ROBERTO VECCHIONI

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    Roberto Vecchioni: “La cultura salverà
    il mondo"




    di Antonia Arrabito | 19/11/2010 |

    Il cantautore e docente universitario milanese ha tenuto una dissertazione alla Scuola dello Sport di Ragusa e un concerto al Teatro Italia di Scicli. Due appuntamenti per un unico tema: i miti greci e latini

    Si è “esibito” - per così dire – due volte Roberto Vecchioni, il cantautore milanese che per la prima volta ha scelto la provincia di Ragusa come palcoscenico di due differenti performance: la prima, per tenere proprio nel capoluogo ibleo una conferenza dal titolo “Da Saffo a De Andrè: l'anima, le parole, la musica”; la seconda, per trasformare le parole in canto, nell'intima cornice del Teatro Italia di Scicli.

    Il concerto del cantautore, venerdi 12 novembre, si è inserito nel calendario di “Mulici d'Autunno”, l'appendice alla Festa della Madonna delle Milizie, che si tiene a Scicli a fine maggio e che quest'anno ha beneficiato di un finanziamento regionale, concesso - ha spiegato l'amministrazione - per provare a destagionalizzare i flussi turistici. La festività è dedicata alla patrona Maria Santissima delle Milizie, che - secondo tradizione - scese in groppa al suo bianco destriero per salvare gli sciclitani dall'invasione degli infedeli. Una storia che, unendo sacro e profano, si è prestata perfettamente ai miti cantati da Vecchioni – laureato in Lettere Classiche, prof di liceo per una vita, e ora docente universitario presso gli Atenei di Milano e Roma, solo per citarne alcuni.

    “Questo è uno spettacolo improponibile in altre parti d'Italia” - ha esordito l'autore, rivolgendosi al pubblico - “ perché voi siete Sicilia, perciò siete anche Magna Grecia. Qui è nato il senso di vivere e d'amare, qui è nata la cultura”. Ricordando, così, ai presenti la loro doppia identità: quella contemporanea (sicula) e quella storica, di antica derivazione. E svelando al contempo anche la propria: quella ben nota di cantautore e quella meno sotto i riflettori di docente, assolutamente inscindibili.

    Vecchioni ha cantato il mito, recuperandone i valori ed i modelli, in un costante parallelismo tra il passato ed il presente. “Omero parla di gente che cerca qualcosa” ha spiegato il cantautore alla platea - “ che è quel che fanno anche i poeti e tutti gli pseudo-artisti come me: ovvero capire qual è il senso della vita”.

    Intrattendo e insegnando, il professor Vecchioni ha insistito sull'importanza della cultura, definendola il senso dell'agire di ogni vera civiltà e riportando alla luce valori quasi demodè. Basti pensare all'antico senso della vergogna, ovvero al non esser mai inferiori a se stessi, che “è molto di più che avere le palle”, ha ironizzato.

    Ma più che la storia del mito, Vecchioni ha cantato quella della natura dell'essere umano, identica nei secoli , ma differente nelle sue manifestazioni. Agli occhi del cantautore, infatti, persino la guerra poteva dirsi onesta nell'antichità, allorquando si combatteva uno contro uno e non esistevano mezzi vili come le bombe a mano. Mentre oggi – viene da pensare - le passioni umane hanno abbandonato il mito, lasciando il posto ad una spaventosa e sterile cronaca nera.

    Le due ore di concerto hanno visto passare in rassegna – letteraria e “canzonistica” - la mitologia classica più rappresentativa: l'”Aiace” di Sofocle; la “Fedra” di Euripide (immortalata nella straziante “Leggenda di Olaf”) ed il mito di”Orfeo ed Euridice”, ripensato e cantato in chiave “pavesiana”, ovvero constatando la definitività della morte e l'inevitabile consapevolezza che il vero obbrobrio sarebbe riportare tra la vita – e non in vita! – qualcosa di morto.

    In un contesto così poetico e struggente, non poteva esserci spazio per i grandi successi. Eppure Vecchioni non ha rinunciato alla sua epidermica esigenza di cantare l'amore, portando sul palco “Il cielo capovolto”, componimento dedicato all' inventrice della canzone d'amore: Saffo di Lesbo.

    Tra le melodie più toccanti, “La bellezza”: composizione sull'amore che invecchia ma che non sostituisce il suo oggetto, mettendo in crisi il mito dell'eterna giovinezza e della sua esteriorità.

    Accompagnato al pianoforte da Patrizio Fariselli, musicista del gruppo storico degli Area, Vecchioni ha comunque concluso con tre cavalli di battaglia: “Samarcanda”, “Luci a Sansiro” e “Le lettere d'amore”, “estortagli” dall'incessante applauso del pubblico in sala. Qualcuno gli ha anche proposto “Bunga bunga”, ma il cantautore milanese ha affermato elegantemente che non occorre essere chissà chi per cantarla.


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    Ipertensione (album)


    Da Wikipedia

    Ipertensione, pubblicato nel 1975, è un album del cantautore Roberto Vecchioni.


    Il disco

    È il secondo album prodotto da Michelangelo Romano, ed è il primo per la nuova casa discografica, la Philips (non tenendo conto di Barbapapà, che racchiude canzoni per bambini) e prosegue il discorso musicale di Il re non si diverte.
    È stato registrato a Roma, negli studi Chantalalain di Roma, di proprietà Bobby Solo (che infatti viene citato nell'interno di copertina come tecnico del suono con il suo vero nome, Roberto Satti) e negli studi Phonogram di Milano (il tecnico del suono è Davide Marinoni).
    Tra i musicisti presenti nel disco sono da segnalare due componenti del gruppo di rock progressivo dei Madrugada, Alessandro Zanelli (detto Billy) e Gianfranco Pinto oltre a due componenti de I Nuovi Angeli (per cui Vecchioni ha scritto molte canzoni), Paki Canzi e Mauro Paoluzzi; questi ultimi due hanno anche curato gli arrangiamenti dell'album.
    Nelle canzoni I poeti e Canzonenoznac è presente un saxofonista, non citato però tra i musicisti presenti (così come non vengono citate le coriste che cantano in Tutta la vita in un giorno).
    Tutte le canzoni sono scritte da Vecchioni, tranne Irene, che è una cover di Try (Try To Fall In Love), scritta da Norman DesRosiers per il suo gruppo The Groupies (che la incisero nel 1974) e portata al successo nel 1975 da Ricky Nelson; il testo italiano non è però una traduzione dall'inglese, ma una riscrittura originale operata dal cantautore.
    La copertina è un disegno di Claudio Doveri su idea di Mario Vivona, e raffigura la mano di un giullare che tira la fune: nel poster allegato si può vedere il disegno completo, dove all'altro capo della corda vi è un'altra mano che tira.
    La camicia interna presenta, oltre ai testi, una foto (sempre di Vivona) di una bambola senza testa sulla riva del mare.
    Le canzoni sono tutte edite dalle Edizioni musicali Chappell.

    Le canzoni



    Irene

    Come ricordato, è l'unica canzone la cui musica non è di Vecchioni; il testo si rivolge ad Irene Bozzi, all'epoca moglie del cantautore, ed è un'incitazione ad essere autonoma, a fare delle scelte precise.
    Anni dopo così dichiarerà il cantautore:
    « Irene ero comunque io, al momento del nostro incontro: lei era una ragazza come tante e non sarebbe mai stata la mia compagna se non l'avessi prima io riempita di valenze e significati che non aveva, idealizzandola fino all'inverosimile. Fu una fase della ricerca: oggi la mia compagna esiste di per se, non devo inventarla io.. »





    Canzone per Laura

    Per la seconda volta torna, in un testo di Vecchioni, il nome di Laura, che come il cantautore ha dichiarato più volte, non è una persona reale ma un simbolo della coscienza interiore dello stesso Vecchioni, come del resto gli altri personaggi citati nel brano
    « Il pagliaccio, re Riccardo, Marco Polo, il bambino, Laura, sono anche (soltanto?) momenti di me. L'autobiografia finisce a tarallucci e vino contro il potente di turno che rutta a capotavola. »
    Il primo testo con questo nome è Laura (dei giorni andati), scritta per i Gens; avremo poi nel 1984 Ridi Laura ed infine, in Bei tempi del 1985, la citazione nella title track («E Laura che mi sorrideva, e Laura che non ritornava»).
    Nel testo di Canzone per Laura si ha anche un altro aspetto tipico del cantautore, cioè l'uso di personaggi storici che vengono presentati come dei mistificatori o degli imbroglioni: basti pensare a come è descritto Ulisse in Aiace, o a Roland...in questo caso invece è preso di mira Marco Polo, che si immagina partito ma arrivato soltanto a Bari.....«Poi disse ho visto orienti magici, almeno aveva avuto della fantasia...».
    Così motiva vecchioni questo utilizzo della storia:
    « Mi affascina il passato-presente, l'archetipo di una situazione che ritrovo solo nelle radici: favole, miti, vite illustri.Il fatto, il racconto culturale, finisce quasi sempre per essere un pretesto....stravolgo storie e personaggi per parlare di me: enfatizzo, ironizzo, rendo farsesco ciò che è archetipico. Mi piace ricordare che questa operazione me l'ha suggerita il Cesare Pavese dei Dialoghi con Leucò. »







    I poeti

    Canzone ironica, introdotta da una voce in falsetto.

    Canzonenoznac

    In questo brano si riprende un tema caro a Vecchioni, quello del doppio, rappresentato qui da due politici che, in un ipotetico ed apparentemente felice futuro («Dal millenovecentottanta, anno di grazia e di alleanza,/ felice e immobile la gente viveva solo del presente») si scontrano....per poi scoprire nel finale, in cui il leader della parte scura si toglie la barba posticcia, che si tratta della stessa persona, come spiega lo stesso cantautore:
    « "Canzonenoznac" è un normale caso di schizofrenia: il leader è uno solo, e guida ora gli uni e ora gli altri con identico, imparziale velleitarismo, così, per non morire. »

    Alighieri

    Canzone complessa, con un alternarsi di strofe cantate (che raccontano l'amore per Adriana, la ragazza di Luci a San Siro) e recitate (che descrivono invece la vita attuale del cantautore).
    Il titolo deriva dai versi finali in cui Vecchioni si descrive mentre spiega ai suoi alunni Dante:«Nei tre canti di Cacciaguida si descrive una Firenza sobria e pudica, quando non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che 'n camera si puote.E da Firenze il discorso si espande a tutto il mondo: diventa universale. Ed è qui che l'Alighieri troneggia, in un crescendo di malinconia e passione che definirei come... che definirei quasi... che definirei come...».
    Nel 2005 il brano è stato ripreso, eliminando le parti recitate, nell'album dal vivo Il contastorie.

    Tutta la vita in un giorno

    Tutta la vita in un giorno è un collage sonoro, che racchiude l'inno bandistico della polizia motorizzata tedesca (risalente al 1940), una radiocronaca dell'elezione di miss Italia ed un breve frammento cantato di Vecchioni.

    Pesci nelle orecchie

    Il testo è molto simbolico, e di non immediata lettura; così lo spiega Vecchioni:
    « A volte i pesci sono piccolissimi, neanche ti accorgi che ci sono, ma ci sono. E con gli anni si moltiplicano: l'educazione, i pregiudizi, i luoghi comuni così comodi. E i treni perduti, gli affetti esagerati, gli amori dimenticati, le battaglie lasciate a metà. Non proprio sordità, ma certamente un udito compromesso. »


    Nel brano viene anche citata Luci a San Siro («Le luci di San Siro sono state solo fatti miei»).
    La canzone, che è la più lunga del disco, è stata reincisa da Vecchioni, eliminando alcune strofe, nel 1984 nell'album Il grande sogno.

    Musicisti

    1. Roberto Vecchioni - voce
    2. Pietro Rapelli - batteria, percussioni
    3. Paky Canzi - tastiere
    4. Gianfranco Pinto - tastiere
    5. Mauro Paoluzzi - batteria, percussioni, chitarra elettrica e chitarra acustica
    6. Billi Zanelli - basso
    7. Enzo Castella - mandolino

    Tracce

    LATO A

    1. Irene
    2. Canzone per Laura
    3. I poeti
    4. Canzonenoznac

    LATO B

    1. Alighieri
    2. Tutta la vita in un giorno
    3. Pesci nelle orecchie
     
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    Alighieri :

    Quando tornerai
    mi decevo, e sai,
    ci si mangia il cuore a volte
    per resistere.
    Ma poi vivi e dai
    e ti accorgi che
    non è tempo più
    di bandiere appese...
    E si cambia sai,
    non si aspetta più quando tornerai,
    tu quel giorno avrai
    mille anni in più
    tutti gli anni messi in conto
    all'abitudine,
    e mi accorgerò
    che non basta più
    camuffare il tempo per sentirsi
    quelli che
    che si amavano, che ridevano...
    Cinquantamila e non h aperto...
    e che può avere? tre fanti?
    Chissà perché Francesco
    non capisce maai gli altri,
    signora, non posso fare sempre canzoni
    che piacciono a tutti, andare incontro,
    facilitare, semplificare...
    O forse tre donne, eh, potrebbe avere
    anche tre donne quello lì,
    egregio professore, questo porvveditorato,
    presa visione dei suoi metodi d'insegnamento,
    è spiacente di comunicarle che deve
    destituirla dall'incarico di ...

    Aspettarti sai
    mi fa ridere,
    a vent'anni aveva un senso
    adesso è inutile;
    e poi il fegato
    non mi regge più
    e la faccia mia
    non la reggo io...
    E se fossi in te
    non ci proverei,
    non ritornerei.
    Ma tu tornerai
    senza dirmelo,
    e ad un tratto avrai quel gesto
    che non scordo più,
    e risentirò
    quella forza mia
    di spaccare il mondo
    insieme a te...
    Ma non basterà
    per sentire che
    sono ancora io.

    Alle otto e mezzo? Perfetto, vengo alle
    otto e mezza a cena son lei
    siamo d'accordo sì, siamo d'accordo.
    - "Le aragoste sono come i poveri,
    le parti migliori sono le braccia".
    - "Buona questa colonnello".
    - "Ma cosa vogliono questi studenti, sono
    quattrocento anni che fanno casino, un casino
    immemorabile!".
    "Certo sì, lei ha ragione colonnello, ma, vede,
    lei ha sempre le cinque lire di resto...
    Le sale affollate...I leccapiedi... pardon i
    pratici... si dice "i pratici".
    E questa donna, questa donna che ho sposato
    avrà ragione anche lei; sì, mi fanno un po' senso
    quei gufi che ha sulle spalle... ma è
    giusta.No, no, no, io... non la cambierei
    affatto, è giusta così com'è, è giusta lei almeno
    mi capisce, a volte tu invece niente, niente
    non ti ho amato mai,
    non ti ho amato mai,
    ma che cosa ti credevi, vecchia stupida?
    Figurarsi se,
    uno come me,
    fa il pupazzo per le cosce tue,
    e poi gli anni e poi...
    non ne ho voglia sai...
    non ti aspetto più...

    Nei tre canti di Cacciaguida
    si descrive una Firenze "sobria e
    pudica", quando non era, "ancor giunto
    Sardanapalo" a mostrar ciò che in
    camera si puote e da Firenze il discorso
    si espande a tutto il mondo: diventa
    universale, in un crescendo di malinconia
    e passione che definirei come, che definirei
    quasi... che definirei come...

    Quando tornerai
    mi decevo, e sai,
    ci si mangia il cuore a volte
    per resistere.
    Ma poi vivi e dai
    e ti accorgi che
    non è tempo più
    di bandiere appese...
    E si cambia sai,
    non si aspetta più quando tornerai,
    tu quel giorno avrai
    mille anni in più
    tutti gli anni messi in conto
    all'abitudine,
    e mi accorgerò
    che non basta più
    camuffare il tempo per sentirsi
    quelli che
    che si amavano, che ridevano...
    Cinquantamila e non h aperto...
    e che può avere? tre fanti?
    Chissà perché Francesco
    non capisce maai gli altri,
    signora, non posso fare sempre canzoni
    che piacciono a tutti, andare incontro,
    facilitare, semplificare...
    O forse tre donne, eh, potrebbe avere
    anche tre donne quello lì,
    egregio professore, questo porvveditorato,
    presa visione dei suoi metodi d'insegnamento,
    è spiacente di comunicarle che deve
    destituirla dall'incarico di ...

    Aspettarti sai
    mi fa ridere,
    a vent'anni aveva un senso
    adesso è inutile;
    e poi il fegato
    non mi regge più
    e la faccia mia
    non la reggo io...
    E se fossi in te
    non ci proverei,
    non ritornerei.
    Ma tu tornerai
    senza dirmelo,
    e ad un tratto avrai quel gesto
    che non scordo più,
    e risentirò
    quella forza mia
    di spaccare il mondo
    insieme a te...
    Ma non basterà
    per sentire che
    sono ancora io.

    Alle otto e mezzo? Perfetto, vengo alle
    otto e mezza a cena son lei
    siamo d'accordo sì, siamo d'accordo.
    - "Le aragoste sono come i poveri,
    le parti migliori sono le braccia".
    - "Buona questa colonnello".
    - "Ma cosa vogliono questi studenti, sono
    quattrocento anni che fanno casino, un casino
    immemorabile!".
    "Certo sì, lei ha ragione colonnello, ma, vede,
    lei ha sempre le cinque lire di resto...
    Le sale affollate...I leccapiedi... pardon i
    pratici... si dice "i pratici".
    E questa donna, questa donna che ho sposato
    avrà ragione anche lei; sì, mi fanno un po' senso
    quei gufi che ha sulle spalle... ma è
    giusta.No, no, no, io... non la cambierei
    affatto, è giusta così com'è, è giusta lei almeno
    mi capisce, a volte tu invece niente, niente
    non ti ho amato mai,
    non ti ho amato mai,
    ma che cosa ti credevi, vecchia stupida?
    Figurarsi se,
    uno come me,
    fa il pupazzo per le cosce tue,
    e poi gli anni e poi...
    non ne ho voglia sai...
    non ti aspetto più...

    Nei tre canti di Cacciaguida
    si descrive una Firenze "sobria e
    pudica", quando non era, "ancor giunto
    Sardanapalo" a mostrar ciò che in
    camera si puote e da Firenze il discorso
    si espande a tutto il mondo: diventa
    universale, in un crescendo di malinconia
    e passione che definirei come, che definirei
    quasi... che definirei come...


     
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    "Roberto Vecchioni Pesci Nelle Orecchie



    A parte che nel mare c'era
    gente insospettabile
    (persino gli idealisti
    ci nuotavano benissimo)
    e poi cambiavo pelle
    e non sapevo e non capivo che
    andarci dentro è facile
    tornare no
    e quanti pesci nelle orecchie
    adesso ho

    la verità nel bosco è
    dare un senso a tutti gli alberi
    e per sentieri assurdi
    cercar posti delle fragole:
    ma c'è un'uscita sempre
    ed io d'uscire non l'ho chiesto mai
    e quanti pesci nelle orecchie
    adesso ho
    contarli forse sì
    levarli più non so

    E forse invidio i giovani
    che sanno sempre tutto già
    il vero il bello il giusto quel che
    ha un senso e quel che non ne ha
    si fanno addosso frasi
    che continuamente applaudono
    le loro stanze non han muri
    questo no
    ma per entrarci
    paghi i loro io lo so

    Amico amico mio di Spagna
    amico uomo amico libertà
    amico mio di Grecia
    amico sangue amico senza età
    amico non ti ho visto
    né cercato amico scusami
    ma per amare il mondo come l'ami tu
    dovevo odiare troppo
    odiare un po' di più
    padroni grassi sempre in cerca
    di montagne magiche
    di religioni e filtri
    e assoluzioni per difendervi
    di vendo vendo vendo
    vendo vendo vendo e sono io
    avere pesci nelle orecchie
    che vi fa?
    voi ve li nascondete ma
    vi puzzan già

    Amico mio di vino di canzoni
    e grandi alibi
    amico sbronzo fatto e poi
    fumato sopra i tavoli,
    tu che sei tanto bravo che alzi il pugno
    e fai l'anarchico
    insegnami a cantare come canti tu
    mezzo milione a sera
    o perdi la virtù

    E quante madri,
    madre ho sovrapposto alla tua immagine
    per ritornarti in ventre
    con la voglia di essere piccolo,
    per non sentirmi idiota
    quando canto e non capiscono,
    e quanti pesci nelle orecchie
    adesso ho,
    contarli forse sì
    levarli più non so

    Ragazza mia che invecchi,
    lentamente come Dorian Gray,
    ti ho disegnato barba e baffi
    per potermi dire che
    le luci di San Siro sono state solo fatti miei,
    dicevo nelle mani quanti sogni ho
    li vuoi contar con me?
    Da solo io non so
    amore mio di oggi
    sei la gaffe di un altro uguale a me
    lui si era accorto che vendevo l'aria
    a prezzi altissimi
    e quando mi ha sparato
    lo faceva per difendersi
    sì ma la palla
    dalla testa non va via
    e lui fa il grande adesso
    con la vita mia

    Amore mio che prendo
    come scusa molto abile
    amore mentalmente
    fatto a pezzi rimontabili,
    amore non è vero
    amore t'amo amore ascoltami
    quante volte ti volevo dire sai
    se non ci fossi tu
    poi non l'ho detto mai

     
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    Elisir (Roberto Vecchioni)


    Elisir, pubblicato nel 1976, è un album del cantautore Roberto Vecchioni.

    Il disco

    Il tema conduttore di tutto l'album è il viaggio. Questo tema lo ritroviamo già nel titolo del primo brano, nel secondo, dedicato a Velasquez, famoso navigatore, in A.R., col ritorno dall'Africa di Arthur Rimbaud e, come afferma Vecchioni, nel percorrere generi musicali diversi, con richiami a Leonard Cohen (Figlia), al Bob Dylan di Desire, e a Neil Young (l'uso della chitarra elettrica in Velasquez è ispirato al brano Cortez the killer).

    Le canzoni sono scritte tutte da Vecchioni, tranne la musica di Un uomo navigato, che è di Rosario Montesanti.

    Tra i musicisti presenti nel disco sono da segnalare un componente del gruppo di rock progressivo dei Madrugada, Alessandro Zanelli (detto Billy) e due componenti de I Nuovi Angeli (per cui Vecchioni ha scritto molte canzoni), Paki Canzi e Mauro Paoluzzi.

    La copertina dell'album è ideata da Mario Vivona e le illustrazioni sono realizzate da Claudio Doveri.


    Tracce
    LATO A

    1. Un uomo navigato - 5:05
    2. Velasquez - 7:39
    3. Effetto notte - 1:33
    4. Le belle compagnie - 2:20
    5. A. R. - 4:37

    LATO B

    1. Il suonatore stanco - 4:59
    2. Canzone per Francesco - 6:20
    3. Pani e pesci - 5:04
    4. Figlia - 4:30
    5. Pagando, s'intende (Canzone degli effetti sbagliati) - 3:49




    velasquez

    "Velasquez" è voglia di partire e allo stesso tempo voglia di ritornare, voglia di scoprire ma anche paura delle cose nuove così come è intrinseco nel carattere umano, quante volte si vorrebbe andare all'avventura, si vorrebbe cambiare il mondo ma poi ci si ferma per non rischiare??? E quante volte si va ma, viene voglia di tornare ai propri affetti, alle proprie radici???

    Ahi Velasquez, dove porti la mia vita?
    un fiore di camposi è impigliato fra le dita,
    e tante stelle, tante nelle notti chiare,
    e mille lune, mille dune da scoprire.
    Ahi Velasquez, non ti avessi mai seguito,
    con te non si torna una volta sola indietro:
    in mezzo ai venti, sempre genti da salvare,
    sei morto mille volte senza mai morire.

    Un vecchio zingaro ungherese
    di te parlando mi giurò
    che c'eri prima di suo padre,
    prima del padre di suo padre
    più in là nel tempo non andò.
    I cerchi del tuo tronco sono
    ferite d'armi e di parole
    che mai nessuno vendicò

    Ahi Velasquez, com'è duro questo amore
    mi pesa la notte prima di ricominciare:
    e tante veglie, come soglie di un mistero,
    per arrivare sempre più vicino al vero...

    Ahi Velasquez certe sere quanta voglia,
    fermare la vela e ritornare da mia moglie;
    e tu mi dici: "fatti scrivere", è normale,
    per te bisogna sempre scrivere e lottare.

    E la tempesta ci sorprese
    due miglia dopo Capo Horn:
    se ne rideva delle offese,
    in mezzo al ponte si distese
    e fino all'alba mi cantò:
    ragazze, terre, contadini,
    da sempre popoli e padroni,
    fu lì che tutto comincò.

    Ahi Velasquez fino a quando inventeremo
    un nido di rose ai piedi dell'arcobaleno,
    e tante stelle, tante nelle notti chiare
    per questo mondo, questo mondo da cambiare?

    Ahi Velasquez, hai chitarra come spada,
    mantello di sabbia, orecchio mozzo, antica sfida,
    eterna attesa, corda tesa da spazzare,
    e tanta voglia, tanta voglia di tornare...

     
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  8. tomiva57
     
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    Le Belle Compagnie


    Lieti vivevano in un castello
    col marcondirondirondello;
    mai avevan visto un contadino:
    facevan tardi a tirar mattino.
    E whisky kid col suo cirano
    e un produttore napoletano
    registi, critici e premi vari,
    rossi al crepuscolo i cardinali.

    Erano al centro dell'argomento
    tutta questione d'allenamento;
    di notte a turno scendevan le scale
    gridando al buio della sala centrale:

    "Su, dimmi, specchio delle mie brame,
    chi è il più anarchico del reame?
    su, dimmi specchio delle mie brame,
    chi è il più anarchico del reame?"



    Edited by tomiva57 - 19/2/2011, 13:36
     
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    Sanremo 2011-chiamami ancora amore

     
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    A.R.

    La miseria di una stanza a Londra
    le fumerie di Soho:
    già si buttava via.
    E sua madre nel fienile, nel ricordo:
    vecchia, scassata borghesia.
    Ribaltare le parole, invertire il senso
    fino allo sputo,
    cercando un'altra poesia.
    E Verlaine che gli sparava e gli gridava:
    "non lasciarmi, no, non lasciarmi, vita mia"...
    E nave, porca nave vai
    la gamba mi fa male, dai
    le luci di Marsiglia non arrivan mai.
    "
    les yeux vert-chou, les yeux vert-chou,
    sous l'arbretendronnier qui bave vous cautchous...

    Portoghesi, inglesi e tanti altri uccelli di rapina
    scelse per compagnia;
    quella voglia di annientarsi, di non dare,
    e basta, basta poesia;
    e volersi far male al punto di finire, lui,
    mercante d'armi
    fra l'Egitto e la follia,
    e una negra grande come un ospedale
    da aspettare
    e poi la gamba e l'agonia

    e nave, porca nave vai,
    fa freddo e amnca poco, dai,
    le luci di Marsiglia non arrivan mai:
    Ho visto tutto e cosa so,
    ho rinunciato, ho detto "no",
    ricordo a malapena quale nome ho:
    Arthur Rimbaud, Arthur Rimbaud,
    Arthur Rimbaud...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_..._a_r_51712.html







    Canzone per Francesco

    "Mi è andato il cane sotto un camion
    quella sera:
    ho pianto come un vecchio
    sopra una bandiera,
    se fosse stato un compagno basco
    avrei pianto di meno."
    Così dicevi e mi chiedevi "Professore,
    dimmi se sono un qualunquista,
    un uomo ad ore".
    Così dicevi e già nasceva
    mezzo sole,
    e il giornalista in fondo
    è un modo di campare,
    e alla ragazza greca
    traducevi piano
    -Luci a S. Siro-
    Gli imbonitori sono troppi
    e non li fermi,
    e Dio che è morto
    non è morto per tre giorni

    La rabbia un tempo la scandiva
    soltanto la locomotiva
    tra i fiori rossi sulla strada:
    e contro il niente adesso parte
    ogni mezz'ora un volo charter
    itinerario di gran moda.

    E vorrei dirti sbagli,
    guarda che t'inganni,
    loro han soltanto meno dubbi e meno anni,
    e intanto spuntano i tarocchie giù frescate
    su Calvino...
    e sui destini che s'incrociano un po' male,
    e che si parte per vedersi ritornare

    e vorrei dirtelo ma in fondo cosa importa?
    ti ho visto peggio e già la so la tua risposta,

    che non c'è niente che non resti
    e che non passi con il vino:
    ma coi ragazzi c'era un fatto personale;
    non han capito chi ci marcia su e chi vale.

    La rabbia un tempo la scandiva
    soltanto la locomotiva
    gettata a sasso sulla strada;
    adesso è giorno di mercato
    spuntano a grappoli i poeti
    tutte le isole han trovato.

    E non c'è niente che non passi con il vino;
    anche Susanna è andata su
    per il camino,
    e noi vediamo un po' d'alzarci
    perché è l'ora, perché è tardi:
    a ciucche dure finiremo per capire
    come si vive, e ci potremo divertire...

    "Bologna è un vecchio
    che ripete la mia vita,
    l'ultimo amore, l'osteria che mi è restata",

    E intanto fuori è temporale,
    la greca canta un libertale
    che già le diamo per scontato;
    ricordo quasi per inciso
    qualcuno mi sfiorava il viso
    ed ero stato proprio male.

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_...esco_51814.html




     
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    Terza parte dedicata all'album "DI RABBIA E DI STELLE"



    SETTIMO BRANO

    QUESTI FANTASMI

    Fantastica critica al modo di vivere e pensare odierno.




    QUESTI FANTASMI

    Signore delle comete,
    re delle stelle di giorno,
    chi sono questi fantasmi
    che mi camminano intorno?
    chi sono questi cialtroni,
    questi topi di fogna e bordello,
    questi ignoranti vincenti
    con l'intelligenza dentro l'uccello?

    Chi sono questi buffoni,
    questa mappata di sole,
    questi animali parlanti,
    questi trappani col rolex?
    e questa banda di pazzi
    che gridano "io compro, io vendo"
    che il gioco è "vinco o mi rovino
    a seconda di chi muore nel mondo"?

    Signore tu che ci hai detto:
    "quando volete ritorno"
    levaci questi fantasmi,
    questi fantasmi di torno.
    Signore, scusa se insisto,
    non mi mandare all'inferno,
    levami questi fantasmi,
    questi fantasmi di torno.

    Mandali a coltivare funghi in Val di Non
    o a scelta il riso di Canton,
    a fare gli orsi per turisti a Yellowstone,
    comunque fuori dai coglion.

    Signore, fulminali subito
    quelli che non hanno i congiuntivi,
    e gli aspiranti cantanti,
    rima che diventino dei divi:
    faremmo volentieri a meno
    anche di quelle con il solo pensiero
    che far vedere il culo
    lo si possa definire un lavoro.

    Signore, tu che ci hai detto
    "quando volete ritorno",
    toglici questi fantasmi,
    questi fantasmi di torno.
    Signore, scusa se insisto,
    non mi mandare all'inferno,
    toglimi questi fantasmi,
    questi fantasmi di torno.

    Vorrei svegliarmi un giorno senza bip bip
    decerebrati sulle jeep,
    giovani pirla fancazzisti che hanno un trip,
    e fammi santa Meryl Streep.

    Signore delle comete,
    dei pani, dei pesci e del giorno,
    levaci questi fantasmi,
    questi fantasmi di torno:
    Signore delle crociate,
    possa tu regnare in eterno,
    levami questi fantasmi,
    questi fantasmi di torno.

    OTTAVO BRANO

    NON AMO PIU'

    Altro pezzo "importante"; la musica è supportata dalla sola chitarra acustica con un Vecchioni disilluso e stanco.



    NON AMO PIU'

    Sarà il vento della sera
    che mi sfoglia, che mi svela, che mi intride il cuore;
    sarà questo rivedere la mia vita
    come un grande inimitabile perduto amore;
    sarà che mi sento stanco
    di pensieri, di parole, di persone e anche di idee,
    questo mare che va sempre avanti e indietro
    con le sue maree

    Sarai tu coi tuoi vent'anni
    che mi vedi come fossi il re del mondo;
    sarà il cane che mi guarda come un cane
    e piscia sempre controvento;
    sarai tu coi tuoi vent'anni
    che mi sfiori con le ali per volare via,
    e sarà che mi sembra un figlio
    perso in guerra la malinconia;
    ma stasera all'improvviso mi succede,
    e non c'entri tu...non amo più
    ninni ninni ninni ninni ni non amo più
    ninni ninni ninni ninni ni non amo più

    Sarà il sogno che si perde
    se lo chiamo non mi sente, non risponde più
    sarà questa donna triste
    che ho lasciato senza un gesto scivolare giù,
    sarà colpa dello specchio che riflette
    l'altro uomo che vedevo allora,
    quello che mi ha fatto un mucchio di promesse
    e non è stato di parola

    Sarà il libro che leggevo
    la canzone che credevo mia
    o sarà semplicemente che il mio pene
    non ha più nessuna fantasia,
    sarai tu coi tuoi vent'anni
    che sei qui per caso e che mi dai la mano,
    sarai tu coi tuoi vent'anni
    sarà questa tosse, sarà questo fumo,
    ma stasera non puoi farci niente
    neanche tu...non amo più
    ninni ninni ninni ninni ni...non amo più
    ninni ninni ninni ninni ni...non amo più

    NONO BRANO

    MOND LADER (MONDO LADRO)

    Tra il reggae e il rock, tra il serio e il faceto, questa canzone ci ricorda che Vecchioni è milanese, almeno d'adozione. La storia, come affermato da Vecchioni durante il tour 2008, è quella di un operaio che impreca perché non riesce ad arrivare alla fine del mese.



    MOND LADER

    Son chì, son là che cunti nient
    e che ghe vègna on accident
    ai cervellon, ai lazzaron del parlament.
    Son chì che gh’hoo duu coeugg de matt
    e son inii a ciappà i ratt
    me borlen giò anca i ball e i sentiment.

    Mi voraria savè quèll’òstia,
    quel gran figlio di una bèstia
    che on bèll dì m’ha saraa sù l’Alfa Romeo.
    Sarò anche il figlio di on terron
    ma rièssi nò a vèss on coion
    e intant me brusa el bus del cuu... e marameo.

    Mond lader
    quèlla brutta loeuggia d’on mond lader
    quèlla brutta tròia d’un mond lader
    el cantava indeperlù mè pader.
    Mondo ladro pieno di padroni
    di cattivi che son tutti buoni
    di sbarbati senza più i maroni.
    Mond lader, mond lader.

    E gh’hoo duu fioeu che parlen minga
    hinn domà bon de cicciarà de cicciarà
    al telefonin
    la tosa con l’anèllo al naso
    anca incoeu l’è tatuada
    in bel bamborin
    la mia mise la vosa in cà
    la vosa che la par uno strasciee
    el mè padron el comunista
    a fin del mes el me da nò i danee.

    Mond lader
    mì ‘l so nò se gh’hoo de fà mond lader
    mì ‘l soo nò se pòdi fà mond lader
    voraria savè doe el va domani
    cosa ne sarà di me domani
    che c’ho solo merda nelle mani.
    Mond lader, domani.

    Ieri rincorrevo il tempo
    il tempo mi correva dietro
    erano gli anni della fantasia
    oggi son qui che guardo il cielo
    con le sue rondini in volo
    e son minga bon de scappà via.

    Gh’è più i tosan quèi d’ona vòlta
    che la davn dree a ona pòrta
    e la scighera l’era poesia
    e te see denter in di oeugg
    me trèma ancamò i genoeugg
    la prima vòlta che sei stata mia.

    Mond lader
    mì te voeuri pròppi ben, mond lader
    e son chì col coeur in man, mond lader
    ti vorrei dare di più, mond lader
    ma puttana tròia d’un mond lader
    son staa minga bon de vèss on lader
    cosa ne sarà di me domani
    che c’ho solo merda nelle mani.
    Mond lader, domani
    Mond lader, domani
    Mond lader, domani

    DECIMO BRANO

    TU, QUANTO TEMPO HAI?

    Tu, quanto tempo hai? è un altro "pezzo forte" dell'album. L'alternanza del pianoforte, archi e batteria induce nell'ascoltatore un'emozione e la consapevolezza della raggiunta maturità dell'artista. Il tema della canzone è già annunciato nel titolo e completato con la strofa: “E tu,quanto tempo hai?/tu, quanto amore hai?”.



    TU, QUANTO TEMPO HAI?

    Ci sono foglie che si aggrappano ai rami perche non vogliono cadere mai,ci sono stelle che si aggrappano al cielo perche si accorgono di finire,sai, ci sono ubriachi che stringono il bicchiere perché è sempre l'ultimo che fa paura,ci sono uccelli che sentono lo sparo e contano quanto gli resta ancora.
    Ed è soltanto questione di tempo:quello che serve a salvare un uomo,il cielo quando è in attesa di un lampo,una chitarra che aspetta un suono,una ragazza col cuore in gola,perché il suo amore non puo finire,o il tempo prima della parola che non avresti mai voluto dire...
    E tu,quanto tempo hai?
    tu,quanto amore hai?
    io,non ti perdo mai ti aspetto al fondo di questa strada,sai;tu,quanto tempo hai,quanto tempo hai,quanto amore hai?
    Ci sono ragazzi che chiudono gli occhi e si distruggono in un altro tempo,ma d'altra parte ci sono vecchi che darebbero tutto per un momento,ci sono lettere che non arrivano,baci che restano immaginari,ci sono treni che si stanno chiedendo quando finiscono i binari.
    E ci sono poeti che chiedono a Dio un altro giorno per dire qualcosa e i giardinieri sdraiati di notte col naso sul gambo di una rosa,ci sono bambini che aspettano quando verranno per spegnere la luce, e uomono che hanno sfidato il tempo perchè qualcuno sia felice.
    E tu,quanto tempo hai?
    tu,quanto amore hai?
    basta solo sapere questo,sai,conta solo questo, sai.
    Tu,quanto tempo hai
    Tu quanto amore hai:
    non è niente
    non è successo niente,sai,
    dimmi solo se ti ho perso o non ti ho perso mai;tu quanto tempo hai?
    quanto tempo hai,quanto amore sei?

    Ci sono foglie che si aggrappano ai rami perche non vogliono cadere mai,ci sono stelle che si aggrappano al cielo perche si accorgono di finire,sai, ci sono ubriachi che stringono il bicchiere perché è sempre l'ultimo che fa paura,ci sono uccelli che sentono lo sparo e contano quanto gli resta ancora.
    Ed è soltanto questione di tempo:quello che serve a salvare un uomo,il cielo quando è in attesa di un lampo,una chitarra che aspetta un suono,una ragazza col cuore in gola,perché il suo amore non puo finire,o il tempo prima della parola che non avresti mai voluto dire...
    E tu,quanto tempo hai?
    tu,quanto amore hai?
    io,non ti perdo mai ti aspetto al fondo di questa strada,sai;tu,quanto tempo hai,quanto tempo hai,quanto amore hai?
    Ci sono ragazzi che chiudono gli occhi e si distruggono in un altro tempo,ma d'altra parte ci sono vecchi che darebbero tutto per un momento,ci sono lettere che non arrivano,baci che restano immaginari,ci sono treni che si stanno chiedendo quando finiscono i binari.
    E ci sono poeti che chiedono a Dio un altro giorno per dire qualcosa e i giardinieri sdraiati di notte col naso sul gambo di una rosa,ci sono bambini che aspettano quando verranno per spegnere la luce, e uomono che hanno sfidato il tempo perchè qualcuno sia felice.
    E tu,quanto tempo hai?
    tu,quanto amore hai?
    basta solo sapere questo,sai,conta solo questo, sai.
    Tu,quanto tempo hai
    Tu quanto amore hai:
    non è niente
    non è successo niente,sai,
    dimmi solo se ti ho perso o non ti ho perso mai;tu quanto tempo hai?
    quanto tempo hai,quanto amore sei?

    UNDICESIMO BRANO

    IL CIELO DI AUSTERLITZ

    In Il cielo di Austerlitz si rivede, come in altre canzoni, la capacità di Vecchioni di raccontare la vita di un personaggio storico (qui il principe Andrei Bolkonsky, protagonista di “Guerra e pace”) in realtà parlando di se stesso. Emblematiche le parole del principe “Come è lontano, Dio, lontano il cielo/da tutto quello che ho creduto vero”.



    IL CIELO DI AUSTERLITZ

    Sono caduto come un airone
    colpito al volo nella brughiera
    sono caduto come d’autunno
    la foglia stanca di primavera
    sono caduto sulla mia schiena
    tra un fiore d’anice e una betulla
    e guardo immobile come un bambino
    nella sua culla.

    Sopra di me c’è soltanto il cielo
    e in cielo scorrono gli anni e i mesi
    nessun ricordo sembra più vero
    tra gli urli altissimi dei francesi
    sono caduto sulla mia ita
    sprecata a credermi onnipotente
    chè tutto è vano su questa terra
    e tutto è niente.

    Com’è lontano Dio, lontano il cielo
    da tutto quello che ho creduto vero,
    com’è lontano Dio, lontano il tempo
    un’ombra miserabile di eterno;
    avessi amato gli uomini e i pensieri,
    potessi amarti molto più di ieri:
    com’è lontano, lontano il cielo, il cielo...

    Dov’è finito lo sfarzo assurdo
    di Pietroburgo, di quella reggia,
    e le risate, l’oppio, l’onore,
    dov’è il mio popolo che m’inneggia,
    tutto il rumore è una voce spenta,
    qui arriva solo l’eco dell’aria
    e il canto dolce che mi addormenta
    della mia balia.

    E guardo questo nano francese
    meschino come la sua vittoria
    che conta i morti così cortese
    e crede d’essere lui la storia,
    “e io non posso, non voglio morire
    amo la vita, quest’erba e l’aria”,
    gli uomini sono un’avventura
    straordinaria.

    Com’è lontano Dio, lontano il cielo
    da tutto quello che ho creduto vero
    com’è lontano Di, lontano il tempo,
    il sogno d’esser uomini è un momento,
    potessi amare molto più di ieri,
    potessi amare chi ho perduto ieri,
    com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo...

    potessi amare molto più di ieri,
    potessi amare chi ho perduto ieri,
    com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo.

    Sono caduto come un airone
    colpito al volo nella brughiera
    sono caduto come d’autunno
    la foglia stanca di primavera
    sono caduto sulla mia schiena
    tra un fiore d’anice e una betulla
    e guardo immobile come un bambino
    nella sua culla.

    Sopra di me c’è soltanto il cielo
    e in cielo scorrono gli anni e i mesi
    nessun ricordo sembra più vero
    tra gli urli altissimi dei francesi
    sono caduto sulla mia ita
    sprecata a credermi onnipotente
    chè tutto è vano su questa terra
    e tutto è niente.

    Com’è lontano Dio, lontano il cielo
    da tutto quello che ho creduto vero,
    com’è lontano Dio, lontano il tempo
    un’ombra miserabile di eterno;
    avessi amato gli uomini e i pensieri,
    potessi amarti molto più di ieri:
    com’è lontano, lontano il cielo, il cielo...

    Dov’è finito lo sfarzo assurdo
    di Pietroburgo, di quella reggia,
    e le risate, l’oppio, l’onore,
    dov’è il mio popolo che m’inneggia,
    tutto il rumore è una voce spenta,
    qui arriva solo l’eco dell’aria
    e il canto dolce che mi addormenta
    della mia balia.

    E guardo questo nano francese
    meschino come la sua vittoria
    che conta i morti così cortese
    e crede d’essere lui la storia,
    “e io non posso, non voglio morire
    amo la vita, quest’erba e l’aria”,
    gli uomini sono un’avventura
    straordinaria.

    Com’è lontano Dio, lontano il cielo
    da tutto quello che ho creduto vero
    com’è lontano Di, lontano il tempo,
    il sogno d’esser uomini è un momento,
    potessi amare molto più di ieri,
    potessi amare chi ho perduto ieri,
    com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo...

    potessi amare molto più di ieri,
    potessi amare chi ho perduto ieri,
    com’è lontano Dio, lontano il cielo, il cielo.


    DODICESIMO BRANO

    IL VIOLINISTA SUL TETTO

    Il violinista sul tetto introduce nell'album un momento di ironia. Vecchioni, con un uso attento della lingua italiana, si rifà alla canzone popolare. Teresa De Sio presta la voce alla madre mostrando tutta l'irruenza e l'allegria tipica del popolo napoletano.



    IL VIOLINISTA SUL TETTO

    Io da grande partirò soldato
    con la giacca nuova e col fucile,
    con la giacca che tu m’hai cucito
    servirò la patria, a costo di morire.

    Mamma, oppure no, farò il pompiere
    che si getta impavido nel fuoco,
    salverò la vita del mio amore,
    brucerà il mio cuore di ben altro fuoco.

    Mamma dammi centomila lire
    che domani parto, vado a ddà il pompiere
    mamma dammi centomila lire
    che domani voglio fare il bersagliere.

    Ecco qua le centomila lire
    per l’eroico piccolo pompiere,
    ecco qua le centomila lire
    per le piume al vento
    del mio bersagliere,
    ecco qua le centomila lire
    te le darò quando ti vedrò partire.

    Mamma, sento che sarò poeta,
    già mi vedo scrivere “Alla luna”,
    “L’infinito”, “A Silvia”, la vicina
    che è la nipotina della sora Bruna,

    o mi faccio frate confessore,
    pè sentì i peccati della gente,
    soprattutto quelle delle suore
    che se fanno fare, ma non se sà niente.

    Mamma dammi centomila lire
    che mi fo poeta pè ccantà l’amore,
    mamma dammi centomila lire
    che sarò domani frate confessore.

    Figlio figlio che tu sia poeta,
    o soldato o frate confessore,
    o il pompiere che non teme niente,
    se ne accorgeranno tutta quela gente:
    dormi adesso ninno, nella sera
    tu sarai l’orgoglio d’ogni tuo parente.

    Mi dicevo quando sarò grande
    sceglierò tra vivere e capire,
    se dovrò cambiare le mutande
    se dovrò restare, se dovrò partire:
    mamma sono diventato uomo,
    e mi hai dato centomila lire,
    ma non sò né frate, né pompiere
    nianca sò poeta, nianca bersagliere.

    Sai dov’è finito il tuo bambino?
    solo sopra il tetto a sonà il violino,
    a sonà il violino sopra il tetto
    con un muro bianco proprio dirimpetto.

    Figlio, figlio, se nessuno ascolta,
    la tua mamma ti farà una torta,
    sono sona figlio tutta notte,
    non ti disperare, tanto che ce fotte?

    Mamma, mamma, forse il mio destino
    era lì sul tetto a sonà il violino,
    che mme frega se nessuno sente,
    tanto non lo suono mica per la gente.

    Sona, sona, figlio, figlio bello
    mamma tua ti porta il limoncello,
    e ti porta pane e pecorino
    se ti viene fame prima del mattino.

    Mamma, mamma, questo è il mio destino
    stare sopra il tetto a sonà il violino,
    dillo a babbo, dillo alle sorelle
    se nessuno sente, sòno per le stelle;
    dillo a babbo, dillo alle sorelle
    sòno per me solo, sòno per le stelle.

    Io da grande partirò soldato
    con la giacca nuova e col fucile,
    con la giacca che tu m’hai cucito
    servirò la patria, a costo di morire.

    Mamma, oppure no, farò il pompiere
    che si getta impavido nel fuoco,
    salverò la vita del mio amore,
    brucerà il mio cuore di ben altro fuoco.

    Mamma dammi centomila lire
    che domani parto, vado a ddà il pompiere
    mamma dammi centomila lire
    che domani voglio fare il bersagliere.

    Ecco qua le centomila lire
    per l’eroico piccolo pompiere,
    ecco qua le centomila lire
    per le piume al vento
    del mio bersagliere,
    ecco qua le centomila lire
    te le darò quando ti vedrò partire.

    Mamma, sento che sarò poeta,
    già mi vedo scrivere “Alla luna”,
    “L’infinito”, “A Silvia”, la vicina
    che è la nipotina della sora Bruna,

    o mi faccio frate confessore,
    pè sentì i peccati della gente,
    soprattutto quelle delle suore
    che se fanno fare, ma non se sà niente.

    Mamma dammi centomila lire
    che mi fo poeta pè ccantà l’amore,
    mamma dammi centomila lire
    che sarò domani frate confessore.

    Figlio figlio che tu sia poeta,
    o soldato o frate confessore,
    o il pompiere che non teme niente,
    se ne accorgeranno tutta quela gente:
    dormi adesso ninno, nella sera
    tu sarai l’orgoglio d’ogni tuo parente.

    Mi dicevo quando sarò grande
    sceglierò tra vivere e capire,
    se dovrò cambiare le mutande
    se dovrò restare, se dovrò partire:
    mamma sono diventato uomo,
    e mi hai dato centomila lire,
    ma non sò né frate, né pompiere
    nianca sò poeta, nianca bersagliere.

    Sai dov’è finito il tuo bambino?
    solo sopra il tetto a sonà il violino,
    a sonà il violino sopra il tetto
    con un muro bianco proprio dirimpetto.

    Figlio, figlio, se nessuno ascolta,
    la tua mamma ti farà una torta,
    sono sona figlio tutta notte,
    non ti disperare, tanto che ce fotte?

    Mamma, mamma, forse il mio destino
    era lì sul tetto a sonà il violino,
    che mme frega se nessuno sente,
    tanto non lo suono mica per la gente.

    Sona, sona, figlio, figlio bello
    mamma tua ti porta il limoncello,
    e ti porta pane e pecorino
    se ti viene fame prima del mattino.

    Mamma, mamma, questo è il mio destino
    stare sopra il tetto a sonà il violino,
    dillo a babbo, dillo alle sorelle
    se nessuno sente, sòno per le stelle;
    dillo a babbo, dillo alle sorelle
    sòno per me solo, sòno per le stelle.

    TREDICESIMO BRANO

    LE ROSE BLU

    Le rose blu: solo corno e archi. È il pezzo, scritto in un momento di difficoltà di uno dei figli, dove la voce di Vecchioni si "fa sentire" più che in ogni altro, un'invocazione al destino, o meglio a Dio, affinché possa darci una mano. In cambio non è possibile donare la vita, che Dio può riprendersi quando vuole, ma piuttosto i propri ricordi e il proprio passato, i giorni in cui si è bestemmiato quel Dio che pare così lontano, così indifferente alle sofferenze, così restio a donarci le rose blu. Eppure, questo stesso Dio labile, sconosciuto, invisibile, è l'ultima possibilità, l'estremo rimedio per chiedere quanto si sta cercando.



    LE ROSE BLU

    Vedi,
    darti la vita in cambio
    sarebbe troppo facile,
    tanto la vita è tua
    e quando ti gira
    la puoi riprendere;
    io,
    posso darti chi sono,
    sono stato o chi sarò,
    per quello che sai,
    e quello che io so.

    Io ti darò
    tutto quello che ho sgnato,
    tutto quello che ho cantato,
    tutto quello che ho perduto,
    tutto quello che ho vissuto,
    tutto quello che vivrò,
    e ti darò
    ogni alba, ogni tramonto
    il suo viso in quel momento
    il silenzio della sera
    e mio padre che tornava
    io ti darò.

    Io ti darò
    il mio primo giorno a scuola
    l’aquilone che volava
    il suo bacio che iniziava
    il suo bacio che moriva
    io ti darò,
    e ancora sai,
    le vigilie di Natale
    quando bigi e ti va male,
    le risate degli amici,
    gli anni, quelli più felici
    io ti darò.

    Io ti darò
    tutti i giorni che ho alzato
    i pugni al cielo
    e ti ho pregato, Signore,
    bestemmiandoti perchè non ti vedevo,
    e ti darò
    la dolcezza infinita di mia madre,
    di mia madre finita al volo
    nel silenzio di un passero che cade,
    e ti darò la gioia delle notti
    passate con il cuore in gola,
    quando riuscivo finalmente
    a far ridere e piangere una parola...

    Vedi,
    darti solo lavita
    sarebbe troppo facile
    perché la vita è niente
    senza quello che hai da vivere;
    e allora,
    fà che non l’abbia vissuta
    neanche un po’,
    per quello che tu sai,
    e quello che io so.

    Fà che io sia un vigliacco e un assassino,
    un anonimo cretino,
    una pianta, un verme, un fiato
    dentro un flauto che è sfiatato
    e così sarò,
    così sarò,
    non avrò mai visto il mare
    non avrò fatto l’amore,
    scritto niente sui miei fogli,
    visto nascere i miei figli
    che non avrò.

    Dimenticherò
    quante volte ho creduto
    e ho amato, sai,
    come se non avessi amato mai,
    mi perderò
    in una notte d’estate
    che non ci sono più stelle,
    in una notte di pioggia sottile
    che non potrà bagnare la mia pelle,
    e non saprò sentire la bellezza
    che ti mette nel cuore la poesia
    perchè questa vita adesso, quella vita
    non è più la mia.

    Ma tu dammi in cambio le sue rose blu
    fagliele rifiorire le sue rose blu
    Tu ridagli indietro
    le sue rose blu.

    Vedi,
    darti la vita in cambio
    sarebbe troppo facile,
    tanto la vita è tua
    e quando ti gira
    la puoi riprendere;
    io,
    posso darti chi sono,
    sono stato o chi sarò,
    per quello che sai,
    e quello che io so.

    Io ti darò
    tutto quello che ho sgnato,
    tutto quello che ho cantato,
    tutto quello che ho perduto,
    tutto quello che ho vissuto,
    tutto quello che vivrò,
    e ti darò
    ogni alba, ogni tramonto
    il suo viso in quel momento
    il silenzio della sera
    e mio padre che tornava
    io ti darò.

    Io ti darò
    il mio primo giorno a scuola
    l’aquilone che volava
    il suo bacio che iniziava
    il suo bacio che moriva
    io ti darò,
    e ancora sai,
    le vigilie di Natale
    quando bigi e ti va male,
    le risate degli amici,
    gli anni, quelli più felici
    io ti darò.

    Io ti darò
    tutti i giorni che ho alzato
    i pugni al cielo
    e ti ho pregato, Signore,
    bestemmiandoti perchè non ti vedevo,
    e ti darò
    la dolcezza infinita di mia madre,
    di mia madre finita al volo
    nel silenzio di un passero che cade,
    e ti darò la gioia delle notti
    passate con il cuore in gola,
    quando riuscivo finalmente
    a far ridere e piangere una parola...

    Vedi,
    darti solo lavita
    sarebbe troppo facile
    perché la vita è niente
    senza quello che hai da vivere;
    e allora,
    fà che non l’abbia vissuta
    neanche un po’,
    per quello che tu sai,
    e quello che io so.

    Fà che io sia un vigliacco e un assassino,
    un anonimo cretino,
    una pianta, un verme, un fiato
    dentro un flauto che è sfiatato
    e così sarò,
    così sarò,
    non avrò mai visto il mare
    non avrò fatto l’amore,
    scritto niente sui miei fogli,
    visto nascere i miei figli
    che non avrò.

    Dimenticherò
    quante volte ho creduto
    e ho amato, sai,
    come se non avessi amato mai,
    mi perderò
    in una notte d’estate
    che non ci sono più stelle,
    in una notte di pioggia sottile
    che non potrà bagnare la mia pelle,
    e non saprò sentire la bellezza
    che ti mette nel cuore la poesia
    perchè questa vita adesso, quella vita
    non è più la mia.

    Ma tu dammi in cambio le sue rose blu
    fagliele rifiorire le sue rose blu
    Tu ridagli indietro
    le sue rose blu.

    Edited by family - 10/3/2011, 20:33
     
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    GRAZIE FAMILY





    Pani e pesci

    E Cesare tirò
    la sua moneta in aria,
    venne croce e disse sì,
    e si riempì di gloria.
    Io invece sono stato
    in piedi tutta notte
    per trovare ad una ad una
    le mie risposte esatte;
    e il vecchio col bastone
    dalla sua tana uscì,
    predisse tutti i "come",
    ma non mi disse "chi",
    e i vecchi han mille, mille,
    mille maschere da giovani,
    quando spargendo lacrime e medaglie
    ti promettono:
    "Pani e pesci, pesci e pani,
    senza trucco vi moltiplico domani"
    Isabella di Castiglia
    per tre notti si concede
    a chi la piglia;
    pani e pesci, pesci e pani,
    più son piccoli e più alzano le mani;
    non ci casco questa volta,
    dite all'ultimo di chiudere la porta.

    Ad Adua si era in mille,
    contro duecento negri,
    però la storia dice che
    ci siamo ben difesi;

    "L'Aereo permettendolo"
    -gridò il capostazione- "finchè sale qualcuno qui
    io salvo la nazione".

    Cornelia coi gioielli
    sulla veranda uscì,
    dicendo "ecco i miei figli",
    e il popolo applaudì;
    quanto sei bella Roma,
    pura eterna e senza scandali
    cantano i tuoi balconi
    pieni di stivali e sandali:

    "Pani e pesci, pesci e pani,
    fa' una croce e li ricevi già
    domani
    guarda bene, non è un sogno,
    sono proprio come quelli del disegno;
    pani e pesci, pesci e pani,
    abbi fede, basta un gesto con le mani;
    venga avanti chi ne ha voglia,
    non tiriamo l'oro fuori della paglia".

    E l'occhio del padrone,
    a furia d'ingrassare,
    fece ingrassare pure chi
    lo stava a contestare:

    "viviamo per il pubblico,
    ma ci chiamiamo Pietro,
    in cima alle classifiche
    ci rivogliamo indietro".

    "Banale per banale"
    -Si lamentò Mimì-
    "Io muoio per amore
    o, insomma, giù di lì".

    Ben altri, morte in tanti
    senza batter ciglio affrontiamo,
    per mantener le sedie
    a tutti quelli che promettono:
    "pani e pesci, pesci e pani,
    senza trucco vi moltiplico domani".
    Isabella di Castiglia
    per tre notti si concede
    a chi la piglia;
    pani e pesci, pesci e pani,
    più son piccoli e più alzano le mani;
    non ci casco questa volta,
    dite all'ultimo di chiudere la porta.







    Figlia

    Sapeva tutta la verità
    il vecchio che vendeva carte e numeri,
    però tua madre è stata dura da raggiungere,
    lo so che senza me non c'era differenza:
    saresti comunque nata,
    ti avrebbe comunque avuta.

    Non c'era fiume quando l'amai;
    non era propriamente ragazza,
    però penso di aver fatto del mio meglio,
    così a volte guardo se ti rassomiglio,
    lo so, lo so che non è giusto,
    però mi serve pure questo.

    Poi ti diranno che avevi un nonno generale,
    e che tuo padre era al contrario
    un po' anormale, e allora saprai
    che porti il nome di un mio amico,
    di uno dei pochi che non mi hanno mai tradito,
    perché sei nata il giorno
    che a lui moriva un sogno.

    E i sogni, i sogni,
    i sogni vengono dal mare,
    per tutti quelli
    che han sempre scelto di sbagliare,
    perché, perché vincere significa accettare,
    se arrivo vuol dire che
    a qualcuno può servire,
    e questo, lo dovessi mai fare,
    tu, questo, non me lo perdonare.

    E figlia, figlia,
    non voglio che tu sia felice,
    ma sempre contro,
    finché ti lasciano la voce.
    Vorranno
    la foto col sorriso deficente,
    diranno:
    "Non ti agitare, che non serve a niente"
    e invece tu grida forte
    la vita contro la morte.

    E figlia, figlia,
    figlia, sei bella come il sole,
    come la terra,
    come la rabbia, come il pane,
    e so che t'innamorerari senza pensare,
    e scusa,
    scusa se ci vedremo poco e male:
    lontano mi porta il sogno
    ho un fiore qui dentro il pugno...






    Pagando s'intende

    E il conte al sommo della gloria
    fece a pezzi la sua vita,
    a pezzi la memoria,
    a pezzi i rubinetti e il sole,
    anche il cavallo si mangiò;
    gridando "adesso so chi sono,
    più mi ci abituerò".
    Di quello che non ho fermato
    e che valeva oggi mi pento;
    ma è tardi e non ho pianto.
    Forse qualcosa muore dentro
    forse è perché non amo più;
    ho perso tutto questo tempo
    e non vi abbraccerò mai più.

    E tutto quello che so dire
    è che sovente il mio dolore
    sa farmi divertire;
    la rabbia mi mantiene calmo,
    e abbasso questa libertà;
    un vecchio amico, un vecchio incontro
    -oggi- sarebbe sì una novità.

    Rapidamente viene inverno
    -Di' qualche cosa di più serio-
    forse qualcosa muore dentro
    --Di' qualche cosa di più vario-

    E tutto quello che so dire
    è che sovente il mio dolore
    sa farmi divertire...

    Pagando, s'intende.

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_...ende_51817.html



     
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  13. tomiva57
     
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    Samarcanda (album)


    Da Wikipedia


    image



    Samarcanda (1977) è un album del cantautore Roberto Vecchioni.


    Il disco

    In questo album è presente il brano Samarcanda che è la canzone che, pubblicata su 45 giri, ha fatto conoscere Vecchioni al grande pubblico. I temi ricorrenti in questo disco sono quelli tipici di Vecchioni: la natura, la morte, l'amore, gli affetti, la nostalgia e soprattutto la poesia.

    L'album venne registrato negli studi GRS Sound di Milano, ed il tecnico del suono è Bruno Malasoma, mentre le basi ritmiche vennero registrate presso lo studio Johan Sebastian Bach di Milano (ed il tecnico del suono è Nino Jorio).

    La copertina è opera di Mario Vivona, e raffigura una fotografia di un paesaggio orientale, mentre le foto interne al cantautore e ai musicisti sono di Carlo Massarini, Fulvio Badetti e Giancarlo Baroni.

    Le canzoni sono tutte edite dalle Edizioni musicali Babayaga. Tra i musicisti presenti nel disco sono da segnalare il percussionista Tony Esposito, che aveva già suonato in Il re non si diverte, il cantautore Angelo Branduardi (al violino), un componente del gruppo di rock progressivo dei Madrugada, Alessandro Zanelli (detto Billy) e due componenti de I Nuovi Angeli, Paki Canzi e Mauro Paoluzzi.

    Le canzoni

    Samarcanda

    La canzone, apprezzata per il ritmo e il ritornello molto orecchiabile, narra di un soldato che, sopravvissuto alla guerra appena finita, sta festeggiando lo scampato pericolo quando all'improvviso tra la folla vede una donna vestita di nero, personificazione della morte. Credendo che sia lì per lui, scappa in un paese lontano (Samarcanda) ma, proprio in quel luogo, trova la morte ad attenderlo. Il destino ha voluto che il soldato, per paura della morte, sia scappato proprio dove la morte lo aspettava. La canzone, come riportato nell'interno della copertina e anni dopo in un'intervista su Parole e Canzoni a cura di Vincenzo Mollica, è ispirata ad una favola orientale presente nell'incipit del romanzo Appuntamento a Samarra di John Henry O'Hara (una storia simile è narrata nel Talmud).

    Cover

    Una versione della stessa canzone sarà incisa nel 1987 da I Nuovi Angeli nella raccolta Al ventesimo anno e da Petr Rezek, in lingua ceca, dal titolo Kapelo, hraj! con la parte testuale a cura di J. Navrátil (Supraphon, 1 43 2227).

    Vaudeville (ultimo mondo cannibale)

    Canzone grottesca e irreale, stigmatizza una certa concezione di vedere il cantautore non come fine a se stesso ma come un guru capace di dispensare verità; nel titolo viene citato il noto film di Ruggero Deodato Ultimo mondo cannibale, precedente di un anno. L'ispirazione di questa canzone è l'episodio di contestazione occorso a Francesco De Gregori l'anno prima, durante un concerto al Palalido di Milano.

    Due giornate fiorentine

    Narra con rabbia la scoperta di un tradimento della prima moglie, Irene Bozzi. Tra un flashback e un siparietto azzeccatissimo di un benzinaio "con la pompa in mano", la consapevolezza che, con il tempo, è possibile convivere anche con la capacità di non amare, simboleggiata da un lupo.

    Blu(e) notte

    Questo brano, recitato, racconta l'incontro di Vecchioni con il poeta Sandro Penna (morto a gennaio del 1977), in un bar tra clienti stravaganti e barman superficiali.
    Nel ritornello le coriste cantano alcuni versi della poesia X agosto di Giovanni Pascoli, che vengono contrapposti a quelli di Penna che vengono recitati da Vecchioni nelle strofe.

    Per un vecchio bambino

    E dedicata da Vecchioni alla memoria di suo padre. È la seconda canzone dedicata al padre dopo L'uomo che si gioca il cielo a dadi, qui il padre è disegnato vecchio nell'anagrafe ma sicuramente giovane, o meglio bambino, nello spirito.

    Canzone per Sergio

    E dedicata al fratello, notaio a Lipari, al quale il cantautore scrive una lettera, parlando degli amici che lo cercano «...ci contiamo e manchi sempre tu...» e di problemi più esistenziali, anche se il fine ultimo è probabilmente quello di cementare la coesione tra fratelli dal momento che il padre è venuto a mancare.

    Poetica la frase «..un giorno o l'altro mi rincontrerai ... mi accadrà di sorridere come non speravo più e l'occhio azzurro avrà un momento uguale all'occhio blu» che forse indica la possibilità di convergenza tra la realtà e il sogno, due dimensioni presenti in molte canzoni dell'artista.

    Viene citata Blowin' in the wind di Bob Dylan, nei versi «La risposta nel vento dov'è, dov'è, sarà la stessa per ognuno di noi?».

    In merito a questa canzone, così dichiarò anni dopo Vecchioni:
    « Sergio allora era un punto fermo, un riferimento preciso in un mondo in continua evoluzione intorno a me, in cui facevo fatica a rivedermi. Ed essendo mio fratello mi rivedevo più facilmente in lui, perché eravamo stati bambini insieme. »

    L'ultimo spettacolo

    Anche questo brano è ispirato ai problemi coniugali con Irene; nella prima parte mette in parallelo il mito rappresentato da Achille e dagli altri eroi narrati da Omero e la realtà dove gli uomini sono "goffi" e "nudi" e dove le donne non aspettano gli eroi, mentre nella seconda, rappresentata anche musicalmente da un cambio di tempo, descrive l'addio alla stazione alla moglie, che parte per Torino per raggiungere il suo amante.

    In seguito Vecchioni citerà in molti brani questo episodio, ricordiamo Vorrei: «Si lo so che poi sei ritornata, lo so» e «Io vorrei fare a pezzi il ricordo di un treno» e Montecristo «Non apro più gli armadi per non incontrare quelli di Torino».

    Nel titolo viene citato il noto film di Peter Bogdanovich L'ultimo spettacolo, del 1971.



    Tracce

    LATO A

    1. Prologo - 1:04
    2. Samarcanda - 3:42
    3. Vaudeville - 1:46
    4. Due giornate fiorentine - 6:45
    5. Blu(e) notte - 4:14

    LATO B

    1. Per un vecchio bambino - 7:41
    2. Canzone per Sergio - 5:24
    3. L'ultimo spettacolo - 8:27





    Roberto Vecchioni: Samarcanda

    Recensione di: ilsuonatorejones , (il 29 ottobre 2005 )

    La canzone che fece scoprire al grande pubblico il Prof. Vecchioni è uno dei pochi successi commerciali che corrispondono ad un certo valore artistico. E che valore! "Samarcanda" è un gioiello della musica italiana, un testo bello e curato (pensate solo alla consonanza di R in tutta la prima strofa). Per non parlare del violino di Branduardi, del grido "oh, oh cavallo!" e di tutte le altre cose che si possono dire. "Samarcanda" è un pezzo di storia.

    "Samarcanda", l'album, è altrettanto un capolavoro. Poetico, ma è una poesia che viene prima del vecchionismo puro, cioè quelle canzoni dense di aggettivi desueti e citazioni iperletterarie. Si concede sprazzi di ironia (la spiritosa "Vaudeville") e scorci cinematografici. "Due giornate fiorentine" è straordinaria, tanto che il testo è riportato in un'antologia di poeti italiani contemporanei, e anche qui si gioca fra l'ironia e la malinconia (""Pomeriggio da solo in un po' troppa Toscana/ho pensato ma brava, va bè, ho pensato puttana", "Le mie tasche eran piene di varie ed eventuali/ma i miei giorni con te stati tutti uguali"") e quella geniale trovata della parentesi della surreale sosta al distributore della Chevron ne fanno una perla rara della canzone. Il divertissement pascoliano del prof. Vecchioni di "Blu(e) notte" è pregevolissimo: un testo recitato (di mirabile valore) e il coro gospel che canta su un blues "X agosto" del poeta delle "Myricae". La gradevole "Per un vecchio bambino" e la bella ma vittima di un arrangiamento fuori luogo "Canzone per Sergio" fanno da prologo a quanto di meglio si trovi nel canzoniere di Vecchioni: "L'ultimo spettacolo", una struggente riflessione sull'abbandono ed il distacco, cantata e orchestrata divinamente. Sette minuti sul filo della tensione emotiva, delle parole che sembrano strozzate dal pianto (senza quel patetismo dei primi dischi) e viaggiano su toni altissimi.
    "Samarcanda" dura quaranta minuti o poco meno. Sono tra i quaranta minuti più straordinari della musica italiana.




    Samarcanda

    Ridere, ridere, ridere ancora,
    Ora la guerra paura non fa,
    brucian le divise dentro il fuoco la sera,
    brucia nella gola vino a sazietà,
    musica di tamburelli fino all'aurora,
    il soldato che tutta la notte ballò
    vide tra la folla quella nera signora,
    vide che cercava lui e si spaventò.

    "Salvami, salvami, grande sovrano,
    fammi fuggire, fuggire di qua,
    alla parata lei mi stava vicino,
    e mi guardava con malignità"
    "Dategli, dategli un animale,
    figlio del lampo, degno di un re,
    presto, più presto perché possa scappare,
    dategli la bestia più veloce che c'è

    "corri cavallo, corri ti prego
    fino a Samarcanda io ti guiderò,
    non ti fermare, vola ti prego
    corri come il vento che mi salverò
    oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh

    Fiumi poi campi, poi l'alba era viola,
    bianche le torri che infine toccò,
    ma c'era tra la folla quella nera signora
    stanco di fuggire la sua testa chinò:
    "Eri fra la gente nella capitale,
    so che mi guardavi con malignità,
    son scappato in mezzo ai grillie alle cicale,
    son scappato via ma ti ritrovo qua!"

    "Sbagli, t'inganni, ti sbagli soldato
    io non ti guardavo con malignità,
    era solamente uno sguardo stupito,
    cosa ci facevi l'altro ieri là?
    T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda
    eri lontanissimo due giorni fa,
    ho temuto che per ascoltar la banda
    non facessi in tempo ad arrivare qua.

    Non è poi così lontana Samarcanda,
    corri cavallo, corri di là...
    ho cantato insieme a te tutta la notte
    corri come il vento che ci arriverà
    oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo oh oh








    Due giornate fiorentine

    E fu proprio mentre portavo due bicchieri
    che mi dicesti "Indovina chi è venuto ieri?"
    Io chiesi "Chi?", però sapevo di sapere,
    e il primo amante in fondo è come il primo amore.
    Pomeriggio: da solo in un po' troppa Toscana,
    ho pensato"Ma brava, va beh ho pensato "Puttana",
    poi che io non c'entravo e che eri stata felice,
    con chi non importa e la storia non dice.

    Le mie tasche eran piene di varei ed eventuali,
    ma i tuoi giorni con me sono stati tutti uguali:
    con lui eri Firenze, i monumenti, il cielo, il letto;
    con me oggi una noia
    da sala d'aspetto.

    E la sera per cena mi sono pure travestito,
    per spiare quel gesto che ti avrebbe tradito;
    ma il naso a palla e glio occhiali con la corda
    mi segavano in due la parte che ricorda.

    E sono esperimenti questi da non più tentare,
    perché andando a svestirmi per tornar normale,
    non seppi più che togliermi di vero e di finto
    e confusi me stesso con la barba al mento:

    come avevo confuso per giorni e giornie giorni
    il senso dei sorrisi e quello dei ritorni
    senza ver capito che tu stavi cambiando
    e gridavi da sola
    e che stavi vivendo...

    all'uomo della Chevron
    che non aveva capito
    ripetei sillabbando:
    "ho paura del lupo,
    ho paura, paura:
    paura del lupo".

    E lui con la pompa in mano
    e con il tappo nel guanto
    come stesse nel mondo
    a dar benzina soltanto
    mi guardava stupito
    chiedendomi "Quanto?"

    "Tanto che a Lodi non ci arrivo mai
    si nasconde là dietro oerché sto qui, ma poi
    quello m'insegue fino a casa mia,
    stia qui, mi faccia un pò di compagnia...?

    E l'uomo della Chevron
    che non aveva capito,
    fece tre passi indietro,
    non pulì neanche il vetro,
    disse"Mamma mi aspetta",
    e fuggì nella notte.

    E adesso che sto fermo e sentomeglio il vento,
    adesso che non ne parliamo più da tanto tempo,
    c'è tua madre che non sbaglia mai e la cena con gli amici
    e a volte a far l'amore siamo quasi felici:
    le mie tasche sono piene di varie ed eventuali

    ma i miei giorni con te son quasi tutti uguali
    e un giornoti dirò "Indovina chi è venuto?"
    ora son cresciuto.
    "Guarda: non è bello il mio lupo?"

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_...tine_51803.html



     
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  14. tomiva57
     
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    La canzone per Sergio








    L'ultimo spettacolo

    Ascolta,
    ti ricordi quando venne
    la nave del fenicio a portar via
    me con tutta la voglia di cantare
    gli uomini, il mondo e farne poesia...
    Con l'occhio azzurro io ti salutavo
    con quello blu io già ti rimpiangevo
    e l'albero tremava e vidi terra,
    i Greci, i fuochi e l'infinita guerra...

    Li vidi ad uno ad uno
    mentre aprivano la mano
    e mi mostravano la sorte
    come a dire "Noi scegliamo,
    non c'è un Dio che sia più forte"
    E l'ombra nera che passò
    ridendo ripeteva "no"...

    Ascolta
    ero partito per cantare
    uomini grandi dietro grandi scudi
    e ho visto uomini piccoli ammazzare
    piccoli, goffi, disperati e nudi...
    Laggiù conobbi pure un vecchio aedo
    che si accecò per rimaner nel sogno
    con l'occhio azzurro invece ho visto e vedo,
    ma con l'occhio blu mi volto e ricordo...

    Ma tu non mi parlavi
    e le mie idee come ramarri
    ritiravano la testa dentro il muro
    quando è tardi
    perchè è freddo, perchè è scuro
    e mille solitudini
    e buchi per nascondersi...

    E ho visto fra le lampade un amore:
    e lui che fece stendere sul letto
    l'amico con due spade dentro il cuore,
    e gli baciò piangendo il viso e il petto...
    E son tornato per vederti andare
    e mentre parti e mi saluti in fretta
    fra tutte le parole che puoi dire
    mi chiedi "Me la dai una sigaretta?"

    Io di Muratti mi dispiace non ne ho
    il marciapiede per Torino si lo so
    ma un conto è stare a farti un po'
    di compagnia altro aspettare che
    il treno vada via perchè t'aiuto
    io ad andare non lo sai e questo a
    chi si lascia non succede mai,
    ma non ti ho mai considerata
    roba mia io ho le mie favole,
    e tu una storia tua.

    Ma tu non mi parlavi
    e le mie idee come ramarri
    ritiravano la testa
    dentro il muro quando è tardi
    perchè è freddo, perchè è scuro...
    e ancora solitudini
    e buchi per nascondersi...

    E non si è soli quando un altro ti ha lasciato
    si è soli se qualcuno
    non è mai venuto
    però scendendo perdo i pezzi sulle scale
    e chi ci passa su
    non sa di farmi male
    ma non venite a dirmi
    adesso lascia stare
    o che la lotta in fondo deve continuare,
    perchè se questa storia fosse una canzone
    con una fine mia,
    tu non andresti via.

     
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  15. tomiva57
     
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    Calabuig, stranamore e altri incidenti


    Da Wikipedia


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    Calabuig, stranamore e altri incidenti (1978) è un album del cantautore Roberto Vecchioni.


    Il disco

    L'album venne registrato negli studi GRS Sound di Milano, ed il tecnico del suono è Bruno Malasoma, gli arrangiamenti sono opera di Mauro Paoluzzi.

    Nella copertina, apribile, vi è una foto di Giancarlo Baroni che raffigura Vecchioni (che in quel periodo si era fatto crescere la barba) seduto mentre fuma un sigaro, ed un ragazzo che sta per tirare una mela addentata, l'album venne pubblicato in due versioni, con la copertina speculare (in una versione Vecchioni è a destra ed il ragazzo a sinistra, nell'altra viceversa).

    Le canzoni sono tutte edite dalle edizioni musicali Babajaga. Nelle note di copertina il cantautore ringrazia la ditta Franco Avona per aver fornito gli strumenti musicali.


    Tracce

    LATO A

    1. Stranamore (pure questo è amore) (4:20)
    2. Ninni (6:16)
    3. A te (4:14)
    4. Calabuig (1:12)
    5. Sette meno uno (il cane, la volpe, la civetta, il fagiano, il cavallo, il falco) (4:12)

    LATO B

    1. Il capolavoro (4:38)
    2. Il castello (7:03)
    3. L'estraneo (Infiniti ritorni) (6:19)






    Stranamore


    E' lui che torna a casa sbronzo quasi tutte le sere
    e quel silenzio tra noi due che sembra non finire,
    quando lo svesto. lo rivesto e poi lo metto a letto,
    e quelle lettere che scrive e poi non sa spedirmi...
    forse lasciarlo sulle scale è un modo di salvarmi
    E tu che hai preso in mano
    il filo del mio treno di legno,
    che per essere più grande avevo dato in pegno:
    e ti ho baciato sul sorriso per non farti male,
    e ti ho sparato sulla bocca invece di baciarti
    perchè non fosse troppo lungo il tempo di lasciarti:

    Forse non lo sai ma pure questo è amore.

    E l'alba sul Danubio a Marco parve fosforo e miele
    e una ragazza bionda forse gli voleva dire
    che l'uomo è grande, l'uomo è vivo,
    l'uomo non è guerra;
    ma i generali gli rispondono che l'uomo è vino,
    combatte bene e muore meglio
    solo quando è pieno.

    E il primo disse "Ah sì,
    non vuoi comprare il nostro giornale?!"
    e gli altri "Lo teniamo fermo tanto per parlare"
    ed io pensai - ora gli dico "Sono anch'io fascista" -
    ma ad ogni pugno che arrivava dritto sulla testa
    la mia paura non bastava a farmi dire basta.

    Forse non lo sai ma pure questo è amore

    Ed il più grande
    conquistò nazione dopo nazione,
    e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione
    perchè più in là
    non si poteva conquistare niente:
    e tanta strada per vedere un sole disperato,
    e sempre uguale e sempre
    Bello l'eroe con gli occhi azzurri dritto sopra la nave,
    ha più ferite che battaglie, e lui ce l'ha la chiave,
    Ha crocefissi e falci in pugno e bla bla bla fratelli,
    ed io ti ho sollevata figlia per vederlo meglio,
    io che non parto e sto a guardarti
    e che rimango sveglio.

    Forse non lo sai ma pure questo è amore.





    Ninni

    Incontrarvi seduti sopra quel treno
    tutti e quattro avevate vent'anni in meno
    come in fondo ad un buco
    che dà nel tempo;
    e cercare incollando paura e amore
    una scusa qualunque per non parlare:
    se mi guardano in faccia
    che gli racconto?

    Tu eri bella e parlavi coi tuoi bambini
    disegnavi sorrisi sui finestrini,
    lui segnava i cavalli da giocare
    e passò qualcosa di lieve,
    come sole in mezzo alla neve
    ed avrei voluto dirvi: "Sono io".
    Dirti: "Guardali bene, che cambieranno,
    com'è giusto domani ti lasceranno".
    Dire al piccolo: "Finch´ puoi
    stiamo insieme".
    Dire all'uomo che fuma senza parlaare:
    "Fuma piano, ti prego" e poi capire
    che il futuro è già stato
    e non può cambiare.
    E che il tempo mi passa e mi passa sopra,
    e tu entravi dicendo: "Vuoi che ti copra,
    Ninni, è tradi, fa freddo, stai già dormendo?"
    Ninni, Ninni, Ninni...

    Ninni è stanco, Ninni ha guardato
    Ninni ha pianto, Ninni ha perduto
    Ninni ha amato tanto da non amare più.

    Quante volte ho pensato di rinunciare
    e lasciargliela lì come fosse un gioco
    questa vita che è niente
    ma non è poco,
    quanti mezzi sorrisi ai miei ritorni,
    quante corse da scemo sui treni fermi
    quanti che chiamo
    e non si san più voltaare.

    Tu sei bella e mi guardi senza parlarmi,
    non ti sei neanche accorta di assomigliarmi,
    e non sai quanta voglia avrei di dirti
    che tuo figlio non è cambiato,
    era solo ma si è aspettato,
    ed è sempre come lo chiamavi tu
    Ninni, Ninni, Ninni...

    Altri testi su: http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_...inni_51794.html









    A te


    A te che avevi un gatto
    indifferente il giorno
    che son venuto a dirti
    domani non ritorno,

    A te che immaginavi
    ad ogni mia parola
    la vita di mia moglie
    che forse è sola:
    e ti sforzavi di non ricordare
    quell'uomo che tornava
    soltanto per picchiare
    tua madre che aspettava,
    quando scappavi a letto
    dicendo a tua sorella
    " Vedrai che passa tutto
    la vita è bella ";

    A te che gli anni e gli occhi
    si mentono ogni sera
    anche se negli specchi
    la vita è dura.

    A te che mi hai ascoltato
    cercando di capire
    uno che parla al buio
    e non sa cosa dire,

    A te che mi hai truccato
    il mazzo delle carte
    perchè vincessi ancora
    da qualche parte.

    A te con i tuoi "forse"
    e la tua Valentina
    che in fondo è solo il nome
    di una bambina

    A te che non c'è un solo uomo
    a cui non hai creduto,
    amando il suo dolore anche
    se si era addormentato,

    A te che nascondevi
    ridendo la paura
    che fosse solamente
    un'avventura;

    A te che mi dicevi
    " Sai chi ho scopato ieri? "
    per non farmi capire
    che ero nei tuoi pensieri

    A te che mi hai contato
    i passi sulle scale
    e viene sempre il giorno
    che non si sale:

    A te nemmeno un sogno
    nemmeno un'emozione
    A te non ho lasciato
    che una brutta canzone.




     
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128 replies since 28/9/2010, 16:34   9947 views
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