Posts written by lussy601

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    Stagione 2007-2008:

    Aaah... Come gioca Del Piero!

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    Alessandro Del Piero (Conegliano, 9 novembre 1974) è un calciatore italiano,attaccante del Sydney FC e campione del mondo con la Nazionale italiana nel 2006.
    Soprannominato Pinturicchio, si è segnalato sin da giovane come uno dei maggiori talenti espressi dal calcio italiano.
    Capitano della Juventus dal 2001 al 2012, ha segnato in tutte le competizioni a cui ha partecipato con la squadra, di cui detiene il primato assoluto di gol (290) e di presenze (705).
    È stato inserito per tre anni consecutivi (1995-1996, 1996-1997, 1997-1998) nella Squadra dell'Anno secondo l'associazione European Sports Magazines. L'Association of Football Statisticians (The AFS), classificando i Più grandi calciatori di sempre, lo ha incluso al 60º posto. Nel 2000 è risultato essere il calciatore più pagato del mondo tra stipendio e introiti pubblicitari.
    Vince il Trofeo Bravo nel 1996. Nel 2004 è stato incluso nella FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi, redatta da Pelé e dalla FIFA in occasione delle celebrazioni del centenario della Federazione internazionale, ed è anche risultato 49º nell'UEFA Golden Jubilee Poll, un sondaggio online condotto dalla UEFA per celebrare i migliori calciatori d'Europa dei cinquant'anni precedenti. Inoltre è stato incluso tra i 50 candidati al Pallone d'oro sei volte, classificandosi quarto nel 1995 e in quello contestato del 1996.Con la Nazionale ha totalizzato 91 presenze e 27 reti, partecipando a tre Mondiali e quattro Europei. È stato il migliore calciatore italiano nel 1998 e nel 2008, nominato dall'Associazione Italiana Calciatori.
    Nel 2007 lascia la sua impronta nella "Champions Promenade" vincendo il Golden Foot. Ha conquistato quattro titoli di capocannoniere, il primo in UEFA Champions League nel 1997 con 10 gol, il secondo nel 2006 in Coppa Italia con 5 gol, il terzo nel 2007 con 20 gol in Serie B e il quarto in Serie A con 21 gol nel 2008.
    Nel 2011 è risultato essere il secondo calciatore più popolare d'Europa secondo la International Federation of Football History & Statistics, alle spalle di Francesco Totti.

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    Capitolo XI

    De principatibus ecclesiasticis

    De’ Principati ecclesiastici

    I Principati ecclesiastici

    1 - Ci resta, adesso, soltanto da esaminare i principati ecclesiastici, a proposito dei quali tutte le difficoltà si incontrano prima di possederli, perché si conquistano o per virtù o per fortuna, e si possono mantenere senza l’una e senza l’altra; perché hanno il loro fondamento nelle istituzioni e nelle leggi radicate nella religione le quali sono diventate tanto potenti e di qualità che mantengono i loro principi al potere, in qualunque modo questi governino e vivano. Soltanto questi principi possiedono Stati e non li difendono e hanno sudditi e non li governano; e gli Stati, sebbene siano indifesi, non son loro tolti, e i sudditi, sebbene non siano ben governati, non se ne curano, né pensano né possono separarsi da loro. Solo, dunque, questi principati sono sicuri e felici.
    2 - Ma essendo i principati ecclesiastici retti da cause superiori che la mente umana non comprende, non ne parlerò; perché essendo creati e mantenuti da Dio, sarebbe da presuntuosi e temerari trattarne. Nondimeno, qualcuno potrebbe chiedermi per quale ragione la Chiesa abbia raggiunto una tale grandezza nel potere temporale, quantunque fino ad Alessandro VI i potentati italiani, e non soltanto quelli che si definivano potentati, ma ogni barone e signore, per quanto potesse essere piccolo, stimavano poco il potere temporale della Chiesa, di fronte alla quale ora trema il Re di Francia, perché è stata capace di cacciarlo fuori dall’Italia e di danneggiare i Veneziani: e questo, ancorché sia noto, non mi pare superfluo richiamarlo alla memoria.
    3 - Prima dell’arrivo di Carlo VIII Re di Francia l’Italia era dominata dal Papa, dai Veneziani, dal Re di Napoli, dal Duca di Milano e dai Fiorentini. Questi potentati avevano principalmente due preoccupazioni: l’una che un potente straniero non entrasse in Italia con le armi, l’altra che nessuno di loro conquistasse altri territori. Quelli che suscitavano maggiori preoccupazioni, erano il Papa e i Veneziani. Per tener a freno i Veneziani occorreva l’alleanza di tutti gli altri, come avvenne nella difesa di Ferrara; per limitare le mire del Papa, bastava servirsi dei baroni romani, fra i quali, essendo divisi nelle due fazioni degli Orsini e dei Colonna, c’erano sempre occasioni di risse; e, stando con le armi in mano sotto gli occhi del Pontefice, rendevano il potere pontificio debole e malfermo. E benché ogni tanto venisse eletto un Papa audace, come Sisto IV, tuttavia la fortuna o la prudenza politica non lo potè mai tener lontano da queste difficoltà. E la brevità della loro vita ne era la causa, perché un Papa, nei dieci anni in cui in media restava al potere, avrebbe potuto a stento sottomettere una delle due fazioni. E se per esempio un Papa aveva quasi eliminato i Colonna, ne arrivava subito un altro, nemico degli Orsini, che li faceva risorgere, senza far in tempo a eliminare gli Orsini. Questo faceva sì che il potere temporale del Papa fosse poco stimato in Italia.
    4 - Venne poi Alessandro VI, che primo fra tutti i papi, che c’erano stati fino a quel momento, dimostrò quanto un Papa potesse avvantaggiarsi col denaro e con l’esercito e operò per mezzo del Duca Valentino e dell’arrivo dei Francesi, tutte quelle cose che ho precisato esaminando le imprese del duca. E benché la sua intenzione non fosse quella di rendere grande la Chiesa, ma il duca, tuttavia ciò che egli fece aumentò la grandezza della Chiesa; la quale dopo la sua morte, ed eliminato il duca, fu erede delle sue imprese. Dopo di lui venne Papa Giulio II, che si ritrovò grande la Chiesa per la conquista della Romagna, e annientate le fazioni con l’eliminazione e sottomissione dei baroni romani per i colpi assestati da Alessandro; e trovò anche aperta la strada a un modo di accumulare denari, che non era mai stato praticato prima.
    5 - Giulio II non solo continuò ad agire in quel modo, mantenendo le cose acquistate, ma le accrebbe; e pensò di conquistarsi Bologna, sconfiggere i Veneziani e cacciare i Francesi dall’Italia e tutte queste imprese gli riuscirono, con tanta maggior gloria per lui perché le realizzò per ingrandire la Chiesa e non per affetto verso privati o parenti. Mantenne ancora nella stessa condizione, come le aveva trovate, le due fazioni degli Orsini e dei Colonna; e benché fra loro ci fosse qualcuno che creava qualche difficoltà, tuttavia due cose le hanno tenute ferme: la prima, la grandezza della Chiesa che incute timore; l’altra il non avere cardinali che sono all’origine delle contese fra loro. Né queste fazioni staranno quiete finchè avranno cardinali; perché questi favoriscono le fazioni in Roma e fuori, e i baroni sono costretti a difenderle: così dall’ambizione dei prelati nascono le discordie e i tumulti fra i baroni. La Santità di Papa Leone X ha dunque ereditato questo pontificato potentissimo: e si spera che se i suoi predecessori lo resero grande con le armi, egli lo renda grandissimo e degno di venerazione con la bontà e le altre infinite sue virtù.
    Capitolo XII

    Quot sint genera militiae et de mercenariis militibus

    Di quante ragioni sia la milizia, e de’ soldati mercenari

    I vari tipi di eserciti e le milizie mercenarie

    1 - Avendo esaminato approfonditamente tutte le caratteristiche di quei principati dei quali mi sono proposto all’inizio di parlare, e considerato le ragioni della stabilità o della debolezza loro, e mostrato i modi con cui molti hanno cercato di conquistarli e mantenerli, mi resta da esaminare in generale i mezzi di attacco e di difesa che sono connessi a ciascuno dei suddetti principati. Abbiamo detto in precedenza come sia necessario a un Principe avere creato buoni fondamenti al suo Stato, altrimenti inevitabilmente andrà in rovina. E i principali fondamenti che hanno tutti gli Stati, sia nuovi che ereditari o misti, sono le buone leggi e un esercito affidabile. E poichè non possono esistere leggi efficaci dove non c’è un esercito fedele, e dove c’è un esercito fedele di conseguenza ci sono leggi efficaci, tralascerò la trattazione delle leggi e parlerò dell’esercito.
    2 - Dico dunque che l’esercito col quale un Principe difende il suo Stato, o è suo, oppure è mercenario, o ausiliario, o misto. Gli eserciti mercenario e ausiliario sono inutili e pericolosi. E se uno tiene lo stato fondato sulle armi mercenarie, non sarà mai al sicuro, perché sono disunite, ambiziose, senza disciplina e infedeli: gagliarde fra gli amici e vili fra i nemici: non hanno timor di Dio e non hanno fedeltà verso gli uomini; e di tanto si rimanda il tuo crollo di quanto si rinvia l’assalto: in tempo di pace sei depredato dai mercenari, in tempo di guerra dai nemici. Il motivo di tutto questo è che esse non hanno altro desiderio e altra ragione che le tenga in campo a combattere che un po’ di stipendio; e questo non è sufficiente perché vogliano morire per te. Vogliono ben essere tuoi soldati mentre tu non fai guerra; ma non appena la guerra scoppia vogliono o fuggire o andarsene.
    3 ‑ E di questo non dovrei far molta fatica a convincerti, perché ora la rovina dell’Italia non è causata da altro che dall’essersi per molti anni retta sulle armi mercenarie. Le quali per merito del loro condottiero fecero in verità qualche conquista territoriale, e sembrarono gagliarde tra loro; ma non appena arrivò lo straniero, mostrarono quel che erano effettivamente. Tanto che a Carlo VIII re di Francia fu consentito di impadronirsi dell’Italia col gesso. E chi (Savonarola, ndr.) diceva che la causa era da cercare nei nostri peccati, diceva il vero; ma i peccati non erano quelli che credeva lui, ma questi che ho esposto io: e poichè erano peccati dei Principi, loro stessi ne hanno subito la pena.
    4 - Io voglio dimostrare meglio la sventura di queste milizie. I capitani mercenari o sono uomini eccellenti nell’arte militare, o no: se lo sono, non te ne puoi fidare, perché sempre aspireranno a diventar potenti per sè, o distruggendo te che sei il loro padrone, o attaccando altri contro le tue intenzioni; se non è un condottiero capace, ti rovina sicuramente. Se si ribatte che chiunque avrà delle armi, o mercenario o no, farebbe questo, replicherei che le armi devono essere adoperate o da un Principe o da una Repubblica. Il Principe deve andare di persona e assumere lui il comando dell’esercito; la Repubblica deve mandare uno dei suoi cittadini; e quando manda un comandante che non vale niente deve cambiarlo; e quando il comandante è valido, deve trattenerlo con le leggi perché non ecceda nell’uso del potere. E per esperienza si vede che solo i Principi e le Repubbliche provvisti di eserciti propri hanno compiuto progressi grandissimi estendendo il proprio territorio e che le milizie mercenarie producono solo danni; e una Repubblica dotata di armi proprie cade sotto il potere di un suo cittadino con più difficoltà di quanto possa accadere a una Repubblica che si serve di armi mercenarie.
    5 - Per molti secoli Roma e Sparta sono state armate e libere. Gli Svizzeri sono armatissimi e liberissimi. Un esempio dell’uso antico delle armi mercenarie sono i Cartaginesi; i quali, finita la prima guerra coi Romani, stavano per essere oppressi dalle loro milizie mercenarie, benché fossero comandate da loro cittadini. Filippo il Macedone, dopo la morte di Epaminonda, fu creato dai Tebani capitano del loro esercito; e dopo la vittoria tolse loro la libertà. I Milanesi, morto il duca Filippo Maria Visconti, assoldarono Francesco Sforza contro i Veneziani, e questi, sconfitti i nemici a Caravaggio, si alleò con essi per sopraffare i Milanesi suoi padroni. Muzio Attendolo Sforza, padre di Francesco, mentre era al servizio della regina Giovanna di Napoli, la lasciò improvvisamente disarmata; e lei, per non perdere il regno, fu costretta a gettarsi fra le braccia del re d’Aragona.
    6 - Se si obietta che in passato i Veneziani e i Fiorentini hanno accresciuto il loro potere con le armi mercenarie, i cui condottieri non se ne sono fatti Principi ma li hanno difesi, rispondo che i Fiorentini furono in questo caso favoriti dalla sorte; perché degli abili condottieri, di cui potevano avere timore, alcuni non hanno vinto, altri non hanno avuto validi oppositori, altri ancora hanno rivolto altrove la loro ambizione. Quello che non vinse fu Giovanni Acuto (John Hawkwood), e non vincendo non se ne potè conoscere la lealtà; ma ognuno ammetterà che se egli avesse vinto, i Fiorentini sarebbero caduti in suo potere. Francesco Sforza ebbe sempre avverse le truppe di Braccio da Montone, e si controllarono l’un l’altro: Francesco Sforza rivolse le sue ambizioni verso la Lombardia, e Braccio da Montone contro la Chiesa e il regno di Napoli. Ma veniamo a quel che è accaduto poco tempo fa. I Fiorentini scelsero come loro capitano Paolo Vitelli, uomo abilissimo che, di modesta condizione sociale, aveva raggiunto una grandissima reputazione. Se costui avesse espugnato Pisa, non ci sarebbe nessuno che potrebbe negare che ai Fiorentini sarebbe stato necessario subirne l’autorità; perché, se fosse stato assoldato dai loro nemici, non avrebbero avuto possibilità di salvezza; e se lo avessero tenuto, avrebbero dovuto ubbidirgli.
    7 - I Veneziani, se si considereranno le vicende del loro Stato, si vedrà che hanno sicuramente e gloriosamente agito mentre fecero la guerra avvalendosi di armi proprie, prima che si volgessero alla conquista della terraferma, quando i nobili e i cittadini armati combatterono in modo valoroso. Ma appena cominciarono a combattere in terraferma lasciarono la strategia di combattere con le armi proprie e seguirono il modo di combattere in Italia (con le armi mercenarie). E all’inizio della loro espansione in terraferma, non avendo un territorio esteso ed essendo considerati potenti, non avevano molto da temere dai loro condottieri; ma non appena essi si ingrandirono, e avvenne sotto il Carmagnola, ebbero la riprova del loro errore. Perché, verificato che era eccellentissimo nell’arte militare, dopo aver sconfitto sotto la sua guida il Duca di Milano, e accorgendosi che si era raffreddato nel condurre la guerra, giudicarono che con lui non potevano più vincere, perché lui non voleva, né potevano licenziarlo, per non averlo nemico e riperdere ciò che avevano conquistato, per cui furono costretti ad ammazzarlo, per mettersi al sicuro. Hanno poi avuto altri capitani di ventura, come Bartolomeo Colleoni da Bergamo, Ruberto da San Severino, Niccolò Orsini conte di Pitigliano e simili, con i quali dovevano temere della perdita di territori non di nuove conquiste: come successe nella battaglia di Vailate-Agnadello, dove in una giornata persero quello che avevano conquistato in ottocento anni con tanta fatica. Con l’uso delle armi mercenarie si realizzano soltanto conquiste lente e incerte, mentre le perdite sono improvvise e sorprendenti. E poiché con questi esempi son venuto a parlare dell’Italia, che per molti anni è stata governata con le armi mercenarie, voglio trattarne esaminandole da un punto di vista più generale, affinchè vedendo la loro origine e la loro evoluzione, se ne possa trovare un rimedio.
    8 - Dovete dunque sapere che, da quando in questi ultimi secoli l’Impero cominciò a perdere potere in Italia e il Papa acquistava sempre più forza nel potere temporale, l’Italia si suddivise in più Stati; molte delle grandi città presero le armi contro i loro nobili, i quali, fino a quel momento, favoriti dall’Imperatore, le avevano tenute sottomesse; e la Chiesa le aiutava per accrescere la forza del suo potere temporale; in molte altre città un cittadino diventò Principe. Per cui, essendo l’Italia, finita quasi tutta nelle mani della Chiesa e di qualche repubblica, ed essendo quei preti e quei cittadini non esperti nell’arte militare, cominciarono ad assoldare stranieri. Il primo che dette prestigio alle armi mercenarie fu il romagnolo Alberigo da Barbiano, conte di Conio. Dalla sua scuola discesero, fra gli altri, Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza, che ai loro tempi furono arbitri della politica d’Italia. Dopo questi, vennero tutti gli altri che fino ai nostri tempi sono stati condottieri di queste armi. Purtroppo il risultato della loro valentia è che l’Italia è stata conquistata celermente da Carlo VIII, assoggettata con la violenza da Ferdinando il Cattolico, depredata da Luigi XII e disonorata dagli Svizzeri.
    9 - Il principio cui si sono attenuti, per dare prestigio alle proprie truppe, è stato innanzi tutto quello di togliere prestigio alle fanterie. Si comportarono così perché, non avendo uno Stato e vivendo del loro mestiere militare, e un piccolo numero di fanti non avrebbe dato loro reputazione, né avrebbero potuto mantenerne un gran numero, adottarono la soluzione di impiegare i cavalieri, che, anche se in numero modesto, potevano essere nutriti e onorati. E le cose erano arrivate al punto che in un esercito di ventimila soldati non si trovavano più di duemila fanti. Oltre a ciò i condottieri avevano usato ogni astuzia per togliere a se stessi e ai loro soldati la fatica della guerra e la paura della morte, non si ammazzavano nelle battaglie, ma si prendevano prigionieri e senza riscatto; non davano di notte l’assalto alle città, i soldati delle città non facevano sortite contro gli assedianti, non costruivano intorno al campo né steccati né fossati; non facevano imprese militari in inverno. Tutte queste cose erano previste nei loro ordinamenti militari e studiate per evitare, come si è detto, la fatica e i pericoli: tanto che hanno ridotto l’Italia schiava e disonorata.
    Capitolo XIII

    De militibus auxiliariis, mixtis et propriis

    De’ soldati ausiliari, misti e propri

    Eserciti ausiliari, misti e propri

    1 - La armi ausiliarie, che sono le altre armi inutili, sono quegli eserciti che appartengono a un potente al quale chiedi che venga ad aiutarti e difenderti con le sue armi: come fece non molti anni fa Papa Giulio II, il quale, avendo visto la cattiva prova fornita dalle sue milizie mercenarie nell’impresa di Ferrara, si volse alle armi ausiliarie e si mise d’accordo con Ferdinando re di Spagna, perché venisse ad aiutarlo coi suoi eserciti. Queste armi possono essere utili ad efficaci in se stesse, ma sono per chi le chiama quasi sempre dannose; perché se vieni sconfitto rimani distrutto, se vinci resti loro prigioniero.
    2 - Benché la storia antica sia piena di questi esempi, tuttavia non voglio allontanarmi dal fresco esempio di Papa Giulio II, la cui decisione, di gettarsi nelle braccia d’uno straniero per conquistare Ferrara, non potè essere meno sconsiderata. Ma la sua buona fortuna fece nascere un terzo effetto, risparmiandogli le gravi conseguenze della sua decisione sbagliata: perché il Papa, essendo state sconfitte a Ravenna le sue truppe ausiliarie spagnole (dai Francesi) e sopraggiungendo gli Svizzeri mercenari del Papa stesso, che cacciarono i vincitori, contro ogni previsione sua e di altri, si trovò a non restare prigioniero né dei nemici, che erano stati messi in fuga, né delle sue milizie ausiliarie, avendo il Papa riportato la vittoria con le armi mercenarie. I Fiorentini, essendo completamente privi di esercito, assoldarono diecimila Francesi per espugnare Pisa, e con questa decisione dovettero affrontare i momenti più pericolosi di quanti ne avevano affrontati nel corso della loro storia. L’imperatore di Costantinopoli, per opporsi ai suoi vicini, mandò in Grecia diecimila Turchi; i quali, finita la guerra, non se ne vollero andar via, e questo fu l’inizio della servitù della Grecia con gli infedeli.
    3 - Chi dunque non vuole aver la possibilità di vincere, usi le milizie ausiliarie, perché sono molto più pericolose delle mercenarie; con le armi ausiliarie, infatti, la rovina è certa: sono tutte unite e tutte rivolte a obbedire ad un altro. Le mercenarie, invece, anche dopo una vittoria, hanno bisogno di maggior tempo e di opportune occasioni per colpirti, non formando un organismo perfettamente fuso ed essendo state assoldate e pagate da te; e la persona che tu metti a capo di esse, non può raggiungere subito tanto potere da attaccarti. Insomma, nelle milizie mercenarie è più pericolosa la pigrizia, nelle ausiliarie il valore.
    4 - Pertanto, un Principe saggio ha sempre evitato di servirsi degli eserciti altrui e ne ha creato uno proprio; ed ha voluto piuttosto perdere con le sue truppe, che vincere con quelle degli altri, non giudicando vera una vittoria che si ottiene con le armi altrui. Non avrò mai dubbi a riportare come esempio Cesare Borgia e le sue azioni. Questo duca entrò in Romagna con le milizie ausiliarie, composte tutte da gente francese, con le quali conquistò Imola e Forlì. Ma, non sembrandogli poi leali tali truppe, si rivolse alle armi mercenarie, giudicando che presentassero minori pericoli; e assoldò gli Orsini e i Vitelli. E trovandole, poi, nel servirsene, incerte, infedeli e pericolose, le eliminò e si creò una propria milizia. Si può facilmente vedere quale differenza esista fra l’una e l’altra di queste milizie, considerando la differenza tra la reputazione che aveva il Duca quando si servì solo dei Francesi, quando ebbe gli Orsini e i Vitelli, e quando infine rimase padrone di se stesso con i suoi soldati: si troverà che essa è sempre cresciuta: e mai fu stimato tanto come quando ciascuno vide che lui possedeva interamente le sue truppe.
    5 - Io non mi volevo allontanare dagli esempi italiani e recenti: tuttavia non voglio tralasciare il Siracusano Gerone, essendo uno di quelli che ho già nominato. Costui, come ho detto, creato dai Siracusani comandante delle truppe, capì subito che la milizia mercenaria non era utile, perché i loro condottieri agivano come i nostri italiani; e, ritenendo di non poterli né conservare né lasciar andar via li fece tutti tagliare a pezzi, e da quel momento fece guerra con le sue truppe e non con quelle altrui. Voglio ancora riportare alla memoria un personaggio simbolico del Vecchio Testamento adeguato al nostro discorso. Offrendosi Davide a Saul di andare a combattere contro Golia, sfidante filisteo, Saul, per dargli coraggio, lo vestì con le sue armi. Ma Davide, dopo averle indossate, le rifiutò, dicendo che con quelle non si sarebbe trovato a suo agio, e che voleva affrontare il nemico colla sua fionda e col suo coltello. In definitiva, le truppe degli altri o ti cadono di dosso, o ti pesano, o sono strette.
    6 - Carlo VII, padre del re Luigi XI, avendo liberato la Francia dagli Inglesi, grazie alla sua fortuna e alla sua virtù, sentì questa necessità di armarsi con un proprio esercito e istituì nel suo regno l’arma della cavalleria e della fanteria. In seguito, suo figlio Luigi XI abolì la fanteria e cominciò ad assoldare gli Svizzeri: e questo errore, seguito da altri, è causa dei pericoli che corre quel regno, come si vede oggi nella realtà. Perché avendo dato prestigio agli Svizzeri, ha indebolito tutto il suo esercito in quanto ha eliminato la sua fanteria e la sua cavalleria è costretta a dipendere dalle armi altrui, ed essendosi abituata a combattere con gli Svizzeri, non le sembra possibile poter vincere senza di essi. Da questo consegue che i Francesi contro gli Svizzeri non arrivano ad essere sullo stesso piano, e senza gli Svizzeri non osano combattere contro altri. Gli eserciti della Francia, dunque, sono misti, in parte mercenari e in parte propri: e queste armi tutte insieme sono certamente migliori di quelle che sono soltanto mercenarie o soltanto ausiliarie, e molto inferiori alle proprie. Basta l’esempio che abbiamo fatto, perché il regno di Francia sarebbe insuperabile se l’istituzione introdotta da Carlo fosse stata potenziata o conservata. Però la scarsa saggezza degli uomini può dare inizio a qualcosa che al momento è buona, ma non si accorge del male che vi è nascosto: come ho detto prima a proposito delle febbri tisiche.
    7 - Pertanto, colui che in un principato non individua i mali quando nascono, non è veramente saggio: e questo è concesso a pochi. E se si ricercasse la prima causa della rovina dell’impero romano, si troverà che sia nata quando si cominciò ad assoldare i Goti; perché da quel principio cominciarono a svigorirsi le forze dell’impero romano, e tutta la potenza che esse perdevano, passava agli altri. Concludo, dunque, che senza possedere milizie proprie, nessun principato è sicuro; anzi, dipende in tutto dalla fortuna, non possedendo quelle forze che nelle avversità lo difendano con fedeltà. Ed è sempre stata opinione e massima degli uomini saggi, «quod nihil sit tam infirmum aut instabile, quam fama potentiae non sua vi nixa» (che niente è tanto instabile e debole quanto la potenza non sostenuta da una propria forza, ndr.). E le armi proprie sono quelle composte o dai sudditi o dai cittadini o da tuoi prescelti: e tutte le altre armi sono o mercenarie o ausiliarie. E il modo di istituire le armi proprie è facile da trovare, se si esamineranno le forme adottate dai quattro personaggi da me sopra citati e se si capirà come Filippo II, padre di Alessandro Magno, e come molte Repubbliche e Principi si sono armati e organizzati: a questi modelli io mi affido completamente.
    Capitolo XIV

    Quod Principem deceat circa militiam

    Quel che s’appartenga a un Principe circa la milizia

    Quel che conviene a un Principe rispetto alla milizia

    1 - Un Principe dunque non deve avere altra occupazione, né altro pensiero, né esercitare altra attività all’infuori della guerra, dell’organizzazione dell’esercito e dell’arte militare: questo è un compito che spetta esclusivamente a chi governa. Ed è un compito tanto importante che non solo mantiene al potere coloro che sono nati principi, ma molte volte fa salire privati cittadini a quel grado di potere; e al contrario si può vedere che, quando i principi hanno pensato più alle raffinatezze che alle armi, hanno perso il loro Stato. La prima causa che ti fa perdere lo Stato è trascurare l’arte militare. E la ragione che te lo fa conquistare è l’essere esperto in questa arte.
    2 - Francesco Sforza, poiché possedeva un esercito, da semplice cittadino diventò duca di Milano. I successori, per aver ripudiato i disagi dell’arte militare, da duchi ritornarono a essere semplici cittadini. Perché tra le altre conseguenze funeste che ti arreca l’essere disarmato, c’è il fatto che ti rende disprezzabile; e la cattiva reputazione è una di quelle infamie dalle quali il Principe si deve guardare, come si dirà più avanti. Perché non c’è alcun confronto tra un uomo armato e uno disarmato; e non è logico che uno che è armato obbedisca volentieri a uno che è disarmato, e che il Principe disarmato possa vivere al sicuro fra servitori armati. Perché essendoci insofferenza nei servitori armati e diffidenza nei principi disarmati, non è possibile che operino bene insieme. Perciò un Principe che non si intende di eserciti, oltre alle altre difficoltà, come si è detto, non può essere stimato dai suoi soldati né fidarsi di loro.
    3 - Il Principe pertanto, non deve distogliere mai il pensiero dagli esercizi militari, ai quali in tempo di pace deve dedicarsi più che in tempo di guerra; e può fare questo in due modi: l’uno con le opere, l’altro con la mente. Quanto alle opere, oltre a tener bene in ordine e in esercizio i suoi uomini, deve sempre praticare la caccia mediante la quale abituare il corpo ai disagi, e contemporaneamente imparare la natura dei luoghi e conoscere il sorgere dei monti, l’imboccatura delle valli, l’estensione delle pianure, la natura dei fiumi e delle paludi: e in tutto questo porre grandissima attenzione. Queste conoscenze gli sono utili in due modi. Prima impara a conoscere il suo paese e può meglio capire quali siano le sue difese naturali, poi, mediante la conoscenza e la pratica di quei luoghi, capire con facilità ogni altro luogo che gli sia necessario esplorare per la prima volta: perché i poggi, le valli, le pianure e i fiumi, che si trovano per esempio in Toscana, hanno una certa somiglianza con quelli delle altre regioni, così che dalla conoscenza dei luoghi di una regione si può giungere facilmente alla conoscenza dei luoghi delle altre regioni. Il Principe che manca di questa competenza, manca della prima dote che deve avere un capitano; perché questa insegna a trovare il nemico, a trovare il luogo su cui accamparsi, a guidare l’esercito, preparare la battaglia, assediare le città con tuo vantaggio.
    4 - A Filipomene, Principe degli Achei, tra le altre lodi che gli sono state rivolte dagli storici, c’è stata quella che egli in tempo di pace non pensava mai se non all’esercizio della guerra; e, quando andava in campagna con gli amici, spesso si fermava e discuteva con loro: - Se i nemici si trovassero su quel colle, e noi ci trovassimo qui col nostro esercito, chi di noi si troverebbe in una posizione di vantaggio? Come potremmo andare contro il nemico conservando l’assetto delle nostre truppe? Se noi volessimo ritirarci, come dovremmo fare? Se loro si ritirassero, come dovremmo inseguirli? -. E mentre camminava sottoponeva alla loro attenzione tutte le situazioni in cui un esercito si sarebbe potuto trovare. Ascoltava il loro parere, diceva la sua, arricchendola con osservazioni: tanto che in queste continue riflessioni, guidando gli eserciti, mai avrebbe potuto presentarsi qualche accidente al quale non avrebbe saputo trovare un adeguato rimedio.
    5 - Quanto all’esercizio della mente, un Principe deve leggere la storia e analizzare le imprese degli uomini eccellenti, vedere come si sono comportati nelle guerre ed esaminare le ragioni delle loro vittorie e sconfitte, per poter evitare le sconfitte e imitare le vittorie; e soprattutto fare quelle cose che in passato fece qualche Principe eccellente, che già prese a modello un uomo che prima di lui era stato lodato e glorificato, e del quale ha sempre tenuto a mente le gesta e le imprese: come si dice che Alessandro Magno imitava Achille, Cesare Alessandro, Scipione Ciro. E chiunque legge la vita di Ciro scritta da Senofonte, riconosce poi nella vita di Scipione quanta gloria gli arrecò quella imitazione e fino a che punto nella onestà, nella castità, nell’affabilità, nella umanità e nella liberalità si conformasse a quelle cose che di Ciro sono state scritte da Senofonte. Un Principe saggio deve osservare simili regole e mai restare ozioso in tempo di pace, ma farne tesoro con intelligenza per potersene valere nelle avversità, affinché, quando muta, la fortuna lo trovi pronto a resisterle.
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    Il doppio cognome per i bambini

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    La madre è spagnola, il padre italiano (sardo per la precisione): la figlia pur essendo nata nel Belpaese porterà il doppio cognome, quello del papà e quello della mamma.
    Lo ha stabilito, con un decreto, la prima sezione del Tribunale di Cagliari, accogliendo il ricorso presentato dai genitori dopo il no del Comune del capoluogo sardo alla registrazione con il doppio cognome.

    A darne notizia sono stati gli stessi genitori della bambina. Per loro una grande soddisfazione. “Non avevamo alcun dubbio circa l’esito finale – hanno spiegato – tuttavia vorremo che se ne parli, che si abbia conoscenza di questi pronunciamenti”.

    Papà e mamma avevano già ottenuto il riconoscimento di trasmettere il doppio cognome al figlio maggiore, con sentenza passata in giudicato da parte della Corte d’Appello di Cagliari.

    Cosa ne penso? Beh! Io trovo giustissimo dare il doppio cognome ai figli. Anzi, a dirla tutta, io darei prima il cognome della madre e poi quello del padre.

    Tante volte, scherzando con mio marito, gli ho proposto di dare ai nostri bambini il mio cognome. E la spiegazione non fa una grinza: noi mamme portiamo i figli in grembo, li partoriamo, li allattiamo, li cresciamo, ci facciamo in quattro per loro. Noi mamme rinunciamo alla carriera (a volte anche al lavoro), al tempo libero. Trascorriamo notti insonni, eccetera, eccetera.
    E i papà? I papà gli danno il cognome.
    Ma perché? Retaggio del passato? Effettivamente un tempo erano loro a portare il pane a casa, ma i tempi sono cambiati.

    Ok, va bene, c’erano anche loro quando i figli sono stati concepiti, ed è per questo che gli darei il secondo cognome!

    Poi, come è successo ad una mia amica, la coppia è scoppiata. Il papà nella sostanza è quasi sparito, si è fatto una nuova famiglia. Si fa rivedere nei weekend sporadicamente, a suo buon cuore. I rapporti con la ex compagna sono freddissimi. Eppure al bambino, che vive con la mamma, è rimasto il cognome del papà!

    Lo so, sono un po’ provocatoria, ma volutamente!

    Comunque, a parte gli scherzi, mi piacerebbe che i bambini portassero anche il cognome della mamma!
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    Via libera al sesso in la gravidanza!

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    Molte donne sono da sempre abituate a credere che fare sesso durante il periodo della gravidanza può essere pericoloso per il bimbo… Le nostre nonne ci hanno insegnato che una donna incinta non deve avere più nessun tipo di rapporto sessuale con il proprio partner…niente di più sbagliato. Smettere di avere un’attività sessuale sana e regolare nuoce solamente alla coppia. Sono anche molti, d’altra parte, gli uomini che hanno paura che il proprio movimento possa dare problemi al figlioletto. Assolutamente no.

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    Durante questo periodo importante ma anche molto difficile, la donna ha bisogno di sentirsi desiderata dalla persona che ha accanto…Vede il proprio corpo trasformarsi, il peso aumentare e tutti i vestiti che sono nell’armadio ora non entrano più….. Se a tutto questo aggiungiamo anche lo sbalzo di ormoni a cui è sottoposta, capiamo perchè molte delle future mamme sono spesso “felicemente isteriche”… E’ proprio per questo che qualche coccola non può che fare bene…Per quanto riguarda gli uomini, non sottovalutiamo il fatto che anche per loro qualcosa sta cambiando (soprattutto se si tratta del primo figlio): a volte noi donne siamo incentrate su noi stesse e lasciamo da parte il nostro maritino. Probabilmente lui potrebbe sentirsi messo in secondo piano e “ingelosirsi” del legame che si sta creando tra la mamma ed il feto. Facciamogli allora prendere parte a questo momento magico.
    Studi fatti confermano che il bambino non risente assolutamente dei rapporti sessuali che potrebbero esserci tra i genitori, a meno che non ci siano problemi legati alla gravidanza. “In realtà, all’interno della pancia della mamma, il bambino è ben protetto dal liquido amniotico, dal sacco amniotico e dalle resistenti pareti uterine. Inoltre il canale cervicale, anche se può venire sollecitato dall’atto sessuale, è piuttosto robusto ed ha il suo ingresso sigillato da un tappo di muco. E neppure lo sperma può provocare alcun danno poiché le abbondanti secrezioni vaginali tipiche dei nove mesi della maternità impediscono agli spermatozoi e ad eventuali germi di arrivare all’interno dell’utero“.Analizzando le varie fasi della gravidanza possiamo renderci conto che ogni periodo è diverso dall’altro. I primi tre mesi potrebbero essere un problema in quanto il desiderio sessuale da parte della donna viene a mancare, troppo impegnata con le continue nausee, i capogiri e via dicendo…pensa a tutto tranne che a mettersi in ghingheri per la notte; ma attenzione perché alcune donne potrebbero invece essere inspiegabilmente attratte più del solito dai loro partner.La seconda fase, corrispondente al secondo trimestre di gravidanza, è invece per tutte caratterizzata da un aumento sensibile di ormoni e desiderio sessuale, ragione per cui è uno dei momenti propizi per approfittarne.Nell’ultimo trimestre l’unico problema è l’ingombro: le dimensioni della pancia potrebbero costituire effettivamente un fastidio, per cui è ovvio che la coppia non potrà annoverare tutte le posizioni del kamasutra!Per cui, dolcemente e con amore, coccolate il vostro partner e la gravidanza sarà un periodo indimenticabile per tutti e due….

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    CURIOSITÀ CULINARIE: Matite da gustare

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    MATITE FATTE DA FORMAGGIO – Non è una bufala, anzi! Si tratta di una novità culinaria che ci arriva dalla Germania e di cui già si parla molto anche oltreoceano. Di cosa si tratta esattamente?L’agenzia tedesca Kolle Rebbe, in collaborazione con il brand di prodotti alimentari The Deli Garage, ha creato un prodotto davvero eccezionale ed unico nel suo genere. Questo prodotto, chiamato Parmesan Cheese Pencil, rappresenta una linea di gustosi formaggi a forma di curiose matite.Se vi capita tra le mani, all’interno del packaging studiato per questi alimenti troverete anche un temperino. Oltre alla genialità dell’idea stessa vi renderete conto soprattutto dell’utilità di questo ‘aggeggio’ che serve, appunto, per temperare le matite commestibili sui nostri piatti.Ogni matita, oltre ad essere fatta di saporito parmigiano, ha una punta di aromi differenti. Se vi piace tartufo, pesto o peperoncino, andrete matti per queste curiose matite che daranno un tocco magico e profumato alla vostra tavola.Questo curioso e davvero insolito progetto ha avuto un successo incredibile. Pensate che dopo solo due settimane dal lancio di una edizione limitata di 500 pezzi, le matite di formaggio sono andate letteralmente a ruba.A voi vi piacerebbe gustarlo?
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    Gli Antenati compiono 50 anni: il primo episodio andato in onda su Abc
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    Il prossimo 30 settembre una delle serie animate più amate e longeve della tv, Gli Antenati (The Flintstones), compie 50 anni.

    La famiglia dell’età della pietra ideata da Hanna & Barbera nel 1960, ha sempre divertito per l’originalità delle invenzioni utilizzate dai protagonisti per sempificarsi la vita come gli animali usati come elettrodomestici, o dei mezzi di locomozione ‘pedestri’ che utilizzano per muoversi da un luogo ad un altro. Trasmesso sul canale americano Abc fino al 1966 fu il primo cartone concepito per la prima serata, indirizzato a tutta la famiglia. La durata degli episodi infatti era di circa 30 minuti, inusuale per i tempi. In effetti la durata media dei cartoon era di 10 minuti.

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    Gli autori partirono come base da una sit-com degli anni ‘50 intitolata “The Honeymooners”, i cui protagonisti avevano delle somiglianze con la famiglia preistorica che vive a Bedrock. Fred Flintstone e la moglie Wilma sono i protagonisti ma la famiglia Rubble, composta da Barney e la moglie Betty, sono presenti ugualmente in tutte le puntate. Fred è burbero, poco sveglio ma come per magia delle volte sfodera delle intuizioni brillanti che non ci si aspetterebbe da uno come lui. Divertente il suo storico grido di battaglia: “Yabba-Dabba-Doo” con cui esprime i suoi più intensi momenti di felicità.

    Edited by gheagabry1 - 3/9/2022, 15:22
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    Il cellulare per i ragazzi è come il “cordone ombelicale”, senza vanno nel panico!

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    L’altro giorno ho pubblicato un post sulla proposta di vietare i cellulari a scuola. Mi sono divertita molto leggendo i vostri commenti. Molti di voi si sono detti decisi a non concedere il telefonino ai bambini-ragazzini per lungo, lungo tempo.
    Altri genitori, con figli in età adolescenziale, invece, hanno detto che è quasi impossibile privare i ragazzi di questi apparecchi perché si sentirebbero esclusi dal loro gruppo. E che quindi, pur controvoglia, hanno dovuto cedere alle loro incessanti richieste e quindi comprare il “famigerato” cellulare.

    Stamattina ho trovato questa agenzia che pare dare ragione proprio a questi ultimi. Leggete un po’ che sta succedendo ai ragazzi cosiddetti “nativi digitali”. In pratica è già scattato l’allarme per “dipendenza da cellulare”. Ed è un S.O.S. molto serio!

    Quando non possono contare sul loro telefonino, più di 9 ragazzi su 10 entrano letteralmente in panico. Si sentono stressati, demotivati e temono di perdere i contatti con gli amici. Una vera e propria ‘sindrome di astinenza’, simile a quella che scatta per chi vive connesso a pc e Internet.

    A fotografare il fenomeno e’ un’indagine condotta a Taiwan dalla King Car Education Foundation, su un campione di 2.141 studenti.

    Quasi il 100% dei ragazzi delle scuole superiori o dell’università possiede un proprio cellulare, contro il 45% degli studenti della scuola primaria. Ma la ricerca rileva che il telefonino causa nei giovanissimi proprietari livelli d’ansia anormali. In generale, il 93% dei ragazzi intervistati confessa di sentirsi inquieto o addirittura “in panico” quando non può usare il cellulare, perchè l’ha dimenticato o magari la batteria è scarica. Non solo. I nuovi adolescenti si sentono angosciati se il telefonino non suona o quando non c’e’ campo.Immaginando una vita senza cellulare, più di uno su 3 (33,7%) dice che si sentirebbe annoiato e quasi uno su 5 (19,3%) avrebbe paura della solitudine, di perdere i contatti con gli amici e di trovarsi isolato.

    “L’uso del telefono cellulare è diventato per i teenager una necessità quotidiana“, un elemento di vitale importanza, spiega Chan-Chi-feng del National Taiwan University Hospital. Nell’era degli smartphone, il telefonino è diventato quasi un ‘cordone ombelicale’ e “ciò ha effetti sia positivi sia negativi sulla salute”, sottolinea l’esperto, anche se i possibili danni “non sono così immediati da comprendere come quelli della dipendenza dal pc o dal web”. I ragazzi dovrebbero fare piu’ attenzione e utilizzare il cellulare “in un modo sano”, esorta Tseng Ching-yun, segretario generale della Fondazione che ha firmato la ricerca. Non dovrebbero permettere, dice, che il telefonino comprometta la loro salute o il rendimento scolastico.

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    Addio lettini solari per donne incinte e minori


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    Questa notizia è rivolta soprattutto alle donne con il pancione e ai genitori che hanno figli un po’ più grandicelli, ma anche a tutti gli altri affezionati dei “solarium”: un decreto legislativo pronto per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale “vieta lettini solari e lampade alle donne in stato di gravidanza e ai minori di 18 anni. Estende il divieto a chi soffre o ha sofferto di neoplasie acute e alle persone dalla pelle delicata e a coloro che non si abbronzano o che si scottano facilmente al sole. Inoltre fissa un limite massimo di sedute per tutti gli altri”. Un intervento di cui si parla da anni, ma che solo adesso sta per diventare realtà.

    Sicuramente un bel problema per gli amanti dell’abbronzatura ad ogni costo. E immagino che per i genitori degli adolescenti sarà veramente dura convincere i ragazzini patiti della pelle dorata a tenersi lontani dai centri solarium, soprattutto in questo periodo, con l’estate alle porte.

    A quell’età i rischi per la salute, come il melanoma, non vengono presi neppure in considerazione. Gli adolescenti a queste cose, in genere, non ci pensano proprio.

    Eppure, “di per sé l’abbronzatura è un fatto positivo” afferma Pier Giacomo Calzavara Pinton, direttore della Clinica dermatologica dell’Università di Brescia.
    “L’errore sta nel modo usato per ottenerla. “Occorrono 8-10 giorni prima che si formi il pigmento. Ma le persone fanno la lampada perchè la sera vogliono avere un effetto abbronzato. Ebbene, così ci si brucia e basta. E oltretutto il nostro organismo riesce a riparare i danni cellulari solo fino a un certo punto. Ecco perchè il decreto in arrivo, che vieterà le lampade ai minori, è un fatto positivo”.

    “Se la ‘tintarella’ selvaggia è come una sbornia, le lampade abbronzanti lo sono altrettanto: si pensava che i raggi Uva fossero buoni e gli Uvb cattivi, ma ora si sa che non è così. Il decreto, che attendiamo da anni, dovrebbe contenere due misure innovative: il divieto per i minori e le indicazioni per alcune categorie a rischio. Inoltre si dovrebbe stabilire un numero massimo di ‘sedute’ l’anno” per i fan di lettini, lampade e docce solari. Che, secondo i dermatologi, non dovrebbero superare le 15-20″.

    Funzionerà? Riuscirà questa norma a dare davvero un giro di vite all’abbronzatura artificiale?
    Io spero di sì.
    Anche se ho un timore: se si permetterà agli “under 18″ di fare le lampade solo con l’autorizzazione dei genitori o del tutore, ho paura che questo si possa trasformare in una sorta di ricatto dei ragazzi verso mamma e papà. Tipo: faccio questo solo se mi firmi l’autorizzazione per una doccia…

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    Parto oltre il termine: se la nascita si fa attendere



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    Niente paura: è un’eventualità che si può superare serenamente e che, in genere, non comporta rischi per la mamma e il bebè.


    A circa il 30% delle donne in procinto del parto capita di “andare oltre il termine”, ovvero di arrivare al compimento della 40ª settimana e di non avere alcun segnale di avvio del travaglio: sono le future mamme che partoriranno tra la fine della 40ª settimana e l’inizio della 42ª, senza che questo comporti complicazioni di alcun tipo. Il consiglio è di armarsi di un po’ di pazienza.

    Perché i tempi si allungano


    Ecco i motivi per cui il bambino nasce in ritardo rispetto alla data presunta del parto:

    Familiarità


    Chi ha la mamma, la nonna o una sorella che hanno partorito oltre termine ha maggiori probabilità di vivere la stessa esperienza. È dimostrato, infatti, che la familiarità ha un preciso ruolo nella durata della gravidanza.

    Cicli lunghi


    Le donne che hanno cicli mestruali più lunghi rispetto ai 28 giorni di media partoriscono di solito più tardi rispetto a chi invece ha flussi ravvicinati, cioè ogni 25-27 giorni. Anche le donne con mestruazioni irregolari, statisticamente hanno più probabilità di partorire oltre la data stabilita.

    Gli errori di calcolo

    La data del parto si calcola ipotizzando che il concepimento avvenga 14 giorni dopo l’inizio dell’ultima mestruazione. Si tratta quindi di un calcolo molto teorico, perché anche nelle donne con mestruazioni regolari può accadere che l’ovulazione si verifichi più avanti rispetto alla metà esatta del ciclo.

    La pillola


    È stato osservato che le donne che iniziano la gravidanza nei primi tre mesi successivi alla sospensione della pillola contraccettiva tendono a partorire oltre termine. Lo stesso accade quando il concepimento avviene durante l’allattamento. Nell’uno e nell’altro caso gli ormoni subiscono variazioni che rischiano di posticipare l’ovulazione.

    I farmaci “ritardanti”


    Tutti i FANS, cioè i cosiddetti “farmaci antinfiammatori non steroidei”, di cui il capostipite è l’aspirina, possono ritardare la data del parto: essi attenuano il dolore e l’infiammazione, bloccando la produzione delle prostaglandine, ovvero sostanze che l’organismo libera per favorire la comparsa delle contrazioni dell’utero e, quindi, per dare inizio alle manifestazioni tipiche del travaglio. È dunque possibile che il parto slitti in avanti in seguito all’assunzione occasionale di antinfiammatori non steroidei durante le ultime settimane di gravidanza.
    I controlli da fare
    A partire dalla 39ª settimana e cinque giorni, la futura mamma deve sottoporsi a una serie di controlli volti ad accertare che tutto stia procedendo per il meglio. Questi esami vengono ripetuti a 40 settimane e mezzo, quindi a 41 settimane e poi a 41 settimane e due giorni. Di solito, l’iter finisce qui, perché se il bimbo dopo questa data non nasce ancora, il parto viene indotto.

    Il tracciato


    A partire da due giorni prima dell’inizio della 40ª settimana viene effettuato il cosiddetto “tracciato cardiotocografico”. Questo esame registra il battito cardiaco del piccolo e le contrazioni dell’utero. Si esegue appoggiando sul pancione un sensore collegato a un computer. Ha una durata di circa 20 minuti e viene ripetuto ogni 48 ore tra la 40ª e la 41ª settimana e ogni 24 ore tra la 41ª e la 42ª.
    La flussimetria doppler
    Con questo termine si indica una particolare ecografia che indaga sul cordone ombelicale e sulla placenta allo scopo di verificare che il piccolo, attraverso il flusso del sangue materno, riceva sempre il giusto ossigeno e nutrimento. Dura 10 minuti e di solito viene effettuata nel corso di ogni ecografia dalla 20ª settimana e poi ogni tre-quattro giorni, a partire dalla 39ª settimana e tre giorni.
    L’ecografia
    Un altro esame a cui generalmente si fa ricorso in prossimità della data del parto è l’ecografia volta a valutare le condizioni della placenta e, soprattutto, la quantità di liquido amniotico che, se tutto procede per il meglio, non deve diminuire oltre un livello ben definito. In caso contrario, segnala che la placenta non sta più svolgendo il suo compito in modo corretto.

    L’amnioscopia


    È un semplice esame che consente di valutare il colore e la trasparenza del liquido amniotico. Se tutto va bene, questo è limpido e chiaro come l’acqua. Questa pratica, però, è caduta ormai in disuso per la sua imprecisione: permette infatti di valutare solo la quantità di liquido che si trova in prossimità del collo dell’utero, ma non consente di verificare le condizioni di tutto il liquido amniotico, che potrebbe essere chiaro e trasparente vicino all’imboccatura della cervice, ma verdognolo e opaco in altre zone.
    Quando indurre il travaglio
    Se tre giorni dopo la fine della 41ª settimana non succede ancora niente, il parto viene indotto. Si tratta di una prassi che molte strutture adottano anche se tutti i controlli eseguiti fino a quel momento hanno permesso di escludere qualsiasi problema.
    Per indurre il parto, in prima battuta viene introdotto in vagina, a intervalli di 6-8 ore, un gel a base di prostaglandine. Generalmente, vengono effettuate tre applicazioni.
    Se il travaglio non inizia, si ricorre alla rottura del sacco amniotico (rottura delle acque), in seguito alla quale vengono liberate grandi quantità di prostaglandine, che stimolano le contrazioni.
    Se anche dopo questo intervento il bimbo non si decide a nascere, viene somministrata l’ossitocina con la flebo. L’ossitocina è un ormone che agisce direttamente sull’utero, inducendolo a contrarsi con regolarità fino a quando il bambino non viene alla luce.

    Quando si opta per il cesareo


    Diventa necessario quando tutti i metodi per indurre il travaglio falliscono e, al tempo stesso, grazie ai controlli, si rileva che il bimbo inizia a dare segni di sofferenza. L’eventualità che tutte le metodiche che stimolano il parto non diano alcun risultato è comunque piuttosto rara

    Bimbi più grossi e mangioni


    Di solito, i bimbi che nascono oltre il termine hanno un peso superiore alla media. Sono quindi più affamati e dispongono anche di maggiori energie per succhiare il latte. Di conseguenza possono stimolare molto più efficacemente il seno, favorendo in questo modo una precoce montata lattea.
    È possibile quindi che alla nascita abbiano un calo fisiologico (perdita di peso) minore rispetto a quello a cui vanno incontro i bebè nati nel giusto periodo.

    Si può provare così


    Fare l’amore spesso nell’ultima settimana di gravidanza può rappresentare il metodo più naturale per favorire l’avvio del parto. A giocare un ruolo di rilievo sono sia lo stimolo meccanico che viene esercitato sul collo dell’utero, sia le prostaglandine, che sono contenute in abbondanza nel liquido seminale maschile.
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    Screening neonatali: i controlli alla nascita



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    ndice di Apgar, misurazione di peso e lunghezza, prelievo dal tallone... Tutti gli esami a cui il vostro bambino viene sottoposto appena nato. Di cosa si tratta e a cosa servono.



    Per verificare il suo stato di salute, alla nascita il bebè viene sottoposto a una serie di controlli. Vediamo di che cosa si tratta.

    A un minuto dalla nascita: l’indice di Apgar
    Subito dopo il taglio del cordone ombelicale, il neonato riceve la sua prima “pagella” attraverso l’indice di Apgar, un test che prende il nome dall’ostetrica-anestesista americana che lo ideò, agli inizi degli anni ’50. È un esame che non si basa su analisi o strumentazioni, ma sulla valutazione dello stato di benessere del piccolo. Viene assegnato un punteggio ai cinque principali parametri vitali: attività respiratoria, frequenza del battito cardiaco, tono muscolare, colorito, riflessi. La somma dei punti può arrivare a un massimo di 10, a indicare un bebè in ottime condizioni, ma sono ritenuti accettabili i valori superiori a 7.
    Il test viene effettuato al primo minuto dopo la nascita e poi, di nuovo, al quinto – in alcuni casi, anche al decimo e poi ogni 5 minuti – qualora l’adattamento alla vita extrauterina richieda un po’ più di tempo.

    Prima di uscire dalla sala parto, due misure di prevenzione

    Oltre al controllo clinico dello stato generale del neonato, in sala parto vengono registrati quei parametri che saranno poi costantemente aggiornati nelle visite pediatriche che seguiranno e che sono molto importanti per tenere sotto controllo lo sviluppo del piccolo: il peso (la media è di 3,2 kg per le bambine e di 3,3 kg per i maschietti), la lunghezza (in media 49 cm per le bambine, 50 per i maschi), la circonferenza cranica (circa 35 cm per entrambi i sessi).
    Quindi, prima che lasci la sala parto, e comunque entro le prime due ore di vita, il bebè viene sottoposto a due misure di prevenzione. La prima consiste nella somministrazione di vitamina K (profilassi per la malattia emorragica del neonato) sotto forma di una piccola iniezione nella coscia o di goccine per bocca; la seconda (profilassi per l’infezione gonococcica e la congiuntivite batterica) nell’instillazione negli occhietti di un collirio antibiotico.

    Ma chi esegue questi controlli? In alcuni Centri Nascita il pediatra è presente a tutti i parti ed è lui a visitare il neonato; in altri, test e profilassi vengono eseguiti da un’ostetrica. In genere, però, entro le prime sei-otto ore di vita ogni piccolo viene visitato anche da un medico che ne rileva, tra l’altro, le competenze motorie, sensoriali e comportamentali. Il controllo dell’attacco al seno, invece, di competenza dell’ostetrica o dell’infermiera, viene eseguito almeno ogni otto ore nelle prime 24, e successivamente ogni volta che c’è bisogno.

    I test di screening
    Effettuati in genere tra le 48 e le 72 ore di vita, si tratta di esami che servono a individuare il più precocemente possibile alcune patologie altrimenti difficili da diagnosticare (il neonato che ne è affetto in apparenza è sano) e per le quali è fondamentale intervenire tempestivamente. È importante sottolineare che si tratta di test di primo livello, il cui risultato non costituisce una diagnosi definitiva, ma semplicemente un indice di rischio. L’esito positivo del test, quindi, non deve far pensare al peggio, ma va considerato come una bandierina rossa che deve essere valutata meglio.

    Un prelievo dal tallone
    Screening metabolico o Test di Guthrie, serve per verificare l’eventuale presenza di alcune malattie piuttosto gravi: l’ipotiroidismo congenito, la fenilchetonuria e la fibrosi cistica. L’esame consiste nel prelievo di qualche goccia di sangue dal tallone del neonato: in genere lo si esegue mentre il piccolo è attaccato al seno, in modo che avverta meno la sensazione dolorosa. Il sangue prelevato viene messo su un particolare cartoncino assorbente e inviato a un laboratorio specializzato.
    La risposta giunge di solito entro circa 15 giorni. n genere, se l’esito è positivo la mamma viene richiamata, altrimenti no. A meno che, come talvolta succede, non ci sia stato qualche problema tecnico nell’esecuzione del test: in questo caso la mamma e il piccolo vengono riconvocati al Punto Nascita per ripeterlo. Altro motivo per non allarmarsi: i “falsi positivi” sono piuttosto numerosi. Capita abbastanza spesso che il dubbio suscitato dal primo test si dissolva completamente di fronte a un’indagine più approfondita.
    L’esame a occhi e orecchie
    Altri test di screening sono quello del riflesso rosso e quello dell’udito. In entrambi i casi, l’invasività è minima e l’esito è immediato. Nel primo, con uno speciale apparecchio viene controllato il riflesso rosso del fondo oculare per verificare che l’occhio sia ben conformato. Nel secondo, grazie a un piccolo sensore inserito nel condotto uditivo esterno e collegato a un’apposita macchinetta, si rilevano le cosiddette otoemissioni acustiche, segno che l’orecchio è ben strutturato e conduce bene il suono.
    Per scongiurare problemi all’anca
    La manovra di Ortolani è un particolare movimento che il pediatra fa compiere alle gambine del bambino per verificare che la testa del femore sia ben centrata nella sua sede, l’acetabolo. Questa manovra serve per la diagnosi precoce di una malformazione, la displasia congenita dell’anca. Se nel compierla si ha il dubbio che sia presente un’anomalia o se esistono fattori di rischio (familiari affetti dalla patologia), in genere si richiede un’ecografia entro i primi 15 giorni di vita per accertare la situazione.
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    buon giorno amici.... :36_1_47.gif: .scusate il ritardo questa mattina ho avuto un po' da fare....
    ......un abbraccio a tutti.... :1289647678.gif:


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    BARBIE PRINCIPESSA DELL'ISOLA PERDUTA




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    ciao..arca..tutto bene?.... image image image image
    ahahaha.molto belle ste faccine....le prendo tutte...


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    Sonno bambino: quante ore deve dormire?


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    Il bisogno di sonno è diverso da bambino a bambino, perché è influenzato da tanti fattori tra cui il temperamento, innanzi tutto, poi l’età (più sono piccoli e più hanno necessità di dormire), gli stimoli esterni ricevuti, l’atmosfera familiare (se c’è serenità in casa è più probabile che il piccolo dorma di più e si svegli di meno durante la notte).
    A noi mamme piace, però, avere almeno un’indicazione di massima relativa alle ore di sonno che un bambino dovrebbe dormire in base alla sua età. Va però sottolineato che il criterio a cui attenersi per stabilire che “qualcosa non va” in relazione al momento della nanna non è certo quello della durata, ma piuttosto della qualità del sonno. Per esempio, non c’è nulla da preoccuparsi se un neonato dorme in un giorno 14 ore anziché 18 o 20, ma il suo sonno è sereno, la sua crescita è regolare e nelle ore in cui sta sveglio non appare irritato, né piange di continuo.
    Vediamo allora insieme quali dovrebbero essere i ritmi del sonno nei primi anni di vita del bambino:
    - da 0 a 4 mesi il bambino dorme da 16 a 18 ore nel corso delle 24 ore, senza rendersi conto dell’alternanza di giorno e notte, e i suoi risvegli risultano stimolati per lo più da esigenze nutritive;
    - da 4 a 6 mesi il sonno comincia a concentrarsi nelle ore notturne con una media di 10 ore contro le 4-5 ore dedicate ai riposini diurni secondo un ritmo sempre più simile a quello degli adulti;
    - da 6 a 12 mesi i pisolini diurni si riducono ulteriormente seguendo in genere lo schema 1-2 ore di sonno la mattina e 1-2 ore il pomeriggio, mentre la notte il piccolo arriva a dormire circa 11 ore. Questa regolarizzazione viene indotta anche dall’introduzione di nuove abitudini alimentari e cioè la sequenza dei pasti che l’avvio dello svezzamento comporta;
    - da 1 a 3 anni il sonno notturno si estende fino alle 12-13 ore e, di solito, proprio a questa età comincia a “saltare” il riposino della mattina mentre quello pomeridiano tende a permanere fino a circa 5-6 anni.





    Allattare al seno, riduce le ore di sonno?

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    La mancanza di sonno è uno dei problemi di cui spesso i neogenitori si lamentano, soprattutto durante i primi mesi quando è necessario allattare il piccolo anche durante la notte. Questo è necessario perché, l’apparato digerente del neonato non è ancora pienamente sviluppato e dunque non è in grado si soddisfare le esigenze del piccolo. In più se il piccolo è allattato al seno, il latte materno è più digeribile di quello artificiale e dunque è normale che i piccoli si sveglino con una frequenza maggiore di quelli allattati con il latte in formula.
    Per questo motivo molto spesso le neomamme pensano che proprio l’allattare al seno il piccolo possa essere “causa” di meno ore di sonno. In realtà, non c’è nessuna differenza in termini di mancanza di sonno per le mamme che allattano il proprio bambino al seno o con il biberon. A confermare questo è uno studio coordinato da Hawley Montgomery-Downs presso la West Virginia University da Morgantown che conferma come le neomamme che allattano al seno di notte dormono esattamente quanto le neomamme che, per scelta o per altri motivi, utilizzano il biberon e il latte in formula.
    La coordinatrice dello studio dichiara: “Ci sono evidenze scientifiche riguardanti il fatto che i neonati allattati al seno risposino meno ma nessuno aveva indagato ancora sulle loro madri; dati alla mano, non abbiamo trovato differenze significative riguardanti il sonno delle neomamme in relazione a come nutrono il loro bambino” e continua “…Molte mamme rinunciano ad allattare al seno perchè sostengono che solo così riescono a riposare e a dormire di più ma il latte materno è così importante tanto per il bambino quanto per la madre che abbiamo voluto verificare, volevamo avere delle prove empiriche.”
    Per affermare ciò sono state sottoposte ad osservazione 80 donne tra cui:
    27 hanno allattato esclusivamente al seno per almeno 12 settimane;
    18 hanno allattato esclusivamente con latte formulato;
    35 hanno utilizzato entrambi i metodi di alimentazione.
    A questo punto le neomamme hanno tenuto dei “diari del sonno” dove hanno riportato la qualità del sonno e il numero di volte che si svegliavano durante la notte, indossando anche dei dispositivi di controllo del sonno e segnalavano, durante il giorno, i momenti di sonnolenza.
    “Non siamo in grado di dire esattamente perché non c’è differenza, ma le donne che allattano possono essere forse più riposate perchè non devono alzarsi e preparare il latte oppure perchè continuano a farlo rimanendo al buio nel loro letto ” ha detto Montgomery-Downs.
    Dunque mamme, allattare al seno è un gesto meraviglioso e naturale, il più bel dono che una mamma possa fare al proprio piccolo dopo averlo messo al mondo, ed è per questo che è importante riuscire ad allattare il proprio bambino il più possibile, natura permettendo.
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    Figlio ribelle




    Non sempre la ribellione di un bambino è negativa, va compresa a fondo e affrontata nel modo più adeguato.

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    Quando un figlio è ribelle, i problemi di gestione di questa supposta problematica possono essere diversi, legati all’età del bambino, al contesto familiare ecc. La ribellione, però, dovrebbe essere letta nel modo giusto, o meglio essere connotata nella maniera più specifica possibile, poiché in base all’età del bambino può avere una determinata spiegazione e soprattutto perché se la ribellione è una forma più accentuata di vivacità non andrebbe vissuta negativamente.

    Esistono delle interssanti teorie supportate da studi e ricerche di sociologi, psicologici e studiosi vari che vendono la vivacità, intellettuale e fisica, come un valore positivo e non negativo del bambino, avete mai sentito parlare dei bambini “indaco” o bambini “cristallo”?
    In queste teorie estremamente affascinanti, sia ha una visione del bambino olistica, naturale e molto spirituale e per certi versi abbastanza montessoriana, poiché si vede e si vive il bimbo come un essere che deve assolutamente manifestare il proprio io e i propri desideri in modo libero, senza troppi vincoli.
    Gli elementi vivaci sono in sintesi bambini davvero speciali, dotati di particolari “poteri”, molto sensibili, intelligenti in modo profondo e acuto, desiderosi di scoprire il mondo dal suo interno di compiere un personalissimo percorso di crescita, che può non essere quello invece imposto dai genitori.
    I genitori di bambini ribelli, spesso non colgono questi atteggiamenti dando loro il giusto valore, ma vedendoli solo in modo negativo, come qualcosa che va contenuto, ma non nel senso Kleiniano del termine, bensì controllato fino al blocco dell’espressione in qualsiasi forma.




    I bambini vanno ascoltati, osservati ed educati, da parte di entrambi i genitori e non solo, ma anche i nonni, i maestri, qualsiasi persona può essere un buon educatore se porta la propria esperienza come buon modello e al contempo lascia la libertà di espressione e di parola al bambino. Un bambino ribelle non va considerato “problematico” e portato subito da uno psicologo, questa scelta potrebbe in qualche modo peggiorare il suo stato d’animo, si sentirebbe come un animale in trappola, vedrebbe minata la propria libertà.
    Sono comunque necessarie delle regole e dei paletti, poiché ciascun bambino ama le regole, sì sembra difficile a credere, ma è proprio così. Tali regole però non devono essere troppo rigide, ne bastano poche ma che siano salde. Non create confusione nel bambino: siate fermi, ma disponibili, attenti all’ascolto attivo, comprensivi e teneri. Lui ha sempre bisogno del vostro amore e a volte la ribellione è proprio legata a un “sentirsi poco amato”, poco presente nella considerazione che i genitori hanno nei suoi confronti.
    Motivate i vostri “no”, non dite “sì e basta”, spiegate loro tutto con pazienza, impareranno ad avere più fiducia in voi e si ribelleranno sempre meno, ma acquisteranno maggiore consapevolezza e introietteranno la vostra figura in modo positivo.
    La presenza della figura paterna è fondamentale, un padre presente solo fisicamente, ma assente e distante psicologicamente non è mai positivo e sicuramente causa una situazione interna al bambino di instabilità, alla quale può seguire l’insicurezza, le paure o appunto anche la ribellione. Tutto ciò può essere evitato con il giusto equilibrio della suddivisione dei ruoli tra i genitori, con un amore vero e sincero, ma soprattutto costante.
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