FIABE DI Gianni Rodari

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  1. gheagabry
     
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    ill. Alexia molino


    Filastrocca solitaria,

    voglio fare un castello in aria
    più su delle nubi, più su del vento
    un castello d’oro e d’argento.
    Con una scala ci voglio salire
    per sognare senza dormire
    e su un cartello farò stampare:
    “le cose brutte non possono entrare..”

    o filastrocca solitaria
    si starà bene lassù nell’aria:
    ma se un cartello scritto così
    lo mettessimo anche qui?

    Gianni Rodari

     
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  2. gheagabry
     
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    Il senso dell’utopia, un giorno,
    verrà riconosciuto tra i sensi umani alla pari con la vista, l’udito, l’odorato.
    Nell’attesa di quel giorno tocca alle favole mantenerlo vivo.

    Gianni Rodari

     
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  3. gheagabry
     
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    by Mar-ka

    I nomi delle stelle sono belli:
    Sirio, Andromeda, l’Orsa, i due Gemelli.
    Chi mai potrebbe dirli tutti in fila?
    Son più di cento volte centomila.
    E in fondo al cielo, non so dove e come,
    c’è un milione di stelle senza nome:
    stelle comuni, nessuno le cura, ma per loro la notte è meno scura

    (Gianni Rodari)

     
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  4. gheagabry
     
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    LA STRADA CHE NON ANDAVA IN NESSUN POSTO





    All’uscita del paese si dividevano tre strade:una andava verso il mare,la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Martino lo sapeva perchè l’aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva avuto la stessa risposta: -Quella strada li? Non va in nessun posto! È inutile camminarci. -E fin dove arriva? -Non arriva da nessuna parte -Ma allora perchè l’hanno fatta? -Manon l’ha fatta nessuno, è sempre stata li! -Ma nessuno è mai andato a vedere? -oh sei una bella testa dura! Se ti diciamo che non c’è niente da vedere… -Non potete saperlo se non ci siete stati mai. Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo “Martino Testadura” ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto. Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce ma per fortuna non pioveva da un pezzo così non c’erano pozzanghere; a destra e a sinistra si allungava una siepe ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca nella quale penetrava solo quà e là qualche raggio di sole a far da fanale. Cammina e cammina…la galleria non finiva mai,la strada non finiva mai. A Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane. -Dove c’è un cane c’è una casa- rifletté Martino- o perlomeno un uomo! Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani,poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora. -Vengo!Vengo!-diceva Martino incuriosito. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate e il fumo usciva da tutti i comignoli e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente: -Avanti!Avanti,Martino Testadura! -Toh!- si rallegrò Martino- io non sapevo che sarei arrivato..ma lei si! Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l’inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era bella!E vestita anche meglio delle fate, delle principesse e in più era proprio allegra e rideva. -Allora non ci hai creduto! -A che cosa? -Alla storia della strada che non andava in nessun posto -Era troppo stupida e secondo me ci sono anche più posti che strade! -certo!Basta aver voglia di muoversi!Ora vieni ti farò visitare il castello. C’erano più di cento saloni zeppi di tesori d’ogni genere, come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le loro ricchezze. C’erano diamanti pietre preziose,oro,argento e ogni momento la bella signora diceva: -Prendi! Prendi quello che vuoi! Ti presterò un carretto per portare il peso. Figuratevi se Martino si fece pregare! Il carretto era ben pieno quando egli ripartì.A cassetta sedeva il cane che era un cane ammaestrato e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada. In paese, dove l’avean già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda in segno di saluto, rimontò a cassetta e via, in una nuvola di polvere! Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici e dovette raccontare cento volte la sua avventura e ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto. Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro con la faccia lunga così per il dispetto: la strada per loro finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d’alberi, in un mare di spine. Non c’era più nè cancello, nè castello, nè bella signora perchè certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova e il primo era stato Martino Testadura.


    (Favole al telefono di Gianni Rodari- 1962)
     
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  5. gheagabry
     
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    Io so i colori dei mestieri:
    sono bianchi i panettieri,
    s’alzano prima degli uccelli
    e hanno la farina nei capelli;
    sono neri gli spazzacamini,
    di sette colori son gli imbianchini;
    gli operai dell’officina
    hanno una bella tuta azzurrina,
    hanno le mani sporche di grasso:
    i fannulloni vanno a spasso,
    non si sporcano nemmeno un dito,
    ma il loro mestiere non è pulito.

    (Gianni Rodari)



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    Edited by gheagabry - 4/7/2015, 21:30
     
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  6. gheagabry
     
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    IL CIELO E' DI TUTTI

    Qualcuno che la sa lunga
    mi spieghi questo mistero:
    il cielo è di tutti gli occhi
    di ogni occhio è il cielo intero.

    È mio, quando lo guardo.
    È del vecchio, del bambino,
    del re, dell'ortolano,
    del poeta, dello spazzino.

    Non c'è povero tanto povero
    che non ne sia il padrone.
    Il coniglio spaurito
    ne ha quanto il leone.

    Il cielo è di tutti gli occhi,
    ed ogni occhio, se vuole,
    si prende la luna intera,
    le stelle comete, il sole.

    Ogni occhio si prende ogni cosa
    e non manca mai niente:
    chi guarda il cielo per ultimo
    non lo trova meno splendente.

    Spiegatemi voi dunque,
    in prosa od in versetti,
    perché il cielo è uno solo
    e la terra è tutta a pezzetti.

    - Gianni Rodari, Il cielo è di tutti

     
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  7. gheagabry
     
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    Marco Enaudi

    Giovannino Perdigiorno era un grande viaggiatore.
    Viaggia e viaggia, una volta capitò in un paese dove gli spigoli delle case erano rotondi, e i tetti non finivano a punta ma con una gobba dolcissima.
    Lungo la strada correva una siepe di rose e a Giovannino venne lì per lì l’idea di infilarsene una all’occhiello.
    Mentre coglieva la rosa faceva molta attenzione a non pungersi con le spine, ma si accorse subito che le spine non pungevano mica, non avevano punta e parevano di gomma, e facevano il solletico alla mano.
    - Guarda, guarda, – disse Giovannino ad alta voce.
    Di dietro la siepe si affacciò una guardia municipale, sorridendo.
    - Non lo sapeva che è vietato cogliere le rose?
    - Mi dispiace, non ci ho pensato.
    - Allora pagherà soltanto mezza multa, – disse la guardia, che con quel sorriso avrebbe potuto benissimo essere l’omino di burro che portava Pinocchio al Paese dei Balocchi.
    Giovannino osservò che la guardia scriveva la multa con una matita senza punta, e gli scappò di dire:
    - Scusi, mi fa vedere la sua sciabola?
    - Volentieri, – disse la guardia.
    E naturalmente nemmeno la sciabola aveva la punta.
    - Ma che paese è questo? – domandò Giovannino.
    - Il Paese senza punta, – rispose la guardia, con tanta gentilezza che le sue parole si dovrebbero scrivere tutte con la lettera maiuscola.
    - E per i chiodi come fate?
    - Li abbiamo aboliti da un pezzo, facciamo tutto con la colla. E adesso, per favore, mi dia due schiaffi. Giovannino spalancò la bocca come se dovesse inghiottire una torta intera.
    - Per carità, non voglio mica finire in prigione per oltraggio a pubblico ufficiale. I due schiaffi, semmai, dovrei riceverli, non darli.
    - Ma qui usa così, – spiegò gentilmente la guardia, – per una multa intera quattro schiaffi, per mezza multa due soli.
    - Alla guardia?
    - Alla guardia.
    - Ma è ingiusto, è terribile.
    - Certo che è ingiusto, certo che è terribile, – disse la guardia. – La cosa è tanto odiosa che la gente, per non essere costretta a schiaffeggiare dei poveretti senza colpa, si guarda bene dal fare niente contro la legge. Su, mi dia quei due schiaffi, e un’altra volta stia più attento.
    - Ma io non le voglio dare nemmeno un buffetto sulla guancia: le farò una carezza, invece.
    - Quand’è così, – concluse la guardia, – dovrò riaccompagnarla alla frontiera.
    E Giovannino, umiliatissimo, fu costretto ad abbandonare il Paese senza punta.
    Ma ancor oggi sogna di poterci tornare, per viverci nel più gentile dei modi, in una bella casetta col tetto senza punta.


    Gianni Rodari

     
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  8. gheagabry
     
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    Invenzione dei francobolli.

    Non capisco perchè
    la colla dei francobolli
    la fanno sciapa,
    sapor di rapa.
    Avanti, chi inventa
    i francobolli al ribes
    e quelli alla menta?
    Oh, che passione
    i francobolli al limone…
    Che delizia, che rarità
    i francobolli al ratafià.
    (Gianni Rodari)
     
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  9. gheagabry
     
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    La macchina per fare i compiti

    di Gianni Rodari



    Un giorno bussò alla nostra porta uno strano tipo: un ometto buffo vi dico alto poco più di due fiammiferi. Aveva in spalla una borsa più grande di lui.
    - Ho qui delle macchine da vendere - disse.
    - Fate vedere - disse il babbo.
    - Ecco, questa è una macchina per fare i compiti. Si schiaccia il bottoncino rosso per fare i problemi, il bottoncino giallo per svolgere i temi, il bottoncino verde per imparare la geografia: La macchina fa tutto da sola in un minuto.
    -Compramela, babbo!-dissi io.
    -Va bene, quanto volete?
    -Non voglio denari-disse l’omino.
    -Ma non lavorerete mica per pigliar caldo!
    -No, ma in cambio della macchina voglio il cervello del vostro bambino
    -Ma siete matto!-esclamò il babbo.
    -State a sentire, signore – disse l’omino, sorridendo. -Se i compiti glieli fa la macchina, a che cosa gli serve il cervello? -Comprami la macchina. Babbo! Implorai.- Che cosa ne faccio del cervello? Il babbo mi guardò un poco e poi disse:-Va bene, prendete il suo cervello.
    L’omino mi prese il cervello e se lo mise in una borsetta. Com’ero leggero, senza cervello! Tanto leggero che mi misi a volare per la stanza, e se il babbo non mi avesse afferrato in tempo sarei volato giù dalla finestra.
    -Bisognerà tenerlo in gabbia- disse l’ometto.
    -Ma perché?-domandò il babbo.
    -Non ha più cervello, ecco perché. Se lo lasciate andare in giro, volerà nei boschi come un uccellino, e in pochi giorni morirà di fame!
    Il babbo mi rinchiuse in una gabbia, come un canarino. La gabbia era piccola, stretta, non mi potevo muovere. Le stecche mi stringevano tanto che…alla fine mi svegliai spaventato. Meno male che era stato solo un sogno!
    Vi assicuro che mi sono subito messo a fare i compiti.

     
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  10. gheagabry
     
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    IL SIGNOR BOEMONDO



    Il Signor Boemondo è un uomo buffo. Che cosa non immagina per far divertire i bambini?
    Eccolo in treno: davanti a lui siedono i bambini e cominciano già a bisticciarsi perchè tutti vogliono il posto vicino al finestrino.
    -Pace, pace- esclama il signor Boemondo. -Facciamo invece un bel gioco.-
    I bambini si preparano al bel gioco.
    -Ora voltatevi un momento, guardate solo quando io ve lo dirò.-
    I bambini si voltano e guardano: il papà non c'è più. Al suo posto è seduta una vecchia signora con un pappagallo sulla spalla. Il pappagallo ha le penne verdi e gialle strilla forte:-Voglio stare al finestrino, voglio stare al finestrino.-
    I bambibi ridono fino alle lacrime, così non si accorgono che la vecchia signora è scomparsa, e al suo posto un frate si accarezza la barba lunga fino a terra. Egli guarda severamente i bambini, che diventano subito muti come pesci.
    -Eh, eh,- fa il frate.
    I bambini stanno zitti. -Eh, eh,- fa ancora il frate. I bambini stanno per piangere, si guardano la punta delle scarpe, così non vedono quando il frate scompare anche lui. Quando alzano gli occhi, un signore piccolissimo saltella sul sedile e ride come un pazzerello.
    I bambini ridono.
    -Come vi chiamate, signore piccolo piccolo?-
    -Mi chiamo Boiardo.-
    -Perchè?-
    -Perchè mi piace il lardo.-
    -Che stupidaggini.- borbotta una vechhia signora vestita di arancione.
    Ma i bambini ridono come matti. L'ometto comincia a gonfiarsi, si gonfia sempre più. O Signore, come diventa alto e grosso! Op, là. E' Ridiventato il signor Boemondo, i bambini abbracciano felici il papaà.
    La signora vestita di arancione protesta:
    -Non dovrebbe essere permesso in treno fare certe sciocchezze.-
    -E' vietato fumare, è vietato sputare, ma io non fumo e non sputo,- dice il signor Boemondo. La gente ride. La vecchia signora si arrabbia e vorrebbe far chiamare il controllore.
    Per fortuna siamo arrivati.
    Però prima di scendere il signor Boemondo si soffia il naso. Come fa? Si stacca il naso dalla faccia e lo strofina ben bene nel fazzoletto: intanto guarda la signora vestita di arancione e le strizza l'occhio. La gente ride. Soltanto la signora diventa rossa come una bandiera e si volta dall'altra parte. Il signor Boemondo si riattacca il naso: poi, lui e i bambini in fila, discendono dal treno e se ne vanno.

     
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  11. gheagabry
     
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    LA CASA DEL SIGNOR VENCESLAO



    Quando meno ve lo aspettate, alzando la testa vedete passare a gran velocità la casa del signor Venceslao. La casa intera, dal tetto alle fondamenta, vi passa sulla testa dondolando dolcemente come un aeroplano. Il comignolo manda un fumo nerastro che si allunga come quello di una locomotiva. sotto la casa sono appesi sacchi di carbone, bottiglie di vino, vecchie damigiane: la cantina,insomma. Il signor Venceslao, affacciato ad una finestra del primo piano, accarezza la pipa, pensieroso e non si accorge di voi. La gente guarda in su e dice: “Il signor Venceslao é diventato matto. Guardate se è la maniera di andarsene in giro come se la sua casa fosse un aeroplano.” “Bisognerebbe avvertire la polizia,” dice qualcuno “perché il signor Venceslao non ha il brevetto di pilota e, potrebbe far succedere qualche guaio.” La casa attraversa in pochi minuti il cielo e scompare dietro la collina. Dopo un poco riappare, attraversa il cielo in senso contrario, discende verso terra e si ferma vicino al villaggio, cento metri dietro la chiesa, insomma nel luogo dove la casa é stata fabbricata. “Ecco” dice la gente “il signor Venceslao ha finito la sua passeggiata.” Il signor Venceslao sta alla finestra e fuma la pipa. “Ha qualche rotella della testa che non funziona” dice la gente. Queste passeggiate il signor Venceslao le fa sempre verso sera. Siete lì a parlare con lui tranquillamente, lui seduto alla finestra del piano terreno e, improvvisamente lui vi saluta con la mano, la casa con un fischio sottile si stacca dalle fondamenta e si innalza nel cielo. Fa due o tre giri intorno al campanile, poi si dirige verso le colline.

    Gianni Rodari

     
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  12. gheagabry
     
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    La pianta di Paolino



    Il contadino Pietro rimase molto meravigliato quando gli nacque un bambino con i capelli verdi. Pietro aveva visto gente con i capelli neri, biondi e rossi; aveva anche sentito parlare di una certa fata dai capelli turchini, ma capelli verdi proprio non ne aveva mai visti. Le donne che venivano a vedere il bambino dicevano: — Sembra che abbia in testa l'insalata. — Così il bambino fu battezzato: Paolino lo chiamò il padre, Paolino Insalata lo chiamarono le donne. Furono fatti venire dei dottori a vedere quei capelli: dissero che non era niente, scrissero una ricetta, se ne andarono e i capelli rimasero verdi come prima. Quando il bambino ebbe due anni andò nei prati assieme al nonno a pascolare una capretta. Ed ecco che, ad un tratto, la capretta gli si avvicinò, e sotto gli occhi del nonno gli brucò via in quattro e quattr'otto tutti i capelli, lasciandogli la testa rasata come un prato appena falciato.
    Cosi si poté capire che i capelli verdi di Paolino non erano capelli verdi ma erba, una bella erbetta fresca e soffice che cresceva molto in fretta. — Potrai mantenere una capra anche in mezzo al mare — rise il padre di Paolino.
    A primavera, tra il verde, proprio in mezzo alla testa, apparve una bella margherita gialla. Tutti venivano da lontano per vedere il bambino a cui crescevano le margherite in testa.
    Paolino diventò un giovinetto e una volta commise una cattiva azione: subito invece della bella erbetta gli spuntò sulla testa un ciuffo di gramigna folta e spinosa. Paolino si vergognava molto di andare in giro con quelle erbacce che gli ricadevano sugli occhi: perciò in seguito procurò di non commettere mai cattive azioni.
    Col passare degli anni cominciò a crescere, in mezzo all'erba, una pianticina: si scopri che era una quercia, e che diventava sempre più robusta e forte con l'invecchiare di Paolino. A cinquant'anni era un bel querciolo. Paolino non aveva bisogno di piante per stare all'ombra, d'estate: gli bastava quella che gli cresceva in testa, che dava un'ombra fresca e ventilata.
    Quando Paolino ebbe ottant'anni, la quercia era diventata tanto grande che gli uccelli vi facevano il nido, i bambini vi si arrampicavano a giocare tra i rami, i mendicanti che entravano nel cortile, per chiedere un uovo o un po' d'acqua, si riposavano un po' all'ombra di Paolino e non finivano mai di lodarlo per la sua bontà. Quando morì, Paolino fu sepolto in piedi, di modo che la pianta potesse continuare a vivere e crescere all'aria aperta. Ora è una vecchissima quercia frondosa e la chiamano la "pianta Paolino". Tutt'in giro ci hanno messo una panchina verniciata di verde, le donne vi si siedono a far la calza, i contadini a mangiare la minestra e a fumare la pipa.
    I vecchi restano li seduti fin che viene il buio: si vedono i fornelli rossi delle loro pipe. Prima di andare a dormire salutano il loro amico Paolino:
    — Buona notte, Paolino, eri proprio un bravo ragazzo.

     
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  13. gheagabry
     
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    Il naso che scappa


    ill elenaangelini

    Il signor Gogol ha raccontato la storia di un naso di Leningrado, che se ne andava a spasso in carrozza e ne combinava di tutti i colori.
    Una storia del genere è accaduta a Laveno, sul Lago Maggiore. Una mattina un signore che abitava proprio di fronte al pontile dove si prendono i battelli si alzò, andò in bagno per farsi la barba e nel guardarsi allo specchio gridò:
    “Aiuto! Il mio naso!”
    Il naso, in mezzo alla faccia, non c’era più, al suo posto c’era tutto un liscio. Quel signore, in vestaglia come stava, corse sul balcone, giusto in tempo per vedere il naso che usciva sulla piazza e si avviava di buon passo verso il pontile, sgusciando tra le automobili che si stavano imbarcando sulla motonave traghetto per Verbania.
    “Ferma, ferma!” gridò il signore. “Il mio naso! Al ladro, al ladro!”
    La gente guardava in su e rideva:
    “Le hanno rubato il naso e le hanno lasciato la zucca? brutto affare”.
    A quel signore non rimase che scendere in strada e inseguire il fuggitivo, e intanto si teneva un fazzoletto davanti alla faccia come se avesse il raffreddore. Purtroppo arrivò appena in tempo per vedere il battello che si staccava dal pontile. Il signore si buttò coraggiosamente in acqua per raggiungerlo, mentre passeggeri e turisti gridavano: Forza! Forza! Ma il battello aveva già preso velocità e il capitano non aveva nessuna intenzione di tornare indietro per imbarcare i ritardatari.
    “Aspetti l’altro traghetto”, gridò un marinaio a quel signore, “ce n’è uno ogni mezz’ora!”
    Il signore, scoraggiato, stava tornando a riva quando vide il suo naso che, steso sull’acqua un mantello, come San Giulio nella leggenda, navigava a piccola velocità.
    “Dunque non hai preso il battello? E’ stata tutta una finta?” gridò quel signore.
    Il naso guardava fisso davanti a sé, come un vecchio lupo di lago, e non si degnò neanche di voltarsi.
    Il mantello ondeggiava dolcemente come una medusa.
    “Ma dove vai?” gridò il signore.
    Il naso non rispose, e il suo disgraziato padrone si rassegnò a raggiungere il porto di Laveno e a passare in mezzo a una folla di curiosi per tornare a casa, dove si tappò, dando ordine alla domestica di non lasciar entrare nessuno, e passava il tempo a guardarsi nello specchio la faccia senza naso.
    Qualche giorno dopo un pescatore di Ranco, tirando su la rete, si trovò il naso fuggitivo, che aveva fatto naufragio in mezzo al lago perchè il mantello era pieno di buchi, e pensò di portarlo al mercato di Laveno.
    La serva di quel signore, che era andata al mercato per comprare il pesce, vide subito il naso, esposto in bella vista in mezzo alle tinghe e ai lucci.
    “Ma questo è il naso del mio padrone!” esclamò inorridita. “Datemelo subito che glielo porto”.
    “Di chi sia non so”, dichiarò il pescatore, “io l’ho pescato e lo vendo”.
    “A quanto?”
    “A peso d’oro, si sa. E’ un naso, non è mica un pesce persico”.
    La domestica corse a informare il suo padrone.
    “Dagli quello che domanda! Voglio il mio naso!”
    La domestica fece il conto che ci voleva un sacco di denaro, perchè il naso era piuttosto grosso: ci volevano tremendamila lire, tredici tredicioni e mezzo. Per mettere insieme la somma dovette vendere anche i suoi orecchini, ma siccome era molto affezionata al suo padrone li sacrificò con un sospiro.
    Comprò il naso, lo avvolse in un fazzoletto e lo portò a casa. Il naso si lasciò ricondurre buono buono, e non si ribellò nemmeno quando il suo padrone lo accolse tra le mani tremanti.
    “Ma perchè sei scappato? Che cosa ti avevo fatto?”
    Il naso lo guardò di traverso arriciandosi tutto per il disgusto, e disse: ” Senti, non metterti mai più le dita nel naso. O almeno tagliati le unghie”

    Gianni Rodari

     
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  14. gheagabry
     
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    IL BIGLIETTO NUMERO 13



    Quando vado al tram, io trovo sempre un signore antipatico, con la testa come un uovo e il naso ad uncino, piccolo piccolo che si fa fatica a vederlo e così noioso vhe dà fastidio a tutti.
    Il tranviere gli dà il biglietto.
    - Non lo voglio! - strilla il signore antipatico.
    Il tranviere domanda gentilmente - Perchè?
    -Perchè il biglietto numero 13 e porta fortuna.
    Il tranviere è tanto cortese e si mette a spiegagli che non è vero che il 13 porta fortuna, che bisogna credere a quelle storie.
    - Lei stia zitto! - grida il signore con la testa a uovo di gallina. - Io sono un signore molto importante e ho più ragione di lei!
    Tanto per non litigare il tranviere gli cambia il biglietto e gliene dà uno col numero 14.
    - Se lo tenga! Se lo tenga! - urla il signore antipatico. Fa dei salti come se gli avessero pestato un callo.
    - Ma perchè? -domanda stupito il tranviere.
    - Perchè è giallo! Se non e verde non lo voglio!
    - Non ne ho di biglietti verdi.
    - Ce li ha si. Ma ce li ha nella borsa e non ha voglia di tirarli fuori. Lei non ha voglia di lavorare!
    Il tranviere, sempre gentile, lo fa guardare nella borsa: biglietti verdi non ce ne sono.
    Il signore noioso sembra quietarsi un momento, ma ecco che sale il controllore a bucare i biglietti. - Mi ha fatto il buco storto! - urla il signore noioso, saltabeccando.- Con questi tranvieri è ora di finirla!
    - Che cosa le è successo? - si informa il controllore.
    - Guardi qui: lei non è capace di fare niente, i buchi si fanno rotondi. Farò reclamo sui giornali. I cittadini sono stufi dei buchi storti.
    Il controllore è una bravissima persona e non si arrabbia. Allora il signore antipatico se la prende col manovratore:
    - Lei, volti subito nella prima strada a destra!
    - E' vietato parlare al manovratore, gli dici io, sorridendo
    - Si impicci dei fatti suoi. Manovratore, le ho detto di voltare a destra.
    - Ma non posso: non vede che non ci sono rotaie?
    - Non me ne importa un fico secco: ho pagato il biglietto, abito nella prima strada a destra e voglio che lei mi porti là.
    Ha capito bene!
    - Non sono mica sordo. Ma il tram non può passare in una strada dove non ci sono le rotaie. Come fa?
    - Basta - strilla il signore antipatico con la sua vocetta di clarino stonato. - Basta così. I tranvieri sono tutti dei fannulloni. Scriverò al Prefetto e vedrete cosa succederà! Fatemi scendere subito!
    - Ma qui non c'è fermata - osserva il tranviere, senza perdere la pazienza.
    -Prepotente! Prepotempaccio! - urla il signore antipatico.
    Alla fermata successiva, scende con tanto impeto che casca a terra. ed ecco il tranviere rimetterlo in piedi, cercandogli gli occhiali, pulirgli il cappotto sporco di polvere.
    - Mi lasci stare! non mi tocchi o chiamo la polizia - gridò l'omiciattolo.
    E corre a scrivere ai giornali che i tranvieri sono brutti e cattivi. Voi cosa ne dite?

    di Gianni Rodari

     
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  15. gheagabry
     
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    La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi;
    essa ci può dare delle chiavi
    per entrare nella realtà per strade
    nuove, può aiutare il bambino
    a conoscere il mondo.

    Gianni Rodari

     
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101 replies since 22/8/2010, 17:49   49557 views
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