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Roberto Vecchioni: “La cultura salverà
il mondo"
di Antonia Arrabito | 19/11/2010 |
Il cantautore e docente universitario milanese ha tenuto una dissertazione alla Scuola dello Sport di Ragusa e un concerto al Teatro Italia di Scicli. Due appuntamenti per un unico tema: i miti greci e latini
Si è “esibito” - per così dire – due volte Roberto Vecchioni, il cantautore milanese che per la prima volta ha scelto la provincia di Ragusa come palcoscenico di due differenti performance: la prima, per tenere proprio nel capoluogo ibleo una conferenza dal titolo “Da Saffo a De Andrè: l'anima, le parole, la musica”; la seconda, per trasformare le parole in canto, nell'intima cornice del Teatro Italia di Scicli.
Il concerto del cantautore, venerdi 12 novembre, si è inserito nel calendario di “Mulici d'Autunno”, l'appendice alla Festa della Madonna delle Milizie, che si tiene a Scicli a fine maggio e che quest'anno ha beneficiato di un finanziamento regionale, concesso - ha spiegato l'amministrazione - per provare a destagionalizzare i flussi turistici. La festività è dedicata alla patrona Maria Santissima delle Milizie, che - secondo tradizione - scese in groppa al suo bianco destriero per salvare gli sciclitani dall'invasione degli infedeli. Una storia che, unendo sacro e profano, si è prestata perfettamente ai miti cantati da Vecchioni – laureato in Lettere Classiche, prof di liceo per una vita, e ora docente universitario presso gli Atenei di Milano e Roma, solo per citarne alcuni.
“Questo è uno spettacolo improponibile in altre parti d'Italia” - ha esordito l'autore, rivolgendosi al pubblico - “ perché voi siete Sicilia, perciò siete anche Magna Grecia. Qui è nato il senso di vivere e d'amare, qui è nata la cultura”. Ricordando, così, ai presenti la loro doppia identità: quella contemporanea (sicula) e quella storica, di antica derivazione. E svelando al contempo anche la propria: quella ben nota di cantautore e quella meno sotto i riflettori di docente, assolutamente inscindibili.
Vecchioni ha cantato il mito, recuperandone i valori ed i modelli, in un costante parallelismo tra il passato ed il presente. “Omero parla di gente che cerca qualcosa” ha spiegato il cantautore alla platea - “ che è quel che fanno anche i poeti e tutti gli pseudo-artisti come me: ovvero capire qual è il senso della vita”.
Intrattendo e insegnando, il professor Vecchioni ha insistito sull'importanza della cultura, definendola il senso dell'agire di ogni vera civiltà e riportando alla luce valori quasi demodè. Basti pensare all'antico senso della vergogna, ovvero al non esser mai inferiori a se stessi, che “è molto di più che avere le palle”, ha ironizzato.
Ma più che la storia del mito, Vecchioni ha cantato quella della natura dell'essere umano, identica nei secoli , ma differente nelle sue manifestazioni. Agli occhi del cantautore, infatti, persino la guerra poteva dirsi onesta nell'antichità, allorquando si combatteva uno contro uno e non esistevano mezzi vili come le bombe a mano. Mentre oggi – viene da pensare - le passioni umane hanno abbandonato il mito, lasciando il posto ad una spaventosa e sterile cronaca nera.
Le due ore di concerto hanno visto passare in rassegna – letteraria e “canzonistica” - la mitologia classica più rappresentativa: l'”Aiace” di Sofocle; la “Fedra” di Euripide (immortalata nella straziante “Leggenda di Olaf”) ed il mito di”Orfeo ed Euridice”, ripensato e cantato in chiave “pavesiana”, ovvero constatando la definitività della morte e l'inevitabile consapevolezza che il vero obbrobrio sarebbe riportare tra la vita – e non in vita! – qualcosa di morto.
In un contesto così poetico e struggente, non poteva esserci spazio per i grandi successi. Eppure Vecchioni non ha rinunciato alla sua epidermica esigenza di cantare l'amore, portando sul palco “Il cielo capovolto”, componimento dedicato all' inventrice della canzone d'amore: Saffo di Lesbo.
Tra le melodie più toccanti, “La bellezza”: composizione sull'amore che invecchia ma che non sostituisce il suo oggetto, mettendo in crisi il mito dell'eterna giovinezza e della sua esteriorità.
Accompagnato al pianoforte da Patrizio Fariselli, musicista del gruppo storico degli Area, Vecchioni ha comunque concluso con tre cavalli di battaglia: “Samarcanda”, “Luci a Sansiro” e “Le lettere d'amore”, “estortagli” dall'incessante applauso del pubblico in sala. Qualcuno gli ha anche proposto “Bunga bunga”, ma il cantautore milanese ha affermato elegantemente che non occorre essere chissà chi per cantarla.
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Ipertensione (album)
Da Wikipedia
Ipertensione, pubblicato nel 1975, è un album del cantautore Roberto Vecchioni.
Il disco
È il secondo album prodotto da Michelangelo Romano, ed è il primo per la nuova casa discografica, la Philips (non tenendo conto di Barbapapà, che racchiude canzoni per bambini) e prosegue il discorso musicale di Il re non si diverte.
È stato registrato a Roma, negli studi Chantalalain di Roma, di proprietà Bobby Solo (che infatti viene citato nell'interno di copertina come tecnico del suono con il suo vero nome, Roberto Satti) e negli studi Phonogram di Milano (il tecnico del suono è Davide Marinoni).
Tra i musicisti presenti nel disco sono da segnalare due componenti del gruppo di rock progressivo dei Madrugada, Alessandro Zanelli (detto Billy) e Gianfranco Pinto oltre a due componenti de I Nuovi Angeli (per cui Vecchioni ha scritto molte canzoni), Paki Canzi e Mauro Paoluzzi; questi ultimi due hanno anche curato gli arrangiamenti dell'album.
Nelle canzoni I poeti e Canzonenoznac è presente un saxofonista, non citato però tra i musicisti presenti (così come non vengono citate le coriste che cantano in Tutta la vita in un giorno).
Tutte le canzoni sono scritte da Vecchioni, tranne Irene, che è una cover di Try (Try To Fall In Love), scritta da Norman DesRosiers per il suo gruppo The Groupies (che la incisero nel 1974) e portata al successo nel 1975 da Ricky Nelson; il testo italiano non è però una traduzione dall'inglese, ma una riscrittura originale operata dal cantautore.
La copertina è un disegno di Claudio Doveri su idea di Mario Vivona, e raffigura la mano di un giullare che tira la fune: nel poster allegato si può vedere il disegno completo, dove all'altro capo della corda vi è un'altra mano che tira.
La camicia interna presenta, oltre ai testi, una foto (sempre di Vivona) di una bambola senza testa sulla riva del mare.
Le canzoni sono tutte edite dalle Edizioni musicali Chappell.Le canzoni
Irene
Come ricordato, è l'unica canzone la cui musica non è di Vecchioni; il testo si rivolge ad Irene Bozzi, all'epoca moglie del cantautore, ed è un'incitazione ad essere autonoma, a fare delle scelte precise.
Anni dopo così dichiarerà il cantautore:
« Irene ero comunque io, al momento del nostro incontro: lei era una ragazza come tante e non sarebbe mai stata la mia compagna se non l'avessi prima io riempita di valenze e significati che non aveva, idealizzandola fino all'inverosimile. Fu una fase della ricerca: oggi la mia compagna esiste di per se, non devo inventarla io.. »
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Alighieri :
Quando tornerai
mi decevo, e sai,
ci si mangia il cuore a volte
per resistere.
Ma poi vivi e dai
e ti accorgi che
non è tempo più
di bandiere appese...
E si cambia sai,
non si aspetta più quando tornerai,
tu quel giorno avrai
mille anni in più
tutti gli anni messi in conto
all'abitudine,
e mi accorgerò
che non basta più
camuffare il tempo per sentirsi
quelli che
che si amavano, che ridevano...
Cinquantamila e non h aperto...
e che può avere? tre fanti?
Chissà perché Francesco
non capisce maai gli altri,
signora, non posso fare sempre canzoni
che piacciono a tutti, andare incontro,
facilitare, semplificare...
O forse tre donne, eh, potrebbe avere
anche tre donne quello lì,
egregio professore, questo porvveditorato,
presa visione dei suoi metodi d'insegnamento,
è spiacente di comunicarle che deve
destituirla dall'incarico di ...
Aspettarti sai
mi fa ridere,
a vent'anni aveva un senso
adesso è inutile;
e poi il fegato
non mi regge più
e la faccia mia
non la reggo io...
E se fossi in te
non ci proverei,
non ritornerei.
Ma tu tornerai
senza dirmelo,
e ad un tratto avrai quel gesto
che non scordo più,
e risentirò
quella forza mia
di spaccare il mondo
insieme a te...
Ma non basterà
per sentire che
sono ancora io.
Alle otto e mezzo? Perfetto, vengo alle
otto e mezza a cena son lei
siamo d'accordo sì, siamo d'accordo.
- "Le aragoste sono come i poveri,
le parti migliori sono le braccia".
- "Buona questa colonnello".
- "Ma cosa vogliono questi studenti, sono
quattrocento anni che fanno casino, un casino
immemorabile!".
"Certo sì, lei ha ragione colonnello, ma, vede,
lei ha sempre le cinque lire di resto...
Le sale affollate...I leccapiedi... pardon i
pratici... si dice "i pratici".
E questa donna, questa donna che ho sposato
avrà ragione anche lei; sì, mi fanno un po' senso
quei gufi che ha sulle spalle... ma è
giusta.No, no, no, io... non la cambierei
affatto, è giusta così com'è, è giusta lei almeno
mi capisce, a volte tu invece niente, niente
non ti ho amato mai,
non ti ho amato mai,
ma che cosa ti credevi, vecchia stupida?
Figurarsi se,
uno come me,
fa il pupazzo per le cosce tue,
e poi gli anni e poi...
non ne ho voglia sai...
non ti aspetto più...
Nei tre canti di Cacciaguida
si descrive una Firenze "sobria e
pudica", quando non era, "ancor giunto
Sardanapalo" a mostrar ciò che in
camera si puote e da Firenze il discorso
si espande a tutto il mondo: diventa
universale, in un crescendo di malinconia
e passione che definirei come, che definirei
quasi... che definirei come...
Quando tornerai
mi decevo, e sai,
ci si mangia il cuore a volte
per resistere.
Ma poi vivi e dai
e ti accorgi che
non è tempo più
di bandiere appese...
E si cambia sai,
non si aspetta più quando tornerai,
tu quel giorno avrai
mille anni in più
tutti gli anni messi in conto
all'abitudine,
e mi accorgerò
che non basta più
camuffare il tempo per sentirsi
quelli che
che si amavano, che ridevano...
Cinquantamila e non h aperto...
e che può avere? tre fanti?
Chissà perché Francesco
non capisce maai gli altri,
signora, non posso fare sempre canzoni
che piacciono a tutti, andare incontro,
facilitare, semplificare...
O forse tre donne, eh, potrebbe avere
anche tre donne quello lì,
egregio professore, questo porvveditorato,
presa visione dei suoi metodi d'insegnamento,
è spiacente di comunicarle che deve
destituirla dall'incarico di ...
Aspettarti sai
mi fa ridere,
a vent'anni aveva un senso
adesso è inutile;
e poi il fegato
non mi regge più
e la faccia mia
non la reggo io...
E se fossi in te
non ci proverei,
non ritornerei.
Ma tu tornerai
senza dirmelo,
e ad un tratto avrai quel gesto
che non scordo più,
e risentirò
quella forza mia
di spaccare il mondo
insieme a te...
Ma non basterà
per sentire che
sono ancora io.
Alle otto e mezzo? Perfetto, vengo alle
otto e mezza a cena son lei
siamo d'accordo sì, siamo d'accordo.
- "Le aragoste sono come i poveri,
le parti migliori sono le braccia".
- "Buona questa colonnello".
- "Ma cosa vogliono questi studenti, sono
quattrocento anni che fanno casino, un casino
immemorabile!".
"Certo sì, lei ha ragione colonnello, ma, vede,
lei ha sempre le cinque lire di resto...
Le sale affollate...I leccapiedi... pardon i
pratici... si dice "i pratici".
E questa donna, questa donna che ho sposato
avrà ragione anche lei; sì, mi fanno un po' senso
quei gufi che ha sulle spalle... ma è
giusta.No, no, no, io... non la cambierei
affatto, è giusta così com'è, è giusta lei almeno
mi capisce, a volte tu invece niente, niente
non ti ho amato mai,
non ti ho amato mai,
ma che cosa ti credevi, vecchia stupida?
Figurarsi se,
uno come me,
fa il pupazzo per le cosce tue,
e poi gli anni e poi...
non ne ho voglia sai...
non ti aspetto più...
Nei tre canti di Cacciaguida
si descrive una Firenze "sobria e
pudica", quando non era, "ancor giunto
Sardanapalo" a mostrar ciò che in
camera si puote e da Firenze il discorso
si espande a tutto il mondo: diventa
universale, in un crescendo di malinconia
e passione che definirei come, che definirei
quasi... che definirei come...
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"Roberto Vecchioni Pesci Nelle Orecchie
A parte che nel mare c'era
gente insospettabile
(persino gli idealisti
ci nuotavano benissimo)
e poi cambiavo pelle
e non sapevo e non capivo che
andarci dentro è facile
tornare no
e quanti pesci nelle orecchie
adesso ho
la verità nel bosco è
dare un senso a tutti gli alberi
e per sentieri assurdi
cercar posti delle fragole:
ma c'è un'uscita sempre
ed io d'uscire non l'ho chiesto mai
e quanti pesci nelle orecchie
adesso ho
contarli forse sì
levarli più non so
E forse invidio i giovani
che sanno sempre tutto già
il vero il bello il giusto quel che
ha un senso e quel che non ne ha
si fanno addosso frasi
che continuamente applaudono
le loro stanze non han muri
questo no
ma per entrarci
paghi i loro io lo so
Amico amico mio di Spagna
amico uomo amico libertà
amico mio di Grecia
amico sangue amico senza età
amico non ti ho visto
né cercato amico scusami
ma per amare il mondo come l'ami tu
dovevo odiare troppo
odiare un po' di più
padroni grassi sempre in cerca
di montagne magiche
di religioni e filtri
e assoluzioni per difendervi
di vendo vendo vendo
vendo vendo vendo e sono io
avere pesci nelle orecchie
che vi fa?
voi ve li nascondete ma
vi puzzan già
Amico mio di vino di canzoni
e grandi alibi
amico sbronzo fatto e poi
fumato sopra i tavoli,
tu che sei tanto bravo che alzi il pugno
e fai l'anarchico
insegnami a cantare come canti tu
mezzo milione a sera
o perdi la virtù
E quante madri,
madre ho sovrapposto alla tua immagine
per ritornarti in ventre
con la voglia di essere piccolo,
per non sentirmi idiota
quando canto e non capiscono,
e quanti pesci nelle orecchie
adesso ho,
contarli forse sì
levarli più non so
Ragazza mia che invecchi,
lentamente come Dorian Gray,
ti ho disegnato barba e baffi
per potermi dire che
le luci di San Siro sono state solo fatti miei,
dicevo nelle mani quanti sogni ho
li vuoi contar con me?
Da solo io non so
amore mio di oggi
sei la gaffe di un altro uguale a me
lui si era accorto che vendevo l'aria
a prezzi altissimi
e quando mi ha sparato
lo faceva per difendersi
sì ma la palla
dalla testa non va via
e lui fa il grande adesso
con la vita mia
Amore mio che prendo
come scusa molto abile
amore mentalmente
fatto a pezzi rimontabili,
amore non è vero
amore t'amo amore ascoltami
quante volte ti volevo dire sai
se non ci fossi tu
poi non l'ho detto mai. -
tomiva57.
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Elisir (Roberto Vecchioni)
Elisir, pubblicato nel 1976, è un album del cantautore Roberto Vecchioni.
Il disco
Il tema conduttore di tutto l'album è il viaggio. Questo tema lo ritroviamo già nel titolo del primo brano, nel secondo, dedicato a Velasquez, famoso navigatore, in A.R., col ritorno dall'Africa di Arthur Rimbaud e, come afferma Vecchioni, nel percorrere generi musicali diversi, con richiami a Leonard Cohen (Figlia), al Bob Dylan di Desire, e a Neil Young (l'uso della chitarra elettrica in Velasquez è ispirato al brano Cortez the killer).
Le canzoni sono scritte tutte da Vecchioni, tranne la musica di Un uomo navigato, che è di Rosario Montesanti.
Tra i musicisti presenti nel disco sono da segnalare un componente del gruppo di rock progressivo dei Madrugada, Alessandro Zanelli (detto Billy) e due componenti de I Nuovi Angeli (per cui Vecchioni ha scritto molte canzoni), Paki Canzi e Mauro Paoluzzi.
La copertina dell'album è ideata da Mario Vivona e le illustrazioni sono realizzate da Claudio Doveri.
Tracce
LATO A
1. Un uomo navigato - 5:05
2. Velasquez - 7:39
3. Effetto notte - 1:33
4. Le belle compagnie - 2:20
5. A. R. - 4:37
LATO B
1. Il suonatore stanco - 4:59
2. Canzone per Francesco - 6:20
3. Pani e pesci - 5:04
4. Figlia - 4:30
5. Pagando, s'intende (Canzone degli effetti sbagliati) - 3:49
velasquez
"Velasquez" è voglia di partire e allo stesso tempo voglia di ritornare, voglia di scoprire ma anche paura delle cose nuove così come è intrinseco nel carattere umano, quante volte si vorrebbe andare all'avventura, si vorrebbe cambiare il mondo ma poi ci si ferma per non rischiare??? E quante volte si va ma, viene voglia di tornare ai propri affetti, alle proprie radici???
Ahi Velasquez, dove porti la mia vita?
un fiore di camposi è impigliato fra le dita,
e tante stelle, tante nelle notti chiare,
e mille lune, mille dune da scoprire.
Ahi Velasquez, non ti avessi mai seguito,
con te non si torna una volta sola indietro:
in mezzo ai venti, sempre genti da salvare,
sei morto mille volte senza mai morire.
Un vecchio zingaro ungherese
di te parlando mi giurò
che c'eri prima di suo padre,
prima del padre di suo padre
più in là nel tempo non andò.
I cerchi del tuo tronco sono
ferite d'armi e di parole
che mai nessuno vendicò
Ahi Velasquez, com'è duro questo amore
mi pesa la notte prima di ricominciare:
e tante veglie, come soglie di un mistero,
per arrivare sempre più vicino al vero...
Ahi Velasquez certe sere quanta voglia,
fermare la vela e ritornare da mia moglie;
e tu mi dici: "fatti scrivere", è normale,
per te bisogna sempre scrivere e lottare.
E la tempesta ci sorprese
due miglia dopo Capo Horn:
se ne rideva delle offese,
in mezzo al ponte si distese
e fino all'alba mi cantò:
ragazze, terre, contadini,
da sempre popoli e padroni,
fu lì che tutto comincò.
Ahi Velasquez fino a quando inventeremo
un nido di rose ai piedi dell'arcobaleno,
e tante stelle, tante nelle notti chiare
per questo mondo, questo mondo da cambiare?
Ahi Velasquez, hai chitarra come spada,
mantello di sabbia, orecchio mozzo, antica sfida,
eterna attesa, corda tesa da spazzare,
e tanta voglia, tanta voglia di tornare.... -
tomiva57.
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Le Belle Compagnie
Lieti vivevano in un castello
col marcondirondirondello;
mai avevan visto un contadino:
facevan tardi a tirar mattino.
E whisky kid col suo cirano
e un produttore napoletano
registi, critici e premi vari,
rossi al crepuscolo i cardinali.
Erano al centro dell'argomento
tutta questione d'allenamento;
di notte a turno scendevan le scale
gridando al buio della sala centrale:
"Su, dimmi, specchio delle mie brame,
chi è il più anarchico del reame?
su, dimmi specchio delle mie brame,
chi è il più anarchico del reame?"
Edited by tomiva57 - 19/2/2011, 13:36. -
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Sanremo 2011-chiamami ancora amore. -
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A.R.
La miseria di una stanza a Londra
le fumerie di Soho:
già si buttava via.
E sua madre nel fienile, nel ricordo:
vecchia, scassata borghesia.
Ribaltare le parole, invertire il senso
fino allo sputo,
cercando un'altra poesia.
E Verlaine che gli sparava e gli gridava:
"non lasciarmi, no, non lasciarmi, vita mia"...
E nave, porca nave vai
la gamba mi fa male, dai
le luci di Marsiglia non arrivan mai.
"
les yeux vert-chou, les yeux vert-chou,
sous l'arbretendronnier qui bave vous cautchous...
Portoghesi, inglesi e tanti altri uccelli di rapina
scelse per compagnia;
quella voglia di annientarsi, di non dare,
e basta, basta poesia;
e volersi far male al punto di finire, lui,
mercante d'armi
fra l'Egitto e la follia,
e una negra grande come un ospedale
da aspettare
e poi la gamba e l'agonia
e nave, porca nave vai,
fa freddo e amnca poco, dai,
le luci di Marsiglia non arrivan mai:
Ho visto tutto e cosa so,
ho rinunciato, ho detto "no",
ricordo a malapena quale nome ho:
Arthur Rimbaud, Arthur Rimbaud,
Arthur Rimbaud...
Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_..._a_r_51712.html
Canzone per Francesco
"Mi è andato il cane sotto un camion
quella sera:
ho pianto come un vecchio
sopra una bandiera,
se fosse stato un compagno basco
avrei pianto di meno."
Così dicevi e mi chiedevi "Professore,
dimmi se sono un qualunquista,
un uomo ad ore".
Così dicevi e già nasceva
mezzo sole,
e il giornalista in fondo
è un modo di campare,
e alla ragazza greca
traducevi piano
-Luci a S. Siro-
Gli imbonitori sono troppi
e non li fermi,
e Dio che è morto
non è morto per tre giorni
La rabbia un tempo la scandiva
soltanto la locomotiva
tra i fiori rossi sulla strada:
e contro il niente adesso parte
ogni mezz'ora un volo charter
itinerario di gran moda.
E vorrei dirti sbagli,
guarda che t'inganni,
loro han soltanto meno dubbi e meno anni,
e intanto spuntano i tarocchie giù frescate
su Calvino...
e sui destini che s'incrociano un po' male,
e che si parte per vedersi ritornare
e vorrei dirtelo ma in fondo cosa importa?
ti ho visto peggio e già la so la tua risposta,
che non c'è niente che non resti
e che non passi con il vino:
ma coi ragazzi c'era un fatto personale;
non han capito chi ci marcia su e chi vale.
La rabbia un tempo la scandiva
soltanto la locomotiva
gettata a sasso sulla strada;
adesso è giorno di mercato
spuntano a grappoli i poeti
tutte le isole han trovato.
E non c'è niente che non passi con il vino;
anche Susanna è andata su
per il camino,
e noi vediamo un po' d'alzarci
perché è l'ora, perché è tardi:
a ciucche dure finiremo per capire
come si vive, e ci potremo divertire...
"Bologna è un vecchio
che ripete la mia vita,
l'ultimo amore, l'osteria che mi è restata",
E intanto fuori è temporale,
la greca canta un libertale
che già le diamo per scontato;
ricordo quasi per inciso
qualcuno mi sfiorava il viso
ed ero stato proprio male.
Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_...esco_51814.html
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Terza parte dedicata all'album "DI RABBIA E DI STELLE"
SETTIMO BRANO
QUESTI FANTASMI
Fantastica critica al modo di vivere e pensare odierno.
QUESTI FANTASMI
Signore delle comete,
re delle stelle di giorno,
chi sono questi fantasmi
che mi camminano intorno?
chi sono questi cialtroni,
questi topi di fogna e bordello,
questi ignoranti vincenti
con l'intelligenza dentro l'uccello?
Chi sono questi buffoni,
questa mappata di sole,
questi animali parlanti,
questi trappani col rolex?
e questa banda di pazzi
che gridano "io compro, io vendo"
che il gioco è "vinco o mi rovino
a seconda di chi muore nel mondo"?
Signore tu che ci hai detto:
"quando volete ritorno"
levaci questi fantasmi,
questi fantasmi di torno.
Signore, scusa se insisto,
non mi mandare all'inferno,
levami questi fantasmi,
questi fantasmi di torno.
Mandali a coltivare funghi in Val di Non
o a scelta il riso di Canton,
a fare gli orsi per turisti a Yellowstone,
comunque fuori dai coglion.
Signore, fulminali subito
quelli che non hanno i congiuntivi,
e gli aspiranti cantanti,
rima che diventino dei divi:
faremmo volentieri a meno
anche di quelle con il solo pensiero
che far vedere il culo
lo si possa definire un lavoro.
Signore, tu che ci hai detto
"quando volete ritorno",
toglici questi fantasmi,
questi fantasmi di torno.
Signore, scusa se insisto,
non mi mandare all'inferno,
toglimi questi fantasmi,
questi fantasmi di torno.
Vorrei svegliarmi un giorno senza bip bip
decerebrati sulle jeep,
giovani pirla fancazzisti che hanno un trip,
e fammi santa Meryl Streep.
Signore delle comete,
dei pani, dei pesci e del giorno,
levaci questi fantasmi,
questi fantasmi di torno:
Signore delle crociate,
possa tu regnare in eterno,
levami questi fantasmi,
questi fantasmi di torno.
OTTAVO BRANO
NON AMO PIU'
Altro pezzo "importante"; la musica è supportata dalla sola chitarra acustica con un Vecchioni disilluso e stanco.
NON AMO PIU'
Sarà il vento della sera
che mi sfoglia, che mi svela, che mi intride il cuore;
sarà questo rivedere la mia vita
come un grande inimitabile perduto amore;
sarà che mi sento stanco
di pensieri, di parole, di persone e anche di idee,
questo mare che va sempre avanti e indietro
con le sue maree
Sarai tu coi tuoi vent'anni
che mi vedi come fossi il re del mondo;
sarà il cane che mi guarda come un cane
e piscia sempre controvento;
sarai tu coi tuoi vent'anni
che mi sfiori con le ali per volare via,
e sarà che mi sembra un figlio
perso in guerra la malinconia;
ma stasera all'improvviso mi succede,
e non c'entri tu...non amo più
ninni ninni ninni ninni ni non amo più
ninni ninni ninni ninni ni non amo più
Sarà il sogno che si perde
se lo chiamo non mi sente, non risponde più
sarà questa donna triste
che ho lasciato senza un gesto scivolare giù,
sarà colpa dello specchio che riflette
l'altro uomo che vedevo allora,
quello che mi ha fatto un mucchio di promesse
e non è stato di parola
Sarà il libro che leggevo
la canzone che credevo mia
o sarà semplicemente che il mio pene
non ha più nessuna fantasia,
sarai tu coi tuoi vent'anni
che sei qui per caso e che mi dai la mano,
sarai tu coi tuoi vent'anni
sarà questa tosse, sarà questo fumo,
ma stasera non puoi farci niente
neanche tu...non amo più
ninni ninni ninni ninni ni...non amo più
ninni ninni ninni ninni ni...non amo più
NONO BRANO
MOND LADER (MONDO LADRO)
Tra il reggae e il rock, tra il serio e il faceto, questa canzone ci ricorda che Vecchioni è milanese, almeno d'adozione. La storia, come affermato da Vecchioni durante il tour 2008, è quella di un operaio che impreca perché non riesce ad arrivare alla fine del mese.
MOND LADER
Son chì, son là che cunti nient
e che ghe vègna on accident
ai cervellon, ai lazzaron del parlament.
Son chì che gh’hoo duu coeugg de matt
e son inii a ciappà i ratt
me borlen giò anca i ball e i sentiment.
Mi voraria savè quèll’òstia,
quel gran figlio di una bèstia
che on bèll dì m’ha saraa sù l’Alfa Romeo.
Sarò anche il figlio di on terron
ma rièssi nò a vèss on coion
e intant me brusa el bus del cuu... e marameo.
Mond lader
quèlla brutta loeuggia d’on mond lader
quèlla brutta tròia d’un mond lader
el cantava indeperlù mè pader.
Mondo ladro pieno di padroni
di cattivi che son tutti buoni
di sbarbati senza più i maroni.
Mond lader, mond lader.
E gh’hoo duu fioeu che parlen minga
hinn domà bon de cicciarà de cicciarà
al telefonin
la tosa con l’anèllo al naso
anca incoeu l’è tatuada
in bel bamborin
la mia mise la vosa in cà
la vosa che la par uno strasciee
el mè padron el comunista
a fin del mes el me da nò i danee.
Mond lader
mì ‘l so nò se gh’hoo de fà mond lader
mì ‘l soo nò se pòdi fà mond lader
voraria savè doe el va domani
cosa ne sarà di me domani
che c’ho solo merda nelle mani.
Mond lader, domani.
Ieri rincorrevo il tempo
il tempo mi correva dietro
erano gli anni della fantasia
oggi son qui che guardo il cielo
con le sue rondini in volo
e son minga bon de scappà via.
Gh’è più i tosan quèi d’ona vòlta
che la davn dree a ona pòrta
e la scighera l’era poesia
e te see denter in di oeugg
me trèma ancamò i genoeugg
la prima vòlta che sei stata mia.
Mond lader
mì te voeuri pròppi ben, mond lader
e son chì col coeur in man, mond lader
ti vorrei dare di più, mond lader
ma puttana tròia d’un mond lader
son staa minga bon de vèss on lader
cosa ne sarà di me domani
che c’ho solo merda nelle mani.
Mond lader, domani
Mond lader, domani
Mond lader, domani
DECIMO BRANO
TU, QUANTO TEMPO HAI?
Tu, quanto tempo hai? è un altro "pezzo forte" dell'album. L'alternanza del pianoforte, archi e batteria induce nell'ascoltatore un'emozione e la consapevolezza della raggiunta maturità dell'artista. Il tema della canzone è già annunciato nel titolo e completato con la strofa: “E tu,quanto tempo hai?/tu, quanto amore hai?”.
TU, QUANTO TEMPO HAI?
Ci sono foglie che si aggrappano ai rami perche non vogliono cadere mai,ci sono stelle che si aggrappano al cielo perche si accorgono di finire,sai, ci sono ubriachi che stringono il bicchiere perché è sempre l'ultimo che fa paura,ci sono uccelli che sentono lo sparo e contano quanto gli resta ancora.
Ed è soltanto questione di tempo:quello che serve a salvare un uomo,il cielo quando è in attesa di un lampo,una chitarra che aspetta un suono,una ragazza col cuore in gola,perché il suo amore non puo finire,o il tempo prima della parola che non avresti mai voluto dire...
E tu,quanto tempo hai?
tu,quanto amore hai?
io,non ti perdo mai ti aspetto al fondo di questa strada,sai;tu,quanto tempo hai,quanto tempo hai,quanto amore hai?
Ci sono ragazzi che chiudono gli occhi e si distruggono in un altro tempo,ma d'altra parte ci sono vecchi che darebbero tutto per un momento,ci sono lettere che non arrivano,baci che restano immaginari,ci sono treni che si stanno chiedendo quando finiscono i binari.
E ci sono poeti che chiedono a Dio un altro giorno per dire qualcosa e i giardinieri sdraiati di notte col naso sul gambo di una rosa,ci sono bambini che aspettano quando verranno per spegnere la luce, e uomono che hanno sfidato il tempo perchè qualcuno sia felice.
E tu,quanto tempo hai?
tu,quanto amore hai?
basta solo sapere questo,sai,conta solo questo, sai.
Tu,quanto tempo hai
Tu quanto amore hai:
non è niente
non è successo niente,sai,
dimmi solo se ti ho perso o non ti ho perso mai;tu quanto tempo hai?
quanto tempo hai,quanto amore sei?
Ci sono foglie che si aggrappano ai rami perche non vogliono cadere mai,ci sono stelle che si aggrappano al cielo perche si accorgono di finire,sai, ci sono ubriachi che stringono il bicchiere perché è sempre l'ultimo che fa paura,ci sono uccelli che sentono lo sparo e contano quanto gli resta ancora.
Ed è soltanto questione di tempo:quello che serve a salvare un uomo,il cielo quando è in attesa di un lampo,una chitarra che aspetta un suono,una ragazza col cuore in gola,perché il suo amore non puo finire,o il tempo prima della parola che non avresti mai voluto dire...
E tu,quanto tempo hai?
tu,quanto amore hai?
io,non ti perdo mai ti aspetto al fondo di questa strada,sai;tu,quanto tempo hai,quanto tempo hai,quanto amore hai?
Ci sono ragazzi che chiudono gli occhi e si distruggono in un altro tempo,ma d'altra parte ci sono vecchi che darebbero tutto per un momento,ci sono lettere che non arrivano,baci che restano immaginari,ci sono treni che si stanno chiedendo quando finiscono i binari.
E ci sono poeti che chiedono a Dio un altro giorno per dire qualcosa e i giardinieri sdraiati di notte col naso sul gambo di una rosa,ci sono bambini che aspettano quando verranno per spegnere la luce, e uomono che hanno sfidato il tempo perchè qualcuno sia felice.
E tu,quanto tempo hai?
tu,quanto amore hai?
basta solo sapere questo,sai,conta solo questo, sai.
Tu,quanto tempo hai
Tu quanto amore hai:
non è niente
non è successo niente,sai,
dimmi solo se ti ho perso o non ti ho perso mai;tu quanto tempo hai?
quanto tempo hai,quanto amore sei?
UNDICESIMO BRANO
IL CIELO DI AUSTERLITZ
In Il cielo di Austerlitz si rivede, come in altre canzoni, la capacità di Vecchioni di raccontare la vita di un personaggio storico (qui il principe Andrei Bolkonsky, protagonista di “Guerra e pace”) in realtà parlando di se stesso. Emblematiche le parole del principe “Come è lontano, Dio, lontano il cielo/da tutto quello che ho creduto vero”.
IL CIELO DI AUSTERLITZ
Sono caduto come un airone
colpito al volo nella brughiera
sono caduto come d’autunno
la foglia stanca di primavera
sono caduto sulla mia schiena
tra un fiore d’anice e una betulla
e guardo immobile come un bambino
nella sua culla.
Sopra di me c’è soltanto il cielo
e in cielo scorrono gli anni e i mesi
nessun ricordo sembra più vero
tra gli urli altissimi dei francesi
sono caduto sulla mia ita
sprecata a credermi onnipotente
chè tutto è vano su questa terra
e tutto è niente.
Com’è lontano Dio, lontano il cielo
da tutto quello che ho creduto vero,
com’è lontano Dio, lontano il tempo
un’ombra miserabile di eterno;
avessi amato gli uomini e i pensieri,
potessi amarti molto più di ieri:
com’è lontano, lontano il cielo, il cielo...
Dov’è finito lo sfarzo assurdo
di Pietroburgo, di quella reggia,
e le risate, l’oppio, l’onore,
dov’è il mio popolo che m’inneggia,
tutto il rumore è una voce spenta,
qui arriva solo l’eco dell’aria
e il canto dolce che mi addormenta
della mia balia.
E guardo questo nano francese
meschino come la sua vittoria
che conta i morti così cortese
e crede d’essere lui la storia,
“e io non posso, non voglio morire
amo la vita, quest’erba e l’aria”,
gli uomini sono un’avventura
straordinaria.
Com’è lontano Dio, lontano il cielo
da tutto quello che ho creduto vero
com’è lontano Di, lontano il tempo,
il sogno d’esser uomini è un momento,
potessi amare molto più di ieri,
potessi amare chi ho perduto ieri,
com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo...
potessi amare molto più di ieri,
potessi amare chi ho perduto ieri,
com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo.
Sono caduto come un airone
colpito al volo nella brughiera
sono caduto come d’autunno
la foglia stanca di primavera
sono caduto sulla mia schiena
tra un fiore d’anice e una betulla
e guardo immobile come un bambino
nella sua culla.
Sopra di me c’è soltanto il cielo
e in cielo scorrono gli anni e i mesi
nessun ricordo sembra più vero
tra gli urli altissimi dei francesi
sono caduto sulla mia ita
sprecata a credermi onnipotente
chè tutto è vano su questa terra
e tutto è niente.
Com’è lontano Dio, lontano il cielo
da tutto quello che ho creduto vero,
com’è lontano Dio, lontano il tempo
un’ombra miserabile di eterno;
avessi amato gli uomini e i pensieri,
potessi amarti molto più di ieri:
com’è lontano, lontano il cielo, il cielo...
Dov’è finito lo sfarzo assurdo
di Pietroburgo, di quella reggia,
e le risate, l’oppio, l’onore,
dov’è il mio popolo che m’inneggia,
tutto il rumore è una voce spenta,
qui arriva solo l’eco dell’aria
e il canto dolce che mi addormenta
della mia balia.
E guardo questo nano francese
meschino come la sua vittoria
che conta i morti così cortese
e crede d’essere lui la storia,
“e io non posso, non voglio morire
amo la vita, quest’erba e l’aria”,
gli uomini sono un’avventura
straordinaria.
Com’è lontano Dio, lontano il cielo
da tutto quello che ho creduto vero
com’è lontano Di, lontano il tempo,
il sogno d’esser uomini è un momento,
potessi amare molto più di ieri,
potessi amare chi ho perduto ieri,
com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo...
potessi amare molto più di ieri,
potessi amare chi ho perduto ieri,
com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo.
DODICESIMO BRANO
IL VIOLINISTA SUL TETTO
Il violinista sul tetto introduce nell'album un momento di ironia. Vecchioni, con un uso attento della lingua italiana, si rifà alla canzone popolare. Teresa De Sio presta la voce alla madre mostrando tutta l'irruenza e l'allegria tipica del popolo napoletano.
IL VIOLINISTA SUL TETTO
Io da grande partirò soldato
con la giacca nuova e col fucile,
con la giacca che tu m’hai cucito
servirò la patria, a costo di morire.
Mamma, oppure no, farò il pompiere
che si getta impavido nel fuoco,
salverò la vita del mio amore,
brucerà il mio cuore di ben altro fuoco.
Mamma dammi centomila lire
che domani parto, vado a ddà il pompiere
mamma dammi centomila lire
che domani voglio fare il bersagliere.
Ecco qua le centomila lire
per l’eroico piccolo pompiere,
ecco qua le centomila lire
per le piume al vento
del mio bersagliere,
ecco qua le centomila lire
te le darò quando ti vedrò partire.
Mamma, sento che sarò poeta,
già mi vedo scrivere “Alla luna”,
“L’infinito”, “A Silvia”, la vicina
che è la nipotina della sora Bruna,
o mi faccio frate confessore,
pè sentì i peccati della gente,
soprattutto quelle delle suore
che se fanno fare, ma non se sà niente.
Mamma dammi centomila lire
che mi fo poeta pè ccantà l’amore,
mamma dammi centomila lire
che sarò domani frate confessore.
Figlio figlio che tu sia poeta,
o soldato o frate confessore,
o il pompiere che non teme niente,
se ne accorgeranno tutta quela gente:
dormi adesso ninno, nella sera
tu sarai l’orgoglio d’ogni tuo parente.
Mi dicevo quando sarò grande
sceglierò tra vivere e capire,
se dovrò cambiare le mutande
se dovrò restare, se dovrò partire:
mamma sono diventato uomo,
e mi hai dato centomila lire,
ma non sò né frate, né pompiere
nianca sò poeta, nianca bersagliere.
Sai dov’è finito il tuo bambino?
solo sopra il tetto a sonà il violino,
a sonà il violino sopra il tetto
con un muro bianco proprio dirimpetto.
Figlio, figlio, se nessuno ascolta,
la tua mamma ti farà una torta,
sono sona figlio tutta notte,
non ti disperare, tanto che ce fotte?
Mamma, mamma, forse il mio destino
era lì sul tetto a sonà il violino,
che mme frega se nessuno sente,
tanto non lo suono mica per la gente.
Sona, sona, figlio, figlio bello
mamma tua ti porta il limoncello,
e ti porta pane e pecorino
se ti viene fame prima del mattino.
Mamma, mamma, questo è il mio destino
stare sopra il tetto a sonà il violino,
dillo a babbo, dillo alle sorelle
se nessuno sente, sòno per le stelle;
dillo a babbo, dillo alle sorelle
sòno per me solo, sòno per le stelle.
Io da grande partirò soldato
con la giacca nuova e col fucile,
con la giacca che tu m’hai cucito
servirò la patria, a costo di morire.
Mamma, oppure no, farò il pompiere
che si getta impavido nel fuoco,
salverò la vita del mio amore,
brucerà il mio cuore di ben altro fuoco.
Mamma dammi centomila lire
che domani parto, vado a ddà il pompiere
mamma dammi centomila lire
che domani voglio fare il bersagliere.
Ecco qua le centomila lire
per l’eroico piccolo pompiere,
ecco qua le centomila lire
per le piume al vento
del mio bersagliere,
ecco qua le centomila lire
te le darò quando ti vedrò partire.
Mamma, sento che sarò poeta,
già mi vedo scrivere “Alla luna”,
“L’infinito”, “A Silvia”, la vicina
che è la nipotina della sora Bruna,
o mi faccio frate confessore,
pè sentì i peccati della gente,
soprattutto quelle delle suore
che se fanno fare, ma non se sà niente.
Mamma dammi centomila lire
che mi fo poeta pè ccantà l’amore,
mamma dammi centomila lire
che sarò domani frate confessore.
Figlio figlio che tu sia poeta,
o soldato o frate confessore,
o il pompiere che non teme niente,
se ne accorgeranno tutta quela gente:
dormi adesso ninno, nella sera
tu sarai l’orgoglio d’ogni tuo parente.
Mi dicevo quando sarò grande
sceglierò tra vivere e capire,
se dovrò cambiare le mutande
se dovrò restare, se dovrò partire:
mamma sono diventato uomo,
e mi hai dato centomila lire,
ma non sò né frate, né pompiere
nianca sò poeta, nianca bersagliere.
Sai dov’è finito il tuo bambino?
solo sopra il tetto a sonà il violino,
a sonà il violino sopra il tetto
con un muro bianco proprio dirimpetto.
Figlio, figlio, se nessuno ascolta,
la tua mamma ti farà una torta,
sono sona figlio tutta notte,
non ti disperare, tanto che ce fotte?
Mamma, mamma, forse il mio destino
era lì sul tetto a sonà il violino,
che mme frega se nessuno sente,
tanto non lo suono mica per la gente.
Sona, sona, figlio, figlio bello
mamma tua ti porta il limoncello,
e ti porta pane e pecorino
se ti viene fame prima del mattino.
Mamma, mamma, questo è il mio destino
stare sopra il tetto a sonà il violino,
dillo a babbo, dillo alle sorelle
se nessuno sente, sòno per le stelle;
dillo a babbo, dillo alle sorelle
sòno per me solo, sòno per le stelle.
TREDICESIMO BRANO
LE ROSE BLU
Le rose blu: solo corno e archi. È il pezzo, scritto in un momento di difficoltà di uno dei figli, dove la voce di Vecchioni si "fa sentire" più che in ogni altro, un'invocazione al destino, o meglio a Dio, affinché possa darci una mano. In cambio non è possibile donare la vita, che Dio può riprendersi quando vuole, ma piuttosto i propri ricordi e il proprio passato, i giorni in cui si è bestemmiato quel Dio che pare così lontano, così indifferente alle sofferenze, così restio a donarci le rose blu. Eppure, questo stesso Dio labile, sconosciuto, invisibile, è l'ultima possibilità, l'estremo rimedio per chiedere quanto si sta cercando.
LE ROSE BLU
Vedi,
darti la vita in cambio
sarebbe troppo facile,
tanto la vita è tua
e quando ti gira
la puoi riprendere;
io,
posso darti chi sono,
sono stato o chi sarò,
per quello che sai,
e quello che io so.
Io ti darò
tutto quello che ho sgnato,
tutto quello che ho cantato,
tutto quello che ho perduto,
tutto quello che ho vissuto,
tutto quello che vivrò,
e ti darò
ogni alba, ogni tramonto
il suo viso in quel momento
il silenzio della sera
e mio padre che tornava
io ti darò.
Io ti darò
il mio primo giorno a scuola
l’aquilone che volava
il suo bacio che iniziava
il suo bacio che moriva
io ti darò,
e ancora sai,
le vigilie di Natale
quando bigi e ti va male,
le risate degli amici,
gli anni, quelli più felici
io ti darò.
Io ti darò
tutti i giorni che ho alzato
i pugni al cielo
e ti ho pregato, Signore,
bestemmiandoti perchè non ti vedevo,
e ti darò
la dolcezza infinita di mia madre,
di mia madre finita al volo
nel silenzio di un passero che cade,
e ti darò la gioia delle notti
passate con il cuore in gola,
quando riuscivo finalmente
a far ridere e piangere una parola...
Vedi,
darti solo lavita
sarebbe troppo facile
perché la vita è niente
senza quello che hai da vivere;
e allora,
fà che non l’abbia vissuta
neanche un po’,
per quello che tu sai,
e quello che io so.
Fà che io sia un vigliacco e un assassino,
un anonimo cretino,
una pianta, un verme, un fiato
dentro un flauto che è sfiatato
e così sarò,
così sarò,
non avrò mai visto il mare
non avrò fatto l’amore,
scritto niente sui miei fogli,
visto nascere i miei figli
che non avrò.
Dimenticherò
quante volte ho creduto
e ho amato, sai,
come se non avessi amato mai,
mi perderò
in una notte d’estate
che non ci sono più stelle,
in una notte di pioggia sottile
che non potrà bagnare la mia pelle,
e non saprò sentire la bellezza
che ti mette nel cuore la poesia
perchè questa vita adesso, quella vita
non è più la mia.
Ma tu dammi in cambio le sue rose blu
fagliele rifiorire le sue rose blu
Tu ridagli indietro
le sue rose blu.
Vedi,
darti la vita in cambio
sarebbe troppo facile,
tanto la vita è tua
e quando ti gira
la puoi riprendere;
io,
posso darti chi sono,
sono stato o chi sarò,
per quello che sai,
e quello che io so.
Io ti darò
tutto quello che ho sgnato,
tutto quello che ho cantato,
tutto quello che ho perduto,
tutto quello che ho vissuto,
tutto quello che vivrò,
e ti darò
ogni alba, ogni tramonto
il suo viso in quel momento
il silenzio della sera
e mio padre che tornava
io ti darò.
Io ti darò
il mio primo giorno a scuola
l’aquilone che volava
il suo bacio che iniziava
il suo bacio che moriva
io ti darò,
e ancora sai,
le vigilie di Natale
quando bigi e ti va male,
le risate degli amici,
gli anni, quelli più felici
io ti darò.
Io ti darò
tutti i giorni che ho alzato
i pugni al cielo
e ti ho pregato, Signore,
bestemmiandoti perchè non ti vedevo,
e ti darò
la dolcezza infinita di mia madre,
di mia madre finita al volo
nel silenzio di un passero che cade,
e ti darò la gioia delle notti
passate con il cuore in gola,
quando riuscivo finalmente
a far ridere e piangere una parola...
Vedi,
darti solo lavita
sarebbe troppo facile
perché la vita è niente
senza quello che hai da vivere;
e allora,
fà che non l’abbia vissuta
neanche un po’,
per quello che tu sai,
e quello che io so.
Fà che io sia un vigliacco e un assassino,
un anonimo cretino,
una pianta, un verme, un fiato
dentro un flauto che è sfiatato
e così sarò,
così sarò,
non avrò mai visto il mare
non avrò fatto l’amore,
scritto niente sui miei fogli,
visto nascere i miei figli
che non avrò.
Dimenticherò
quante volte ho creduto
e ho amato, sai,
come se non avessi amato mai,
mi perderò
in una notte d’estate
che non ci sono più stelle,
in una notte di pioggia sottile
che non potrà bagnare la mia pelle,
e non saprò sentire la bellezza
che ti mette nel cuore la poesia
perchè questa vita adesso, quella vita
non è più la mia.
Ma tu dammi in cambio le sue rose blu
fagliele rifiorire le sue rose blu
Tu ridagli indietro
le sue rose blu.
Edited by family - 10/3/2011, 20:33. -
tomiva57.
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GRAZIE FAMILY
Pani e pesci
E Cesare tirò
la sua moneta in aria,
venne croce e disse sì,
e si riempì di gloria.
Io invece sono stato
in piedi tutta notte
per trovare ad una ad una
le mie risposte esatte;
e il vecchio col bastone
dalla sua tana uscì,
predisse tutti i "come",
ma non mi disse "chi",
e i vecchi han mille, mille,
mille maschere da giovani,
quando spargendo lacrime e medaglie
ti promettono:
"Pani e pesci, pesci e pani,
senza trucco vi moltiplico domani"
Isabella di Castiglia
per tre notti si concede
a chi la piglia;
pani e pesci, pesci e pani,
più son piccoli e più alzano le mani;
non ci casco questa volta,
dite all'ultimo di chiudere la porta.
Ad Adua si era in mille,
contro duecento negri,
però la storia dice che
ci siamo ben difesi;
"L'Aereo permettendolo"
-gridò il capostazione- "finchè sale qualcuno qui
io salvo la nazione".
Cornelia coi gioielli
sulla veranda uscì,
dicendo "ecco i miei figli",
e il popolo applaudì;
quanto sei bella Roma,
pura eterna e senza scandali
cantano i tuoi balconi
pieni di stivali e sandali:
"Pani e pesci, pesci e pani,
fa' una croce e li ricevi già
domani
guarda bene, non è un sogno,
sono proprio come quelli del disegno;
pani e pesci, pesci e pani,
abbi fede, basta un gesto con le mani;
venga avanti chi ne ha voglia,
non tiriamo l'oro fuori della paglia".
E l'occhio del padrone,
a furia d'ingrassare,
fece ingrassare pure chi
lo stava a contestare:
"viviamo per il pubblico,
ma ci chiamiamo Pietro,
in cima alle classifiche
ci rivogliamo indietro".
"Banale per banale"
-Si lamentò Mimì-
"Io muoio per amore
o, insomma, giù di lì".
Ben altri, morte in tanti
senza batter ciglio affrontiamo,
per mantener le sedie
a tutti quelli che promettono:
"pani e pesci, pesci e pani,
senza trucco vi moltiplico domani".
Isabella di Castiglia
per tre notti si concede
a chi la piglia;
pani e pesci, pesci e pani,
più son piccoli e più alzano le mani;
non ci casco questa volta,
dite all'ultimo di chiudere la porta.
Figlia
Sapeva tutta la verità
il vecchio che vendeva carte e numeri,
però tua madre è stata dura da raggiungere,
lo so che senza me non c'era differenza:
saresti comunque nata,
ti avrebbe comunque avuta.
Non c'era fiume quando l'amai;
non era propriamente ragazza,
però penso di aver fatto del mio meglio,
così a volte guardo se ti rassomiglio,
lo so, lo so che non è giusto,
però mi serve pure questo.
Poi ti diranno che avevi un nonno generale,
e che tuo padre era al contrario
un po' anormale, e allora saprai
che porti il nome di un mio amico,
di uno dei pochi che non mi hanno mai tradito,
perché sei nata il giorno
che a lui moriva un sogno.
E i sogni, i sogni,
i sogni vengono dal mare,
per tutti quelli
che han sempre scelto di sbagliare,
perché, perché vincere significa accettare,
se arrivo vuol dire che
a qualcuno può servire,
e questo, lo dovessi mai fare,
tu, questo, non me lo perdonare.
E figlia, figlia,
non voglio che tu sia felice,
ma sempre contro,
finché ti lasciano la voce.
Vorranno
la foto col sorriso deficente,
diranno:
"Non ti agitare, che non serve a niente"
e invece tu grida forte
la vita contro la morte.
E figlia, figlia,
figlia, sei bella come il sole,
come la terra,
come la rabbia, come il pane,
e so che t'innamorerari senza pensare,
e scusa,
scusa se ci vedremo poco e male:
lontano mi porta il sogno
ho un fiore qui dentro il pugno...
Pagando s'intende
E il conte al sommo della gloria
fece a pezzi la sua vita,
a pezzi la memoria,
a pezzi i rubinetti e il sole,
anche il cavallo si mangiò;
gridando "adesso so chi sono,
più mi ci abituerò".
Di quello che non ho fermato
e che valeva oggi mi pento;
ma è tardi e non ho pianto.
Forse qualcosa muore dentro
forse è perché non amo più;
ho perso tutto questo tempo
e non vi abbraccerò mai più.
E tutto quello che so dire
è che sovente il mio dolore
sa farmi divertire;
la rabbia mi mantiene calmo,
e abbasso questa libertà;
un vecchio amico, un vecchio incontro
-oggi- sarebbe sì una novità.
Rapidamente viene inverno
-Di' qualche cosa di più serio-
forse qualcosa muore dentro
--Di' qualche cosa di più vario-
E tutto quello che so dire
è che sovente il mio dolore
sa farmi divertire...
Pagando, s'intende.
Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_...ende_51817.html
. -
tomiva57.
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Samarcanda (album)
Da Wikipedia
Samarcanda (1977) è un album del cantautore Roberto Vecchioni.
Il disco
In questo album è presente il brano Samarcanda che è la canzone che, pubblicata su 45 giri, ha fatto conoscere Vecchioni al grande pubblico. I temi ricorrenti in questo disco sono quelli tipici di Vecchioni: la natura, la morte, l'amore, gli affetti, la nostalgia e soprattutto la poesia.
L'album venne registrato negli studi GRS Sound di Milano, ed il tecnico del suono è Bruno Malasoma, mentre le basi ritmiche vennero registrate presso lo studio Johan Sebastian Bach di Milano (ed il tecnico del suono è Nino Jorio).
La copertina è opera di Mario Vivona, e raffigura una fotografia di un paesaggio orientale, mentre le foto interne al cantautore e ai musicisti sono di Carlo Massarini, Fulvio Badetti e Giancarlo Baroni.
Le canzoni sono tutte edite dalle Edizioni musicali Babayaga. Tra i musicisti presenti nel disco sono da segnalare il percussionista Tony Esposito, che aveva già suonato in Il re non si diverte, il cantautore Angelo Branduardi (al violino), un componente del gruppo di rock progressivo dei Madrugada, Alessandro Zanelli (detto Billy) e due componenti de I Nuovi Angeli, Paki Canzi e Mauro Paoluzzi.
Le canzoni
Samarcanda
La canzone, apprezzata per il ritmo e il ritornello molto orecchiabile, narra di un soldato che, sopravvissuto alla guerra appena finita, sta festeggiando lo scampato pericolo quando all'improvviso tra la folla vede una donna vestita di nero, personificazione della morte. Credendo che sia lì per lui, scappa in un paese lontano (Samarcanda) ma, proprio in quel luogo, trova la morte ad attenderlo. Il destino ha voluto che il soldato, per paura della morte, sia scappato proprio dove la morte lo aspettava. La canzone, come riportato nell'interno della copertina e anni dopo in un'intervista su Parole e Canzoni a cura di Vincenzo Mollica, è ispirata ad una favola orientale presente nell'incipit del romanzo Appuntamento a Samarra di John Henry O'Hara (una storia simile è narrata nel Talmud).
Cover
Una versione della stessa canzone sarà incisa nel 1987 da I Nuovi Angeli nella raccolta Al ventesimo anno e da Petr Rezek, in lingua ceca, dal titolo Kapelo, hraj! con la parte testuale a cura di J. Navrátil (Supraphon, 1 43 2227).
Vaudeville (ultimo mondo cannibale)
Canzone grottesca e irreale, stigmatizza una certa concezione di vedere il cantautore non come fine a se stesso ma come un guru capace di dispensare verità; nel titolo viene citato il noto film di Ruggero Deodato Ultimo mondo cannibale, precedente di un anno. L'ispirazione di questa canzone è l'episodio di contestazione occorso a Francesco De Gregori l'anno prima, durante un concerto al Palalido di Milano.
Due giornate fiorentine
Narra con rabbia la scoperta di un tradimento della prima moglie, Irene Bozzi. Tra un flashback e un siparietto azzeccatissimo di un benzinaio "con la pompa in mano", la consapevolezza che, con il tempo, è possibile convivere anche con la capacità di non amare, simboleggiata da un lupo.
Blu(e) notte
Questo brano, recitato, racconta l'incontro di Vecchioni con il poeta Sandro Penna (morto a gennaio del 1977), in un bar tra clienti stravaganti e barman superficiali.
Nel ritornello le coriste cantano alcuni versi della poesia X agosto di Giovanni Pascoli, che vengono contrapposti a quelli di Penna che vengono recitati da Vecchioni nelle strofe.
Per un vecchio bambino
E dedicata da Vecchioni alla memoria di suo padre. È la seconda canzone dedicata al padre dopo L'uomo che si gioca il cielo a dadi, qui il padre è disegnato vecchio nell'anagrafe ma sicuramente giovane, o meglio bambino, nello spirito.
Canzone per Sergio
E dedicata al fratello, notaio a Lipari, al quale il cantautore scrive una lettera, parlando degli amici che lo cercano «...ci contiamo e manchi sempre tu...» e di problemi più esistenziali, anche se il fine ultimo è probabilmente quello di cementare la coesione tra fratelli dal momento che il padre è venuto a mancare.
Poetica la frase «..un giorno o l'altro mi rincontrerai ... mi accadrà di sorridere come non speravo più e l'occhio azzurro avrà un momento uguale all'occhio blu» che forse indica la possibilità di convergenza tra la realtà e il sogno, due dimensioni presenti in molte canzoni dell'artista.
Viene citata Blowin' in the wind di Bob Dylan, nei versi «La risposta nel vento dov'è, dov'è, sarà la stessa per ognuno di noi?».
In merito a questa canzone, così dichiarò anni dopo Vecchioni:
« Sergio allora era un punto fermo, un riferimento preciso in un mondo in continua evoluzione intorno a me, in cui facevo fatica a rivedermi. Ed essendo mio fratello mi rivedevo più facilmente in lui, perché eravamo stati bambini insieme. »
L'ultimo spettacolo
Anche questo brano è ispirato ai problemi coniugali con Irene; nella prima parte mette in parallelo il mito rappresentato da Achille e dagli altri eroi narrati da Omero e la realtà dove gli uomini sono "goffi" e "nudi" e dove le donne non aspettano gli eroi, mentre nella seconda, rappresentata anche musicalmente da un cambio di tempo, descrive l'addio alla stazione alla moglie, che parte per Torino per raggiungere il suo amante.
In seguito Vecchioni citerà in molti brani questo episodio, ricordiamo Vorrei: «Si lo so che poi sei ritornata, lo so» e «Io vorrei fare a pezzi il ricordo di un treno» e Montecristo «Non apro più gli armadi per non incontrare quelli di Torino».
Nel titolo viene citato il noto film di Peter Bogdanovich L'ultimo spettacolo, del 1971.
Tracce
LATO A
1. Prologo - 1:04
2. Samarcanda - 3:42
3. Vaudeville - 1:46
4. Due giornate fiorentine - 6:45
5. Blu(e) notte - 4:14
LATO B
1. Per un vecchio bambino - 7:41
2. Canzone per Sergio - 5:24
3. L'ultimo spettacolo - 8:27
Roberto Vecchioni: Samarcanda
Recensione di: ilsuonatorejones , (il 29 ottobre 2005 )
La canzone che fece scoprire al grande pubblico il Prof. Vecchioni è uno dei pochi successi commerciali che corrispondono ad un certo valore artistico. E che valore! "Samarcanda" è un gioiello della musica italiana, un testo bello e curato (pensate solo alla consonanza di R in tutta la prima strofa). Per non parlare del violino di Branduardi, del grido "oh, oh cavallo!" e di tutte le altre cose che si possono dire. "Samarcanda" è un pezzo di storia.
"Samarcanda", l'album, è altrettanto un capolavoro. Poetico, ma è una poesia che viene prima del vecchionismo puro, cioè quelle canzoni dense di aggettivi desueti e citazioni iperletterarie. Si concede sprazzi di ironia (la spiritosa "Vaudeville") e scorci cinematografici. "Due giornate fiorentine" è straordinaria, tanto che il testo è riportato in un'antologia di poeti italiani contemporanei, e anche qui si gioca fra l'ironia e la malinconia (""Pomeriggio da solo in un po' troppa Toscana/ho pensato ma brava, va bè, ho pensato puttana", "Le mie tasche eran piene di varie ed eventuali/ma i miei giorni con te stati tutti uguali"") e quella geniale trovata della parentesi della surreale sosta al distributore della Chevron ne fanno una perla rara della canzone. Il divertissement pascoliano del prof. Vecchioni di "Blu(e) notte" è pregevolissimo: un testo recitato (di mirabile valore) e il coro gospel che canta su un blues "X agosto" del poeta delle "Myricae". La gradevole "Per un vecchio bambino" e la bella ma vittima di un arrangiamento fuori luogo "Canzone per Sergio" fanno da prologo a quanto di meglio si trovi nel canzoniere di Vecchioni: "L'ultimo spettacolo", una struggente riflessione sull'abbandono ed il distacco, cantata e orchestrata divinamente. Sette minuti sul filo della tensione emotiva, delle parole che sembrano strozzate dal pianto (senza quel patetismo dei primi dischi) e viaggiano su toni altissimi.
"Samarcanda" dura quaranta minuti o poco meno. Sono tra i quaranta minuti più straordinari della musica italiana.
Samarcanda
Ridere, ridere, ridere ancora,
Ora la guerra paura non fa,
brucian le divise dentro il fuoco la sera,
brucia nella gola vino a sazietà,
musica di tamburelli fino all'aurora,
il soldato che tutta la notte ballò
vide tra la folla quella nera signora,
vide che cercava lui e si spaventò.
"Salvami, salvami, grande sovrano,
fammi fuggire, fuggire di qua,
alla parata lei mi stava vicino,
e mi guardava con malignità"
"Dategli, dategli un animale,
figlio del lampo, degno di un re,
presto, più presto perché possa scappare,
dategli la bestia più veloce che c'è
"corri cavallo, corri ti prego
fino a Samarcanda io ti guiderò,
non ti fermare, vola ti prego
corri come il vento che mi salverò
oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh
Fiumi poi campi, poi l'alba era viola,
bianche le torri che infine toccò,
ma c'era tra la folla quella nera signora
stanco di fuggire la sua testa chinò:
"Eri fra la gente nella capitale,
so che mi guardavi con malignità,
son scappato in mezzo ai grillie alle cicale,
son scappato via ma ti ritrovo qua!"
"Sbagli, t'inganni, ti sbagli soldato
io non ti guardavo con malignità,
era solamente uno sguardo stupito,
cosa ci facevi l'altro ieri là?
T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda
eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per ascoltar la banda
non facessi in tempo ad arrivare qua.
Non è poi così lontana Samarcanda,
corri cavallo, corri di là...
ho cantato insieme a te tutta la notte
corri come il vento che ci arriverà
oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo oh oh
Due giornate fiorentine
E fu proprio mentre portavo due bicchieri
che mi dicesti "Indovina chi è venuto ieri?"
Io chiesi "Chi?", però sapevo di sapere,
e il primo amante in fondo è come il primo amore.
Pomeriggio: da solo in un po' troppa Toscana,
ho pensato"Ma brava, va beh ho pensato "Puttana",
poi che io non c'entravo e che eri stata felice,
con chi non importa e la storia non dice.
Le mie tasche eran piene di varei ed eventuali,
ma i tuoi giorni con me sono stati tutti uguali:
con lui eri Firenze, i monumenti, il cielo, il letto;
con me oggi una noia
da sala d'aspetto.
E la sera per cena mi sono pure travestito,
per spiare quel gesto che ti avrebbe tradito;
ma il naso a palla e glio occhiali con la corda
mi segavano in due la parte che ricorda.
E sono esperimenti questi da non più tentare,
perché andando a svestirmi per tornar normale,
non seppi più che togliermi di vero e di finto
e confusi me stesso con la barba al mento:
come avevo confuso per giorni e giornie giorni
il senso dei sorrisi e quello dei ritorni
senza ver capito che tu stavi cambiando
e gridavi da sola
e che stavi vivendo...
all'uomo della Chevron
che non aveva capito
ripetei sillabbando:
"ho paura del lupo,
ho paura, paura:
paura del lupo".
E lui con la pompa in mano
e con il tappo nel guanto
come stesse nel mondo
a dar benzina soltanto
mi guardava stupito
chiedendomi "Quanto?"
"Tanto che a Lodi non ci arrivo mai
si nasconde là dietro oerché sto qui, ma poi
quello m'insegue fino a casa mia,
stia qui, mi faccia un pò di compagnia...?
E l'uomo della Chevron
che non aveva capito,
fece tre passi indietro,
non pulì neanche il vetro,
disse"Mamma mi aspetta",
e fuggì nella notte.
E adesso che sto fermo e sentomeglio il vento,
adesso che non ne parliamo più da tanto tempo,
c'è tua madre che non sbaglia mai e la cena con gli amici
e a volte a far l'amore siamo quasi felici:
le mie tasche sono piene di varie ed eventuali
ma i miei giorni con te son quasi tutti uguali
e un giornoti dirò "Indovina chi è venuto?"
ora son cresciuto.
"Guarda: non è bello il mio lupo?"
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tomiva57.
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La canzone per Sergio
L'ultimo spettacolo
Ascolta,
ti ricordi quando venne
la nave del fenicio a portar via
me con tutta la voglia di cantare
gli uomini, il mondo e farne poesia...
Con l'occhio azzurro io ti salutavo
con quello blu io già ti rimpiangevo
e l'albero tremava e vidi terra,
i Greci, i fuochi e l'infinita guerra...
Li vidi ad uno ad uno
mentre aprivano la mano
e mi mostravano la sorte
come a dire "Noi scegliamo,
non c'è un Dio che sia più forte"
E l'ombra nera che passò
ridendo ripeteva "no"...
Ascolta
ero partito per cantare
uomini grandi dietro grandi scudi
e ho visto uomini piccoli ammazzare
piccoli, goffi, disperati e nudi...
Laggiù conobbi pure un vecchio aedo
che si accecò per rimaner nel sogno
con l'occhio azzurro invece ho visto e vedo,
ma con l'occhio blu mi volto e ricordo...
Ma tu non mi parlavi
e le mie idee come ramarri
ritiravano la testa dentro il muro
quando è tardi
perchè è freddo, perchè è scuro
e mille solitudini
e buchi per nascondersi...
E ho visto fra le lampade un amore:
e lui che fece stendere sul letto
l'amico con due spade dentro il cuore,
e gli baciò piangendo il viso e il petto...
E son tornato per vederti andare
e mentre parti e mi saluti in fretta
fra tutte le parole che puoi dire
mi chiedi "Me la dai una sigaretta?"
Io di Muratti mi dispiace non ne ho
il marciapiede per Torino si lo so
ma un conto è stare a farti un po'
di compagnia altro aspettare che
il treno vada via perchè t'aiuto
io ad andare non lo sai e questo a
chi si lascia non succede mai,
ma non ti ho mai considerata
roba mia io ho le mie favole,
e tu una storia tua.
Ma tu non mi parlavi
e le mie idee come ramarri
ritiravano la testa
dentro il muro quando è tardi
perchè è freddo, perchè è scuro...
e ancora solitudini
e buchi per nascondersi...
E non si è soli quando un altro ti ha lasciato
si è soli se qualcuno
non è mai venuto
però scendendo perdo i pezzi sulle scale
e chi ci passa su
non sa di farmi male
ma non venite a dirmi
adesso lascia stare
o che la lotta in fondo deve continuare,
perchè se questa storia fosse una canzone
con una fine mia,
tu non andresti via.. -
tomiva57.
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Calabuig, stranamore e altri incidenti
Da Wikipedia
Calabuig, stranamore e altri incidenti (1978) è un album del cantautore Roberto Vecchioni.
Il disco
L'album venne registrato negli studi GRS Sound di Milano, ed il tecnico del suono è Bruno Malasoma, gli arrangiamenti sono opera di Mauro Paoluzzi.
Nella copertina, apribile, vi è una foto di Giancarlo Baroni che raffigura Vecchioni (che in quel periodo si era fatto crescere la barba) seduto mentre fuma un sigaro, ed un ragazzo che sta per tirare una mela addentata, l'album venne pubblicato in due versioni, con la copertina speculare (in una versione Vecchioni è a destra ed il ragazzo a sinistra, nell'altra viceversa).
Le canzoni sono tutte edite dalle edizioni musicali Babajaga. Nelle note di copertina il cantautore ringrazia la ditta Franco Avona per aver fornito gli strumenti musicali.
Tracce
LATO A
1. Stranamore (pure questo è amore) (4:20)
2. Ninni (6:16)
3. A te (4:14)
4. Calabuig (1:12)
5. Sette meno uno (il cane, la volpe, la civetta, il fagiano, il cavallo, il falco) (4:12)
LATO B
1. Il capolavoro (4:38)
2. Il castello (7:03)
3. L'estraneo (Infiniti ritorni) (6:19)
Stranamore
E' lui che torna a casa sbronzo quasi tutte le sere
e quel silenzio tra noi due che sembra non finire,
quando lo svesto. lo rivesto e poi lo metto a letto,
e quelle lettere che scrive e poi non sa spedirmi...
forse lasciarlo sulle scale è un modo di salvarmi
E tu che hai preso in mano
il filo del mio treno di legno,
che per essere più grande avevo dato in pegno:
e ti ho baciato sul sorriso per non farti male,
e ti ho sparato sulla bocca invece di baciarti
perchè non fosse troppo lungo il tempo di lasciarti:
Forse non lo sai ma pure questo è amore.
E l'alba sul Danubio a Marco parve fosforo e miele
e una ragazza bionda forse gli voleva dire
che l'uomo è grande, l'uomo è vivo,
l'uomo non è guerra;
ma i generali gli rispondono che l'uomo è vino,
combatte bene e muore meglio
solo quando è pieno.
E il primo disse "Ah sì,
non vuoi comprare il nostro giornale?!"
e gli altri "Lo teniamo fermo tanto per parlare"
ed io pensai - ora gli dico "Sono anch'io fascista" -
ma ad ogni pugno che arrivava dritto sulla testa
la mia paura non bastava a farmi dire basta.
Forse non lo sai ma pure questo è amore
Ed il più grande
conquistò nazione dopo nazione,
e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione
perchè più in là
non si poteva conquistare niente:
e tanta strada per vedere un sole disperato,
e sempre uguale e sempre
Bello l'eroe con gli occhi azzurri dritto sopra la nave,
ha più ferite che battaglie, e lui ce l'ha la chiave,
Ha crocefissi e falci in pugno e bla bla bla fratelli,
ed io ti ho sollevata figlia per vederlo meglio,
io che non parto e sto a guardarti
e che rimango sveglio.
Forse non lo sai ma pure questo è amore.
Ninni
Incontrarvi seduti sopra quel treno
tutti e quattro avevate vent'anni in meno
come in fondo ad un buco
che dà nel tempo;
e cercare incollando paura e amore
una scusa qualunque per non parlare:
se mi guardano in faccia
che gli racconto?
Tu eri bella e parlavi coi tuoi bambini
disegnavi sorrisi sui finestrini,
lui segnava i cavalli da giocare
e passò qualcosa di lieve,
come sole in mezzo alla neve
ed avrei voluto dirvi: "Sono io".
Dirti: "Guardali bene, che cambieranno,
com'è giusto domani ti lasceranno".
Dire al piccolo: "Finch´ puoi
stiamo insieme".
Dire all'uomo che fuma senza parlaare:
"Fuma piano, ti prego" e poi capire
che il futuro è già stato
e non può cambiare.
E che il tempo mi passa e mi passa sopra,
e tu entravi dicendo: "Vuoi che ti copra,
Ninni, è tradi, fa freddo, stai già dormendo?"
Ninni, Ninni, Ninni...
Ninni è stanco, Ninni ha guardato
Ninni ha pianto, Ninni ha perduto
Ninni ha amato tanto da non amare più.
Quante volte ho pensato di rinunciare
e lasciargliela lì come fosse un gioco
questa vita che è niente
ma non è poco,
quanti mezzi sorrisi ai miei ritorni,
quante corse da scemo sui treni fermi
quanti che chiamo
e non si san più voltaare.
Tu sei bella e mi guardi senza parlarmi,
non ti sei neanche accorta di assomigliarmi,
e non sai quanta voglia avrei di dirti
che tuo figlio non è cambiato,
era solo ma si è aspettato,
ed è sempre come lo chiamavi tu
Ninni, Ninni, Ninni...
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A te
A te che avevi un gatto
indifferente il giorno
che son venuto a dirti
domani non ritorno,
A te che immaginavi
ad ogni mia parola
la vita di mia moglie
che forse è sola:
e ti sforzavi di non ricordare
quell'uomo che tornava
soltanto per picchiare
tua madre che aspettava,
quando scappavi a letto
dicendo a tua sorella
" Vedrai che passa tutto
la vita è bella ";
A te che gli anni e gli occhi
si mentono ogni sera
anche se negli specchi
la vita è dura.
A te che mi hai ascoltato
cercando di capire
uno che parla al buio
e non sa cosa dire,
A te che mi hai truccato
il mazzo delle carte
perchè vincessi ancora
da qualche parte.
A te con i tuoi "forse"
e la tua Valentina
che in fondo è solo il nome
di una bambina
A te che non c'è un solo uomo
a cui non hai creduto,
amando il suo dolore anche
se si era addormentato,
A te che nascondevi
ridendo la paura
che fosse solamente
un'avventura;
A te che mi dicevi
" Sai chi ho scopato ieri? "
per non farmi capire
che ero nei tuoi pensieri
A te che mi hai contato
i passi sulle scale
e viene sempre il giorno
che non si sale:
A te nemmeno un sogno
nemmeno un'emozione
A te non ho lasciato
che una brutta canzone.
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