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Torna a casa, Lassie!
Titolo originale Lassie Come Home
Paese USA
Anno 1943
Durata 89 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere commedia
Regia Fred McLeod Wilcox
Soggetto Eric Knight
Sceneggiatura Hugo Bulter
Produttore Samuel Marx
Produttore esecutivo Harry Rapf
Casa di produzione Metro-Goldwyn-Mayer
Fotografia Leonard Smith
Montaggio Ben Lewis
Effetti speciali Warren Newcombe
Musiche Daniele Amfitheatrof
Scenografia Cedric Gibbons
Trucco Jack Dawn
Interpreti e personaggi
Lassie
Roddy McDowall: Joe Carraclough
Elsa Lanchester: Mrs. Carraclough
Donald Crisp: Sam Carraclough
Nigel Bruce: Duca di Rulding
Edmund Gwenn: Rowlie
Elizabeth Taylor: Priscilla
May Whitty: Dally Fadden
Ben Webster: Daniele Fadden
J.Pat O'Malley: Hynes
Alan Napier: Jock
Alec Craig: Buckles
John Rogers: Snikes
Doppiatori italiani
Doppiaggio del 1948:
Renata Marini: Elsa Lanchester
Luigi Pavese: Donald Crisp
Amilcare Pettinelli: Nigel Bruce
Corrado Racca: Edmund Gwenn
Germana Calderini: Elizabeth Taylor
Giovanna Cigoli: May Whitty
Doppiaggio del 1975:
Riccardo Rossi: Roddy McDowall
Dhia Cristiani: Elsa Lanchester
Sergio Fiorentini: Donald Crisp
Antonio Guidi: Edmund Gwenn
Carlo Romano: Nigel Bruce
Emanuela Rossi: Elizabeth Taylor
Lydia Simoneschi: May Whitty
Bruno Persa: Ben Webster
Torna a casa, Lassie! (Lassie Come Home) è un film del 1943 diretto dall'esordiente Fred McLeod Wilcox, prodotto e distribuito da Metro-Goldwyn-Mayer. Tratto dall'omonimo romanzo del 1940 di enorme successo dello scrittore Eric Knight, è la storia commovente del profondo legame affettivo tra Joe, un ragazzo inglese dello Yorkshire, e il suo cane, un rough collie di nome Lassie.
Anche la pellicola riscosse vastissimo consenso di pubblico, tanto che negli anni quaranta MGM produsse altri sei film con Lassie come protagonista, a partire da Il figlio di Lassie del 1945. Sia il primo film sia i vari seguiti continuano tuttora ad essere programmati in televisione insieme alle tre serie televisive che ne sono derivate; ne esistono anche edizioni in VHS e DVD. Nel 2005 è stato realizzato il remake Lassie, girato in Scozia, Irlanda e sull'Isola di Man, mentre le riprese di quello originario del 1943 in realtà erano avvenute tutte in America.
A dimostrazione del successo popolare ottenuto dalle opere su Lassie, viene generalmente indicato il vertiginoso aumento dei cani di razza collie registrato negli Stati Uniti negli anni quaranta, quando si passò dagli usuali 3.000 capi a oltre 18.000 esemplari
Trama
Nello Yorkshire travagliato dalla Grande depressione, l'operaio Sam Carraclough rimasto disoccupato è costretto a vendere la sua cagna Lassie, cui il figlio Joe è affezionatissimo, al ricco duca di Rulding. Dopo vari e riusciti tentativi di fuga del collie per tornare dal suo adorato padroncino, il duca trasporta l'animale nella sua proprietà in Scozia, a parecchie centinaia di chilometri di distanza. Qui però la piccola Priscilla, sua nipote, arrabbiata da un lato per la crudeltà con cui Hynes, il loro servitore, tratta il cane, e a conoscenza dall'altro dell'infelicità di Lassie e di Joe, favorisce la fuga definitiva del collie. L'animale affronta allora il lungo viaggio di ritorno nello Yorkshire superando minacce e pericoli (da parte dell'uomo e della natura), ma incontrando anche aiuto e affetto insperati lungo la sua strada. Alla fine, quando Joe ormai sembra aver perso ogni speranza di rivedere il suo amato cane, una Lassie ferita e distrutta dalla fatica ricompare nel cortile della scuola dove era solita attenderlo per riaccompagnarlo a casa, mentre il duca e sua nipote rifiutano di riconoscere Lassie in quell'animale e offrono invece a Sam un lavoro nella loro tenuta.
La produzione
Lo scrittore Eric Knight, autore del romanzo di Lassie, morì nel corso delle riprese, il 15 gennaio 1943. In servizio durante la seconda guerra mondiale come maggiore dei servizi speciali dell'esercito americano, l'aereo da trasporto su cui era imbarcato precipitò per ragioni mai appurate nella giungla dell'allora Guyana Olandese (Suriname) in uno dei peggiori disastri patiti dall'aviazione statunitense.
Lassie fu scelta dopo una selezione indetta a livello nazionale dalla MGM. Nonostante l'ampiezza della ricerca, però, non si riuscì a trovare il cane "cinematograficamente" adatto. La MGM si rivolse allora all'addestratore di cani Rudd Weatherwax che presentò vari esemplari, fra i quali venne subito scelto Pal, un maschio di un anno senza pedigree, nonostante le indicazioni fossero per una femmina di almeno due anni e di razza pura.
Anche se non si trattò del debutto cinematografico di Elizabeth Taylor (che aveva allora 11 anni), Torna a casa, Lassie! fu però il suo primo film con la MGM (per la quale avrebbe lavorato nei successivi diciassette anni). Numerose, diverse e talora fantasiose sono le versioni sul come ottenne la parte di Priscilla, tutte comunque concordano nel sostenere che la sua scelta fu un ripiego, vuoi perché la candidata iniziale era cresciuta tanto in fretta da superare in altezza il protagonista Roddy McDowall (e il produttore Samuel Marx "scoprì" Liz pattugliando le strade di Los Angeles - si temeva che tedeschi e giapponesi fossero già sbarcati negli Stati Uniti - insieme con il suo buon amico Francis Taylor, cui la figlia era venuta a portare dei sandwich), vuoi perché la prima Priscilla non sopportava le luci troppo intense dei riflettori (e la madre di Liz aveva proposto sua figlia per "ovviare" all'inconveniente), vuoi perché la prescelta Maria Flynn aveva tenuto nascosta la sua paura per i cani che però apparve evidente non appena le scene furono controllate in studio (e in quei giorni Francis Taylor "raccomandò" alla MGM sua figlia per una particina qualsiasi).
Come detto, benché ambientato nello Yorkshire e in Scozia, il film fu interamente girato negli Stati Uniti, a Seattle e altre località dello stato di Washington e in numerosi set allestiti in California, soprattutto a Monterey e lungo il fiume San Joaquin. Fu qui che il poco accreditato Pal, sottoposto a una prova con le altre pretendenti al ruolo di Lassie, conquistò la parte della protagonista attraversando con facilità le acque impetuose del fiume.
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Elizabeth Taylor's Mariti
piano di Mike Todd si chiamava "The Lucky Liz" tragicamente non gli portano fortuna, si è schiantato su una montagna nel New Mexico, uccidendolo.
Durante tutto il suo matrimonio con Eddie Fisher, Elizabeth ha continuato a indossare nuziale Mike Todd's - Eddie sulla sua mano sinistra e Mike alla sua destra. Il contorto, band carbonizzati sono stati recuperati dalle macerie dopo il suo incidente aereo.
L'uomo ha lottato per mantenere fu Richard Burton che il suo biografo dice che avrebbe cercato di farlo tornare una terza volta, se fosse vissuto
1) Jr "Nicky" Conrad Hilton, albergatore
(M. 6 Maggio 1950 divorziato 1 febbraio 1951)
2) Michael Wilding, attore
(M. 21 Febbraio 1952 divorziato 30 gennaio 1957)
3) Mike Todd, produttore
(M. 2 feb 1957 (morto), 22 marzo 1958)
4) Eddie Fisher, Singer
(M. 12 mag 1959 divorziato 6 marzo 1964)
5) Richard Burton, attore
(M. 15 Marzo 1964 divorziò 26 Giugno 1974)
6) Richard Burton, attore
(M. 10 Ottobre 1975 divorziato 1 agosto 1976)
7) John Warner, senatore
(M. 4 Dicembre 1976 divorziato 7 novembre 1982)
8) Larry Fortensky, operaio edile
(M. 6 ottobre 1991 divorziò 31 ottobre 1996)
"Nessuno mi dice che per amore, o non amare, che per essere visto con chi e di non essere visto con"
Elizabeth Taylor
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La bellezza ha gli occhi viola
Definita come “la donna più bella del mondo”, Elizabeth Taylor è sempre stata, sin dalla più tenera età, sotto le luci accecanti della ribalta per poi ritrovarsi, da grande, continuamente al centro di obiettivi indiscreti, pronti a rivelare al mondo intero i suoi innumerevoli scandali.
Questa ex-bambina prodigio dotata di un’eccezionale fotogenia, ha avuto infatti una vita sentimentale quantomeno turbolenta e un privato (se di privato si può parlare) segnato da alcool, droghe e bulimia.
Elizabeth Taylor, la “ragazza dagli occhi viola”, non ha mai smesso di far parlare della sua vita, dei suoi amanti, dei suoi figli, dei suoi trentadue ricoveri per disintossicazione e diciannove interventi chirurgici che, alla fine degli anni ’80, sembrarono restituirle la giovinezza perduta.
Sette mariti, ma un solo, unico, grande amore: l’attore Richard Burton. Questo gran bevitore e impenitente donnaiolo, è infatti passato alla storia più come marito di “Liz” che per le sue rudi e vitali interpretazioni.
I due si conobbero sul set del sontuoso peplum “Cleopatra” (1963, di Joseph L. Mankiewicz). Poco prima che iniziassero le riprese Burton, a proposito di Elizabeth, disse all’amico Rex Harrison: “-Lei nel ruolo di Cleopatra? E’ ridicolo: spiegami dov’è bella questa piccola palla, questo batuffolo di grasso. La faccina è passabile ma è scura, troppo scura. Scommetto che si fa la barba ogni mattina-“. Quando poi “questo batuffolo di grasso” apparve sul set, per Burton fu “una vera e propria scossa elettrica”.
Iniziò così una delle più tormentate storie d’amore mai nate nella fabbrica dei sogni, una storia fatta di turbolenze in preda a deliri alcolici, di violenti litigi, di due matrimoni (il primo nel 1964 e il secondo nel 1975) e altrettanti divorzi (rispettivamente nel 1974 e nel 1976).
Dopo aver raggiunto l’apice del successo, dopo essersi aggiudicata ben due statuette (una per “Venere in visione” 1960, di Daniel Mann, l’altra per “Chi ha paura di Virginia Woolf?” 1966, di Mike Nichols), iniziò per la sfavillante carriera di Liz una lunga parabola discendente, correlata da ruoli non più esaltanti e da interpretazioni da dimenticare.
Quelli a seguire furono anni bui : sfatta, sovrappeso, intossicata da alcool e droghe, in preda ad una costante fame compulsiva, non c’era più niente in lei che potesse anche solo lontanamente ricordare quella soave “ragazza dagli occhi viola” che era un tempo.
Verso la fine degli anni ‘80 riuscì a risollevare il capo dal girone infernale in cui era sprofondata e, grazie ad una drastica cura per disintossicazione, fece anche ritorno sul set con piccole partecipazioni (ricordiamo quella ne “Il giovane Toscanini” 1988, di Franco Zeffirelli), per poi dedicarsi con grande impegno e costanza in campagne sociali contro l’Aids.
Insomma i tempi cambiano ma i grandi miti restano: l’inimitabile Liz, i cui occhi sembrano oggi aver ritrovato il loro antico splendore, alla venerabile età di 74 anni, continua ancora a far parlare di sé e delle sue piccole follie.
2006 - Deborah Macchiavelli
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"Più di ogni altra cosa al mondo volevo un uomo che mi potesse controllare"
Elizabeth Taylor
Il luogo delle riprese Giant, Texas, 1955
Con James Dean
Relax con James Dean durante le riprese di Gigante
Con James Dean
Con Paul Newman in La gatta sul tetto che scotta, 1958
Con Mike Todd e Eddie Fisher 1958
Con Mike Todd e figli Christopher e Michael Wilding Jr.
"Ho potuto bere a chiunque sotto il tavolo e non si ubriacano, la mia capacità è stato terrificante"
Elizabeth Taylor
"Davvero non ricordo molto di Cleopatra, c'erano altre cose in corso ..."
Elizabeth Taylor
"Se qualcuno abbastanza stupido per offrirmi un milione di dollari per fare un film, io non sono certo così stupido da abbassare"
Elizabeth Taylor
Edited by gheagabry - 23/3/2011, 17:54. -
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Elizabeth Taylor, una delle amiche più intime di Michael Jackson ha rilasciato una dichiarazione sulla morte del cantante, venuta a conoscenza della scomparsa della pop star mentre anche lei si stava preparando per il tour della pop star.
Così la settantasettenne Elizabeth Taylor, non ha avuto la forza di farsi vedere davanti alle telecamere ha quindi scritto ciò che prova in onore dell’amico: “Il mio cuore… la mia mente… sono in frantumi. Ho amato Michael per tutta la mia vita con tutta l’anima e non riesco a immaginare la mia vita senza di lui. Abbiamo avuto tante cose in comune e ci siamo amati e divertiti assieme. Vivrà per sempre nel mio cuore ma non basterà di certo a colmare questo vuoto. La mia vita sarà cosi vuota. Nessuno potrà mai capire quanto e come ci siamo amati. L’amore più puro e sincero che abbia mai avuto. Mi mancherai. Non riesco a immaginare la mia vita senza di lui… e ora mi trovo qui a stringere tra le mani una foto che Michael mi aveva regalato con una dedica <>, e anch’io lo amerò per sempre“.
Gli è stata sempre affianco, soprattutto nei momenti peggiori della sua vita, difendendolo a testa alta anche quando era rimasto da solo di fronte le accuse di molestie sessuali contro un minore, lei era lì accanto a lui a sorreggerlo.. -
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Aforismi di Elizabeth Taylor
Il successo è un eccellente deodorante. Porta via tutti i cattivi odori precedenti.
Il problema con le persone senza vizi è che generalmente puoi essere sicuro che avranno delle virtù piuttosto noiose.
Ho dormito solo con uomini con cui sono stata sposata. Quante donne possono dichiararlo?
Mia madre dice che alla mia nascita ho aperto gli occhi solo dopo l'ottavo giorno, e che quando l'ho fatto la prima cosa che ho visto è stata una fede nuziale. Mi hanno incastrato.
Adoro indossare pietre preziose, ma non perchè le posseggo. Non si può possedere la radiosità, si può solo ammirare.
Ti rendi conto di chi siano i tuoi veri amici quando sei coinvolto in uno scandalo.
E' già abbastanza triste che la gente muoia a causa dell'Aids, ma nessuno dovrebbe morire a causa dell'ignoranza.
Io ho un corpo di donna ed emozioni di una fanciulla.
Credo che gli uomini, raggiunta una certa età, abbiano paura di crescere. Più diventano vecchi, più le loro mogli ringiovaniscono.
Le grandi donne hanno bisogno di grandi diamanti.Le bianche scogliere di Dover
Titolo originale The White Cliffs of Dover
Paese USA
Anno 1944
Durata 126 min
Colore B/N
Audio sonoro
Genere drammatico
Regia Clarence Brown
Soggetto Alice Duer Miller e Robert Nathan
Sceneggiatura Claudine West, Jan Lustig, George Froeschel
Fotografia George J. Folsey e Robert H. Planck
Montaggio Robert Kern
Musiche Herbert Stothart
Interpreti e personaggi
Irene Dunne: Susan Dunn Ashwood
Alan Marshal: Sir John Ashwood
Roddy McDowall: John Ashwood II (versione ragazzo)
Frank Morgan: Hiram Porter Dunn
Gladys Cooper: Lady Jean Ashwood
Van Johnson: Sam Bennett
May Whitty: Nanny
C. Aubrey Smith: Colonnello Walter Forsythe
Elizabeth Taylor: Betsey Kenney
Peter Lawford: John Ashwood II (versione giovane adulto)
John Warburton: Reggie Ashwood
Jill Esmond: Rosamund
Brenda Forbes: Gwennie
Norma Varden: Sig.ra. Bland
Edmund Breon:
June Lockhat:
Doppiatori italiani
Renata Marini: Irene Dunne
Olinto Cristina: Frank Morgan
Lola Braccini: Gladys Cooper
Giulio Panicali: Alan Marshall
Aldo Silvani: C. Aubrey Smith
Giovanna Cigoli: May Whitty
Germana Calderini: Elizabeth Taylor
Amilcare Pettinelli: Edmund Breon
Miranda Bonansea: June Lockhat« La più grande storia d'amore del nostro tempo! »
Le bianche scogliere di Dover è un film del 1944, diretto dal regista Clarence Brown.
Trama
Il film è ambientato nel 1915 e narra la storia di una ragazza statunitense, Susan Dunn, che durante un viaggio in Inghilterra conosce e sposa il baronetto John Ashwood.
John sarà chiamato alle armi per la prima guerra mondiale e morirà sul fronte; Susan decide comunque di non far ritorno in patria, come vorrebbe il padre, ma rimane in Inghilterra per prendersi cura del figlio John, erede della casata, per aiutarlo nelle sue future responsabilità.
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Piccole donne
June Allyson interpreta Jo March
Titolo originale Little Women
Paese Stati Uniti
Anno 1949
Durata 121 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere drammatico, sentimentale
Regia Mervyn LeRoy
Soggetto Louisa May Alcott
Sceneggiatura Sally Benson, Victor Heerman, Sarah Y. Mason, Andrew Solt
Fotografia Robert H. Planck, Charles Edgar Schoenbaum
Montaggio Ralph E. Winters
Musiche Adolph Deutsch, Max Steiner
Interpreti e personaggi
June Allyson: Jo March
Elizabeth Taylor: Amy March
Janet Leigh: Meg March
Margaret O'Brien: Beth March
Mary Astor: signora March
Peter Lawford: Laurie
Rossano Brazzi: Professor Bhaer
Lucile Watson: zia Marta March
C. Aubrey Smith: Mr Lawrence
Elizabeth Patterson: Hannan
Leon Ames: Mr March
Richard Stapley: Tenente John Brooke
Ellen Corby: Sofia
Doppiatori italiani
Miranda Bonansea: June Allyson
Germana Calderini: Elizabeth Taylor
Renata Marini: Janet Leigh
Loredana Randisi: Margaret O'Brien
Giovanna Scotto: Mary Astor
Gianfranco Bellini: Peter Lawford
Lola Braccini: Lucile Watson, Mrs Gardiner
Amilcare Pettinelli: C.Audrey Smith
Giovanna Cigoli: Elizabeth Patterson
Sandro Ruffini: Leon Ames
Pino Locchi: Richard Stapley
Wanda Tettoni: Ellen Corby
Premi
Premi Oscar 1950: Oscar per la migliore scenografia (colore), nomination all'Oscar per la Oscar alla migliore fotografia
Piccole donne (Little Women) è un film del 1949, diretto dal regista Mervyn LeRoy, tratto dall'omonimo romanzo di Louisa May Alcott.
Trama
Nel New England vive la famiglia March, composta da quattro sorelle con i loro genitori. Scoppia la Guerra di Secessione e il padre parte per il fronte. Le ragazze vivono i piccoli accadimenti della loro cittadina colmando di affetto la loro mamma. Le quattro sorelle hanno un carattere molto diverso tra loro: Jo è un'indomita ribelle, vorrebbe essere al fronte per combattere accanto al padre e sogna di diventare una famosa scrittrice; Meg è una giovane donna pratica ma ragionevolmente romantica; Amy è la sofisticata delle sorelle, vezzosa ed egoista; Beth, la sorella minore, è dolce, timida e malaticcia, con la passione per la musica e per il pianoforte.
Giunge un giorno nel paese un bel giovanotto che arriva dalla grande città: si tratta di Laurie, il nipote di un vecchio signore scorbutico, loro vicino di casa. Laurie si mette a far la corte a Jo, ma questa lo respinge. I due rimangono amici e tempo dopo Laurie si sposerà con Amy. Intanto la povera Beth muore di malattia, mentre il padre, ferito in guerra, ritorna a casa. La vita scorre e le sorelle crescono. Decisa a rincorrere il sogno di diventare una brava scrittrice, Jo parte per New York, dove conosce un professore a cui fa leggere i suoi racconti, prevalentemente di gusto gotico. Il professore ne riconosce il talento, ma le consiglia di provare altri generi letterari, scrivendo solo di ciò che conosce in prima persona. Tornata a casa dalla sua famiglia, Jo riprende la sua vecchia vita e, durante la festa del fidanzamento tra Laurie e la sorella Amy, una sera troverà fuori della porta di casa il professore che è venuto a portarle il suo libro, finalmente pubblicato. Jo riconosce di avere molto in comune con lui e lo farà entrare in casa e a far parte della sua famiglia.
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Il gigante
Titolo originale Giant
Paese USA
Anno 1956
Durata 201 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere drammatico
Regia George Stevens
Soggetto Edna Ferber (dall'omonimo romanzo)
Sceneggiatura Fred Guiol, Ivan Moffat
Fotografia William C. Mellor
Montaggio William Hornbeck
Musiche Dimitri Tiomkin
Scenografia Boris Leven
Interpreti e personaggi
Elizabeth Taylor: Leslie Lynnton Benedict
Rock Hudson: Jordan 'Bick' Benedict Jr.
James Dean: Jett Rink
Carroll Baker: Luz Benedict II
Jane Withers: Vashti Snythe
Chill Wills: Zio Bawley
Mercedes McCambridge: Luz Benedict
Dennis Hopper: Jordan Benedict III
Sal Mineo: Angel Obregón II
Rod Taylor: Sir David Karfrey
Judith Evelyn: Mrs. Nancy Lynnton
Earl Holliman: 'Bob' Dace
Robert Nichols: Mort 'Pinky' Snythe
Paul Fix: Dr. Horace Lynnton
Alexander Scourby: Old Polo
Fran Bennett: Judy Benedict
Charles Watts: Giudice Oliver Whiteside
Elsa Cárdenas: Juana Guerra Benedict
Carolyn Craig: Lacey Lynnton
Monte Hale: Bale Clinch
Sheb Wooley: Gabe Target
Mary Ann Edwards: Adarene Clinch
Victor Millan: Angel Obregón Sr.
Mickey Simpson: Sarge
Pilar Del Rey: Mrs. Obregón
Maurice Jara: Dr. Guerra
Noreen Nash: Lona Lane
Ray Whitley: Watts
Napoleon Whiting: Jefferson Swazey
Doppiatori italiani
Micaela Giustiniani: Elizabeth Taylor
Sergio Fantoni: Rock Hudson
Giuseppe Rinaldi: James Dean
Fiorella Betti: Carroll Baker
Rina Morelli: Mercedes McCambridge
Wanda Tettoni: Jane Withers
Giorgio Capecchi: Chill Wills
Gianfranco Bellini: Dennis Hopper
Massimo Turci: Sal Mineo
Corrado Pani: Rodney Taylor
Augusto Marcacci: Paul Fix
Tina Lattanzi: Judith Evelyn
Vinicio Sofia: Alexander Scourby
Mario Besesti: Charles Watts
Premi
Premi Oscar 1957: Oscar al miglior regista
David di Donatello 1957: miglior produttore straniero
Il gigante (Giant) è un film del 1956 diretto da George Stevens.
Il gigante a cui allude il titolo del film è lo stato del Texas, il maggiore dei cinquanta stati americani. Il film venne girato nella cittadina di Marfa.
La pellicola è passata alla storia come l'ultimo dei tre film in cui compare come protagonista James Dean. L'improvvisa morte di James Dean in un incidente stradale avviene proprio sul finire delle riprese.
Nel 2005 è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
James Dean, Rock Hudson e Mercedes McCambridge si sono aggiudicati tre delle nove candidature all'Oscar per questo film tratto dal leggendario romanzo di Edna Ferber. Oscar alla miglior regia.
Trama
Bick Benedict (Rock Hudson), discendente da una ricca famiglia di allevatori del Texas, sposa Leslie (Elizabeth Taylor), una bella ragazza del Maryland. I primi anni trascorrono in maniera un po' difficile per Leslie, che deve vincere l'ostilità della cognata, e deve abituarsi al modo di pensare della gente del Texas, che è molto diverso da quello della sua famiglia d'origine. Tra marito e moglie sorgono delle incomprensioni, che però sono presto superate e la loro vita viene allietata dalla nascita di tre figli. Bick Benedict, uomo all'antica dai solidi valori etici, presto nota che il mondo intorno a lui cambia, ma non riesce ad adattarsi a queste rapide trasformazioni. Questo atteggiamento causa una progressiva e inarrestabile discesa economica e sociale. Lo scontro in famiglia riguarda in particolare l'educazione dei figli, che non vogliono proseguire l'attività del padre, e le loro scelte di vita. Questo si evidenzia in particolar modo quando Jordan arriva a sposare, con sgomento razziale del padre, una giovane messicana di colore.
Tra i braccianti di Bick c'è un giovane povero ma ambizioso, Jett Rink (James Dean), che gode delle simpatie della sorella di Bick. Da questa, morta in un incidente a cavallo, Jett eredita un piccolo appezzamento di terreno che si rifiuta di vendere nonostante le "generose" offerte dei Benedict. Jett Rink nutre fin dagli inizi una forte attrazione per la moglie di Bick, Leslie (Elizabeth Taylor), che non sarà mai corrisposta. Nel terreno ereditato egli vi scopre più tardi notevoli giacimenti di petrolio. Sfruttando questa incredibile risorsa, egli diventa ricco e acquisisce grande prestigio sociale e politico.
Per l'inaugurazione di un suo albergo egli organizza una grandiosa festa, alla quale partecipa anche la famiglia Benedict. In questa occasione Bick verrà a sapere che Jett fa la corte alla sua terzogenita, Luz, che s'è montata la testa. Intanto il personale di servizio dell'albergo manca di rispetto a Juana, la moglie di Jordy (l'unico figlio maschio di Bick, divenuto dottore ad Harvard), per via del colore della sua pelle. In seguito a questo fatto i Benedict lasciano la festa e tornano nella loro vecchia casa nella quale, nonostante i contrasti e le amarezze, proseguiranno serenamente la loro vita.
James Dean, Sal Mineo e Dennis Hopper avevano già precedentemente recitato insieme in Gioventù bruciata (1955).
Furono giorni di riprese e litigi continui, nel caldo insopportabile del Texas, a causa dei difficili rapporti tra Rock Hudson e James Dean. Jim considerava Rock una "signora a modo", a causa delle sue assurde manie (ben note a tutta Hollywood), di cucire da sè le tendine per le fineste o intrattenere gli amici con balletti di danza classica in calzamaglia e tutù. Diversamente Rock considerava Jim un bel ragazzo, ma scorbutico e assolutamente poco professionale per via delle sue improvvisazioni sul set.
Liz Taylor si invaghì di Rock Hudson durante le riprese del film. Dopo aver appreso che quest'ultimo era omosessuale gli rimase amica a lungo, fino alla morte dell'attore.
.recensioni
Antesignano delle soap-opera, "Giant" è un film classico che propende fin troppo nelle derive sentimentali della vicenda. Un film controverso e indubbiamente affascinante, che ha fatto innamorare tante generazioni, ma non privo di una certa ambiguità. No, non è quella dei gossip riferiti alle avances di Hudson nei confronti di Dean durante il set (il film è uscito postumo dopo la morte di Dean).
E' qualcosa di squisitamente... ideologico: la rappresentazione della famiglia-tipo repubblicana stride con l'inferno dell'improvviso American Dream del personaggio di Dean, costretto da Stevens a diventare da vittima vincente a... (sì lo so è un termine un pò forte) "carnefice" di se stesso.
Per quale ragione un personaggio originariamente provvisto di un senso pragmatico diventa necessariamente un folle ribelle assetato di potere e vizio?
E qui si potrebbe continuare, indipendentemente dalla scelta stilistica del buon Stevens, quando cerca (riuscendoci solo in parte) di recuperare l'immenso talento epico del suo capolavoro assoluto ("Shane").
Gli esterni sono comunque eccezionali (Altman si è ispirato al film per un film complesso e invero felicissimo come "Jimmy Dean Jimmy Dean"), non altrettanto gli attori. A parte Dean, sono proprio i comprimari a entrare perfettamente nei personaggi.
Il ventenne Dennis Hopper sembra più vecchio di 15 anni
LA RIVALSA, IL RISCATTO SOCIALE E LA VENDETTA NEI CONFRONTI DI CHI HA SEMPRE AVUTO TUTTO, DALLA RICCHEZZA ALLA DONNA "PERFETTA", NON SONO SERVITI A COLMARE LE LACUNE AFFETTIVE DI UN UOMO CHE SI E' DEDICATO, PER UNA VITA INTERA, AD UNA FORSENNATA SCALATA VERSO LA RICCHEZZA E IL POTERE. JAMES DEAN, IN QUESTO RUOLO TRAGICO, SEMBRA QUASI IL RICHARD FOSTER KANE DI "QUARTO POTERE": EGLI RIESCE AD OTTENERE TUTTO TRANNE LA COSA CHE GLI PREMEVA DI PIU': L'AMORE DI LESLEY, LA DONNA DELL'UOMO CHE HA SEMPRE RAPPRESENTATO PER LUI IL SIMBOLO DELL'INGIUSTIZIA SOCIALE. MA PROPRIO LUI, DEAN/JETT, DIVERRA', CON IL POTERE, UN SOGGETTO ANCORA PEGGIORE DEL SUO "RIVALE".
SULLO SFONDO VENGONO DESCRITTI IL PROVINCIALISMO E I PREGIUDIZI DELL'AMERICA DEL TEXAS E, PIU' IN GENERALE, DI QUELLA PARTE (LA MAGGIORE) DI AMERICA CHE VIVE AL DI FUORI DELLE GRANDI METROPOLI.
FILM VERAMENTE BEN FATTO. PECCATO PER IL FINALE "BUONISTA".
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Liz Taylor, una vita tra successi ed eccessi
Elizabeth Taylor, la diva dagli occhi viola, la Venere in Visone, la barbablu in gonnella, l’ottava meraviglia del Mondo… Liz Taylor e’ Hollywood, oltre che Cinecittà, quando gli americani venivano a girare a Roma.
Nata nel ’32 a Londra da genitori americani, nel ’40 è già a Los Angeles: prima di “Cleopatra” ha già girato trenta film, da “Torna a casa Lassie” a “Il Padre della Sposa”, da “Un posto al sole” a “Il Gigante”, da “Improvvisamente l’estate scorsa” a “La Gatta sul tetto che scotta”. E’ sul set faraonico di Cinecittà che scoppia la grande passione per Marco Antonio-Richard Burton, suo quarto e quinto marito.
Icona senza pari del melodramma, la sua vita è un melodramma: luci e ombre, rovine e rinascite, lutti e gioie, diamanti e malattie, onori e disgrazie: decorata dalla Regina Elisabetta nel 2000, due volte premio Oscar, nel ’61 e nel ’67, la vita della Taylor è stata come le montagne russe: sempre piu’ in alto sino alla fine degli anni Sessanta, poi la caduta, i problemi di salute, la bulimia, una tracheotomia, le polmoniti, il tumore al cervello, il cancro alla pelle, le insufficienze cardiache… Ma Liz è donna generosa: l’aids, che le porta via tanti amici di Hollywood, la vede mobilitarsi su tutti i fronti. Crea per esempio l’AmfAR per la raccolta di fondi a favore della ricerca e dei malati.
Quando la salute glielo permette, Liz gira il mondo per difendere la sua causa, convolgendo le piu’ grandi star del Pianeta.
“Sono qui per parlarvi non da attrice ma da portavoce di quanti vivono con l’aids. Vi parlo a nome del bambino in punto di morte in un Paese del terzo mondo, a nome del tossicodipendente delle nostre città, a nome della prostituta delle zone degradate. Vi chiedo di aiutare quanti non possono far sentire la loro voce. “
Attrice enorme in “Chi ha paura di Virginia Woolf”, di una bellezza mozzafiato quando usciva dall’acqua col costume da bagno bianco in “Improvvisamente l’estate scorsa”, sicuramente la sposa piu’ bella nella classica commedia di Minelli con Spencer Tracy, Liz Taylor è la leggenda dei tanti mariti, tanti carati, tanti profumi, tanti chili, tanti scandali, tante emozioni, tanti film indimenticabili.
tratto da euronews. -
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La gatta sul tetto che scotta
Titolo originale Cat on a Hot Tin Roof
Paese Stati Uniti
Anno 1958
Durata 108 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere drammatico
Regia Richard Brooks
Soggetto Tennessee Williams
Sceneggiatura Richard Brooks, James Poe
Fotografia William H. Daniels
Montaggio Ferris Webster
Musiche Charles Wolcott
Interpreti e personaggi
Elizabeth Taylor: Margaret "Maggie la Gatta" Pollitt
Paul Newman: Brick Pollitt
Burl Ives: Harvey "Big Daddy" Pollitt
Jack Carson: Cooper "Gooper" Pollitt, fratello di Brick
Judith Anderson: Ida "Big Momma" Pollitt
Madeleine Sherwood: Mae Flynn Pollitt, moglie di Cooper
Larry Gates: dr. Baugh
Vaughn Taylor: Deacon Davis
Doppiatori italiani
Fiorella Betti: Elizabeth Taylor
Giuseppe Rinaldi: Paul Newman
Luigi Pavese: Burl Ives
Carlo Romano: Jack Carson
Lydia Simoneschi: Judith Anderson
Giuliana Maroni: Madeleine Sherwood
Amilcare Pettinelli: Larry Gates
Cesare Fantoni: Vaughn Taylor
La gatta sul tetto che scotta (Cat on a Hot Tin Roof) è un film del 1958 diretto da Richard Brooks, tratto dall'omonimo dramma teatrale di Tennessee Williams.
Trama
Una notte, sul tardi, Brick Pollitt (Paul Newman) posiziona le barriere di corsa ad ostacoli lungo lo stadio, ricordando i tempi in cui era un giocatore di football. Benché sia ubriaco, decide di effettuare il percorso, ma cade, procurandosi una ferita che lo costringerà a portare le stampelle. Lui, insieme a sua moglie, Maggie "la Gatta" (Elizabeth Taylor), è in visita dai suoi genitori nella loro casa, nel Mississippi, per festeggiare il 65º compleanno di suo padre, Harvey "Big Daddy" (Burl Ives). Depresso, Brick decide di trascorrere le sue giornate dentro casa, bevendo, resistendo impassibile all'affetto di sua moglie ed alle sue critiche riguardo all'eredità del padre.
Harvey, di ritorno dall'ospedale, è malato di cancro, ma egli non è al corrente poiché la famiglia ed i dottori rifiutano di parlargliene; neanche sua moglie, Ida "Big Mama", sa del suo male incurabile. Maggie prega continuamente suo marito di prendersi cura della salute di suo padre, ma Brick si rifiuta testardamente. Quando Harvey si arrabbia con Brick perché alcolizzato, gli domanda il motivo della sua ostinazione, ma lui, arrabbiato, non risponde.
La ragione alla base della depressione di Brick è da ricercare in punto molto indietro nel tempo, quando lui ed il suo amico Skipper giocavano nella stessa squadra di football. Brick, quando sposò sua moglie, sperava di avere dei desideri sessuali con Skipper. Brick è convinto che il suicidio di Skipper sia stata una sua colpa, e ciò l'ha portato in una profonda depressione ed a bere. Più tardi, Harvey prova ad eliminare la menzogna tra lui e Brick, ma quando viene a sapere che ha meno di un anno di vita a causa del cancro, decide di lasciare la sua eredità a Maggie, perché "è viva" e Brick, superati i suoi problemi famigliari e coniugali, riconosce l'affetto che Maggie ha per lui.
L'omosessualità che c'è e non c'è
In occasione della trasposizione sullo schermo, per non incappare nelle maglie del Codice Hays che proibiva anche la semplice menzione delle "perversioni sessuali", fu soppressa la tematica originaria del testo teatrale: Brick, un atleta, non riesce a desiderare la bellissima e focosa moglie perché non si è mai ripreso dalla morte (per suicidio) di un compagno di squadra, Skipper, di cui era innamorato, senza però sapere o accettare di essere omosessuale. O meglio, più che non sapere, annega nell'alcol qualunque barlume di consapevolezza rischi di venire a galla.
Questa riscrittura creò qualche incongruenza nella vicenda, che privata della motivazione centrale del dramma ha aspetti psicologicamente deboli (nel film Brick è traumatizzato sia perché ha perso un compagno di squadra, le cui doti aveva idealizzato, sia perché gli è crollato un mito quando lo ha visto flirtare con la moglie...).
Anche la causa scatenante del dramma (il tentativo di seduzione di Skipper da parte della moglie, nel tentativo di ingelosire il marito e interessarlo a sé) assume ben diverso rilievo drammatico a seconda che si tratti, come nel testo teatrale, di uno shock per la delusione provata nei confronti dell'uomo amato, o di una delusione per il venir meno di una figura di amico idealizzato. Del resto, nel film stesso Skipper emerge in realtà come atleta mediocre, che vive di luce riflessa di Brick, che lo trasfigura perché lo ama, e non il contrario.
Ciononostante il film è considerato un classico, anche grazie alle interpretazioni magistrali di uno smagliante Paul Newman, un vulcano di rabbia repressa e infelicità inesprimibile, che dirige contro sé stesso autodistruggendosi, e di un'elettrizzante Elizabeth Taylor che rende onore al titolo, donna passionale, sinceramente innamorata e disposta a tutto per riavere l'uomo che ama, ma proprio perché innamorata incapace di credere alla vera causa del suo disinteresse.
[modifica] Riconoscimenti
Il film ha ricevuto sei nomination ai Premi Oscar 1959, tra cui quelle per il miglior film e miglior regista.
Nel 1958 il National Board of Review of Motion Pictures l'ha inserito nella lista dei migliori dieci film dell'anno.
Non viviamo insieme," URLa Maggie a Brick. "Occupiamo solo la stessa gabbia, nient'altro". Le emozioni crude e i dialoghi scoppiettanti contenuti nel dramma di Tennessee Williams, vincitore del premio Pulitzer nel 1955, rimbombano con il fragore di una tempesta in questa versione cinematografica che fu uno dei maggiori successi di box-office nel 1958, tanto in ragione delle tematiche adulte trattate nella trama, quanto per le eccezionali prove attoriali fornite dal cast. Non a caso Paul Newman ha guadagnato la sua prima nomination agli Oscar® per la sua interpretazione del tormentato ex-eroe sportivo Brick. Mentre in una performance che segna il suo passaggio ai più sensuali ruoli da adulta, Elizabeth Taylor ha ottenuto la sua seconda statuetta. La sua Maggie la gatta è il vivido ritratto di una appassionata fedeltà. Candidato a sei Oscar® incluso quello per il miglior film e potendo contare su attori del calibro di BURL Ives (nella sua corrosiva interpretazione di un padre allergico alla menzogna, già proposta a Broadway con trionfale successo), Judith Anderson e Jack Carson, LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA è davvero bollente.
Il dramma di un uomo che si lascia trasportare dall'alcool, la passione di sua moglie che cerca ad ogni costo ri riconquistare il suo amore ormai spento, le verità nascoste, le ipocrisie di una famiglia, amori comprati con oggetti e denaro.
Tutto esplode in una giornata. Nell'arco di tempo di quella che doveva essere una festa di compleanno, vengono sviscerati i segreti di tutta una famiglia e i caratteri dei suoi componenti portati all'eccesso.
Splendido il finale e il commovente dialogo tra il padre e il figlio.
Bellissimi e bravissimi Newman e la Taylor.
Ipocrisie, avidità e gelosie in uno dei più lucidi e spietati ritratti della borghesia americana mai proposti dal cinema americano. Un film indimenticabile nonostante le severe critiche di Tennessee Williams che lamentò gravi censure sulla sua piéce nel passaggio da teatro, più liberale, a cinema, più bacchettone. Sebbene alcuni tratti risultino irrimediabilmente ridimensionati (specie nei riferimenti di natura sessuale) la forza drammatica dell'insieme è a dir poco incandescente e Brooks, esperto nel difficoltoso genere delle dinamiche familiari, non manca di esaltare ogni possibile sfumatura emotiva, toccando vette di intensità memorabili, in una perfetta commistione fra cinema d'autore, teatro filmato e certezza commerciale. Splendido cast e assolutamente inarrivabili per fascino e comunicatività sia Newman che la Taylor. Un imperdibile classico.
Pregi e difetti del cinema di Hollywood. I pregi stanno soprattutto nella perfetta resa visiva, nell’oleato meccanismo narrativo, nel coinvolgimento emotivo dello spettatore. In altre parole questo film, come la maggior parte dei film degli anni 40/50, non annoia, coinvolge, soddisfa il desiderio dello “spettatore comune” di godere della vista della bellezza fisica e di assistere a conflitti sentimentali ed etici, risolti con il lieto fine.
Tra l’altro non è facile interessare per quasi due ore su di una vicenda molto teatrale, con lunghissimi dialoghi e che si svolge in pratica fra quattro mura. Eppure Brooks ci riesce. Prima di tutto si fa aiutare dalla presenza fisica magnetica di Paul Newman e di Liz Taylor che senza raggiungere picchi artistici di recitazione, catturano lo spettatore nel gorgo dell’espressione dei loro sentimenti morbosamente complessi. Hanno tutto un porsi davanti alla mdp che rende i loro personaggi qualcosa di elevato e speciale, pur rimanendo lui un famoso giocatore decaduto e alcolizzato e lei una moglie insoddisfatta. La loro recitazione è una via di mezzo fra la naturalezza e l’istrionismo teatrale.
Brooks ci mette poi del suo ponendo i personaggi scenicamente davanti a specchi, oppure muovendoli in maniera studiata a formare inquadrature quasi simboliche del loro stato d’animo (distacco, separazione ma allo stesso tempo bisogno l’uno dell’altro).
Altro “trucco” per catturare l’attenzione degli spettatori è quello di presentare il conflitto e svelarne poco per volta tutti i retroscena, come in una specie di puzzle. La curiosità di sapere perché Brick (Paul Newman) rifiuta così recisamente le grazie di tanta moglie (un’appetitosa Liz Taylor) intriga molto, senz’altro. Come pure incuriosisce assistere ai conflitti e alle lotte in una famiglia che dovrebbe invece vivere in felicità e armonia, grazie alla grande agiatezza con cui vive.
Il film diventa quindi l’occasione per presentare uno dei classici conflitti che animano la società americana, cioè quello fra ricchezza materiale e genuinità dei sentimenti. Per far ciò si presentano protagonisti con doti fuori del comune (Brick è stato un grande giocatore di football, suo padre è un ricchissimo possidente) alle prese con la negazione di loro stessi (uno finito alcolizzato, l’altro con i giorni contati). Sono difficoltà e situazioni che fanno imparare loro cos’è che vale veramente: non è il successo e la ricchezza, ma la sincerità e la forza del legame affettivo. Non si vogliono assolutamente negare le basi materialiste del mondo americano (anzi, il possidente che si è fatto da sé, è lodato ed esaltato), semplicemente raccomandare di non ridurre la propria esistenza al puro rapporto materiale ma di coltivare con il resto del mondo un rapporto diretto ed emotivamente sincero.
Sul banco degli imputati c’è quindi l’ipocrisia, rappresentata dal fratello di Brick e dalla sua grottesca moglie. E’ una rappresentazione fin troppo facile e scontata. Infatti come Brick e la moglie Maggie sono belli e sensibili, gli altri sono brutti, volgari e materiali. Ma la contraddizione più grossa del film è quella di condannare l’ipocrisia e allo stesso tempo rimanerne vittima.
Nel film aleggia un fantasma che si chiama omosessualità. La ragione della depressione e della “castità” di Brick è nel rapporto con Skipper, suo compagno di squadra. Da quello che si capisce si tratta di una vera e propria relazione amorosa, altrimenti non si riuscirebbe a spiegare la reazione emotivamente così intensa e radicale che avuto Brick dopo eventi tempestosi che hanno coinvolto i due “amici”. Si suggerisce (e anche con evidenza) ma non si dice. Di conseguenza il personaggio di Maggie scade un po’, visto che sembra quasi ostinarsi a non capire o a non dire apertamente quello che pensa.
Ci pensa comunque il solito affrettato e posticcio lieto fine a sistemare i rapporti fra i coniugi e a rovinare definitivamente il film.
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ADDIO LIZ TAYLOR - INDIMENTICABILE DIVA DAGLI OCCHI VIOLA
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