Marche ... Parte 1^

IL MONTE TITANO..SAN MARINO..URBINO..PESARO E INFINE..GIUNGIAMO A FANO ...

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    URBANIA



    Urbania è un comune italiano di 7.069 abitanti della provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche. Conosciuta, fino al 1636 con il nome di Casteldurante, cambiò con l'attuale denominazione in onore di papa Urbano VIII

    Urbania è una cittadina con la curiosa caratteristica di aver cambiato, nel corso della sua storia, per ben tre volte il nome. Nell’alto medioevo si chiamava Castel delle Ripe e sorgeva sui colli della riva sinistra del Metauro. Fu distrutta nel 1277 dai Montefeltro, per la sua fedeltà al giglio guelfo. Nel 1284 circa Urbania fu ricostruita dal provenzale Guglielmo Durante governatore della Romagna e della Marca d’Ancona, il quale trasferì l’abitato dalle colline alla pianura affidando la difesa del nuovo castello a potenti mura e alle acque del fiume Metauro.

    Da questa data si chiamò Casteldurante, dal 1424 fece parte del dominio della Signoria dei Montefeltro. Dopo la devoluzione del Ducato di Urbino allo Stato della Chiesa (1631), papa Urbano VIII elevò Casteldurante al grado di Diocesi e di Città (1636) mutando il suo nome in quello di Urbania.

    L’impianto urbanistico del centro storico di Urbania alla fine del ‘200, fu pianificato da Guglielmo Durante, contiguo all’antica abbazia benedettina di San Cristoforo del Ponte.

    Rilevanti elementi dell’urbanistica sono le vie cittadine con le caratteristiche logge o portici e la grande ansa tortuosa del Metauro che avvolge l’abitato.

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    Ad Urbania il Palazzo Ducale dei Montefeltro-Della Rovere, già castello dei Brancaleoni, ristrutturato da Francesco di Giorgio Martini e Gerolamo Genga, è sede della biblioteca comunale, dei musei civici e degli istituti culturali cittadini. Nell’antica abbazia benedettina risalente al IX sec., poi palazzo del vescovo, è oggi istituito un Museo Diocesano con una vasta raccolta di ceramiche.

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    La piccola città di Urbania esprime nel suo insieme una discreta cifra scenografica: nei loggiati trecenteschi, nell’assetto geometrico delle vie, nelle corrispondenze dei vicoli, nelle linee di fuga che a volte incontrano decorosi portali. Urbania ha una serie di forti punti paesaggistici: sui ponti, nella cinta muraria che permette la classica e marchigiana passeggiata sulle mura, con la vista sul Metauro, con gli orti sporgenti sui moderati abissi, e i grandi massi fluviali d’arenaria che sembrano sculture.



    Storia

    Chiamata, in origine altomedioevale, Castel delle Ripe, fu libero Comune di parte guelfa, ragion per cui, nel 1277, fu distrutta dai ghibellini della vicina Urbino. La popolazione superstite trovò rifugio più a valle, tra le mura della potente abbazia benedettina di San Cristoforo attorno alla quale, intorno al 1284, fu fatta ricostruire la nuova città dal prelato provenzale Guillaume Durand, governatore della Romagna e della Marca di Ancona. In suo onore la città prese il nome di Casteldurante. Successivamente cadde sotto la signoria di Brancaleone, cui successero, congiuntamente, i figli Nicola Filippo, Pierfancesco e Gentile. A Pierfrancesco, rimasto unico "signore" dopo la morte dei fratelli, successero i nipoti Galeotto e Alberico (figli di Nicola Filippo) e Bartolomeo (figlio di Gentile), essendogli premorto l'unico figlio Lamberto. I tre cugini non vollero governare insieme e divisero pacificamente la signoria: ai fratelli Galeotto e Alberico, che rimasero insieme, andò la parte maggiore, compresa la città di Urbania, mentre Bartolomeo ottenne Mercatello sul Metauro e la Massa Trabaria. La signoria dei fratelli, divenuti tiranni, fu breve, perché furono massacrati dalla popolazione, che, tuttavia, non pensò a ripristinare l'antica libertà comunale, ma si offrì al duca di Urbino. Il ramo di Mercatello sul Metauro, invece, si estinse con Gentile, prima moglie di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, cui portò in dote le terre della sua famiglia, che rimasero ai Montefeltro anche se da questo matrimonio non nacquero figli. Sotto i Della Rovere, successori dei Montefeltro nel ducato di Urbino, l'antico signorile "palazzo dei Brancaleoni" fu restaurato e ristrutturato da un gruppo di architetti, comprendente Francesco di Giorgio Martini, Annibale della Genga e Paolo Scirri, quest'ultimo congiunto di Scirro Scirri, che era stato il primo maestro di architettura del Bramante. I duchi di Urbino usarono il palazzo come soggiorno estivo e il Barco ducale come residenza di caccia. Solo l'ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II Della Rovere, visse in permanenza a Casteldurante trasferendovi la corte ducale, vi morì e fu sepolto nella chiesa del Santissimo Crocefisso. Alla sua morte, nel 1631, l'intero ducato di Urbino tornò sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio. Il 18 febbraio 1636, papa Urbano VIII elevò Casteldurante al rango di città e di diocesi, cambiando, per la terza volta, il suo nome, che divenne Urbania.


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    foto:.panoramio.com

    XX secolo

    Urbania è tra le Città decorate al valor militare per la guerra di liberazione ed è stata insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il contributo dato alla Resistenza (in particolare all'attività della Brigata Garibaldi Romagnola)ed il tragico bombardamento subito il 23 gennaio 1944 da parte delle forze alleate, che provocò devastazioni e 248 vittime civili. Per tale motivo Urbania è stata riconosciuta Città martire della Provincia di Pesaro e Urbino. Ogni anno la ricorrenza è celebrata solennemente.

    Al giorno d'oggi la città, pur molto piccola, è un centro turistico, visitata per il Palazzo Ducale (ora sede di un museo e di una biblioteca, che conserva mappe del Mercatore), per le numerose chiese (fra cui la chiesa dei Morti, che conserva numerose mummie naturali di persone morte nel Medio Evo e nel Rinascimento), per le antiche mura (dotate di una passeggiata da cui si può vedere il fiume Metauro, che circonda la città in una sua ansa), per le stradine medievali, per la produzione di ceramiche (le famose ceramiche di Casteldurante).

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    Oggi, l'antica diocesi di Urbania-Sant'Angelo in Vado sopravvive unita alla tradizionale arcidiocesi di Urbino, alla quale venne accorpata nel 1986, per formare una nuova unità amministrativa e territoriale: l'arcidiocesi di Urbino-Urbania-Sant'Angelo in Vado, che non è più metropolitana e che ha la sua sede a Urbino. La cattedrale di San Cristoforo Martire, diventata ufficialmente concattedrale, è ora una delle tre cattedrali dell'arcidiocesi .



    Luoghi d'interesse


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    Di particolare interesse storico-artistico è il Duomo di Urbania (IX-XVIII secolo), dedicato a San Cristoforo martire ed edificato sulle fondamenta dell'antica Abbazia di San Cristoforo del Ponte risalente all'VIII secolo.


    Si viene in Urbania per le maioliche durantine, per i pittori come Giuliano o Pietro da Rimini che rappresentano la curiosa variante di una scuola di Giotto arrivata nei centri appenninici dal mare Adriatico. Chi ama la pittura dice che la Maddalena Penitente di Guido Cagnacci vale un viaggio ad Urbania, e può vedere il quadro ancora nello stesso altare di quattro secoli addietro. C’è chi viene per la Madonna delle nuvole di Federico Barocci che Francesco Maria II Della Rovere “teneva al suo letto nell’attuale ornato” e che ora è posta affettuosamente sul sepolcro dell’ultimo Duca di Urbino. L’Oratorio del Corpus Domini è un’altra meta consueta con gli affreschi di Raffaellin del Colle Le Sibille e i Profeti collegati ai temi messianici e dell’attesa, così pertinenti ai climi e alle atmosfere di provincia.



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    foto:turismo.pesarourbino.it

    Chiesa dei Morti: La Chiesa dei Morti, già Cappella Cola fino al 1836, ornata da un bel portale gotico, conserva al suo interno il Cimitero delle Mummie, noto per il curioso fenomeno della mummificazione naturale, dovuto ad una particolare muffa che ha essiccato i cadaveri succhiandone gli umori. Nel 1833 furono esposti dietro l’altare 18 corpi già mummificati estratti dai sepolcri vicini, in seguito all’istituzione dei cimiteri extraurbani per effetto dell’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804. Alla sistemazione dei corpi provvide la Confraternita della Buona Morte, fondata a Casteldurante nel 1567, sotto la protezione di San Giovanni Decollato. I suoi compiti erano di provvedere al trasporto gratuito e alla sepoltura dei morti, specie degli indigenti, all’assistenza dei moribondi, oltre alla registrazione dei defunti in uno speciale libro, fino alla distribuzione delle elemosine ai poveri. Durante la cerimonia funebre i “Fratelli” indossavano una veste bianca con cappuccio nero sul capo (come si vede all’interno della chiesa nel personaggio al centro, il Priore Vincenzo Piccini, ideatore della necropoli). Le mummie di Urbania attendono il visitatore ognuna con la sua storia da raccontare: una giovane donna deceduta di parto cesareo, un giovane accoltellato in una veglia danzante, oppure la mummia dello sventurato che, si racconta, fu sepolto vivo in uno stato di morte apparente. Il custode svelerà le nascoste vicende di tutti i personaggi.

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    La Biblioteca Ducale di Urbania è uno dei capolavori voluti dal Duca di Urbino Federico II da Montefeltro. L’edificio ospita il Museo Civico, la Biblioteca, la Pinacoteca e l’Archivio Storico con pregevoli raccolte di disegni, manoscritti, incisioni (tra gli autori Barocci, Zuccari, Carracci) e i 2 rari globi geografici (la sfera terrestre del 1541 e la sfera celeste del 1551) di Gerardo Mercatore, il più grande geografo del Rinascimento. Il Palazzo Ducale fu progettato dagli architetti Francesco di Giorgio Martini e Gerolamo Genga. Si accede al Palazzo Ducale attraverso lo splendido Cortile d’onore rinascimentale, della seconda metà del ’400, con un loggiato che si apre tra ventidue colonne di travertino che ricorda quello del Palazzo Ducale di Urbino. Salita la scalinata si giunge al piano nobile e qui si entra immediatamente nella Sala Maggiore, grande opera di Gerolamo Genga con splendido soffitto dalle volte a vela, sala destinata alle festività e solennità cortigiane.


    E ve ne era ben donde: Francesco Maria II della Rovere costituì una raccolta di libri che poteva dirsi una meraviglia delle collezioni roveresche. Suoi agenti compravano libri per lui in Italia e in Europa e intenditori di prim’ordine come il cardinale Del Monte, il mecenate di Caravaggio, si occupava di prendergli quanto di meglio uscito dai torchi delle tipografie. La corte dei Della Rovere era un ambiente internazionale, ed essi attribuivano importanza alle comunicazioni. La biblioteca di Urbania era ricca di 14.000 volumi, quando agli inizi del ‘600 si calcola che circolassero non più di 250.000 libri in tutta l’Europa. I duchi vi soggiornavano spesso: Elisabetta Gonzaga si rallegrava del comodo Sito pianeggiante, Francesco Maria I Della Rovere diceva di avere la corte a Pesaro, il palazzo a Urbino, la casa a Casteldurante, alludendo alla domestica libertà durantina, alle battute di caccia al Barco o sull’Appennino, ai salutari bagni nelle gorghe del Metauro.

    Mezzo secolo fa a Urbania, si poteva ancora ammirare il tempietto ottagonale, oggi irriconoscibile per le storpiature belliche, fondato su una roccia a picco sul Metauro, opera di Donato Bramante.

    Secondo quanto scritto da Vasari e da Serlio, l’architetto sarebbe nato a Casteldurante nel 1444. Ma i suoi natali sono oggetto di una annosa guerra culturale con la limitrofa Fermignano

    Molti vengono a Urbania per studiare la lingua italiana nelle scuole di lingua per stranieri.


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    Barco Ducale –

    A un chilometro da Urbania, in direzione Sant’Angelo in Vado, si impone il “Barco”, residenza di caccia dei duchi di Urbino, che domina un’area naturale con alberi e prati. Il luogo fu sede di villeggiatura per celebri umanisti e poeti del Rinascimento, tra i quali il Tasso che ne cantò le lodi. Il Barco di Casteldurante è collegato al Palazzo Ducale da un miglio di fiume che cavalieri e dame risalivano in barca. Originariamente costruito in forma quadrilatera con un cortile interno, fu rimaneggiato da Girolamo Genga nei primi decenni del XVI secolo e, verso la metà del ‘700, diventato convento, venne modificato internamente con l’inserzione della chiesa di San Giovanni Battista, su progetto di derivazione vanvitelliana. Durante i recenti lavori di restauro sono stati riportati alla luce nella stanza del refettorio dei frati francescani, affreschi risalenti al ‘700, tra cui una “Ultima cena” del pergolese Gianfrancesco Ferri.

    Il Barco ospiterà i laboratori del Museo Civico, attrezzati per corsi di artigianato artistico e di ceramica con sezioni di foggiatura, decorazione e restauro. Saranno esposti frammenti di maiolica, pezzi del revival durantino, ceramiche popolari, opere di Federico Melis e manufatti in raku. Si prevede di destinare una parte del complesso ad usi ed eventi culturali di alto livello. I laboratori del Museo al Barco Ducale fanno parte del circuito “Museo del Metauro” della Comunità Montana Alto e Medio Metauro, assieme al Museo della Città di Urbino e al Museo di San Francesco di Mercatello sul Metauro.

    Storia


    L’esistenza del Barco è legata ai duchi di Urbino, che scelsero Casteldurante come residenza alternativa a quella urbinate e che, unitamente al Palazzo Ducale, privilegiarono questo luogo ameno per lo svago di corte. Qui soggiornarono celebri umanisti e poeti della Rinascenza, come Torquato Tasso, che proprio in questa cornice trovò ispirazione per comporre la “Canzone al Metauro”, che il poeta scrisse per celebrare l’ospitalità dei Della Rovere. Sulla base di questa memoria è stato istituito nel 1994 ad Urbania l’annuale Premio letterario Metauro. Il Barco e il Palazzo Ducale si configurano come i due fulcri ducali, uniti anche da un tratto del fiume Metauro che permetteva il collegamento fluviale tra le due residenze.

    Le origini del Barco risalgono al 1465, quando il duca Federico da Montefeltro decise di trasformare un largo appezzamento di terreno in una riserva di caccia. Entro l’area prescelta si trovavano già dalla fine del 1200 un convento ed una chiesa, non più esistenti, dedicati a San Giovanni Battista, edificati dai francescani minori nelle vicinanze della riva del fiume. Nel corso degli anni, queste originarie strutture subirono modifiche ed ampliamenti, soprattutto all’epoca dell’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II Della Rovere. Egli elesse infatti come sua dimora stabile il Palazzo di Casteldurante e, a differenza dei suoi predecessori che vi scendevano solo nei mesi più caldi dell’anno, vi dimorava per intere stagioni. Se in precedenza soggiornava nelle stanze del convento, alcune delle quali costruite per suo padre Guidubaldo II, dal 1594 cominciò a far edificare una casa, in più fece apportare modifiche al convento e realizzare un giardino privato indipendente il brolo. La residenza, inserita nel più ampio e selvaggio parco di caccia, offriva le attrazioni di una campagna incolta, ma al tempo stesso addomesticata dall’uomo, che poteva coniugare scopi religiosi e intellettuali altrimenti impraticabili in una tradizionale riserva di caccia.

    Quando, nel 1631, l’ultimo duca di Urbino morì, tutto passò nelle mani dei francescani, pur rimanendo incerto il possesso dell’intera area del Barco, rivendicata dai frati ma posseduta dai duchi di Urbino da generazioni. A metà del 1700 si decise di sostituire le strutture del vecchio convento, ormai fatiscenti, con un edificio costruito su un terreno più sicuro, ad una certa distanza dagli argini del fiume, realizzazione sollecitata anche dai gravi danni arrecati dal terremoto del 1741. Il nuovo complesso, dove ha sede il Museo, è un ex convento edificato nella seconda metà del ‘700 nell’ampia area del Barco Ducale, che fu progettato dal bresciano fra’ Giuseppe Antonio Soratini, monaco camaldolese e abile architetto, unitamente alla chiesa, iniziata nel 1759 e consacrata nel 1771. Rimane come preziosa testimonianza del lavoro progettuale svolto in quest’epoca un modello ligneo conservato presso il Museo Civico di Urbania.

    Con la demanializzazione del 1866 il convento passò al Comune di Urbania che lo trasformò prima in ospizio per invalidi, poi dopo la seconda guerra mondiale fino al 1990, venne utilizzato come casa di riposo per anziani, infine, con il recente restauro, è stato adibito a sede di laboratori artigianali, parte integrante ed attiva del Museo del Barco Ducale. Il Museo è in fase avanzata di allestimento come centro di pratica dell’artigianato artistico in memoria del durantino Cipriano Piccolpasso, maestro dei segreti della ceramica del Rinascimento e autore del fondamentale trattato didascalico “Li tre libri dell’arte del vasaio”, opera in cui si occupa della pratica della ceramica in Casteldurante. E’ anche grazie a questo illustre precedente che la tradizione ceramica durantina si è mantenuta nei secoli e ancora oggi sono attive numerose botteghe artigianali che si dedicano a quest’arte. Sono inoltre in corso studi sugli affascinanti affreschi rinvenuti nel refettorio durante il restauro del 2008.





    Economia

    L'industria della maiolica divenne intorno ai primi decenni del XVI secolo una delle più significative, assieme a quella di Faenza, tra quelle dell'epoca, grazie all'impulso conferito dai maestri Giovanni Maria e Nicola Pellipario.
    Il primo pezzo documentato di Maria risalì al 1510 e fu un piatto raffigurante lo stemma di papa Giulio II, ma ben presto la sua decorazione di piatti, vasi ed altra oggettistica si staccò dai modelli faentini per personalizzarsi con decorazione a "candelabra" ricca di elementi fantasiosi, animali e vegetali. In una ulteriore fase le bordure inclusero maschere grottesche o arabeschi.
    Pellipario, invece, introdusse la decorazione a "istoriato", ossia un tema figurativo che occupò tutto la pianta ceramica. Tra i servizi firmati da lui si annoverarono quello Correr e l'Este Gonzaga.
    Verso la fine del XVII secolo la produzione di maiolica incominciò la sua parabola discendente.


    È il comune capoluogo della Comunità Montana Alto e Medio Metauro.

    Personalità legate a Urbania

    Urbano VIII, 235º papa della Chiesa cattolica.
    Donato Bramante, pittore e architetto.
    Francesco Luci, umanista e letterato.
    Cipriano Piccolpasso, architetto, storico, ceramista, pittore, e trattatista.


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    Onorificenze

    Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria

    Medaglia di bronzo al valor militare
    «Durante la lotta contro l’oppressione nazi-fascista, la popolazione di Urbania, coraggiosamente, a costo di dure rappresaglie, sosteneva le proprie formazioni partigiane dando cospicuo contributo di combattenti, sangue generoso, distruzioni e sofferenze subite, alla causa della libertà della Patria.»
    — Zona di Urbania, gennaio-luglio 1944


    Curiosità

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    Eventi: Dal 2 al 6 gennaio la Grande Festa della Befana, con giochi, il volo della vecchina e lo spettacolo pirotecnico.

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    A Pasqua sfida a colpi di “punta e cul”: chi ha l’uovo sodo intatto si aggiudica le uova sconfitte e ammaccate.

    A fine aprile Un Fiore di Città.
    urbania bar A giugno la Festa della ceramica.

    Il 25 luglio la Festa di San Cristoforo Patrono, con l’usanza di benedire le auto.
    Il ricco cartellone musicale estivo culmina nel Concerto Lirico di Ferragosto.

    A settembre la Rassegna Internazionale Cori Polifonici.
    A ottobre l’Antica Fiera di S. Luca e delle Donne con la Mostra Micologica.

    A novembre il prestigioso Premio Poesia Metauro.

    Per i buongustai: ottimi ristoranti e trattorie in cui mangiare la coratella di agnello a colazione.



    Nel menu tipico: porchettina di lumache, “crostoli” (simili alla piadina), arrosti misti e piccione con riempitura. Tartufo, nero o bianco, a volontà (S. Angelo in Vado e Acqualagna sono a due passi)!
    Tra i primi le “lumachelle della Duchessa”.
    urbania gastronomia Dolci: il “bostrengo”, il “miaggio”, i “bastoncelli”.

    Curiosità: La casa della Befana casella postale aperta 61049 Urbania (Pu) Italy, per scrivere alla Befana!

    Concittadino illustre fu anche il Bramante.
    A lui è dedicato il Teatro, bomboniera ottocentesca.



    Torquato Tasso

    “Canzone al Metauro” – XVI sec.



    Il Tasso iniziò a scrivere la Canzone al Metauro nell'agosto del 1578 a Villa Isola nei pressi di Fermignano, a pochi chilometri da Urbino, dove il poeta era stato «amorevolissimamente» accolto, dopo la fuga da Ferrara, dall'antico compagno di studi Francesco Maria II della Rovere.


    O del grand'Apennino
    figlio picciolo sì, ma glorioso
    e di nome più chiaro assai che d'onde,
    fugace peregrino
    a queste tue cortesi amiche sponde
    per sicurezza vengo e per riposo.
    L'alta Quercia che tu bagni e feconde
    con dolcissimi humori, ond'ella spiega
    i rami sì ch'i monti e i mari ingombra,
    mi ricopra con l'ombra.
    L'ombra sacra, hospital, ch'altrui non niega
    al suo fresco gentil riposo e sede,
    entro al piú denso mi raccoglia e chiuda,
    sì ch'io celato sia da quella cruda
    e cieca Dea, ch'è cieca e pur mi vede,
    bench'io da lei m'appiatti in monte o'n valle
    e per solingo calle
    notturno io mova e sconosciuto il piede,
    e mi saetta sì che ne'miei mali
    mostra tanti occhi haver quanti ella ha strali.
    Ohimè! dal dì che pria
    trassi l'aure vitali e i lumi apersi
    in questa luce a me non mai serena,
    fui de l'ingiusta e ria
    trastullo e segno, e di sua man soffersi
    piaghe che lunga età risalda a pena.
    Sàssel la gloriosa alma Sirena,
    appresso il cui sepolcro ebbi la cuna:
    così havuto n'avessi o tomba o fossa
    a la prima percossa!
    Me dal sen de la madre empia fortuna
    pargoletto divelse, e da que' baci,
    ch'ella bagnò di lagrime dolenti,
    con sospir mi rimembra, e da gli ardenti
    preghi che se'n portar l'aure fugaci:
    ch'io non dovea giunger più volto a volto
    fra quelle braccia accolto
    con nodi così stretti e sì tenaci,
    lasso, e seguii con mal sicure piante,
    quale Ascanio o Camilla, il padre errante.
    In aspro essiglio e'n dura
    povertà crebbi in quei sì mesti errori;
    intempestivo senso hebbi a gli affanni,
    ch'anzi stagion, matura
    l'acerbità de'casi e de'dolori
    in me rendé l'acerbità de gli anni.
    L'egra spogliata sua vecchiezza e i danni
    narrerò tutti: hor che non sono io tanto
    ricco de' propri guai che basti solo
    per materia di duolo?
    Dunque altri ch'io da me dev'esser pianto?
    Già scarsi al mio voler sono i sospiri,
    e queste due d'humor sì larghe vene
    non agguaglian le lagrime a le pene.
    Padre, o buono padre, che dal ciel rimiri,
    egro e morto ti piansi, e ben tu il sai,
    e gemendo scaldai
    la tomba e il letto: hor che ne gli alti giri
    tu godi, a te si deve honor, non lutto;
    a me versato il mio dolor sia tutto..
    .




    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 23:02
     
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