Francesco Guccini

BIOGRAFIA, DISCOGRAFIA, NEWS, FOTO, ETC...

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    Guccini (album)


    Da Wikipedia

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    Guccini (1983) è l'undicesimo album di Francesco Guccini.

    Il tema principale dell'album è l'inutilità del viaggio come mezzo di conoscenza.

    Tra le canzoni di questo disco spicca Autogrill (dove è evidente l'influenza di Borges), che narra di un amore solo sfiorato. La narrazione è quasi irreale, tutto pare sospeso in un non precisato contesto cronotopico lontano dallo scorrere naturale e oggettivo degli eventi. I registri temporali sono due, il presente e una dimensione, parallela ma "aliena", che non viene precisamente definita. I due topos temporali si mescolano confondendo così la percezione dell'ascoltatore sovrastato dal frenetico susseguirsi degli eventi.

    La canzone, come la definisce Paolo Jachia, "splende di luce vivissima ed è in tutto e per tutto una epifania, una breve apparizione del magico nell'altrove". In essa il dettato del pensiero pare sovrapporsi all'analisi analitica e funzionale della realtà risultando così estremamente "surreale".

    Tracce

    Tutte le canzoni sono di Francesco Guccini tranne Gulliver (Guccini - Alloisio - Guccini).

    1. Autogrill - 4:52
    2. Argentina - 5:18
    3. Gulliver - 4:50
    4. Shomèr ma mi-llailah? - 5:35
    5. Inutile - 5:14
    6. Gli amici - 4:43



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    Autogrill

    La ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e Seven-up,
    e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità,
    come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill,
    mentre i sogni miei segreti li rombavano via i TIR...

    Bella, d' una sua bellezza acerba, bionda senza averne l' aria,
    quasi triste, come i fiori e l' erba di scarpata ferroviaria,
    il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere
    che tracciavo con un dito dentro ai cerchi del bicchiere...

    Basso il sole all' orizzonte colorava la vetrina
    e stampava lampi e impronte sulla pompa da benzina,
    lei specchiò alla soda-fountain quel suo viso da bambina
    ed io.... sentivo un' infelicità vicina...

    Vergognandomi, ma solo un poco appena, misi un disco nel juke-box
    per sentirmi quasi in una scena di un film vecchio della Fox,
    ma per non gettarle in faccia qualche inutile cliché
    picchiettavo un indù in latta di una scatola di té...

    Ma nel gioco avrei dovuto dirle: "Senti, senti io ti vorrei parlare...",
    poi prendendo la sua mano sopra al banco: "Non so come cominciare:
    non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia?
    Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via."

    Terminò in un cigolio il mio disco d' atmosfera,
    si sentì uno sgocciolio in quell' aria al neon e pesa,
    sovrastò l' acciottolio quella mia frase sospesa,
    "ed io... ", ma poi arrivò una coppia di sorpresa...

    E in un attimo, ma come accade spesso, cambiò il volto d' ogni cosa,
    cancellarono di colpo ogni riflesso le tendine in nylon rosa,
    mi chiamò la strada bianca, "Quant'è?" chiesi, e la pagai,
    le lasciai un nickel di mancia, presi il resto e me ne andai...

     
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  2. tomiva57
     
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    Argentina

    Il treno, ah, un treno è sempre così banale se non è un treno della prateria
    o non è un tuo "Orient Express" speciale, locomotiva di fantasia.
    L' aereo, ah, l' aereo è invece alluminio lucente, l' aereo è davvero saltare il fosso,
    l' aereo è sempre "The Spirit of Saint Louis" ,"Barone Rosso"
    e allora ti prende quella voglia di volare che ti fa gridare in un giorno sfinito,
    di quando vedi un jumbo decollare e sembra che s' innalzi all'infinito.

    E allora, perchè non andare in Argentina? Mollare tutto e andare in Argentina,
    per vedere com'è fatta l'Argentina...

    Il tassista, ah, il tassista non perse un istante a dirci che era pure lui italiano,
    gaucho di Sondrio o Varese, ghigna da emigrante, impantanato laggiù lontano.
    Poi quelle strade di auto scarburate e quella gente anni '50 già veduta,
    tuffato in una vita ritrovata, vera e vissuta,
    come entrare a caso in un portone di fresco, scale e odori abituali,
    posar la giacca, fare colazione e ritrovarsi in giorni e volti uguali,

    perchè io ci ho già vissuto in Argentina, chissà come mi chiamavo in Argentina
    e che vita facevo in Argentina?

    Poi un giorno, disegnando un labirinto di passi tuoi per quei selciati alieni
    ti accorgi con la forza dell' istinto che non son tuoi e tu non gli appartieni,
    e tutto è invece la dimostrazione di quel poco che a vivere ci è dato
    e l' Argentina è solo l' espressione di un' equazione senza risultato,
    come i posti in cui non si vivrà, come la gente che non incontreremo,
    tutta la gente che non ci amerà, quello che non facciamo e non faremo,
    anche se prendi sempre delle cose, anche se qualche cosa lasci in giro,
    non sai se è come un seme che dà fiore o polvere che vola ad un respiro.

    L' Argentina, l' Argentina, che tensione! Quella Croce del Sud nel cielo terso,
    la capovolta ambiguità d' Orione e l' orizzonte sembra perverso.
    Ma quando ti entra quella nostalgia che prende a volte per il non provato
    c'è la notte, ah, la notte, e tutto è via, allontanato.
    E quella che ti aspetta è un' alba uguale che ti si offre come una visione,
    la stessa del tuo cielo boreale, l'alba dolce che dà consolazione

    e allora, com'è tutto uguale in Argentina! Oppure, chissà com'è fatta l' Argentina,
    e allora... "Don't cry for me, Argentina"...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...tina_42847.html









    Gulliver

    Nelle lunghe ore d' inattività e di ieri
    che solo certa età può regalare,
    Lemuel e Gulliver tornava coi pensieri
    ai tempi in cui correva per il mare
    e sorridendo come sa sorridere soltanto
    chi non ha più paura del domani,
    parlava coi nipoti, che ascoltavano l' incanto
    di spiagge e odori, di giganti e nani,
    scienziati ed equipaggi e di cavalli saggi
    riempiendo il cielo inglese di miraggi...

    Ma se i desideri sono solo nostalgia
    o malinconia d' innumeri altre vite,
    nei vecchi amici che incontrava per la via,
    in quelle loro anime smarrite,
    sentiva la balbuzie intellettuale e l' afasìa
    di chi gli domandava per capire.
    Ma confondendo i viaggi con la loro parodia,
    i sogni con l' azione del partire,
    di tutte le sue vite vagabondate al sole
    restavan vuoti gusci di parole...

    Poi dopo, ripensando a quell' incedere incalzante
    dei viaggi persi nella sua memoria,
    intuiva con la mente disattenta del gigante
    il senso grossolano della storia
    e nelle precisioni antiche del progetto umano
    o nel mondo suo illusorio e limitato,
    sentiva la crudele solitudine del nano,
    sentiva la crudele solitudine del nano
    nell' universo quasi esagerato,
    due facce di medaglia che gli urlavano in mente:
    "da tempo e mare, da tempo e mare,
    da tempo e mare, da tempo e mare,
    da tempo e mare non s' impara niente..."

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...iver_42848.html




     
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  3. tomiva57
     
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    Shomèr ma mi- llailah

    La notte è quieta senza rumore, c'è solo il suono che fa il silenzio
    e l' aria calda porta il sapore di stelle e assenzio,
    le dita sfiorano le pietre calme calde d' un sole, memoria o mito,
    il buio ha preso con se le palme, sembra che il giorno non sia esistito...

    Io, la vedetta, l' illuminato, guardiano eterno di non so cosa
    cerco, innocente o perchè ho peccato, la luna ombrosa
    e aspetto immobile che si spanda l' onda di tuono che seguirà
    al lampo secco di una domanda, la voce d' uomo che chiederà:

    Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...

    Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace,
    non so più dire da quanto sento angoscia o pace,
    coi sensi tesi fuori dal tempo, fuori dal mondo sto ad aspettare
    che in un sussurro di voci o vento qualcuno venga per domandare...

    e li avverto, radi come le dita, ma sento voci, sento un brusìo
    e sento d' essere l' infinita eco di Dio
    e dopo innumeri come sabbia, ansiosa e anonima oscurità,
    ma voce sola di fede o rabbia, notturno grido che chiederà:

    Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...

    La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato,
    sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato...
    Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate,
    tornate ancora se lo volete, non vi stancate...

    Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni
    e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni,
    ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,
    che la risposta sull' avvenire è in una voce che chiederà:

    Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
    shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...








    Inutile

    A Rimini la spiaggia com'è vuota, quasi inutile di marzo,
    deserta dell' estate, in ogni simbolo imbecille e vacanziera
    e noi, senza nemmeno un poco d' ironia, fra gusci e quarzo,
    ad inventare insieme primavera.

    Era piovuto piano e senza pause quasi fino a quel momento,
    picchiando sopra ai pali della spiaggia il mare si spezzava in lembi;
    nel ristorante vuoto il cameriere, assorto e lento,
    cifrava il rebus dei cumulonembi.

    Compiendo poi quel rito inevitabile e abusato,
    corremmo coraggiosi e scalzi lungo la battigia:
    di un verde di bottiglia era quel mare affaticato, l' aria una stanza grigia...

    Scoprimmo che oggi il mare lascia un povero relitto,
    naufragi di catrame e di lattine arrugginite:
    parlare era soltanto un altro inutile delitto contro le nostre vite...

    Parlare, poi di cosa? Di quel vino troppo freddo e un poco andato?
    O di quel fritto misto dato lì con malagrazia naturale?
    A chi è triste di suo come un limone già adoperato
    dà ancora più tristezza mangiar male...

    E dire che volevo regalarti un compleanno un po' diverso,
    ma in noi turisti fuori di stagione c'era tutto di sbagliato:
    la notte, già una cosa andata via, il mattino perso
    e il pomeriggio forse già sciupato...

    Però malgrado tutto si era stati bene assieme,
    così, senza un futuro, in incertezza intenerita.
    Pensavo: "Farlo o no? Parlare o no? Restare assieme e poi cambiarsi vita?

    Ma se fossimo stati un' altra coppia fra le tante
    avremmo trasformato tutto in quella poca gioia
    o avremmo litigato per sfogare ad ogni istante l' urlare della noia?

    Domanda forse inutile, com'era forse inutile quel giorno,
    da prendere così come veniva, senza calcolare il resto;
    ci salutammo in fretta e in fretta anch' io feci ritorno:
    di marzo si fa sera ancora presto...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...tile_42850.html










    Gli amici

     
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  4. tomiva57
     
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    16/03/2011 - IL CASO
    La nuova ode di Guccini
    ri-sposarsi a settant'anni


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    Francesco Guccini si sposerà per la seconda volta, yanti i brani composti per la futura sposa "Da Vorrei a Certo non sai"

    Convolerà a nozze con Raffaella, già sua compagna di vita. Ma il cantautore, fedele alla sua riservatezza: "Nulla so"
    FRANCO GIUBILEI


    Nella bacheca delle pubblicazioni di Palazzo D’Accursio sta scritto bello chiaro: Francesco Guccini e Raffaella Zuccari «intendono contrarre matrimonio in Bologna». Poi chiedi conferma al diretto interessato e lui, fedele alla linea di una riservatezza leggendaria, senza la minima incrinatura nella voce risponde «nulla so, no comment». Al che insistiamo, gli diciamo che la notizia ci è stata riportata da un suo caro amico, ma il decano dei cantautori italiani non si scompone e ridacchia arrotando le erre: «Non credo proprio che i miei amici siano informati». Eppure è vero, Guccini Francesco convolerà a giuste nozze entro l’estate con Raffaella, sua compagna di vita già da una quindicina d’anni. Alla domanda se le abbia mai dedicato una canzone, la chiacchierata telefonica prende una piega surreale, perché Guccini prima risponde indicando il titolo Vorrei, poi si rivolge direttamente alla promessa sposa, che è con lui nella casa di Pàvana, per chiederle se si ricorda in che album era stata pubblicata: «Raffa! in che album è Vorrei?». «In D’Amore di morte e di altre sciocchezze», gli suggerisce Raffaella in diretta. Il testo è un’ode tenerissima all’amore: «Vorrei cantare il canto delle tue mani, giocare con te un eterno gioco proibito/ che l’oggi restasse oggi senza domani, o domani potesse tendere all’infinito».

    E così, giunto alla soglia dei 71 anni - aveva festeggiato i settanta con un concerto in piazza Grande nella sua Modena- «piccola città bastardo posto» l’estate scorsa -, il maestro si sposa, anzi, si ri-sposa, perché già nel 1971 si era unito in matrimonio con Roberta Baccillieri. Per quest’ultima aveva scritto Vedi cara, testo in ossequio allo spirito dei tempi, correva l’anno 1970 e il disco era Due anni dopo: «Vedi cara, è difficile a spiegare, è difficile parlare dei fantasmi di una mente/ Vedi cara, tutto quel che posso dire è che cambio un po’ ogni giorno, è che sono differente». Due anni più tardi Roberta sarebbe stata immortalata nella foto che la ritrae insieme a Guccini sul retrocopertina di Radici: lui con l’immancabile barbone nero e il gatto sulle ginocchia, lei un bel sorriso enigmatico e lunghi capelli ramati dello stesso colore del vestito. Dura sei anni e si separano, dopodiché il cantautore modenese comincia una nuova storia con Angela, da cui nel ’78 ha una figlia, Teresa, che finisce in una canzone dal titolo affettuosamente irridente, Culodritto, inserita nell’album Madame Bovary: «Vola, vola tu, dov’io vorrei volare/ verso un mondo dove è ancora tutto da fare/ e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare».

    Anche la fine del rapporto con la compagna di allora va a ispirare un pezzo che più dichiarato non si può, fin dal titolo Farewell, addio. È il ’93, ma di lì a qualche anno ecco comparire al suo fianco un’altra donna: si chiama Raffaella Zuccari, è un’insegnante di lettere alle scuole medie di Porretta Terme, non lontano da Pàvana, dove nel frattempo Guccini si è trasferito. Chi li conosce entrambi dice che sono fatti l’uno per l’altra, stesso amore per la letteratura, stessi interessi e passioni. Guccini però risponde solo su altre questioni, come il nuovo libro al quale ha appena cominciato a lavorare: «L’argomento però è ancora segreto, posso solo dire che non è un giallo» e qualche canzone che gli sta girando per la testa: «Qualcosa c’è ma è ancora immaturo». Pochi giorni fa ha partecipato a un convegno della rinata Lotta continua che commemorava Francesco Lorusso, lo studente ucciso nei disordini del ’77 bolognese: «C’erano reduci dai capelli ingrigiti e giovanissimi, se si fondono insieme penso sia una buona cosa, perché ci sono motivi seri come la difesa della Costituzione». Poi gli vengono in mente altri due brani composti per la futura sposa: Canzone delle colombe e del fiore e Certo non sai. Ma sul sì imminente non c’è verso di avere una conferma: «Nulla so, no comment».

    la stampa .it






    Francesco Guccini sposo a 71 anni

    Pubblicato da Margheritamaria Cozzi il 16/03/2011 in: Matrimonio

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    Francesco Guccini, uno dei cantautori più noti del Bel paese, ultimo successo la canzone cantata ed interpretata da Zucchero Un soffio caldo, ha deciso di convolare a nozze con la sua compagna Raffaella Zuccari. Le pubblicazioni infatti sono affisse presso Palazzo d’Accursio e testimoniano che gli sposi intendono contrarre matrimonio in Bologna, entro metà agosto. La data infatti è top secret. No comment, è stata la prima reazione di Guccini. Sarà un omonimo, è stata la seconda. Difficile pensare che ci sia un altro Francesco Guccini nato nel suo stesso giorno, il 14 giugno 1940 a Modena e residente a Bologna. Lui sorride e con un alone di mistero risponde, chi lo sa, poi vediamo.

    Tanto per non tradire la sua proverbiale riservatezza. Il Maestrone, come è soprannominato, e l’insegnante, dunque, convolano a nozze. Il loro è un rapporto che compie quest’anno, almeno ufficialmente, quindici anni. Lui, cantautore e scrittore, quasi 71 anni, è residente a Bologna anche se da anni abita a Pavana. Lei, dottore di ricerca in letteratura italiana all’Alma Mater e docente nelle scuole medie di Porretta e Gaggio. Un amore sbocciato nel lontano 1996. Non a caso a quella data risale infatti la canzone Vorrei, a lei dedicata. Questa per Guccini non è la prima volta che va a nozze. La prima volta risale al 1971 quando sposa, dopo alcuni mesi di convivenza, la storica fidanzata Roberta Baccilieri, per la quale aveva scritto Vedi cara. Con lei si face immortalare a Santorini in una foto che venne poi utilizzata per la copertina di Via Paolo Fabbri 43. Sei anni dopo si separò da Roberta ed iniziò a convivere con Angela, con cui nel ’78 ebbe una bambina, Teresa, la Culodritto della canzone, che quattro anni fa si è laureata con una tesi sui fan di suo padre e di Robbie Williams. La fine dell’amore con Angela è decantato in Farewell, del ’93. Dopo qualche anno ecco comparire Raffaella al suo fianco. E ora finalmente le nozze. Congratulazioni!








    Guccini, matrimonio a 71 anni
    Il cantautore dirà il fatidico «sì» (per la seconda volta)
    a Bologna entro metà agosto. Lei è Raffaella Zuccari, professoressa: il loro rapporto dura da 15 anni



    Il Maestrone di Pavana si sposa. Anzi, si risposa. Francesco Guccini ha deciso di convolare a nozze con la compagna Raffaella Zuccari. Le pubblicazioni sono affisse a Palazzo d’Accursio e testimoniano che «gli sposi intendono contrarre matrimonio in Bologna». Entro metà agosto.

    IL CANTAUTORE RISERVATO - La data infatti è top secret. «No comment», è la prima reazione di Guccini. «Sarà un omonimo», è la seconda. Difficile pensare che ci sia un altro Francesco Guccini nato il 14 giugno 1940 a Modena e residente a Bologna. Lui sorride e bofonchia, «chi lo sa, adesso vediamo». Tanto per non tradire la proverbiale riservatezza.

    UN RAPPORTO CHE DURA DA ANNI - Il Maestrone e l’insegnante, dunque, si uniscono in matrimonio. Un rapporto che compie quest’anno (almeno ufficialmente) quindici anni. Lui, il cantautore e scrittore che tutti conoscono, quasi 71 anni, residente a Bologna anche se da anni abita a Pavana. Lei, dottore di ricerca in letteratura italiana all’Alma Mater e professoressa nelle scuole medie di Porretta e Gaggio. Un amore sbocciato nel ’96 o giù di lì. A quella data risale infatti la canzone Vorrei, a lei dedicata.

    LE PRIME NOZZE - Non è la prima volta che Guccini va a nozze. La prima volta risale al 1971 quando sposa, dopo alcuni mesi di convivenza, la storica fidanzata Roberta Baccilieri, per la quale aveva scitto Vedi cara. Con lei si immortalò a Santorini in una foto che fu poi usata per la copertina di Via Paolo Fabbri 43. Sei anni dopo si separa da Roberta e inizia a convivere con Angela, con cui nel ’78 ha una bambina, Teresa, la Culodritto della canzone, che quattro anni fa si è laureata con una tesi sui fan di suo padre e di Robbie Williams. La fine dell’amore con Angela è in Farewell, del ’93. Qualche anno ancora ed ecco comparire Raffaella al suo fianco. E ora le nozze.

    Marina Amaduzzi
    15 marzo 2011
    corriere della sera.bologna







    Fra la via Emilia e il West


    Da Wikipedia

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    Fra la via Emilia e il West (1984) è il dodicesimo album di Francesco Guccini e il suo terzo dal vivo.

    Nel disco - doppio - hanno suonato Antonio Marangolo (sax), Ares Tavolazzi (basso), Ellade Bandini (batteria), Vince Tempera (piano e tastiere), Juan Carlos Biondini (chitarre).

    Le canzoni inserite dal disco sono state registrate dal vivo al Kiwi di Piumazzo (MO) il 5 giugno; in Piazza Maggiore a Bologna il 21; il 3 luglio al Parco della Pellerina di Torino e il 15 settembre al Teatro Tenda di Lampugnano a Milano.

    Tracce
    Disco 1

    1. Canzone per un'amica - 4:43
    2. Autogrill - 4:43
    3. Il vecchio e il bambino - 3:48
    4. Il pensionato - 4:39
    5. L'isola non trovata - 3:09
    6. Asia - 4:50
    7. Canzone della bambina portoghese - 5:32
    8. Canzone delle osterie di fuori porta - 5:57
    9. Il frate - 4:43

    Disco 2

    1. Piccola città - 5:43
    2. Venezia - 4:26
    3. Bologna - 4:56
    4. Eskimo - 7:50
    5. Incontro - 3:26
    6. Vedi cara - 4:14
    7. Un altro giorno è andato - 4:00
    8. Canzone quasi d'amore - 3:58
    9. La locomotiva - 7:53

    Provenienza dei brani

    L'album non contiene alcun inedito. Infatti:

    * Canzone per un'amica compare - con il titolo di In morte di S.F. - in Folk beat n. 1 ed era stata già pubblicata anche in un'incisione dal vivo con i Nomadi in Album concerto;
    * Vedi cara è in Due anni dopo;
    * L'isola non trovata, Asia, Il frate, Un altro giorno è andato sono state incise nell'album L'isola non trovata;
    * Il vecchio e il bambino, Canzone della bambina portoghese, Piccola città, Incontro e La locomotiva sono in Radici;
    * Canzone delle osterie di fuori porta è una delle tracce di Stanze di vita quotidiana;
    * Il pensionato, Canzone quasi d'amore fanno parte delle canzoni di Via Paolo Fabbri 43
    * Eskimo è nell'album Amerigo;
    * da Metropolis vengono Venezia e Bologna;
    * Autogrill, infine, fa parte delle tracce di Guccini.

    Titolo

    «Fra la via Emila e il West» è un verso della canzone "Piccola città" in cui Guccini parla di Modena. Ecco cosa dice nel testo che accompagna l'album:

    «La via Emilia tagliava Modena in due; la strada dove abitavo, da una parte, si incrociava con essa. Dall'altra parte c'erano già gli ampi campi della periferia. Erano un po' il nostro "West" domestico: bastava fare due passi, o attraversare una strada, e c'erano già indiani e cow-boys, cavalli e frecce; c'era, insomma, l'Avventura, tradotta in "padano" dai film e dai fumetti. Poi la via Emilia continuò a tagliare Modena in due, ma il West aveva volto diverso, e il "mito americano", quello di tante generazioni oltre alla mia, parlava lingua diversa, quella del rock, delle copertine dei dischi, della faccia di James Dean in Gioventù bruciata, dei libri che altri appena prima di noi avevano scoperto e voltato in italiano. Ma i due riferimenti esistevano sempre, un piede di qua e uno di là, il sogno (meglio, l'utopia) e la realtà...»





    Francesco Guccini: Fra la via Emilia e il West

    Recensione di: Aerith , (il 7 settembre 2005 )

    Se dovessi suggerire a qualcuno un disco per avvicinarsi a Guccini, suggerirei sicuramente questo.


    Trovo infatti che il nostro renda molto meglio dal vivo che in studio, e che la forza della sua voce, delle sue idee, e la passione infinita che trapela dalle sue esibizioni vadano a compensare in qualche modo le sue mancanze musicali, critica fondamentale che tutti in qualche modo gli muovono.
    Personalmente detesto sentir parlare del Guccio come "pesante" e "noioso". L'ascoltatore attento non può non apprezzare il suo modo delicato di raccontare la vita e il dolore, e la sua schiettezza e la sua rabbia nei suoi (infiniti) pezzi di denuncia... e anche il suo modo di raccontare la politica è così poetico da non infastidire nessuno (ho conosciuto il Guccio tramite un amico assolutamente di destra... vorrà pur dire qualcosa).

    Il disco si apre con la classica "Canzone per un'amica", pezzo di apertura di tutti i suoi concerti, e segue con "Autogrill", pezzo che personalmente mi fa sognare: alzi la mano chi non si è mai lasciato trasportare da un sogno di quel tipo... Nel disco ci sono ovviamente tutti i pezzi più famosi, ma delle menzioni particolari vanno alla struggente interpretazione di "Canzone quasi d'amore", dove l'accompagnamento di Biondini sottolinea la voce del nostro che, struggente, racconta la consapevolezza di un uomo che guarda alla vita con disincanto e che, proprio grazie alla consapevolezza cui è giunto ("vivere è incontrarsi, aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, bere, leggere, amare, grattarsi!"), riesce ad emozionarsi per quello che ogni giorno la vita gli offre; "Venezia", che riesce ancora a farmi commuovere come dopo il primo ascolto, dipinto dalle tinte delicate, su cui spiccano le immagini crude degli ultimi attimi di vita di Stefania... e poi il terzetto d'eccezione "Eskimo", "Incontro" e "Vedi Cara", in cui si passa senza stonare dalla rabbia al sorriso malinconico passando per la nostalgia.
    Tutto ovviamente è chiuso dalla roboante "Locomotiva", che riesce a far alzare il pugno anche a me che di politica non ne capisco niente.

    Semplicemente perfetto.
     
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  5. tomiva57
     
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    Signora Bovary


    Da Wikipedia

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    Signora Bovary (1987) è il tredicesimo album di Francesco Guccini.

    Il titolo riprende quello del celebre romanzo Madame Bovary di Gustave Flaubert.
    Tracce

    1. Scirocco - 5:40
    2. Signora Bovary - 4:36
    3. Van Loon - 5:44
    4. Culodritto - 2:39
    5. Keaton - 10:12
    6. Le piogge d'aprile - 3:51
    7. Canzone di notte N°3 - 5:20

    Tutte le canzoni sono di Guccini, ad eccezione di Scirocco (Guccini - Biondini - Guccini) e Keaton (Lolli - Guccini - Lolli).

    Le canzoni


    Scirocco

    Canzone di apertura dell'album, colpisce subito per le musiche ricercate, più complesse di molti altri esordi gucciniani. Il testo descrive un momento della vita di un amico di Guccini, il poeta Spatola, che viene descritto mentre in un "bar impersonale" beve, e vive la crisi della sua storia d'amore. A quel punto entra un donna sensuale, che ordina da bere, piange, e l'amico di Guccini la guarda, roso dentro dal desiderio e dai rimorsi. Poi la donna va via, senza voltarsi, e soffia su tutto un intenso ed umido scirocco, che Guccini vorrebbe soffiasse ancora, per sconvolgere le nostre vite.

    Van Loon
    « Van Loon è dedicata a mio padre, che leggeva le opere di questo Piero Angela dei suoi tempi, cioè gli anni '30. Van Loon era un olandese (o un fiammingo, non ricordo bene) divulgatore di storia, geografia e umanità varia, i cui scritti si trovavano di frequente nelle case di chi, come mio padre, aveva molti interessi ma non aveva avuto l'occasione e i soldi per studiare. Una canzone molto intensa che ho provato più volte a inserire nella scaletta dei miei concerti. La provo e poi sono costretto a rimetterla via. Non riesco a farla senza star male e piangere, perché, nel frattempo, mio padre è morto »

    (da Un altro giorno è andato, Giunti, Firenze 1999.)
    « Un autore dunque degli anni Trenta, Quaranta, uno scrittore della generazione dei nostri padri: io l'ho identificato con quella generazione che da giovane pensi fatta di perdenti. Ma crescendo ti accorgi che tuo padre non era un perdente, era semplicemente uno costretto a vivere così. Da giovani si pensa che mai si scenderà a compromessi, che nessuno potrà costringerci. Col tempo si cambia idea. (...) Più l'età si allunga e più capisci quei padri che anni prima avevi rifiutato o combattuto, soprattutto perché le loro sconfitte sono diventate poi anche le tue e così le piccole, tempo prima non riconoscibili, vittorie »

    (da un'intervista)

    Culodritto

    La canzone è dedicata alla figlia Teresa allora bambina. È un modo di dire modenese, andar via a culodritto, che si usa quando i bimbi se ne vanno, indispettiti o risentiti per qualcosa.

    Keaton

    La canzone Keaton è scritta da Claudio Lolli, Guccini apportò alcune modifiche testuali così da cofirmarla. Lolli cantautore politicizzato del panorama bolognese aveva trovato difficoltà nel pubblicare una traccia così lunga, l'amico Guccini che si innamorò immediatamente del testo decise di inserirla nel proprio album che di lì a poco sarebbe stato pubblicato.


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    Francesco Guccini: Signora Bovary

    Recensione di: Grasshopper , (il 7 settembre 2005 )

    Confezione di lusso: tra quel velluto rosso e le scritte dorate, praticamente illeggibili nel CD, pare di aprire una scatola di cioccolatini.
    E l'interno non delude: finalmente, e proprio da questo disco, l'ormai maturo Guccini dimostra definitivamente che si può essere al tempo stesso "burattinaio di parole" (autodefinizione sua) e discreto musicista. Dico definitivamente perché di canzoni azzeccate musicalmente se ne trovano fin dai primi dischi, ma qui colpiscono anche la cura degli arrangiamenti e la raffinatezza di certe soluzioni.
    Grande merito va anche all'ormai affiatatissimo gruppo che lo accompagna quasi da sempre: gente come Ares Tavolazzi, Ellade Bandini, Vince Tempera e altri prima o poi fa sentire il proprio peso, con buona pace degli arrangiamenti "naif" anni '70 di quell'arruffone di Pier Farri. Al nucleo ormai storico qui si è unito l'egregio sassofonista Antonio Marangolo, ma è Juan Carlos "Flaco" Biondini ad imporsi, non solo come grande chitarrista, ma anche come coautore in "Scirocco", splendido tango di indubbio sapore piazzolliano, con tanto di bandoneon in bella evidenza, il tutto a valorizzare il bellissimo testo, guccinianamente teso a scoprire cosa c'è "dietro la faccia abusata delle cose, nei labirinti oscuri delle case, dentro lo specchio segreto di ogni viso, dentro di noi".
    La stessa eterna domanda, da sempre spina nel fianco di Guccini, si ripete ossessivamente in "Signora Bovary" : "Ma che cosa c'è... proprio in fondo in fondo, quando bene o male faremo due conti...". La risposta ovviamente rimane sospesa, e forse è nel vento, come ha detto qualcuno.
    "Van Loon" è così commovente che Guccini ha dichiarato di non riuscire a cantarla nei concerti, dal momento che è dedicata e riferita a suo padre, uno di quegli uomini di modesta estrazione e cultura di una volta, con pochi mezzi ma una grande sete di conoscenza, che all'epoca si poteva soddisfare attraverso i libri di divulgazione scientifica di questo olandese, che lo stesso autore definisce "una specie di Piero Angela dei suoi tempi". Per l'ascolto si consiglia l'uso di uno o più fazzoletti, ma è bellissima.
    Stesso discorso per "Keaton", scritta insieme a Claudio Lolli, e già questo è garanzia assoluta che non si ride. Ben 11 minuti per una doppia canzone: la "prima" Keaton è la storia di un amico jazzista "appassionato e puro", e quindi perdente, destinato prima a scomparire e poi a scivolare verso altri mondi ("ci son parole, tempi e ritmi anche dentro un ospedale"); la musica fa un po' l'occhiolino al jazz, ma i brividi sono in agguato, e ci aggrediscono nella "seconda" Keaton, quasi un lampo, un'apparizione del vero Keaton, intravisto ormai distrutto dall'alcool durante le riprese di un film di Franchi e Ingrassia ("la faccia, la solita, senza allegria").
    Si consiglia di riprendere i fazzoletti già bagnati con "Van Loon", e nel frattempo asciugati grazie a "Culodritto", uno sguardo verso il futuro, visto attraverso gli occhi della figlia, così chiamata per il suo tipico modo di camminare impettita, ma anche uno sguardo indietro ai ricordi d'infanzia di Guccini, così indelebili e vivi da occupare in pratica l'intero primo romanzo gucciniano, "Croniche Epafàniche". Cose che la figlia non potrà mai avere, come le "risse terrose di campi, cortili o di strade" o "il sapore dell'uva rubata a un filare".
    Di ricordi abbonda anche "Le piogge d'aprile", quelle che "in un attimo lavavano un'anima o una strada" e che ora sono attese con ansia "come uno schiaffo improvviso" per ricominciare a vivere in modo più vero.
    Di "Canzone di notte n° 3" (ultima della serie, almeno per ora) basta citare l'inizio: "Esistenza che stai qui di contrabbando", che è sintomatico di tutto il resto. Come le altre due, nasce dalle proverbiali "sbornie riflessive" gucciniane.

    E così, lasciandoci in questa alcoolica ma lucida angoscia, si chiude quello che per me rimane il capolavoro della maturità di Guccini.





    Scirocco

    Ricordi le strade erano piene di quel lucido scirocco
    che trasforma la realtà abusata e la rende irreale,
    sembravano alzarsi le torri in un largo gesto barocco
    e in via dei Giudei volavan velieri come in un porto canale.
    Tu dietro al vetro di un bar impersonale,
    seduto a un tavolo da poeta francese,
    con la tua solita faccia aperta ai dubbi
    e un po' di rosso routine dentro al bicchiere:
    pensai di entrare per stare assieme a bere
    e a chiaccherare di nubi...

    Ma lei arrivò affrettata danzando nella rosa
    di un abito di percalle che le fasciava i fianchi
    e cominciò a parlare ed ordinò qualcosa,
    mentre nel cielo rinnovato correvano le nubi a branchi
    e le lacrime si aggiunsero al latte di quel tè
    e le mani disegnavano sogni e certezze,
    ma io sapevo come ti sentivi schiacciato
    fra lei e quell' altra che non sapevi lasciare,
    tra i tuoi due figli e l' una e l' altra morale
    come sembravi inchiodato...

    Lei si alzò con un gesto finale,
    poi andò via senza voltarsi indietro
    mentre quel vento la riempiva
    di ricordi impossibili,
    di confusione e immagini.

    Lui restò come chi non sa proprio cosa fare
    cercando ancora chissà quale soluzione,
    ma è meglio poi un giorno solo da ricordare
    che ricadere in una nuova realtà sempre identica...

    Ora non so davvero dove lei sia finita,
    se ha partorito un figlio o come inventa le sere,
    lui abita da solo e divide la vita
    tra il lavoro, versi inutili e la routine d' un bicchiere:
    soffiasse davvero quel vento di scirocco
    e arrivasse ogni giorno per spingerci a guardare
    dietro alla faccia abusata delle cose,
    nei labirinti oscuri della case,
    dietro allo specchio segreto d' ogni viso,
    dentro di noi...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...occo_42889.html









    Signora Bovary

    Ma che cosa c'e'
    in fondo a quest'oggi
    di mezza festa e di quasi male,
    di coppie che passano sfilacciate
    come garze stese
    contro il secco cielo autunnale

    di gente che si frantuma
    in un fiato
    senza soffrire, senza capire
    e i tuoi pensieri
    sono solo uno iato
    tra addormentarsi e morire.
    Ma che cosa c'e'
    in fondo a questa notte,
    quando l'ora del lupo guaisce
    e il nuovo giorno non arriva mai
    e il buio e' un fischio
    lontano che non finisce
    di minuti lunghi come il sudore
    di ore che tagliano come falci
    e i tuoi pensieri
    solo un cane in chiesa
    che tutti prendono a calci.
    Ma cosa c'e', cosa c'e'...
    atrii a piastrelle
    di stazioni secondarie,
    strade piu' strade
    di avventure solitarie,
    clown nella notte,
    valigie vuote,
    piene di trucchi
    per tragedie immaginarie...
    telecomandi
    per i quotidiani inferni,
    battute argute
    di architetti postmoderni,
    amanti andate,
    piaceri a rate,
    pallottolieri
    per contare estati e inverni.
    Ma cosa c'e'
    proprio in fondo in fondo,
    quando bene o male
    faremo due conti,
    e i giorni goccioleranno
    come i rubinetti nel buio
    e diremo
    "...un momento... aspetti..."
    per non essere mai pronti;
    signora Bovary, coraggio pure,
    tra gli assassini
    e gli avventurieri...
    in fondo a quest'oggi
    c'e' ancora la notte,
    in fondo alla notte
    c'e' ancora, c'e' ancora...




     
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    Van loon

    Van Loon, uomo destinato direi da sempre
    ad un lavoro più forte
    che le sue spalle o la sua intelligenza
    non volevano sopportare
    sembrò quasi baciato da una buona sorte
    quando dovette andare
    sembra però che non sia mai entrato nella storia
    ma sono cose che si sanno sempre dopo
    d'altra parte nessuno ha mai chiesto di scegliere
    neanche all'aquila o al topo
    poi un certo giorno timbra tutto un avvenire
    od una guerra spacca come una sassata.
    Ma ho visto a volte che anche un topo sa ruggire
    ed anche un'aquila precipitata
    Quanti anni, giorno per giorno
    dobbiamo vivere con uno
    per capire cosa gli nasca in testa
    o cosa voglia o chi è
    turisti del vuoto, esploratori di nessuno
    che non sia io o me
    Van Loon viveva e io lo credevo morto
    o peggio inutile, solo per la distanza
    fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza
    e superbia d'allora, la mia ignoranza
    che ne sapevo quanto avesse navigato
    con il coraggio di un Caboto fra le schiume
    di ogni suo giorno, e che uno squalo è diventato
    giorno per giorno, pesce di fiume.
    Van Loon, Van Loon, che cosa porti dentro
    quando tace la mente e la stagione si dà pace?
    Insegui un'ombra o quella stessa pace l'hai in te?
    Vorrei sapere che cosa vedi quando guardi attorno
    lontani panorami o questo giorno
    è già abbastanza, è come un nuovo dono per te?
    Van Loon, Van Loon, a cosa pensi in questo settembrino,
    nebbieggiare alto che macchia l'Appennino
    ora che hai tanto tempo per pensare, ma a chi?
    Vai, vecchio, vai, non temere
    che avrà una sua ragione
    ognuno, ed una giustificazione
    anche se quale non sapremo mai, mai!
    Ora Van Loon si sta preparando
    piano al suo ultimo viaggio:
    i bagagli già pronti da tempo
    come ogni uomo prudente,
    o meglio, il bagaglio, quello consueto
    di un semplice o un saggio,
    cioè poco o niente, e andrà davvero
    in un suo luogo o una sua storia
    con tutti i libri che la vita gli ha proibito
    con vecchi amici di cui ha perso la memoria
    con l'infinito, dove anche su quei monti nostri
    è sempre estate,
    ma se uno vuole quell'inverno senza affanni
    che scricchiolava in gelo sotto le chiodate
    scarpe di un tempo, dei suoi diciott'anni

    Testo trovato su www.testitradotti.it







    Culodritto

    Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti
    e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti,
    ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare
    e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare...

    Culodritto, che vai via sicura, trasformando dal vivo cromosomi corsari
    di longobardi, di celti e romani dell' antica pianura, di montanari,
    reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi,
    di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi,

    anche se non avrai le mie risse terrose di campi, cortile e di strade
    e non saprai che sapore ha il sapore dell' uva rubato a un filare,
    presto ti accorgerai com'è facile farsi un' inutile software di scienza
    e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza...
    Culodritto, cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica
    e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica, Culodritto...

    dammi ancora la mano, anche se quello stringerla è solo un pretesto
    per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto;
    vola, vola tu, dov' io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare
    e dove è ancora tutto, o quasi tutto...
    vola, vola tu, dov' io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare
    e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare...




     
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  7. tomiva57
     
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    Keaton

    Lo chiamavamo Keaton quel pianista,
    naturalmente perchè non sorrideva mai,
    mentre noi ci ammazzavamo di risate
    a vederlo là, come un parafulmine, dritto contro un cielo di guai;
    guai di tasca a violoncello, guai d' amore,
    guai da vita distratta e disperata
    che ricamavano dentro al suo stupore
    una tela affascinante, ma un po' troppo delicata...

    Keaton si presentò come un jazzista,
    appassionato e puro, in stile Rete Tre,
    coi pregiudizi di chi si sente artista
    perchè non faceva soldi, lui, con le canzoni, come me,
    ma non mi accompagnava poi malvolentieri,
    eravamo due grandi acrobati della malinconia
    e poi, poi dobbiamo farne di mestieri
    noi che viviamo della nostra fantasia...

    Parlavamo poi molto in quelle sere,
    in qualche bar, dopo il concerto, insonni e morti,
    di politica, ciclismo, storie vere
    e di come i "Weather Report" erano forti
    e di come era importante fra la gente
    non essere solo musica e parole
    e di come era importante che la gente
    non fosse una massa di persone sole...

    Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton?
    Sei poi andato in malora, Keaton?
    Lo sai che ti sto venendo a cercare?
    Keaton, ah, Keaton, perchè stanotte, Keaton,
    proprio stanotte, Keaton, avrei bisogno di sentirti suonare...

    S' illuminava poi come di colpo
    lungo l' effimero consueto di una sera,
    s' illuminava di una gioia grande
    quando si avvicinava a una tastiera
    e preferiva quelle un poco usate,
    quelle in cui tutti mettono le mani,
    quelle ingiallite dal tempo, un po' scordate
    dall' ignoranza e dalla passione degli umani...

    E poi una volta abbiamo litigato
    per una donna prima sua e poi mia,
    lui coi suoi guai, io col mio quasi peccato,
    sconfitti entrambi dalla gran malinconia;
    ci siamo persi quasi senza una parola,
    ma tutti e due con più rabbia che rimpianto,
    come i bambini che si fan dispetti a scuola,
    come due vecchi che si sono amati tanto...

    Poi ho provato a rintracciarlo dappertutto,
    chiedendo a più d' un dirigente supponente,
    telefonando all'Arci-caccia, all'Arci-tutto,
    ma di Keaton sembra non sia rimasto niente.
    Se se ne parla è nel ricordo di un momento,
    qualcuno dice che l' ha visto, ma lontano,
    e tutti, tutti con un gran sorriso spento
    come per dire: "Era un ragazzo troppo strano".

    Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton?
    Se mi vedessi col mio trench stile Bogart, Keaton,
    sotto la pioggia che ti vengo a cercare...
    Keaton, ah, Keaton, perchè mi manca, Keaton,
    questa notte mi manca la tua voglia di star qui a suonare...

    E finalmente un chissacchì non mi delude,
    forse, però non sa, probabilmente,
    è in una provincia lontana come una palude
    dai nostri discorsi di suonare fra la gente;
    una provincia come una sconfitta,
    meno che essere una minoranza dignitosa,
    e una palude è certo troppo fitta
    di voli di zanzara per suonarci qualche cosa....

    Lo trovo e sembra che non sia più Keaton,
    anche se è contento di vedermi.
    "Sembrava facile toccarlo con un dito", dice,
    "ma il cielo ci ha voluto tutti fermi".
    E finalmente ride, ma ride tanto ed è ingrassato
    e giura troppo che non sta poi male,
    il jazz ormai se l' è dimenticato:
    ci son parole, tempi e ritmi anche dentro un ospedale...

    E nel lasciarmi all' inizio della sera:
    "E' come", dice, "alla fine del cinema muto,
    c'è il sonoro, non serve una tastiera..."
    Ci salutiamo nel silenzio più assoluto...
    Ed esco fuori con i miei giornali
    e non ho voglia di ridere per niente,
    ho un treno che mi aspetta alla stazione,
    mi dà fastidio anche il rumore della gente...

    Ah, Keaton, Keaton!

    Keaton, quello vero, l' ultima volta che l' hanno visto passeggiava
    lungo le strade e per il vento di Roma
    durante le pause di un film con Franchi e Ingrassia.
    Aveva in corpo mille litri di alcool,
    la faccia la solita, senza allegria;
    si ubriacava ogni giorno con la troupe borgatara
    alla faccia della cirrosi epatica,
    perchè lui ci teneva al suo pubblico,
    più che al suo fegato,
    e gli elettricisti sono gente simpatica;
    gli urlavano infatti "anvedi s'è forte 'sto Keaton!",
    bevendo il bianco misterioso dei colli di Roma
    o quello forte del sud che fa assaggiare l' infinito
    a tutta la gente di bocca buona...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...aton_42893.html








    Le piogge d'aprile

    Ma dove sono andate quelle piogge d' aprile che in mezz' ora lavavano un' anima o una strada
    e lucidavano in fretta un pensiero o un cortile bucando la terra dura e nuova come una spada?
    Ma dove quelle piogge in primavera quando dormivi supina, e se ti svegliavo ridevi,
    poi piano facevi ridere anche me con i tuoi giochi lievi?

    Ma dove quelle estati senza fine, senza sapere la parola nostalgia,
    solo colore verde di ramarri e bambine e in bocca lo schioccare secco di epifania?
    Ma dove quelle stagioni smisurate quando ogni giorno figurava gli anni a venire
    e dove a ogni autunno quando finiva l' estate trovavi la voglia precisa di ripartire?

    Che ci farai ora di questi giorni che canti, dei dubbi quasi doverosi che ti sono sorti
    dei momenti svuotati, ombre incalzanti di noi rimorti,
    che ci potrai fare di quelle energie finite, di tutte quelle frasi storiche da dopocena;
    consumato per sempre il tempo di sole e ferite,
    basta vivere appena, basta vivere appena...

    E ora viviamo in questa stagione di mezzo, spaccata e offesa da giorni agonizzanti e disperati,
    lungo i quali anche i migliori si danno un prezzo e ti si seccano attorno i vecchi amori sciagurati,
    dove senza più storia giriamo il mondo ricercando soltanto un momento sincero,
    col desiderio inconscio di arrivare più in fondo per essere più vero...

    Ma dove sono andate quelle piogge d' aprile? Io qui le aspetto come uno schiaffo improvviso,
    come un gesto, un urlo o un umore sottile fino ad esserne intriso,
    io chiedo che cadano ancora sul mio orizzonte angusto e avaro di queste voglie corsare,
    per darmi un'occasione ladra, un infinito o un ponte per ricominciare...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...rile_42894.html







    Canzone di notte n. 3

    Esistenza, che stai qui di contrabbando,
    come un ladro sempre pronta per fuggire,
    ogni età chiude in sé i crismi dello sbando, sbaglio e intuire,
    coi suoi giochi di carambola e rimando, prendere e offrire,
    ma si muoia solo un po' di quando in quando,
    ma sia poco a poco che si va a morire...

    Ogni giorno è un altro giorno regalato,
    ogni notte è un buco nero da riempire,
    ma per quanto non l' ho mai visto colmato, così per dire,
    resta solo l' urlo solito gridato, tentare e agire,
    ma si pianga solo un po' perchè è un peccato
    e si rida poi sul come andrà a finire...

    Lo capisco se mi prendi per le mele,
    ma ci passo sopra, gioco e non mi arrendo,
    ogni giorno riapro i vetri e alzo le vele, se posso prendo,
    quando perdo non sto lì a mandar giù fiele e non mi svendo
    e poi perdere ogni tanto ci ha il suo miele
    e se dicono che vinco stan mentendo

    perchè quelle poche volte che busso a bastoni,
    mi rispondono con spade o con denari,
    la ragione diamo e il vincere ai coglioni, oppure ai bari,
    resteremo sempre a un punto dai campioni (tredici è pari),
    ma si perda perchè siam tre volte buoni
    e si vinca solo in sogni straordinari...

    Ah, quei sogni, ah, quelle forze del destino
    che chi conta spingerebbe a rinnegare,
    ci hanno detto di non fare più casino, non disturbare:
    canteremo solo in modo clandestino, senza vociare,
    poi ghignando ce ne andremo pian pianino
    per sederci lungo il fiume ad aspettare...

    Quello che mi gira in testa questa notte
    son tornato, incerta amica, a riferire,
    noi immergenti, noi con fedi ed ossa rotte, lasciamo dire:
    ne abbiam visti geni e maghi uscire a frotte per scomparire...
    Noi, se si muore solo un po' chi se ne fotte,
    ma sia molto tardi che si va a dormire...


    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_..._n_3_42896.html


     
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  8. tomiva57
     
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    ...quasi come Dumas...


    Da Wikipedia

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    ...quasi come Dumas... (1988) è il quattordicesimo album di Francesco Guccini

    Il disco

    Passati vent'anni dal 1968 Guccini sente odore (o puzza) di rievocazioni. E parlando di quel periodo dice: «la cosa più bella, per le canzoni, fu la scoperta che con una chitarra potevi raccontare quello che volevi, che sentivi, che ti veniva da dire. Uno strumento di comunicazione eccezionale, al di là di poesie e altre cose sulla carta che spesso rimanevano lì, sterili; una botta a caldo improvvisa e che improvvisamente usciva e girava per le strade e magari capitavi in una osteria sconosciuta e sentivi uno sconosciuto che armato di una chitarra come la tua cantava proprio la tua canzone, quella che avevi scritto una settimana prima, che avevi cantato ad un amico che, l'aveva cantata in giro e qualcun altro l'aveva ripresa e così via. Prima dell'Industria Discografica, pura Trasmissione Orale».

    Così Guccini rispolvera alcune sue vecchie canzoni di quel periodo per andare, forse un po' polemicamente, oltre le etichette che nel bene e nel male ti attaccano sempre addosso. «altri giorni e le pause e le domande; un po' tutto come oggi quell'ieri. Le canzoni sono qui, cambiate negli arrangiamenti perché quelli li senti decisamente datati, ma parole e note probabilmente capaci di svolgere ancora la loro funzione di comunicare, se le canto a gente che forse non era ancora nata quando le ho scritte ma che le accoglie ancora con entusiasmo»

    Il disco è stato registrato dal vivo nel 1988 al Palatrussardi di Milano (17 settembre), al Palasport di Pordenone (26 settembre) e al Teatro dell'Istituto Culturale dell'Ambasciata d'Italia a Praga (3 ottobre). Il disco contiene una canzone inedita: "Ti ricordi quei giorni".

    Nel disco hanno suonato Vince Tempera (tastiere), Ellade Bandini (batteria), Juan Carlos "Flaco" Biondini (chitarre), Roberto Manuzzi (sassofoni, armonica e tastiere), Ares Tavolazzi (bassi).

    Tutte le canzoni sono scritte da Guccini.

    Tracce

    1. Due anni dopo - 6:15
    2. Auschwitz - 5:26
    3. Ti ricordi quei giorni - 4:08
    4. L'ubriaco - 4:02
    5. Giorno d'estate - 3:49
    6. Primavera di Praga - 4:52
    7. L'albero e io - 5:20
    8. Per quando è tardi - 4:43
    9. Dio è morto - 3:25
    10. Al trést - 5:43



    Due anni dopo

    Visioni e frasi spezzettate si affacciano di nuovo alla mia mente,
    l'inverno e il freddo le han portate, o son cattivi sogni solamente.

    Mattino verrà e ti porterà
    le silouhettes consuete di parvenze;
    poi ti sveglierai e ricercherai
    di desideri fragili esistenze...

    Lo specchio vede un viso noto, ma hai sempre quella solita paura
    che un giorno ti rifletta il vuoto oppure che svanisca la figura.

    E ancora non sai se vero tu sei
    o immagine da specchi raddoppiata;
    nei giorni che avrai però cercherai
    l'immagine dai sogni seminata...

    L'inverno ha steso le sue mani e nelle strade sfugge ciò che sento.
    Son trine bianche e neri rami che cambiano contorno ogni momento.

    E ancora non sai come potrai
    trovare lungo i muri un' esperienza;
    sapere vorrai, ma ti troverai
    due anni dopo al punto di partenza...

    E senti ancora quelle voci di mezzi amori e mezze vite accanto;
    non sai però se sono vere o sono dentro all' anima soltanto;

    nei sogni che hai, sai che canterai
    di fiori che galleggiano sull'acqua.
    Nei giorni che avrai ti ritroverai
    due anni dopo sempre quella faccia...

    La la la la...





    Ti ricordi quei giorni

    Ti ricordi quei giorni?
    Uscimmo dopo le canzoni per camminare piano...
    Ti ricordi quei giorni?
    Gli amici bevevano vino, qualcuno parlava e rideva, noi quasi lontano,
    vicino a te,
    vicino a me
    e ci parlammo ognuno per lasciare qualcosa,
    per creare qualcosa, per avere qualcosa...

    Ti ricordi quei giorni?
    I tuoi occhi si incupivano, il tuo viso si arrossava
    e ti stringevi a me nella mia stanza,
    quasi un respiro, poi mi dicesti "Basta,
    perché non voglio guardarti,
    perché ho paura ad amarti".
    E dicesti, e dicesti e dicesti...

    Le tue parole
    quasi io non ricordo più,
    ma nemmeno tu ricordi niente....

    Ora dove sei e che gente
    vede il tuo viso e ascolta
    le tue parole leggere,
    le tue sciocchezze leggere,
    le tue lacrime leggere,
    come una volta?

    Che cosa dici ora
    quando qualcuno ti abbraccia
    e tu nascondi la faccia
    e tu alzi fiera la faccia
    e guardi diritto in faccia
    come allora?

    Qui un poco piove e un poco il sole,
    aspettiamo ogni giorno
    che questa estate finisca,
    che ogni incertezza svanisca...

    E tu? Io non ricordo più
    che voce hai...
    Che cosa fai?
    Io non credo davvero
    che quel tempo ritorni,
    ma ricordo quei giorni,
    ma ricordo quei giorni,
    ma ricordo quei giorni
    ma ricordo...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...orni_42901.html







    Per quando è tardi

    Quando è tardi e per le strade scivolano sguardi
    di gente che ha sol fretta di tornare e i cinema si chiudono ed i caffè si vuotano,
    per le strade, assieme al freddo e ai tristi canti opachi,
    sono rimasti gli ultimi ubriachi,
    un ciondolare stanco verso il nuovo bianco giorno che verrà...

    Si discute delle rivoluzioni mai vissute
    e degli amori fatti di bevute e di carriere morte nel bicchiere
    nelle sere a gambe aperte con il mondo in mano
    cantando mentre sputano lontano
    come se fosse in faccia all'universo...

    E li vedi, girare lenti strascicando i piedi,
    parlare forte a tutti od a nessuno
    o piangere aggrappati ai muri, stanchi e addormentati.
    L'ora vola e il vino amico o ammazza o li consola
    e il vino li fa vivere o morire
    e la tristezza solita o li uccide o se ne va...

    E li vedi, girare lenti strascicando i piedi,
    persone strane, sogni a cui non credi,
    stagliarsi contro il cielo che si imbianca; nella stanca
    mattina che si riempie già di vita,
    piangendo un'altra notte che è finita,
    attendere, non sai dove, quando il buio tornerà,
    attendere, non sai dove, quando il buio tornerà,
    attendere, non sai dove, quando il buio tornerà...








    Al trist


    A m sun desdé stamatéina l'è primavéra ma al piòv
    a m sun desdé stamatéina l'è primavéra ma al piòv,
    a n pos purtéret fòra anch sl'lè dmanga
    perchè a n gh'ò ménga al vsti nòv,
    a n gh'ò ménga al vsti nòv, oh sé...

    A gh'era tò péder sù l'òss, a I m'à dmandè quand a té spòs,
    ma gh'era tò péder sù l'òss, a I m'à dmandè quand a té spòs
    mé, ch'a fagh fadiga a magnér per mé,
    péinsa mò béin s'a x'foss in dò,
    péinsa mò béin s'a x'foss in dò...

    E quand l'é gnuda tò médra a gh'ò dmandé in dòv t'ér té,
    Ho dét, quand l'é gnuda tò médra a gh'ò dmandé in dòv t'ér té, oh sé,
    la m'ha rispòst ch'tér andéda via
    con un ch'al gh'à più sòld che mé,
    con un ch'al gh'à più sòld che mé, oh sé...

    E mé a sun ché in mez a la stréda séinza savéir csa pòsia I fé
    l'é bròtt débòn sté a la dmanga a bsaca vòda e séinza té
    e intant a m piòv sòvra a la testa
    e a sòn tòt mòi còmm un pulséin,
    a sòn tòt mòi còmm un pulséin, oh sé...

    A sòn da sòl d'lòngh a la stréda e a zigh dabòun còmm un putéin,
    A sòn da sòl d'lòngh a la stréda e a zigh dabòun còmm un putéin,
    l'é primavéra ind al lunari,
    ma a pér che invéren sia turné
    l'é primavéra ind al lunari,
    ma a pér che invéren sia turné, oh sé...

     
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    Quello che non...


    Da Wikipedia

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    Quello che non... (1990) è il quindicesimo album di Francesco Guccini.

    Tracce

    1. Quello che non... - 4:29
    2. Canzone delle domande consuete - 3:32
    3. Canzone per Anna - 7:16
    4. Ballando con una sconosciuta - 6:36
    5. Le ragazze della notte - 5:14
    6. Tango per due - 5:28
    7. Cencio - 7:20
    8. Æmilia - 4:30

    Le canzoni sono di Guccini ad eccezione di Ballando con una sconosciuta (Guccini - Lolli - Biondini - Lolli), Le ragazze della notte (Guccini - Biondini - Guccini), Cencio (Guccini - Biondini - Guccini) e Æmilia (Guccini - Dalla).

    Le canzoni

    Canzone per Anna

    Una canzone che parla dei rimorsi di una donna, che, in un blues malinconico, viene evocata desolatamente sola (pensi ad un figlio temuto / che ora non hai). L'unica consolazione per lei: il sonno che giunge a poco a poco, dopo un programma divertente e una tisana aromatica e bollente.

    Le ragazze della notte

    Forse le Anna di domani, giovani che si arrangiano la vita ad tenere compagnia a personaggi loschi con "pacchi di soldi forse male guadagnati". Non si tratta necessariamente di prostitute, quanto piuttosto di entraîneuses di night-club.

    Nel testo della canzone vengono citate alcune canzoni, tra cui Bella senz'anima di Riccardo Cocciante, Ne me quitte pas di Jacques Brel e Il cielo in una stanza di Gino Paoli.

    Tango per due

    Lui biella-stantuffo-leva-muscoli-grinta-officina-sole, lei quiete-chitarra-vela-segreti-donna-calore-viole; la descrizione in breve di una coppia che, tanti anni dopo, stando una sera a cena, rappresenta ancora una vita vissuta accanto (partenze e ritorni / fortezza e catena).

    Cencio

    In una lunga narrazione, Guccini ricorda l'amico Cencio ("il nano"), compagno di adolescenza disperatamente alla ricerca di un'identità che lo facesse sentire accettato dagli altri. "L'avrà alfine trovata?", si chiede Guccini. La sconsolante e languida frase finale ("s'ciao giovinezza") chiude una delle più belle canzoni del suo repertorio.

    Æmilia

    Questa canzone era già stata incisa nel 1988 da Guccini insieme a Lucio Dalla e Gianni Morandi nell'album dei due intitolato "Dalla/Morandi".










    Quello che non ....

    La vedi nel cielo quell' alta pressione, la senti una strana stagione?
    Ma a notte la nebbia ti dice d' un fiato che il dio dell' inverno è arrivato.
    Lo senti un aereo che porta lontano? Lo senti quel suono di un piano,
    di un Mozart stonato che prova e riprova, ma il senso del vero non trova?

    Lo senti il perchè di cortili bagnati, di auto a morire nei prati,
    la pallida linea di vecchie ferite, di lettere ormai non spedite?
    Lo vedi il rumore di favole spente? Lo sai che non siamo più niente?
    Non siamo un aereo né un piano stonato, stagione, cortile od un prato...

    Conosci l' odore di strade deserte che portano a vecchie scoperte,
    e a nafta, telai, ciminiere corrose, a periferie misteriose,
    e a rotaie implacabili per nessun dove, a letti, a brandine, ad alcove?
    Lo sai che colore han le nuvole basse e i sedili di un' ex terza classe?

    L' angoscia che dà una pianura infinita? Hai voglia di me e della vita,
    di un giorno qualunque, di una sponda brulla? Lo sai che non siamo più nulla?
    Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia,
    non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita...

    Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro,
    lo schiocco del sole in un campo di grano, non siamo, non siamo, non siamo...
    Si fa a strisce il cielo e quell' alta pressione è un film di seconda visione,
    è l' urlo di sempre che dice pian piano:
    "Non siamo, non siamo, non siamo..."

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_..._non_42954.html







    Canzone delle domande consuete

    Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente
    come se il tempo per noi non costasse l' uguale,
    come se il tempo passato ed il tempo presente
    non avessero stessa amarezza di sale.

    Tu non sai le domande, ma non risponderei
    per non strascinare parole in linguaggio d' azzardo;
    eri bella, lo so, e che bella che sei,
    dicon tanto un silenzio e uno sguardo...

    Se ci sono non so cosa sono e se vuoi
    quel che sono o sarei, quel che sarò domani,
    non parlare non dire più niente, se puoi,
    lascia farlo ai tuoi occhi, alle mani...

    Non andare... vai... Non restare...stai... Non parlare... parlami di te...

    Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse,
    trascinate dai giorni come piena di fiume
    tante cose sembrate e credute diverse,
    come un prato coperto a bitume.

    Rimanere così, annaspare nel niente,
    custodire i ricordi, carezzare le età;
    è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente
    del diritto alla felicità...

    Se ci sei, cosa sei? Cosa pensi e perchè?
    Non lo so, non lo sai; siamo qui o lontani?
    Esser tutto, un momento, ma dentro di te,
    aver tutto, ma non il domani...

    Non andare... vai.. Non restare...stai... Non parlare... parlami di te...

    E siamo qui spogli in questa stagione che unisce
    tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove,
    non so dire se nasce un periodo o finisce,
    se dal cielo ora piove o non piove...

    Pronto a dire "buongiorno", a rispondere "bene",
    a sorridere a "salve", dire anch'io "come va?"
    Non c'è vento stasera. Siamo o non siamo assieme?
    Fuori c'è ancora una città?

    Se c'è ancora balliamoci dentro stasera,
    con gli amici cantiamo una nuova canzone...
    tanti anni e son qui ad aspettar primavera,
    tanti anni ed ancora in pallone...

    Non andare... vai... Non restare...stai... Non parlare... parlami di te...
    Non andare... vai... Non restare...stai... Non parlare... parlami di noi...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...uete_42911.html







    Canzone per Anna

    La luce incerta della sera getta fantasmi ed ombre sulla tua finestra,
    non pensi o non vorresti più pensare.
    Bambine in fiore con sorrisi ambigui che lungo i colli si faranno cupi,
    rincasano veloci per mangiare.

    E tu, che hai già conosciuto questo gioco,
    non sai più com'era in quel passato,
    non sai se sorridere od urlare.

    Non sei più bella come un tempo quando cercò il tuo corpo quello di un compagno,
    dimmi se fu paura o fu piacere.
    Ma adesso senti il tempo che ti abbraccia come qualcosa che ti segna in faccia,
    che non si vede ma che sai d' avere

    E' come quel male a cui non si dà il nome,
    un' ossessione circolare
    fra la volontà ed il non potere.

    Brandelli di canzoni, frasi e televisioni parlano dalle finestre aperte,
    in un telegiornale qualcuno il bene o il male denuncia, auspica, avverte;
    frasi del quotidiano ti sfiorano pian piano ed entrano senza toccarti
    s' infilano negli angoli della tua casa suoni che tu non sai.

    Un uomo in canottiera, dietro ad una ringhiera, innaffia dei fiori cittadini.
    Un grido e un pianto acuto già spenti in un minuto segnalano tragedie di bambini,
    odori di frittate e minestre riscaldate combattono lo smog di un diesel,
    un fuoristrada assurdo che romba per partire e non va mai.

    E tu sei sola sola sola sola, ti senti sola sola sola sola e pensi a un figlio temuto che ora non hai.
    Ma dura un attimo quel tuo pensiero, atomo incerto in mezzo al falso e al vero,
    per lasciar posto ai giorni che vivrai...

    Niente "se" e "forse", fra le occasioni avute e perse
    restano solo ore scomparse,
    di certo hai solo quello che farai...

    La luce incerta della sera fonde col buio che entra, e presto si confonde tutto,
    come a chi guarda senza un fuoco;
    la luce accendi e in viso si disegna forse un sorriso che le labbra spiega
    come se fosse stato tutto un gioco...

    Fa niente, danno in TV un programma intelligente,
    ci vuole un tè aromatico e bollente
    e poi che il sonno arrivi a poco a poco...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...anna_42912.html








    Ballando con una sconosciuta

    Guccini - Lolli - Biondini - Lolli
    da Quello che non... [1990]


    Con gesti da gatto infilava sui tetti le antenne,
    in alto d' estate sui grattacieli della periferia
    come un angelo libero, in bilico sulla città.
    "Non c'è solo il vento", diceva, "anche la luce può portarti via,
    se hai tempo da perdere e dentro la giusta elettricità,
    e se da sempre ti aspetti un miracolo."

    Captare è un mestiere difficile in questa città,
    nel cielo ricevere, trasmettere e poi immaginarsi qualunque cosa,
    per ferire il silenzio che tutti hanno dentro di sé.
    Ma lui credeva nelle ferite e si sfiorava, si toccava nel cuore con la mano nervosa,
    guardando le nuvole correre via impazienti da lì,
    da quel tetto sospeso sugli uomini...

    Finchè un giorno un' antenna ribelle ai programmi di quiz
    fece sparire le strisce e nel cielo, trasmise l'immagine della Madonna,
    una donna normale, non male, che disse così:
    "Io spengo la luce, se vuole io posso fare una musica più forte del vento,
    posso anche uscire dal monitor, dalla gravità,
    potremmo ballare anche subito se lei non ha fretta e non vuole tornare laggiù."

    E noi siamo sempre veloci a cambiare canale,
    ma coi piedi piantati per terra, guardando la vita con aria distratta,
    senza entrare nel campo magnetico della felicità,
    felicità che sappiamo soltanto guardare, aspettare, cercare già fatta,
    quasi fosse anagramma perfetto di facilità,
    barando su un' unica lettera...

    Conoscevo quell' uomo e per questo racconto di lui,
    è sparito da allora e nessuno ha scoperto dov'è,
    ma un dubbio, un sospetto od un sogno io almeno ce l' ho:
    provate a passare in una sera d' estate vicino ai grattacieli di periferia,
    provate a sentire, captare, trasmettere e poi raccontare qualcosa:
    se allora sentite una musica son loro che ballano in bilico sulla città...


     
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  10. tomiva57
     
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    Le ragazze della notte

    Che cosa cercano le ragazze della notte, trucco e toilettes che si spampanano piano
    come il ghiaccio va in acqua dentro al tumbler squagliandosi col caldo della mano,
    e frugano con gli occhi per vedere un viso o un' ombra nell' oscurità
    o per trovare qualcuno a cui ripetere le frasi solite di quell' umanità...

    Ma chi aspettano le ragazze della notte in quei bar zuppi di alcolici e fiati,
    di uomini vocianti che strascinano pacchi di soldi forse male guadagnati,
    le vedi appendersi adoranti e innaturali a quei califfi cui io non darei una lira;
    chissà se sognano vite più normali mentre la notte gira gira gira...

    E si mettono a cantare un po' stonate quando qualcuno va a picchiare un piano,
    canzoni vecchie, storie disperate, gli amori in rima di un tempo già lontano
    e si immedesimano in quelle parole scritte per altre tanto tempo fa,
    "Bella senz' anima", "Quando tramonta il sole",
    "Suona un' armonica", "Ne me quitte pas", "Ne me quitte pas"...

    Che cosa dicono le ragazze della notte a quei baristi ruffiani e discreti
    che si chinano preteschi sul bancone per confessare chissà quali segreti
    e poi guardano in controluce a un bicchiere e agili danzano versando un liquore;
    quanto da dire e quanto c'è da bere mentre la notte macina le ore...

    Oh, come amo le ragazze della notte così simili a me, cosi diverse,
    noi passeggeri di treni paralleli, piccoli eroi delle occasioni perse,
    anche se so che non ci incontreremo, ma solamente ci guardiamo passare,
    anche se so che mai noi ci ameremo con il rimpianto di non poterci amare...

    Finchè anche dai vetri affumicati spinge la luce ed entra all' improvviso
    e autobus gonfi di sonni arretrati passano ottusi nel mattino intriso
    di edicole che espongono i giornali pieni di fatti che sappiamo già,
    di cappucci e brioche e dei normali rumori che ha al mattino una città...

    Ma dove vanno le ragazze della notte che all' alba fuggono complice un taxì,
    stanche di tanto, piene del rimorso d' avere forse detto troppi sì,
    ma lo scacciano presto ed entra in loro solo un filo di spossatezza leggera,
    che le accompagnerà lungo il lavoro, che condurrà diritto fino a sera...

    Ma chi sono le ragazze della notte...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_...otte_42914.html






    Tango per due

    Coppia che sta silenziosa, un po' rigida e in posa, a ballare, una sera:
    la vita è solo una cosa rimasta indietro non c'è più, ma c'era;
    composta e indomenicata, eleganza sfuocata raggiunta a fatica,
    l' oggi ha cambiato facciata, ma di quell' ieri passato io so
    che tante ne potreste raccontare e il ricordo stempera e non guasta
    quante cose e facce da narrare che come si dice un romanzo non basta,
    nate con un rapido "a domani", continuate in giorni di "si" e "no",
    lampi sotto cieli suburbani e raffica il tango che vi presentò...

    Lui biella, stantuffo, leva, muscoli, grinta, officina, sole
    lei, lei quiete, chitarra, vela, segreti, donna, calore, viole,
    lui bar, alcol ,nicotina, capelli indietro, cravatta, bici,
    lei, lei rayon, lei signorina, la permanente coi ricci...

    Coppia di fronte a un bianchino, anonimo vino frizzante anidride:
    la vita che buffa cosa, ma se lo dici nessuno ride.
    Coppia legata dai giorni, partenze e ritorni, fortezza e catena,
    datemi i vostri ricordi, ditemi che ne valeva la pena...

    Ora le luci son spente, sta uscendo la gente, saluti e rumore,
    ditemi che avete in mente, come una volta, di fare l' amore,
    quello che è stato un segreto di un prato o di un greto, del buio di un viale,
    quel gioco ardente e discreto, da allora sempre diverso ed uguale...
    chi lo sa se ciò che è da cercare, ciò che non sai mai se vuoi o non vuoi,
    sia così banale da trovare, sia lungo ogni strada, sia a fianco di noi,
    perso in tante scatole di odori, angoli e tendine che non so
    impronte di paesaggi e di colori, manciata di un tango che vi accompagnò...

    Lui biella, stantuffo, leva, muscoli, grinta, officina, sole
    lei, lei quiete, chitarra, vela, segreti, donna, calore, viole,
    lui bar, alcol, nicotina, capelli indietro, cravatta, bici,
    lei, lei rayon, lei signorina, lei, lei...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_..._due_42915.html







    Cencio

    Ci sarà forse ancora, appesa in qualche angolo
    o a macchiare di ricordi un muro dell' Associazione Bocciofila Modenese,
    fra mucchi di coppe e trofei vinti in tornei ogni volta "del secolo",
    glorie oscure di eroi dell' a punto, del volo, delle bocciate secche e tese
    quella foto sul pallaio, presa una sera di quasi estate
    con me e Cencio vicini, fintamente assorti a guardare il punto,
    perchè l' umorismo popolare volle immortalare assieme me, il Gigante,
    e Cencio il Nano, viso già d' uomo serio, compreso, quasi compunto...

    Non so come sia capitato in mezzo a noi, confuso branco adolescente di un periodo oscuro
    di amori e di domande che gonfiavano la testa e i fianchi a ondate sofferte ma cercate
    e poi quei raspare fra sottovesti in nailon, rubando al buio quel po' di rubabile,
    scoprire e esser scoperti, coraggiosi ed incerti e dopo,
    in branco, raccontarsi e tutti a turno ad ascoltarsi, ma lui...

    Eh, lui non aveva un amore da dire, no, lui non aveva una storia,
    solo crearsi avventure di cosce e di seni che poi ci sparava a brutto muso
    e noi lì ad ascoltarlo sorridendo, senza razzismo né boria,
    ma senza capire ciò che voleva essere anche lui, solo un normale adolescente ottuso.

    Eppure usava lo stesso barbaro gergo e gli stessi jeans consumati
    e amava gli stessi film di bossoli e marines lungo i mari giapponesi,
    parlava di rock e fumetti, e non perdeva i cartoni animati
    e come noi guardava esplodere il mondo con gli stessi occhi attenti, spauriti, sorpresi...

    Ma cosa pensava lontano da noi, cosa sognava quand' era da solo?
    Con le stesse voglie e con gli stessi eroi, ma ali più piccole per lo stesso volo.
    Forse sognava anche troppo e davvero, certo in quel branco si sentiva perso.
    Dove scappare per sentirsi vero, dove fuggire per non essere diverso?
    E sognò il circo, realtà capovolta, mondo di uguali perchè tutti strani,
    la nostra solita realtà stravolta, quell' Eden senza giganti o nani.
    "Cencio è scappato via, ma l' han già beccato!" Dopo due giorni era già ritornato...

    Ma il tempo più ottuso di noi incalza per tutti, sia per i giganti che i nani:
    chi immaginava allora che ognuno sarebbe finito in un proprio circo personale?
    Vincenti o perdenti non importa, ma quasi mai secondo i propri piani,
    con la faccia tinta, sul trapezio, fra i leoni, solo attenti a non farsi troppo male.
    Qualcuno m' ha detto che vivi in provincia, con una ballerina bulgara o rumena;
    chissà se hai poi trovato di dentro la tua vera altezza?
    Addio amico venuto dal passato per un momento appena,
    addio giorni andati in un soffio, amici mai più incontrati; s'ciao, giovinezza...











    Emilia


    Le Alpi, si sa, sono un muro di sasso,
    una diga confusa, fanno tabula rasa
    per noi che qui sotto, lontano, più in basso, abbiamo la casa,

    la casa ed i piedi in questa spianata
    di sole che strozza la gola alle rane,
    di nebbia compatta, scabrosa, stirata, che sembra di pane,

    ed una strada antica come l’uomo
    marcata ai bordi dalle chiacchiere di un duomo
    e fiumi, falsi avventurieri
    che trasformano i padani in marinai non veri.

    Emilia sdraiata fra i campi e sui prati,
    lagune e piroghe delle terramare,
    guerrieri del nord dai capelli gessati
    ne hai visti passare

    Emilia allungata tra l’olmo e il vigneto
    voltata a cercare quel mare mancante
    e il monte Appennino raccontando un segreto diventa un gigante
    lungo la strada, tra una piazza e un duomo
    hai messo al mondo questa specie d’uomo

    vero, aperto, finto e strano
    chiuso, anarchico, verdiano,
    brutta razza l’emiliano

    Emilia sognante fra l’oggi e il domani,
    di cibo e motori, di lusso e balere
    Emilia di facce, di grida, di mani sarà un grande piacere
    vedere, in futuro, da un mondo lontano
    quaggiù, sulla terra, una macchia di verde,
    e sentire il mio cuore che battendo più piano là dentro si perde…

    ora ti saluto, è quasi sera, si fa tardi,
    si va a vivere o a dormire da Las Vegas a Piacenza,
    fari per chilometri ti accecano testardi
    ma io sento che hai pazienza, devi ancora sopportarci…

    Le Alpi, si sa, sono un muro di sasso,
    una diga confusa, fanno tabula rasa
    per noi che qui sotto, lontano, più in basso, abbiamo la casa,

    la casa ed i piedi in questa spianata
    di sole che strozza la gola alle rane,
    di nebbia compatta, scabrosa, stirata, che sembra di pane,

    ed una strada antica come l’uomo
    marcata ai bordi dalle chiacchiere di un duomo
    e fiumi, falsi avventurieri
    che trasformano i padani in marinai non veri.

    Emilia sdraiata fra i campi e sui prati,
    lagune e piroghe delle terramare,
    guerrieri del nord dai capelli gessati
    ne hai visti passare

    Emilia allungata tra l’olmo e il vigneto
    voltata a cercare quel mare mancante
    e il monte Appennino raccontando un segreto diventa un gigante
    lungo la strada, tra una piazza e un duomo
    hai messo al mondo questa specie d’uomo

    vero, aperto, finto e strano
    chiuso, anarchico, verdiano,
    brutta razza l’emiliano

    Emilia sognante fra l’oggi e il domani,
    di cibo e motori, di lusso e balere
    Emilia di facce, di grida, di mani sarà un grande piacere
    vedere, in futuro, da un mondo lontano
    quaggiù, sulla terra, una macchia di verde,
    e sentire il mio cuore che battendo più piano là dentro si perde…

    ora ti saluto, è quasi sera, si fa tardi,
    si va a vivere o a dormire da Las Vegas a Piacenza,
    fari per chilometri ti accecano testardi
    ma io sento che hai pazienza, devi ancora sopportarci…









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    Francesco Guccini Tour 2011: una data in miniera a Carbonia



    aprile 3, 2011 by Sonicyouth


    Francesco Guccini è uno dei più rispettati cantautori italiani e lui, il suo rispetto se lo è guadagnato tutto, anche con concerti come questo.

    Il prossimo 18 giugno Francesco canterà infatti in una miniera, a Carbonia, lì dove nella recente epopea del carbone, sotto le torri di ferro, gli ascensori consegnavano i minatori all’oscurità verso il centro della terra.

    Sarà uno spettacolo nello spettacolo, vista la suggestiva location, dove le canzoni del noto cantautore emiliano riecheggeranno in questa grande miniera che rappresenta l’unica data sarda di questa sua nuova tournée, seguiranno poi le tappe di Ancona, Parma e Lecce.

    Guccini debuttò nel 1967 con l’album Folk beat n. 1 e vanta quindi più di 40 anni di carriera ad alti livelli, non solo musicale, perché il buon Francesco ha attraversato con successo quasi tutti i vari campi artistici.

    E’ stato infatti, attore, autore di colonne sonore e di fumetti, e scrittore oltre che dialettologo e traduttore.

    E’ uno degli esponenti della scuola cantautorale italiane, come De Gregori e Venditti e i suoi testi sono spessi assimilati a veri e propri componimenti poetici per la sua familiarità dell’uso del verso, già oggetto di insegnamento nelle scuole, come un poeta contemporaneo.

    Guccini inoltre è un cantautore simbolo, seguito da 3 generazioni.
     
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    Parnassius Guccinii (album)


    Da Wikipedia

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    Parnassius Guccinii (1993) è il sedicesimo album di Francesco Guccini.

    Il nome, così come l'immagine di copertina, è quello della omonima farfalla presente nell'Appennino tosco-emiliano e descritta per la prima volta nel 1992 da Giovanni Sala, che ha voluto dedicarla "per gratitudine" al cantautore modenese, suo cantante preferito.

    Una canzone dell'album Farewell, è dedicata alla compagna Angela, la madre di sua figlia Teresa, con cui si era appena lasciato; viene citata, alla fine della terza strofa, un brano di Farewell Angelina di Bob Dylan, per la precisione i versi "The triangle tingles and the trumpet plays slow", appunto per richiamare, ma in maniera non palese, il nome di Angela. Un'altra canzone, Nostra signoria dell'ipocrisia, è invece esplicitamente rivolta a Silvio Berlusconi, "Nostra signora dell'ipocrisia era un atto d'accusa verso Berlusconi e alcuni politici di allora, oltre che nei confronti della televisione".

    Dovevo fare del cinema e Parole erano già state incise nel 1981 da Gian Piero Alloisio nel suo primo disco solista, Dovevo fare del cinema; le canzoni sono tutte scritte da Guccini, tranne la già citata Dovevo fare del cinema di Alloisio e Luna fortuna, scritta da Guccini per il testo e da Biondini per la musica.

    Questo album è stato premiato con il prestigioso premio Tenco.

    Tracce

    1. Canzone per Silvia - 5:04
    2. Acque - 6:40
    3. Samantha - 5:22
    4. Farewell - 5:16
    5. Nostra signora dell'ipocrisia - 4:23
    6. Dovevo fare del cinema - 4:28
    7. Non bisognerebbe - 3:52
    8. Luna fortuna - 3:51
    9. Parole - 6:12



    dal web:

    E'la volta di Parnassius Guccinii (dal nome dell’omonima farfalla dedicata al cantante emiliano) dove spicca Samantha, storia di un amore non realizzato a causa delle convenzioni sociali, e Farewell, ballata dal sapore dylaniano: in quest’ultimo brano vi è un omaggio ed una citazione diretta della canzone Farewell Angelina di Bob Dylan, della quale viene riportato un verso (The triangle tingles, and the trumpet play slow) e l’introduzione strumentale iniziale; il titolo a sua volta ricorda la stessa ed è un riferimento alla sua compagna Angela, raccontando la fine del loro amore. Come afferma Jachia, «lo sforzo gigantesco, poetico e culturale, di Guccini è stato quello di aprire la più alta tradizione della poesia italiana alla ballata di derivazione dylaniana». Della raccolta facevano parte anche Canzone per Silvia, scritta per Silvia Baraldini, e Acque, seconda canzone su commissione di Guccini (dopo Nené del 1977), richiesta da Tiziano Sclavi ed inserita nel film Nero.


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    il nome, così come l'immagine di copertina, è quello della omonima farfalla presente nell'appennino tosco-emiliano e descritta per la prima volta nel 1992 da giovanni sala, che ha voluto dedicarla "per gratitudine" al cantautore modenese, suo cantante preferito.

    una canzone dell'album farewell, è dedicata alla compagna angela, la madre di sua figlia teresa, con cui si era appena lasciato; viene citata, alla fine della terza strofa, un brano di farewell angelina di bob dylan, per la precisione i versi "the triangle tingles and the trumpet plays slow", appunto per richiamare, ma in maniera non palese, il nome di angela. un'altra canzone, nostra signoria dell'ipocrisia, è invece esplicitamente rivolta a silvio berlusconi, "nostra signora dell'ipocrisia era un atto d'accusa verso berlusconi e alcuni politici di allora, oltre che nei confronti della televisione".dovevo fare del cinema e parole erano già state incise nel 1981 da gian piero alloisio nel suo primo disco solista, dovevo fare del cinema; le canzoni sono tutte scritte da guccini, tranne la già citata dovevo fare del cinema di alloisio e luna fortuna, scritta da guccini per il testo e da biondini per la musica.

    Questo album è stato premiato con il prestigioso premio tenco.



    Canzone per Silvia

    Il cielo dell' America son mille cieli sopra a un continente,
    il cielo della Florida è uno straccio che è bagnato di celeste,
    ma il cielo là in prigione non è cielo, è un qualche cosa che riveste
    il giorno e il giorno dopo e un altro ancora sempre dello stesso niente.

    E fuori c'è una strada all' infinito, lunga come la speranza,
    e attorno c'è un villaggio sfilacciato, motel, chiese, case, aiuole,
    paludi dove un tempo ormai lontano dominava il Seminole,
    ma attorno alla prigione c'è un deserto dove spesso il vento danza.

    Son tanti gli anni fatti e tanti in più che sono ancora da passare,
    in giorni e giorni e giorni che fan mesi che fan anni ed anni amari;
    a Silvia là in prigione cosa resta? Non le resta che guardare
    l' America negli occhi, sorridendo coi suoi limpidi occhi chiari...

    Già, l' America è grandiosa ed è potente, tutto e niente, il bene e il male,
    città coi grattacieli e con gli slum e nostalgia di un grande ieri,
    tecnologia avanzata e all' orizzonte l' orizzonte dei pionieri,
    ma a volte l' orizzonte ha solamente una prigione federale.

    L' America è una statua che ti accoglie e simboleggia, bianca e pura,
    la libertà, e dall' alto fiera abbraccia tutta quanta la nazione,
    per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione
    perchè di questa piccola italiana ora l' America ha paura.

    Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
    paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera.
    Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare
    perchè non è possibile rinchiudere le idee in una galera...

    Il cielo dell' America son mille cieli sopra a un continente,
    ma il cielo là rinchiusi non esiste, è solo un dubbio o un' intuizione;
    mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare là in prigione
    e Silvia non ha ucciso mai nessuno e non ha mai rubato niente.

    Mi chiedo cosa pensi alla mattina nel trovarsi il sole accanto
    o come fa a scacciare fra quei muri la sua grande nostalgia
    o quando un acquazzone all' improvviso spezza la monotonia,
    mi chiedo cosa faccia adesso Silvia mentre io qui piano la canto...

    Mi chiedo ma non riesco a immaginarlo: penso a questa donna forte
    che ancora lotta e spera perchè sa che adesso non sarà più sola.
    La vedo con la sua maglietta addosso con su scritte le parole
    "che sempre l' ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte",
    "che sempre l' ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte",
    "che sempre l' ignoranza fa paura... ed il silenzio è uguale a morte"...








    Acque

    L' acqua che passa fra il fango di certi canali
    tra ratti sapienti e pneumatici e ruggine e vetri
    chissà se è la stessa lucente di sole o fanali
    che guardo oleosa passare rinchiusa in tre metri.
    Si può stare ore a cercare se c'è in qualche fosso
    quell' acqua bevuta di sete o che lava te stesso
    o se c'è nel suo correre un segno od un suo filo rosso
    che leghi un qualcosa a qualcosa, un pensiero a un riflesso.

    Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest' aria bassa,
    ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente...

    E cade su me che la prendo e la sento filtrare,
    leggera infeltrisce i vestiti e intristisce i giardini,
    portandomi odore d' ozono, giocando a danzare,
    proietta ricordi sfiniti di vecchi bambini,
    colpendo implacabile il tetto di lunghi vagoni,
    destando annoiato interesse negli occhi di un gatto,
    coprendo col proprio scrosciare lo spacco dei tuoni
    che restano appesi un momento nel cielo distratto.

    E l' acqua passa e gira e colora e poi stinge, cos'è che mi respinge e che m' attira;
    acqua come sudore, acqua fetida e chiara, amara senza gusto né colore.
    Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest' aria bassa,
    ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente...

    E mormora e urla, sussurra, ti parla, ti schianta,
    evapora in nuvole cupe rigonfie di nero
    e cade e rimbalza e si muta in persona od in pianta
    diventa di terra, di vento, di sangue e pensiero.
    Ma a volte vorresti mangiarla o sentirtici dentro,
    un sasso che l' apre, che affonda, sparisce e non sente,
    vorresti scavarla, afferrarla, lo senti che è il centro
    di questo ingranaggio continuo, confuso e vivente.

    Acque del mondo intorno di pozzanghere e pianto, di me che canto al limite del giorno,
    tra il buio e la paura del tempo e del destino freddo assassino della notte scura.
    Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest' aria bassa,
    ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente...






    Samantha

    Samantha scende le scale di un policentro attrezzato comunale,
    trentanni e poi l' appartamento sarà suo, o meglio,
    dei suoi genitori che ogni mese devono strappare il mutuo da uno stipendio da fame,
    ma Milano è tanto grande da impazzire
    e il sole incerto becca di sguincio, in questa domenica d' aprile,
    ogni pietra, ogni portone ed ogni altro ammennicolo urbanistico,
    ma Samantha saltella, non sa d' avere lunghe gambe da cervo
    e il seno, come si dice, in fiore, teso, sopra a un corpo ancora acerbo
    e Samantha, Samantha ancora non sa d' avere un destino da modella
    e corre allegra lungo i graffiti osceni delle scale quasi donna, quasi bella.

    E fuori: Milano muore di malinconia, di sole che tramonta là in periferia,
    di auto del ritorno, famiglie, freni e gas di scarico.
    Lontano il centro è quasi un altro mondo, San Siro un urlo che non cogli a fondo,
    ti taglia un senso vago di infinito panico.
    Spunta un gasometro dietro a muri neri, oziosi vagolano i tuoi pensieri
    e in aria il cielo è un qualche cosa viola carico...

    Andrea è giù nel cortile, jeans regolari e faccia da vinile,
    giacca a vento come dio comanda e legata al polso la bandana, un piede contro al muro e lì
    l' aspetta perchè vuol parlarle, niente, forse d' amore, ma non sa che dire,
    con le parole quasi lombarde che non sanno uscire
    e si accende rabbioso una Marlboro di alibi
    e si guardano di sbieco, appena un cenno istintivo di saluto,
    ma a Samantha batte il cuore da morire mentre Andrea rimane muto;
    e lei ritornerà con le MS per suo padre steso davanti a qualche canale
    e lui mediterà al bar dietro a una birra che la vita può far male...

    E Milano sembra che sia li a abbracciarsi quei due che non sapranno più parlarsi,
    solo sfiorarsi in un momento vago e via.
    Samantha presto cambierà quartiere per un destino che non sa vedere,
    e Andrea diventerà padrone d' una pizzeria.
    Ed io, burattinaio di parole, perchè mi perdo dietro a un primo sole,
    perchè mi prende questa assurda nostalgia?








    Da: musicAutore | Creato il: 23/feb/2011

    Samantha, non sottintende valenze sociali, ma si snoda per brevi sequenze quasi cinematografiche, presentando un amore strano, appena accennato, che si colloca in un contesto più ampio dominato dalla descrizione di un ambiente ben definito in cui si inseriscono i due protagonisti, Samantha e Andrea.

    Lei, Samantha, la vera protagonista, compare subito e Guccini la presenta "in azione", mentre scende le scale "di un policentro attrezzato comunale": immediatamente è dunque posta un'indicazione spaziale che contiene anche un'informazione della condizione economica della ragazza. Tale accenno è precisato nei versi successivi dove si parla della famiglia: i suoi genitori devono "strappare il mutuo a uno stipendio da fame" con un'espressione che fornisce la misura del disagio economico, immagine rafforzata dal verbo strappare che assieme con fame dà l'idea di qualcosa cui ci si aggrappa con i denti. Il quadro immediatamente si allarga per abbracciare tutta la città, Milano, terza protagonista della canzone, ideale scenografia di una storia ambigua, incerta, dal finale per certi versi contraddittorio. "Milano è tanto grande da impazzire", e accanto allo spazio si pone il tempo , la domenica d'aprile illuminata da "un sole incerto", un sole tipicamente milanese, che tinge di indefinitezza l'ambiente e con la sua incertezza offre una cornice che accompagna tutto il brano. Lo sguardo del narratore si sofferma minutamente sugli elementi del "paesaggio", insistendo sull'anafora dell'ogni, come se il suo sguardo si arrestasse su ciascun particolare.

    Chiusa la presentazione della scenografia, si ritorna all'azione; la ragazza si presenta alla vista dell'ascoltatore: è un'adolescente con "lunghe gambe da cervo", "il seno in fiore" e "un corpo ancora acerbo"; le indicazioni sono precisate da due termini parzialmente moderati dal quasi, donna e bella, e dal prospettato "destino da modella" ripreso alla fine della canzone. Non c'è scavo psicologico del personaggio, ma pochi tratti ne delineano lo stato d'animo: la ragazza saltella, allegra, nonostante il luogo deprimente in cui si trova. Tutto in questi versi sembra inoltre collegarsi alla primavera, quella primavera rappresentata inizialmente dal sole incerto e dall'aprile, che sembra distendersi nelle immagini convenzionali del seno in fiore e del corpo acerbo e si arricchisce con il paragone, altrettanto usuale, delle gambe con le zampe di un cervo. Le parole sembrano riferirsi a qualcosa che sta per sbocciare, ma ancora timido come un sole primaverile: si tratta certo del corpo di Samantha, ma anche della sua personalità, dei suoi sentimenti e del compimento della sua vita in quel destino che "non sa d'avere". Quasi per antitesi, al saltellare di Samantha si oppone la malinconia di Milano, costruita sull'immagine del sole che tramonta e sulla forza del verbo morire. Poi, a chiudere il primo quadro del pezzo, spuntano altri elementi di un crudo realismo: auto, freni, gas di scarico, gasometro, appena mitigati dall'apertura alla Milano più nota, il centro, lo stadio di San Siro, descritti in un'atmosfera di lontananza data dal semplice "lontano", dal loro connotarsi come "altro mondo", qualcosa che "non cogli a fondo". La strofa si chiude poi con due notazioni di colore, i muri neri e il cielo viola carico, che accrescono l'atmosfera cupa, anche se il vagolare dei pensieri sembra dare un impressione di movimento gioioso.
    ...continua su http://ospitiweb.indire.it/~copc0001/lirica/samantha.html

    (Fonti: Ospitiweb.indire.it)






    Farewell

    E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent' anni portati così,
    come si porta un maglione sformato su un paio di jeans;
    come si sente la voglia di vivere
    che scoppia un giorno e non spieghi il perchè:
    un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos'è.

    Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani,
    giorni a chiedersi tutto cos' era, vedersi ogni sera;
    ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone orientale,
    ogni sera là, a passo di danza, a salire le scale
    e sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore,
    quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore.

    Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova,
    era tanto potere parlarci, giocare a guardarci,
    tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino,
    religione del tirare tardi e aspettare mattino;
    e una notte lasciasti portarti via, solo la nebbia e noi due in sentinella,
    la città addormentata non era mai stata così tanto bella.

    Era facile vivere allora ogni ora,
    chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci,
    e ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell' epoca nuova,
    ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova.
    Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo,
    ci sembrava d' avere trovato la chiave segreta del mondo.

    Non fu facile volersi bene, restare assieme
    o pensare d' avere un domani e stare lontani;
    tutti e due a immaginarsi: "Con chi sarà?" In ogni cosa un pensiero costante,
    un ricordo lucente e durissimo come il diamante
    e a ogni passo lasciare portarci via da un' emozione non piena, non colta:
    rivedersi era come rinascere ancora una volta.

    Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione,
    e il peccato fu creder speciale una storia normale.
    Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo,
    sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo.
    E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa;
    siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa.

    "The triangle tingles and the trumpet plays slow"...

    Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d' estate
    con qualcosa di fragile come le storie passate:
    forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile credo, perchè
    ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me...


     
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  12. tomiva57
     
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    Nostra signora dell'ipocrisia

    Alla fine della baldoria c'era nell' aria un silenzio strano,
    qualcuno ragliava con meno boria e qualcun altro grugniva piano;
    alle sfilate degli stilisti si trasgrediva con meno allegria
    ed in quei visi sazi e stravisti pulsava un' ombra di malattia.
    Un artigiano di scoop forzati scrisse che Weimar già si scorgeva
    e fra biscotti sponsorizzati videro un anchorman che piangeva
    e poi la nebbia discese a banchi ed il barometro segnò tempesta,
    ci risvegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa...

    Il mercoledì delle Ceneri ci confessarono bene o male
    che la festa era ormai finita e ormai lontano il carnevale
    e proclamarono penitenza e in giro andarono col cilicio
    ruttando austeri: "Ci vuol pazienza! Siempre adelante ma con juicio!"
    E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell' Ipocrisia
    perchè una mano lavasse l' altra, tutti colpevoli e così sia!
    E minacciosi ed un po' pregando, incenso sparsero al loro Dio,
    sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io...

    La domenica di Mezza Quaresima fu processione di etere di Stato
    dai puttanieri a diversi pollici dai furbi del " chi ha dato ha dato "
    ed echeggiarono tutte le sere, come rintocchi schioccanti a morto,
    amen, mea culpa e miserere, ma neanche un cane che sia risorto
    e i cavalieri di tigri a ore e i trombettieri senza ritegno
    inamidarono un nuovo pudore, misero a lucido un nuovo sdegno:
    si andò alle prime con casto lusso e i quiz pagarono sobri milioni
    e in pubblico si linciò il riflusso per farci ridiventare buoni...

    Così domenica dopo domenica fu una stagione davvero cupa,
    quel lungo mese della quaresima, rise la iena, ululò la lupa,
    stelle comete ed altri prodigi facilitarono le conversioni,
    mulini bianchi tornaron grigi, candidi agnelli certi ex-leoni.
    Soltanto i pochi che si incazzarono dissero che era l' usato passo
    fatto dai soliti che ci marciavano per poi rimetterlo sempre là, in basso!
    Poi tutto tacque, vinse ragione, si placò il cielo, si posò il mare,
    solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, tornò a pensare...









    Dovevo fare del cinema


    Certo, ha ragione il signore se dice che siamo in un film
    dell' ultimo periodo,
    dove i banditi pentiti confessano se non li processano
    e così fra le macchie di sangue la vita è la solita
    e fa "audience" se in più c'è la scena del killer che vomita.

    Sa com'è? E' bello fare del cinema
    anche se, lì da imputato, c'è qualcuno che crede di esser nel cinema muto,
    è bello fare del cinema,
    ma piuttosto che sparare siam rimasti nascosti a guardare.

    A guardare cos'è che ci aspetta alla fine del tunnel,
    dei riflussi riflessi su certi pacchetti di Camel,
    quando tutto è soltanto un riassunto di modi di dire,
    quattro quarti di noia disposta comunque a finire;
    l' inflazione però non finisce e ci rende cattivi,
    non c'è niente che valga la pena e così siamo vivi.

    Ma che cos'è che ci fa fare del cinema?
    Forse questa depressione o l' istinto di conservazione.
    Noi, si va a fare del cinema,
    quando vivere è un problema rifacciamo da capo la scena...

    Sì, devo dire che ha proprio ragione il signore,
    c'è una crisi tremenda che investe l' intero settore;
    è che il pubblico vuole si parli più semplicemente,
    così chiari e precisi e banali da non dire niente.
    Per capire la storia non serve un discorso più grande:
    signorina cultura si spogli e dia qui le mutande.

    Sa com'è, lei, deve fare del cinema,
    mica roba pervertita, ma un soggetto che serva alla vita;
    facciamo tutti del cinema,
    ma piuttosto che parlare si rimanga nascosti a pensare...

    Ma il gestore di un piccolo cine di periferia
    mi diceva che è tutta la vita che aspetta un' idea,
    un' idea piccolina che verso il finale si evolve
    nella madre di tutte le storie, l' idea che risolve;
    quel soggetto che senti nell' aria e potrebbe arrivare
    proprio quando hai già chiuso il locale e cambiato mestiere:

    sa com'è, è bello fare del cinema,
    tanto, sa, facciamo tutti del cinema...





    Non bisognerebbe

    Non bisognerebbe mai ritornare.
    Perché calcare i tuoi vecchi passi,
    calciare gli stessi sassi
    su strade che ti han visto già a occhi bassi?
    Non troverai quell'ombra che eri tu
    e non avrai quell'ora in più
    che hai dissipato e che ora cerchi:
    si scioglierà impossibile il pensiero
    a rimestare il falso e il vero
    in improbabili universi.
    Eppure come un cane che alza
    il muso e annusa l'aria
    batti sempre la tua pista solitaria
    e faccia dopo faccia e ancora traccia dopo traccia
    torni dove niente ti aprirà le braccia.
    E rimpiangere, rimpiangere mai.
    Come piovigginano le vecchie cose:
    perché tra i libri schiacciare rose
    di risa paghe e piene delle spose?
    E buttar via un'incognita e uno scopo
    trascurare il giorno dopo
    come se chiudesse sempre;
    studiar la stessa pagina di storia
    conosciuta già a memoria,
    date e luoghi impressi a mente.
    Ma gocciola da sempre sul bagnato
    tesoriere dei tuoi giorni
    di chi ha preso e di chi ha dato.
    E ora dopo ora e dopo un attimo ed ancora
    la poetica consueta è "dell'allora".
    Primo: Non ricordare.
    Perché i ricordi sono falsati
    i metri e i cambi sono mutati
    per la spietata legge dei mercati.
    E' come equilibrarsi sugli specchi
    ad ogni occhiata un po' più vecchi
    opachi, muti e deformanti.
    Frugare dentro ai soliti cassetti
    dove non c'è quel che ci metti
    e mai le cose più importanti.
    E invece come tutti sempre lì a portarli addosso
    a ricercare quel sottile straccio rosso
    che lega il tempo assente
    ed il presente e nella mente
    tutto questo poi ci si confonderà.










    Luna fortuna

    Notte calda come tante vicino al fiume che canta,
    aria piena del barlume di un lume fioco in distanza
    e di lucciole sfuggenti con cui la notte si ammanta.

    E si ammanta di fantasmi o di un ricordo lontano,
    mentre al buio della notte che mi trascina per mano
    cerco i segni delle piante che mi circondano piano.

    Piano, all' ombra della notte, mi sembri fatta di fumo,
    sento appena il tuo calore ed il tuo strano profumo
    con l' odore del tuo corpo e in questo io mi consumo.

    Ma dal monte all' improvviso spunta la bianca luna
    e ogni cosa in un istante schiarisce e non è più bruna:
    questa luna esagerata ci procurerà fortuna.

    La fortuna di un amante è un fiore d' esile stelo,
    una favola inquietante, fugace e fragile velo,
    il respiro di un istante che scomparirà nel cielo.

    Cielo e luce all' infinito come se fosse di giorno,
    mondo magico fiorito che mi risplende d' intorno,
    io ti sfoglio con le dita e indovino il tuo contorno.

    Il contorno del tuo corpo ora si è fatto reale,
    è qualcosa bianco e vero, bello da far quasi male
    e si insinua in un pensiero che all' improvviso m' assale:

    contro il cielo trasformato sorride un' altra luna,
    ma io so quale è la vera, l' altra non è più nessuna:
    questa nuova luna piena mi procurerà fortuna...






    Parole

    Parole, son parole, e quante mai ne ho adoperate
    e quante ancora lette e poi sentite,
    a raffica, trasmesse, a mano tesa, sussurrate,
    sputate, a tanti giri, riverite,
    adatte alla mattina, messe in abito da sera,
    all' osteria citabili o a Cortina e o a Marghera.

    Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle
    e in aria le facciamo rimbalzare
    e se le cento usate sono in fondo sempre quelle
    non è importante poi comunicare,
    è come l' uomo solo che fischietta dal terrore
    e vuole nel silenzio udire un suono, far rumore.

    Mio caro amore, si è un po' come commessi viaggiatori
    con campionari di parole e umori a ritmi di trecento e più al minuto;
    amore muto, beati i letterari marinai, così sul taciturno e cerca guai,
    così inventati e pieni di coraggio...

    Io non son quei marinai, parole in rima ne ho già dette
    e tante, strano, ma ne faccio dire
    nostalgiche, incazzate, quanto basta maledette,
    ironiche quel tanto per servire
    a grattarsi un po' la rogna, soffocati dal collare
    adatto per i cani o per la gogna del giullare.

    Poi andare sopra un palco per compenso o l' emozione:
    chi non ha mai sognato di provare?
    Sia chi ha capito tutto e tutto sa per professione
    ed ha un orgasmo a scrivere o a fischiare,
    sia quelli che ti adorano fedeli, senza intoppi,
    coi santi non si scherza, abbasso il Milan, viva Coppi!

    Amore sappi, beato chi ha le musiche importanti,
    le orchestre, luci e viole sviolinanti, non queste mie di fil di ferro e spago;
    amore vago, mi tocca coi miei due giri costanti
    fare il make-up a metonimie erranti: che gaffe proprio all'età della ragione...

    E sì son tanti gli anni, ma se guardo ancora pochi,
    Voltaire non ci ha insegnato ancora niente,
    è questo quel periodo in cui i ruggiti si fan fiochi
    oppure si ruggisce veramente
    ed io del topo sovrastrutturale me ne frego;
    chi sia Voltaire, mi dite? Va beh, dopo ve lo spiego.

    E se pensate questi i vaniloqui di un anziano,
    lo ammetto, ma mettiamoci d' accordo
    conosco gente pìa, gente che sa guardar lontano
    e alla maturità dicon sia sordo
    perchè i rincoglioniti d' ogni parte odian parecchio
    la libertà e la chiamano "vagiti", o "ostie" d'un vecchio.

    Amore a specchio, è tanto bello urlare dagli schermi,
    gettare a terra falsi pachidermi coprendo ad urla il vuoto ed il timore.
    Qui sul mio onore, smetterei di giocar con le parole,
    ma è un vizio antico e poi quando ci vuole per la battuta mi farei spellare...

    E le chiacchiere son tante e se ne fan continuamente,
    è tanto bello dar fiato alle trombe
    o il vino o robe esotiche rimbomban nella mente,
    esplodono parole come bombe,
    pillacchere di fango, poesie dette sulla sedia,
    ghirlande di semantica e gran tango dei mass-media.

    Dibattito in diretta, miti, spot, ex-cineforum,
    talk-show, magazine, trend, poi T.V. e radio,
    telegiornale, spazi, nuovo, gadget, pista, quorum,
    dietrismo, le tangenti, rock e stadio
    deviati, bombe, agenti, buco e forza del destino,
    scazzato, paranoia e gran minestra dello spino.

    Amore fino, lo so che in questo modo cerco guai,
    ma non sopporto questi parolai, non dire più che ci son dentro anch' io,
    amore mio, se il gioco è essere furbo e intelligente
    ti voglio presentare della gente e certamente presto capirai...

    Ci sono, sai, nascosti dietro a pieghe di risate
    che tiran giù i palazzi dei coglioni,
    più sobri e più discreti e che fan meno puttanate
    di me che scrivo in rima le canzoni,
    i clown senza illusione, fucilati ad ogni muro,
    se stan così le cose dei buffoni sia il futuro.

    Son quelli che distinguono parole da parole
    e sanno sceglier fra Mercuzio e Mina,
    che fanno i giocolieri fra le verità e le mode,
    i Franti che sghignazzano a dottrina
    e irridono ai proverbi e berceran disincantati:
    "Frà Mina e Frà Mercuzio son parole, e non son frati !"

     
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    D'amore di morte e di altre sciocchezze




    Da Wikipedia


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    D'amore di morte e di altre sciocchezze è il diciassettesimo album di Francesco Guccini.

    L'album è stato dedicato a "Victor" (Victor Sogliani, bassista del gruppo Equipe 84 con cui Guccini aveva suonato nel gruppo I Gatti) e a Bonvi (il noto fumettista, creatore di Sturmtruppen). Entrambi erano amici d'infanzia di Guccini ed entrambi sono prematuramente scomparsi poco prima dell'uscita del disco.

    Nella copertina c'è una foto di Guccini serio e imbronciato che si confronta con i manifesti del Guccini di venti anni prima che stanno sullo sfondo.

    Tracce

    1. Lettera - 4:22
    2. Vorrei - 5:20
    3. Quattro stracci - 4:10
    4. Stelle - 5:42
    5. Canzone delle colombe e del fiore - 4:44
    6. Il caduto - 5:36
    7. Cirano - 6:40 (testo: Beppe Dati, Francesco Guccini; musica: Giancarlo Bigazzi)
    8. Il matto - 2:58
    9. I fichi - 9:55

    Tutti i testi sono del cantautore, fuorché Cirano (scritta da Beppe Dati ma cofirmata da Guccini che ha eseguito alcune modifiche al testo, anche se il deposito in SIAE è intestato al solo Dati), mentre le musiche sono state realizzate da Guccini tranne Il caduto, scritta da Juan Carlos Biondini, Cirano, di Giancarlo Bigazzi e Il matto, opera di Ares Tavolazzi.

    Brani


    Lettera è una ballata un po' rock che anticipa i temi trattati nel'album, l'amore, la morte e le sciocchezze della vita (come dice il titolo dell'album). Il testo della canzone riporta immagini e impressioni della vita e alla fine diventa più angoscioso e triste, ma ciò è dovuto al fatto che l'autore aveva appena perso due amici importanti.

    L'album non è, però, intriso di rassegnazione e tristezza, anzi, scorre tranquillo e gioioso fino all'ultima traccia che ricorda un po' la frivolezza di Opera buffa. La gioia e l'entusiasmo dell'innamoramento è, infatti, il tema di Vorrei, dedicata alla nuova compagna, Raffaella.

    Quattro stracci è una ballata folk-rock autobiografica che parla dell'amore per Angela (la madre dell'unica figlia di Guccini, Teresa, a cui il cantautore aveva già dedicato nel disco precedente Farewell), un amore ormai finito, secondo la canzone, a causa della troppa distanza tra la schiettezza dell'autore e certe superficialità fintamente intellettuali della donna un tempo amata.

    Un tema tipicamente gucciniano è quello di Stelle, in cui l'incanto davanti al cielo stellato è turbato dal senso della piccolezza dell'uomo che ci si perde dentro l'infinità del cielo.

    Altra canzone d'amore nell'album è la Canzone delle colombe e del fiore, traccia che precede Il caduto dove ritorna il tema della morte, infatti, il brano è il lamento postumo di un montanaro che si duole di essere sepolto in un'anonima pianura da dove non si vede il profilo di un monte e dove perfino la neve è diversa da quella che lui ha conosciuto.

    Il brano più osannato del disco è Cirano che oltre ad essere un pezzo d'amore, rappresenta anche una cruda e impietosa invettiva contro il mondo di quelli «con il naso corto», il solito gregge amorfo e conformista. Chiaramente ispirato all'opera teatrale Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand, Guccini come spesso fa, parte da un'ispirazione letteraria del passato per parlare della modernità. Cirano rimane da solo, ma l'amore per Rossana saprà vincere anche la sua apparente durezza e cattiveria.

    Con Il matto l'atmosfera si fa più scanzonata e si arriva a I fichi registrata live, al contrario di tutto il disco. Questa canzone è un autentico pezzo da cabaret spassoso e scanzonato. Ecco che le sciocchezze anticipate nel titolo esplodono con forza e prendono il sopravvento facendo da contrappeso alla serietà dei testi precedenti, carichi di significati e straripanti di idee. I fichi risale al 1976 (fu eseguita in quell'anno da Guccini in televisione a Televacca, lo storico programma di Roberto Benigni) ed il suo testo non è riportato nel libretto dell'album.







    LETTERA

    In giardino il ciliegio è fiorito agli scoppi del nuovo sole,
    il quartiere si è presto riempito di neve di pioppi e di parole.
    All'una in punto si sente il suono acciottolante che fanno i piatti,
    le TV sono un rombo di tuono per l'indifferenza scostante dei gatti;
    come vedi tutto è normale in questa inutile sarabanda
    ma nell'intreccio di vita uguale soffia il libeccio di una domanda,
    punge il rovaio di un dubbio eterno, un formicaio di cose andate,
    di chi aspetta sempre l'inverno per desiderare una nuova estate.
    Son tornate a sbocciare le strade, ideali ricami del mondo,
    ci girano tronfie la figlia e la madre nel viso uguali e nel culo tondo,
    in testa identiche, senza storia, sfidando tutto, senza confini,
    frantumano un attimo quella boria grida di rondini e ragazzini;
    come vedi tutto è consueto in questo ingorgo di vita e morte,
    ma mi rattristo, io sono lieto di questa pista di voglia e sorte,
    di questa rete troppo smagliata, di queste mete lì da sognare,
    di questa sete mai appagata, di chi starnazza e non vuol volare.
    Appassiscono piano le rose, spuntano a grappi i frutti del melo,
    le nuvole in alto van silenziose negli strappi cobalto del cielo;
    io sdraiato sull'erba verde fantastico piano sul mio passato
    ma l'età all'improvviso disperde quel che credevo e non sono stato;
    come senti tutto va liscio in questo mondo senza patemi,
    in questa vita presa di striscio, di svolgimento corretto ai temi,
    dei miei entusiasmi durati poco, dei tanti chiasmi filosofanti,
    di storie tragiche nate per gioco troppo vicine o troppo distanti.
    Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni
    di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni,
    gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti,
    l'arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?
    Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa
    e c'è il sospetto che sia triviale l'affanno e l'ansimo dopo una corsa,
    l'ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita,
    il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami vita.







    VORREI

    Vorrei conoscer l'odore del tuo paese, camminare di casa nel tuo giardino,
    respirare nell'aria sale e maggese, gli aromi della tua salvia e del rosmarino.
    Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero parlando con me del tempo o dei giorni andati,
    vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero come se amici fossimo sempre stati.
    Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci, i ciuffi di parietaria attaccati ai muri,
    le strisce delle lumache nei loro gusci, capire tutti gli sguardi dietro agli scuri
    e lo vorrei perché non sono quando non ci sei
    e resto solo coi pensieri miei, ed io...
    Vorrei con te da solo sempre viaggiare, scoprire quello che intorno c'è da scoprire
    per raccontarti e poi farmi raccontare il senso d'un rabbuiarsi o del tuo gioire;
    vorrei tornare nei posti dove son stato, spiegarti di quanto tutto sia poi diverso
    poter farmi da te spiegare cos'è cambiato e quale sapore nuovo abbia l'universo.
    Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona o il mare di una remota spiaggia cubana
    o un greppe dell'Appennino dove risuona fra gli alberi un'usata e semplice tramontana
    e lo vorrei perché non sono quando non ci sei
    e resto solo coi pensieri miei, ed io...
    Vorrei restare per sempre in un posto solo per ascoltare il suono del tuo parlare
    e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo impliciti dentro al semplice tuo camminare
    e restare in silenzio al suono della tua voce o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso
    dimenticando il tempo troppo veloce o nascondere in due sciocchezze che son commosso.
    Vorrei cantare il canto delle tue mani, giocare con te un eterno gioco proibito
    che l'oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all'infinito
    e lo vorrei perché non sono quando non ci sei
    e resto solo coi pensieri miei, ed io...









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    QUATTRO STRACCI

    E guardo fuori dalla finestra e vedo quel muro solito che tu sai,
    sigaretta o penna nella mia destra, simboli frivoli che non hai amato mai;
    quello che ho addosso non ti è mai piaciuto, racconto e dico e ti sembro muto,
    fumare e scrivere ti suona strano, meglio le mani di un artigiano
    e cancellarmi è tutto quel che fai; ma io sono fiero del mio sognare,
    di questo eterno mio incespicare e rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai.
    Non sai che ci vuole scienza, ci vuol costanza, ad invecchiare senza maturità;
    ma maturo o meno io ne ho abbastanza della complessa tua semplicità;
    ma poi chi ha detto che tu abbia ragione, coi tuoi also sprach di maturazione
    o è un'illusione pronta per l'uso, da eterna vittima d'un sopruso,
    abuso d'un mondo chiuso e fatalità; ognuno vada dove vuole andare,
    ognuno invecchi come gli pare,ma non raccontare a me che cos'è la libertà.
    La libertà delle tue pozioni, di yoga, di erbe, psiche e di omeopatia,
    di manuali contro le frustrazioni, le inibizioni che provavi qui a casa mia,
    la noia data da uno non pratico, che non ha il polso di un matematico,
    che coi motori non ci sa fare e che non sa neanche guidare,
    un tipo perso dietro le nuvole e la poesia; ma ora scommetto che vorrai provare
    quel che con me non volevi fare: fare l'amore, tirare tardi, o la fantasia.
    La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla,
    ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può più impedire di adoperarla;
    io se dio vuole non son tuo padre, non ho nemmeno le palle quadre,
    tu hai la fantasia delle idee contorte, vai con la mente e le gambe corte
    poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla;
    le vie del mondo ti sono aperte, tanto hai le spalle sempre coperte
    ed avrai sempre le scuse buone per rifiutarla.
    Per rifiutare sei stata un genio, sprecando il tempo a rifiutare me,
    ma non c'è un alibi, non c'è rimedio, se guardo bene no, non c'è un perché;
    nata di marzo, nata balzana, casta che sogna d'esser puttana,
    quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre i passati amori
    ed hai annullato tutti fuori che te, ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri,
    quei quattro stracci in cui hai buttato l'ieri, persa a cercar per sempre quello che non c'è.







    STELLE

    Ma guarda quante stelle questa sera fino alla linea curva d'orizzonte,
    ellissi cieca e sorda del mistero là dietro al monte;
    si fingono animali favolosi, pescatori che lanciano le reti,
    re barbari o cavalli corridori lungo i pianeti
    e sembrano invitarci da lontano per svelarci il mistero delle cose
    o spiegarci che sempre camminiamo fra morte e rose
    o confonderci tutto e ricordarci che siamo poco, che non siamo niente
    e che è solo un pulsare illimitato ma indifferente.
    Ma guarda quante stelle su nel cielo sparse in incalcolabile cammino;
    tu credi che disegnino la traccia del destino?
    E che la nostra vita resti appesa a un nastro tenue di costellazioni
    per stringerci in un laccio e regalarci sogni e visioni,
    tutto sia scritto in chiavi misteriose, effemeridi che guidano ogni azione,
    lasciandoci soltanto il vano filtro dell'illusione
    e che l'ambiguo segno dei Gemelli governi il corso della mia stagione
    scontrandosi e incontrandosi nel cielo dello Scorpione?
    Ma guarda quante stelle incastonate: che senso avranno mai? Che senso abbiamo?
    Sembrano dirci in questa fine estate: siamo e non siamo.
    E che corriamo come il Sagittario, tirando frecce a simboli bastardi,
    antiche bestie, errore visionario, segni bugiardi.
    C'erano ancora prima del respiro, ci saranno alla nostra dipartita,
    forse fanno ballare appesa a un filo la nostra vita
    e in tutto quel chiarore sterminato, dove ogni lontananza si disperde,
    guardando quel silenzio smisurato l'uomo si perde.





    CANZONE DELLE COLOMBE E DEL FIORE

    Amore, s'io fossi aria, le tue rondini vorrei,
    per guardarmele ogni minuto e farle volare negli occhi miei;
    quelle rondini bianche e nere che anche mute dicono tanto:
    tutta la gioia di mille sere ed un momento solo di pianto.
    Amore, mai sarò stanco di bermi tutto il tuo miele;
    quando ridi o quando mi parli in me si gonfiano mille vele;
    quando un sogno od un tuo segreto ti fan seria e sembri rubata,
    guizzan pesci tra i tuoi due fiori, rivive l'anima mia assetata.
    Amore, pensa s'io avessi una torre colombaria,
    per far posare le tue due colombe stanche di volare in aria;
    vederle alzarsi dritte nel cielo e atterrare fra le mie mani
    per carezzarle dentro ai miei oggi e baciarle fino a domani.
    Amore, nel mio giardino vorrei fiorisse la tua rosa,
    perché l'anima mia si perda dove il corpo rinasce e riposa;
    quella rosa di primavera sempre rorida di rugiada,
    misteriosa come la sera balenante come una spada.
    Amore colomba fiore, amore fragile e forte,
    sfrontatezza e pudore, compagna di gioia e sorte,
    sapore amaro e dolcezza, con l'arcobaleno fra le dita,
    vorrei perdermi nel tuo respiro, vorrei offrirti questa mia vita.








    IL CADUTO


    Io nato Primo di nome e di cinque fratelli,
    uomo di bosco e di fiume, lavoro e di povertà,
    ma uomo sereno di dentro, come i pesci e gli uccelli,
    che con me dividevano il cielo, l'acqua e la libertà;
    perché sono in prigione per sempre, qui in questa pianura,
    dove orizzonte rincorre da sempre un uguale orizzonte,
    dove un vento incessante mi soffia continua paura,
    dove è impossibile scorgere il profilo di un monte?
    E se d'inverno mi copre la neve gelata,
    non è quella solita in cui affondava il mio passo,
    forte e sicuro, braccando la lieve pestata
    che lascia la volpe o l'impronta più greve del tasso.
    Ho cancellato il ricordo, e perché son caduto;
    rammento stagioni in cui dietro ad un sole non chiaro
    veniva improvviso quel freddo totale, assoluto,
    e infine lamenti poi grida e bestemmie e uno sparo.
    Guarda la guerra che beffa, che scherzo puerile,
    io che non mi ero mai spinto in un lungo cammino,
    ho visto quel poco di mondo da dietro un fucile,
    ho visto altra gente soltanto da dietro a un mirino.
    E siamo in tanti coperti da neve gelata,
    non c'è più razza o divisa, ma solo l'inverno,
    e quest'estate bastarda dal vento spazzata,
    e solo noi, solo noi che siam morti in eterno.
    Io che che guardavo la vita con calmo coraggio
    cosa darei per guardare gli odori della mia montagna,
    vedere le foglie del cerro, gli intrichi del faggio,
    scoprire di nuovo dal riccio il miracolo della castagna.


     
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  14. tomiva57
     
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    CYRANO


    Venite pure avanti, voi con il naso corto,
    signori imbellettati, io più non vi sopporto!
    Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
    perché con questa spada vi uccido quando voglio.
    Venite pure avanti poeti sgangherati,
    inutili cantanti di giorni sciagurati,
    buffoni che campate di versi senza forza,
    avrete soldi e gloria ma non avete scorza;
    godetevi il successo, godete finché dura,
    ché il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura,
    e andate chissà dove per non pagar le tasse,
    col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe.
    Io sono solo un povero cadetto di Guascogna
    però non la sopporto la gente che non sogna.
    Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco
    e al fin della licenza io non perdono e tocco.
    Facciamola finita, venite tutti avanti,
    nuovi protagonisti, politici rampanti;
    venite portaborse, ruffiani e mezze calze,
    feroci conduttori di trasmissioni false,
    che avete spesso fatto del qualunquismo un arte;
    coraggio liberisti, buttate giù le carte,
    tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
    in questo benedetto assurdo bel Paese.
    Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato,
    spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato;
    coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco
    e al fin della licenza io non perdono e tocco.
    Ma quando sono solo con questo naso al piede
    che almeno di mezz'ora da sempre mi precede
    si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
    che a me è quasi proibito il sogno di un amore;
    non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
    per colpa o per destino le donne le ho perdute
    e quando sento il peso d'essere sempre solo
    mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
    ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
    amo senza peccato, amo ma sono triste,
    perché Rossana è bella, siamo così diversi;
    a parlarle non riesco, le parlerò coi versi.
    Venite gente vuota, facciamola finita:
    voi preti che vendete a tutti un'altra vita;
    se c'è come voi dite un Dio nell'infinito
    guardatevi nel cuore, l'avete già tradito
    e voi materialisti, col vostro chiodo fisso
    che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso,
    le verità cercate per terra, da maiali,
    tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
    tornate a casa nani, levatevi davanti,
    per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
    Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
    e al fin della licenza io non perdono e tocco.
    Io tocco i miei nemici col naso e con la spada
    ma in questa vita oggi non trovo più la strada,
    non voglio rassegnarmi ad essere cattivo
    tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo;
    dev'esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
    dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
    Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
    io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole;
    ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
    ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
    perché ormai lo sento, non ho sofferto invano,
    se mi ami come sono, per sempre tuo Cyrano.







    IL MATTO

    Mi dicevano il matto perché prendevo la vita
    da giullare, da pazzo, con un'allegria infinita.
    D'altra parte è assai meglio, dentro questa tragedia,
    ridersi addosso, non piangere, e voltarla in commedia.
    Quando mi hanno chiamato per la guerra, dicevo:
    Be', è naia, soldato! e ridevo, ridevo.
    Mi han marchiato e tosato, mi hanno dato un fucile,
    rancio immondo, ma io allegro, ridevo da morire.
    Facevo scherzi, mattane, naturalmente ai fanti,
    agli osti e alle puttane ma non risparmiavo i santi.
    E un giorno me l'han giocata, mi han ricambiato il favore
    e dal fucile mi han tolto l'intero caricatore.
    Mi son trovato il nemico di fronte, e abbiamo sparato,
    chiaramente io a vuoto lui invece mi ha centrato.
    Perché quegi occhi stupiti? Perché mentre cadevo,
    per terra, la morte addosso, io ridevo ridevo?
    Ora qui non sto male, ora qui mi consolo,
    ma non mi sembra normale ridere sempre da solo.






    I FICHI


    La canzone, onestamente, come testo non è un granché.
    Però ci ho messo tutta una grande ouverture musicale.
    Quindi attendete, vado ad eseguire l'ouverture.
    L'ouverture mi è riuscita un... un sessanta per cento,
    che non è una brutta percentuale, credetemi... no, sì, eeh, no no.
    È che io a questo punto avrei dovuto fare un do,
    ma il do non è una nota facile, il do è una nota...
    Beethoven che era Beethoven il do ci prendeva un...
    un ottanta per cento delle volte, anzi ha scritto una
    "Decima sinfonia senza do perché mi fa rabbia",
    ma la società "Gli amici delle sette note" non gli ha mai permesso di pubblicare.
    E il tempo di questa canzone è un tempo, il tempo è un tempo... carina questa:
    il tempo è un tempo, ma, il tempo un tempo era...
    Ah, un momento, bisogna spiegare a quelli di sotto che
    il microfono che dovrebbe essere qui è qui e il microfono
    che dovrebbe essere qui è qui.
    Il fatto che qui e qui in italiano si dica
    nello stesso modo complica orrendamente le cose però...
    va beh, insomma, il tempo un tempo era... un valzer moderato,
    ma col passar del tempo, e te dai... ha acquistato una precisa
    coscienza politica ed è diventato un valzer decisamente di sinistra.
    Ah ah aah! Aah! Virtuosismi? Ma vorrei l'applauso.
    Temo che questa chitarra sia orrendamente scordata,
    ma il pezzo è giusto con la chitarra orrendamente scordata.
    La canzone potrebbe ricordare a qualcuno..., la canzone si chiama "I fichi",
    potrebbe ricordare a qualcuno "I crauti".
    "I crauti" è una canzone scritta tanti anni fa, una canzone...
    si fa per dire, che faceva:
    Io non capisco la gente
    eh te fai sì sì con la testa, la conosci!
    È la tua canzone preferita.
    Te a un certo punto vai col tuo amoroso e dici
    "Senti, suonano i crauti: è la nostra canzone!"
    No, un momento c'è della gente così, eh!
    Io non capisco la gente
    questo è il valzer con una precisa coscienza politica, però non è,
    cioè, c'è un..., è, è, maes..., lei mi dica... ha una...
    che non ci piacciono i crauti.
    Ecco, la mia canzone è molto diversa, molto diver... Fa:
    Io non capisco la gente
    eh lo so, va beh, d'altra parte...
    che non ci piacciono i fichi.
    Già diversa! Già diversa!
    l'han detto persino gli antichi
    sì ai fichi ed abbasso i bignè.
    Virtuosismo. C'è questo sol che è... è un mi bemolle, comunque...
    Lo abbassiamo? Lei cosa dice? Lo abbassiamo? Ma sì... Ma sì...
    Seconda strofa nella quale si va a spiegare l'ontologia del fico,
    ovvero la vera, reale essenza del fico. Che non, non è da tutti,
    insomma, per il fico, intendo. Notate che quando faccio il virtuosismo
    mi abbasso con la spalla sinistra perché mi viene... più facile.
    Peccato che nel disco non lo vedranno che mi abbasso con la spalla sinistra, ma...
    Eh? Cosa viene adesso?
    I fichi son quella cosa
    pregevoli assieme al prosciutto
    mangiabili in parte o del tutto
    da soli o sia pure in alcun.
    A few body, come dicono gli anglosassoni.
    Mangiabili in piedi o a Verona,
    a letto, al mattino, in stazione,
    dovunque dà gioia... il... il melone
    Ah ah! Questa è un'altra canzone.
    Mangiabili in verno o d'estate
    e fino all'autunno inoltrato,
    ma allora ci ha il nome cambiato
    e si chiamano marron-glacés.
    Quando uno è bravo...
    Ma quando è maturo e sugoso,
    è allora il momento del fico
    ch'è buono sì ché non vi dico.
    Oh rabbia, che ormai l'ho già dett!
    La canzone... vi sarete resi conto
    che è di grande serietà e di grande impegno.
    È una canzone scientifico-morale e in questa strofa io vado a spiegare...
    le prove scientifiche della beneficità del fico per gli esseri umani.
    Vai! Ehm, l'ho detto prima di Beethoven che non...
    Se qualcuno mi tenesse un... dito qua...
    Il fico fa bene alla vista.
    Stupiti! Vi vedo stupiti.
    gli uccelli ne mangian quintali
    e quasi nessuno ha gli occhiali
    ma questo è un segreto di poc.
    Ma questo è soltanto uno scherzo
    di quello che giova in salute:
    su in Svezia che han larghe vedute
    anche sui 30-40cm...
    i fichi la mutua li dà.
    Eh? Un applauso, veh, per cortesia!
    Se ce ne fosse bisogno,
    successive prove della beneficità del fico in natura:
    Te prova ad andar sotto a un camions
    oppure va' sotto a un tranvai
    poi vai sotto a un fico e vedrai
    di quanto starai tu più ben.
    Controindicazioni.
    Ma attenti a non far come quello
    che in preda a pensieri lubrichi
    andò sotto a un camions di fichi
    non puro può far molto mal.
    Con... con grande vostro e mio dolore,
    soprattutto vostro, ma anche mio,
    siamo giunti al finale che vi spiegherà la parte direi...
    ehm... la parte "direi" della canzone.
    Ma ormai sono giunto alla fine
    e vi ho visto d'accordo e contenti
    fra un fico e un cazzotto nei denti
    ognuno ormai sceglier saprà.
    Non è tanto per me, quanto per i fichi!

     
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  15. tomiva57
     
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    Guccini Live Collection


    Da Wikipedia


    image




    Guccini Live Collection (1998) è il diciottesimo album di Francesco Guccini.

    Nel libro Un altro giorno è andato, Guccini afferma che questo disco non è stato voluto da lui, o meglio lui ha solo dato il consenso alla EMI per pubblicarlo e non ha seguito tutte le fasi della produzione. Come prova della sua estraneità a quell'opera, il cantautore porta il fatto che nella versione originale il titolo Un altro giorno è andato è scritto con l'apostrofo (Un altro giorno è andato). Il disco fa parte infatti di una linea editoriale della EMI che prevedeva un album live di molti artisti. Guccini non ha neanche partecipato alla veste grafica dell'album e alla scelta delle canzoni.

    Musicisti

    * Francesco Guccini: voce e chitarra acustica
    * alla voce: Augusto Daolio
    * alla batteria: Ellade Bandini, Paolo Lancillotti, Lele Barbieri
    * al basso: Ares Tavolazzi, Umberto Maggi
    * alla chitarra: Juan Carlos Biondini, Chris Dennis, Jimmy Villotti, Alessandro Simonetto, Umberto Maggi
    * alla tastiera: Vince Tempera, Beppe Carletti, Roberto Manuzzi
    * al sax: Roberto Manuzzi, Antonio Marangolo, Vince Tempera
    * alla fisarmonica: Roberto Manuzzi, Alessandro Simonetto
    * al violino: Chris Dennis
    * all'armonica: Roberto Manuzzi
    * al mandolino: Alessandro Simonetto






    Tracce

    CD1

    1. Canzone per un'amica - 4.12
    2. Canzone per Silvia - 5.07
    3. Quello che non - 4.02
    4. Il vecchio e il bambino - 3.42
    5. Quattro stracci - 4.16
    6. Cirano - 6.22
    7. Venezia - 4.12
    8. Bologna - 4.53
    9. Canzone quasi d'amore - 3.41
    10. Via Paolo Fabbri 43 - 9.13
    11. Autogrill - 4.28
    12. L'isola non trovata - 2.46
    13. Asia - 4.41
    14. Un altro giorno è andato - 3.53

    CD2

    1. Eskimo - 7.36
    2. Auschwitz - 5.20
    3. Canzone delle osterie di fuori porta - 5.45
    4. Farewell - 5.29
    5. Incontro - 3.12
    6. Due anni dopo - 4.59
    7. Primavera di Praga - 4.51
    8. Scirocco - 5.21
    9. L'avvelenata - 4.41
    10. Dio è morto - 2.52
    11. La locomotiva - 7.52
    12. Statale 17 - 3.17
    13. Noi non ci saremo - 3.25





    Eskimo

    " Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così,
    l' estate finiva più "nature" vent' anni fa o giù di lì...
    Con l' incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca "l'Unità",
    la paghi tutta, e a prezzi d' inflazione, quella che chiaman la maturità...

    Ma tu non sei cambiata di molto anche se adesso è al vento quello che
    io per vederlo ci ho impiegato tanto filosofando pure sui perchè,
    ma tu non sei cambiata di tanto e se cos' è un orgasmo ora lo sai
    potrai capire i miei vent' anni allora, i quasi cento adesso capirai...

    Portavo allora un eskimo innocente dettato solo dalla povertà,
    non era la rivolta permanente: diciamo che non c' era e tanto fa.
    Portavo una coscienza immacolata che tu tendevi a uccidere, però
    inutilmente ti ci sei provata con foto di famiglia o paletò...

    E quanto son cambiato da allora e l'eskimo che conoscevi tu
    lo porta addosso mio fratello ancora e tu lo porteresti e non puoi più,
    bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà:
    tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent' anni fa!

    Ricordi fui con te a Santa Lucia, al portico dei Servi per Natale,
    credevo che Bologna fosse mia: ballammo insieme all' anno o a Carnevale.
    Lasciammo allora tutti e due un qualcuno che non ne fece un dramma o non lo so,
    ma con i miei maglioni ero a disagio e mi pesava quel tuo paletò...

    Ma avevo la rivolta fra le dita, dei soldi in tasca niente e tu lo sai
    e mi pagavi il cinema stupita e non ti era toccato farlo mai!
    Perchè mi amavi non l' ho mai capito così diverso da quei tuoi cliché,
    perchè fra i tanti, bella, che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me...

    Infatti i fiori della prima volta non c' erano già più nel sessantotto,
    scoppiava finalmente la rivolta oppure in qualche modo mi ero rotto,
    tu li aspettavi ancora, ma io già urlavo che Dio era morto, a monte, ma però
    contro il sistema anch' io mi ribellavo cioè, sognando Dylan e i provos...

    E Gianni, ritornato da Londra, a lungo ci parlò dell' LSD,
    tenne una quasi conferenza colta sul suo viaggio di nozze stile freak
    e noi non l' avevamo mai fatto e noi che non l' avremmo fatto mai,
    quell' erba ci cresceva tutt' attorno, per noi crescevan solo i nostri guai...

    Forse ci consolava far l' amore, ma precari in quel senso si era già
    un buco da un amico, un letto a ore su cui passava tutta la città.
    L'amore fatto alla "boia d' un Giuda" e al freddo in quella stanza di altri e spoglia:
    vederti o non vederti tutta nuda era un fatto di clima e non di voglia!

    E adesso che potremmo anche farlo e adesso che problemi non ne ho,
    che nostalgia per quelli contro un muro o dentro a un cine o là dove si può...
    E adesso che sappiam quasi tutto e adesso che problemi non ne hai,
    per nostalgia, lo rifaremmo in piedi scordando la moquette stile e l'Hi-Fi...

    Diciamolo per dire, ma davvero si ride per non piangere perchè
    se penso a quella che eri, a quel che ero, che compassione che ho per me e per te.
    Eppure a volte non mi spiacerebbe essere quelli di quei tempi là,
    sarà per aver quindici anni in meno o avere tutto per possibilità...

    Perchè a vent' anni è tutto ancora intero, perchè a vent' anni è tutto chi lo sa,
    a vent'anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell' età,
    oppure allora si era solo noi non c' entra o meno quella gioventù:
    di discussioni, caroselli, eroi quel ch'è rimasto dimmelo un po' tu...

    E questa domenica in Settembre se ne sta lentamente per finire
    come le tante via, distrattamente, a cercare di fare o di capire.
    Forse lo stan pensando anche gli amici, gli andati, i rassegnati, i soddisfatti,
    giocando a dire che si era più felici, pensando a chi s' è perso o no a quei party...

    Ed io che ho sempre un eskimo addosso uguale a quello che ricorderai,
    io, come sempre, faccio quel che posso, domani poi ci penserò se mai
    ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai:
    ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime oramai..."


     
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87 replies since 30/9/2010, 10:33   7209 views
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