e sono giunti alla conclusione che l’Halszkaraptor fosse un abile nuotatore e si nutrisse di pesci, immergendo la bocca sott’acqua per catturarli come i moderni cormorani. Non si conoscono altri tipi di dinosauri con questa dieta – i plesiosauri e gli ittiosauri erano rettili marini, non dinosauri.
    Per quanto riguarda la bocca, l’Halszkaraptor aveva più del doppio dei denti della maggior parte dei dinosauri e la forma del suo cranio, con molto spazio per vasi sanguigni e nervi, lo rendeva probabilmente molto sensibile in questa parte del corpo: come i moderni coccodrilli. Gli arti inferiori erano lunghi in proporzione al resto del corpo, ma non molto adatti per la corsa; anche la coda era lunga, ma non abbastanza da controbilanciare il collo, per questo gli scienziati ritengono che l’animale si muovesse in una posizione eretta, più pronunciata rispetto a quella delle specie più simili, ma meno rispetto a quella dei pinguini.
    La caratteristica peculiare dell’Halszkaraptor, quella che lo distingue di più dagli altri dinosauri, sono gli arti superiori: hanno proporzioni simili a quelli delle ali degli uccelli che nuotano, come i pinguini, ma non sono pinne. Il fossile non permette di capire se l’Halszkaraptor nuotasse come i pinguini, ma la forma degli arti inferiori, adatta alla locomozione sulla terra ferma, insieme alle caratteristiche che invece sembrano indicare uno stile di vita acquatico, ha fatto pensare agli scienziati che lo hanno studiato che l’animale vivesse come un anfibio, dentro e fuori dall’acqua. È il primo dinosauro per cui si giunge a una conclusione del genere.


    L’Halszkaraptor escuilliei è stato chiamato così in onore della paleontologa polacca Halszka Osmólska (1930-2008), che scoprì più di dieci specie di dinosauri in Mongolia, e di Escuillié.


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    Edited by gheagabry - 9/12/2017, 11:16
     
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    Il pipistrello gigante che camminava su 4 zampe


    fonte: Gavin Mouldey

    Ritrovato il fossile di un antico pipistrello gigante ormai estinto, che era 3 volte più grande della media dei pipistrelli moderni: vissuto almeno 16 milioni di anni fa in quella che oggi è la Nuova Zelanda, volava tra gli alberi della foresta e, al momento giusto, si posava sui rami o a terra per muoversi sulle 4 zampe alla ricerca di cibo, per lo più vegetali e piccoli animali vertebrati. Chiamato 'Vulcanops jennyworthyae', viene descritto per la prima volta sulla rivista Scientific Reports dal gruppo internazionale coordinato dall'università australiana del Nuovo Galles del Sud (Unsw).

    "I fossili di questo spettacolare pipistrello e di altri trovati vicino alla città di St Bathans dimostrano che la voliera preistorica che a quel tempo era la Nuova Zelanda includeva una sorprendente diversità di animaletti pelosi oltre agli uccelli", afferma il ricercatore Trevor Worthy, dell'australiana Flinders University di Adelaide. "Questi pipistrelli, insieme con le tartarughe di terra e i coccodrilli, dimostrano che in Nuova Zelanda sono scomparsi importanti gruppi di animali, e che i sopravvissuti più rappresentativi di questa fauna perduta (come i kiwi, i moa e i tuatara) si sono evoluti in una comunità molto più complessa di quanto ipotizzato finora", aggiunge Paul Scofield, del museo di Canterbury.

    Il pipistrello gigante (che, nonostante le sue dimensioni, pesava appena 40 grammi) aveva una dieta molto simile a quella dei pipistrelli sudamericani. Questa lontana 'parentela' ricorda che circa 50 milioni di anni fa Australia, Nuova Zelanda, Antartide e Sud America erano connessi fra loro a formare il supercontinente Gondwana: la sua successiva frammentazione, unita al raffreddamento del clima e alla comparsa dei ghiacci antartici, ha fatto sì che i pipistrelli del Pacifico sudoccidentale separassero il loro percorso evolutivo da quello dei loro 'cugini' sudamericani.



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    Scoperto l'antenato dei ragni, aveva la coda


    Ricostruzione artistica del Chimerarachne yingi, il ragno con la coda (fonte: University of Kansas | KU News Service)

    Gli antenati dei ragni avevano la coda. Lo indicano i fossili di creaturemetà ragni e metà scorpione, perfettamente conservati in un frammento di ambra antico 100 milioni di anni. La scoperta, avvenuta nel Myanmar, potrebbe riscrivere le teorie sull'origine dei ragni ed è descritta in due studi pubblicati su Nature Ecology & Evolution, entrambi coordinati dall'Accademia Cinese delle Scienze.



    I ragni fanno parte di un gruppo di invertebrati a otto zampe che include anche scorpioni e zecche: gli aracnidi, i primi animali che colonizzarono le terre emerse. I ragni, in particolare, risalgono a 300 milioni di anni fa. Mentre l'origine degli scorpioni è anche piu' antica: si sarebbero discostati dagli aracnidi più di 430 milioni di anni fa. Il nuovo esemplare è stato chiamato Chimerarachne yingi, come la mitologica chimera, creatura ibrida composta da parti di diversi animali. Tuttavia, questo particolare animale è più vicino ai ragni moderni: ha le zanne, quattro zampe, le filiere produttrici di seta e in piu', una lunga 'coda', che non ha nessuna altra specie di ragno vivente.



    Nell'ambra sono stati trovati quattro esemplari di antenati dei ragni e sono tutti molto piccoli, circa 2,5 millimetri di lunghezza, escludendo la coda lunga quasi 3 millimetri. Paul Selden, dell'Istituo di Paleontologia del dipartimento di Geologia dell'università del Kansas, ipotizza come potesse vivere questo antichissimo essere: "poiché era intrappolato nell'ambra, supponiamo che vivesse sui tronchi degli alberi. L'ambra è una resina fossilizzata, quindi per un ragno rimasto intrappolato, potrebbe voler dire che viveva sotto la corteccia o nel muschio ai piedi di un albero". Inoltre, questo ragno era in grado di produrre la ragnatela ed era probabilmente un carnivoro che si nutriva di insetti.

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    A prima vista, Chimerarachne yingi sembra un ragno (mesotelio). Erano i ragni viventi più primitivi conosciuti, avevano un addome segmentato. A causa dell'anatomia, gli scienziati hanno osservato quattro coppie di filiere al centro del lato addominale dell'addome. Chimerarachne aveva solo due coppie di filiere ben sviluppate nella parte posteriore dell'addome, ma in aggiunta una piccola coppia che potrebbe ancora essere in fase di sviluppo. L'organo del tatto era semplice. Non si può appurare se fosse velenoso. Ma Chimerarachne non è considerato un antenato diretto dei moderni ragni. Fossili sono già noti, risalivano a oltre 300 milioni di anni fa. Invece, Chimerarachne appartiene ad un gruppo estinto da cui hanno origine i ragni. Il nome Chimerarachne deriva dall'ibrido "Chimera" della mitologia greca ed è stato scelto perché i fossili combinano le caratteristiche di diversi aracnidi. Il nome della specie yingi onora il signor Yanling Ying, collezionista di uno di questi ragni. (http://geohorizon.de)

     
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    Il fossile di un pulcino racconta l'evoluzione


    Ricostruzione del fossile di pulcino, vissuto circa 127 milioni di anni fa, nel Mesozoico, (fonte Raúl Martín) © ANSA/Ansa

    È uno dei primi fossili di pulcino: un mucchietto di ossa più piccolo di un dito umano risalente a circa 127 milioni di anni fa, in pieno Mesozoico, e sta raccontando ai paleontologi la storia del passaggio dai dinosauri agli uccelli. Le sue caratteristiche sono illustrate sulla rivista Nature Communications.

    Per gli autori, i ricercatori dell’Università di Manchester coordinati da Fabien Knoll, l’importanza di questo fossile, appartenente al gruppo di uccelli preistorici chiamato Enantiornithes, è nel fatto che conserva i resti dello scheletro di un pulcino morto subito dopo la nascita. Una fase critica della formazione dello scheletro, secondo i paleontologi, in cui le ossa conservano ancora tratti primitivi e inadatti al volo.

    Per studiare queste ossa, date le ridotte dimensioni del fossile, i paleontologi hanno adoperato uno strumento utilizzato nei laboratori di fisica delle particelle: un sincrotrone, che permette un’analisi in dettaglio dei fossili a livello submicroscopico. "La diversificazione evolutiva degli uccelli - ha spiegato Knoll - è il risultato di un’ampia gamma di strategie e tentativi. L’analisi delle ossa di questo piccolo fossile - ha concluso - ci permette di gettare uno sguardo sul mondo degli antichi uccelli che vivevano all’epoca dei dinosauri".

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    Gli unici a non essersene ancora fatti una ragione sono i produttori di Jurassic World, che a distanza di oltre vent’anni dal primo capitolo della saga si ostinano a spogliare i velociraptor delle piume. Nel frattempo, la cosiddetta “rivoluzione piumata” ha drasticamente ridisegnato il probabile aspetto di numerose famiglie di dinosauri: grazie ai fossili oggi sappiamo per certo che i cosiddetti arcosauri erano coperti da penne e piume, più o meno rudimentali.

    Tuttavia, il sentiero evolutivo che, partendo dalle coriacee squame, porta alle leggere strutture proprie degli uccelli, rimaneva piuttosto oscuro. Ad accendere la luce ci ha pensato il gruppo di ricercatori guidato da Cheng-Ming Chuong, capo del laboratorio di sviluppo e rigenerazione dei tessuti presso la Keck School of Medicine dell’Università della California Meridionale, che sulla rivista Molecular Biology and Evolution riporta i risultati di un esperimento degno della miglior sceneggiatura di Michael Crichton.

    Convinto che i geni responsabili dell’evoluzione delle piume siano tuttora presenti nei discendenti degli arcosauri, Chuong e colleghi hanno condotto analisi complete del trascrittoma – l’insieme degli RNA messaggeri – e del genoma degli embrioni di pollo e di alligatore per individuare le differenze di espressione e i geni coinvolti. “Le analisi hanno portato all’identificazione di cinque moduli morfo-regolatori essenziali nella formazione delle moderne piume“, spiega Chuong, secondo il quale essi sarebbero stati originariamente sviluppati in risposta a strategie adattative, come l’isolamento termico.




    I ricercatori hanno quindi inserito questi geni negli embrioni di alligatore, accendendoli e spegnendoli per risvegliare la loro ancestrale programmazione. Se ve lo state domandando, la risposta è no: dalle uova non è nato alcun alligatore piumato. Tuttavia, le insolite strutture intermedie tra squame e penne osservati negli embrioni sono del tutto simili alle appendici filamentose trovate nei fossili dei primi dinosauri piumati. Queste forme embrionali intermedie sarebbero il frutto di perturbazioni molecolari. “Le loro appendici soddisfano tutti e cinque i criteri che definiscono una piuma. Non c’è più dubbio che, fornendo i corretti segnali molecolari, dalle squame possano formarsi piume”, chiarisce Chuong.

    I moduli morfo-regolatori individuati dai ricercatori promuovono infatti l’estroflessione e la crescita delle appendici, la crescita di barbe e barbule con diverse forme di ramificazione nonché la differenziazione di quella cheratina specifica delle piume. Inoltre, i ricercatori hanno osservato l’invaginazione dei follicoli e la formazione di una papilla dermica che consente una rigenerazione ciclica. Insomma, tutti gli ingredienti necessari per permettere ai progenitori degli uccelli di evolvere penne e piume più complesse.

    Secondo gli autori, questi cinque moduli potrebbero essere stati i primissimi geni ad adattarsi durante l’evoluzione degli arcosauri. Il primo passo verso il dominio dell’aria sarà sufficiente a convincere Hollywood a ridisegnare l’aspetto delle “lucertole terribili” del grande schermo?

    @davmichielin, https://oggiscienza.it

     
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    Puledro preistorico riemerge intatto da permafrost siberiano


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    SEMBRA appena addormentato, il piccolo puledro del Paleolitico riemerso praticamente intatto dal terreno ghiacciato (permafrost) della Siberia: vissuto circa 40.000 anni fa, sarebbe deceduto per affogamento quando aveva appena due mesi. A indicarlo sono le prime analisi condotte in Russia, al Mammoth Museum dell'Università federale nord-orientale di Yakutsk, dove il fossile è stato portato dal gruppo di ricercatori russi e giapponesi che ha eseguito gli scavi nel cratere naturale di Batagaika, ribattezzato dalle popolazioni locali come "la porta dell'inferno".

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    Il puledro, alto 98 centimetri al garrese, apparteneva ad una specie estinta (Equus lenensis) che nel tardo Pleistocene era diffusa nella regione: lo dimostra l'analisi del Dna condotta sul fossile, che è talmente integro da conservare ancora la criniera, il manto color marrone scuro, la coda, gli zoccoli e gli organi interni. I ricercatori hanno prelevato diversi campioni biologici per ricostruire la dieta dell'animale e le cause del decesso. L'assenza di ferite visibili sul corpo fa ipotizzare che il cucciolo possa essere morto per affogamento dopo essere rimasto incastrato in una "trappola" di tipo naturale. La sua non è l'unica scoperta eccezionale fatta nella regione: il permafrost ha recentemente restituito anche i resti ben conservati di un cucciolo di leone e di un mammut.

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    La ricostruzione dell'evoluzione degli Alvarezsauri (Credit Vikto Radermacher

    Ritrovati in Cina, rappresentano l'anello mancante che consente ora agli studiosi di ricostruire l'evoluzione della famiglia degli Alvarezsauri: esemplari bizzarri con zampe anteriori piccole e un solo artiglio

    FISICO snello, una testa simile a quella degli uccelli e tanti piccoli denti, decisamente diversi da quelli affilati e grandi dei cugini carnivori. Si chiama Xiyunykus pengi ed è una nuova specie di dinosauro scoperta in Cina nel corso di una spedizione a Xinjiang da un team di ricercatori della George Washington University e dell'Accademia cinese di scienze guidati dai professori Xu Xing e James Clark.



    Il nuovo dinosauro, ritrovato nel 2005 nella Cina nordoccidentale, è descritto ora in uno studio apparso su Current Biology. E non è l'unico: insieme a lui, l'ampio gruppo di studiosi internazionali che ha partecipato alla ricerca, descrive anche il "neo arrivato" Bannykus wulatensis, scovato nel 2009. Entrambi - Xiyunykus e Bannykus - appartengono alla famiglia degli Alvarezsauri: sono dinosauri saurischi che hanno molto in comune con gli uccelli.
    Un team internazionale di ricercatori descrive in uno studio apparso su Current Biology due nuovi esemplari di dinosauri, ritrovati in Cina. Ribattezzati Bannykus e Xiyunykus, i due dinosauri appartengono alla famiglia degli Alvarezsauridi e hanno permesso agli studiosi di ricostruire l'evoluzione di questa bizzarra famiglia che ha molte caratteristiche in comune con gli uccelli e presenta, negli esemplari più evoluti, un solo dito munito di artiglio



    Per i ricercatori si tratta di un ritrovamento prezioso: offre il tassello mancante per ricostruire l'evoluzione di questo gruppo. Il primo e più noto alvarezsauro descritto, il Mononykus, si presentava con un corpo da corridore e zampa anteriori simili alle talpe, ma gli antenati del suo gruppo le avevano invece lunghe con artigli forti ed erano provvisti dei denti tipici dei carnivori. Con il tempo si sarebbero imposte le zampe da talpa, con un unico artiglio: finora, però, tra le testimonianze fossili a disposizione degli studiosi c'era un gap di 90 milioni di anni.

    I fossili ritrovati descrivono la transizione verso caratteristiche sempre più specializzate tra il tardo Giurassico e il tardo Cretaceo, che hanno consentito a questi esemplari di evolversi e adattarsi a una nuova dieta, non più a base di carne, ma di insetti. "Sono molto utili perché collegano elementi anatomici bizzarri ad altri più tipici - spiega Jonah Choiniere, professore della Wits University e membro del team di ricerca - Gli Alvarezsauri sono animali misteriosi. Con le loro mandibole deboli e le mani dotate di artigli sembrano simili ai nostri attuali formichieri".

    Gli arti ancora lunghi ma con mani "specializzate" di Xiyunykus e Bannykus rappresentano così l'anello di congiunzione tra le zampe lunghe dei primi esemplari di questa famiglia e gli arti corti, con una mano dotata di un unico dito/artiglio dei membri più evoluti. "I nuovi fossili mostrano che questo è stato un cambiamento recente nella loro storia evolutiva, in specie dal corpo sempre più piccolo - commenta Roger Benson, coautore dello studio e professore della Oxford University - Un processo piuttosto diverso rispetto a quello che è successo con il tirannosauro, che aveva zampe anteriori corte e un corpo gigante"



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    Un nuovo abitante a Jurassic Park, parente del brontosauro

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    Un nuovo gigante di Jurassic Park emerge dal passato della Terra. Era un erbivoro quadrupede, parente del brontosauro, vissuto 200 milioni di anni fa nel Giurassico. Trovato in Sudafrica, secondo quanto illustrato sulla rivista Current Biology, l'animale era grande il doppio di un moderno elefante africano.

    I resti fossili del gigante del Giurassico sono stati trovati da un gruppo dell'Università sudafricana di Witwatersrand, a Johannesburg, coordinato da Jonah Choiniere, in collaborazione con l'Università sudafricana di Città del Capo, l'Università britannica di Oxford, l'Università di San Paolo del Brasile e con il Museo di storia naturale del Sudafrica. L'animale è stato battezzato Ledumahadi mafube, "grande tuono dell'alba" in lingua sotho sudafricana. I primi resti sono stati rinvenuti nel 2012, ma solo dopo anni di scavi è stato possibile attribuirli a una nuova specie di dinosauro.

    I fossili comprendono alcune ossa delle vertebre e degli arti di un esemplare adulto di 14 anni di età, alto circa 4 metri e del peso approssimativo di circa 12 tonnellate. "Era tra i vertebrati più grandi ad aver mai camminato sulla Terra", ha spiegato Choiniere. Grazie allo studio dello spessore dei fossili degli arti e al confronto con le ossa di alcuni animali viventi, i ricercatori hanno scoperto che il dinosauro camminava su quattro zampe, a differenza di alcuni dei suoi predecessori bipedi. "L'evoluzione di questi erbivori giganti non è stata, quindi, un processo lineare come si pensava finora - hanno concluso i paleontologi - ma con diversi tentativi di sperimentare l'andatura quadrupede".
    (www.repubblica.it)

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    Circa 200 milioni di anni fa, nell'attuale Sudafrica si aggirava minaccioso un dinosauro che pesava quanto due elefanti africani adulti. Un enorme erbivoro dalla forma del corpo insolita, con un modo del tutto singolare di stare a quattro zampe.

    Si tratta di una nuova specie di dinosauro, Ledumahadi mafube, descritta di recente su Current Biology, simile ai sauropodi, il gruppo di dinosauri dal collo lungo di cui fa parte anche il brontosauro. Tuttavia, tecnicamente non lo è.

    Piuttosto, Ledumahadi è un sauropodomorfo, un lontano cugino più antico dei sauropodi. Si tratta di un animale molto più grande, che viveva in un'epoca molto più antica del Mesozoico, cosa inaspettata per i ricercatori. La loro sorpresa è evidente anche nel nome attribuito al dinosauro: Ledumahadi mafube in lingua sotho del sud - parlata nella provincia del Free State, in Sudafrica, dove sono stati rinvenuti i fossili appartenenti a questo animale - significa "un fulmine gigante all'alba".

    I sauropodi, come gli elefanti, avevano arti simili a colonne, capaci di sostenere efficacemente il loro peso. Ma le zampe di Ledumahadi erano decisamente diverse: quelle anteriori erano maggiormente libere di muoversi e, inoltre, questi animali assumevano una posizione accovacciata simile a quella dei gatti, anche se meno agevole, con ginocchia e gomiti parzialmente flessibili.

    dinosauro

    "Questo animale racchiudeva in sé caratteristiche molto diverse", afferma Blair McPhee, paleontologo dell'Università statale di San Paolo, Brasile, responsabile dello studio. "Come un sauropode, era enorme e camminava prevalentemente a quattro zampe. Ma non si liberò mai di quelle primitive zampe anteriori mobili".

    La scoperta suggerisce che fra i sauropodi e i loro parenti l'andatura quadrupedica si sia evoluta a più riprese. Lo studio di Ledumahadi e altre scoperte recenti rafforzano la convinzione che gli eventi chiave dell'evoluzione dei sauropodi si siano verificati in un'epoca più antica e in più fasi di quanto dimostrato dalle evidenze in passato.

    "Sono emozionata per via di tutte queste nuove scoperte, che stanno contribuendo ad approfondire la nostra conoscenza di queste creature davvero straordinarie", afferma Kristi Curry Rogers, paleontologa del Macalester College, a St. Paul, negli Stati Uniti.

    Uno studio durato anni

    Anche se il nome Ledumahadi contiene il riferimento al fulmine, la sua scoperta non è stata affatto così rapida. Gli scienziati hanno impiegato più di due decenni a trovare i resti di questa creatura e a riuscire a interpretarli correttamente.
    La storia di Ledumahadi ha inizio intorno al 1990, con la realizzazione del Lesotho Highlands Water Project, un enorme progetto di infrastrutture idriche che coinvolge il Sudafrica e il Lesotho, paese quest'ultimo totalmente circondato dal Sudafrica. Immaginando che gli scavi per la realizzazione del progetto avrebbero potuto svelare la presenza di fossili, gli imprenditori hanno deciso di assoldare James Kitching, paleontologo dell'Università di Witwatersrand, a Johannesburg, Sudafrica.
    Subito dopo il lancio del progetto, Kitching individuò grandi ossa di dinosauro nelle rocce vicino al cantiere e li raccolse. Ma il ricercatore era interessato non tanto allo studio dei dinosauri, ma a quello degli antichi mammiferi. Ecco perché i fossili rinvenuti sono rimasti senza un nome fino alla metà degli anni 2000, quanto Adam Yates, paleontologo dell'Università di Witwatersrand, si rese conto di quanto fossero importanti.
    Dalle informazioni ricavate da alcuni ritagli di giornale, Yates riuscì a individuare il sito originale, dove si recò assieme a un suo studente di dottorato, trovando altre ossa. Studi successivi hanno confermato che i resti appartenevano allo stesso animale. Nel 2012, il paleontologo Jonah Choiniere arrivò all'Università di Witwatersrand e McPhee lo coinvolse nello studio di queste enormi ossa di dinosauro. Dal 2012 al 2017, i due studiosi fecero ritorno sul sito, portando alla luce più fossili rispetto a quanto aveva fatto Kitching.

    Ledumahadi-Mafube-South-Africas-Novel-Jurassic-Behemoth

    "[La scoperta di Ledumahadi] è avvenuta nel corso di questi anni, grazie a colpi di fortuna e a passaggi di conoscenza", afferma Choiniere. "In qualsiasi momento, sarebbe potuta calare l'attenzione su questa nuova specie. Ma per fortuna ciò non è accaduto.

    Postura da gatto.
    I ricercatori hanno quindi ricostruito meticolosamente la vita di Ledumahadi, osso dopo osso. Come sostiene Jennifer Botha-Brink, paleobiologa del National Museum di Bloemfontein, in Sudafrica, fra gli autori dello studio, i fossili appartengono a un esemplare con un'età di 14 anni, che aveva raggiunto la piena età adulta al momento della morte. Emese Bordy, geologa dell'Università di Città del Capo, ha confermato - grazie allo studio dei sedimenti che racchiudevano i fossili - che le ossa risalivano a un periodo compreso fra 195 e 200 milioni di anni fa. Osservando i fossili di Ledumahadi, i ricercatori sono riusciti a capire quali sono le caratteristiche che indicano quando un animale cammina su due zampe e quando invece si muove a quattro zampe. Negli animali che camminano solo poggiandosi sugli arti posteriori, le ossa degli arti anteriori sono relativamente più sottili e allungate. Quelli che camminano a quattro zampe, invece, hanno zampe anteriori più muscolose, che servono a sostenere in modo efficiente il peso dell'animale.

    Il team ha confrontato le ossa degli arti anteriori e posteriori di Ledumahadi con quelle di dinosauri diversi e di centinaia di mammiferi viventi di cui sono note le caratteristiche della deambulazione. Gli arti anteriori di Ledumahadi erano così robusti che l'animale quasi certamente camminava a quattro zampe, suggerendo inoltre che questo animale adottava un'insolita postura, simile a quella di un gatto.
    Dopo aver descritto Ledumahadi, i ricercatori affermano di voler esplorare altre zone del Sudafrica alla ricerca di fossili ancora più antichi. Il team di ricerca sta inoltre rianalizzando le collezioni conservate all'Università di Witwatersrand, per cercare eventuali altri importanti resti non ancora classificati.

    "È incredibile: a volte accade che le cose interessanti siano proprio sotto al naso, ma non le osserviamo come dovremmo", conclude Choiniere.


    www.nationalgeographic.it 02 ottobre 2018) © RIPRODUZIONE RISERVATA
     
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