Ventilazione Daremo aria a queste stanze molto prima che sia Natale prima che quest'ossido di carbonio cominci a farci male.
Staremo accanto alla finestra dritti nell'aria della sera ritorneremo a respirare ritroveremo la maniera. Amore mio. Non abbiamo scelto un abito scuro anche se non ci starebbe malissimo praticando una teoria meccanica basata sull'aria. Chiamateci col telefono vi risponderemo prestissimo questione di chiarezza del messaggio di precedenza dell'ingaggio. La chiesa metropolitana prima o poi ci toglierà di mezzo ma non c'è più energia che basti a riparare tutti questi guasti. Nessuno vorrà farsi apparire in sogno un avvocato conservatore sarà questione di ventilazione sarà questione di respirazione. Amore mio. Daremo aria a queste stanze molto prima che sia Natale prima che quest'ossido di carbonio cominci a farci male. Staremo accanto alla finestra dritti nell'aria della sera ritorneremo a respirare ricorderemo la maniera. Amore mio. La Polizia conserva foto di tutti e Dio lo sa cosa le tiene a fare gente che usciva allo scoperto praticamente per respirare Ma ognuno ha una coscenza segreta con cui fa il pranzo di Natale sarà questione di ventilazione o di sapere che cos'è normale. Amore mio. Daremo aria a queste stanze molto prima che sia Natale prima che quest'ossido di carbonio cominci a farci male. Daremo fuoco a queste stanze molto prima che sia Natale prima che l'ossigeno che ci danno cominci a farci male. Amore mio.
Le dieci canzoni più belle di Ivano Fossati Un ripasso delle sue cose migliori, nel giorno ufficiale del suo pensionamento con la puntata speciale di Che tempo che fa su Rai 3
23 gennaio 2012
Ivano Fossati aveva annunciato a ottobre, durante una puntata di Che tempo che fa, che avrebbe smesso di fare dischi. Stasera va in onda su Rai 3, con uno speciale dello stesso programma ricco di ospiti, il suo addio ufficiale alla musica, come lui stesso l’ha definito. Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, aveva elencato nel suo libro Playlist le dieci canzoni più belle del cantautore.
Ivano Fossati ha una storia simile a quella di Paolo Conte, un decennio dopo. Prima autore di grandi canzoni per altri interpreti, poi cantautore idolatrato dallo stesso pubblico di Conte, e con una simile inclinazione intellettuale e schiva. Lui aggiunge al curriculum l’aver sbancato a inizio carriera con un pezzo anomalo ed eccitato come “La mia banda suona il rock”.
Di tanto amore (La mia banda suona il rock, 1979) “E magari morirò, di tanto amore”. Bellissimo primo verso. Lo si potrebbe migliorare solo così: “E magari morirò, di tanto amore. Magari no”. Fossati lo fece, avvedutamente. La mia banda suona il rock è il più bel disco di Fossati, in cui la canzone più celebre non è neanche la migliore. Da allora in poi, si è limitato a guadagnarsi una stima adeguata alle cose che sapeva fare già da tempo: “perché so, perché lo so: di tanto amore morirò”.
Vola (La mia banda suona il rock, 1979) “Vola” è più famosa nella versione di Mia Martini, per cui era stata scritta. Dapprima la casa discografica la girò a Patty Pravo, ma il rischio fu scongiurato. Cantata da Fossati è forse meno sofferta e appassionata ma questo le dà anche maggior equilibrio. Senti come canta “nessuno mi ha invitato alla sua festa”.
E di nuovo cambio casa (La mia banda suona il rock, 1979) “E di nuovo cambio casa” è bellissima, per come suona, ma anche perché i propositi di distrarsi, ricominciare, farsela passare sono da subito palesemente in contraddizione col tono in cui lui li canta: è chiaro che non ce la farà mai. E infatti “e gira gira e gira gira si torna ancora in primavera e mi trova che non ho concluso niente”.
La costruzione di un amore (Panama e dintorni, 1981) Spezza le vene delle mani. La più amata canzone di Fossati, capolavoro di poesia vera, con una sensazionale e aerea apertura nel ritornello (ma chiamarlo ritornello è riduttivo): “E intanto guardo questo amore che si fa più vicino al cielo, come se dopo tanto amore bastasse ancora il cielo”. Dopo la ricanterà ancora in La pianta del tè.
Le signore del ponte-lance (La pianta del tè, 1988) Due minuti e poco più di melodia nautica, con tanto di versi in francese. Leziosa e da crociera come Novecento di Baricco e altrettanto infallibile.
Italiani d’Argentina (Discanto, 1990) “Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina” riprende l’idea della faccia un po’ così che abbiamo noi che abbiamo visto Genova. E gli uni e gli altri si somigliano, in effetti. “E abbiamo piste infinite negli aeroporti d’Argentina”. Che “Argentina” suoni benissimo in una canzone – meglio di “Uruguay”, ma anche di “Brasile” – lo si sapeva dai tempi di “Don’t cry for me Argentina”. “Che la distanza è grande, la memoria cattiva e vicina, e nessun tango mai più ci piacerà”.
Il disertore (Lindbergh, 1992) Una lettera di renitenza alla leva, un testo pacifista di Boris Vian (tradotto da Giorgio Calabrese), un Piero che rifiuta di sparare molto prima di quello della guerra di Piero, e opportunamente: prima che sia troppo tardi. Fossati la canta con una partecipazione agguerrita (ops!) – “per cui se servirà del sangue ad ogni costo, andate a dare il vostro” – degna di certi francesi degli anni Settanta.
Naviganti (Dal vivo vol.1, 1993) “Siamo stati naviganti con l’acqua alla gola e in tutto questo bell’andare quello che ci consola è che siamo stati lontani e siamo stati anche bene e siamo stati vicini e siamo stati insieme”. La più bella poesia di Fossati, e metteteci il modo con cui la dice (non la recita, la dice). “Grandi corridori di corse in salita che alzavano la testa dal manubrio per vedere se fosse finita, allenati alla corsa, allenati alla gara, e preparati a cadere e a tutto quello che s’impara”. “Ma ora è il momento di mettersi a dormire, lasciando scivolare il libro che ci ha aiutati a capire che basta un filo di vento per venirci a guidare, perché siamo naviganti senza navigare mai”.
C’è tempo (Lampo viaggiatore, 2003) L’inimitabile elencazione dei tempi per ogni cosa, ripresa poi in mille e mille occasioni, risale al Salomone biblico, nell’Ecclesiaste. Fossati la declina in piccolo, trascura guerre e stagioni, e parla d’amore e di tram.
Il bacio sulla bocca (Lampo viaggiatore, 2003) Un valzer. “La mia sola canzone d’amore che finisce bene”, pare abbia detto lui una volta.
E' un periodo segnato da voci di ritiri e pause di riflessione per la musica italiana, in particolare per alcuni dei suoi esponenti più carismatici: fra questi c'è di sicuro Ivano Fossati, che ha annunciato qualche settimana fa la chiusura di una carriera quarantennale. Ci vorrebbero interi libri (che infatti non mancano) per raccontare di una strada che va dal prog dei Delirium all'affermazione di un cantautore dal profilo del tutto singolare, passando per la scrittura di capisaldi destinati ad altre voci; di getto mi vengono in mente “Pensiero stupendo”, “E non finisce mica il cielo” e “Non sono una signora”, per tacere della storica sintonia artistica con Fiorella Mannoia. Poter vantare oltre a tutto ciò la firma congiunta su un intero album di Fabrizio de André è al di là degli aggettivi.
L'ultimo disco di Ivano Fossati – presumibilmente l'ultimo in tutti sensi, dunque – s'intitola “Decadancing” e porta dentro di sé come spesso accaduto di recente il punto di vista del cantautore sul mondo contemporaneo. La generale decadenza è origine del lamento verso una china pericolosa presa dall'uomo in un momento di flessione (economica e morale) di cui ormai anche i telegiornali ci informano quotidianamente. A rendere la situazione ancor più insopportabile, come ben evidenziato dal calembour del titolo, è la sensazione che si continui a ballare spensierati mentre tutto va a rotoli; l'immagine di un dancing popolato ma in disfacimento è immediata ed efficace.
Dopo la title-track, come singolo è stata scelta “Quello che manca al mondo”, vera e propria invocazione a fermarsi per un secondo a guardare davvero quello che ci circonda. A ben vedere le cose che Ivano Fossati ritiene latitare al momento sono le più semplici e forse le più umane, da un ritorno a valori più significativi alla sobrietà, addirittura al silenzio (e forse questo è un link che riporta all'inizio dell'articolo).
La canzone è da annoverare fra quelle in cui il cantautore genovese meglio riesce a legare un messaggio profondo alla sua musicalità, come d'altronde spesso succede in questo disco che ci permette di congedarci dall'artista avendo nelle orecchie un buon esempio delle sue capacità. Che questo sia motivo di lenimento del dispiacere o agisca come sale sulla ferita sta ad ognuno deciderlo.
Per salutare di persona il proprio pubblico, Ivano Fossati si è imbarcato recentemente nell'ultima tournée che durerà almeno fino a fine febbraio: sarà l'occasione perché un ampio e generalmente silenzioso pubblico possa ringraziare di tutto uno degli artisti più schivi della nostra scena, ma non per questo meno amato. Sergio Cadeddu
Si è chiuso ieri sera Milano, in un Piccolo Teatro gremito ed emozionato, il tour 'Decadancing' di Ivano Fossati, annunciato come addio alle scene del cantautore. In un'atmosfera raccolta, dialogando con un pubblico caloroso al quale ha raccontato le storie legate ad alcune canzoni, come 'Stella Benigna', Fossati ha eseguito un'ampia parte del suo repertorio alternandosi da vero mattatore del palco fra la chitarra, l'armonica, il flauto e un pianoforte a coda. Da solo sulla scena con il suo piano, il cantautore genovese ha eseguito toccanti versioni di 'Lindbergh' e 'Mio fratello che guardi il mondo' che hanno meritato gli applausi a scena aperta della platea. Uno spettacolo diviso in due atti, come una rappresentazione teatrale, che ha oscillato fra il concerto rock, il monologo e la festa in onore della fine di una carriera live quarantennale.
È un grande artista è un commediante nato che prova il suo gesto nel segreto e si presenta da sé ogni sera nella parte difficile di una vita vera. L'uomo da solo nella stanza misura i passi di una certa danza e conta gli specchi intorno che all'attore l'andata in scena sembra senza ritorno. L'uomo da solo è ballerino e attore sa calcolare i sorrisi e i passi e sa dosare il pudore e la paura che è una tenaglia che ci chiude le gambe a tutti in un artiglio la paura che è una tenaglia. Non è facile danzare con la faccia da ballerino di fila non è facile danzare in un corpo di ballo di oltre centomila. Non è facile da fare non è facile farsi amare non è facile danzare non è facile da fare. L'uomo da solo è un investigatore che ha delle piste da seguire e tira i lembi della sua vita che la pellicola gli sembra finita e si domanda cosa ci sta a fare seduto sul letto a provare la parte di una commedia di nessuna arte. Di questa commedia di nessuna arte dove l'attore fiuta la donna in platea così amplia il gesto e azzarda il ballo e tira il fiato e tende il sorriso. E sotto le luci si sente e si vede e sotto le luci si sente e si vede che è ancora vivo. Non è facile danzare con la faccia da ballerino di fila non è facile danzare in un corpo di ballo di oltre centomila. Non è facile da fare non è facile farsi amare. Non è facile danzare con la faccia da ballerino di fila non è facile danzare in un corpo di ballo di oltre centomila. Non è facile farsi amare non è facile da fare.
La pianta del tè è un album musicale di Ivano Fossati uscito nel 1988.
Tracce
Testi e musiche di Ivano Fossati. La pianta del tè – 5:52 Terra dove andare – 3:35 L'uomo coi capelli da ragazzo – 3:37 La volpe – 3:41 La pianta del tè (parte seconda) – 3:44 Questi posti davanti al mare – 4:36 Le signore del ponte-lance – 2:12 Chi guarda Genova – 6:03 La costruzione di un amore – 4:19 Caffè lontano – 2:53
Recensione Ivano Fossati - La pianta del tè
di Fabrizio Pucci. estatica.it
Fin dal primo ascolto si percepisce che "La pianta del tè" è un disco raffinato, con una produzione e degli arrangiamenti molto curati. Con i successivi ascolti a poco a poco le canzoni di questo cantautore genovese ti entrano nel cuore.
Arrangiamenti, registrazione, pulizia del suono, idee, strumentazione variegata: queste caratteristiche fanno meritare l'ascolto del dischetto argentato su un buon sistema hi-fi, seduti sul divano o sulla vostra poltrona preferita. Se proprio volete ascoltarlo in viaggio, cancellate i file mp3 e createvi la vostra copia in formato FLAC. Tecnica ed emozioni, un connubio non facile, un equilibrio difficile da mantenere, ma perfettamente riuscito su questo disco. Lo stato di grazia è impreziosito da ospiti del calibro di Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori (in "Questi posti davanti al mare") e Teresa De Sio (in "La volpe").
L'iniziale "La pianta del tè" ha sapore etnico, grazie a strumenti quali antara e kena, suonati da Uña Ramos. C'è un cammino ed una ricerca, ma non si può volere l'impossibile, meglio restare aggrappati alla ricerca di qualcosa di reale e soprattutto possibile: "Chi si guarda nel cuore sa bene quello che vuole e prende quello che c'è". "Terra dove andare" è il brano più pop, il testo parla delle difficoltà di trovare spazi fin dalla maggiore età e della possibilità di essere tagliati fuori ancora prima di partire: "Lui si guarda intorno e non ha già più terra dove andare [...] e a diciott'anni un lavoro non lo cerca più, a diciott'anni un lavoro che gli serve a fare".
"L'uomo coi capelli da ragazzo" è un ritratto, dove le immagini sono sfumate e quel poco che viene raccontato può essere completato solo con la fantasia e le proprie esperienze, perché non possiamo sapere chi c'è dietro questo uomo che "in camera ha un ritratto che si è fatto da sè".
"La volpe" è misteriosa e dolce, un bellissimo pezzo giocato su paure inconscie che affiorano in certe situazioni di chiaroscuro. I dubbi vengono auto alimentati e fanno crescere il timore, "Che sarà quell'ombra in fondo al viale di casa mia. Sarà la luna fra le piante “malaluna”. Sarà la luna fra le piante “malaluna”. Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è". Il finale con la strofa cantata da Teresa De Sio, riporterà un soffio di luce.
La seconda parte de "La pianta del tè", solo strumentale, piazzata a metà disco, restituisce un momento di calma e riflessiva introspezione.
"Questi posti davanti al mare" racconta l'urgenza e il bisogno di percepire e vivere il mare. Il cantato a tre contribuisce a rendere il brano più interessante.
In "Le signore del ponte Lance" ci troviamo su una nave che si allontana dalla Francia, un quadro un po' sfuocato che ci regala anche una strofa cantata in un francese un po' goffo, che anche per questo motivo esprime tenerezza: "C'est un petite chanson sur le gens qui passent et le temps qu'on passent a courir l'amour le capitaine est un brave homme d'içi il a de bon marins qui viennent d'Italie".
"Chi guarda Genova" è un bell'omaggio alla città marinara, alla sua struttura incastonata tra mari e monti, che è possibile vedere e capire solo guardandola dal mare. Immaginiamo un battello che parte da Genova verso le Cinque Terre, per godere delle meraviglie che si stagliano davanti agli occhi. Ma poi si parla d'altro, la partenza era solo un pretesto, si inseriscono i ricordi e i pensieri, "abbiamo tutti un cuore arido ed un orecchio al traffico".
"La costruzione di un amore" era già presente in "Panama", album del 1981. Si tratta di uno dei pochi casi in cui la nuova versione è migliore di quella originale. Il brano è stupendo sia per il testo, che per l'incedere musicale: il loro connubio riesce ad essere in perfetta simbiosi e ad esprimere la sofferenza di un percorso sentimentale, ma anche gioia di costruire qualcosa, pur consci delle difficoltà, ma senza mollare.
In "Caffè lontano" si è seduti ad un caffè, senza la persona amata. Non è dato sapere se è un amore finito, mai avuto, o se è una semplice lontananza temporanea. Ma la sensazione di essere vicini e di prendere un caffè insieme è conforto e sicurezza. Ma le sensazioni durano attimi, fa freddo, "i londinesi sono ombrelli in pena contro il loro vento" ed anche lui nell'animo non riesce a scacciare questo stato d'animo...
Di acqua e di respiro di passi sparsi di bocconi di vento di lentezza di incerto movimento di precise parole si vive di grande teatro di oscure canzoni di pronte guittezze si va avanti di come fare di come dire di come fare a capire di alti di bassi battiti del cuore fasi della luna e ritmi della terra di intelligenza di intermittenza si vive di danze di ballo sociale di una promessa di un faccia differente di mediocri incontri di bellezze di profumi ardenti di accidenti rotolando si gira, si balla si vive, si fa festa quella, questa si picchia forte col piede nella danza e si sbaglia il passo si vive di fortune raccontate e di viaggiare e si cammina stanchi è di lavoro è opposizione è corruzione si vive di lenta costruzione e di tempo che ci inchioda e di diavoli al culo di fianchi smorti di fuochi desiderati si vive di pane di speranza di bere un vino buono per l'estate rotolando si vive di discorsi leggeri cori di maschere notturne canto e discanto e giù divieti e oli sulla pelle e sorrisi di fantasmi e fantasmi fotografati e giù campane annuncianti si vive di sguardi fermi di risposte folgoranti di lettere partite che aspettiamo in cima al mistero di essere così soli. Di questo si vive e di tant'altro ancora che inseguiamo come i cani respirando dal naso per finire invece ancora sorridenti, ancora abbaianti di un dolore a caso.
Durante gli interrogatori è riuscito che le imputate in tempo di luna al primo quarto hanno rinunziato al sacramento del battesimo seducendosi l'una per l'altra a commettere tale mancamento permettendo per maggiore dannazione delle loro anime di essere ribattezzate con una nuova infusione d'acqua sopra il capo essendosi sottoposte a tal legame di obbedienza al Nemico del genere umano. Che in tempo di luna piena a ore comode, ai malfatti propizie erano portate in aria invisibilmente in maledetti congressi dove venivano compiute diversità e quantità di incantagioni, sortilegi giochi bestiali ed ereticali. Che i luna di ultimo quarto hanno esse confessato le violenze i venefici, i danni infiniti le infermità incurabili alle persone, agli animali. I luna nuova di settembre la distruzione dei raccolti nelle campagne mediante la sollevazione di venti e tempi impetuosi.
Dialogo fra l'inquisitore e un'imputata:
Ma tu chi sei cos'hai perché non parli non argenti di stelle questo scialbo mattino non sei tu stessa a incasellarli gli astri lucenti nel grande albo del cielo o sei anche tu una figurina senza potere se non nelle notti di ferire i viandanti come spina. Ahi signore se potesse tutto il male che mi consuma mutare la spada tua in un giro di scale armoniche ascendenti o in una strada che via mi conducesse. Ma non vale niente che io faccia che resista o che cada tu non capisci è questo il grande lutto che oscura le mie vesti ma voglio dirti la verità dal lato brutto a cui non si rimedia tu non capisci è questo il grande MALE io non ti amo è questa la tragedia.
La sentenza:
Visto il processo coi testimoni esaminati dove manifestamente si comprova il corpo dei diversi delitti per essere stati commessi viste le dottissime difese per psarte delle dette rappresentate viste finalmente le cose che devono vedersi e considerate quelle che devono essere considerate avuto il parere decisivo dei molti illustri e chiari signori commissari di questa giurisdizione affinché non abbiano a gloriarsi delle loro pessime opere ad esempio di altri in via definitiva sentenziamo e condanniamo.
Il 14 aprile 1647, nel luogo designato davanti ai contadini obbligati ad assistere al supplizio vengono decapitate: Lucia Caveden, Domenica, Isabetta e Polonia Graziadei, Caterina Baroni, Ginevra Chemola e Valentina Andrei i corpi sono bruciati, i resti seppelliti alle Giarre in terra maledetta. I beni delle donne confiscati.