FABRIZIO DE ANDRE...

biografia, discografia, new, foto, ecc...

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    Poi un'altra giornata di luce
    poi un altro di questi tramonti
    e portali colonne fontane.

    Tu mi hai insegnato a vivere
    insegnami a partir.

    Ma il cielo è tutto rosso
    di nuvole barocche
    sul fiume che si sciacqua
    sotto l'ultimo sole.

    E mentre soffio a soffio
    le spinge lo scirocco
    sussurra un altro invito
    che dice di restare.

    Poi carezze lusinghe abbandoni
    poi quegli occhi di verde dolcezza
    mille e una di queste promesse.

    Tu mi hai insegnato il sogno
    io voglio la realtà.

    E mentre soffio a soffio
    le spinge lo scirocco
    sussurra un altro invito
    che dice devi amare
    che dice devi amare.

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  3. tomiva57
     
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    Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
    sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
    fu un generale di vent'anni
    occhi turchini e giacca uguale
    fu un generale di vent'anni
    figlio d'un temporale

    c'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.

    I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
    e quella musica distante diventò sempre più forte
    chiusi gli occhi per tre volte
    mi ritrovai ancora lì
    chiesi a mio nonno è solo un sogno
    mio nonno disse sì

    a volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek

    Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
    il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso
    le lacrime più piccole
    le lacrime più grosse
    quando l'albero della neve
    fiorì di stelle rosse

    ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek

    Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
    c'erano solo cani e fumo e tende capovolte
    tirai una freccia in cielo
    per farlo respirare
    tirai una freccia al vento
    per farlo sanguinare

    la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek

    Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
    sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
    fu un generale di vent'anni
    occhi turchini e giacca uguale
    fu un generale di vent'anni
    figlio d'un temporale

    ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek




     
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  4. tomiva57
     
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    amico fragile

    Evaporato in una nuvola rossa,
    in una delle molte feritoie della notte
    con un bisogno d'attenzione,
    d'amore troppo "Se mi vuoi bene piangi"
    per essere corrisposti.
    Valeva la pena divertirvi le serate estive con un
    semplicissimo "Mi ricordo"
    per osservarvi affittare
    un chilo d'erba ai contadini in pensione e
    alle loro donne e regalare a piene mani oceani ed altre
    ed altre onde ai marinai in servizio,
    fino a scoprire ad uno
    ad uno i vostri nascondigli,
    senza rimpiangere la mia credulita';
    perche' gia' dalla prima trincea
    ero piu' curioso di voi,
    ero molto piu' curioso di voi.
    E poi sospeso tra i vostri "Come sta",
    meravigliato da luoghi meno
    comuni e piu' feroci,
    tipo "Come ti senti amico, amico fragile, se
    vuoi potro' occuparmi un'ora al mese di te"
    "Lo sa che io ho perduto due figli"
    "Signora lei e' una donna
    piuttosto distratta"
    e ancora ucciso dalla
    vostra cortesia nell'ora in cui un mio sogno
    ballerina di seconda
    fila, agitava per chissa' quale avvenire
    il suo presente di seni
    enormi e il suo cesareo fresco,
    pensavo e' bello che dove finiscano le
    mie dita debba in qualche modo
    incominciare una chitarra;
    e poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci,
    mi sentivo meno stanco di voi,
    ero molto meno stanco di voi.
    Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta
    fino a vederle
    spalancarsi la bocca.
    Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
    di parlare ancora male ad alta voce di me.
    Potevo barattare la mia chitarra
    ed il suo elmo con una scatola di legno che dicesse
    perderemo.
    Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane, il mio e'
    un po' di tempo
    che si chiama Libero.
    Potevo assumere un cannibale al
    giorno per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle.
    Potevo attraversare litri e litri di corallo
    per raggiungere un posto che si
    chiamasse "arrivederci";
    e mai che mi sia venuto in mente,
    di essere piu' ubriaco di voi, di
    essere molto piu' ubriaco di voi.



     
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  5. tomiva57
     
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    De André nella memoria collettiva


    « De André non è stato mai di moda. E infatti la moda, effimera per definizione, passa. Le canzoni di Fabrizio restano »

    Gli estimatori di Fabrizio De André ammirano il coraggio morale e la coerenza artistica con cui egli, nella società italiana del dopoguerra, scelse di sottolineare i tratti nobili ed universali degli emarginati, affrancandoli dal "ghetto" degli indesiderabili e mettendo a confronto la loro dolorosa realtà umana con la cattiva coscienza dei loro accusatori Il cammino di Fabrizio De André ebbe inizio sulla pavimentazione sconnessa ed umida del carruggio di Via del Campo, prolungamento della famosa Via Pré, strada proibita di giorno quanto frequentata la notte. È in quel ghetto di umanità platealmente respinta e segretamente bramata che avrebbero preso corpo le sue ispirazioni; di ghetto in ghetto, dalle prostitute alle minoranze etniche, passando per diseredati, disertori, bombaroli ed un'infinità d'altre figure. Nella sua antologia di vinti, dove l'essenza delle persone conta più delle azioni e del loro passato, De André raggiunse risultati poetici che oggi gli vengono ampiamente riconosciuti.

    La discografia di De André è ampia, ma non vasta come quella di altri autori del suo tempo; pur tuttavia risulta memorabile per varietà ed intensità. Viene ora riassunta in postume ricostruzioni filologiche, curate dalla moglie e da esperti tecnici del suono che si sono riproposti l'obiettivo di mantenere, nei nuovi supporti, le sonorità dei vecchi LP in vinile. Sino ad ora sono state realizzate due raccolte, entrambe in triplo CD, titolate In direzione ostinata e contraria e In direzione ostinata e contraria 2.

    Alcuni fra i maggiori cantanti e cantautori italiani, nel marzo del 2000, hanno ricordato Fabrizio De André con un concerto celebrativo, al teatro Carlo Felice di Genova, interpretando i suoi maggiori successi. Di quel concerto è stato realizzato un doppio cd, dal titolo Faber, pubblicato nel 2003, i cui proventi sono stati devoluti in beneficenza.

    La Premiata Forneria Marconi ha eseguito, e tutt'ora esegue concerti nei quali reinterpreta le canzoni di De André, in cui si ricorda la proficua collaborazione tra il gruppo e il cantautore.

    A Genova, in Via del Campo, dove l'intrico di viuzze si fa congestionato come in una Qasba mediorientale, nel negozio di dischi di Gianni Tassio, ora acquisito dal comune di Genova è esposta la chitarra con la quale, probabilmente, De André ha studiato i testi delle canzoni di "Crêuza de mä". Lo strumento, la "Francisco Esteve" n. 097, venne messo all'asta in favore di Emergency dalla famiglia poco tempo dopo la sua morte ed acquistato dai negozianti del capoluogo ligure, dopo una serrata lotta al rialzo con alcuni facoltosi collezionisti: i commercianti genovesi arrivarono a sborsare 168 milioni e 500 mila lire, per aggiudicarsi la chitarra di De André.

    Il ricavato venne utilizzato da Emergency per la costruzione dell'ospedale di Goderich, località alla periferia di Freetown, capitale della Sierra Leone, struttura sanitaria moderna ed unica in tutto il Paese, dove i pazienti vengono curati gratuitamente e dove un reparto si chiama, appunto, "Via del Campo".

    Ora il negozio di via del Campo, nei luoghi dove il cantautore avrebbe voluto trascorrere i suoi ultimi anni, si è trasformato in una sorta di museo, e chi vi passa davanti può ascoltare sommessamente le note delle sue canzoni; inoltre, vi si trovano esposte in vetrina le copertine originali di tutti i suoi dischi.

    Su iniziativa della moglie Dori Ghezzi e di Fernanda Pivano è nata la Fondazione Fabrizio De André Onlus che si occupa di mantenere viva la memoria del cantautore. Molte sono le iniziative promosse, moltissimi i gesti di stima e di amore che tutta Italia porge ogni anno alla memoria di Fabrizio.

    Omaggi

    Con 2004 Crêuza de mä, rivisitazione di Crêuza de mä (con l'aggiunta di due inediti dello stesso periodo e di Mégu megún, tratto dall'album successivo Le nuvole) Mauro Pagani ha reso omaggio al collega con cui ha spesso collaborato.

    L'anno successivo Morgan ha inciso Non al denaro, non all'amore né al cielo, remake dell'omonimo album di Fabrizio De André, pubblicato nel 1971.

    A dicembre del 2008 Massimo Bubola pubblica l'album Dall'altra parte del vento, in cui rivisita 11 canzoni scritte in collaborazione con il cantautore genovese.

    Nel 2009 il figlio Cristiano De André ha pubblicato l'album De André canta De André, in cui ripropone alcune canzoni del padre con nuovi arrangiamenti.

    Ad aprile 2010 la Premiata Forneria Marconi ha pubblicato A.D. 2010 - La buona novella, una rilettura con nuovi arrangiamenti e l'aggiunta di alcuni brevi intermezzi strumentali del 33 giri La buona novella del 1970.

    Patti Smith, per il nuovo album previsto per il 2010, prepara tre versioni in inglese di canzoni di De André: si tratta di Amore che vieni, amore che vai, Fiume Sand Creek e Una storia sbagliata (queste ultime due scritte con Bubola), e le traduzioni in inglese sono curate da Shel Shapiro. L'ex leade dei Rokes ha già inciso nel 2007 River Sand Creek nel suo album Storie, sogni e rock'n'roll.

    Tribute band

    Oltre agli artisti celebri, anche una lunga serie di cantanti meno conosciuti e, soprattutto, di gruppi giovanili, hanno registrato album composti principalmente o esclusivamente da canzoni di Faber, spesso con risultati apprezzabili. Nelle piazze e nei teatri di città e di provincia sono centinaia le rappresentazioni che, ogni anno, vengono dedicate a De André. Tra i più conosciuti interpreti e tribute band, ricordiamo Giorgio Cordini, i Khorakhanè e i Mercanti di Liquore, tutti comunque con una loro carriera ed un repertorio autonomi, oltre alle cover di De André.

    Premio

    In suo ricordo è stato istituito un apposito premio - il Premio Fabrizio De André.

    Fabrizio De André e la fede

    Nel concept album "La buona novella" (1970) De André ci fornisce la massima espressione della sua visione religiosa, effettuando una chiara antropologizzazione del divino. Nel concerto al teatro Brancaccio di Roma nel 1998 De André fece le seguenti dichiarazioni in merito:
    « Quando scrissi la Buona Novella era il 1969. Si era quindi, in piena lotta studentesca e le persone meno attente consideravano quel disco come anacronistico[...] E non avevano capito che la Buona Novella voleva essere un'allegoria: un paragone fra le istanze della rivolta del '68 e le istanze, spiritualmente più elevate ma simili da un punto di vista etico-sociale, innalzate da un signore, ben millenovecentosessantanove anni prima, contro gli abusi del potere, contro i soprusi della autorità, in nome di un egualitarismo e di una fratellanza universale. Quel signore si chiamava Gesù di Nazareth. E secondo me è stato, ed è rimasto, il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Quando ho scritto l'album non ho voluto inoltrarmi in strade per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia. Poi ho pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo, il che è esattamente quello che ha fatto l'uomo da quando ha messo piede sulla terra »

    « Probabilmente ne "La buona novella" i personaggi del vangelo perdono un po' di sacralizzazione; ma io credo e spero soprattutto a vantaggio di una loro migliore e maggiore umanizzazione »


    L'atteggiamento tenuto da Faber nei confronti dell'uso politico della religione e delle gerarchie ecclesiastiche è spesso sarcastico e fortemente critico nel contestarne i comportamenti contraddittori, come, ad esempio, nelle canzoni "Un blasfemo", "Il testamento di Tito", "La ballata del Miché " e gli ultimi versi di "Bocca di rosa".
    « Io mi ritengo religioso e la mia religiosità consiste nel sentirmi parte di un tutto, anello di una catena che comprende tutto il creato e quindi nel rispettare tutti gli elementi, piante e minerali compresi, perché, secondo me, l'equilibrio è dato proprio dal benessere diffuso in ciò che ci circonda. La mia religiosità non arriva a ricercare il principio, che tu voglia chiamarlo creatore, regolatore o caos non fa differenza. Però penso che tutto quello che abbiamo intorno abbia una sua logica e questo è un pensiero al quale mi rivolgo quando sono in difficoltà, magari dandogli i nomi che ho imparato da bambino, forse perché mi manca la fantasia per cercarne altri »

    Paternità delle canzoni

    Lungo tutta la propria carriera De André ha collaborato, sia per la parte musicale che per la parte testuale, con altri artisti: le canzoni di cui De André è l'unico autore sia del testo che della musica sono infatti otto. Complessivamente però i brani in cui figura contemporaneamente autore, non necessariamente unico, sia del testo che della musica sono 87. Ci sono inoltre alcuni casi particolari come La canzone dell'amore perduto, in cui la musica è tratta da un brano del XVII secolo di Georg Philipp Telemann, o La guerra di Piero e Si chiamava Gesù alla cui composizione ha lavorato anche Vittorio Centanaro, collaboratore di De André non iscritto alla SIAE (si veda l'intervista allo stesso Centanaro realizzata da Franco Zanetti e Claudio Sassi e riportata nel loro volume Fabrizio De André in concerto, 2008, Giunti Editore), o ancora Il fannullone e Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, con il testo scritto da Paolo Villaggio, che però non ha firmato il deposito SIAE, o ancora Geordie, depositata in SIAE da De André a suo nome, pur essendo questo un brano tradizionale.

    Così ha dichiarato Francesco De Gregori intervistato da Roberto Cotroneo:
    « Fabrizio è stato un grande organizzatore del lavoro altrui, perché le cose che realmente ha inventato, ha scritto, sono percentualmente molto poche rispetto a quelle che lui ha preso, o firmandole o senza firmarle. »

    (Francesco De Gregori)

    Nel complesso, De André è autore o coautore di tutte le canzoni originali da lui incise, con una sola eccezione: Le storie di ieri, scritta da Francesco De Gregori (che pure la incise quasi contemporaneamente a De André).



    Tutto Fabrizio De André



    « All'inizio ho voluto trasportare nella canzone dei temi che erano bagaglio esclusivo della letteratura in quella che era considerata, in Italia almeno, e a torto, un'arte minore quale la canzone. L'avevano fatto già prima di noi Kurt Weill o Bertolt Brecht in Germania, oppure Brassens e Brel in Francia »


    Il disco

    Si tratta di un'antologia di brani già pubblicati su 45 giri dalla Karim nel corso degli anni '60.

    Fu ristampato due anni dopo, nel 1968, dalla Roman Record Company e pubblicato con una copertina diversa e con il titolo La canzone di Marinella, come la canzone nota al pubblico di massa per via della cover portata precedentemente al successo da Mina.

    Conoscerà altre numerose ristampe con titoli e copertine diverse.


    LATO A

    1. La ballata dell'amore cieco (o della vanità) (1966) - 2:50
    2. Amore che vieni, amore che vai (1966) - 2:40
    3. La ballata dell'eroe (1961) - 2:40
    4. La canzone di Marinella (1964) - 3:11
    5. Fila la lana (1965) - 2:22

    LATO B

    1. La città vecchia (1965) - 3:21
    2. La ballata del Miché (1961, Fabrizio De André/Clelia Petracchi) - 2:44
    3. La canzone dell'amore perduto (1966) - 3:40
    4. La guerra di Piero (1964) - 3:25
    5. Il testamento (1963) - 4:06

    * Tutte le canzoni sono scritte da Fabrizio De André eccetto ove indicato.




    Volume I (Fabrizio De André)


    « "[...] Le ho scritte così, come mi hanno aggredito. Per incontenibile affiorare di memoria. [...] Talvolta il ricordo mi arrivava da molto lontano: dai balli a palchetto nelle campagne astigiane degli anni Cinquanta, dove un paio di labbra impiastricciate di viola, la cucitura di una calza di seta che scompariva nella "terra promessa", il balcone dipinto di verde della casa di mia nonna diventavano i particolari di una memoria diversa e più recente: dalle labbra di "Bocca di Rosa" alla disperata attrazione per la stanza semibuia di "Via del Campo". »

    (dalla postfazione di Fabrizio De André al saggio "La lingua cantata", Garamond, 1995.)

    Volume I (1967) è il primo album registrato in studio da Fabrizio De André per la Bluebell Records, ed il secondo della sua discografia complessiva, se si considera anche l'antologico Tutto Fabrizio De André pubblicato dalla Karim nel 1966 (che racchiudeva però incisioni realizzate in anni precedenti).


    Il disco


    Le prime nove tracce dell'album erano nuove, la decima, Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, è un ri-arrangiamento del singolo del 1963.

    Questo disco viene pubblicato in mono dalla Bluebell nel maggio 1967 con la copertina marrone e con un'introduzione all'album scritta da Giuseppe Tarozzi, e poi ristampato in versione stereo quattro mesi dopo con una copertina fotografica con il viso di De André a colori in un cerchio e l'introduzione di Tarozzi sostituita con una scritta da Cesare Romana.

    Le due edizioni del disco differiscono anche per il testo di Bocca di Rosa: il paese di San Vicario viene modificato in Sant'Ilario nella seconda versione, mentre la strofa "Spesso gli sbirri e i carabinieri al proprio dovere vengono meno / ma non quando sono in alta uniforme e l'accompagnarono al primo treno" fu modificata (dietro "cortesi pressioni dell'Arma dei Carabinieri") in "Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri / ma quella volta a prendere il treno l'accompagnarono malvolentieri".

    Si delinea in questo album quello che sarà lo stile musicale[1] di De André, un abbinamento di melodie semplici e allo stesso tempo ricercate con la chitarra e un testo poetico con soggetti spesso tratti ai margini della società.

    I singoli

    Quasi tutte le canzoni dell'album all'epoca furono stampate anche su 45 giri e vennero prodotti i seguenti singoli:

    * Preghiera in gennaio/Si chiamava Gesù
    * Bocca di Rosa/Via del campo
    * Caro amore/Spiritual
    * La canzone di Barbara/Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers

    Si noti inoltre che i primi due singoli riportavano sulla copertina solo il nome, Fabrizio, come lo faceva la Karim negli anni precedenti, mentre gli altri due singoli riportano anche De André.

    Le varie ristampe del disco

    Non sono però finite qui le traversie del disco: infatti nel 1970 la Produttori Associati, etichetta nata dalle ceneri della Bluebell, ristampa il disco sostituendo Caro amore con La stagione del tuo amore, registrata appositamente qualche mese prima per un 45 giri, con produzione e arrangiamenti di Gian Piero Reverberi (numero di catalogo: PA/LP 39).
    Il vinile rosso della ristampa dell'album

    Si noti che Caro amore (testo di De André e musica dal secondo tempo del Concerto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo), venne tolta dal disco per l'esplicita richiesta del compositore spagnolo, che non approvava il testo inserito da De André sulla sua musica.

    Questa versione del disco ha la copertina uguale alla seconda versione Bluebell, con gli spigoli però appuntiti e non arrotondati: per alcune copie, però la Produttori Associati utilizza alcune copertine dell'edizione Bluebell (evidentemente avanzate) coprendo con un adesivo bianco con la nuova sequenza dei brani la sequenza originale.

    Vi fu infine un'ulteriore ristampa a cura della Dischi Ricordi nel 1978, con la stessa sequenza della Produttori Associati (numero di catalogo: SMRL 6236).

    Il 23 ottobre 2009 è uscita un'edizione a tiratura limitata in vinile colorato rosso (Sony RCA LP 886975997510), ma con un errore: in copertina, infatti, è segnalata la presenza del brano Caro amore, ma in realtà, al suo posto vi è La stagione del tuo amore.

    Preghiera in gennaio

    De André dichiarò di averla scritta al ritorno dal funerale di Luigi Tenco amico cantautore di De André morto suicida nel gennaio 1967[3]. Tratta appunto il tema del suicidio ma anche della pietà poiché la Chiesa non solo condanna il suicidio ma ripudia, illecitamente, il suicida. "Lascia che sia fiorito, Signore, il suo sentiero(...)perché non c'è l'Inferno nel mondo del buon Dio(...)l'Inferno esiste solo per chi ne ha paura!"

    Marcia nuziale

    Traduzione di un brano di Georges Brassens, cantautore contemporaneo a De André La marche nuptiale incisa nel 1956, che diventa qui Marcia nuziale.

    A tal proposito, va ricordato che De André considerò sempre Georges Brassens come un maestro e fonte di ispirazione, come testimoniano altre canzoni del cantante genovese ispirate all'artista francese e alla sua opera.

    Spiritual

    Un vero e proprio spiritual che parla di Dio in cui De André canta con voce "nera", tipica degli afroamericani.

    Si chiamava Gesù

    La storia di Gesù raccontata da De André in maniera molto avanguardista e che alla fine considera lui come un essere umano e morì come tutti si muore, come tutti cambiando colore e che non lo considera proprio un eroe non si può dire che sia servito a molto, perché il male dalla terra non fu tolto. Questo è un punto molto controverso, perché d'altronde scrive anche: "non si può dire non sia servito a niente perché prese la terra per mano" e nonostante il punto di vista ateo mostra un gran rispetto ed ammirazione verso Gesù. Lo dice lui stesso pubblicamente in diverse occasioni.

    Il coautore della musica di questa canzone era Vittorio Centanaro, ma nel disco fu accreditata solo a De André in quanto Centanaro non era iscritto alla Siae.

    La canzone di Barbara

    Anche questa canzone fu pubblicata su 45 giri all'epoca con un differente mixaggio e alcuni pezzi di chitarra tagliati.

    Via del Campo

    « Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior »


    È una delle canzoni più note e apprezzate di De André. Via del Campo era uno dei vicoli più malfamati nella Genova degli anni sessanta, perché rifugio di prostitute, travestiti e gente povera, ossia quegli "ultimi" ai quali il cantautore genovese ha sempre prestato particolare attenzione nei suoi brani. De André evoca la figura di una prostituta e dell'"illuso" che le rivolge una proposta di matrimonio che non verrà mai accettata:
    « Via del Campo ci va un illuso a pregarla di maritare, a vederla salir le scale, fino a quando il balcone è chiuso. »


    In questa canzone, ispirata in parte alla figura del travestito genovese Mario Doré, in arte "Morena", De André esprime la sua solidarietà per quei ceti sociali a cui, vessati e derisi dai benpensanti, è preclusa ogni possibilità di riabilitazione.

    La musica di Via del Campo è quella della canzone di Enzo Jannacci La mia morosa la va alla fonte, che faceva parte di uno spettacolo teatrale del 1965 e che lo stesso Jannacci incluse nel 1968 nell'album Vengo anch'io. No, tu no, ma che De André riteneva essere una ballata medievale riscoperta da Dario Fo.

    Caro amore

    La canzone utilizza come base musicale, per il testo originale di De André, parte del movimento Adagio del Concerto de Aranjuez del 1939 di Joaquín Rodrigo.

    La stagione del tuo amore

    La canzone è un'affettuosa serenata ad una signora che si sta affacciando alla terza età. Con una melodia che trasmette una forte sensazione di nostalgia, De André cerca di acquietare le paure che si manifestano con i primi cambiamenti del corpo portati dall'invecchiamento. Il messaggio, ribadito dal ritornello, è che seppure il tempo non ci permetta di vivere per sempre le nostre gioie ed i nostri dolori, questi rimangono comunque con noi, impressi nei ricordi. Inoltre, nonostante il ricordo delle passate emozioni ci provochi nostalgia, la vita continua ad offrircene di nuove.

    Bocca di Rosa

    « C'è chi l'amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l'uno né l'altro, lei lo faceva per passione »

    (da "Bocca di Rosa", "Volume I", 1967)

    Bocca di Rosa è una delle canzoni più famose di Fabrizio De André, nonché quella che, come ha dichiarato in un'intervista televisiva concessa a Vincenzo Mollica, il cantautore genovese considerava più cara e più vicina al suo modo di essere.

    A testimonianza di quanto questa canzone sia entrata nell'immaginario collettivo, si può citare il fatto che l'espressione "bocca di rosa" è entrata nel linguaggio comune, essendo usata - se pur erroneamente - come eufemismo di prostituta; erroneamente in quanto, in realtà, come si afferma nel testo, Bocca di rosa l'amore non lo faceva "per professione", ma "per passione".

    La canzone racconta la vicenda di una donna forestiera che con il suo comportamento passionale e libertino sconvolge la quiete del "paesino di Sant'Ilario". Viene presa di mira la mentalità perbenista e bigotta della popolazione, che non tollerandone la condotta riesce alla fine a farla espellere dalle forze dell'ordine. Il testo risulta infatti particolarmente duro e sprezzante nei confronti delle donne cornificate («l'ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l'osso»), il cui atteggiamento è contrapposto in negativo a quello di Bocca di rosa («metteva l'amore sopra ogni cosa»). Alla forzata partenza di Bocca di rosa assistono commossi tutti gli uomini del borgo, i quali intendono «salutare chi per un poco portò l'amore nel paese». Alla stazione successiva la donna viene accolta in modo trionfale e addirittura voluta dal parroco accanto a sé nella processione.

    Il testo di Bocca di Rosa ha due varianti, entrambe del 1967, le cui differenze sono:

    1. il paesino di «Sant'Ilario», un sobborgo di Genova effettivamente esistente, venne modificato nell'immaginario «San Vicario».
    2. i versi che in origine recitavano «Spesso gli sbirri e i carabinieri al proprio dovere vengono meno / ma non quando sono in alta uniforme e l'accompagnarono al primo treno» vennero modificati (dietro "cortesi pressioni dell'Arma dei Carabinieri") in «Il cuore tenero non è una dote di cui siano colmi i carabinieri / ma quella volta a prendere il treno l'accompagnarono malvolentieri».

    La versione originaria è stata recuperata nella raccolta ufficiale In direzione ostinata e contraria, uscita postuma nel 2005.

    Il personaggio di Bocca di Rosa viene riproposto con una caratterizzazione diversa in Un destino ridicolo, libro di narrativa scritto a quattro mani da De André e Gennari.

    Ispirata secondo alcuni al brano Brave Margot (1952) dello stesso Brassens, fu pubblicata su 45 giri con la versione originale della prima stampa, con Via del campo come retro.
    La stazione menzionata nel testo, Genova Sant'Ilario, è attualmente soppressa.
    Esiste una versione live della canzone, suonata dalla Premiata Forneria Marconi con lo stesso De André alla voce nell'album Fabrizio De André in concerto - Arrangiamenti PFM. Una versione roccheggiante del gruppo Skiantos è stata incisa nel 2004 nel CD Rarities. Della canzone sono state eseguite anche svariate cover da artisti come: Peppe Barra, i Mercanti di liquore, Roberto Vecchioni, Ornella Vanoni, Anna Oxa, L'Aura e Mario Incudine.

    Alla canzone è dedicato un intero saggio di Andrea Podestà, edito da Zona nel 2009: Bocca di Rosa. Scese dal treno a Sant'Ilario. E fu la rivoluzione, ISBN 978 88 95514 83 3

    L'ispiratrice di "Bocca di rosa" sarebbe morta - secondo il quotidiano Il Secolo XIX[6] - a Sampierdarena il 14 giugno 2010 all'età di 88 anni[7]. Notizia smentita seccamente da Dori Ghezzi e Paolo Villaggio.

    La morte

    La musica è di Georges Brassens per il brano Le verger de Roi Louis, ma il testo è assolutamente autonomo e originale di De Andrè,
    Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers [modifica]
    Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers.

    Nuovo arrangiamento del brano pubblicato dalla Karim nel 1963, scritto con Paolo Villaggio.


    LATO A

    1. Preghiera in gennaio (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi[8]) - 3:28
    2. Marcia nuziale (Fabrizio De André/Georges Brassens) - 3:10
    3. Spiritual (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi[9]) - 2:34
    4. Si chiamava Gesù (Fabrizio De André/Vittorio Centanaro[10]) - 3:09
    5. La canzone di Barbara (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi[11])) - 2:17

    LATO B

    1. Via del Campo (Fabrizio De André/Enzo Jannacci[12]) - 2:31
    2. Caro amore (Fabrizio De André/Joaquín Rodrigo) - 3:57[13]
    3. Bocca di Rosa (Fabrizio De André/Gian Piero Reverberi[14]) - 3:05
    4. La morte (Fabrizio De André/Georges Brassens) - 2:22
    5. Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (Fabrizio De André/Paolo Villaggio) - 5:21









    La Morte


    La morte verrà all'improvviso
    avrà le tue labbra e i tuoi occhi
    ti coprirà di un velo bianco
    addormentandosi al tuo fianco
    nell'ozio, nel sonno, in battaglia
    verrà senza darti avvisaglia
    la morte va a colpo sicuro
    non suona il corno né il tamburo.

    Madonna che in limpida fonte
    ristori le membra stupende
    la morte no ti vedrà in faccia
    avrà il tuo seno e le tue braccia.

    Prelati, notabili e conti
    sull'uscio piangeste ben forte
    chi ben condusse sua vita
    male sopporterà sua morte.

    Straccioni che senza vergogna
    portaste il cilicio o la gogna
    partirvene non fu fatica
    perché la morte vi fu amica.

    Guerrieri che in punto di lancia
    dal suol d'Oriente alla Francia
    di strage menaste gran vanto
    e fra i nemici il lutto e il pianto

    davanti all'estrema nemica
    non serve coraggio o fatica
    non serve colpirla nel cuore
    perché la morte mai non muore.








     
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  6. tomiva57
     
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    Tutti morimmo a stento




    Tutti morimmo a stento cantata in si minore per solo, coro e orchestra (1968) è il 2° album registrato in studio di Fabrizio De André ed è uno dei primi esempi di concept album in italiano.


    Il disco

    Il cantautore genovese si è ispirato alla poetica di François Villon per scrivere i testi di questo album, che più di altri esprime perfettamente la visione sarcastica con cui De André guarda la vita e la sua simpatia nei confronti degli "ultimi", dei perdenti, dei reietti della società.

    La traccia di apertura Il cantico dei drogati nasce da una poesia di Riccardo Mannerini, Eroina.

    La traccia Leggenda di Natale è ispirata alla canzone Le Père Noël et la petite fille di Georges Brassens. Il brano verte sulla circonvenzione usata da un furbo senza scrupoli su un'ingenua che si lascia facilmente ingannare nel suo sentimento più innocente, la fiducia.

    In Inverno De André descrive i periodi bui della vita, dopo i quali a volte, si viene consolati da una calda estate. È un inno al ciclo delle stagioni che sono un po' come la vita, in cui si passa dal sole di un caldo sorriso al freddo pungente della malinconia.

    In Girotondo De André canta insieme ai bambini del coro I Piccoli Cantori di Nini Comolli

    La prima stampa di questo disco riporta in copertina la scritta Volume II, che scompare nelle ristampe; esistono altri dischi di De André con questo titolo, ma si tratta di album antologici del periodo Karim.

    Il 23 ottobre 2009 è uscita un'edizione a tiratura limitata in vinile colorato giallo (Sony RCA LP 886976090012).


    LATO A

    1. Cantico dei drogati (testo di Fabrizio De André e Riccardo Mannerini; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi[2]) - 7:06
    2. Primo intermezzo (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 1:57
    3. Leggenda di Natale (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 3:14
    4. Secondo intermezzo (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 1:56
    5. Ballata degli impiccati (testo di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 4:22

    LATO B

    1. Inverno (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 4:10
    2. Girotondo (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 3:06
    3. Terzo intermezzo (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 2:12
    4. Recitativo (due invocazioni e un atto d'accusa) (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 0:47
    5. Corale (leggenda del re infelice) (testo di Fabrizio De André; musica di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi) - 4:48

    La versione inglese

    Nel 1969 Antonio Casetta ebbe l'idea di realizzare una versione in inglese di questo disco: De André quindi reincise le parti vocali dell'album. Questa versione non è mai stata pubblicata ufficialmente, ma si giunse fino alla stampa di un'unica copia test in vinile. La grafica era completamente differente dalla versione italiana, con copertina apribile, tutti i testi delle canzoni in inglese e l'elenco di tutti i nomi dei musicisti. La scaletta del disco era la seguente:

    1. Lament of the Junkie
    2. First Intermezzo
    3. Legend of Christmas
    4. Second Intermezzo
    5. Ballad of the Hanged
    6. Winter
    7. Ring around the H-Bomb
    8. Third Intermezzo
    9. Relativity

    L'unica preziosa copia di questa versione è stata scoperta nel 2007 in possesso di un collezionista statunitense, che possedeva la versione da 40 anni, ma non lo disse mai a nessuno, e soltanto in occasione del suo ottantesimo compleanno rivelò il segreto
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    Singoli

    Dal disco fu tratto il seguente singolo: Leggenda di natale/Inverno pubblicato con la stessa copertina dell'album.




    Cantico Dei Drogati




    Ho licenziato Dio
    gettato via un amore
    per costruirmi il vuoto
    nell'anima e nel cuore.

    Le parole che dico
    non han più forma né accento
    si trasformano i suoni
    in un sordo lamento.

    Mentre fra gli altri nudi
    io striscio verso un fuoco
    che illumina i fantasmi
    di questo osceno giuoco.

    Come potrò dire a mia madre che ho paura?

    Chi mi riparlerà
    di domani luminosi
    dove i muti canteranno
    e taceranno i noiosi

    quando riascolterò
    il vento tra le foglie
    sussurrare i silenzi
    che la sera raccoglie.

    Io che non vedo più
    che folletti di vetro
    che mi spiano davanti
    che mi ridono dietro.

    Come potrò dire la mia madre che ho paura?

    Perché non hanno fatto
    delle grandi pattumiere
    per i giorni già usati
    per queste ed altre sere.

    E chi, chi sarà mai
    il buttafuori del sole
    chi lo spinge ogni giorno
    sulla scena alle prime ore.

    E soprattutto chi
    e perché mi ha messo al mondo
    dove vivo la mia morte
    con un anticipo tremendo?

    Come potrò dire a mia madre che ho paura?

    Quando scadrà l'affitto
    di questo corpo idiota
    allora avrò il mio premio
    come una buona nota.

    Mi citeran di monito
    a chi crede sia bello
    giocherellare a palla
    con il proprio cervello.

    Cercando di lanciarlo
    oltre il confine stabilito
    che qualcuno ha tracciato
    ai bordi dell'infinito.

    Come potrò dire a mia madre che ho paura?

    Tu che m'ascolti insegnami
    un alfabeto che sia
    differente da quello
    della mia vigliaccheria.









    Primo Intermezzo




    Gli arcobaleni d'altri mondi hanno colori che non so
    lungo i ruscelli d'altri mondi nascono fiori che non ho.

    Gli arcobaleni d'altri mondi hanno colori che non so
    lungo i ruscelli d'altri mondi nascono fiori che non ho.






    Secondo Intermezzo




    Sopra le tombe d'altri mondi
    nascono fiori che non so

    Ma tra i capelli d'altri amori
    muoiono fiori che non ho







    Edited by tomiva57 - 5/1/2011, 22:03
     
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    Volume III


    Da Wikipedia

    Volume III (1968) è il terzo album registrato in studio di Fabrizio De André.


    Il disco

    Con il titolo di questo album, De André riprende la titolazione cronologica delle sue pubblicazioni, saltata dall'album Tutti morimmo a stento.

    Come ha raccontato Roberto Dané[1], dopo questo concept album De André era entrato in crisi sul da farsi e, prima che Dané gli proponesse l'idea di La buona novella, realizzò un disco di reincisioni di brani già pubblicati con la Karim riarrangiati da Gian Piero Reverberi con quattro brani inediti: due traduzioni da Georges Brassens, Il gorilla, Nell'acqua della chiara fontana, un sonetto di Cecco Angiolieri messo in musica, S'i' fossi foco, ed un brano tradizionale francese del XIV secolo, Il re fa rullare i tamburi.
    Particolare della ristampa del 1970, con Il pescatore

    Negli inediti di questo album De André rinsalda ancor più la sua ispirazione per Brassens e per la musica francese, che già aveva caratterizzato parte della produzione Karim e di Volume I; d'altra parte con la messa in musica della poesia del "maledetto" ante-litteram Angiolieri, tra i maggiori poeti del Medioevo italiano, compie l'impresa, che rimarrà l'unica della sua lunga carriera, di musicare una poesia della tradizione italiana.

    Nella ristampa dell'album effettuata dalla Produttori Associati nel 1970, con il numero di catalogo PA/LP 33, viene inserita la canzone Il pescatore al posto de Il gorilla.

    Il 20 novembre 2009 è uscita un'edizione a tiratura limitata in vinile colorato blu (Sony RCA LP 88697615141).

    Tracce

    LATO A

    1. La canzone di Marinella (Fabrizio De André) - 3:20
    2. Il gorilla (Georges Brassens, adattamento italiano di Fabrizio De André) - 2:59
    3. La ballata dell'eroe (Fabrizio De André) - 2:35
    4. S'i' fosse foco (adattamento musicale di Fabrizio De André del sonetto di Cecco Angiolieri) - 1:14
    5. Amore che vieni amore che vai (Fabrizio De André) - 2:50

    LATO B

    1. La guerra di Piero (Fabrizio De André) - 3:04
    2. Il testamento (Fabrizio De André) - 3:47
    3. Nell'acqua della chiara fontana (Georges Brassens, adattamento italiano di Fabrizio De André) - 2:20
    4. La ballata del Miché (Fabrizio De André/Clelia Petracchi) - 2:55
    5. Il re fa rullare i tamburi (Fabrizio De André, tratta da un brano tradizionale francese del XIV secolo) - 3:14

    Le canzoni
    Il gorilla [Le gorille]

    Il brano è la traduzione di Le gorille, tratto dal primo album di Georges Brassens, La Mauvaise Réputation, datato novembre 1952. Il gorilla è una canzone che De André tradusse da Georges Brassens che la scrisse a ghigliottina funzionante. Questa canzone, oltre ad essere molto simpatica, cela un significato molto profondo sulla ingiustizia della pena di morte. La sentenza ingiusta, se una persona è in vita, si può sempre modificare. Ovviamente se la persona viene punita con la pena di morte, non è più possibile.

    S'i' fosse foco

    Adattamento musicale ad opera di De André del famoso sonetto di inizio Trecento "S'i' fosse foco, arderei 'l mondo" di Cecco Angiolieri.

    Nell'acqua della chiara fontana [Dans l'eau de la claire fontaine]

    Ennesima traduzione di un brano di Brassens, pubblicato dall'autore francese nel novembre del 1961.

    Il re fa rullare i tamburi

    Interpretazione dell'autore di un canto popolare francese del XIV secolo, Le Roi a fait battre tambour.

    Il brano è stato inciso con il testo originale in francese da Nana Mouskouri nel suo album Vieilles chansons de France.




    Edited by tomiva57 - 9/11/2010, 18:06
     
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    La buona novella


    Da Wikipedia

    La buona novella (1970) è il quarto album registrato in studio di Fabrizio De André.

    Il disco

    L'LP è un concept album tratto dalla lettura di alcuni Vangeli apocrifi (in particolare, come riportato nelle note di copertina, dal Protovangelo di Giacomo e dal Vangelo arabo dell'infanzia), pubblicato nell'autunno del 1970 (le matrici riportano la data del 19 novembre).

    Come ha raccontato Roberto Dané, l'idea del disco la ebbe lo stesso Dané, che pensando di realizzarla con Duilio Del Prete, la propose ad Antonio Casetta, che la dirottò a De Andrè.
    « Nel 1969 tornai da Casetta e gli sottoposi un'altra idea, che avevo intenzione di realizzare con Duilio Del Prete: un disco basato sui Vangeli apocrifi...lui, che era un grande discografico, di buon fiuto, mi ascoltò con attenzione ed alla fine disse: "Ma scusi, perché questa idea non la propone a Fabrizio De André? Sa, è un periodo che è un po' in crisi, non sa cosa fare...". E io che cosa dovevo dire? Con De André c'era sicuramente una maggiore esposizione »

    (Roberto Dané)

    Il lavoro di lettura e di scrittura dei testi, svolto con Roberto Dané, è durato più di un anno.

    Seguendo le caratteristiche degli Apocrifi, in questo album la narrazione della buona novella sottolinea l'aspetto più umano e meno spirituale assunto da alcune tradizionali figure bibliche (ad esempio, Giuseppe) e presta maggiore attenzione a figure minori della Bibbia, che qui invece diventano protagonisti (ad esempio, Tito e Dimaco, i ladroni crocefissi insieme a Gesù).

    È stato ritenuto da De André «uno dei suoi lavori più riusciti, se non il migliore[3]».
    « Nel 1969 scrivevo La buona novella.

    Eravamo in piena rivolta studentesca; i miei amici, i miei compagni, i miei coetanei hanno pensato che quello fosse un disco anacronistico. Mi dicevano: "cosa stai a raccontare della predicazione di Cristo, che noi stiamo sbattendoci perché non ci buttino il libretto nelle gambe con scritto sopra sedici; noi facciamo a botte per cercare di difenderci dall'autoritarismo del potere, dagli abusi, dai soprusi." .... Non avevano capito - almeno la parte meno attenta di loro, la maggioranza - che La Buona Novella è un'allegoria.
    Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessantottino, cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell'autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali. »

    (Intervista a Fabrizio De André)

    Il disco venne pubblicato con due copertine distinte, curate da Gian Carlo Greguoli, differenti per colore (che è in comune con la busta interna, che riporta anche i testi delle canzoni e i crediti del disco), marroncino e bianca; quest'ultima presenta sul fronte l'immagine di De André.

    Vi è anche una nota di presentazione del disco sul retro della copertina, scritta da Roberto Dané (che si firma con le sole iniziali).

    L'album venne registrato a Milano presso gli studi della Dischi Ricordi con il tecnico del suono Valter Patergnani, presso gli studi Fonorama (di proprietà di Carlo Alberto Rossi), con il tecnico del suono Mario Carulli e Fonit-Cetra, con il tecnico del suono Plinio Chiesa.

    Il 20 novembre 2009 è uscita un'edizione a tiratura limitata in vinile colorato oro (Sony RCA LP 88697615151).
    Trama [modifica]

    Quando gli fu chiesto per quale assurdo motivo, negli anni della contestazione giovanile, un cantautore rivoluzionario come lui avesse scritto un concept album dedicato a Gesù Cristo, lui rispose: "Perché Gesù Cristo è il più grande rivoluzionario della storia!". Pertanto la scelta di puntare sui Vangeli apocrifi come traccia da seguire per elaborare la trama del disco. Un modo questo per scoprire la vocazione umana, terrena, a volte quasi sofferente, dolorante e quindi poi provocatoria e rivoluzionaria della figura storica di Gesù di Nazareth. La narrazione, introdotta da un Laudate Dominum, inizia raccontando L'infanzia di Maria: la piccola Maria vive un'infanzia terribile segregata nel tempio ("dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e Signore"); l'impurità delle prime mestruazioni ("ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso") provocò il suo allontanamento e la scelta forzata di uno sposo; il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il falegname Giuseppe ("la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa") che la sposa per dovere e la deve poi lasciare per quattro anni per lavoro.

    Ne Il ritorno di Giuseppe si può cogliere la fatica della vita di Giuseppe; nel suo ritorno a casa porta una bambola per Maria, e la trova implorante affetto e attenzione. Il sogno di Maria riporta la scena nel tempio. In un sogno l'angelo che usava farle visita la porta in volo lontano "là dove il giorno si perde"; lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo; il testo allude ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta ("parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre") e si scioglie in pianto.

    La maternità inaspettata ("ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e poi madri per sempre"), si esprime in Ave Maria, un omaggio alla donna nel momento del concepimento.

    Dalla letizia che traspare in Ave Maria il passaggio a Maria nella bottega d'un falegname è drastico: il ritmo dato dalla pialla e dal martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce ("tre croci, due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare") con la quale il figlio di Maria ed i due ladroni verranno crocifissi. Infine sotto la croce stessa: "non fossi stato figlio di Dio t'avrei ancora per figlio mio". Questo aspetto è completamente trascurato dai Vangeli canonici. La via della croce è una delle canzoni in cui Fabrizio lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: "il potere vestito d'umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza".

    Ne Il testamento di Tito vengono elencati i dieci comandamenti, analizzati dall'inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù; i nomi dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco, Tito, Disma e Gesta): Tito è il ladrone buono nel vangelo arabo dell'infanzia. Per quanto riguarda la musica, la prima strofa incomincia semplicemente con la voce ed un leggero accompagnamento con la chitarra, crescendo sempre più in strumenti e accompagnamenti fino all'ultima strofa.

    L'opera termina con una sorta di canto liturgico che incita a lodare l'uomo, e non in quanto figlio di un dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.

    Tracce

    LATO A

    1. Laudate Dominum - 0:21
    2. L'infanzia di Maria - 5:01
    3. Il ritorno di Giuseppe - 4:07
    4. Il sogno di Maria - 4:07
    5. Ave Maria - 1:53

    LATO B

    1. Maria nella bottega d'un falegname - 3:14
    2. Via della Croce - 4:33
    3. Tre madri - 2:55
    4. Il testamento di Tito (musica: Fabrizio De André e Corrado Castellari)
    5. Laudate hominem - 3:20

    Testi: Fabrizio De André, a cura di Roberto Dané
    Musiche: Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi, con arrangiamenti di Gian Piero Reverberi, tranne ove diversamente indicato

    Musicisti

    * I Quelli
    o Franco Mussida: chitarra
    o Franz Di Cioccio: batteria
    o Giorgio Piazza: basso
    o Flavio Premoli: organo
    * Mauro Pagani: flauto in Maria nella bottega d'un falegname
    * Andrea Sacchi: chitarra
    * I Musical: cori

    Inoltre hanno partecipato come turnisti Angelo Branduardi al violino e Maurizio Fabrizio alla chitarra classica, allora entrambi sconosciuti.
    Interpretazioni successive

    Alcune delle canzoni di quest'album sono state reincise da altri artisti:

    * Il ritorno di Giuseppe da Eugenio Finardi nell'album Il silenzio e lo spirito (2003)
    * Il testamento di Tito da Michele nell'album Vivendo cantando (1971), dai Modena City Ramblers nell'album Viva la vida, muera la muerte! (2004)
    * Ave Maria da Lalli nell'album Mille papaveri rossi (2003),
    * Maria nella bottega d'un falegname dagli Arbe Garbe nell'album Mille papaveri rossi (2003)
    * Nell'aprile 2010 la Premiata Forneria Marconi ha pubblicato A.D. 2010 - La buona novella, una reincisione con nuovi arrangiamenti e l'aggiunta di alcuni brevi intermezzi strumentali.

    Interpretazioni teatrali

    * Da quest'album, nel 2000, sono stati tratti uno spettacolo teatrale con Claudio Bisio e Lina Sastri e un libro che ne analizza genesi, aspetti peculiari e il rapporto che esiste tra i vangeli apocrifi e le leggende popolari: Fabrizio De André e la Buona Novella: Vangeli Apocrifi e leggende popolari, Monica Andrisani, Firenze Libri 2002.
    * Nel 2003 il gruppo teatrale e corale Le Nuvole Ensemble e il cantautore Mimmo de Tullio hanno portato in scena lo spettacolo "La buona novella - Storia di una donna", basato sull'opera di De André. Lo spettacolo è stato rivisitato nel 2008 con l'intervento di Michele Ascolese, riuscendo a ricreare un'atmosfera di notevole suggestione, sia per le sonorità scelte dal chitarrista, sia per la voce di de Tullio, particolarmente simile a quella dello scomparso cantautore genovese.
    * L'album di De André ha ispirato molti artisti, fra cui uno dei fondatori dell'Associazione Culturale Teatro dei Pazzi Giovanni Giusto che nel 2003, nello stile del Teatro Canzone, ha ideato lo spettacolo musicale di narrazione Racconto Per Un Cristiano Comune, ricco di notizie storiche e di curiosi aneddoti, commentato appunto dalle canzoni de la Buona Novella, eseguite da un quartetto musicale - pianoforte, violoncello, chitarra, percussioni - ed interpretate da una raffinata voce femminile. È la predica di un cristiano stanco di sentire prediche, è la sfida di un teatrante invidioso del pubblico del prete, è un apostolo moderno che parla e parla di quel Dio che per entrare nella storia dell’Uomo ne ha condiviso prima insieme una trentina d’anni. Dopo vent’anni di musica e teatro Giovanni Giusto sa che nessuna storia, nemmeno la più fantastica, ha la forza della storia di Gesù: il mistero della nascita, la predicazione, i miracoli, le invidie, il processo, la condanna a morte, la resurrezione.Voglio raccontare quello che sembra concesso solo ai sacerdoti, a modo mio, un racconto per un cristiano comune e per chi vuole ascoltare senza credere. Lo faccio convinto che non c’è artista senza percorso sperimentale così come non c’è uomo senza ricerca spirituale.

    * Dall'album è stato tratto un omonimo spettacolo teatrale, ideato e realizzato dalla compagnia Mille papaveri rossi. Lo spettacolo, per quartetto e voce recitante, ha debuttato nel dicembre 2005 al festival Sonarìa, che si tiene ogni anno a Crispiano.

    * Dall'album è stato tratto un concerto per coro (Coro Polifonico del Balzo) e orchestra (Orchestra Sinfonica del Conservatorio Musicale Vincenzo Bellini di Palermo), diretta dal maestro Vincenzo Pillitteri e voci recitanti di Edoardo De Angelis e di Luciano Roman, arrangiamenti Salvatore Collura, ideato e realizzato dalla compagnia Coro Polifonico del Balzo, regia di Vincenzo Gannuscio e Rosalia Pizzitola.

    * Nel 2010, la Premiata Forneria Marconi ha realizzato una versione rock dell'opera, intitolata "A.D.2010 - La Buona Novella". I due membri storici della formazione, Franco Mussida e Franz Di Cioccio, facevano parte de I Quelli, cioè i musicisti che hanno preso parte all'incisione dell'opera originale. Questa nuova versione è stata portata in tour, ma senza la presenza sul palco dei musicisti della PFM.








     
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    Non al denaro, non all'amore né al cielo



    Da Wikipedia

    « Avrò avuto diciott'anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo. »



    Non al denaro, non all'amore né al cielo (1971) è il quinto album registrato in studio di Fabrizio De André.


    Il disco

    Non al denaro, non all'amore né al cielo è un concept album ispirato ad alcune poesie tratte dall'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, libro pubblicato in Italia nel 1943 con la traduzione effettuata da Fernanda Pivano (edizioni Einaudi).

    L'idea del disco, come ha raccontato Roberto Dan, la ebbe Sergio Bardotti, che infatti lo seguì insieme allo stesso Dané in qualità di produttore.

    Gian Piero Reverberi ha raccontato che in questo caso il progetto era nato per Michele, sulla scia di Senza orario senza bandiera, quindi con i testi elaborati da De André e le musiche di Reverberi; ma il progetto venne poi dirottato su De André e quindi Reverberi (anche per alcuni suoi contrasti con Roberto Dané) non venne più coinvolto e le musiche e gli arrangiamenti furono affidati a Nicola Piovani.

    Il coautore dei testi, Bentivoglio, si era presentato con dei testi scritti da lui, che furono giudicati interessanti [3] e che, dopo una prima collaborazione in Tutti morimmo a stento (in cui scrisse il testo di Ballata degli impiccati), portarono all'affiancamento a De André per i testi in questo LP e nel successivo.

    Le canzoni

    Per ogni canzone è possibile risalire a una storia del libro, che è stata spunto della riscrittura di De André:

    La collina

    La collina è l'incipit sia del libro (The Hill - La Collina) sia del disco. Parla di tutta quella misera gente morta accidentalmente (chi cadendo da un ponte mentre lavorava, chi bruciato in miniera, chi per aborto o per amore, chi in un bordello per le carezze di un animale, o il suonatore Jones, colui che offrì la faccia al vento/la gola al vino e mai un pensiero/non al denaro, non all'amore né al cielo) che adesso dorme sulla collina del cimitero di Spoon River.

    La canzone di che trattasi è un'altra mirabile rappresentazione del neo realismo de andreiano che nelle sue poesia è profondamente legato a personaggi presi dalla strada ed assurti a momento centrale dell'opera. Nel matto ognuno può riconoscere il vero personaggio presente in ogni realtà sociale, preso in giro dalla gente, ma alla fine vincitore della sua battaglia sulla presunta normalità di coloro che lo deridevano.

    Un giudice

    Un giudice è tratta dalla storia di Selah Lively, un nano che studia giurisprudenza e diventa giudice e si vendica della sua infelicità attraverso il potere di giudicare e condannare (giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male), incutendo timore a coloro che prima lo deridevano; inginocchiandosi però nel momento dell'addio non conoscendo affatto la statura di Dio. Grande importanza anche qui, come nel matto il tema dell'invidia, che diventa ancora una volta il motore dell'agire del personaggio, in questa canzone De Andrè ci mostra come l'opinione che gli altri hanno su di noi ci crei disagio e sconforto. Il giudice diventa una carogna, per il semplice fatto che gli altri sono sempre stati carogne con lui, si abbandona quindi il tema malinconico dell'invidia provata dal matto e si trova un'invidia che trova nella vendetta l'unica cura possibile.

    Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato)

    Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato) è tratta dalla storia di Wendell P. Bloyd anche se De André introduce l'idea della "mela proibita", volendo aggiungere che, forse, è stato il blasfemo a sbagliare perché si era ribellato a un'immagine metafisica piuttosto che a qualcosa di più concreto nel tentativo di ribellarsi a un modo di vivere.

    (Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino / non avevano leggi per punire un blasfemo / non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte / mi cercarono l'anima a forza di botte)

    Un malato di cuore

    Un malato di cuore è tratta dalla storia di Francis Turner, un malato di cuore che muore per la troppa emozione non appena conosce le labbra di una donna. Questo è il pezzo che conclude la prima parte del disco, che ha avuto come tema centrale quello dell'invidia. Il malato di cuore fin dall'infanzia soffre di questa solitudine che lo porta solo a sfiorare la vita senza poterla mai vivere, anche qui come nel matto abbiamo molti elementi che ci costringono a provare le stesse sensazioni del personaggio e che ci fanno perfettamente capire il suo stato d'animo ("come diavolo fanno a riprendere fiato; e mai poter bere alla coppa d'un fiato, ma a piccoli sorsi interrotti"), accentuati dall'utilizzo della seconda persona. Tuttavia è alla fine della canzone che il malato di cuore si distingue dal matto, dal giudice e dal blasfemo: mentre il giudice ha trovato nella vendetta la sua alternativa all'invidia abbassandosi al livello di chi lo aveva deriso, e il matto è stato spinto dall'invidia a imparare la Treccani a memoria, il malato di cuore vive la sua vita senza essere spinto dal motore dell'invidia, riuscendo a vincere l'invidia attraverso l'amore che gli regala un momento di estrema felicità prima della morte.

    Un medico

    Un medico è tratta dalla storia del dottor Siegfried Iseman che vuol curare la povera gente ma è costretto per vivere a vendere pozioni miracolose e finisce in prigione additato da tutti come imbroglione e ciarlatano.

    Un chimico

    «Da chimico un giorno io avevo il potere

    di sposar gli elementi e di farli reagire

    ma gli uomini mai mi riuscì di capire

    perché si combinassero attraverso l'amore.

    Affidando ad un gioco la gioia e il dolore»

    Un chimico è tratta dalla storia di Trainor, il farmacista, che non capisce le unioni tra uomini e donne ma capisce e ama le unioni tra gli elementi chimici, muore in un esperimento sbagliato «proprio come gli idioti / che muoion d'amore»

    Un ottico

    «Vedo gli amici ancora sulla strada,

    loro non hanno fretta,

    Rubano ancora al sonno l'allegria

    all'alba un po' di notte:

    e poi la luce, luce che trasforma

    il mondo in un giocattolo.» (dal testo di Un ottico)

    Un ottico è tratta dalla storia di Dippold, l'ottico che vuole fare occhiali speciali che mostrino panorami insoliti; è stato interpretato come metafora di un venditore di droghe allucinogene (es. LSD)

    Il suonatore Jones

    «lui che offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero non al denaro non all'amore né al cielo...» (dal testo di La collina)

    Il suonatore Jones è l'unica canzone che riporta lo stesso titolo della storia del libro, così come tradotta dalla Pivano (nell'originale Fiddler Jones: per ragioni di metrica Jones nella versione di De André è un flautista, nell'originale è un violinista).

    Tracce

    1. La collina - 4:03
    2. Un matto (dietro ogni scemo c'è un villaggio) - 2:37
    3. Un giudice - 2:24
    4. Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato) - 3:01
    5. Un malato di cuore - 4:18
    6. Un medico - 2:37
    7. Un chimico - 3:01
    8. Un ottico - 4:34
    9. Il suonatore Jones - 4:24

    Nelle ristampe della Dischi Ricordi per la serie Orizzonte e in quelle in CD del 2002 e successive il titolo della prima traccia è riportato come Dormono sulla collina.

    Musicisti

    Prestigiosi i musicisti che partecipano all'incisione: Dino Asciolla, violista di fama internazionale, Edda Dell'Orso, la voce solista di molte colonne sonore di Ennio Morricone tra cui Giù la testa, il coautore delle musiche e futuro premio Oscar Nicola Piovani, i chitarristi Silvano Chimenti e Bruno Battisti D'Amario, quest'ultimo come la Dell'Orso proveniente dall'orchestra di Ennio Morricone, il bassista Maurizio Majorana, membro dei Marc 4, il violoncellista classico d'origine russa Massimo Amfiteatrof, il batterista Enzo Restuccia, il maestro beneventano Italo Cammarota (autore di canzoni per Nino Taranto) e Vittorio De Scalzi, membro dei New Trolls.

    Il disco fu registrato negli studi Ortophonic di Roma, situati in piazza Euclide (ora si chiamano studi Music Village); il tecnico del suono è Sergio Marcotulli, padre della pianista jazz Rita.

    * Enzo Restuccia: batteria
    * Tonino Ferrelli: basso
    * Maurizio Majorana: basso
    * Silvano Chimenti: chitarra folk
    * Vittorio De Scalzi: chitarra folk
    * Fabrizio De André: chitarra folk
    * Bruno Battisti D'Amario: chitarra classica
    * Nicola Piovani: pianoforte, organo
    * George Zanagoria: pianoforte, organo
    * Arnaldo Graziosi: cembalo
    * Nicola Samale: flauto
    * Massimo Amfiteatrof: violoncello
    * Giuseppe Selmi: violoncello
    * Dino Asciolla: viola
    * Italo Cammarota: arghilofoni
    * Edda Dell'Orso: voce in Il suonatore Jones
    * I Cantori Moderni di Alessandroni: cori

    Remake integrale di Morgan

    Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Non al denaro, non all'amore né al cielo (Morgan).

    Nel 2005 è stata pubblicata, con l'approvazione di Dori Ghezzi, una reinterpretazione fedele di questo album da parte del cantante italiano Morgan. Si tratta del secondo caso italiano di cover di un intero disco, dopo Albume bianco, realizzato nel 2000 da Fabio Koryu Calabrò[4], cover del Album bianco dei Beatles.



     
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    Storia di un impiegato


    Da Wikipedia

    Storia di un impiegato (1973) è il sesto album discografico registrato in studio di Fabrizio De André.


    Il disco
    « Quando è uscito "Storia di un impiegato" avrei voluto bruciarlo. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile. L'idea del disco era affascinante. Dare del Sessantotto una lettura poetica, e invece è venuto fuori un disco politico. E ho fatto l'unica cosa che non avrei mai voluto fare: spiegare alla gente come comportarsi. »

    (Fabrizio De André in un'intervista dalla Domenica del Corriere del gennaio 1974.)

    Come accade spesso nei dischi di De André, le canzoni sono collegate fra di loro da un filo narrativo: in questo caso, infatti, la storia è quella di un impiegato (la cui vita è basata sull'individualismo), che - dopo aver ascoltato un canto del Maggio francese - davanti a tale scelta di ribellione, entra in crisi e decide di ribellarsi anch'esso, mantenendo però il suo individualismo. Le canzoni che seguono rappresentano l'ordine logico di una presa di posizione individuale che, con il rapido (e onirico) succedersi dei fatti, con l'esperienza fallimentare della violenza e solo dopo, in un ambiente crudo e forte come quello carcerario, diventa collettivismo.

    Il disco venne comunque attaccato dalla stampa musicale militante e vicina al movimento studentesco, e così viene recensito, ad esempio, da Simone Dessì:
    « Storia di un impiegato è un disco tremendo: il tentativo, clamorosamente fallito, di dare un contenuto "politico" a un impianto musicale, culturale e linguistico assolutamente tradizionale, privo di qualunque sforzo di rinnovamento e di qualunque ripensamento autocritico: la canzone Il bombarolo è un esempio magistrale di insipienza culturale e politica »

    (Simone Dessì)

    In anni più recenti è stato giudicato da Riccardo Bertoncelli come un disco «verboso, alla fine datato»

    Anche Enrico Deregibus ne dà un giudizio sostanzialmente negativo:
    « L'album è sempre stato considerato, anche dal suo autore, come uno dei più confusi. La vene anarchica di De André deve fondersi con quella marxista di Bentivoglio, e spesso i punti di sutura e di contraddizione sono fin troppo evidenti. Non a caso è l'ultimo episodio della collaborazione tra i due »

    (Enrico Deregibus)

    Un'altra recensione negativa è quella di Fiorella Gentile, apparsa su Ciao 2001:
    « La musica presta il nome a qualcosa che a tratti sembra la colonna sonora di un film sulla mafia (con il sintetizzatore al posto dello scacciapensieri), a volte quella di un thrilling alla Dario Argento (con il basso che riproduce il battito cardiaco), altre recupera i toni alla Cohen e alla Guccini: ma rimane un prodotto scucito, che non ha più il vecchio incanto»

    (Fiorella Gentile)

    In tempi recenti il disco ha avuto riabilitazione da alcuni critici: di fatto alcune di queste canzoni sono rimaste nel repertorio dell'autore per anni (una per tutte, la bellissima Verranno a chiederti del nostro amore, inclusa anche nel doppio disco dal vivo con la PFM del biennio '79-'80). I testi esprimono una notevole forza, risultando tra i lavori più interessanti del De Andrè anni settanta[senza fonte]: nell'opera, un "concept album", l'autore racconta, da una prospettiva particolare, l'esperienza '68, della rivoluzione culturale e del fermento politico attraverso una storia che racchiude più livelli di lettura, attingendo dalla filosofia e dalla storia del pensiero libertario. Livelli di lettura che sono stati colti in pieno soltanto in anni più recenti[senza fonte], quando, tranne sporadici casi, il disco è stato ampiamente rivalutato.

    Le canzoni

    Canzone del Maggio

    Il primo brano, Canzone del Maggio, è liberamente tratta da un canto del maggio francese del 1968 di Dominique Grange, il cui titolo è Chacun de vous est concerné . Quando De André si mise in contatto con lei per pubblicare il pezzo, la cantante francese glielo regalò non chiedendo i diritti d'autore. Va però notata la grande differenza anche nella musica tra il brano di De André e la versione originale.
    Della Canzone del Maggio esiste una versione dal testo molto più duro e accusatorio (si tratta della traduzione letterale dell'originale), presentata a volte dal vivo dal cantante genovese; di questa versione esiste una registrazione non ufficiale, in quanto fu sottoposta a censura[senza fonte]. Il ritornello della versione censurata recitava "Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo". Tutta la canzone, in generale, manifesta la forza del movimento del '68 nel suo pieno svolgimento, a differenza della versione non censurata, che con il suo "anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti", che al contrario descrive il Movimento dopo la sua fine.

    La bomba in testa

    In questa canzone l'impiegato si confronta con i sessantottini e si unisce idealmente ai giovani, seppur con anni di ritardo. Sceglie però un approccio individualista e violento.
    L'impiegato prende coscienza di ciò che quei giovani avevano fatto, e quello per cui avevano lottato, e della sua situazione ricca di conformismi e frasi fatte, di lavoro ed obbedienza senza alzate di testa, e lì capisce quanto ne sia distante ma soprattutto si scuote dal torpore in cui la società media fa piombare. Dopo la necessaria presa di coscienza si rende conto che l'odio e l'impeto in lui risvegliatisi sono sufficienti affinché possa avere una rivalsa, anche da solo, nei confronti di chi, per via della falsa morale imperante, dà lustro ad una sfaccettatura del proprio io celando l'interezza del pensiero e dell'essere per non apparire fuori schema, così come avevano fatto coloro che nel maggio francese anziché supportare la rivoluzione erano rimasti a guardare, se non diffidenti, indifferenti.

    Al ballo mascherato

    Questa canzone rappresenta il primo sogno, la prima esperienza onirica nella quale con l'esplosivo fa saltare tutte le maschere di ipocrisia ai simboli del potere. Qui il potere è espresso in tutte le sfaccettature della società borghese: culturali, parentali, politiche ed ideologiche, religiose etc. L'intento è quello di togliere la maschera agli ipocriti, delegittimare il potere e colpire le istituzioni.
    « Al ballo mascherato partecipano tutti i miti, tutte le autorità, i personaggi, i ruoli che hanno imposto all'impiegato un comportamento alienante e che, ora, vengono smascherati su un quasi beffeggiante ritmo swing. Lo sguardo passa su ognuno di questi personaggi, raggruppati senza badare alle differenze temporali e a quelle di luogo. Il primo è Cristo, mito della religione che tenta da sempre di imporre a tutti lo stesso comportamento. A lui non poteva che affiancarsi la madre, Maria, ormai insoddisfatta della propria maternità anormale.
    Poi è il turno di Dante, il sommo poeta, ritratto come un guardone intento a spiare Paolo e Francesca, roso dall'invidia per un amore così umano e normale; di questi amanti Dante ha fatto un modello, cercando così di strapparli alla loro semplice felicità. Dopo aver smontato anche il mito del colonialismo (l'ammiraglio Nelson), l'impiegato passa alla famiglia: il padre, sempre diviso tra l'affetto e l'autorità che la sua veste sociale gli impone e la madre, relegata a donna di casa e a non splendere di luce propria. Allo scoppio della bomba il padre esplode dopo, prima il suo decoro, mentre la madre, prima di morire, riesce perfino a provare pietà per la propria vita. L'ultimo a morire è l'amico che mi hai insegnato il come si fa. Con la sua uccisione l'impiegato, in questo sogno, ha portato a termine la propria liberazione, si è ribellato perfino contro chi gli ha insegnato a ribellarsi, in realtà, ha compiuto anche l'estremo sacrificio sull'altare dell'individualismo, del quale ormai è vittima: anche se non se ne rende conto, ha già cominciato quel riavvicinamento al sistema che renderà vano ogni tentativo di ribellione.
    Lo stesso tono demistificatorio e surreale si ritroverà nel brano tradotto da Bob Dylan, Via della povertà, dell'album successivo. »

    (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 85-86)

    Sogno numero due

    Nel suo secondo sogno l'impiegato è sotto processo e smascherato dal giudice (coscienza al fosforo piantata tra l'aorta e l'intenzione), che gli fa notare come la bomba abbia rinnovato ed alimentato il sistema; seguendo la sua personale brama di potere, l'impiegato ha infatti giudicato e giustiziato i potenti per ritagliarsi un posto. Nelle parole del giudice si delinea la criticità di De André nei confronti dell'operato dei brigatisti rossi e degli altri nuclei di lotta armata. D'altro canto si potrebbe ipotizzare che nelle vesti dell'imputato che "uccideva favorendo il potere i soci vitalizi del potere" vi siano le forze dell'ordine che si eccitano nel ruolo più eccitante della legge "quello che non protegge": il boia; siamo quindi costretti ad ogni modo a rimanere fedeli a una legge che ci uccide per difenderci da noi stessi in questa guerra di tutti contro tutti.

    La canzone del padre

    Il giudice ha concesso all'impiegato di scegliere una vita tranquilla ed integrata, e questi assume il ruolo di suo padre, ben collocato nel suo posto tra "piccoli" e "grandi", scoprendo la miseria e l'inutilità della sua vita. L'ipocrisia e la fragilità della vita borghese, le paure bieche e piccole prendono il sopravvento fino a svegliarlo dal sogno. Questa volta il giudice e l'impiegato si rivedranno davvero.
    « La Canzone del padre è un sogno in continuità con quello precedente (cioè il Sogno numero due) e si apre con l'impiegato che, all'interno delle dinamiche del potere, prende il posto di suo padre, ucciso al ballo mascherato. Il sistema dunque continua, l'impiegato ha il suo posto e sa benissimo che potrà comandare quelli sotto di lui (le barche più piccole), ma che non dovrà interferire con quelli al di sopra (le barche più grandi).
    Comincia così una nuova vita, tesa a proteggere la propria integrità, quella della famiglia e del denaro, ma ci si accorge subito che qualcosa non va: una lavandaia è schiacciata dall'avanzare del progresso e viene seppellita in un cimitero di lavatrici; suo figlio scappa per la paura di venire trasformato in una macchina. Tutto ciò, per chi comanda, ha poca importanza: si provvede a dichiararlo morto arrugginito, per dimenticarlo più velocemente. Nonostante il cambiamento anche all'impiegato le cose non vanno bene: l'alienazione ha già contagiato la moglie, che sente sempre meno sua, finché il suo amore viene barattato da un altro uomo per un passaporto e una valigia di ciondoli. Anche il figlio minore ne rimane vittima e, per la mancanza di attenzione, perde la voglia di vivere e di guadagnarsi una posizione.
    Allora, improvvisamente, l'impiegato si rende conto di essere un fallito, diventa consapevole che non si può sfuggire all'individualismo. Il letto nel quale sta dormendo prende fuoco e il sogno si tramuta in incubo. Si scaglia contro il giudice: "vostro onore sei un figlio di troia"; si sveglia di colpo e acquista la consapevolezza di ciò che deve fare recuperando anche la voglia di sovvertire l'ordine. La canzone si chiude con una promessa che sembra una minaccia: "ora aspettami fuori dal sogno, ci vedremo davvero, io ricomincio da capo". »

    (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 87-88)

    Il bombarolo

    L'impiegato, mosso da motivazioni da disperato "se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato", prepara un vero attentato il cui unico effetto è metterlo in ridicolo rivelando al tempo stesso la sua mania di protagonismo e la sua goffaggine. È una satira cruda del terrorismo degli anni settanta prima che questo assumesse dimensioni realmente tragiche.
    « Negli anni '60 e '70, questo termine designava chi compiva attentati. La caratteristica principale del bombarolo qui descritto è di agire da solo. Non prende ordini da nessuno e non combatte per nessuno; è un isolato, un uomo solo che vuole portare fino in fondo la sua battaglia, prendendo di mira sia chi non ha voglia di ribellarsi e aspetta la pioggia per non piangere da solo, sia i profeti molto acrobati della rivoluzione che probabilmente pensano di poterla fare soltanto coi libri. Ha capito che l'unico modo per farlo è scuotere la società a cannonate (nel senso letterale del termine). Così tenta di fare esplodere il Parlamento, ma ottiene solo di distruggere un'edicola poco distante. La sua vera sconfitta sarà nel vedere su tutti i giornali la faccia della fidanzata, che ha scelto di lasciarlo prendendo le distanze dalle sue azioni [...]. Il bombarolo è rimasto veramente solo ma, quando viene catturato e messo in carcere, scrive per l'ultima volta alla sua amata. »

    (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 88-89)

    Verranno a chiederti del nostro amore

    L'impiegato, dal carcere, vede la sua donna intervistata, la vede schermirsi davanti ai giornali e ripensa al loro rapporto. Ora che sono separati dal carcere l'impiegato guarda alla donna e teme per il suo futuro, quasi rassegnato, chiedendole di prenderlo in mano e fare le proprie scelte con autonomia.
    « Verranno a chiederti del nostro amore è stata l'unica canzone dell'album [Storia di un impiegato] ad essere poi riproposta in concerto e inclusa anche nel disco dal vivo inciso con la PFM.
    È una canzone d'amore sui generis: appare un'accusa alla donna che ha preferito non esporsi, lasciandosi corteggiare in cambio di un mazzo di fiori o di un posto di lavoro. Può invece essere considerata a pieno titolo una canzone d'amore se si valuta questo sfogo, a tratti tagliente e aspro, come l'estremo appello che l'impiegato rivolge dal carcere all'amata per convincerla a cambiare, a non barattare se stessa con niente e a prendere in mano la sua vita. È l'ultimo tentativo dell'amore di mantenersi in vita. Le prime due strofe ripercorrono il rapporto: lei è descritta come prudente e restia "nelle fantasie dell'amore", ma sempre pronta ad abbandonarsi al linguaggio ipocrita delle eterne promesse, che saranno poi puntualmente smentite; lui invece è dipinto come un ribelle anche dal punto di vista amoroso: "dove l'amore non era adulto / e ti lasciavo graffi sui seni". Entrambi sono arroccati sulle loro posizioni e non disposti a cambiare. A cambiare entrambi interviene un terzo elemento, estraneo al loro amore, tuttavia così forte da condizionare lei e da gettare in carcere lui. Tra i due, l'ultimo riflesso dell'antico rapporto è rappresentato dallo sguardo di lei, che si è concessa al padrone in cambio di una sicurezza di vita e non riesce a nascondere al compagno la vergogna che prova. L'ultima strofa è la più struggente: con una serie di domande provocatorie, l'impiegato cerca di spingere l'amata a non lasciarsi scegliere, ma finalmente a scegliere lei.
    L'appello rimane sospeso a mezz'aria, e così si chiude la canzone, piccolo capolavoro che ci ricorda che il pericolo dei compromessi è sempre in agguato. »

    (Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 89-90)

    In un incontro pubblico il 10 luglio 2010 e nel successivo concerto del 12 luglio, a Saluzzo (CN), Cristiano de André, aprendo il proprio secondo tour "De André canta De André", ha dichiarato che la canzone venne composta dal padre per la prima moglie (e madre di Cristiano) Enrica "Puny" Rignon e che egli poté assistere, pur dal buco della serratura, alla prima esecuzione del brano appena completato, nel cuore della notte, da parte di Fabrizio alla consorte, visibilmente commossa. La circostanza è stata confermata da Cristiano anche in una intervista, pubblicata su La Stampa, il successivo 22 luglio 2010.

    Nella mia ora di libertà

    L'impiegato, in carcere, compie la maturazione definitiva tra l'individualismo e le lotte collettive. La canzone parte con la rinuncia all'ora d'aria, descrive l'inutilità del carcere e la maturazione che porta il carcerato a "capire che non ci sono poteri buoni" e si conclude con il sequestro dei secondini nell'unica frase al plurale: la sua lotta non è più una sterile protesta individuale ma una lotta collettiva che riprende il tema della Canzone del Maggio. Musicalmente, il brano riprende sia quest'ultima che La Bomba in Testa

    Tracce

    LATO A

    1. Introduzione - 1:42
    2. Canzone del Maggio - 2:24
    3. La bomba in testa - 4:01
    4. Al ballo mascherato - 5:12
    5. Sogno numero due (testo: Fabrizio De André/Roberto Dané) - 3:13

    LATO B

    1. Canzone del padre - 5:14
    2. Il bombarolo - 4:20
    3. Verranno a chiederti del nostro amore - 4:19
    4. Nella mia ora di libertà - 5:09

    Testi di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio, tranne ove indicato; musiche di Fabrizio De André e Nicola Piovani




     
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