MITOLOGIA EGIZIA

7 LUGLIO 2010

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  1. gheagabry
     
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    Horo, che significa probabilmente "Il lontano" (Bresciani), è una divinità celeste egizia che ha la sua ipostasi nel falco.

    Horo (o Horus) è la forma latina del nome egizio Hr (nella scrittura egizia non sono rappresentate le vocali) la cui lettura è Heru oppure Hor

    n alcuni miti, Horo è considerato figlio della dea-vacca Hathor, il cui nome significa letteralmente casa di Horo.
    Il mito però maggiormente famoso è quello che lo vuole figlio di Osiride ed Iside e vendicatore del padre nei confronti di Seth, il quale gli tolse un occhio durante lo scontro.
    Durante il lungo periodo della civiltà egizia l'Horo di Hierakonpolis assorbe, con un meccanismo di sincretismo, svariate altre divinità locali aventi caratteristiche simili che infine divennero aspetti diversi di una sola figura.
    Le forme sincretiche più comuni erano:Harakhti, Hornedjitef, Harsiesi, Harmakhis, Haroeris, Harpocrates, Harsomtus e Hurum ma ve ne sono anche con gli dei solari Ra, Atum e Aton di cui la più conosciuta è quella di Ra-Harakhti.
    I figli di Horo sono quattro divinità protettrici dei vasi canopi, i contenitori delle viscere nel processo di imbalsamazione.
    Presso i Greci e i Romani fu noto con il nome di Arpocrate e rappresentato come un bambino con un dito in bocca, gesto interpretato come un invito al silenzio.
    Dall'etimologia del nome e dal suo aspetto di uccello, si deduce che Horo fosse una divinità del cielo: i suoi occhi simboleggiano luna e sole, il cui viaggio nel cielo è dovuto al volo di Horo. Inoltre il mito dello scontro tra Horo e Seth spiega la minore luminosità della luna rispetto al sole col fatto che l'occhio lunare sarebbe quello staccato da Seth in combattimento e in seguito riposizionato dal dio della magia Toth.




    La teoria del parallelismo tra Horus e Gesù

    La teoria si basa sugli studi compiuti da Gerald Massey. Le teorie di Massey ispireranno anche il teosofo Alvin Boyd Kuhn. Massey fu esponente della massoneria e le sue opere sono ancora oggi testi di riferimento della Società Teosofica , movimento religioso-filosofico fondato da Helena Blavatsky. Poeta e appassionato di civiltà egizia, Massey apprende da autodidatta l’arte di decifrare i geroglifici. La sua teoria che vuole instaurare un parallelismo tra la vita di Horus e quella di Gesù si basa su un rilievo che si trova a Luxor, che lui esamina e interpreta nell'opera The Historical Jesus and The Mythical Christ, anche se per affermare questa tesi non vi sono altre fonti di riferimento.



    In questo rilievo si leggerebbe l’annunciazione, l'immacolata concezione della dea Iside, la nascita ed adorazione di Horus. Questa sua interpretazione contrasta con quella degli egittologi[2] e non è stata mai confermata da altre fonti. Le sue opere, che tentano di stabilire un più generale parallelismo tra ebraismo, cristianesimo e religione egizia, sono assolutamente disconosciute dalla moderna egittologia e non sono menzionate nell'Oxford Encyclopedia of Ancient Egypt o in qualche altra opera di riferimento di questa branca accademica. Massey non è infatti nominato né in "Who Was Who in Egyptology" di M. L. Bierbrier (III ed., 1995), attuale lista degli egittologi internazionali di riferimento, né tanto meno nella più estesa bibliografia sull'antico Egitto stilata da Ida B. Pratt (1925/1942), universalmente riconosciuta dalla comunità internazionale degli egittologi.
    Errato è anche il parallelo con il dogma cattolico dell'immacolata concezione: nella religione cattolica l'immacolata concezione si riferisce al concepimento di Maria senza peccato originale e non alla nascita verginale di Gesù Cristo.
    Nel 1999 la storica e archeologa D.M. Murdock riporta in auge questa "teoria" nel The Christ Conspiracy pubblicato con lo pseudonimo di Acharya. L'opera è stata anche utilizzata come base della prima parte del film web Zeitgeist. In un capitolo del suo libro l'autrice mette in luce delle somiglianze notevoli che intercorrerebbero tra la figura di Gesù Cristo e quella di Horus. In questo ripercorre sostanzialmente le tesi di Massey sul parallelismo Horus/Gesù. La questione relativa all'attendibilità delle sue tesi è tuttora molto controversa e il dibattito molto acceso. La Murdock non ha una formazione accademica da egittologa ed una delle critiche fondamentali che le si rivolgono è di non aver attinto da fonti primarie ma di aver utilizzato fonti poco attendibili come Ancient Egypt: The Light of the World di Gerald Massey. Nel suo ultimo libro Christ in Egypt (Ed. 2009) l'autrice replica che il suo lavoro non si ispirerebbe a quello di Massey (sebbene a distanza di cento anni risulterebbe sostanzialmente corretto) ma su molteplici fonti di egittologi tra cui cita Margaret Murray, egittologa e antropologa vissuta negli anni '30, che nel libro "Il Dio delle streghe" si è occupata di stregoneria medievale cercando di trovare le sue radici nel periodo pre-cristiano. Anche la storicità del lavoro della Murray è ancora molto discussa e le sue argomentazioni sono oggi aspramente criticate in ambito accademico: tra gli storici che criticano la sua impostazione di ricerca e quindi i risultati raggiunti ci sono Norman Cohn, Ronald Hutton, G. L. Kittredge, Keith Thomas, J. B. Russell e Carlo Ginzburg. Questo getta ulteriori ombre sulla canonicità storico/scientifica dell'opera della D.M. Murdock. Si consideri inoltre che, analogamente a quanto affermato dagli egittologi in relazione alle tesi di Massey, la ricostruzione della vita di Iside e Horus fatta dalla Murdock è in aperto contrasto con i risultati raggiunti dall'attuale egittologia e non trova riscontri nella narrazione delle vicende di Horus e Iside come narrate nella mitologia egizia .
    L'unica fonte di riferimento per questa tesi resterebbe quindi l'iscrizione di Luxor, sopra indicata, in una traduzione e interpretazione considerata dagli egittologi moderni totalmente fallace, che non trova altri referenti se non il succitato Massey.



    L'autrice sostiene di aver ritrovato questi motivi nel corso dei suoi studi e di averli poi riordinati in una specie di racconto evangelico per mettere in luce le somiglianze di fondo. Ecco alcune delle presunte analogie individuate dalla Murdock nel suo libro :
    fu annunciata la sua nascita alla madre dall'angelo Thot, che le comunicò anche che il figlio sarebbe stato concepito verginalmente nacque in una grotta il 25 dicembre dalla vergine Iside

    .fu chiamato il "Santo Bambino" ed era noto con molti nomi, tra cui: "La Verità", "La Luce", "La Vita", "L'Unto Figlio di Dio" e il "Buon Pastore", "L'Agnello", "La Stella del Mattino"

    .Sapeva volare e cantare

    .Horus nacque a Annu, il "posto del pane", mentre Gesù nacque a Bethleem, la "casa del pane"

    .assieme a Iside e Osiride, Horo costituisce un membro della trinità egizia.




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    I gatti nell'antico Egitto





    Nell'Antico Egitto i gatti domestici erano adorati e raffigurati in dipinti, sculture e incisioni. Gli Antichi Egizi tenevano in grande considerazione questo animale, tanto che lo scelsero per rappresentare Bastet, un'antica divinità della mitologia egizia, di norma raffigurata con corpo di donna e testa di gatto.
    Anche Sekhmet, sorella di Bastet è raffigurata con parti anatomiche di gatto. Il gatto condivideva con Bastet la fertilità e la chiaroveggenza, mentre con Sekhmet la preveggenza. Sekhmet, che rappresentava la giustizia e la potenza in guerra, veniva interrogata dai sacerdoti per conoscere i piani del nemico e quindi aiutare i soldati in battaglia.
    I gatti erano considerati animali sacri al punto che, se accidentalmente ne veniva ucciso uno, lo sfortunato responsabile doveva essere punito con la morte.
    In caso di incendio o qualsiasi emergenza che richiedeva l'evacuazione di un'abitazione, il gatto doveva essere salvato prima di ogni altro membro della famiglia e degli oggetti che si trovavano nella casa. Quando un gatto moriva, per le persone a esso legate cominciava un lungo periodo di lutto, caratterizzato dalla rasatura delle sopracciglia e dalla percussione di gong funebri per esprimere il dolore. Gli Egizi credevano che anche per il gatto esistesse l'aldilà e perciò anch'essi venivano mummificati e, quindi, sepolti, con tanto di funerale.
    In una tomba del 1700 a.C. circa, furono trovati diciassette scheletri di gatto, ognuno dei quali era stato provvisto di una ciotola per il latte che ne assicurava la sopravvivenza nell'aldilà, insieme a topi e piccoli animali mummificati.
    Nell'antica città di Beni Assan in un solo cimitero furono rinvenute più di trecentomila piccole mummie.





    Sembra che il gatto sia stato addomesticato intorno al 2000 a.C., nell'antico Egitto. Fino ad allora era vissuto allo stato selvatico. Gli Egizi amavano la sua presenza amichevole e le sue qualità di cacciatore di topi, mentre il gatto adorava essere oggetto delle loro attenzioni. A partire dal 1567 a.C., il gatto divenne un animale sacro, considerato come manifestazione della dea Bastet. Nell'antico Egitto, uccidere un gatto era un reato punibile con la morte.





    Bastet era la dea che per gli Egizi rappresentava e incarnava la femminilità, la luna e la fecondità. Era fermata in effige con una testa di gatto, animale sacro in tutto l’antico Egitto, al quale venivano dedicati templi, cortei funebri pubblici, poesie e invocazioni, e i cui resti mortali erano degni di essere mummificati. Accanto alle mummie dei piccoli felini venivano posti dei topi perché avessero cibo per l’eternità. In origine Bastet era una divinità del culto solare, ma con l’avvento dell’influenza greca sulla società egiziana, divenne una dea lunare, in quanto i greci la identificarono con Artemide. Bastet, a partire dalla II Dinastia, venne raffigurata come un gatto selvatico del deserto oppure come una leonessa. Fu rappresentata come un felino domestico solo intorno al 1000 a.C., quando, probabilmente, i gatti divennero stabilmente domestici. Il suo principale centro di culto si trovava a Bubastis, nel delta di nord-est del Nilo, dove furono ritrovati molti templi a lei dedicati e moltissimi gatti mummificati. Il giorno dedicato alla dea Bastet, giorno di festa dove la gioia giungeva all’estasi, era il 31 Ottobre. Si beveva e si ballava a dismisura e i bambini non potevano partecipare. Sul Nilo galleggiavano chiatte piene di donne. Si dice che si trattassero di riti sensuali-sessuali, accompagnati da musica e danze.


    Che gli antichi Egizi venerassero il gatto ed altri animali, attribuendo loro proprietà e poteri divini, è noto.
    Quello che ha sempre affascinato il mondo intero è il processo di mummificazione in grado di mantenere il corpo in ottime condizioni a distanza di millenni. Si sapeva che questo procedimento non era riservato soltanto all’uomo, ma veniva applicato anche sugli animali che ne seguivano il viaggio oltre la vita terrena. Si pensi soltanto che nel 1850 è stato ritrovato un cimitero che ospitava oltre 3000 mummie feline. Ciò che hanno scoperto recentemente gli studiosi dell’università di Bristol è decisamente sorprendente. Si pensava che i gatti e gli altri animali venissero semplicemente avvolti in drappi di lino o tutt’al più immersi nella resina e poi fasciati nel tessuto. Invece i ricercatori britannici hanno scoperto, utilizzando raffinate tecniche di cromatografia e spettrometria di massa, che questi animali subivano gli stessi procedimenti destinati ai loro proprietari. Le analisi sono state effettuate su quattro mummie animali: un gatto, due falchi e un ibis. I risultati sono stati pubblicati su Nature.

    Prima di prendere in considerazione le conclusioni di queste ricerche converrà fare un passo indietro. Il clima caldo e secco dell’Egitto permetteva di mantenere i corpi nella sabbia per secoli, ma quando iniziò la costruzione di tombe complesse il corpo non era più a contatto con la sabbia e si dovette inventare un procedimento che lo conservasse. I sacerdoti imbalsamatori avevano un ruolo sociale molto elevato nella società egizia. Erano coloro che si occupavano dei defunti, ma dobbiamo ricordare che, per gli antichi egizi, la morte era solo un periodo di transizione tra due vite. Il procedimento di mummificazione era lungo e complesso. Con la mano di fini chirurghi i sacerdoti praticavano incisioni per sviscerare il corpo, badando bene a non toccare il cuore che doveva controllare la “vita” nell’al di là. L’immersione in bicarbonato di sodio e sale per due mesi lo rendeva secco, dopo di che veniva riempito di segatura, pepe, cipolle, stoffe e altre sostanze volte a dargli una sembianza di vita. Quindi veniva lavato e spalmato di oli balsamici e profumi conservati in preziosi vasi di alabastro. Ogni parte del corpo doveva essere trattata con un olio diverso. Una volta cosparso di incenso si procedeva alla bendatura, non prima di avere messo due globi di cristallo al posto degli occhi. Anche la bendatura era procedimento complesso che utilizzava speciali resine e amuleti utili alla dea protettrice per assicurare la resurrezione del defunto. Infine la mummia veniva depositata in sarcofagi doppi o tripli coperti di papiri e preziosi vari. La procedura, che raggiungeva vertici di vera e propria alchimia quando si trattava di un faraone, decadde con l’avvento del cristianesimo e venne proibita all’imperatore Teodosio nel 392.



    I ricercatori inglesi hanno trovato, sul corpo delle mummie studiate, innumerevoli sostanze organiche tra cui cera vergine, gomma dolce, resine vegetali e oli balsamici utilizzati di routine per i parenti (umani) degli animali. Sono state trovate anche tracce di bitume che serviva come repellente per l’acqua, o per colorare di nero le mummie (il colore nero rappresentava la vita). Gli egizi trattavano i loro animali di casa (e anche molti selvatici) con enorme rispetto e lo studio delle mummie ci indica quale grado di benessere essi ricevessero dai loro proprietari. Un po’ come ai nostri tempi.

    Chiunque fosse stato causa di morte di un gatto, anche accidentale, la condanna poteva essere anche la pena capitale.
    Successivamente i corpi dei gatti morti venivano imbalsamati. E' stato stimato che, in Egitto, sono state ritrovate più mummie di gatto che di uomini. Sulle bende erano disegnati il muso, con gli occhi, il naso ed i baffi. Dalle mummie e dai dipinti si può rilevare che a quei tempi esistevano due tipi morfologici di gatto: uno con il muso allungato e le orecchie lunghe ed un altro con muso corto ed orecchie piccole. Il pelo non presentava differenze, era corto, pezzato o tigrato rosso e nero.

    I gatti che vivevano nei templi, ritenuti sacri e quelli delle classi elevate, dopo essere stati imbalsamati venivano deposti in sarcofaghi con ricchi ornamenti e con un topolino affinché lo accompagnasse fino nell'aldilà.





    Il motivo di questa regale considerazione può avere una duplice motivazione. La prima è la tendenza di questo popolo a divinizzare le cose e gli esseri che li circondavano per spiegarsi le vicende ed i fattori naturali. La seconda è la capacità del gatto ad eliminare i roditori che minacciavano le scorte di cereali, principale fonte di sostentamento e ricchezza.
    Il ritualismo e la mitologia creatasi attorno al gatto hanno fatto si che i gatti godessero di favori superiori alla loro capacità di tenere sotto controllo i roditori.
    La popolazione ben presto iniziò a credere, aiutata senza dubbio dai preti, che i gatti avessero influenza diretta sulla salute, sui matrimoni, sulla fortuna e su altri aspetti della vita.

    Numerose sono le citazioni che lo intessano:
    - Erodoto narra che in caso d'incendio la prima preoccupazione degli egiziani era per i gatti, venivano salvati per primi, se poi c'era ancora tempo si pensava alla gente.
    - Nel 500 a.C. un re persiano, Cambise, in guerra contro gli egizi, utilizzò un bizzarro espediente: sfruttando il culto di questo popolo per i gatti fece precedere le proprie truppe da una moltitudine di felini che impedirono agli egizi di combattere per paura di ferirli con la più pacifica delle vittorie per Cambise.
    - Nel 50 a.C. un cittadino romano fu lapidato in Egitto dalla folla impaurita perchè aveva, involontariamente, ucciso un gatto per strada.



    (dal web)

    Edited by gheagabry - 9/6/2011, 20:44
     
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  6. gheagabry
     
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    Lirica d'amore




    STANZA PRIMA (uomo)

    L'unica, l'amata, la senza pari,
    la più bella di tutte,
    guardala,
    è come la stella fulgente
    all'inizio di una bella annata.
    Lei, che splende di perfezione,
    che raggia di pelle,
    con gli occhi belli quando guardano,
    con le labbra dolci quando parlano,
    per la quale non c'è discorso superfluo;
    lei, che lungo ha il collo,
    il petto luminoso,
    con una chioma di vero lapislazzuli,
    le cui braccia superano lo splendore dell'oro,
    le cui dita sono come calici di loto;
    lei, che ha languide le reni,
    strette le anche,
    le cui gambe difendono la bellezza,
    il cui passo è pieno di nobiltà
    quando posa i piedi sul suolo,
    con il suo abbraccio mi prende il cuore.
    Essa fa che il collo di tutti gli uomini
    si giri per guardarla.
    Ognuno ch'essa abbraccia è felice,
    si sente il primo degli uomini.
    Quando esce dalla sua casa,
    si pensa di vedere Colei che è unica.

    (colei che è unica è epiteto di Hathor, ndt)




    STANZA SECONDA (donna)

    Con la sua voce
    il mio amato turba il mio cuore,
    e fa che di me s'impadronisca la malattia.
    Abita vicino alla casa di mia madre,
    e tuttavia non so come andare verso di lui.
    Potrebbe, per mia fortuna,
    essere buona mia madre?
    Oh, andrò a trovarla.
    Ecco, il mio cuore si rifiuta
    di pensare a lui,
    anche quando mi prende l'amore di lui.
    Ecco, è un insensato (il cuore, ndt)
    ma io sono come lui.
    Non conosce il mio desiderio d'abbracciarlo,
    non sa che mi ha fatto andare da mia madre.
    O amato,
    forse ti sono destinata dalla Dorata dea delle donne!
    (sempre Hathor, ndt)
    Vieni a me,
    che veda la tua bellezza,
    che siano felici padre e madre,
    che tutti gli uomini insieme ti facciano festa e ti festeggino,
    o amato!





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  7. tappi
     
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    grazie Gabry
     
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  8. arca1959
     
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  9. gheagabry
     
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    RELIGIONE FUNERARIA





    Gli Egiziani non consideravano la morte come estinzione completa dell’uomo, ma piuttosto la negavano ritenendo che ci fosse una continuazione della vita nell’oltretomba, concepita come una vera e propria immortalità. Per la concezione egizia nell’uomo vi sono degli elementi soprannaturali, comuni alla divinità, che permettono una vita senza fine:

    l'akh, la forza divina, rappresentata dal geroglifico dell'ibis;

    il ba, l'anima, raffigurata come un uccello (il benu, la fenice egizia);

    il ka, lo spirito o la forza vitale.


    I principi spirituali dell'uomo...l'akh, il ka e il ba

    Nella lingua egiziana non esisteva una parola corrispondente alla concezione cristiana dell'anima, cioè di elemento spirituale immortale.

    Ogni individuo era formato da almeno tre elementi spirituali: l’akh, il ka e il ba. L’akh, raffigurato come un ibis, era una potenza soprannaturale, un elemento solare e luminoso che permetteva a ogni individuo di accedere alle stelle dopo la morte.

    Il ka era una manifestazione delle energie vitali che ogni essere possiede.
    Gli dei, data la potenza della loro natura, avevano vari ka.
    Il ka era la forza che permetteva di sopravvivere dopo la morte e di riprendere un’esistenza nell’aldilà simile a quella che si era condotta sulla terra; a tal fine però il ka doveva essere continuamente alimentato affinchè conservasse la sua efficacia.

    Per questa ragione le statue racchiuse nel serdab ( struttura presente nelle tombe dell’Antico Egitto costituita da una camera destinata alla statua raffigurante il Ka del defunto), ricevevano cibo, bevande e fumigazioni, formule d’offerta indirizzate al ka del defunto.

    Il ba è forse l’elemento che più si avvicina alla nostra concezione di anima. Raffigurato come un uccello a testa umana, questo era immortale e indipendente dal corpo; poteva infatti allontanarsi dal cadavere del defunto. Così lo vediamo raffigurato, per esempio, mentre vola intorno alla tomba, appollaiato su un albero o mentre si disseta in uno stagno.

    Oltre a questi tre principi, vi erano l’ombra, un doppio immateriale che l’uomo assumeva nel corso della vita e il nome. Quest’ultimo era ritenuto un secondo io. Nominare una persona, anche se defunta, significava farla esistere; così le statue e le stele contenevano un insieme di precise indicazioni circa l’identità del defunto, in modo che il suo ka continuasse a godere nell’aldilà di tutti gli alimenti e le offerte dei vivi.


    I concetti di ka,ba e akh vennero formulati per la prima volta all’interno dei Testi delle Piramidi.
    Ka “la forza vitale dell’uomo”.Concetto spirituale del nutrimento, ka al plurale, kau, significava infatti nutrimento, cibo.

    La tomba era luogo di trasfigurazione, sakhu, nel quale in base ai riti il defunto si trasformava in akh lo “spirito trasfigurato”. La conservazione del corpo era parte essenziale per l’ascensione al cielo, ove nell’emisfero settentrionale risiedeva l’akh che brillava insieme alle stelle “che ignorano la fatica”, cioè le stelle circumpolari.

    L’altro concetto spirituale era il “ba”, la manifestazione animata e personale del morto, la capacità cioè di muoversi ed assumere qualsiasi forma voluta dal defunto. Il ba era spesso raffigurato come uccello a testa umana.


    Il ba era sempre rappresentato come un uccello con la testa umana

    Altri elementi della personalità umana che permettevano la sopravvivenza dell’uomo erano l’ombra, l’energia (hekau), il cuore ed il nome.

    I teologi egizi si sono serviti di soluzioni diverse per tentare di risolvere il complesso problema vita-morte. Teologie che, se anche alle volte diverse, erano valide sotto un determinato aspetto. I teologi non hanno elaborato una teoria unica, rifuggendo da ogni sistematicità e proponendo invece solo “verità limitate”.

    Nel rituale dell’apertura della bocca, nella scena 71, il dio Thot annuncia a Ra che ha modellato la statua del re … gli ha dato il soffio della vita, gli ha aperto la bocca affinché possa divenire un akh eccellente e il suo nome possa durare nell’eternità:
    ”Egli proteggerà le membra di colui che gli verserà l’acqua. Egli avrà potere sul pane, potere sulla birra. Egli uscirà come ba vivente, egli compirà le sue trasformazioni secondo il suo volere, in ciascuno dei luoghi ove è il suo ka”.

    Gli egizi erano turbati dall’idea di cosa potesse accadere nell’aldilà, ne troviamo testimonianze sia nel “Dialogo di un disperato con il suo ba” e nelle diverse versioni del “Canto dell’Arpista”.
    In quest’ultimo testo, per la prima volta apparso nella tomba del re Antef, si legge:

    “ Io ho ascoltato i bei discorsi di Imhotep e di Herdedef, riferiti nelle loro parole ed in modo completo, ma dove sono mai (le loro tombe)?
    Le loro mura sono distrutte, le loro sedi non ci sono più, come se non fossero mai esistite.
    Nessuno è mai tornato di là, per raccontarci la propria condizione e situazione,
    per placare il nostro cuore finché non andremo nel luogo dove loro sono (già) andati.
    Quando a te rallegra il tuo cuore, per dimenticare il mio stato d’animo, è meglio per te.
    Segui il tuo cuore finché vivi, poni mirra sulla tua testa …
    Fai in modo che la tua felicità si accresca, non è ancora stanco il tuo cuore.
    Segui il tuo desiderio ed il tuo godimento, agisci sulla terra come comanda il tuo cuore.
    (Quando) viene per te quel giorno del lamento, Osiri non ascolta certo il loro lamento, ché il loro lamento non ha mai liberato il cuore di un uomo nella fossa.
    Passa un giorno felice e non staccartene, osserva, non c’è nessuno al quale sia stato concesso di prendere le sue cose con sé (nell’aldilà), osserva, non c’è nessuno che sia tornato di qua o che ritornerà di nuovo”.


    Per gli antichi egizi i rischi connessi alla “seconda morte” erano conseguenza della distruzione del corpo e dell’annullamento della personalità qualora non fossero stati eseguiti correttamente i rituali. In ciò vedevano un destino non solo di tormenti, ma di totale oblio. Solo la fede religiosa poteva aiutare l’uomo a superare i tanti ostacoli che incontravano nel difficile cammino attraverso il Duat, cioè il mondo sotterraneo.

    A partire dal Nuovo Regno si evidenzia la netta distinzione tra terra e cielo e il Duat dove l’oscurità regna sovrana ed il mondo appare a volte rovesciato, tanto che a volte si è costretti a camminare a testa in giù, e il defunto può essere privato del suo ba.

    Secondo i Libri dell’Oltretomba, per il sovrano questo mondo era ostile, popolato di entità nemiche e mostri terribili. Identificato con il dio Ra, il faraone per mezzo di formule magiche poteva superare i molti pericoli durante la notte e risorgere con il dio-sole che respingendo l’attacco del serpente Apophis, ogni giorno all’alba assicurava la vittoria della vita sulla morte e dell’ordine sul caos.




    IL LIBRO DEI MORTI



    Il vero titolo del Libro dei Morti degli Antichi Egizi è: 'Libro per uscire al giorno' riferendosi alla virtù dell'Osiride manifesta in una seconda nascita. Dico 'dell'Osiride', piuttosto che 'di Osiride' per evidenziare colui il quale, come Osiride, attui il percorso di rinascita e di manifestazione. Questa è veicolata da quattro forme: Prima forma è il KA che indica la partecipazione e l'unione ai principi di rotazione del cielo, non ha carattere posizionale, è da considerarsi come simbolo dell'energia che si dissipa nel cosmo. Il plurale di KA è KAU, associato alle quattordici qualità del sole, sette maschili e sette femminili chiamate Hennesut. Seconda forma è il BA che indica la partecipazione della coscienza alla forza dell'esistenza personale. L'energia è attivata in modo posizionale rispetto al circuito celeste. La mobilità della coscienza associata alla persona, ha fatto rappresentare agli egizi questo stadio sotto forma di un uccello con volto umano. La terza forma è l'AKH rappresentato dall'ibis col ciuffo, l'airone cinerino, il cui geroglifico costituisce la radice del verbo 'splendere' con riferimento al divenire luminoso della coscienza. Esso partecipa contemporaneamente allo stadio descritto come KA e allo stadio descritto come BA. L'AKH quindi è una trasfigurazione del principio del BA supportato dal circuito celeste del KA, o " anima trasfigurativa del divino
    nell'umano" secondo la spiegazione data dal mio Maestro, prof. Boris de Rachewiltz:
    " Preceduto da s-causativoil termine AKH divenuto SAKH, equivale a divinizzare, il plurale composto SAKU indica le Formule trasfigurative facenti parte del rituale. Il plurale semplice AKHU rappresenta la potenza di un dio, di uno spirito, il suo potere magico ed anche le Formule magiche. AKH rappresenta quindi la suprema radianza".
    La quarta forma è l'OMBRA il cui campo d'influenza accompagna le virtù del BA e dell'AKH, essa è visualizzata in forma di corpo umano, veicola l'irradiamento dell'energia del corpo, il suo campo di manifestazione è terreno.

    ' TU HAI POTERE SUI POTERI CHE SONO IN TE '


    così recita il Testo delle Piramidi , ne consegue che la similitudine fondamentale dei testi funerari è quella dell'assunzione di un percorso virtuale all'interno delle forze preesistenti in ogni individuo, che vengono trainate nella nuova forma dal potere di dislocazione dato dagli Dei egizi. Le forze vengono in tal modo trasformate in moduli operativi o archetipi, visualizzati da geni che animano le ipostasi magiche. Il 'Libro per uscire al giorno' descrive dunque i passi magici, le metamorfosi o le trasformazioni per le quali passa l'Osiride
    manifestando le forme delle sue potenzialità, veicolate attraverso il mito che, come le sfaccettature del diamante, spende per luci parziali riflesse. Questo processo è figurato dal rinascere della Fenice-Osiride che ha nella matrice ottonaria e nella evoluzione novenaria il suo segreto. Queste matrici numeriche sono espresse con chiarezza nel 'Libro per uscire al giorno' e riferite la prima alla città di Ermopoli, la seconda alla città di Eliopoli.



    L'AKH



    l'Akh, una forza spirituale e sovrannaturale. Viene rappresentato dall'Ibis Piumato, lo stesso segno geroglifico forma la radice del vero "essere efficace, benefico, glorioso". In contrapposizione al corpo, che appartiene alla terra, l'akh appartiene al cielo
    Nelle epoche più remote era appannaggio esclusivo degli dei e dei faraoni, in quanto esseri divini, infatti durante l'Antico Regno, il sovrano era sottoposto ad un rito particolare il "sakh", inteso a spiritualizzarlo e a renderlo un akh, cioè uno spirito.
    Presto la concezione dell'akh divenne propria anche dei comuni mortali.
    Raggiungere il proprio akh, significava raggiungere la morte e quindi una dimensione come quella dell'"io" spirituale.
    Il Ka è uno dei concetti spirituali di più difficile interpretazione.

    IL KA



    Nel corso dei secoli il senso attribuito a questa parola ha subito notevoli mutazioni e si è arricchito di significati diversi:
    Secondo i primi egittologi il Ka esprimeva "l'essere, la persona, l'individualità", in un secondo tempo Lepage-Renouf ha sottolineato i diversi caratteri di genio, dio-protettore e doppio spirituale, proponendo un'interpretazione, ripresa poi da Maspero, che definì il Ka come una "proiezione vivente della figura umana, un doppio riproducente i dettagli dell'individuo a cui appartiene".
    Per altri studiosi il Ka era la potenza generatrice e la forza sessuale. Il segno geroglifico del Ka consiste in due braccia protese all'abbraccio, ad un gesto cioè di protezione, questo ha avvalorato l'ipotesi di un dio protettore, un ipotesi molto discutibile in quanto le braccia alzate non hanno nulla dell'abbraccio, indicano invece il segno del doppio.
    Dunque il Ka proteggeva i vivi, ma ancor di più i morti, infatti per gli Egiziani non era altro che "raggiungere il proprio Ka".
    Sabrina Bologni



    IL BA (Spirito/Personalità)


    Il Ba è la parte divina, totalmente spirituale, riconducibile alla personalità dell'anima di una persona.
    È l'essenza soggetta alla permanenza nei mondi spirituali. Esso poteva moltiplicarsi in relazione alla potenza del suo detentore.Il Ba usciva dal corpo del defunto e vi ritornava a mummificazione avvenuta.
    Grazie al Ba anche il defunto, come gli dei, può assumere forme (aru) diverse, in seguito a varie trasformazioni e manifestazioni (keperu) ed eventualmente rivestire una personalità dotata di memoria.




    dal web


    Edited by gheagabry - 18/1/2011, 16:54
     
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    Ogdoade




    Nella mitologia egizia l'Ogdoade è l'insieme di otto divinità venerate ad Ashmunein (Ermopoli), nel XV distretto dell'Alto Egitto.
    Secondo la cosmogonia ermopolitana una collina di fango sarebbe emersa dalle acque, chiamata Isola delle Fiamme o Isola dei Coltelli, originando otto dei primordiali, quattro maschili con testa di rana e quattro femminili con testa di serpente.
    Queste divinità, aventi come capostipite il dio creatore Thot, che simboleggiava la Luna, furono:
    Nun e Nunet, il caos delle acque primordiali;
    Kuk e Keket, l'oscurità;
    Huh ed Huhet, l'illimitatezza;
    Amon ed Amonet, l'invisibilità.
    La leggenda passata a Tebe si sarebbe trasformata e gli dei avrebbero creato un uovo, da cui nacque Amon, il dio-sole.
    Con l'assunzione di sempre maggior potere da parte del clero di Amon (complesso templare principale a Karnak), quest'ultima divinità verrà umanizzata e gli verrà fornita una famiglia (secondo la struttura trinitaria tipica degli dei egizi) composta dalla moglie Mut e dal figlio Khonsu.
     
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    GLI ANIMALI



    Nell' Antico Egitto il legame tra l’uomo e l’ambiente era fortissimo tanto nella vita di tutti i giorni, quanto nella religione e nell’arte.
    Fin dalla preistoria gli egizi furono devoti a divinità che assumevano sembianze di animali. Intorno al 4000 a.C. già iniziarono a creare utensili per cosmesi con forme di animali e a dipingere animali sugli utensili.
    Gli animali iniziarono ad essere impiegati per rappresentare alcune divinità locali intorno al 3500 a.C. Le divinità in quell’epoca erano spesso rappresentate in forma umana anche se molte avevano però teste di animali.
    Molti amuleti avevano di conseguenza forma di animali. Alcuni animali sacri venivano tenuti nei templi, come rappresentazioni viventi delle divinità.
    Un esempio è il bue Apis. Quando questi animali morivano venivano mummificati e sepolti in tombe speciali. Si credeva che un animale mummificato potesse recare messaggi e preghiere alla divinità. Questa concezione permise a molti templi di farne una fonte di guadagno. Si sono trovati infatti mummificati animali di molti tipi: dai coccodrilli, ai gatti, agli ibis…
    Il falco, che gli egiziani vedevano volare alto nel cielo e osservare tutte le cose sulla terra con vista aguzza divenne per queste caratteristiche un naturale simbolo del sole. Il falco rappresentava diverse forme del dio sole, quali Horus e Ra.
    A partire dalla IV dinastia il faraone cominciò a chiamarsi “Figlio di Ra” mentre viene assimilato direttamente al dio che per eccellenza è sentito come il protettore della monarchia faraonica, cioè Horus.
    Il falco, simbolo di queste due divinità (Horus e Ra) divenne quindi un modo di identificare la sovranità del faraone. Falconi e dischi di sole con ali di falcone decorano quasi tutti i templi in Egitto.
    Il serpente, e in particolare la femmina del cobra, è un serpente che, se minacciato, può dilatare la parte posteriore della testa e tendere la pelle del collo fino ad assumere una forma simile a una racchetta, posizione che gli consente di sputare il veleno contro l’aggressore.
    Secondo i racconti mitologici egizi, la femmina del cobra è il simbolo di Wadjet, l’occhio del dio solare Ra, che si era staccata del padre per poi farvi ritorno e collocarsi permanentemente sulla sua fronte. In questa veste l’immagine del serpente femmina si trovava posta sulla fronte del faraone, colui che rappresentava il dio solare Ra sulla terra. Quindi il serpente sulla corona del sovrano simboleggia la forza distruttrice, al servizio del sovrano per sterminare i suoi nemici, che sono poi anche i nemici dell’Egitto. Wadjet proteggeva il faraone (e il sole) sputando veleno contro i nemici di questi.
    Wadjet significa “La Verde”, “Quella del colore del papiro”, e divenne il simbolo della protettrice del Basso Egitto, colei che proteggeva l’inondazione necessaria alla sopravvivenza del paese. Wadjet era quindi una specie di “serpente buono”, che vegliava perché il mondo non precipitasse nel caos; in generale invece i serpenti erano per lo più visti come animali pericolosi, indipendentemente dal fatto che la specie cui appartenevano fosse velenosa o meno. Si credeva che l’aldilà fosse pieno di serpenti che rappresentavano il potere del caos, che minacciava il buon funzionamento del mondo.
    L’esempio principale di serpente “cattivo” era Apophis il grande serpente cosmico, avvolto intorno alla terra che minacciava continuamente di distruggerla.
    Il sole era in continua lotta con Apophis per cercare di sconfiggerlo per ripristinare l’ordine nel modo. In questa lotta, tutte le notti Apophis attaccava il sole mentre questo viaggiava sulla barca che lo portava nell’aldilà. Apophis tentava di inghiottire tutta l’acqua del mare in modo di poter poi circondare la barca e ogni notte le divinità che mantenevano l’ordine nel mondo riuscivano ad avere la meglio su di lui. Ma questa vittoria non si poteva dare per scontata.
    La mucca rappresentava la dea Hathor che era la principale divinità dell’amore e della fertilità, governava la bellezza e la musica. Veniva spesso rappresentata con una donna con corna di mucca o come una mucca che era uno dei molti simboli con cui venivano rappresentate le divinità materne. Il latte aveva per gli egizi un particolare significato rituale di resurrezione e purificazione.
    Il babbuino veniva associato con la divinità lunare Thot , che era anche il dio della saggezza. Molte statuette o amuleti del dio Thot lo mostrano come un babbuino seduto, spesso con le mani alzate e con indosso un disco solare o una falce di luna in mano. Gli egiziani avevano creduto di notare che i babbuini avevano l’abitudine di sedersi con la testa rivolta verso est poco prima del sorgere del sole e agitavano le zampe quando vedevano il sole salire. Per questo gli egiziani pensavano che i babbuini fossero in grado di predire il sorgere del sole e di festeggiare con devozione l’evento. Per questo il babbuino divenne il simbolo della sapienza del mondo e come tale era ritenuto inventore della scrittura e patrono degli scribi.
    Per quanto riguarda invece le scimmie in generale, erano tenute come animali domestici e si riteneva che simboleggiassero l’amore e la fertilità.
    Il cavallo fece un ingresso tardivo nell'Antico Egitto e probabilmente per questo nessuna divinità egiziana si manifesta in forma di cavallo. Fu introdotto in Egitto durante il Medio Regno dagli invasori Hyksos che insegnarono agli egiziani a cavalcare e a guidare il carro. Da allora l’allevamento dei cavalli divenne una attività di grande prestigio, riservata ai grandi dignitari del regno.
    Forse per ricordare l'operosità della mosca, che non sta mai ferma, il faraone dava come premio degli amuleti in oro a forma di mosca ai soldati che avevano combattuto con particolare valore e abnegazione in guerra.
    L’”Ordine della mosca d’oro”, veniva conferito per azioni particolarmente ardite e coraggiose.
    Sono stati ritrovati in Egitto arpioni e ami risalenti all’età della pietra, e questo ci fa capire che il pesce del Nilo è sempre stato un’importante risorsa di cibo per la popolazione. Non era però un cibo ritenuto molto pregiato, anzi piuttosto vile e comune, tanto che talvolta i sacerdoti o i dignitari si rifiutavano di mangiarlo.
    La pesca era anche un’azione simbolica, che manteneva l’ordine del mondo e eliminava il caos. Il caos era descritto come ‘le acque primitive’ e gli Egizi avevano una certa forma di timore per tutto quello che giaceva sotto il livello del mare.
    L’antica parola egizia per la parole ‘anatra’ è ‘Geb’ e l’uccello era quindi associato al dio della terra Geb. Nella concezione Egizia del mondo, Geb era unito in matrimonio con la dea del cielo Nut. L’anatra era anche sacra a Amon-Ra, insieme al gatto e all’ariete.
    Animali della famiglia della pecora come l’ibex, la gazzella e l’antilope erano anche sacri alla dea del Nilo Anukis ed erano associati con la fertilità.
    Il gatto che per noi è un animale domestico in origine era un animale selvatico. Gli egizi iniziarono ad addomesticarlo fra l’altro per la sua abilità a tenere lontani i piccoli roditori delle abitazioni e dalle provviste di cibo. Una rappresentazione del dio del sole Ra fu “il grande gatto” protettore del corso solare dalle insidie del serpente Aphopis. I gatti, e in particolare le gatte, dal Medio Regno vennero considerati animali sacri alla dea Bastet, una divinità molto popolare, figlia di Ra, che regnava sull’amore, sulla fertilità e sui giorni di festa.
    Bastet veniva raffigurata come un gatto o con la testa di gatto e il corpo di donna. Uno dei suoi attributi era la cesta, un oggetto che ancora associamo ai gattini. Gatti sacri vivevano nel tempio di Bastet e quando morivano venivano mummificati e rivestiti di bende di lino. Il loro capo veniva ricoperto da una maschera in bronzo con la loro effige e la sepoltura consisteva in un sarcofago a forma di gatto seduto, collocato poi nel cimitero del tempio.
    Lo scarabeo rappresentava una forma del dio sole Ra. In natura, lo scarabeo compone una palla di sterco fresco nella quale depone le uova e che poi fa rotolare in un luogo sicuro. Quando nascono i piccoli, questi dipendono dallo sterco come fonte di nutrimento. Gli egizi, vedendo lo scarabeo uscire dalla palla di sterco che poi spingeva, ritennero che l’insetto si creasse da sé e potesse essere paragonato al dio sole che spinge davanti a sé la palla del sole. Quindi lo scarabeo fu venerato da un lato come “Khepri”, colui che esce dalla terra, - un po’ come il sole che risorge ogni giorno- e dall’altro come Atum, dio demiurgo, autocreatosi, origine degli dei e dell’intero universo.
    Gli egizi pensavano infatti che sia la vita che l’ordine dell’universo avessero avuto origine da uno stato di caos.
    La pantera si riteneva avesse il potere di proteggere il sovrano. Era venerata perché connessa al dio sole e alla dea del cielo.
    L’ariete con le corna ricurve era uno degli animali sacri al dio sole Amon-Ra, ma anche a Khnum, divinità che gli Egizi credevano fosse stato, con la sua ruota da ceramista, il creatore di tutti dal fango del Nilo.

     
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    MAAT


    Maat, nella religione egizia e nel moderno Kemetismo rappresenta l'ordine cosmico. Nell'antico Egitto i principi di Maat erano parte integrante della società, e garanti dell'ordine pubblico. Il sovrano aveva come compito primario quello di presiedere al rispetto della Legge, per questo molti sovrani portarono come nome Meri Maat, che letteralmente significa "amato da Maat". Essendo la forza dell'ordine e della verità, si pensava che Maat fosse venuta in esistenza al momento della creazione, considerandola dunque un'entità autocreatasi.

    Negli inferi così come erano intesi dalla religione egizia (il Duat), i cuori dei morti erano soppesati nella stanza delle due verità su una bilancia custodita da Anubi. Su uno dei piatti veniva posto il cuore del defunto, mentre sull'altro c'era la piuma di Maat. Se pesava più di questa, il cuore veniva divorato da Ammit e il suo possessore era condannato a rimanere nel Duat. In caso contrario, l'anima pura di cuore veniva condotta da Osiride nell'Aaru.

    Maat era raffigurata nell'arte come una donna con ali e una piuma di struzzo sulla testa (a volte semplicemente una piuma). Queste immagini sono rintracciabili su molti sarcofagi come simbolo di protezione per l'anima del morto. Gli egizi credevano che senza l'ordine di Maat ci sarebbe stato soltanto il caos primordiale e quindi il mondo non si sarebbe nemmeno creato. Era quindi necessità del faraone applicare e far applicare la legge, per consentire il mantenimento dell'equilibrio cosmico.
    Si credeva che il Maat regolasse le stagioni, i movimenti stellari e il rapporto tra uomini e divinità. Il ruolo del Re era fondamentale, attraverso una sua adesione rigorosa al Maat, garantiva il benessere e una piena, del Nilo, regolare e ordinata, imponendo ordine e impedire il caos.



    La religione kemetica insegna che la legge universale di Maat è da ricercare in una serie di quarantadue regole, estremamente simili ai comandamenti del Cristianesimo (la religione cristiana dei primordi potrebbe averli tratti dalla religione egizia antica). Queste regole sono semplici dettami che permettono all'uomo di mantenersi in armonia con il mondo e con la società in cui vive. Spesso hanno un significato metaforico, non sono verità assolute ma semplici consigli per vivere bene.

    Non uccidere e non permettere che nessuno lo faccia.
    Non commettere adulterio.
    Non essere collerico.
    Non causare terrore.
    Non assalire e non provocare dolore al prossimo.
    Non sfruttare il prossimo.
    Non fare danni che possano provocare dolore all'uomo o agli animali.
    Non causare spargimento di lacrime.
    Rispetta il prossimo.
    Non rubare ciò che non ti appartiene.
    Non prendere più cibo di quanto te ne spetti.
    Non danneggiare la natura.
    Non privare nessuno di ciò che ama.
    Non dire falsa testimonianza.
    Non mentire per far del male ad altri.
    Non imporre le tue idee agli altri.
    Non agire per fare del male.
    Non parlare delle cose altrui.
    Non ascoltare di nascosto.
    Non ignorare la verità e la giustizia.
    Non giudicare male gli altri senza conoscerli.
    Rispetta i luoghi sacri.
    Rispetta e aiuta chi soffre.
    Non arrabbiarti senza valide ragioni.
    Non ostacolare il flusso dell'acqua.
    Non sprecare l'acqua.
    Non inquinare la Terra.
    Non nominare Dio in vano.
    Non disprezzare le credenze altrui.
    Non approfittare della fede altrui per fare del male.
    Non pregare né troppo né troppo poco gli dèi.
    Non approfittare dei beni del vicino.
    Rispetta i defunti.
    Rispetta i giorni sacri anche se non credi.
    Non rubare le offerte fatte agli dèi utilizzandole per te stesso.
    Non disprezzare i riti sacri.
    Non uccidere i sacri animali senza una ragione seria.
    Non agire con insolenza.
    Non agire con arroganza.
    Non vantarti delle tue condizioni migliori difronte ad altri.
    Rispetta i tuoi doveri.
    Rispetta la legge e non abusarne.

    Dal web

     
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