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    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 047 (16 Novembre – 22 Novembre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 16 Novembre 2015
    S. MARGHERITA DI S.

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    Settimana n. 47
    Giorni dall'inizio dell'anno: 320/45
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    A Roma il sole sorge alle 07:01 e tramonta alle 16:48 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 07:24 e tramonta alle 16:51 (ora solare)
    Luna: 10.51 (lev.) 21.04 (tram.)
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    Proverbio del giorno:
    Dove manca natura arte procura
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    Aforisma del giorno:
    La parola è stata data all'uomo per nascondere il pensiero.
    (Voltaire)









    RIFLESSIONI



    ... “…Neppure fosse l’ultima volta che ci vediamo!”…
    ... La sera è fresca; giovani si incontrano è sera. Un gruppo di amici vicino ad un bar, sulle rive del fiume si incontra al solito posto. Un venerdì sera come tanti altri; anzi più belli di altri, questo pazzo clima regala temperature miti che fanno pensare a passeggiate, a leggero passare il tempo insieme. Si scherzo davanti a quell bar, si gioca e si parla di futuro e di vita; qualcuno pensa alle vacanze di natale, alle prossime festività da passare insieme. Piccoli accenni a discorsi che nelle prossime settimane diverranno centrali, importanti; perché un altro anno sta passando e si deve festeggiarlo come sempre in modo speciale. Per la sera ci sono varie proposte, chi vuole andare a sentire un concerto in un teatro, che vuole andare allo stadio, chi invece a cena in un ristorantino del centro. Si ragiona tutti insieme, il primo obiettivo è come sempre quello di passare la serata tutti insieme; quella sera però sembra impossibile. Sembra ci sia una regia a guidare le parole di ognuno; stavolta sembra che ognuno deve seguire il proprio destino la propria scelta. Si ride, ironizzando sulla scelta degli altri, si sfotte chi vuole fare altro, ma sono amici, vogliono il bene l’uno dell’altro; alla fine dopo tanta allegra e divertita discussione decidono ognuno di seguire la propria volontà. Quindi alcuni decidono di andare al teatro per il concerto, altri allo stadio per la partita della nazionale, altri ancora al risptorante per una buona cenetta. Ognuno prenota posti, biglietti, tutti partecipano con felicità a rendere bella la scelta dell’amico, questa è l’amiciza, questo è il bello del saper stare insieme. Giunge il momento dei saluti, “ci vediamo qui domattina all’ora del pranzo; sarà bello questa volta raccontarci le diverse serate trascorse”. Si abbracciano, si guardano negli occhi; uno mentre abbraccia il suo amico dice a voce alta “siamo teneri oggi, neppure fosse l’ultima volta che ci vediamo!”. Una risata scrosciante, baci abbracci ma anche un senso strano li pervade. Quella frase “…neppure fosse l’ultima volta che ci vediamo!”come un sasso in uno stagno dalle acque ferme. “Che strano brivido a quella frase” dice una ragazza mentre saluta il suo amico. Lei è innamorata di lui, si vedranno domani, lei andrà a teatro, lui allo stadio, hanno una vita per raccontarsi quel loro amore che sta nascendo. Quel nucleo si divide in tre parti, si voltano a guardare gli altri amici che vanno in altri luoghi, fin quando non spariscono alla loro vista. “…neppure fosse l’ultima volta che ci vediamo!” aveva detto quel ragazzo; uno sparo, un’esplosione un lampo nella mente di ognuno di loro, quella frase così bella ed ingenua nella sua bellezza, appare per un attimo; quell’attimo che occorre per capire che in realtà quella frase era stata tragicamente foriera di una verità. Ore dodici del giorno successivo, non c’è nessuno all’appuntamento; quella è stata l’ultima volta che quel gruppo di amici si è incontrato. Risuona il loro ridere, risuona la leggerezza del loro vivere … da oggi in quel luogo risuonerà il senso di ingiustizia e di imponderabilità che avvolge oramai tutti in questo nosto amaro tempo. Non commento, non giudico, il mio cuore è straziato da quanto accaduto a Parigi; ho descritto il mio stato d’animo come sempre con un racconto perché mi fa troppo male raccontare la cronaca. … Buon Ottobre amici miei … (Claudio)






    UOMO DEL MIO TEMPO
    Sei ancora quello della pietra e della fionda,
    uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
    con le ali maligne, le meridiane di morte,
    -t'ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
    alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
    con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
    senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
    come sempre, come uccisero i padri, come uccisero,
    gli animali che ti videro per la prima volta.
    E questo sangue odora come nel giorno
    quando il fratello disse all'altro fratello:
    "Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
    è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
    Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
    salite dalla terra, dimenticate i padri:
    le loro tombe affondano nella cenere,
    gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
    (Salvatore Quasimodo)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    Canzonetta della pioggia

    Già s'affacciano nel cielo
    grossi e densi nuvoloni.
    Ogni pianta ed ogni stelo
    si dispoglia a poco a poco.
    Guizzan fulmini di fuoco
    fra il rombar, cupo, dei tuoni.
    Sopra l'arido selciato
    è danzar di goccioloni.
    Poi, d'un tratto, sul creato,
    con la furia di una piena,
    il diluvio si scatena.
    Leggi e spiega:Piove, piove, piove, piove!
    Oh! il monotono scrosciare
    della pioggia che rimuove,
    che travolge, che trascina
    ciò che incontra, ciò che intoppa
    nella sua folle rapina
    cose vecchie, cose nuove...
    la furia che galoppa
    verso il piano, verso il mare.
    Piove, piove, piove, piove!
    ...Piove, piove, piove, piove ,-
    sopra i monti, sopra i piani.
    Hanno gli alberi intristiti
    movimenti quasi umani.
    Sono tutti infreddoliti
    gli uccellini dentro i nidi.
    Levan rauchi e strani gridi
    le ranocchie dei pantani.
    Sulle vette più lontane
    le casette rusticane,
    nel grigiore mattinale
    della pioggia torrenziale,
    sembran tutte linde e nuove.
    Piove, piove, piove, piove!
    Bimbi, è mesto il vostro cuore
    come il giorno senza cielo;
    ma verrà, domani, il sole;
    s'aprirà sopra ogni stelo

    la corolla di un bel fiore,
    torneranno le parole
    della fede e dell'ardore,
    torneran gli azzurri incanti
    della terra sorridente
    sotto i cieli sfolgoranti,
    e sul vostro labbro ardente
    canterà, bimbi, l'amore!
    (Giuseppe Villaroel)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Il gallo.

    C'era una volta un gallo: piume splendenti multicolori, un petto da tenore sbalzato in avanti, una cresta da bullo e un pollaio pieno di galline che lo adoravano e che deponevano le proprie uova dedicandole a lui.
    Al termine della notte, ancora nell'oscurità, il gallo era uso appostarsi in un luogo rialzato e intonare il suo canto... un canto potente e sicuro. Nel pollaio esisteva peraltro una certezza: quel canto aveva un potere magico... far sorgere il sole.
    Un giorno il gallo si ammalò, la voce si fece roca, e con immensa tristezza non poté recarsi al suo consueto appuntamento con la notte perché il sole sorgesse. "Il mondo resterà al buio" diceva fra sé il gallo. "Questa notte non canterò e il sole non sorgerà". Era un dramma, una lama che feriva il cuore, una cosa inaudita!
    Ma accadde l'impensabile: il sole sorse ugualmente e così nei giorni successivi... e senza il canto del gallo!
    Il cuore del gallo era nel panico ed un senso profondo di inutilità lo invase. "Il mio canto", diceva il gallo, "non può più nulla!". Le galline da parte loro: "Basta uova", dicevano, "se dalle uova devono uscire galli buoni a nulla... rivoluzione! Potere alle galline!".
    Passarono giorni, settimane di desolazione, di accuse reciproche e di sfiducia collettiva. Poi, un giorno, il gallo decise di alzarsi nella notte, di portarsi sul punto più alto della valle, di affacciarsi sul mondo e di cantare nuovamente. Il sole sorse splendido ed il gallo pensò: "Sono guarito! Il sole non sorge a causa del mio canto, ma io canto ricolmo di gratitudine perché il sole sorge".

    (Valerio Dantino)



    ATTUALITA’


    Parigi: la Francia si ferma, un minuto di silenzio a mezzogiorno.

    Oggi riaperte le scuole. Tutta la Francia si è fermata per un minuto a mezzogiorno in memoria delle 129 vittime degli attacchi terroristici di venerdì sera a Parigi. Lo riferiscono i media francesi. Questa mattina hanno riaperto tutte le scuole, la riapertura di musei, teatri e altri luoghi di cultura è previsto per le 13.

    La Francia si è fermata per un minuto di silenzio in ricordo delle vittime degli attentati di Parigi. Il presidente francese Francois Hollande ha osservato il minuto di silenzio dalla Sorbonne, al termine del quale ha intonato la Marsigliese insieme al congresso riunito a Versailles.

    Marsigliese dopo un minuto di silenzio alla scuola ebraica - Prima un lungo e intenso minuto di silenzio. Poi il canto della Marsigliese, a pieni polmoni. E alla fine un lungo applauso. Il ricordo delle vittime degli attacchi di venerdì tra i ragazzi della scuola ebraica 'Ecole de Tavail', nel cuore di Marais, ha un sapore tutto speciale. L'istituto di rue de Rosiers si trova a due passi dal ristorante Goldemberg, dove nel '92 un commando terrorista uccise sei persone. Fondato nel 1852, ospita 150 allievi, metà di religione ebraica, 30% musulmani, 20% cattolici. Un esempio di convivenza e di tolleranza.
    (Ansa)





    Parigi: morta la ragazza italiana Valeria Solesin, era al Bataclan durante il massacro.

    Stava svolgendo un dottorato in demografia all'Idem. E' morta la studentessa italiana Valeria Solesin, 28 anni, di Venezia. Era andata al concerto assieme al fidanzato, Andrea Ravagnani, la sorella di questi, Chiara, entrambi trentini, e il fidanzato di quest'ultima, il veronese Stefano Peretti. Era all'ingresso del 'Bataclan' nel momento del primo blitz dei terroristi. Non erano ancora nella sala, ha spiegato dopo la strage un'amica veneziana della famiglia, che per prima ha dato la notizia della scomparsa di Valeria sui social media. Ma li' si sono staccati; nella calca gli altri tre hanno perso contatto con Valeria. Nessuno l'ha più vista. "Già nella notte - racconta l'amica - abbiamo tentato di contattarla ma non c'è stato nulla da fare nel caos che è seguito all'assalto".

    "Stava entrando nel teatro quando deve esserci stato l'assalto. Proprio in questa fase sarebbe stata separata dal gruppo, perdendo la borsa con cellulare e documenti che è stata raccolta da una sua amica; poi il nulla".

    "Ci mancherà molto e credo, visto il percorso che stava facendo, che mancherà anche al nostro Paese per le doti che aveva", ha affermato la madre, Luciana Milani ricordando che "Valeria a Parigi aveva lavorato anche seguendo i barboni della città, questo dice tutto, dimostra la sua voglia di conoscere in tutte le sfaccettature le realtà che andava a studiare e frequentare". Era una persona meravigliosa e l'unica cosa che ci preme ricordare di lei in questo momento". "Ricordate - ha detto ai giornalisti - che era una persona, un cittadina, una studiosa meravigliosa".

    Solesin studiava in Francia da quattro anni ed è definita dagli amici come "uno dei cervelli in fuga dall'Italia". Una ragazza modello, tenace e solare con un cervello 'fine' che l'aveva portata a fare carriera a tempo di record. Valeria, cresciuta nel cuore di Venezia, a Cannareggio era diventata cittadina del mondo. Dopo il diploma al liceo scientifico 'Benedetti' di Venezia, si era trasferita a Trento dove si è rapidamente laureata in sociologia. Da qui era andata per un dottorato proprio a Parigi, dove viveva da quattro anni, per proseguire gli studi specialistici all'Università Parigi 1, La Sorbona, approfondendo il rapporto del ruolo delle donne divise tra famiglia e lavoro con una particolare attenzione alle differenze di vita in 'rosa' tra la Francia e l'Italia.

    In pochi anni aveva già pubblicato alcuni saggi raccogliendo tra l'altro interviste ed entrando anche nello specifico di alcune realtà cittadine molto diverse tra l'Italia frammentata in tanti comuni grandi e piccoli e la Francia con Parigi catalizzatrice della comunità transalpina. La madre ha ricordato la sua esperienza con i clochard di Parigi, "per conoscere tutte le sfaccettatura di una realtà che andava a studiare e frequentare". Dai suoi amici era considerata uno dei cosiddetti 'cervello in fuga' perché in Italia non trovava spazio per affermarsi. Al Bataclan era andata con il fidanzato ed un'amica, entrambi di Trento, e un alto ragazzo di Verona.

    Mentre stavano per entrare nel locale è iniziata la sparatoria e il lancio di granate e nel fuggi fuggi generale si è vista separata dal fidanzato perdendo la borsa, con i documenti, che è stata raccolta dall'amica. Testimoni avevano detto di averla vista ferita. Poi la ricerca, essendo lei priva di documenti, via internet dei congiunti dall'Italia e a Parigi da parte del fidanzato e altri conoscenti con un porta a porta negli ospedali il tutto mentre si attivava anche la Farnesina. L'epilogo oggi nell'istituto di medicina legale di place Mazas a Parigi.

    Il premier, Matteo Renzi, dal G20 di Antalya, esprime il cordoglio del governo. "Esprimo il cordoglio del governo e di tutti noi alla famiglia di Valeria - afferma il presidente del consiglio -. Credo che non ci siano parole, faremo di tutto per ricordare questa giovane ricercatrice. Penseremo con la famiglia un modo, magari una borsa di studio".

    Mattarella, risponderemo con intransigenza - "Insieme ai Paesi amici risponderemo con intransigenza a questa micidiale sfida di sopraffazione e morte. Come durante gli anni del terrorismo interno, lo faremo senza far venir meno le ragioni del diritto e della giustizia che fondano la nostra civiltà, ma con determinazione". Lo scrive il Capo dello Stato in una lettera alla famiglia Solesin.
    (Ansa)





    40 anni fa Qualcuno volò sul nido del cuculo.

    Pluripremiato film di Forman e potente allegoria del '68. La prima volta fu il 19 novembre con un’anteprima in simultanea tra New York e Los Angeles: a cast riunito, con Jack Nicholson e Louise Fletcher in testa, il regista Milos Forman affrontava il giudizio del pubblico al suo vero debutto americano dopo un esordio tutto newyorchese da indipendente con “Taking Off”. Quella sera il trionfo decretato a “Qualcuno volò su nido del cuculo” cambiò per sempre la vita del regista cecoslovacco (emigrante di lusso a Hollywood) e del suo interprete principale, ormai un mito del cinema americano “indie” tra “Easy Rider” e “Conoscenza carnale”.

    Il giorno dopo il volo del Cuculo proseguì con il debutto al festival di Chicago e poi con la distribuzione in sala che si rivelò un inatteso successo al box office. Tra il gennaio e il marzo successivo arrivarono poi la consacrazione internazionale (il film incassò oltre 112 milioni di dollari nel mondo per approdare sugli schermi italiani il 12 marzo del ’76) e il diluvio dei premi: sei Golden Globe e ben 5 Oscar che celebravano il film, il regista, i due protagonisti e la sceneggiatura. Un autentico record eguagliato soltanto in altre due occasioni a Hollywood, all’epoca di “Accadde una notte” e poi del “Silenzio degli innocenti”. “Qualcuno volò sul nido del cuculo” ha tre padri, uno naturale e due putativi: lo scrittore Ken Kasey che nel 1962 riportò sulla pagina le sue esperienze di “cavia” di un ospedale psichiatrico dell’Oregon, dove aveva partecipato a un programma sperimentale della CIA sull’uso delle sostanze psichedeliche, trasformando il suo primo romanzo in un oggetto di “culto”, il testo di passaggio tra la Beat Generation di Allen Ginzberg e la cultura hippie degli anni ’60. Per anni Kirk Douglas che ne aveva acquisito i diritti cinematografici cercò di convincere i produttori a finanziare il film che voleva interpretare. Alla fine cedette il testimone al figlio Michael che trovò i fondi e arruolò Milos Forman per riscrivere la sceneggiatura. Per dissidi economici Ken Kasey fu tenuto ai margini e si è sempre rifiutato di vedere il film ed approvarlo.

    La parte dell’eroe ribelle Randle Patrick McMurphy doveva andare a James Caan, o a Gene Hackman e perfino a Marlon Brando. Fu scelto invece il 38enne Jack Nicholson che usciva dall’esperienza europea di “Professione Reporter” con Michelangelo Antonioni. La parte dell’infermiera Mildred Ratched era stata scritta per Ellen Burstyn che dovette rifiutare per assistere il marito, ricoverato a sua volta in un ospedale psichiatrico. Louise Fletcher accettò all’ultimo momento utile e il suo lavoro di “mimesi” interpretativa fu talmente eccezionale che spesso le lodi andarono alla Burstyn con una impressionante sovrapposizione involontaria. Ma le due rivelazioni del cast, al fianco di giovani sconosciuti come Danny de Vito o Christopher Lloyd, furono l’esordiente Brad Dourif (il fragile e suicida Billy Bibit) e il gigantesco Will Sampson che nella parte del “Grande Capo” Bromden divenne un’icona e contribuì alla causa dei nativi americani incarnando l’anelito di libertà che della storia è il più dirompente e rivoluzionario messaggio.

    Nel passaggio dal romanzo al film si perde invece il riferimento alla filastrocca originale ("Uno stormo di tre oche, una volò ad est, una volò ad ovest, una volò sul nido del cuculo “) che pure sopravvive nel titolo e ne spiega il senso, poiché in gergo americano il “nido” in questione è sinonimo di manicomio. Che si tratti di una metafora senza tempo è ben dimostrato dal recente adattamento teatrale di Alessandro Gassmann e Maurizio De Giovanni che riportano la vicenda dietro le sbarre del famigerato manicomio di Aversa. La ribellione di McMurphy, che entra in ospedale quasi da “visitatore” e scende gli anelli infernali della terapia repressiva fino all’elettroshock e alla lobotomia, prende di mira una visione della società, del potere, dell’omologazione che è un vero inno all’umanità del “diverso”, trasformando il manicomio in un microcosmo dantesco dove non ci sono cattivi e buoni, ma spiriti liberi e schiavi involontari del potere. Anche per questo il film rimane tra le più potenti allegorie del ’68, è ancora popolarissimo tra i giovani e figura in tutte le classifiche dei film più amati di ogni tempo.

    La storia è ambientata nell’ospedale psichiatrico di Salem (il villaggio delle streghe ai tempi dei pionieri) in Oregon. Quando ne varca la soglia Randle P. McMurphy è soltanto in osservazione: il medico gli spiega che resterà nella struttura il tempo necessario per stabilire se la sua presunta malattia è simulata o reale. Di fronte alle strette regole imposte dalla capo infermiera Ratched, l’uomo reagisce però inasprendo i suoi atteggiamenti ribelli, diventando un modello per gli altri pazienti che smettono di osservare un comportamento passivo. McMurphy si lega in particolare al giovane balbuziente Billy e al nativo americano Bromden che da sempre si finge sordomuto. Con loro progetta una fuga verso il Canada, ma all’ultimo momento rimane da solo e finisce stritolato dalla “medicina modello”. Restituito al reparto inerte e senza volontà dopo una devastante lobotomia, spinge Bromden a ucciderlo per pietà. L’indiano a quel punto sceglie la libertà e fugge da solo verso un destino tutto da scrivere. Rivisto oggi, “Qualcuno volò sul nido del cuculo” colpisce per la modernità delle scelte di regia, per la capacità di evitare i rischi del cinema “claustrofobico” (buona parte delle scene fu girata nel vero ospedale dell’Oregon con la partecipazione di medici e pazienti che avevano diviso il tempo delle prove con i veri attori), per il tocco europeo che Milos Forman imprime a una storia profondamente americana. Del resto, da “Hair” a “Ragtime”, da “Amadeus” a “Valmont”, il regista de “Gli amori di una bionda”, l’ex figlio ribelle della Primavera di Praga ha sempre saputo coniugare al meglio le sue due anime, dando vita a un cinema di stile e di eleganza che sa guardare alle regole base dello spettacolo secondo la Bibbia di Hollywood. Oggi il suo capolavoro festeggia 40 anni senza polvere e senza ruggine e la sua metafora potente e vitale rimane un monito che il pubblico giovane capisce immediatamente di qua e di là dell’Oceano.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Rams - Storia di due fratelli e otto pecore




    locandina


    Un film di Grímur Hákonarson. Con Sigurður Sigurjónsson, Theódór Júlíusson, Charlotte Bøving, Jon Benonysson, Gunnar Jonsson


    Una regia spartana racconta la laconica terra islandese del film vincitore di Un Certain Regard a Cannes 2015.
    Paola Casella


    Gummi e Kiddi sono due anziani fratelli islandesi che non si parlano da 40 anni. Al centro della loro rivalità c'è l'ingestibilità caratteriale di Kiddi, refrattario alle regole sociali e alla mera convivenza civile. Per questo i fratelli, pur abitando l’uno accanto all’altro nell’isolamento innevato di un isolotto all’estremo nord e pur svolgendo entrambi l’attività di pastori, comunicano solo attraverso il loro cane, che trasporta in bocca i rari messaggi fra i due. Quando un’epidemia ovina costringe i pastori a uccidere tutte le loro pecore, Gummi decide per la prima volta di fare qualcosa contro le regole: nascondere sette pecore e un montone nella cantina della propria casa, confidando in una ripresa del suo gregge al termine della quarantena imposta dallo Stato. È l’inizio di una possibile riconciliazione fra due fratelli che non hanno mai smesso di volersi bene ma non sono abituati, per natura e per cultura, a esprimere alcuna forma di affetto.
    Vincitore della sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2015 e rappresentante dell’Islanda ai premi Oscar per il miglior film straniero, Rams – Storia di due fratelli e otto pecore descrive con grande efficacia un mondo ridotto all’osso, in cui la pastorizia è l’unica fonte di sostentamento e le pecore sono al centro della vita (e degli affetti) di un’intera comunità. La regia spartana racconta una terra scarna abitata da personaggi di pochissime parole e pochi gesti legati alla sopravvivenza quotidiana. La nudità occasionale dei due fratelli, che si rivelerà una potente chiave di lettura dall’inizio alla fine della storia, diventa il simbolo di quell’essenzialità scoperta e vulnerabile che caratterizza le vite di entrambi, e la loro solitudine assoluta. I due attori protagonisti sono efficacissimi nel narrare attraverso espressioni minimali e una fisicità sofferta, levigata dalla fatica come dal vento del nord: in particolare Sigurður Sigurjónsson, attore comico e cabarettista nel suo Paese, è una sorpresa nei panni dello stoico Gummi.
    Purtroppo la trama di Rams – Storia di due fratelli e otto pecore è esageratamente minima e i tempi dilatati della narrazione, che hanno incontrato il favore del pubblico festivaliero, sono appunto troppo “da festival” per tener desta l’attenzione di un pubblico generalista, abituato a ritmi più sostenuti e a vicende più complesse. La linearità della storia è dunque da un lato la forza del film, poiché corrisponde esattamente alla natura laconica e rarefatta della vita che racconta, e la sua debolezza in termini di appeal cinematografico per lo spettatore medio.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    Il castello di Mothe-Chandeniers



    Il Château de la Mothe- Chandeniers è un edificio medievale che si trova nel bel mezzo di un grande bosco nei pressi del paese di Les Trois-Moutiers, nella regione di Poitou-Charentes, in Francia.

    Il castello risale al XIII secolo, quando era la roccaforte della famiglia Bauçay, dipendente direttamente dal Re di Francia. Dopo la morte di Mary Jean Bauçay Rochechouart, passò a François de Rochechouart. Nel 1668, fu costretto ad abbandonare La Mothe ai suoi creditori. Durante il Medioevo fu conquistato per ben 2 volte dagli inglesi, per divenire uno dei luoghi più celebri per sontuose feste e vasti ricevimenti. Durante la Rivoluzione Francese fu saccheggiato e abbandonato.
    François Hennecart, ricco imprenditore parigino, lo acquistò nel 1809 e decise di restaurare il castello e i dintorni. Furono scavati canali, tracciato sentieri e piantato una vigna. Nel restauro fu mantenuta gran parte della costruzione medievale. Alla morte lasciò il castello in eredità a sua figlia Alexandrine Hennecart, sposata a Jacques Ardoin. Il castello venne ereditato dalla terza figlia, Marie Ardoin, che sposò nel 185,7 Edgard Baron Lejeune, scudiere all'imperatore Napoleone III, che intorno al 1870, iniziò una ricostruzione massiccia in gusto romantico, come da modello di Ludovico II. Il restauro si ispirò ai castelli della Loira, con l'acqua che circondava il castello.

    Il 13 marzo 1932, mentre il barone Robert Lejeune aveva appena installare il riscalda-
    mento centrale, scoppiò un violento incendio. I vigili del fuoco provenienti da tutta la regione non furono in grado di evitare il disastro. Solo la cappella, la colombaia e annessi furono stati risparmiati. Le Figaro nella sua edizione del 14 marzo, descrive la ricchezza distrutta: " Una biblioteca di libri rari, arazzi di Gobelins, mobili antichi e preziosi dipinti" Nel 1963, dopo la guerra in Algeria , industriale in pensione Jules Cavroy acquistò la tenuta (2000 ettari compresi 1.200 foresta di terreni agricoli e 800) alla vedova del barone Lejeune. Nel 1981 fu acquistato da Marc Demeyer, un insegnante francese, che tentò di restaurarlo, senza successo. I terreni vicini all’edificio furono acquistati dal Crédit Lyonnais, e venduti in lotti separati nell’ambito di un’evidente speculazione edilizia. Su alcuni giornali francesi si avanzò l’ipotesi che lo stesso istituto finanziario avesse impedito il restauro del castello, per scopi ancora non del tutto chiari. Il castello fu abbandonato al proprio destino.


    (Gabry)





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    foto:c1.staticflickr.com

    La musica del cuore



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    foto:gliamantideilibri.it


    I Grandi Cantautori Italiani



    domenico-modugno
    foto:versiesapori.it


    Domenico Modugno


    Domenico Modugno è considerato il padre dei cantautori italiani e come autore interprete è tra i più grandi d'Europa.

    Nacque il 9 gennaio 1928 a Polignano a Mare (Bari), un paesino dalle case bianche a picco sul mare.
    Dal padre Cosimo comandante del Corpo delle Guardie Municipali a San Pietro Vernotico (BR), imparò fin da piccolo a suonare la chitarra e la fisarmonica ed ereditò una grande passione per la musica, componendo la sua prima canzone a 15 anni.

    Insoddisfatto della vita di paese, a 19 anni scappò di casa e andò a Torino, la città più a nord d'Italia, dove si adattò a fare il gommista in una fabbrica.
    Ritornato al paese per fare il servizio militare, ripartì per Roma dove pur d'iniziare la sua carriera artistica si mise a fare ancora una volta i più umili mestieri.
    Partecipò al concorso per attori al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove fu ammesso e dove, successivamente, vinse la borsa di studio quale migliore allievo della sezione di recitazione.

    Nel 1951, ancora allievo, prese parte al film "Filumena Marturano" di Eduardo De Filippo e nel 1952 a "Carica eroica" di De Robertis dove interpretava la parte di un soldato siciliano che canta la "Ninna Nanna" ad una bambina.

    E' da questo episodio che nacque la leggenda del "Modugno siciliano".

    Sempre nel 1952 è "attore giovane" in teatro nel "Il borghese gentiluomo" di Molière (Compagnia Tatiana Pavlova) e prende parte ai films "Anni facili" di Zampa (1953) e all'episodio "La giara" con Turi Pandolfini e Franca Gandolfi, del film di Giorgio Pàstina "Questa è la vita" (1954).

    Nel 1953 si presentò al concorso musicale radiofonico "Trampolino" e dopo prese parte alla trasmissione "Radioclub" in onore di Frank Sinatra.

    Fu allora che Fulvio Palmieri della Rai gli offrì una serie di trasmissioni radiofoniche intitolate "Amuri... Amuri" della quale egli stesso scriveva i testi ed in cui faceva il regista e, insieme a Franca Gandolfi, l'attore e persino il rumorista.
    Durante questo periodo, compose molte canzoni in dialetto pugliese (di San Pietro Vernotico) e in siciliano ispirandosi al folclore pugliese e siciliano. Minatori, pescatori, storie d'amore di pesci spada innamorati, fedeli fino alla morte nel massacro della tonnara, di cavalli diventati ciechi e spinti a morire nel gran sole rovente dopo il buio delle miniere. Questi erano i personaggi delle sue prime canzoni che destarono, e destano tuttora, interesse presso la critica.
    Le canzoni di quel periodo furono: "Lu pisce spada", "Lu minaturi", "La sveglietta", "La donna riccia", "Lu sciccareddu 'mbriacu", "Attimu d'amuri", etc. Nella stagione teatrale 1955/1956 recitò al Piccolo Teatro di Milano in "Italia, sabato sera" di A. Contarello regia di Franco Parenti - Jacques Lecoq e nel "Il Diluvio" di Ugo Betti.

    Nel 1957 vinse il II premio al Festival della Canzone Napoletana con "Lazzarella" (cantata da Aurelio Fierro) che gli portò il successo popolare. Ad essa seguirono: "Sole, sole, sole", "Strada 'nfosa", "Resta cu mme", "Nisciuno po' sape'", "Io, mammeta e tu" etc. che rimodernarono lo stile della canzone napoletana.

    Nel 1958 partecipò al Festival della Prosa a Venezia nella commedia di Antonio Aniante "La rosa di zolfo" per la regia di Enriquez. Nello stesso anno partecipò al festival della Canzone Italiana a Sanremo con "Nel blu dipinto di blu", coautore Franco Migliacci, che vinse il primo premio e rivoluzionò la canzone italiana e dette inizio al boom della vendita discografica italiana fino ad allora molto bassa. "Volare" fu tradotta in tutte le lingue, fu in testa alle classifiche di tutto il mondo, anche in America del Nord, in cui si vendettero milioni e milioni di copie tanto che nel 1958 l'industria discografica americana gli consegnò l'Oscar del disco e inventò il premio Grammy Awards. I due Grammy Awards assegnatigli, uno come disco dell'anno e uno come canzone dell'anno 1958, furono i primi della storia.


    Anche il Cash Box Bilboard gli conferì l'Oscar per la migliore canzone dell'anno e ricevette in dono dalle industrie musicali tre dischi d'oro, uno per il migliore cantante, uno per la migliore canzone e uno per il disco più venduto.
    Nel corso di una tournée gli furono offerte le chiavi di Washington e la stella di sceriffo di Atlantic City. Per quattro mesi ininterrottamente gli altoparlanti di Broadway e le stazioni radio suonarono le originali note di "Volare".
    Modugno ha attraversato l'Atlantico decine di volte: tutti gli Stati del Sud e del Nord America lo hanno visto e sentito le sue canzoni, dalla viva voce. A Caracas, ad uno spettacolo in cui Modugno cantò al Coney Island, é stata raggiunta la punta massima di 121.000 presenze. Furono molti i successi discografici ed editoriali di quel periodo, come "L'uomo in frack", "Notte di luna calante", "Io" (che è stata incisa come "Ask me" da Elvis Presley) etc.
    Nel 1959 rivinse il primo premio del Festival di Sanremo con "Piove" (Ciao, ciao bambina) e nel 1960 il secondo con la canzone "Libero".

    Nel 1961 dopo un anno di inattività per un incidente, debuttò come protagonista nella commedia musicale "Rinaldo in campo" di Garinei e Giovannini, di cui compose anche tutte le musiche e che fu definito: "Il più grosso successo teatrale di tutti i tempi avvenuto in Italia", registrando record d'incassi mai raggiunti in questo campo.
    "Rinaldo in campo" ha rappresentato l'Italia al Festival Internazionale del Teatro in Francia, con enorme successo di critica. In questo spettacolo tra le altre ci sono le canzoni "Se dio vorrà", "Notte chiara", "Tre briganti e tre somari" e "La bandiera" che viene insegnata ai bambini di molte scuole elementari italiane.
    Nel 1962 rivinse il primo premio al Festival di Sanremo con la canzone "Addio..., Addio..." cui seguirono "Giovane amore" e "Stasera pago io". Nel 1963 si cimenta nella regia cinematografica del film "Tutto e' musica".

    Nel 1963 lo ritroviamo in teatro nel dramma - storico - musicale "Tommaso d'Amalfi" di Eduardo De Filippo.

    Nel 1964 vince il Festival di Napoli con "Tu si' 'na cosa grande".
    Nel 1965 in televisione interpreta il ruolo di "Scaramouche" nell'omonimo sceneggiato per la regia di Daniele Danza e di cui compone tutte le musiche. Nel 1966 vince ancora una volta il primo premio del Festival di Sanremo con la canzone "Dio, come ti amo".
    Dopodiché interpretò "Liolà" di Luigi Pirandello per la regia di Giorgio Prosperi (1968).
    Nel 1973 - 1974 - 1975 fu Mackie Messer nella "Opera da tre soldi" di Bertold Brecht e Kurt Weill per la regia di Giorgio Sthreler, produzione Piccolo Teatro Di Milano.
    Nel 1972 fu in televisione nello sceneggiato televisivo "Il marchese di Roccaverdina" di Luigi Capuana regia di Edmo Fenoglio; nel 1977 "Don Giovanni in Sicilia" di Vitaliano Brancati.

    Nel 1978 ritornò alla commedia musicale con "Cyrano" di Riccardo Pazzaglia tratto da "Cyrano de Bergerac" di Edmond Rostand.
    Nel 1984 fu ancora in televisione con lo sceneggiato "Western di cose nostre" tratto da un racconto di Leonardo Sciascia sceneggiato da Andrea Camilleri per la regia di Pino Passalacqua.
    Appassionato di poesia musicò "Le morte chitarre" e "Ora che sale il giorno" di Salvatore Quasimodo. Per Pasolini musicò "Cosa sono le nuvole" che canta nell'episodio omonimo del film "Capriccio all'italiana".
    Nei suoi rapporti con il cinema non bisogna dimenticarsi dei films "Europa di notte" di Alessandro Blasetti dove tra le altre canta anche "Sole, sole, sole" testo di Riccardo Pazzaglia, "Nel blu dipinto di blu" di Piero Tellini, "Lo scopone scientifico" di Luigi Comencini e del "Il giudizio universale" di De Sica dove fornisce una prova notevole di attore e interprete cantando "'Na musica" coautore A. Pugliese.
    Nel 1974 partecipò alla campagna sul divorzio del P.S.I., componendo per l'occasione la canzone "L'anniversario" su parole di Iaia Fiastri. Nel 1984 durante le prove della trasmissione di Canale 5 "La luna del pozzo", un ictus lo menomerà nella parola e nei movimenti, ma non nello spirito.

    Nel 1986 si iscrisse al Partito Radicale e fu eletto deputato nelle liste radicali il 15 giugno 1987 nella circoscrizione di Torino Novara Vercelli. Fu molto attivo nella battaglie civili, soprattutto quelle a favore dei più deboli.
    Nel 1989 si batté contro le condizioni disumane dei pazienti dell'ospedale psichiatrico di Agrigento, tenendo anche un concerto in loro favore "Concerto per non dimenticare", che fu il primo dopo la malattia.
    Nel 1990 fu eletto sempre ad Agrigento Consigliere Comunale.
    Nel 1991 fu nuovamente aggredito dalla malattia, ma nonostante questo nel 1993 incise il disco "Delfini" insieme con suo figlio Massimo.
    Muore a Lampedusa il 6 Agosto 1994 nella sua casa davanti al mare.

    fonte: domenicomodugno.it





    Addio...addio
    di Franco Migliacci e Domenico Modugno
    1° a Sanremo 1962 in coppia con Claudio Villa


    I miei sorrisi e i tuoi si sono spenti.
    Noi camminiamo insieme e siamo soli.
    Ci restano soltanto
    lunghi silenzi
    che voglion dire:
    Addio...addio!
    Il nostro amore,
    acqua di mare,
    è diventato sale.
    Le nostre labbra
    inaridite
    non hanno più parole.
    Guardami, guardami,
    lo sai che non è vero.
    Non è vero
    che è finito il nostro amore.
    Addio...addio!
    Addio...addio!
    Guardami, guardami,
    ascoltami, fermati, non è vero,
    perchè tu stai piangendo.
    Perchè noi lo sappiamo
    che ci vogliamo bene,
    che ci vogliamo bene e ci lasciamo.
    Addio...addio!
    Addio, amore mio!


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Tennis, il numero 1 è sempre Djokovic.

    Fognini, Seppi e Bolelli sono al 21mo, 29mo e 58mo posto. Fabio Fognini, Andreas Seppi e Simone Bolelli, primi italiani del tennis mondiale, sono stabili, rispettivamente al 21/o, 29/o e 58/o posto, nella nuova classifica Atp, sempre dominata dal serbo Novak Djokovic e con poche variazioni, al termine di una settimana senza tornei di rilievo in vista del Masters di fine stagione, cominciato ieri a Londra, con la partecipazione dei primi otto del ranking. Degli altri azzurri, Paolo Lorenzi scende dal 66/o al 68/o posto, mentre Marco Cecchinato è sempre 89/o. Primo cambiamento, e unico nella Top 40, lo scambio di posizioni tra il francese Benoit Paire, che sale al numero 19, e l'austriaco Dominic Thiem, in discesa al 20. Classifica Atp del 16 novembre 2015 (tra parentesi le variazioni rispetto alla settimana precedente).

    1. Novak Djokovic (Ser) punti 15.285
    2. Andy Murray (Gbr) 8.470
    3. Roger Federer (Svi) 7.340
    4. Stanislas Wawrinka (Svi) 6.500
    5. Rafael Nadal (Spa) 4.630
    6. Tomas Berdych (Rce) 4.620
    7. David Ferrer (Spa) 4.305
    8. Kei Nishikori (Gia) 4.035
    9. Richard Gasquet (Fra) 2.850
    10. Jo-Wilfried Tsonga (Fra) 2.635
    11. John Isner (Usa) 2.495
    12. Kevin Anderson (Saf) 2.475
    13. Marin Cilic (Cro) 2.405
    14. Milos Raonic (Can) 2.170
    15. Gilles Simon (Fra) 2.145
    16. David Goffin (Bel) 1.805
    17. Feliciano Lopez (Spa) 1.690
    18. Bernard Tomic (Aus) 1.675
    19. Benoit Paire (Fra) 1.633 (+1)
    20. Dominic Thiem (Aut) 1.600 (-1)
    21. Fabio Fognini (Ita) 1.515
    ...
    29. Andreas Seppi (Ita) 1.360
    ...
    58. Simone Bolelli (Ita) 790
    ...
    68. Paolo Lorenzi (Ita) 725 (-2)
    ...
    89. Marco Cecchinato (Ita) 615.
    (Ansa)




    < Montella: 'Ho sempre sognato di allenare la Sampdoria'.
    Presentato il nuovo tecnico, Ferrero: 'Vincenzo ha scelto con il cuore'. Prima dell'inizio della conferenza stampa di presentazione del nuovo tecnico della Sampdoria, Vincenzo Montella, il presidente del club, Massimo Ferrero ha chiesto un minuto di silenzio. Ferrero ha voluto così rendere omaggio alle vittime degli assalti terroristici di Parigi e in particolare a Valeria Solesin, la ragazza veneziana di 28 anni, uccisa al Bataclan.

    "Vincenzo ha scelto con il cuore. Lo ringrazio e ora il titolo del film per questa storia è 'Attenti a quei due'". Lo ha detto il patron blucerchiato che ha anche spiegato l'esonero di Walter Zenga. "L'ho guardato negli occhi e ho capito che non era l'uomo giusto per me. Ho capito che non aveva le mie ambizioni".

    Quello di sedersi sulla panchina della Sampdoria per Vincenzo Montella è un sogno realizzato. "Ho cominciato ad allenare i 'giovanissimi' ed il mio sogno era già di allenare la Sampdoria". Lo ha detto il neo tecnico blucerchiato, che con questi colori ha vissuto da giocatori anni importanti, durante l'incontro stampa al centro tecnico di Bogliasco. "Riparto dalle basi di Zenga, poi vedremo. non credo nei moduli, ma nei principi di gioco".
    (Ansa)




    Parigi. Belinelli in campo ricorda Valeria Solesin.
    Il campione Nba gioca con una scritta per la ragazza italiana". "Abbiamo la stessa età, potevo esserci anche io al suo posto". Con queste parole Marco Belinelli, star del basket italiano che gioca in Nba, ha ricordato questa notte Valeria Solesin, la ragazza italiana uccisa negli attentati terroristici di venerdì scorso a Parigi. In occasione della partita tra Sacramento Kings e Toronto Raptors, Belinelli è sceso in campo con la scritta sulla scarpa: "Ciao Valeria" per onorare la memoria della ragazza veneta: "Ci sono cose più importanti di una partita di basket, ha dichiarato il campione. Non conoscevo Valeria, ma era una ragazza della mia età. Anche lei era andata lontano da casa per fare ciò che amava e ha perso la vita in un venerdì sera qualsiasi, mentre era ad un concerto. Potevo essere io al suo posto, poteva esserci chiunque di noi. I fatti di Parigi mi hanno davvero scosso".
    (Ansa)

    (Gina)



    SAI PERCHE'???




    Perché si dice "fare il biscotto"?




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    Nel calcio significa "combinare, alterare il risultato di una partita". Da oggi molti pensano che lo stesso valga nel motociclismo. Ma l'espressione deriva dal mondo dei... cavalli.


    Anche se non siete appassionati di motociclismo, ormai l'avrete capito: Valentino Rossi ha compiuto un'impresa eccezionale: da ultimo in griglia di partenza è arrivato quarto. Ma questo non è bastato al pilota italiano per vincere il Mondiale di Motogp perché - secondo molti - Marc Marquez e Dani Pedrosa non hanno mai cercato di impensierire Jorge Lorenzo, servendo a Valentino Rossi un bel biscotto (spagnolo).

    Chiariamo subito: non è nostra intenzione accusare nessuno e neppure giudicare il comportamento sportivo dei piloti. Ci interessa invece capire perché, in questi casi, si dice proprio "fare il biscotto"?

    IN PRINCIPIO FURONO I CAVALLI.
    Verosimilmente l'espressione deriva dal mondo dell'ippica, in particolare dagli ambienti delle scommesse clandestine. Il "biscotto" in questione (ultimamente si usa anche la parola "torta") sarebbe una galletta, impastata con sostanze proibite (stimolanti o sedative, a seconda dello scopo), che viene dato da mangiare a uno o più cavalli prima della gara, per alterare il risultato della competizione (e gli esiti delle scommesse).

    In quegli ambienti "preparare un biscotto" è diventato così sinonimo di combine, di "truccare a proprio vantaggio" l'esito di una gara. E con modalità diverse, ma finalità analoghe, è stato adottato nel mondo del calcio. E di altri sport.


    fonte:http://www.focus.it/


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    Henri Cartier-Bresson e gli altri
    I grandi fotografi e l’Italia

    dal 10 novembre al 7 febbraio 2016



    Dall’11 novembre al 7 febbraio 2016, a Milano, Palazzo della Ragione Fotografia ospita “Henri Cartier-Bresson e gli altri – I Grandi fotografi e l’Italia”, la seconda tappa di un evento espositivo iniziato con Italia Inside Out.
    Per raccontare come i grandi fotografi internazionali hanno visto l’Italia in un arco di tempo di quasi ottant’anni, la mostra è divisa in sette ampie aree tematiche, all’interno delle quali si sviluppa una storia indiretta della fotografia e dell’evoluzione dei suoi linguaggi.

    Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo della Ragione, con Civita, Contrasto e GAmm Giunti e curata da Giovanna Calvenzi, la rassegna chiude il percorso dedicato all’Italia voluto nell’anno di Expo 2015 e iniziato lo scorso marzo, con la mostra dedicata ai fotografi italiani. Lo spazio espositivo del Palazzo della Ragione, interamente dedicato alla fotografia, inaugurato a giugno 2014 nel cuore di Milano, arricchisce il suo palinsesto con una selezione di imperdibili immagini.
    “Dopo Italia Inside Out, la mostra che nella primavera scorsa ha regalato al pubblico le immagini realizzate dai grandi fotografi italiani, apriamo ora, sempre a Palazzo della Ragione, la seconda parte di questo progetto che presenta lo sguardo, al tempo stesso incantato e attento, dei grandi fotografi internazionali sul nostro Paese. Affascinati dal suo paesaggio, dalla sua gente, dalla sua storia, gli artisti in mostra ci rivelano, a noi che lo abitiamo, lo stupore che il nostro Paese suscita all’estero, in culture e sensibilità diverse dalla nostra, costringendoci a riflettere sul valore del nostro patrimonio naturale, artistico, storico e sociale”, ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno.Un progetto perfetto per ExpoinCittà, che ha saputo offrire ai milanesi e ai visitatori, in questi sei mesi, il meglio del talento creativo italiano e internazionale”.
    Il lungo viaggio in Italia inizia con un autoritratto di Henri Cartier-Bresson del 1933: il suo sogno umanista di fermare il tempo, di cogliere il momento decisivo nel flusso in divenire della realtà influenzerà a lungo la fotografia di tutto il mondo e sarà adottato da generazioni di fotografi.
    Dopo Cartier-Bresson, e il suo viaggio durato circa trent’anni, il reportage di Robert Capa al seguito delle truppe americane durante la Campagna d’Italia del 1943, segue l’elegante rilettura del mondo della fede affrontato da David Seymour e il fascino che un’Italia minore esercita su Cuchi White, ancora studentessa di fotografia. Poi la visione umanista si stempera nelle luci classiche del racconto di Herbert List o nella destabilizzazione della visione di William Klein che entra da protagonista nel provocatorio racconto di Roma del 1956. Infine Sebastião Salgado che, con la consueta magistrale capacità di rileggere la realtà degli uomini, racconta l’epopea degli ultimi pescatori di tonni in Sicilia.

    Si passa poi alla fascinazione per la fotografia in bianco e nero nella quale la narrazione si allontana dal reportage ma conserva intatta la poesia della visione classica: è il viaggio di Claude Nori che ripercorre le strade dei ricordi sul litorale adriatico alla ricerca di radici familiari ma è anche la visione della capitale di Helmut Newton che in “72 ore a Roma” ricrea una passeggiata notturna nel centro monumentale della città.
    Le nostre città d’arte e cultura diventano poi terreno di interpre-
    tazione e di sperimen-
    tazione dei molti linguaggi che la tecnologia contempo-
    ranea offre oggi alla fotografia. Alexey Titarenko racconta una Venezia magica, Abelardo Morell, ad esempio, utilizzando le tecniche del “foro stenopeico”, crea visioni nelle quali interni ed esterni si sommano, Gregory Crewdson riscopre la fotografia in bianco e nero per interpretare Cinecittà, Irene Kung invece ricrea un’atmosfera onirica per ritrarre i monumenti del passato e del presente di Milano.
    A introdurre il quarto itinerario,affidato ad autori che utilizzano quello che per consuetudine viene definito “linguaggio documentario”, è Paul Strand, che con Cesare Zavattini ha realizzato una delle più straordinarie opere dedicate alla realtà contadina: Un Paese del 1953. Strand, attraverso ritratti, still life e paesaggi conserva la storia di un piccolo centro emiliano, Luzzara. A cinquant’anni di distanza ma con lo stesso intento Thomas Struth ritrae il centro storico di Milano e Joan Fontcuberta si dedica ai gabinetti delle curiosità dei Musei scientifici di Bologna e di Reggio Emilia.
    Il Grand Tour continua toccando anche una fotografia più disturbante, quella dei disagi esistenziali e degli scempi architettonici: Art Kane, che progetta immagini-sandwich che raccontano la scomparsa di Venezia e di Michael Ackerman che racconta invece in una lunga sequenza un doloroso incontro napoletano.
    Fanno da contraltare a queste immagini numerosi autori che rileggono il nostro Paese con sguardo positivo: Joel Meyerowitz racconta le luci magiche della Toscana e arricchisce le sue immagini con il contributo poetico di Maggie Barret, Steve McCurry, a Venezia, è affascinato dall’alchimia estetica che si crea tra le persone e l’ambiente e Martin Parr invece, sulla costiera Amalfitana, gioca con l’immagine dei turisti che si dedicano a ritrarre se stessi sullo sfondo di straordinari paesaggi.
    Chiude idealmente il percorso espositivo la narrazione autobiografica: Nobuyoshi Araki, anche lui affascinato da Venezia, si fotografa con le maschere del carnevale e racconta in chiave soggettiva i suoi incontri. Sophie Zénon ripercorre la storia della sua famiglia, costretta a emigrare, affiancando i ritratti dei suoi nonni ai loro luoghi di provenienza e infine Elina Brotherus e i suoi autoritratti nel paesaggio che si ricollegano all’inizio del nostro itinerario allo stupefacente e modernissimo autoritratto di Henri Cartier-Bresson che ha dato il via a questo lungo viaggio.

    (http://palazzodellaragionefotografia.it)



    FESTE e SAGRE





    IL CLATHRUS ARCHERI



    Il Clathrus archeri è un fungo saprofita(sinonimi Lysurus archeri, Anthurus archeri, Pseudocolus archeri), che cresce in terreni acidi ricchi di resti di legno marcescenti. Comunemente noto come Octopus Stinkhorn, è indigeno in Australia e la Tasmania, anche se è stato introdotto in Nord America, Asia ed Europa.Recentemente, C. archeri var. alba con tentacoli bianchi o braccia è stata riportata dalle foreste Shola nel Ghats occidentale, Kerala, India. Nel 1860 micologo britannico Miles Joseph Berkeley descrisse questa specie e gli diede il nome scientifico Lysurus archeri. Gli è stato cambiato genere in Clathrus dal micologo britannico Donald Malcolm Dring (1932-1978).

    Cresce solo o come gregario, spesso su detriti legnosi. Lo si può trovare tutto l'anno. Il giovane fungo erutta da un uovo suberumpent formando in quattro a sette braccia sottili allungati inizialmente erette e attaccati alla parte superiore. Le braccia, lunghe ed elastiche, man mano si dispiegano nel giro di qualche ora, rivelando un interno rosso-rosato con macchie color verde oliva.
    E' a questo particolare punto del ciclo di vita che si deve anche la sua denomi-
    nazione popolare nel Regno Unito, ovvero "dita del diavolo", anche se ha più le sembianze di un polpo. Nella sua maturità secerne un odore che ricorda la carne putrida, che servirà ad attrarre mosche che inconsapevolmente diffonderanno la specie.
    Al taglio rivela una sostanza gelatinosa marrone verdastro. Dopo poche ore, il fungo comincerà a disintegrarsi.

    E' molto probabile che sia stato introdotto accidentalmente. Si ritiene che verso la fine del XIX secolo possa essere stato esportato attraverso un sacco di lana, destinato per le filature d'Europa. E 'stato scoperto in Francia nel 1918 nei pressi di una base militare che era stata occupata dalle truppe australiane durante la prima guerra mondiale. Le sue spore molto piccole, ma resistenti, sopravvissero al tragitto, trovando un nuovo habitat in cui prosperare. Il primo esemplare di Clatrhus archeri nelle Americhe è stato osservato nel 1980. Allo stesso modo dell'Europa, si ritiene che il fungo sia stato introdotto nel terreno di piante esotiche importate negli Stati Uniti. Il fungo polpo è diventato così una delle specie invasive che non sono considerate come una minaccia per la fauna selvatica autoctona o altra vegetazione.

    (Gabry)





    STRUMENTI MUSICALI!!!




    Rebab


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    Il rebab , arabo الرباب o رباب (anche rebap, rabab, rebeb, rababah, al-rababa) è uno strumento ad arco la cui origine si fa ascendere all'Afghanistan, intorno all'VIII secolo e diffuso dagli arabi in nord Africa, e nel bacino del Mediterraneo. Il rebab è lo strumento dal quale è poi nato il violino, per filiazione dalla medioevale ribeca.


    Lo strumento
    Vi sono differenti tipi di rebab che hanno diversi impieghi. Nell'Asia di sud-est il rebab è un grosso strumento simile alla viola da gamba mentre spostandosi verso ovest gli strumenti tendono ad essere più piccoli e dal suono più acuto. I modelli passano dagli artisticamente scolpiti dell'isola di Giava al semplice rebab a due corde egiziano, realizzato da una mezza noce di cocco.Gli esemplari più ricchi ed elaborati hanno una cassa in legno pregiato parzialmente ricoperta da una lamina di rame battuto.

    Impiego
    Il rebab è lo strumento base della musica popolare di molti paesi, ed è penetrato anche nella musica classica araba e persiana. Fu uno degli strumenti prediletti dell'Impero Ottomano ed è ancora oggi molto diffuso in Turchia nei locali pubblici come le sale da the.


    (Lussy)





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    foto:files.l-essenza-delle-donne.webnode.it


    Salute e Benessere


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    foto:leiweb.it

    Terme di Cervia

    Il mare, la pineta, le saline, fanno delle Terme di Cervia un’oasi ideale per la cura, il relax e lo svago; la cittadina balneare di Cervia-Milano Marittima con le varie e qualificate offerte di turismo contribuisce alla “gradibilità” di un soggiorno che coniuga felicemente gli aspetti della vacanza con quelli della cura e della salute.

    Lo stabilimento immerso nel verde della pineta, dove questa diviene parco naturale, offre ambienti ampi, moderni e funzionali.
    L’acqua salsobromojodica e i fanghi estratti dalle saline vengono utilizzati con varie modalità di applicazione per diversi scopi terapeutici di pertinenza osteoarticolare e otorinolaringoiatrica.

    I notevoli progressi raggiunti nel campo della medicina termale, e ottenuti con la maggiore conoscenza e sfruttamento delle peculiarità di queste acque fortemente mineralizzate, fanno sì che le cure termali a Cervia rappresentino un’utile e a volte insostituibile risorsa non solo nella prevenzione, cura e riabilitazione, ma anche un efficace mezzo naturale per una pausa e un complemento a cure farmacologiche.


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    Fanghi Termali

    La singolarità del fango naturale di Cervia, attentamente analizzato dal punto di vista chimico-biologico, deriva dall'essere uno dei rarissimi esempi di ''liman'' o fango di laguna, formatosi dalla lenta sedimentazione dei sali minerali e delle sostanze organiche dell'acqua marina nel fondo dei bacini di raccolta delle saline.

    La temperatura di applicazione di circa 40 gradi centigradi, la sua plasticità e il caratteristico colore nero, consentono l'utilizzo in strato sottile. Esponendosi all'azione diretta del sole e passeggiando o sostando nelle terrazze-solarium, è possibile associare l'efficacia terapeutica della fangoterapia a quella dell'irraggiamento solare.




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    foto:girlpower.it


    Bagni Terapeutici

    Nello stabilimento, sempre sotto sorveglianza medica, sono a disposizione dei clienti i più moderni impianti termali, una palestra per il cardio fitness con attrezzature e tecnologie all'avanguardia, piscine ad alta salinità, percorsi vascolari, solarium per l'applicazione dei fanghi termali, reparti dotati di camere per fangoterapia, bagni in vasca singola e massaggi.
    Le piscine e la palestra occupano un reparto molto ampio; le possibilità di balneazione vanno dal trattamento assistito personalizzato, all'immersione nella grande piscina con idromassaggio, fino al percorso vascolare con corridoi d'acqua a temperatura differenziata.


    Indicazioni e diagnosi


    osteoartosi ed altre forme degenerative;
    reumatismi extra articolari;
    reumatismi infiammatori in fase di quiescenza;
    esiti di interventi per ernia discale




    Cure Inalatorie

    Un reparto moderno, ampio, luminoso, funzionalmente attrezzato, è dedicato alle cure inalatorie; l'acqua salsobromojodica trova applicazione in molte affezioni dell'apparato respiratorio.
    Un'attenzione particolare è rivolta ai bambini che oltre ad avere riservati alcuni reparti per le cure (reparti pediatrici) possono sostare, nelle pause o nell'attesa dei familiari, in spazi sia interni che esterni, appositamente attrezzati per i loro giochi.


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    Indicazioni e diagnosi


    Affezioni delle vie respiratorie di interesse ORL.
    Rinopatia vasomotoria, faringotonsilliti croniche, sinusiti iperplastiche, sinusiti croniche recidivanti, sindromi rino-bronchiali croniche, bronchiectasie, bronchiti croniche semplici o accompagnate a componente ostruttiva.


    Massaggi E Kinesiterapia

    Oltre alla tradizionale offerta terapeutica per le patologie che trovano beneficio dall'applicazione dei fanghi e dell'acqua madre, un vasto panorama di proposte è rivolto alle esigenze sempre più diffuse di attenzione alla forma fisica, al benessere psicologico ed alla bellezza.
    Le cure offerte dal reparto di fisiokinesiterapia si avvalgono di apparecchi per radarterapia, elettroterapia, ultrasuonoterapia, laserterapia, magnetoterapia. Sarà possibile coniugare salute e bellezza affidandosi alle mani esperte del personale che effettuerà massaggi manuali, massaggi linfodrenanti, ginnastica per la schiena, ginnastica di gruppo, reflessologia plantare, aqua-gym, TEKAR®.


    Sport E Fitness

    Una gamma completa di macchine computerizzate è presente nella più ampia varietà di applicazioni: sono utili a migliorare le capacità cardiorespiratorie e ad aumentare la resistenza alla fatica. Oltre ad un utilizzo sportivo sono di fondamentale aiuto per la rieducazione e la riabilitazione motoria e consentono di affiancare completare le cure termali propriamente dette.
    Grazie a questa attività il risultato finale e' superiore alla somma degli effetti terapeutici di ogni singola prestazione.

    Le Terme di Cervia sono situate in posizione suggestiva, a ridosso del Parco naturale (27 ettari), attrezzato con un "percorso vita" e chilometri di sentieri per tranquille passeggiate, a piedi o in bicilcletta.
    Lo sport, la tranquillità, l'arte, il divertimento, costituiscono un circolo virtuoso tutto godibile nel soggiorno termale presso la cittadina turistica di Cervia.

    Estetica

    Nel nostro tempo e nella nostra società il ruolo dell'immagine è fondamentale in quanto condiziona il modo di pensarci e di interagire. La pelle e la salute sono non solo i primi elementi di giudizio ma anche l'elemento chiave per una qualificante vita di relazione.
    Con un'azione combinata di acqua e fango, prodotti naturali di spiccata attività terapeutica, dei massaggi di drenaggio linfatico e della pressoterapia, è possibile rimuovere l'eccesso di liquidi, restituiore tono ai tessuti mantenedo l'efficienza funzionale della pelle.

    Ecco dunque un'opportunità in più per la riconquista del benessere totale e del piacere dell'equilibrio con noi stessi.



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    foto:carlavaleriano.it



    da:terme.org.it

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    UN LIBRO....UN AUTORE

    “La vita non è un paragrafo, e la morte non è una parentesi”.

    La ragazza del treno

    di Paula Hawkins


    La vita di Rachel non è di quelle che vorresti spiare. Vive sola, non ha amici, e ogni mattina prende lo stesso treno, che la porta dalla periferia di Londra al suo grigio lavoro in città. Quel viaggio sempre uguale è il momento preferito della sua giornata. Seduta accanto al finestrino, può osservare, non vista, le case e le strade che scorrono fuori e, quando il treno si ferma puntualmente a uno stop, può spiare una coppia, un uomo e una donna senza nome che ogni mattina fanno colazione in veranda. Un appuntamento cui Rachel, nella sua solitudine, si è affezionata. Li osserva, immagina le loro vite, ha perfino dato loro un nome: per lei, sono Jess e Jason, la coppia perfetta dalla vita perfetta. Non come la sua. Ma una mattina Rachel, su quella veranda, vede qualcosa che non dovrebbe vedere. E da quel momento per lei cambia tutto. La rassicurante invenzione di Jess e Jason si sgretola, e la sua stessa vita diventerà inestricabilmente legata a quella della coppia. Ma che cos’ha visto davvero Rachel?

    ...recensione...



    Un omicidio, non si sa chi sia stato. Una donna scomparsa. Il marito è sempre il primo sospettato,ma il male si cela sempre dove la bontà primeggia.
    In questo libro seguiamo la vita di tre donne. Tre donne totalmente diverse,ma accomunate dalla loro storia. Anna e Rachel seguono lo stesso percorso, cioè le date tra i racconti di una e dell’altra coincidono, mentre per quanto riguarda Megan siamo sempre qualche mese indietro,prima della sua scomparsa.
    Anna e Rachel hanno in comune un uomo Tom, ex marito di Rachel e attuale marito di Anna, ma Anna e Rachel, come è giusto che sia, si odiano. Anna vede Rachel come una possibile minaccia, come se prima o poi la scintilla tra Tom e Rachel possa tornare. Rachel vede Anna come quella prostituta che si è scopata suo marito e che se le preso senza preoccuparsi della sua vita.
    Rachel però non ha preso bene questo matrimonio e questo divorzio. Beve, beve per dimenticare, per stare male. Beve e poi dimentica non ricorda cosa ha fatto,ma il suo subconscio sa cosa deve essere fatto. Il suo subconscio ha una missione, ma quando Rachel decide che deve smettere di farsi del male, lì in quel preciso istante tutto precipita. I ricordi riaffiorano prepotenti, pretendono di essere ascoltati e Rachel non può far altro che accettare la verità e porvi rimedio!
    Megan, invece, è una ragazza tormentata dai sensi di colpa e dalla nostalgia. Suo marito la controlla, ma a lei sta bene così perchè cerca sempre un modo per combattere questo controllo e questo le rende la vita più sopportabile, finchè un giorno di Megan non rimane solo una fotografia,una pietra e delle ceneri. Megan muore. Come? Perchè? Ma soprattutto chi è stato in grado di macchiare di sangue questi splendidi capelli biondi e privare della vita questi bellissimi occhi azzurri?
    Questo è il percorso che seguiremo. Vedremo Rachel alle prese con l’alcool, Anna alla prese con la nuova famglia e Megan alle prese con il suo assassino. Finchè un giorno, non scopriremo la verità. Una verità che alcuni dicono di aver intuito fin dall’inizio. Io non l’ho capito e soprattutto non ci ho voluto credere finchè non l’ho letto. Poi ho accettato e sono andata avanti.
    (Francesca2213, www.qlibri.it/)


    Paula Hawkins



    Nata a Harare, in Zimbabwe, figlia di un professore di economia e giornalista finanziario. Si trasferisce a Londra quando aveva 17 anni. Ha studiato filosofia, politica ed economia presso l'Università di Oxford, successivamente ha lavorato come giornalista per il Times. Ha inoltre lavorato per un certo numero di pubblicazioni come freelance e ha scritto un libro di consulenza finanziaria per donne, intitolato The Money Goddess.
    Attorno al 2009 ha iniziato a scrivere romanzi rosa sotto lo pseudonimo di Amy Silver. In totale ha scritto quattro romanzi, tra cui Tutta colpa del tacco e Il bello delle amiche.
    Raggiunge il successo commerciale con il romanzo thriller La ragazza del treno, diventato un best seller negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, con oltre 3 milioni di copie vendute solo negli USA. Ha debuttato alla numero uno nella lista dei best sellers del New York Times, rimanendovi per 13 settimane.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    IL GAC



    La pianta Momordica Cochinchinensis, appartenente alla famiglia delle Cucurbitacee, è originaria del Sudest asiatico e diffusa anche nel meridione cinese e nel nord-est australiano. E 'comunemente noto come GAC dal vietnamita GAC (pronunciato [ɣək˦]) o Qua GAC (Qua è un classificatore per oggetti sferici come la frutta). In thailandese, è pronunciato fahk Khao e Taw Thabu in Myanmar.
    E' una pianta erbacea semiselvatica perenne, strisciante o rampicante con fusto angoloso e viticci.
    Produce frutti che a maturazione raggiungono circa 15 centimetri di diametro di colore arancio. La buccia è ricoperta da piccole punte ed ha una consistenza simile a quella di un palloncino. Al suo interno, la polpa (arilli) è rosso intenso e si presenta come un gel che nasconde i semi. All'interno degli arilli sono contenuti dei semi legnosi e zigrinati di grandi dimensioni.
    Fruttifica solo una volta all'anno, e si trova stagionalmente nei mercati locali.
    È quasi privo di sapore, benché il suo consumo sia ritenuto rinfrescante e piacevole. Le cucine tradizionali del Sud Est asiatico lo prevedono come ingrediente di molti piatti a base di riso: la sua polpa funziona perfettamente da gelificante ed addensante. Sia nelle aree d'origine che negli Stati Uniti è venduto anche sotto forma di purea o di succo. Acerbo viene trattato come una qualsiasi verdura da cuocere ed ha un sapore molto vicino a quello del cetriolo. La polpa gialla vicina alla buccia si mangia al cucchiaio cruda o cotta.
    Il gac è usato in molti piatti cerimoniali nel sud della Cina e nel Vietnam, specie in occasione dei matrimoni e delle celebrazioni per l'inizio dell'anno nuovo.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    NOVEMBRE

    NOVEMBRE

    Gemmea l'aria, il sole così chiaro
    che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
    e del prunalbo l'odorino amaro
    senti nel cuore...

    Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
    di nere trame segnano il sereno,
    e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
    sembra il terreno.

    Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
    odi lontano, da giardini ed orti,
    di foglie un cader fragile. E' l'estate
    fredda, dei morti..


    (GIOVANNI PASCOLI)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Marco Grassi

    “La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi:
    essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove,
    può aiutare il bambino a conoscere il mondo.„
    (Gianni Rodari)

  2. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 046 (09 Novembre – 15 Novembre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    < Lunedì, 9 Novembre 2015
    S. ORESTE , S. ORNELLA

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    Settimana n. 46
    Giorni dall'inizio dell'anno: 313/52
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    A Roma il sole sorge alle 06:53 e tramonta alle 16:55 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 07:15 e tramonta alle 16:59 (ora solare)
    Luna: 4.27 (lev.) 16.00 (tram.)
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    La colpa morì fanciulla
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    Aforisma del giorno:
    Ogni tipo di dipendenza è cattiva, non importa se il narcotico
    è l'alcool o la morfina o l'idealismo.
    (Carl Gustav Jung)









    RIFLESSIONI



    ... HO TROVATO SUL WEB …
    ... Volano nell’aria libera, galleggiando si incontrano e formano frasi che danno forma ai pensieri, alle emozioni più intime e preziose. Formano traiettorie sempre più intrecciate oppure rappresentano immagini pur non tracciando disegni. Colorano i pensieri, illuminano le emozioni; sono le parole. Le parole sono carezze a volte, sono schiaffi altre; le parole emozionano fino alle lacrime oppure lasciano segni più profondi di un aratro che prepara il terreno per la semina. Chiudendo gli occhi ed ascoltando il suono delle parole, si riesce a volare, oppure a precipitare. Ho trovato sul web uno scritto. Lacrime copiose, brividi forti sulla pelle. Ho trovato sul web una carezza tanto forte da lasciare il segno. Ho trovato sul web una collana di parole che lette tutte d’un fiato mi hanno portato a volare. Ho trovato sul web il motive per cui esiste la sensibilità, per cui le parole formano un filo così forte da non lasciare segni ma anche potente da non lasciar scappare mai nessuno. Ho trovato sul web uno scritto, bello come la rugiada nelle prime mattine di primavera; bella come un prato fiorito, bella come la cruda e nuda verità che in quello scritto era raccontata. Ho trovato sul web profumo di rose, fragranza di verità pura. Ho trovato sul web uno scritto che mi ha emozionato, mi ha fatto piangere. Ho trovato sul web la bellezza assoluta quella che ci lascia a bocca aperta quando essa ci colpisce. Ho trovato sul web una emozione lunga una vita e profonda quanto un’oceano … Buon Ottobre amici miei … (Claudio)






    VIVERE A TUTTI COSTI tratto da una storia vera
    Hey.. sono qui a crogiolarmi in un liquido decisamente tranquillizzante. Sento battere il mio petto, deve essere il cuore. Tutto va bene. Funziona tutto, mi muovo tranquillamente. E' buio, ma non ho paura. Sento voci e rumori lontani, sembrano ovattati. Anche se l'ambiente dove vivo è piuttosto austero, credo che sia perfetto perchè sto bene. Non so da quando ho iniziato a pensare, è successo all'improvviso così come un fiammifero che si accende in un attimo e può provocare un fuoco devastante e così ammagliante da osservare. Sento che questa tranquillità sta per finire....è finita la pacchia....adesso si inizia.. speriamo in bene!?
    E' finita; che rumori assordanti, perchè non stanno un po' in silenzio. OK sto uscendo, ma non è il caso di fare questo caos.
    Due braccia mi avvolgono, credo che appartengano a quella persona che mi teneva. Dovrebbe essere mia madre... Ho fame, insomma volete darmi da mangiare!!! Oh finalmente sto mangiando. La mia vita è mangiare, bere, dormire e fare i miei "bisognini". Non vedo molto bene, solo forme, però riesco a riconoscere le voci. Sono diverse: stridule, ferme, roche, suadenti. Cambiano continuamente, non riesco a distinguerle.
    ...
    Finalmente ci vedo. E' bello. Ci sono tante facce che si ripetono, credo appartengano alla mia famiglia. Poi ci sono tante cose in giro, tanti colori.
    ..
    I mesi passano, sto crescendo bene, sono anche un po' grassa. Ho conosciuto la mia famiglia; mio padre, mia madre-- mi piacciono--e anche mia nonna. Sapete ho anche una sorellina. Meno male sembra che vada tutto bene..
    ..
    Sto crescendo. Adesso magio le pappe, sono abbastanza buone.
    Che barba i pannolini, mi costringono a tenere le gambe aperte, speriamo me li tolgano presto.
    Oggi mi hanno messo sul vasino, si sta comodi, ma non capisco cosa serva.. Ahh ho capito!! Sono col culetto nudo perciò devo fare la pipì o qualcos'altro...
    Finalmente senza pannolini. Mi piace andare in giro col culetto nudo.
    ...
    Adesso vado a carponi, niente male vero? Posso andare dove voglio, ma non fare quello che voglio; la mia sorellina mi cura, se no la mamma urla. Ora giochiamo insieme. Ogni tanto vengono i suoi amici; loro sono grandi. Mi piace vederli giocare e parlare. Sanno dire tante cose, che discorsi! io invece so solo dire bah, ohh, solo suoni che per me vogliono dire tutto, ma capisco che gli altri non li comprendono.
    Ci sarà tempo per imparare a parlare come loro. Per ora va bene così.
    .............
    E' passato un po' di tempo, il mio linguaggio è migliorato di poco.
    Solita vita: pappa, gioco, dormire. Ho imparato a camminare, posso andare dove voglio.
    Finalmente una novità.
    Non ve l'ho detto andiamo al mare. Io non l'ho mai visto, ma mia sorella dice che è bellissimo. E' fatto di tanta acqua. Noi saremo in una casa e per vedere il mare andremo nella sabbia. Lo sapete si può giocare con la sabbia e poi si può correre e toccare il mare con i piedini. L'acqua è fredda..brrr... sono felice
    Ho 15 mesi, cammino, mangio e gioco anche con la mia sorellina. Mi piace svuotare i cassetti, ma loro si arrabbiano perchè metto in disordine. Mio papà mi fa tante fotografie anche quella volta che mi sono pitturata tutta di verde. La mamma era molto arrabbiata, ma papà si è divertito.
    Sapete ho conosciuto le galline, ma non mi piacciono molto, puzzano, invece il cane è bello ed è così grosso, pensate è più grande di me; mi lecca sembra contento come me. Aveva ragione mia sorellina, il mare è proprio bello. Mi diverto molto ed ho conosciuto tante cose, animali e le persone sono molto simpatiche ridono sempre. La vita sembra bella. Fra poco torniamo a casa... peccato....
    Non mi sento troppo bene; non mi va di giocare, di mangiare e dormo male. Chissà perchè? Siamo tornati e a dir la verità sono un po' triste... era così bello. Ho la febbre, tutti si preoccupano soprattutto mamma e papà. La febbre continua a salire; si stanno spaventando. Devono portarmi in ospedale.
    capitolo II

    Non so dove mi trovo. Tutti mi toccano, sono stufa. Voglio che mi lascino in pace. Continuano a far piangere la mamma e papà. Papà continua a correre da una parte all'altra.
    Credo che i dottori non sappiano cosa fare. Respiro male e sono in una stanza, non mi può toccare nessuno.. Perchè???.. la mamma ed il papà mi guardano da un vetro; una volta ho visto la nonna. Mia sorellina non la vedo mai. Sono stanca. Cosa succede...non riesco più a muovermi AIUTOOOOOO!!
    Non ce la farò. Speriamo sia una cosa veloce. Qualcosa mi sta mangiando dentro. Chi ho dentro..uccidetelo!!!! Ritornerò da dove son venuta, ma cos'è servito a vivere. NO devo farcela da sola, gli altri non servono più a niente.
    Chiunque tu sia ti combatterò con tutte le mie forze perchè voglio continuare a vivere.
    Non sono nata per niente...ti distruggerò.
    Mi sento bruciare tutta, ogni tanto la mente se ne va....cosa credi di fare piccolo e minuscolo "virussino"... ti ho visto sai!!! Credi di vincere. Hai sbagliato a capire, io sono più forte di te...vattene via!!! Si moltiplica, vuole uccidermi. A cosa gli serve se io sono morta anche lui muore...che stupido!!!
    Tanto morirà lo stesso, mai io ce la farò ne sono sicura. Mi basta guardare mamma e papà, loro vogliono che io viva e ce la farò.
    Che male.. mi sento male. In me stanno combattendo, sono duri i piccoli "vermi", ma loro sono tanti e li stanno mangiando ad uno ad uno. Chissà poi che cosa vogliono da me. Cosa posso dargli...sono piccola!!!!
    Capitolo III
    E' arrivato il giorno della riscossa. Ce l'ho fatta. Ho vinto la guerra. E' stato difficile, ma il mio piccolo esercito li ha distrutti. Credo comunque che le piccole bestie abbiano colpito qualcosa. Speriamo poco. Sarà dura riprendermi. La febbre sta scendendo, riesco a muovermi di più.
    Papà è agitato, ma reagisce sembra quasi sereno. Mamma continua a piangere. Perchè lo fa, non mi aiuta per niente. Ora sto per modo di dire bene.
    Le gambe non riesco a muoverle, ma le braccia si.
    LA FEBBRE E' SPARITA. HO VINTO!!!!
    Forse non camminerò più, le mie gambine sono come morte.
    Peccato mi piaceva tanto correre sulla riva del mare.
    SONO VIVA, per ora è questo l'importante.
    Andiamo a casa. Voglio vedere la mia sorellina, mia nonna e gli altri
    Capitolo IV

    Perchè devo andare via, non mi volete più, ma io ho combattuto. Si sono ancora debole però piano piano. Maledizione ho bisogno di voi!!!
    Non voglio andarmene via, non mi interessa se è una casa bella con il giardino... non capite io voglio voi!!!!! OK, OK vado, ma voi mi venite a trovare ogni volta che è possibile. OK!?
    .....
    Che barba dove sono? Che brutto posto. Ci sono dei bambini malati e delle persone vestite di bianco con il cappuccio...sono un po' ridicole.
    Mi dicono che loro e dei dottori mi cureranno. Io non voglio i dottori non sanno fare niente. Non sto ancora tanto bene , meno male che una signora col cappuccio bianco mi cura.
    Ogni tanto mi viene ancora la febbre.. in quei momenti ho paura, forse il maledetto è rimasto in me...forse non sono riuscita a distruggerlo!? Vedo papà, mamma e la mia sorellina solo la domenica. Alcune volte vengono altre persone la nonna, gli zii e altri. La nonna mi porta sempre il paté, perchè la carne non mi piace.... La nonna, che è una persona intelligente, lo ha capito mi porta il patè ..che mi piace tanto e fa bene come la carne. Per questa super invenzione mi hanno soprannominato "boccapiena” o "grassa di paté”, ma io rido. Poi sono magra.
    Capitolo V

    Mi fa male una gambina. E' già una settimana. Nessuno se ne accorge anche se mi lamento. Finalmente il mio papà ha detto al dottore che mi vede soffrire quando cammino con quelle specie di gabbie che racchiudono le gambe. Vi assicuro sono scomodisime.
    Ecco fatto...ho il femore rotto.. che barba.. però forse torno a casa…e si qualche volta torno a casa ed è bellissimo perchè gioco con la mia sorellina e quando sono a letto con le gambe fasciate lei mi fa compagnia.
    Ogni tanto andiamo in gita, a fare un pic nic o a casa del nonno in mezzo alla campagna. E' bella la casa in mezzo ai boschi, il giardino è piccolo, ma fuori dal cancello ci sono tutti i boschi. Molte volte andiamo a fare delle passeggiate, il nonno è un po' imbranato, molte volte lo perdiamo perchè cammina piano. Sapete lui è un cacciatore, ma a dir la verià non ho mai visto che piccoli uccellini morti... poverini. Portiamo anche Lilli. E' il mio cane ...è molto birichina... fa disastri, ma è bellissima e poi è mia.
    I nonni mi piacciono tanto, mi fanno morire dal ridere. Il papà ci fa tante fotografie. Un giorno, eravamo in campagna, mi so tagliata un pollice. Un male tremendo; papà mi ha spigato che sentivo male perchè si stava svolgendo una battaglia con i miei piccoli "cavalieri" e delle creaturine che si chiamavano batteri.
    Sapete, quando mio papà mi spiegava, mi è venuto in mente un'altra battaglia che si era svolta nel mio corpicino tempo prima. Certo che i miei piccoli cavalieri bianchi mi difendono con coraggio e non sono mai stanchi... sono orgogliosa di loro, imparerò da loro che non bisogna mai arrendersi
    .. Sto crescendo, cammino con le gabbie, ma mi devono aiutare. Sto comunque bene. Fra poco andrò a scuola.
    Finalmente a casa. Andrò a scuola vicino. Mi porterà il mio papà. Mangerò li e mio papà mi porterà la pappa da casa. Ci sono tanti bambini...loro camminano io ho sempre le gabbie.
    Mi hanno spiegato che non sono gabbie.. si chiamano apparecchi ortopedici....sarà però gli uccellini che sono in gabbia non possono volare, le mie gambe sono imprigionate e non possono muoversi...che differenza fa!
    I miei compagni di scuola mi vogliono bene, mi aiutano e ridiamo tanto. A loro dispiace che io stia in classe a mangiare da sola e tante volte rimangono a farmi compagnia.
    Vado da un signore che fa fisioterapia… una volta che ridere, ho scoperto che dormiva con un cappello lungo.
    Capitolo VI

    Ho paura, vogliono un fare un esperimento. Siccome muovo un piedino dicono che trasmettendo corrente elettrica forse i miei muscoli rivivono. Non mi piace questa cosa, fa un male tremendo e sono convinta che non servirà a niente. Loro non si rassegnano ormai non guarisco più. Ok le gambe sono importanti, ma ho un cervello e cercherò di vivere al massimo.. non sarà facile, ma la vita è così... bisogna accettare gli eventi che ti porta senza mai arrendersi.
    ..
    Sto crescendo e il mondo in cui si crede che siano tutti buoni è svanito da un pezzo. La gente ti guarda, ti scruta e tutti i tuoi sforzi sono inutili; davanti ai loro occhi sei un diverso, un x-men.
    ...
    La mia storia non finisce qui, ma è giusto che finisca lo scritto. Non ce l'ha fatta a camminare, sono in carrozzina. A quell’epoca il vaccino lo somministravano ai bambini di 5 anni ed io ero troppo piccola..
    (G.R.)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    Tempo di castagne

    Nei castagneti dell'Italia mia,
    tanto in Piemonte, quanto in Lucchesia,
    quand'è l'autunno, per tutti i ragazzi
    è grande l'allegria.
    Li vedi armati d'un grosso randello,
    lungo e diritto come un alberello,
    andar pei greppi a corsa come pazzi.
    E lì comincia il bello.
    Agli annosi castagni, randellate
    danno a gran forza, finché sian cascate
    tutte le frutta, e dai bei ricci infranti
    occhieggino, morate.
    E i ragazzi a gridare - La ballotta!
    La caldarrosta, pronta appena cotta;
    le frittelline dolci, avanti, avanti!
    La polenta che scotta!
    Di mangiar le castagne in Lucchesia,
    ed in Piemonte e in tutta Italia mia,
    ogni maniera è buona, se vi sia
    vin nuovo, foco acceso e compagnia.
    (Camilla Del Soldato)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Alì ali di farfalla.

    Nella grande foresta africana viveva un gruppo di elefanti, senza fissa dimora, se non il grande cielo della savana. Erravano alla ricerca di un posto tranquillo, e sicuro, con ampia vegetazione, fiumi d'acqua dove abbeverarsi per, far sì che le femmine del branco potessero dare alla luce i loro piccoli.
    Fra il gruppo delle grandi elefantesse, ve n’era una in particolare, una giovane entusiasta di essere in attesa del suo primo cucciolo. Per la futura madre Genga ed il suo compagno Nabù questa nuova esperienza li riempiva di curiosità, ma al tempo stesso si sentivano impacciati e impauriti.
    Così la giovane coppia, stanca per il lungo cammino, alla ricerca di questa oasi di pace in cui vivere, si fermarono ad abbeverarsi e riposare sulla riva di un ruscello. In un batter d'occhio però si accorsero che il gruppo di elefanti si era allontanato...
    - "Che fare?", si chiesero alquanto smarriti...
    - “Non ci resta altro che proseguire in questa direzione e camminare finché troveremo un luogo adatto per partorire”. Disse il giovane Nabù.
    Così la coppia dopo molti giorni di cammino arrivò in una vasta radura, con una cascata che portava dolci acque dove potersi rinfrescare e a farne da vedetta vi era un grande albero.
    Questo era “L’albero della vita", che stava li ad aspettarli con la sua “protezione", e proprio in quel luogo di pace la giovane elefantesse partorì un elefantino che decisero di chiamare Alì.
    Ali era pieno di vita, curioso di tutto ciò che lo circondava. Quando i genitori riposavano all'ombra del grande albero, al piccolo Alì piaceva esplorare la foresta, inoltrandosi fra le fronde della vasta vegetazione, alla scoperta di nuove avventure e nuovi amici. Annusava ogni cosa affascinato com’era soprattutto dai profumi di nuovi fiori coloratissimi che scopriva giorno, dopo giorno.
    Un giorno, mentre il piccolo Alì riposava accanto alla madre all'ombra del grande albero, vide un piccolo soffice bruco tutto colorato, che si fermò su un ramo del grande albero, in cerca di un posto sicuro dove poter compiere la sua trasformazione.
    Ali così poté seguire giorno dopo giorno tutti i mutamenti del piccolo bruco che andava a chiudersi in una “casetta” fatta a bozzolo; al quale raccontava tutto ciò che succedeva attorno a sé. Fino a che, un bel giorno di primavera quando, nell'aria il profumo dei fiori era intenso, si accorse che quella strana casetta stava mutando ancora...
    Dapprima apparve una piccola fessura, poi si aprì una finestrella sempre più grande, fino a che...
    - Incredibile! : da quel bozzolo usci una splendida e leggera farfalla che si posò sulla sua piccola proboscide.
    Alì fece amicizia con la splendida e fragile farfalla, la vedeva volare leggera e libera fra la rigogliosa vegetazione.
    Il suo sogno era quelle di poter un giorno sentirsi anche lui così libero e leggero, per volare lontano e vedere nuovi luoghi. Così chiese alla madre consiglio.
    Alì disse: - “Mamma perché io e la mia piccola amica siamo così diversi e al tempo stesso così “vicini”?
    Genga spiegò al piccolo che non serve essere uguali per sentirsi uniti, queste differenze li avrebbero arricchiti, traendo l’uno dall’altro.
    - La farfalla così fragile sentendosi sempre protetta accanto ad Alì avrebbe acquisito sempre più forza e coraggio per affrontare il suo effimero (breve) destino.
    - L’elefantino crescendo avrebbe conosciuto meglio la vita, e questa conoscenza l’avrebbe portato a sentirsi leggero come la sua amica.
    Genga disse: - “Un giorno crescerai, diventando saggio, capirai meglio e sarai custode di questo regno pieno di vita.
    Così Alì crebbe con la sua piccola amica sempre accanto e nel cuore il desiderio di “volare” via libero accanto a lei, siano a quando non arrivò il momento, per la farfalla di lasciare Alì, volando via sempre più in alto, sino al cielo, come raccontato dalla madre.
    Il grande “albero della vita” però, vedendo i due giovani amici così uniti, decise di realizzare il sogno, del ormai saggio Alì. Così come per magia..uni la forza, la costanza del saggio Alì alla leggerezza e mutevole flessibilità della farfalla trasformando le grandi orecchie di Alì in magiche ali di farfalla, in grado di realizzare i sogno custoditi nei candidi cuori e far ritrovare a tutti lo stupore della vita..

    (Eleonora Ottaviani)



    ATTUALITA’


    Miele e cera, l'uomo sfruttava le api già 9.000 anni fa.

    Trovati residui organici su migliaia di cocci del Neolitico. L'alleanza tra uomo e ape è antica quanto l'agricoltura: 9.000 anni fa i primi coltivatori del Neolitico avevano già iniziato a sfruttare la cera e il miele prodotti da questi insetti simbolo di operosità. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Università di Bristol, analizzando i residui organici presenti su migliaia di cocci emersi da 150 scavi archeologici in Europa e lungo le coste del Mediterraneo: i risultati dello studio, pubblicati su Nature, dimostrano che le tracce più antiche - trovate in Turchia - risalgono al VII millennio avanti Cristo.

    "Il motivo principale per cui sfruttare le api doveva essere il miele, un dolcificante piuttosto raro per gli uomini preistorici", spiega la coordinatrice dello studio, Melanie Roffet-Salque. "Tuttavia - aggiunge la ricercatrice - anche la cera poteva essere usata per motivi rituali, cosmetici, medicinali o tecnologici, ad esempio per rendere impermeabile il vasellame di ceramica".

    Che miele e cera d'api fossero apprezzati nell'antichità lo si era già capito osservando gli affreschi delle piramidi egizie, che rappresentano scene legate all'apicoltura, così come alcuni dipinti preistorici che ritraggono alcuni 'cacciatori' di miele in azione.

    La prova definitiva è arrivata analizzando le tracce di cera rimaste intrappolate in oltre 6.000 frammenti di vasellame di ceramica: queste 'impronte' chimiche, costituite da residui lipidici ben conservati nel tempo, hanno permesso di retrodatare l'antica alleanza tra uomo e ape.

    E' così emerso come nel Neolitico lo sfruttamento dei prodotti delle api fosse una pratica estremamente diffusa nel Nord Africa, in Medio Oriente e nell'Europa centro-meridionale: nessuna traccia di cera è stata invece ritrovata oltre il 57/o parallelo nord (in Scozia e Scandinavia), dove il clima non era probabilmente adatto ad ospitare questi insetti.
    (Ansa)





    Una 'mostruosa' nube di ghiaccio su Titano.

    Avvolge la più grande luna di Saturno. Una "mostruosa" nube di ghiaccio avvolge il Polo Sud di Titano, la più grande delle lune di Saturno: a fotografarla è stata la sonda Cassini, che sta catturando i violenti cambi stagionali in atto. L'analisi delle immagini che rendono evidente la morsa dell'inverno su Titano è stata fatta da Carrie Anderson, del Centro Goddard della Nasa ed è stata presentata nell'incontro annuale della Società Astronomica Americana

    . L'arrivo dell'inverno nell'emisfero Sud di Titano era stato mostrato dalle immagini di Cassini scattate nel 2012, quando la sonda aveva visto una enorme nube di ghiaccio in formazione sopra il polo Sud. Secondo i ricercatori americani la gelida coltre fatta soprattutto di azoto e metano era però solamente la punta dell'iceberg.

    Ora nel pieno dell'inverno, che su Titano dura 7 anni e mezzo, il sistema nuvoloso si è allargato di molto raggiungendo temperature bassissime, sotto i -150 gradi centigradi. Grazie ai dati raccolti dallo strumento Cirs (Composite Infrared Spectrometer) si è scoperto che queste nubi somigliano molto alla nebbia terrestre e risultano quasi perfettamente piatte nella parte superiore, un vero gelido mantello.

    Frutto della collaborazione fra Nasa, Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Agenzia Spaziale Italiana (Asi), la sonda Cassini 'passeggia' dal 2004 tra le lune di Saturno con periodici incontri che stanno svelando molti preziosissime informazioni. I numerosi sorvoli di Titano, che si concluderanno nel 2017 con la chiusura della missione, stanno infatti svelando i profondi cambiamenti che avvengono nei due emisferi durante i cambi stagionali.
    (Ansa)





    Scoperte nuove staminali, specializzate in riparazioni.

    Forse via per riattivare meccanismi perduti durante l'evoluzione. Come una specialissima 'squadra di soccorso' dell'organismo, al primo segnale di pericolo si concentrano dove c'è un problema e cominciano a riparare i danni: si comporta così la nuova popolazione di cellule staminali simili a quelle embrionali scoperta in Italia, dal gruppo del Dipartimento di Medicina sperimentale dell'Università di Genova diretto da Ranieri Cancedda. Pubblicata sula rivista Scientific Reports, la scoperta si deve a Claudia Lo Sicco e Roberta Tasso.

    Le nuove cellule staminali sono state individuate nel sangue periferico dei topi, ma ci sono già gli strumenti per andare a cercarle nell'uomo. ''Sono cellule simili a quelle embrionali'' e appartengono ad una ''popolazione originale'', mai vista finora, ha detto Cancedda. Una volta individuate nei topi e prelevate, i ricercatori le hanno iniettate in topi che avevano fratture nella coda e nell'arco di tre settimane le cellule si sono moltiplicate sia nelle ossa che nella cartilagine e nei muscoli.

    ''Il prossimo passo sarà cercare di identificarle nell'uomo'', ha detto ancora Cancedda. Dopodichè si aprirebbero due strade. La prima, più tradizionale, consiste nell'isolare queste nuove staminali e cercare di moltiplicarle. C'è poi una seconda strada, molto ambiziosa, che punta a ''riattivare meccanismi endogeni di riparazione perduti nel corso dell'evoluzione'', ha spiegato l'esperto.

    Meccanismi di riparazione sono naturalmente presenti in lucertole e salamandre ed entrano in azione, per esempio, per la ricrescere la coda quando viene tagliata. Nell'uomo meccanismi simili agiscono nel fegato e durante lo sviluppo fetale. Entrano in gioco, per esempio, nel far ricrescere l'ultima falange delle dita, dall'osso al muscolo, fino alla pelle. ''Capire questi meccanismi - ha concluso Cancedda - credo sia il futuro della medicina rigenerativa''.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Spectre - 007




    locandina


    Un film di Sam Mendes. Con Daniel Craig, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris.


    Blockbuster spettacolare che si dà arie d'autore, popolare, intelligente e integrato in una logica commerciale aggressiva.
    Marzia Gandolfi


    La morte sfila per le strade di Città del Messico e dietro la maschera di un teschio. In missione per conto di M, la defunta M che gli ha lasciato un video e un incarico spinoso da risolvere, James Bond sventa un attentato e uccide Marco Sciarra, terrorista legato a SPECTRE, una misteriosa organizzazione criminale e tentacolare. Il suo colpo di testa gli aliena Gareth Mallory, il nuovo M alle prese con pressioni politiche e Max Denbigh, membro del governo britannico che non vede l'ora di mandare in pensione i vecchi agenti dell'MI6 e di controllare con tanti occhi le agenzie del mondo. Congedato a tempo (in)determinato, Bond prosegue la sua indagine contro il parere di Mallory e con l'aiuto dei fedeli Q e Moneypenny. Tra un funerale e un inseguimento, una vedova consolabile e una gita in montagna, l'agente 007 stana Mr. White, una vecchia conoscenza con crisi di coscienza e una figlia da salvare. Bond si fa carico di entrambe e protegge Madeleine Swann dagli scagnozzi di SPECTRE, amministrata dal sadico Franz Oberhauser. È lui l'uomo dietro a tutto, è lui il megalomane da eliminare. Madeline la chiave per risalire. Per risalire alla sua nemesi, per risalire il suo tempo perduto.
    Con Skyfall la saga di Bond compiva cinquant'anni e stilava un bilancio. Sam Mendes, reclutato tre anni fa a dirigere il passaggio, si interrogava su un 'corpo usato' dentro un mondo per cui non era più adatto. Facendo tesoro del Batman di Christopher Nolan, Mendes decostruiva la leggenda e la rifondava procurandole una grotta, affiorandone il trauma e confrontandola con un avversario psicotico. La posta in gioco era una donna, la donna, la M-amma incarnata da Judi Dench. Skyfall riconduceva la serie alle origini, eleganza e humour british, e consolidava Daniel Craig dentro lo smoking dopo Casino Royale, che lo aveva lasciato 'vedovo' e inconsolabile e Quantum of Solace, che ne segnava l'avvento. Coerente coi caratteri nevrotici della sua filmografia (Era mio padre, Revolutionary Road), il suo Bond si prende tutto il tempo necessario a scavare la psicologia e alleggerisce il testosterone della serie, disegnando un agente intimo e interrotto di cui convalida la morte e poi la rinascita. Epopea crepuscolare Skyfall sprofondava nelle e ripartiva dalle lande scozzesi, luogo natale di James Bond questa volta alla prese con l'eredità materna (il video di M) per risalire a quella paterna. Per farlo avrà bisogno della sua madeleine, elemento rivelatore impersonato da una donna, la dottoressa Swann di Léa Seydoux, che lo invita a fermare l'azione per pensare e ripensarsi. A sdraiarlo sul lettino provvede invece il villain di Christoph Waltz, precipitato di un passato remoto che 'vive anche tre volte' e vorrebbe trattenerlo in un'adolescenza irriducibile affollata di Bond-girl intercambiabili e castranti. Ma il bacio di Madeleine produce il ricordo di un tempo sepolto nella memoria, riemerge alla coscienza, diventa presente e ritrova James a Bond, la saga al cinema. Perché in quel bacio c'è la dichiarazione poetica di Mendes e del suo film proustiano, che cerca e trova il perduto, che esprime le più impalpabili sfumature umane, che riscopre ed esalta, aggiornandoli all'esigenza del momento, la definizione di eroismo, l'originalità della copia, la rutilante presenza dei sentimenti, l'amore per la performance, le traiettorie e la balistica.
    Impossibile non vedere nella determinazione dei personaggi a battersi à l'ancienne (Bond e Mallory in cima) una metafora del cinema, che afferma il gusto per l'analogico, l'artigianale, i fondamentali, il campo. Nei Bond di Mendes si affrontano il passato e il mondo contemporaneo alimentando un dibattito vivace e qualche volta contraddittorio. A chi pensa che James Bond non sia (più) buono a nulla, il regista obietta e avanza una rilettura del mito che garantisce il franchise, aderisce alla tradizione e guarda al futuro. Per Mendes Bond è come il nero nella moda, ritorna sempre. Perché il nero non è mai pensiero inespresso ma sintesi di potenza che si addensa disegnando la linea, definendo la silhouette. Quella celebre del tema musicale di ogni Bond-movie, inquadrata dalla soggettiva impossibile della canna della pistola di un ipotetico avversario contro cui Bond spara. Perché lui ha sempre la licenza di uccidere. Oppure no. Come ricorda Gareth Mallory al nuovo arrivato, voyeur informatico e arrogante. Nero è pure l'inchiostro dell'octopus (simbolo di SPECTRE) e le note con cui Sam Smith scrive sui muri e sui titoli di testa ("Writing's On The Wall"), nero il buio che 'solleva' dietro di lui Franz Oberhauser e il lutto che rielabora Bond dentro la 'camera verde' di Mr. White. Luogo fisico e luogo della mente che conserva brani di memoria del protagonista e ne avvia il processo analitico.
    Pronto ad accogliere il ritorno emotivo, vivo, presente ma irrimediabilmente passato, l'agente di Fleming affronta il dolore, trova la spinta vitale e spezza l'implacabile coazione a ripetere che determina la struttura complessiva della serie. Su un treno-alcova, lo stesso di Intrigo internazionale, Craig supera il complesso (edipico) e la sessualità primordiale e incestuosa del suo personaggio. Spectre - 007 è un racconto di formazione in chiave freudiana il cui esito finale è la sostituzione della madre con la 'moglie', emblematicamente raffigurata dall'avvicendamento delle donne sulla leggendaria Aston Martin. Mezzo di fuga per scampare M in Skyfall, auto a due piazze in Spectre - 007 per inserirlo nel sistema della realtà sociale a fianco di Madeleine.
    Blockbuster spettacolare che si dà arie d'autore, popolare, intelligente e integrato in una logica commerciale aggressiva, Spectre - 007 esibisce l'appeal corporeo di Daniel Craig, il suo trionfo virile, il suo incedere fluido che impugna pistole dopo aver aggiustato i gemelli innescando un processo di armonizzazione tra corpo idea e corpo evento. Un corpo che sa rispondere efficacemente ed elegantemente ad ogni sorta di contingenza dentro un film che un incredibile atto di auto-cinefilia alimenta col suo patrimonio.




    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    "Comicio a creder che non conta
    quanto tu ami qualcuno;
    ciò che conta è quello che riesci ad essere
    quando sei con qualcuno"



    TURISTA PER CASO



    Titolo originale The Accidental Tourist
    Lingua originale inglese
    Paese di produzione USA
    Anno 1988
    Durata 121 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere drammatico
    Regia Lawrence Kasdan
    Soggetto Anne Tyler
    Sceneggiatura Frank Galati e Lawrence Kasdan
    Distribuzione (Italia) Warner Bros. (1989)
    Fotografia John Bailey
    Montaggio Carol Littleton
    Musiche John Williams
    Scenografia Bo Welch, Tom Duffield e Cricket Rowland

    Interpreti e personaggi

    William Hurt: Macon Leary
    Kathleen Turner: Sarah Leary
    Geena Davis: Muriel Pritchett
    Amy Wright: Rose Leary
    David Ogden Stiers: Porter Leary
    Ed Begley Jr.: Charles Leary
    Bill Pullman: Julian
    Robert Hy Gorman: Alexander Pritchett
    Bradley Mott: sig. Loomis
    Seth Granger: Ethan Leary

    Riconoscimenti

    1989 - Premio Oscar
    Miglior attrice non protagonista a Geena Davis
    Nomination Miglior film a Lawrence Kasdan, Charles Okun e Michael Grillo
    Nomination Migliore sceneggiatura non originale a Frank Galati e Lawrence Kasdan

    1988 - New York Film Critics Circle Award
    Miglior film


    TRAMA



    Il rapporto tra Macom e Sarah è in crisi dopo la morte tragica del figlioletto. La donna avvia le pratiche per il divorzio. Macom, che di mestiere scrive guide turistiche per viaggiatori frettolosi, si rifugia nella casa paterna. Dovendo partire per un viaggio, affida il cane a un'agenzia gestita da Muriel, esuberante e divorziata. Tra i due nasce un affetto consolidato anche dalla presenza del figlio di Muriel; quando Sarah cerca di rimettersi in gioco è ormai tardi


    ...recensione...



    La miglior metafora della vita è il viaggio, un viaggio che tutti affrontiamo ogni giorno accompagnati dalle nostre insicurezze, dalle nostre aspettative, e soprattutto dal pensiero del ritorno a un porto accogliente che tutti speriamo di avere. Siamo turisti, ma turisti "riluttanti", turisti per caso, come quegli uomini d'affari che sono costretti a viaggiare per lavoro e che in realtà auspicano solo il ritorno a casa.
    Lawrence Kasdan, partendo da un romanzo di Anne Tyler, offre al pubblico un film prezioso e commo-
    vente, il cui protago-
    nista, autore di guide proprio per quegli accidental tourists (parafrasando il titolo originale) di cui si parlava più sopra, è il simbolo dell'uomo che cerca di costruire certezze laddove certezze non ve ne sono.
    Macon Leary, questo il suo nome, subisce il più grave dei lutti possibili, la perdita di un figlio, e il conseguente sfascio della famiglia. La moglie Sarah, incapace di affrontare la tragedia, decide di lasciarlo nel tentativo di trovare ancora uno scopo per vivere. Macon subisce la volontà della moglie quasi senza reazione; caratterialmente abituato a rimandare ogni decisione di una certa importanza, dopo la terribile quanto assurda morte del figlio dodicenne (vittima innocente della follia di un rapinatore nel fast food dove era andato a pranzare) si ritrova a trascinare la propria esistenza nella consapevolezza di non riuscire ad elaborare in alcuna maniera un lutto così devastante.
    Accoglie così l'abbandono da parte della moglie come un evento inevitabile, inevitabile come quella vita che a stento riesce ancora a portare avanti, e che tuttavia gli proporrà un paio di sviluppi inattesi.
    Da una parte conosce, a causa proprio del cane del figlio, una addestratrice un pò fuori di testa, Muriel, che lo tampina subito mettendolo in difficoltà con la propria esuberanza, dall'altra un improvvido quanto assurdo incidente domestico gli causerà la rottura di una gamba, cosa che lo obbligherà e rimettersi alle cure della propria famiglia, ovvero una sorella nubile, Rose, guida attenta e premurosa per i due fratelli, neanche a dirlo scapoli e burberi.
    Con i suoi tre congiunti Macon si ritrova immerso in una situazione surreale, fatta di partite a carte sullo sfondo di un telefono che squilla ma a cui, secondo la famiglia, si può anche non rispondere.
    La storia prosegue con il ritorno di Macon all'attività professionale (trascinato dal suo editore Julian) e alla vita (la relazione con Muriel diventa stabile e l'uomo si affeziona anche al figlio di lei, Alexander) ma sembra riservare all'uomo una ulteriore sorpresa quando, in un viaggio di lavoro a Parigi, si ritrova in bilico fra il ritorno di Sarah, decisa a ricoprire nuovamente il ruolo di moglie, e l'affetto per Muriel, che non sembra abbastanza forte da sopravvivere.

    Non andiamo oltre, soprattutto per non anticipare nulla di un finale intenso e commo-
    vente, dove un incontro illusorio con ciò che era stato il suo bene più prezioso accompagnerà il protagonista a prendere finalmente una decisione importante e consapevole, una decisione fatta col cuore e senza più i timori di chi affronta il proprio cammino quotidiano controvoglia, come un turista per caso.
    Un film davvero di grande impatto emotivo, dove emerge la straordinaria bravura di Kasdan. Qui non c'è spazio per la lacrima facile , anzi spesso le situazioni vengono delineate con pennellate di umorismo che rendono lieve una narrazione che, visto il tema affrontato, rischierebbe altrimenti di essere gravosa.
    Eppure la felicissima mano del regista riesce a dosare in maniera egregia le due componenti (quella drammatica e quella ironica, rappresentata dalla strampalata famiglia di origine del protagonista) della vicenda, regalandoci una pellicola che rifuggendo ogni sentimentalismo di facciata, riesce a toccare in profondità le corde del nostro animo, affiancato in questo da un cast assolutamente straordinario, a partire da un intenso William Hurt nel ruolo di Macon, e da una Geena Davis forse nel suo lavoro migliore, nella parte di Muriel, e proseguendo con Kathleen Turner nei panni di Sarah.
    Tra i personaggi secondari Bill Pullman presta fattezze all'esuberante Julian, giovane e brillante editore che incredibilmente si innamorarerà di Rose (la simpaticissima Amy Wright).
    In conclusione: chi di noi non si è mai sentito, in vari momenti della propria vita, un turista per caso? E chi soprattutto non vorrebbe avere in certe circostanze una guida rassicurante e piena di consigli affidabili come una di quelle redatte da Macon? Ma le guide non bastano, la vita si fa beffe dei nostri tentativi di viaggiare senza scossoni e ci obbliga a effettuare scelte che sovente vorremmo rimandare; e tuttavia, almeno a parziale risarcimento di ciò, offre ogni tanto opportunità che non avremmo immaginato.
    Sta al turista saper cogliere l'occasione e rinunciare a essere lì "per caso", magari seguendo il proprio cuore.
    (GIANNISV66, www.filmtv.it/)


    Chi viaggia per affari dovrebbe portarsi dietro solo quello che entra in una borsa a mano, spedire il bagaglio significa andare in cerca di guai. Portatevi anche qualche bustina di detersivo formato viaggio così non cadrete nelle mani di lavanderie sconosciute; sono poche le cose a questo mondo che non esistono in formato viaggio. Un vestito è sufficiente se vi portate dietro qualche confezione formato viaggio di smacchiatore; il vestito dovrà essere grigio, il grigio non solo nasconde lo sporco, ma è perfetto per un funerale imprevisto. Mettete sempre in borsa un libro per proteggervi dagli estranei, le riviste finiscono subito e i quotidiani stranieri vi ricorderebbero che non siete a casa, ma non vi portate più di un libro, è un errore assai comune sopravvalutare l’eventuale tempo libero e caricarsi più del necessario. In viaggio, come d’altronde nella vita, il meno è quasi sempre meglio. Ah la cosa più importante… non vi portate in viaggio niente di così prezioso o a voi così caro che la sua perdita possa gettarvi nella disperazione.
    (Lawrence Kasdan /Macon Leary).


    (Gabry)





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    La musica del cuore



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    I Grandi Cantautori Italiani



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    foto:anfiteatrodelvittoriale.it

    Francesco Guccini
    Francesco Guccini nasce da Ferruccio, impiegato delle Poste, originario dell'Appennino pistoiese, ed Ester Prandi (nella foto), casalinga di Carpi, al n. 22 di via Domenico Cucchiari, a Modena, il 14 giugno 1940.

    Dopo l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale, suo padre fu chiamato alle armi e questo evento costrinse il piccolo Francesco ad andare a vivere con la madre presso i nonni paterni, a Pàvana, sull'Appennino tosco-emiliano, luogo in cui tutt’ora risiede.

    Guccini ricorda più volte nelle proprie opere gli anni dell'infanzia trascorsi sulle montagne dell'Appennino: proprio a Pàvana dedica il primo romanzo “Cròniche Epafàniche”. Molte delle sue canzoni attingono da questa ambientazione montanara della quale ha più volte dichiarato di andare molto fiero. Un forte senso di appartenenza ai luoghi di origine della sua famiglia, che descriverà nel brano Radici, ha segnato quindi la sua poetica, divenendo un tema ricorrente dei suoi scritti e dei suoi brani, come ad esempio in Amerigo, che narra la storia di povertà ed emarginazione di un prozio emigrante.

    La fine della guerra riporta Guccini nei luoghi lasciati pochi mesi dopo la nascita. Nel 1945 torna a vivere con la madre a Modena, dove l'anno successivo il padre, ritornato dalla prigionia, riprese il suo impiego alle Poste.....

    IL DEBUTTO

    Nel 1967 la casa discografica CGD gli propone di partecipare al Festival di Sanremo di quell'anno come autore della parte musicale del brano “Una storia d'amore”. Per interpretarlo vengono scelte due cantanti di questa casa discografica, Caterina Caselli e Gigliola Cinquetti, ma la canzone non supera le selezioni. Come dichiarò Roberto Vecchioni (che, in quel periodo, era uno degli autori della CGD), la casa discografica gli impose due parolieri professionisti, Daniele Pace e Mario Panzeri, per provare a modificare il testo della canzone, un'ingerenza che Guccini tollerò malvolentieri e che lo indusse a rinunciare a ulteriori collaborazioni. La canzone fu comunque incisa dalle due cantanti: da Gigliola Cinquetti nell'album “La rosa nera” e da Caterina Caselli in “Diamoci del tu”.

    Il primo lavoro della sua carriera di cantautore - Folk beat n. 1 – arriva qualche mese dopo, nel marzo del 1967. Nel disco, che ebbe un riscontro commerciale molto scarso (praticamente nullo, come afferma lo stesso Guccini), si intravedono già dei tratti caratteristici del suo stile artistico, con canzoni dagli arrangiamenti scarni e dai temi dolorosi come morte, suicidio, infimità sociale, Olocausto e guerra (appare anche un originale esperimento di talkin’ blues "all'italiana", stile che avrebbe poi ripreso in un successivo brano inserito in “Opera buffa”).

    Tra le canzoni incise ci sono anche tre di quelle già portate al successo dai Nomadi e dall'Equipe 84, “Noi non ci saremo”, “L'antisociale” e Auschwitz; "Auschwitz" verrà poi tradotta in inglese e riproposta nel 1967 dall'Equipe 84 (come retro del 45 giri con 29th September, pubblicato solo in Gran Bretagna) e, molti anni dopo, dal cantautore statunitense Rod McDonald, nell'album "Man on the Ledge" del 1994.

    Vi è inoltre un'altra canzone, “In morte di S.F.”, che viene ridepositata in seguito alla Siae con il titolo mutato in “Canzone per un'amica”, e con questo nuovo titolo sarà incisa nel 1968 dai Nomadi.

    Caterina Caselli il 1 maggio 1967, poco dopo l'uscita del disco, lo invita al programma televisivo “Diamoci del tu”, presentato insieme a Giorgio Gaber: in quest'occasione, che rappresenta il suo debutto televisivo (nella foto a sinistra), canta Auschwitz. Nella stessa puntata, tra l'altro, fu ospite un altro giovane cantautore ancora sconosciuto, Franco Battiato.

    Per la Caselli in quel periodo scrive molti brani, tra cui “Le biciclette bianche”, “Incubo N° 4”, canzone inserita nel musicarello “L'immensità” (La ragazza del Paip's), “Una storia d'amore” e “Cima Vallona” (ispirata alla strage omonima).

    Sono tuttavia i Nomadi (che già nel 1966 avevano inciso una sua canzone, “Noi non ci saremo”), a portare al successo nello stesso anno quella che diviene una delle canzoni più note di Guccini: “Dio è morto” (viene pubblicata in contemporanea anche da Caterina Caselli, con delle differenze nel testo).

    Si tratta di un brano dal testo "generazionale" che per l'universalità del suo contenuto supera ogni confinamento ideologico venendo elogiata addirittura da Papa Paolo VI (fu trasmessa da Radio Vaticana, benché a suo tempo censurata dalla RAI per blasfemia).

    L'anno successivo Guccini ritorna in sala di incisione, pubblicando un 45 giri con “Un altro giorno è andato” e “ Il bello”. La prima, una delle sue canzoni ritenute tra le più caratteristiche, viene incisa di nuovo in versione acustica e con alcune piccole modifiche nel testo nel 1970 e inserita in “L'isola non trovata”.

    La seconda invece viene riproposta dal vivo in “Opera buffa”, dopo essere stata reinterpretata due anni dopo da Lando Buzzanca. Nel frattempo Guccini continua l'attività di autore, scrivendo brani per I Nomadi, Bobby Solo, Caterina Caselli e altri artisti.

    Nel dicembre 1968 avviene il suo debutto ufficiale dal vivo, con un concerto tenuto al Centro Culturale la Cittadella della Pro Civitate Christiana di Assisi, un centro culturale cattolico di tendenza progressista.

    Nel biennio 1967-1968 si distingue anche per il lavoro di pubblicitario nell'ambito del Carosello insieme a Guido De Maria, collaborando agli slogan dell'Amarena Fabbri imperniate sui personaggi "Salomone pirata pacioccone" e il suo aiutante "Manodifata"; dello stesso personaggio scrive anche il testo della canzone per bambini, cantata da Le Sorelle, e fece conoscere al grande pubblico, sempre grazie al Carosello, il vignettista Bonvi. Guccini ricorderà questo periodo nel testo di “Eskimo”.

    Nel 1970 è la volta di “Due anni dopo” (registrato nell'autunno del 1969), album dai toni inquieti ed esistenziali, che lascia da parte le tematiche della protesta (eccetto per Primavera di Praga).

    Viene accostato, per le tematiche e i vocaboli alla poetica leopardiana, mostrando un artista ancora giovanile ma già più maturo del precedente. Il centro narrativo del disco, dalla percepibile influenza francese, è il tempo che passa e la vita quotidiana analizzata nella dimensione dell'ipocrisia borghese.

    Con questo album ha inizio una collaborazione, che durerà circa un decennio, con la folksinger di origini americane Deborah Kooperman la quale, pur non essendo una vera chitarrista, impreziosirà da quel momento parecchi suoi dischi con caratteristici arpeggi finger-picking, uno stile allora poco conosciuto e usato nel nostro Paese.

    Subito dopo l'uscita di Due anni dopo, Guccini lascia in Italia, ma senza rinunciarci, la sua fidanzata Roberta Baccilieri (per la quale aveva scritto “Vedi cara”) e parte per gli USA insieme a Eloise Dunn, una ragazza conosciuta al Dickinson College di Bologna dove insegnava (alla quale anni dopo dedicherà la canzone “100 Pennsylvania Ave”).

    Conclusa questa relazione, torna in Italia con la caratteristica barba, che da quel momento non taglierà più.

    Si riconcilia con Roberta Baccilieri e con lei va in vacanza all'isola di Santorini: è in quest'occasione che viene scattata la celebre fotografia presente sul retro di “Stanze di vita quotidiana”, usata poi sia per la copertina di Via Paolo Fabbri 43 sia, ancora oggi, per i manifesti pubblicitari dei suoi concerti.

    In autunno inizia le registrazioni di un nuovo disco, e così, a undici mesi da “Due anni dopo” viene pubblicato “L'isola non trovata”. Il titolo dell'album, che è anche quello di una canzone, è un riferimento a Guido Gozzano.

    Un’altra citazione letteraria presente nel disco è quella di J.D. Salinger in “La collina”.

    Altri brani di rilievo del disco sono “Un altro giorno è andato” (reincisa dopo due anni), “L'uomo” e “L'orizzonte di K.D.” (Karen Dunn, la sorella di Eloise).

    La notorietà di Guccini inizia a diffondersi anche al di fuori di Bologna, passando dalle osterie al teatro: è di questo periodo la sua partecipazione al programma televisivo “Speciale tre milioni”, dove presenta alcune sue canzoni (tra cui “La tua libertà”, all'epoca inedita, incisa nel 1971, ma pubblicata soltanto nel 2004 come bonus track dell'album “Ritratti”), e dove diviene amico di Claudio Baglioni.

    Nel 1971, dopo alcuni mesi di convivenza, sposa la sua storica fidanzata, Roberta Baccilieri (raffigurata sul retro di copertina dell'album successivo e alla quale dedicò la canzone Eskimo).

    IL SUCCESSO

    Il vero salto artistico e qualitativo avviene nel 1972 con “Radici”, che contiene alcune delle sue canzoni più conosciute: ”La locomotiva”, canzone tratta da una vicenda reale in cui Guccini affronta il tema dell'uguaglianza, della giustizia sociale e della libertà, ricalcando lo stile di autori di musica anarchica di fine '800.

    Il filo conduttore dell'album, come suggerisce il titolo, è l'eterna ricerca delle proprie radici, simboleggiata anche dalla copertina del disco dove, sullo sfondo del cortile della vecchia casa di montagna, sono raffigurati sul fronte i nonni e i prozii di Guccini (tra cui anche Enrico, la cui vicenda verrà raccontata anni dopo in "Amerigo").

    La critica definì l'album contemplativo e onirico: canzoni come “Incontro”, “Piccola Città”, “Il vecchio e il bambino”, “La Canzone della bambina portoghese” e “Canzone dei dodici mesi” sono i brani di maggior rilievo di un lavoro che viene ritenuto tra le sue vette artistiche.

    Nello stesso anno Guccini porta alla EMI Italiana un giovane cantautore suo concittadino di cui ha ascoltato alcune canzoni che l'hanno colpito: si tratta di Claudio Lolli, con cui in futuro collaborerà nella stesura di due canzoni (“Keaton” e “Ballando con una sconosciuta”), che deve proprio a Guccini l'inizio della sua attività artistica.

    Nel 1973 c’è la volta di “Opera buffa”, disco registrato all'Osteria delle dame di Bologna e al Folkstudio di Roma, goliardico e spensierato, che mette in luce le sue qualità di cabarettista, ironico e teatrale, colto e canzonatorio.

    L'idea di incidere canzoni dal vivo di questo genere in realtà non fu mai accettata di buon grado da Guccini, il quale ebbe perplessità sulla pubblicazione di questo disco e sul brano “I Fichi”, contenuto nell'album “D'amore di morte e di altre sciocchezze”.

    Nonostante ciò il disco live (con sovraincisioni realizzate in studio) è una testimonianza indicativa del modo in cui Guccini ha sempre affrontato i concerti nel corso della sua carriera. Il suo tipico modo di fare cabaret si rinnova sempre nei suoi spettacoli, che diventano delle vere e proprie esibizioni teatrali in cui il protagonista dialoga e si confronta con il pubblico; questa sua vena è resa evidente in numerose canzoni, come “L'avvelenata”, “Addio”, “Cirano”, “Il sociale e l'antisociale”.

    Segue l'anno successivo “Stanze di vita quotidiana”, un album controverso e di difficile ascolto, che riscontrò pareri contrastanti di pubblico e critica. Il disco, composto da sei lunghi brani malinconici e struggenti, rispecchia il periodo di crisi profonda che Guccini stava vivendo, aggravata dai continui dissidi con il produttore Pier Farri e riceve delle critiche impietose: si ricorda soprattutto una dura catilinaria del critico Riccardo Bertoncelli, che senza mezzi termini bollò il cantautore come “un artista finito, a cui non resta più nulla da dire”.

    Guccini risponde a questa accusa qualche anno dopo, con “L'avvelenata”. Solo a distanza di molti anni verrà riconosciuto il valore artistico di questo disco. A testimonianza di ciò, il testo di “Canzone per Piero” viene inserito tra le fonti della prima prova dell'esame di Stato del 2004.

    Il tema del saggio della prova d’esame era l'amicizia. Francesco Guccini, a tal proposito, si disse fiero di figurare in mezzo a Dante e Raffaello. Parlando del testo della canzone, si evidenzia come la sua fonte (conscia o inconscia) sia il dialogo di Plotino e Porfirio, contenuto nelle Operette morali di Giacomo Leopardi. Nel resto del disco lasciano il segno vocaboli leopardiani e temi della quotidianità.

    Il successo commerciale di Guccini arriva nel 1976. È l'anno di “Via Paolo Fabbri 43”, album che sarebbe poi risultato tra i cinque più venduti dell'anno. La voce si fa più matura, decisa e sicura di sé e la struttura musicale dell'LP più complessa dei precedenti.

    Come risposta alle critiche indirizzate a “Stanze di vita quotidiana”, soprattutto a quelle di Bertoncelli (citato nella canzone), scrive come detto “L'avvelenata”, un brano che evidenzia un Guccini rabbioso e deciso a rispondere "vivacemente" a chi lo aveva aspramente criticato.

    In seguito Guccini mostrerà una certa ritrosia a eseguire questa canzone dal vivo, in parte perché troppo sponsorizzata dal pubblico e in parte perché a suo dire "datata" nei contenuti.

    Altra canzone rappresentativa è quella che da il titolo al disco. “Via Paolo Fabbri 43” è un'astratta descrizione della vita di Guccini nella sua residenza di Bologna, con gli abituali riferimenti ad artisti a lui cari, come Borges e Barthes e una citazione delle "tre eroine della canzone italiana", Alice, Marinella e la “piccola infelice Lilly”, una frecciatina amichevole rivolta a De Gregori, De André e Venditti; questa a detta sua, assieme a “L'avvelenata” e a “Il pensionato”, è una delle canzoni a cui è più legato.

    Non mancano nel disco momenti di lirismo: “Canzone quasi d'amore” dalla poetica esistenziale è ritenuta da molti un esempio delle vette raggiungibili dal "Guccini poeta". Il suo tratto da cantastorie sarebbe tornato anche ne “Il pensionato”, ballata che narra di un suo anziano vicino, ma che sarebbe sfociata tra i versi in un excursus sulla triste situazione psicologica di alcuni anziani.

    L'album successivo, pubblicato due anni dopo, è Amerigo (1978), la cui canzone più famosa è certamente Eskimo. Tuttavia, Guccini stesso, intravide il momento più riuscito proprio nel brano che dà il titolo al disco: una ballata dedicata a uno zio emigrante a lui caro.

    Il 6 ottobre 1977 la rivista settimanale Grand Hotel gli dedica una copertina dal titolo: “Il padre che tutti i giovanissimi avrebbero voluto avere”; in realtà l'iniziativa avviene a sua insaputa, come raccontò il vicedirettore del settimanale: “Guccini non sapeva della copertina. L'intervista è stata fatta da un collaboratore che non gli aveva detto che sarebbe finita sul nostro settimanale, ma non penso che per questo Guccini sia andato in bestia”.

    Guccini non fu entusiasta dell'iniziativa, e dichiarò: “Non capisco come gli sia venuto in mente, quel titolo, io scrivo canzoni per un pubblico di trentenni, non capisco come un pubblico di sedicenni appena usciti dal liceo possa trovare delle affinità con le cose che dico”.

    Sempre a questo proposito, si ricorda un episodio curioso: durante un concerto tenuto qualche giorno dopo la pubblicazione dell'articolo, alcuni spettatori delusi iniziarono a schernirlo per essere finito su una rivista femminile, ma Guccini non si scompose e ribatté: «Questo è niente, vedrete quando scriveranno "Liz Taylor grida a Guccini: rendimi il mio figlio segreto"!»

    Nel frattempo, nello stesso anno, si separa dalla moglie Roberta (scrivendo sulla vicenda la canzone Eskimo) e inizia una convivenza con Angela, con cui, nel 1978, ebbe una bambina, Teresa (a cui anni dopo avrebbe dedicato le canzoni “Culodritto”, ed “E un giorno...”).

    Guccini saluta gli anni settanta con “Album concerto”, registrato dal vivo con i Nomadi. La particolarità di questa raccolta è l'interpretazione a due voci con Augusto Daolio e la presenza nel disco di canzoni da lui scritte ma mai incise in precedenza: “Noi”, “Per fare un uomo” e soprattutto “Dio è morto”.

    Il 1979 è anche l'anno della partecipazione di Guccini, il 14 giugno, a “1979 Il concerto - Omaggio a Demetrio Stratos”, per ricordare l'amico deceduto pochi giorni prima. Durante la manifestazione musicale Guccini canta “Per un amico”, che è in realtà “In morte di S.F.” dedicata a Stratos.....


    fonte:francescoguccini.net



    folk_beat




    Noi non ci saremo

    Vedremo soltanto una sfera di fuoco,
    più grande del sole, più vasta del mondo;
    nemmeno un grido risuonerà e solo il silenzio come un sudario si stenderà
    fra il cielo e la terra, per mille secoli almeno,
    ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.
    Poi per un anno la pioggia cadrà giù dal cielo
    e i fiumi correranno la terra di nuovo
    verso gli oceani scorreranno e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
    e in alto nel cielo splenderà l'arcobaleno,
    ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.
    E catene di monti coperte di nevi
    saranno confine a foreste di abeti:
    mai mano d' uomo le toccherà, e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
    e in alto, lontano, ritornerà il sereno,
    ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.
    E il vento d'estate che viene dal mare
    intonerà un canto fra mille rovine,
    fra le macerie delle città, fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà,
    fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo,
    ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.
    E dai boschi e dal mare ritorna la vita,
    e ancora la terra sarà popolata;
    fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni e ancora il mondo percorrerà
    gli spazi di sempre per mille secoli almeno,
    ma noi non ci saremo, noi non ci saremo,
    ma noi non ci saremo...


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Cristiano Ronaldo: 'Ancora 4-5 anni poi stop e vita da re' .

    Il fuoriclasse del Real Madrid: "E' facile essere viziati ma mio figlio mi ha cambiato la vita". Ancora 4-5 anni ad alto livello e poi stop. Cristiano Ronaldo, 30 anni, ha le idee chiare sul suo futuro e su quando arriverà il momento di dire basta: lascerò il calcio fra 4-5 anni e quando lo farò vivrò come un re, con la mia famiglia e i miei amici", confessa alla rivista portoghese 'Caras', in occasione della presentazione del film sulla sua vita 'Ronaldo'. "Non sono la persona più modesta al mondo, lo ammetto, sono sincero, ma comunque resto una persona molto umile", rivela il tre volte Pallone d'Oro ricordando che che "il calcio rappresenta una gran parte della mia vita e per questo dò sempre il 100%" e "i fischi e gli insulti, che fanno parte del mio lavoro, mi danno una carica in piu', so che fanno parte del mio lavoro".

    Oltre al calcio e più del calcio nella vita del fuoriclasse portoghese c'è pero' adesso Cristiano Jr.: "E' facile essere viziati quando ti svegli in una bella camera, in un letto fantastico, fai colazione e hai macchine veloci, ma a mio figlio non dò tutto quello che chiede e penso che i figli debbano vivere le loro vite indipendentemente dai loro padri. Ronaldo fa sapere ad esempio che il figlio di 5 anni gli ha chiesto un iPhone 6 per poter parlare con lui, ma non lo ha accontentato: "Quando vuoi chiamarmi, puoi usare il telefono della nonna", gli ha risposto il papà. "Ho sempre sognato di diventare padre e mio figlio mi ha cambiato la vita, ha cambiato il mio modo di pensare. Lui mi sostiene e ha sempre un sorriso per me", ha aggiunto CR7 ricordando di avere avuto ben altra infanzia. "A 12 anni ho lasciato la mia famiglia per giocare nelle giovanili dello Sporting e quello è stato uno dei momenti peggiori", tanto che, fa sapere, stava per tornare a Madeira ma dalla famiglia ha avuto il sostegno necessario per continuare. Senza contare il fatto che col papà, morto nel 2005 e del quale sapeva la sua dipendenza dall'alcol, Ronaldo confessa di non avere avuto un grande rapporto: "Gli volevo bene, ovviamente, ma non ho mai avuto un dialogo con lui, il piacere di una conversazione". Forse per tutto questo, conclude, "ho una vita molto disciplinata", "con un bicchiere di vino di tanto in tanto", oppure un hamburger e una Coca-Cola.
    (Ansa)




    < Doping in Russia, Federatletica russa ammette alcune accuse.
    Putin ordina inchiesta, 'collaborazione con Wada'. La Federazione di atletica leggera russa ammette alcune delle accuse contestate dalla commissione dell'agenzia mondiale anti doping (Wada). "Noi siamo d'accordo con alcune accuse nei nostri confronti, su altre no e qualcosa non e' piu' attuale perche' e' gia' stato corretto da tempo", ha dichiarato il presidente ad interim Vadim Zelicenok.
    E il leader del Cremlino Vladimir Putin ha ordinato una indagine sulle accuse di doping di stato nell'atletica russa da parte di una commissione della Wada - l'agenzia mondiale anti doping - che potrebbero costarle la sospensione temporanea dalle competizioni internazionali, a partire dalle prossime Olimpiadi di Rio. Nello stesso tempo Putin ha insistito che qualsiasi punizione dovrebbe essere individuale e non collettiva.
    Malagò, "se Russia collabora, non necessario bando" - Escludere gli atleti russi dalle competizioni internazionali? "Ho letto dichiarazioni da parte della Wada e di una parte di rappresentanti del Cio, che questa è un'ipotesi. Ma mi sembra che ci sono anche delle aperture" così il presidente del Coni Giovanni Malagò, secondo il quale "se da parte russa c'è la disponibilità a collaborare potrebbe esserci una soluzione che ne impedisca una così drastica". Sullo scandalo del doping di stato che ha investito il mondo dell'atletica russa, Malagò afferma che "sta emergendo un quadro estremamente allarmante. Detto questo bisogna vedere attentamente le carte". "La Iaaf ha all'ordine del giorno questa difficilissima soluzione che in qualche modo coinvolge anche il mondo dello sport - aggiunge - anche e soprattutto dal punto di vista di politica sportiva. Vediamo le reazioni. Si legge che possono essere coinvolte sia altre federazioni, che altre nazioni. Più che mai si deve ridare massima credibilità a un ambiente, l'atletica leggera, che mi sembra molto compromesso".
    Le reazioni russe a quello che la stampa sportiva nazionale ha battezzato come il "lunedi' nero" spaziano dalla tesi di un oltraggioso complotto a posizioni piu' concilianti. Per Dmitri Peskov, portavoce di Putin, "finche' non saranno fornite le prove, e' difficile accettare le accuse. Esse sono senza fondamento". E se Valentin Balakhniciov, per oltre 20 anni presidente della federatletica russa, ha annunciato l'intenzione di ricorrere al Tribunale sportivo di arbitrato a Losanna per difendere i "miei interessi personali e quelli del Paese", il suo successore, Vadim Zelicionok ha ammesso che il doping e' stato un problema in passato ma ha assicurato che "ora non c'e' corruzione, posso giurare sulla Bibbia". Ed ha evocato un non meglio precisato "elemento di carattere premeditato" nel rapporto Wada, auspicando che la Iaaf "mostri prudenza" e consenta agli atleti russi di partecipare a Rio 2016. Nikita Kamaev, direttore esecutivo dell'agenzia federale russa anti doping (Rusada), che resta operativa, ha garantito che la struttura "rispetta i requisiti della Wada al momento" e rispondera' dettagliatamente alle questioni sollevate dal rapporto, ma ha definito le infiltrazioni degli 007 come frutto di una "immaginazione accesa" e piu' adatta ad un film di spionaggio. Il piu' conciliante di tutti, pero', e' stato il ministro dello sport russo, Vitaly Mutko. Ieri sera aveva diffuso un comunicato nel quale assicurava la disponibilita' a cooperare piu' strettamente con la Wada e il "pieno impegno del Paese e combattere il doping nello sport". Stasera, dopo essersi sentito con i presidenti della Wada e della Iaaf, ha detto di non vedere "ostacoli insormontabili per risolvere la situazione". "Non posso neppure immaginare una Olimpiade senza la Russia", ha sottolineato.
    Ma il Cio avvisa: "vista la politica di tolleranza zero nei confronti del doping, prenderemo tutte le misure e le sanzioni necessarie per quanto riguarda l'eventuale ritiro e riassegnazione delle medaglie, nonché l'esclusione dai futuri Giochi". "I risultati dei test antidoping di Sochi, dove la Russia arrivo' prima, "sono credibili" ma "saranno ritestati", aggiunge il Cio. Lo scandalo doping ha tenuto banco oggi a Francoforte anche alla riunione del consiglio europeo delle federazioni di atletica leggera e di nove membri ed ex membri del consiglio Iaaf: "e' un momento buio e triste per l'atletica", hanno concordato i partecipanti, auspicando riforme della governance della Iaaf e dei sistemi anti doping nazionali, nonché esprimendo all'unanimita' "pieno sostegno" e "piena fiducia" al presidente della Iaaf Sebastian Coe.
    Federatletica russa: "Wada non ha mostrato prove" - L'agenzia antidoping mondiale (Wada) non ha mai contattato la nuova amministrazione della Federazione russa di atletica (Araf) mentre stava indagando sul presunto abuso di sostanze dopanti da parte di atleti russi. Lo ha spiegato alla Tass il presidente ad interim dell'Araf, Vadim Zelicionok. "La Wada non ha mai lavorato con la nuova dirigenza dell'Araf - ha spiegato - e la federazione non ha mai ricevuto alcun documento che provi la sistematica distribuzione di sostanze dopanti nell’atletica nazionale”. "Hanno una motivazione assolutamente politica, come le sanzioni contro la Russia": cosi' Vladimir Uiva, capo dell'Agenzia federale medico-biologica russa, ha commentato le conclusioni del rapporto Wada che ha chiesto alla IAAF di sospendere gli atleti russi dalle gare di atletica. ''Non c'e' alcun motivo di privare i nostri atleti delle medaglie, anche olimpiche, o di squalificarli, e nemmeno gli allenatori'': lo ha detto Vladimir Uiva, capo dell'agenzia federale medico-biologica russa, commentando le conclusioni del rapporto della Wada.
    (Ansa)




    Roma 2024, Diana Bianchedi dg: 'Si vince in squadra'.
    Come in pedana. La mia stoccata vincente sarà fare da collante'. Diana Bianchedi - apprende l'Ansa - e' il nuovo direttore generale di Roma 2024. Prende il posto di Claudia Bugno, che lascia per affrontare una nuova sfida professionale manageriale. La scelta della due volte olimpionica di scherma, fortemente voluta da Luca di Montezemolo e Giovanni Malago', va nella direzione di mettere al centro della candidatura italiana gli atleti di eccellenza azzurri.

    "Io ho avuto la fortuna di vincere le mie medaglie olimpiche in squadra, quindi credo che questa sia la caratteristica vincente di questa candidatura: lavorare tutti insieme, non soltanto il mondo dello sport, per arrivare sul gradino più alto del podio". Così l'ex azzurra vincitrice di due ori olimpici nel fioretto a squadre (a Barcellona '92 e Sydney 2000) commenta il suo nuovo ruolo di dg del comitato promotore che cercherà di portare a Roma i Giochi Olimpici del 2024.

    "La mia stoccata vincente? Sarà quella di riuscire a fare da collante con tutte le persone che lavorano nel comitato promotore, che ci hanno portato oggi fino a qui - aggiunge a margine del convegno 'Donne e Sport nell'Italia del futuro: senza barriere', in programma oggi al Coni -. Le concorrenti sono fortissime ma nello sport gli avversari sono sempre forti, quindi si vince se si riesce a curare il particolare, se non si molla fino alla fine. Ho grande rispetto degli avversari ma noi siamo Roma". "Quando mi è stato chiesto se me la sentivo ho risposto 'me la sento per forza' - rileva l'olimpionica -. Con due presidenti così (Malagò e Montezemolo, ndr) che ci hanno messo la faccia e vanno in giro e portano avanti la nostra candidatura, credo non ci si possa tirare indietro. E' un'opportunità troppo grande anche per i miei figli che vivono a Roma, una cosa bellissima per il loro futuro".
    (Ansa)

    (Gina)



    SAI PERCHE'???




    Sai perchè si dice O.K.?




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    L'espressione "ok" viene usata tutti in giorni e in qualsiasi occasione. Ma ne conosci l'origine?


    Quante volte vi è capitato di scrivere, dire o usare gesti per dire "OK"? Ma cosa significa veramente e, soprattutto, quando è nato questo modo di dire? Le ipotesi sull'origine di questa parola ormai entrata a far parte del nostro linguaggio sono tre. Vediamole insieme!

    Alcuni sostengono che il termine sia entrato nel linguaggio comune dopo la Seconda Guerra Mondiale. I militari americani, infatti, dopo le battaglie facevano un giro di perlustrazione per contare o recuperare i soldati rimasti uccisi. Alla fine scrivevano su una bandiera il numero dei morti seguito dalla lettera K, l'iniziale di "Killed" che in inglese significa "uccisi". Quando, in rari casi nessuno era morto, sventolavano la bandiera con scritto OK". Ossia zero uccisi.

    Secondo altri, il termine "Ok" deriva dalle elezioni presidenziali americane avvenute nel 1840. Uno dei candidati era Martin Van Buren, il presidente già in carica. Per vincere le elezioni, Martin utilizzò varie associazioni e una di queste si chiamava Old Kinderhook Club, O.K. Club. Cosa succedeva? I partecipanti tra di loro usavano l'espressione O.K. per dire che tutto sarebbe andato bene se Martin avesse vinto.

    Terza e ultima ipotesi viene dalla Russia. Secondo i russi, infatti, OK, deriva dall'espressione "Ochen Korosho", che gli scaricatori di porto di Odessa utilizzavano per avvertire che il carico era stato messo a posto senza problemi.
    Conoscete altre origini della parola OK? La utilizzate come espressione o preferite l'italiana "va bene"?


    fonte:http://www.focusjunior.it/


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    BARBIE, THE ICON

    Dal 28 Ottobre 2015 al 13 Marzo 2016



    Il suo vero nome è Barbara Millicent Robert, ma per tutti è solo Barbie. Definirla una bambola sarebbe riduttivo. Barbie è un’icona globale, che in 56 anni di vita è riuscita ad abbattere ogni frontiera linguistica, culturale, sociale, antropologica. Per questo motivo il Museo delle Culture di Milano le dedica una mostra, curata da Massimiliano Capella, dal titolo Barbie. The Icon, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE in collaborazione con Mattel.

    La mostra racconterà l’incredibile vita di questa bambola che si è fatta interprete delle trasformazioni estetiche e culturali della società lungo oltre mezzo secolo di storia, ma - a differenza di altre, o di altri miti della contemporaneità che sono rimasti stritolati dallo scorrere del tempo - ha avuto il privilegio di resistere allo scorrere degli anni e attraversare epoche e terre lontane, rappresentando ben 50 diverse nazionalità, e rafforzando così la sua identità di specchio dell’immaginario globale.

    La mostra è articolata in cinque sezioni. Si comincia con Barbie è la moda, incentrata ai migliori look della storica bambola (a proposito, sapevate che il suo vero nome è Barbara Millicent Robert?), vestita nel corso del tempo da decine di case di moda. Si passa poi a Barbie Family - con tutti i personaggi che ruotano attorno al mondo di Barbie, primo fra tutti il fidanzato Ken - e a Barbie Careers, incentrata sulle mille professioni in cui Barbie si è cimentata. La quarta sezione, Dolls of the World, presenta una gamma di Barbie vestite con costumi tradizionali di tutto il mondo e i modelli prodotti per celebrare momenti importanti della storia contemporanea, come la caduta del muro di Berlino. Si chiude con Regina, diva e celebrity, in cui Barbie veste i panni di donne famose d'ogni epoca, da Cleopatra a Caterina de' Medici. Un percorso pensato per grandi e piccini, alla scoperta di una bambola che ha unito le generazioni, sempre diversa ma sempre fedele a se stessa.

    Barbie è amata dalle ragazze di ogni età è il gioco, il sogno, colei che ci proietta in un mondo nel quale tutto è possibile e nel quale essere chi vogliamo. Barbie è andata sulla luna, è stata ambasciatrice Unicef, hostess Alitalia, cowgirl, principessa, medico…Rispecchia le culture e i paesi del mondo: India, America, Russia, Cina, Europa… Ha saputo negli anni interpretare i cambiamenti e, attraversando le epoche, è rimasta sempre un’icona di stile. Per lei sono stati creati abiti d’alta moda ed ha assunto l’identità di regine, dive, celebrities e personaggi di film famosi.
    Per rivivere in tutto il suo fascino il Mudec ha allestito una mostra a lei dedicata in collaborazione con Mattel.




    FESTE e SAGRE





    “Devi amare quello che fai.
    Ogni dolce ha la sua storia: la persona per cui lo prepari, i sentimenti che provi mentre lo prepari...
    ogni cosa entra nelle mani e mentre impasti pensi con le mani, ami con le mani e crei con le mani.”

    ALESSANDRO D'AVENIA


    LA MARLBOROUGH PIE



    Il Marlborough Pudding è una torta inglese che i coloni hanno portato in America. E' una ricetta per le feste, in particolar modo per il Ringraziamento. Nel New England, era servita allo stesso tempo come il tacchino e le verdure.

    Le mele sono l'ingrediente base per la Marlborough Pie. Uno dei modi più semplici e più antichi di cucinarla è quello di affettare e bollire le mele, con circa mezza tazza di zucchero bianco e marrone, cannella e succo di un limone, per ottenere una salsa, poi messa in bottiglia per almeno un mese riponendola in un luogo freddo. La salsa può durare da ottobre ad aprile. Poi si prepara una base con farina da pane, zucchero, un pizzico di sale, burro a dadini e acqua fredda. La ricetta originale prevede per il ripieno, parti uguali fra uova, salsa di mele e sherry secco. I tradizionalisti asseriscono che una buona torta prende tutta una vita propria quando si utilizza la salsa di mele fatta in casa.
    Non è una torta di mele, né una torta alla crema, ma qualcosa di simile a una torta di mele crema pasticcera.

    Le mele utilizzate erano quelle quasi marce, si pulivano e si recuperava la parte sana per non sprecare nulla. Non si sa come mai questa torta sia scomparsa dalle tavole americane. E 'possibile che con l'avvento del moderno metodo di conservazione di mele fresche e di buona qualità, il frutto divenne così ampiamente disponibili che un dessert fatto di mele appassite diventatò inutile. Un'altra possibile causa fu l'ascesa del movimento della temperanza. "Senza lo sherry nella torta, semplicemente non lo stesso sapore".
    Secondo il libro "Apple Lover Cookbook" di Amy Traverso, la prima ricetta per una torta di mele fatta con crema pasticcera e uova è elencato in un libro inglese 1660 chiamato "La Accomplisht Cook" da uno chef inglese formatosi in Francia di nome Robert May
    L'Hartford Courant rileva che l' uso degli ingredienti come la noce moscata, limone, e sherry, iniziò quando cominciarono ad apparire in Gran Bretagna, a metà del 1600 attraverso il commercio con l'Asia, la Spagna, e paesi del Mediterraneo.
    Non è chiaro il motivo per cui la torta venne chiamata Marlborough, anche se è probabile che il nome derivi da una città in Inghilterra o nel Massachusetts.
    La prima ricetta documentata di "Marlborough Pie" negli Stati Uniti si trova in un libro di cucina, scritto da Amelia Simmons nel 1776.

    (Gabry)





    STRUMENTI MUSICALI!!!




    Colascione


    Colascione


    l Colascione (anche Calascione, ital,. [Kolaʃoːne];. Franz Colachon [kɔlaʃɔ]) è un suono dello strumento. Il Colascione è stato principalmente in Italia meridionale in uso. Il più antico strumento conosciuto ci porta l'anno 1564. Ma il suo predecessore era da tempo precedentemente conosciuto dai paesi islamici.


    Il "Colascione", detto anche a Napoli "tiorba a taccone", risalente al secolo XVII, era uno strumento con un manico lunghissimo (da 1 a 2 metri) e cassa piccola (a forma di pera); veniva usato per la realizzazione del "basso continuo" nei complessi da camera, nei brani di danza e nella musica sacra. Ispirato all’arabo "tanbur" (liuto dal lungo manico), il suo nome deriva dal greco "galischan" (piccola cesta).Aveva da 16 a 24 tasti ed era armato con 2 o 3 corde (chiave di basso: "mi" sotto il rigo con un taglio in testa, "la" primo spazio e "re" terzo rigo; se le corde erano 2, veniva eliminato il "mi" basso).

    Nel XVIII secolo le corde furono portate prima a 5 ed in seguito a 6 (chiave di basso: "re" sotto il rigo con un taglio in gola, "sol" primo rigo, "do" secondo spazio, "fa" quarto rigo, "la" quinto rigo e "re" sopra il rigo con un taglio in gola).


    A Napoli si usava un modello più piccolo di "Colascione" (lungo circa 1 metro), il "Colasciontino" o "Mezzo Colascione", che il popolo partenopeo chiamava "Calascione".

    Il Calascione napoletano (armato di 2 o 3 corde intonate un’ottava sopra a quelle del Colascione) era costruito con molta più cura, rispetto al fratello maggiore, poiché venivano usati legni pregiati e preziosi intarsi d’ebano, madreperla e avorio. A Napoli rappresentava uno strumento prettamente popolare (persino la maschera "Pulcinella" veniva raffigurata con un Calascione tra le braccia), la cui funzione nei gruppi musicali era quella del "basso".

    A partire dalla metà del secolo XVIII, il Colascione e il suo fratellino napoletano, il Calascione, sono caduti man mano in disuso, sia nell’ambito popolare che in quello colto, soppiantati da strumenti più moderni ed efficienti.

    Immobile
    Il liuto ha un box piolo con riccioli laterali e un 42 a 54 cm di lunghezza e da 28 a 34 cm di larghezza corpo, nel complesso è lunga 135-200 cm. Lo strumento dispone di due a sei corde, che a Quinten sintonizzati. La lunga tastiera è 16-24 tasti gut chiusi.

    Marin Mersenne ha dato il numero di stringhe anche con due o tre. Nella seconda metà del 17 ° secolo assimilato la Colascione e come la mandola dotato di cinque o sei corde. Johann Mattheson lo cita nel suo 1713 l'Orchestre recente apertura di occasionale strumento di accompagnamento per la musica da camera.

    Nella prima metà del 18 ° secolo fu espulso dalla Chiesa in Italia e fu presto dimenticato. Nell'ultimo terzo del 18 ° secolo, i fratelli Colla espulsi da Brescia dal Colascione e Colasciontino (Mezzo-Colascione) come strumenti nuovi, non era vero. Oggi la Colascione è raramente, per esempio, nel siciliana Sunaturi .

    Invece di un soffitto in legno sul corpo alcuni strumenti avevano un soffitto pergamena divisa per l'arte orientale.

    Nella letteratura di Colascione spesso calichon confusa, una versione basso di mandora.

    Formazione e sviluppo
    Degno di nota è la grande somiglianza di Colascione con strumenti come la Dutar o il sitar. Tuttavia, vi è una grande deviazione, che è dato dal web sul soffitto. Forse il sitar nel sud Italia è stato sviluppato sotto l'influsso di costruzione Secondo Colascione.

    Il più antico sopravvissuto Colascione ha cavigliere piegato un liuto.



    (Lussy)





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    foto:aquariuscom.it


    Salute e Benessere


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    foto:terme.qviaggi.it


    Terme di Dolomia


    Il benessere alle Terme di Dolomia è un rito a 360°. Cure termali, movimento all'aria aperta, consulenza alimentare e tanti trattamenti di bellezza e relax che uniscono professionalità e fantasia in un ambiente accogliente e curato. Qui ognuno ritrova il proprio ritmo: colori, odori e sapori trasformano questo luogo in un’oasi di assoluto relax, dove scegliere tra una vasta gamma di percorsi remise en forme.

    Alle Terme di Dolomia un connubio unico tra natura e bellezza per rigenerre oltre al fisico anche lo spirito, per fare ritrovare il ritmo naturale e la serenità spesso compromessa dallo stress della vita quotidiana. Un soggiorno alle terme è l’occasione giusta per sperimentare in coppia il piacere di lasciarsi trasportare dall’avvolgente abbraccio dell’acqua facendosi cullare in un universo caldo ed accogliente.


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    foto:janhara.com

    L’acqua termale induce la liberazione di beta endorfine, sostanze responsabili della sensazione di benessere mentre il calore dell’acqua stimola una vasodilatazione generalizzata. Momenti di intenso relax uniti ai vapori dell’acqua termale vi condurranno in una nuova dimensione di ritrovata intimità.

    L’offerta di benessere di coppia è molto varia e propone percorsi di durata diversa, pensati anche per romantici weekend. Insieme si potrà vivere l’esperienza unica del lavaggio profumato di piedi e mani, l’aromaterapia con essenze profumate, l’idromassaggio con getti d’aria calda e fredda per la stimolazione della circolazione, il massaggio lomi lomi con olio caldo alle mandorle…


    Terme-Dolomia-Pozza
    foto:fassa.com

    Lo stabilimento termale Terme Dolomia opera con estrema serietà e professionalità, avvalendosi di un comitato scientifico di fama nazionale e di supporti tecnologici all'avanguardia, che garantisce la qualità dei servizi offerti. L’avviamento ai trattamenti termali è sempre preceduto da una visita medica e può essere integrato da visite specialistiche. Il Centro Terme Dolomia ha studiato accanto alla ricca offerta di trattamenti curativi termali anche una vasta gamma di proposte per il benessere e la bellezza che esaltano le proprietà antistress e curative delle acque.




    Terme-Dolomia_Val-di-Fassa(1)
    foto:.fassa.com

    Le Terme Dolomia sono uno stabilimento termale di nuova concezione non disdegnando le terapie classiche termali.
    Le cure effettuate con l’acqua termale delle terme Dolomia contribuiscono efficacemente al mantenimento ed al recupero di una buona condizione fisica. Hanno un’importante attività di protezione della salute, sia nella fase della prevenzione, si in quello della terapia e della riabilitazione inoltre inducono un aumento delle sostanze antiossidanti.

    L’acqua termale Aloch

    L’acqua termale di Aloch a Pozza di Fassa è nota fin dall’antichità per le sue qualità terapeutiche, costituisce l’unica sorgente solforosa del Trentino. E’ ricca di sali minerali e la sua composizione solfureo-solfato-calcico-magnesiaca-fluorata è inalterata nel tempo. La sorgente sgorga dalle rocce sedimentarie del Bellerophon del Gruppo dei Monzoni con una portata e temperatura sempre costanti.

    Come accedere alle cure termali:


    Si può accedere alle cure private dopo aver effettuato o la visita medica di avviamento termale o la visita specialistica presso lo stabilimento previo appuntamento;
    cure termali convenzionate con il S.S.N.
    Le Terme Dolomia sono convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) per la cura idroponica, per la cura inalatoria e per la cura di fangoterapia.
    Tutti possono fruire di un ciclo convenzionato di cure termali all’anno, qualora in possesso della ricetta rilasciata dal medico di famiglia oppure dal pediatra di base.



    La terapia termale favorisce la rigenerazione funzionale dell’organismo e l’equilibrio metabolico, costituisce un’efficace alternativa all’uso dei farmaci di sintesi sia per il trattamento sia per la prevenzione di numerose malattie: deve essere eseguita sotto il controllo medico essendo classificata l’acqua termale un farmaco e quindi oltre a indicazioni ha anche controindicazioni. La maggior parte delle patologie suscettibili di cura termale appartengono alla classe delle croniche e/o degenerative per le quali non esiste una terapia risolutiva. Grazie alla terapia termale si riscontrano sostanziali miglioramenti della sintomatologia cronica. La terapia termale è importante perché migliora il quadro clinico e rallenta l’evoluzione della patologia stessa. Il nostro Comitato Scientifico consiglia di effettuare almeno per 3 anni consecutivi il ciclo termale in quanto l’entità del miglioramento aumenta progressivamente nel corso degli anni , la continuità garantisce il mantenimento nel tempo dei risultati conseguiti.
    Le modalità di applicazione dell’acqua termale di “Alloch” sono: cura idroponica, cura inalatoria, fangoterapia e la balneoterapia.


    Terme-Dolomia-Tonina
    foto:fassa.com

    Terme-Dolomia-Spa-Tonina
    foto:fassa.com



    fonte:termedolomia.it

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    La ‘merveille du Midi’

    CARCASSONNE


    Carcassonne, in catalano e in occitano Carcassona, è una città francese capoluogo del dipartimento dell'Aude, nella regione della Linguadoca-Rossiglione. Una città che pare uscire da un libro di fiabe, nella sua parte vecchia o 'alta'. Solo quando si arriva al Ponte Vieux si comincia a intuire il fascino sospeso nel tempo emanato da questo luogo: in lontananza, situata in uno sperone roccioso, Carcassone si erge in tutta la sua imponenza come un antico miraggio, con le sue doppie mura, le torri, i bastioni. La Citè ha 4 Porte e 30 torri di tipo gallo-romano classico, tutte rotonde verso l'esterno e quadrate verso l'interno, eccetto una che è rettangolare. Sulle torri potevano essere montate delle 'bertesche', costruzioni lignee con feritoie da cui si potevano seguire le mosse degli assalitori ed eventualmente difendersi lanciando colpi. Vi è anche la Torre dell'Inquisizione. Passati i tempi di gloriosa sentinella di confine, le torri di Carcassonne diventarono terribili prigioni, sprofondate nelle segrete della cittadella. Ladri, briganti, ma non solo, bastava non essere 'in linea' con l'autorità temporale, come i Catari e poi due secoli dopo gli Ugonotti, per conoscere queste terribili carceri. In più torri vi sono i graffiti dei prigionieri, dalle quali spesso non si usciva vivi oppure solo per andare al rogo.
    La città vecchia di Carcassonne, nota come Cité, è racchiusa all’interno di una doppia cerchia di mura. La cinta muraria interna risale al III secolo, ma si possono ancora vedere resti di mura più antiche. Le due mura sono intervallate da un ampio spazio aperto, noto come ‘lice’ (lizza o parapetto); questo accorgimento era utile per tenere lontano dalle mura più interne le macchine d’assedio e per garantire ai difensori un campo di tiro sgombro d’ostacoli. Le Lices erano utilizzate anche per tornei e giostre

    Carcassonne è conosciuta in Francia come la ‘merveille du Midi’, la perla del Mezzo-
    giorno, ed è una città dai mille volti. Tra i tanti è anche 'canzone di gesta': il primo poema epico francese fu quello di Orlando, scritto quando si ergeva lo Chateau Comtal. Il conte Orlando, figlio di Carlo Magno, acquartierò il suo esercito dentro le mura, da poco riprese dai Saraceni. E' canzone dei Trobadour (i Trovatori, menestrelli medievali itineranti), che con sagacia riuscirono a portare fuori da questi luoghi la storia che li ha attraversati. Canzone cortese e di cronaca, quando evoca la guerra crudele perpetrata contro gli Albigesi. Celebra anche la corona di Francia e compone l'elogio della pace difesa dai gigli.

    Il castello Comtal è un castello medievale, difeso da nove torri, all'interno della Cité di Carcassonne. Il Castello può essere denominato come"castello cataro". Quando l'esercito crociato cattolico arrivò nel 1209 in primo luogo attaccò Raimondo Ruggero nel Trencavel castrum a Béziers e poi passarono alla sua roccaforte principale a Carcassonne.

    La Basilica di St Nazaire e St Celse. L'intera costruzione fu certamente completata entro il 1130. I resti del coro romanico che furono scoperti nella cripta di St Nazaire provano che questa prima cattedrale fosse più piccola di quella oggi visibile. Dopo la Crociata e la conquista francese, i nuovi padroni decisero di allargare la chiesa. Demolirono il coro romanico e i transetti, che vennero rimpiazzati da costruzioni gotiche. La chiesa venne considerata la cattedrale di Carcassonne fino al 1803, quando la cattedra vescovile fu trasferita a Saint Michel, nella città bassa. St Nazaire ottenne comunque un premio di consolazione nel 1898, quando venne dichiarata " Basilica di St Nazaire e St Celse".

    ...storia...


    Le prime tracce di insediamento nella regione di Carcassonne, risalgono al 3500 a.C. L’origine del borgo più antica, risale ai Romani, che nel I secolo a. C. fondarono sul sito un centro abitato cui diedero il nome di ‘Colonia Julia Carcaso’. Attorno all'800 a.C., la collina di Carsac divenne un importante luogo di scambi commerciali. Carcassonne divenne strategicamente importante e i Romani fortificarono la cima della collina attorno all'anno 100 a.C. e resero il centro capitale della colonia di Julia Carcaso, in seguito Carcasum. All'inizio del VII secolo, appartenne ai Visigoti che presero il controllo della zona e vi costruirono ulteriori fortificazioni e riuscirono a respingere gli attacchi dei Franchi. I Saraceni presero Carcassonne nel 725, ma Pipino il Breve li scacciò nel 759.
    Nel 1067 Carcassonne divenne, tramite un matrimonio, proprietà di Raimond Roger Trencavel, Visconte di Albi e Nîmes. Nei secoli successivi la famiglia Trencavel si alleò alternativamente con Barcellona o Tolosa. I Trencavel fecero costruire il Castello Comtal e la Basilica di Saint-Nazaire.
    Carcassonne divenne famosa per il suo ruolo nella Crociata albigese, quando la città era una roccaforte dei Catari francesi. Nell'agosto 1209, l'esercito crociato di Simone di Montfort costrinse i cittadini alla resa. Monfort fece uccidere Trencavel e divenne il nuovo Visconte. Ampliò le fortificazioni e Carcassonne divenne una cittadella di frontiera tra la Francia e l' Aragona. Nel 1240 il figlio di Trencavel cercò di riconquistare il vecchio dominio ma senza successo. La città si sottomise al potere del Re di Francia nel 1247 e Luigi IX fondò la parte nuova della città oltre il fiume. Luigi e il suo successore Filippo III costruirono le mura più esterne. Nel 1355, durante la Guerra dei cent'anni, Edoardo il Principe Nero non riuscì a prendere la città, anche se le sue truppe distrussero la Città Bassa.
    Nel 1659, il Trattato dei Pirenei trasferì la provincia di confine del Rossiglione alla Francia, e l'importanza militare di Carcassonne si ridusse. Le fortificazioni vennero abbandonate e la città divenne principalmente un centro economico, incentrato sull'industria tessile.
    Alla fine la cittadella fortificata di Carcassonne cadde in rovina, a tal punto che il governo francese considerò seriamente la sua demolizione. Un decreto in tal senso venne reso ufficiale nel 1849, ma causò un tumulto. Lo storico Jean-Pierre Cros-Mayrevielle e lo scrittore Prosper Mérimée, guidarono una campagna per preservare la fortezza come monumento storico. Nello stesso anno, l'architetto Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc venne incaricato del rinnovamento del luogo.
    Viollet-le-Duc sintetizzo il suo approccio ai lavori di restauro del castello: "Restaurare un edificio, non è solo mantenerlo, ripararlo, o ricostruirlo, è riportarlo ad una condizione completa che potrebbe non essere mai esistita".
    Il pensiero del francese Le-Duc in materia di restauro era all'opposto di quello dell'inglese John Ruskin che negli stessi anni teorizzava un modello romantico di restauro conservativo che alterasse il meno possibile i monumenti e che doveva mostrare, e non nascondere, i segni del tempo. L'architetto francese si attenne rigorosamente ai suoi principi in occasione dei restauri del castello e l'edificio divenne così l'emblema stesso del restauro stilistico e fonte di accese critiche da parte degli architetti e restauratori favorevoli all'approccio conservativo, che lo accusavano di aver inventato di sana pianta parti del castello.
    La fortezza venne aggiunta alla lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1997.

    ...miti e leggende...


    Davanti al ponte levatoio che supera il fossato della Cité medievale, un busto di donna sbarra il passo. Sulla sua base una scritta: "Sum Carcas", "Io sono Carcas". Vuole la leggenda che, al tempo in cui la città si trovava nelle mani dei saraceni, l'imperatore Carlo Magno l'avesse fatta assediare per conquistarla, ed avesse ordito l'assassinio di re Balaad (o Balaak), che allora regnava sulla città. La sua vedova Dama Carcas, dovette ingegnarsi per fronteggiare l'assedio, decise di prendere lei stessa le redini dell'esercito e di proseguire la battaglia contro Carlo Magno: per cinque lunghi anni, le battaglie si susseguirono sotto le mura cittadine, decimando a poco a poco le truppe saracene, ma Dama Carcas inventò mille stratagemmi per far credere al condottiero avversario che la città traboccasse ancora di soldati e di ricchezze. Dispose sugli spalti dei pupazzi di paglia vestiti e armati come i suoi soldati morti. Si mostrò al nemico con berretti di colori diversi per far credere che gli assediati fossero ancora numerosi e tutti in ottima forma.
    Alla fine, quando ormai i viveri erano quasi esauriti, Dama Carcas ebbe l'idea di far ingurgitare ad un maiale quel poco di grano che ancora era rimasto nelle riserve cittadine, e di gettare la povera bestia dalle mura, in mezzo all'esercito nemico. Il trucco ebbe successo, ed i soldati dell'Imperatore, credendo che la città avesse ancora abbastanza opulenza da sprecare cibo persino per i maiali, levarono l'assedio e si ritirarono. Nel riconoscere la fine della guerra, Dama Carcas esultò talmente da far suonare le trombe della città. E la leggenda narra che i soldati di Carlo Magno, udendo il frastuono, si voltarono e gridarono: "Carcas sonne!" ("Carcas suona!"), battezzando così definitivamente la città.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    Il primo infuso è per il gusto.
    Il secondo infuso è per il piacere.
    Il terzo infuso è per l’occhio.
    Il quarto infuso è per il rilassamento.
    (Proverbio Cinese)


    IL TEA COREANO


    ll coreano e fermentato tè Don affonda le radici nella diffusione del buddismo dalla Cina. Il nome Don deriva dalla parola coreana che indica la forma di una moneta di ottone, tonda e piatta con un foro nel mezzo.
    Il tè coreano è raro, quasi sconosciuto. Negli ultimi anni nel mondo si è diffuso un nuovo interesse per il tè. La gente in Europa o in Nord America ha scoperto i benefici che il tè offre per la salute e ha sviluppato un gusto per i tè bianchi o verdi, per gli oolong, e per i tè Pu-erh. Negozi specializzati nel tè a Parigi, Londra o New York spesso hanno centinaia di tipi di tè, provenienti da molti paesi. Eppure il tè coreano manca quasi completamente dai loro elenchi. Sul tè sono stati pubblicati molti libri, spesso con belle illustrazioni. Ma, abbastanza di frequente, non vi si fa menzione della Corea, perfino in un libro intitolato “Tea in the East” (Tè in Oriente). Un altro libro chiamato “La vera storia del tè” non fa parola del tè coreano fin quasi verso la fine e poi ne accenna brevemente.
    È molto importante che le autorità coreane incoraggino la piantagione di campi di tè. Per far crescere una pianta di tè ci vogliono vari anni, i campi producono germogli utilizzabili per un breve periodo, e le piante hanno bisogno di sarchiatura, potatura e di cure costanti.
    Il tè coltivato in Corea è il tè verde, molto diverso da quello che si produce in India. La principale differenza fra il tè verde e quello indiano è che le foglie del tè verde non si ossidano. Un’altra differenza molto importante è la temperatura dell’acqua con la quale si prepara il tè. Mentre per il tè indiano l’acqua deve essere praticamente sul punto di bollire, per il tè verde la temperatura dell’acqua deve essere molto inferiore, attorno ai 70 gradi. Per alcune qualità di tè verde deve essere ancora inferiore, addirittura attorno ai 30 gradi. Si prepara il tè con foglie piccolissime, appena spuntate, asciugate un giorno o due prima su un fuoco di legna. L’acqua per la preparazione del tè è presa da una fonte che sgorgano. Questo tè è usato in particolare per le sue capacità curative in quanto considerato efficace nel favorire la disintossicazione, migliorare la vista e abbassare la febbre.

    In Corea l'usanza di bere il tè sembra essere stata introdotta tra il VI e VII secolo d.C. grazie ai dei monaci buddisti di ritorno dalla Cina. Negli antichi testi storici Samguk-yusa e Samguk-sagi si narra che la regina Sŏndŏk di Silla beveva tè e che il re Munmu nel 661 ordinò che il tè fosse usato durante le offerte cerimoniali. Il re Sinmun consigliava l'uso del tè per purificare la mente, mentre il re Heundok avrebbe ottenuto semi di tè dalla Cina Tang nell'828, e questi potrebbero non essere stati i primi semi di tè arrivati in Corea. Durante il periodo Koryŏ, dal X al XIII secolo, il tè fu argomento di alcune delle poesie più antiche pervenute fino a noi.
    La cultura del tè si identificava profondamente con il buddismo, tanto che, quando la dinastia Yi decise di sostituire il buddismo con il confucianesimo nel XIV secolo, non solo vennero distrutti la maggior parte dei templi, ma fu anche proibito bere il tè. Per secoli vi furono pochi segni della cultura del tè, fino a che il grande studioso Tasan.
    Nei primi anni del XIX secolo un giovane monaco buddista, Ch’o Ŭi, gli fece visita e per vari mesi bevvero il tè assieme. Ch'o Ŭi fu poi il primo dei grandi restauratori della cerimonia del tè in Corea: costruì in seguito un suo rifugio chiamato Ilchi-am sopra il tempio, ora noto come Taehung-sa presso Haenam, nel sud della Corea, dove visse per molti anni coltivando la “via del tè”. Alla morte di Tasan, Ch'o Ui compose il Tongdasong, un grande poema a celebrazione del tè.
    Nonostante l'esempio di Ch'o Ŭi la “via del tè” restò quasi sconosciuta in Corea. Solo di recente, fu ripresa grazie agli sforzi di un altro monaco, il venerabile Hyo Dang, Ch'oi Pom-sul, che fondò varie scuole e un'università dopo il 1945.

    ..la cerimonia..


    L'acqua usata per il tè deve essere “pura acqua di fonte”. Tradizionalmente l'acqua deve essere fatta bollire in una cuccuma su un fuoco di carbone acceso in un piccolo braciere nella stanza. Vi sono molte poesie che parlano del borbottio dell'acqua mentre si avvicina alla temperatura giusta, quando

    “emette un suono come il vento
    che mormora fra i bambù o fra i pini”.


    Una persona presiede alla cerimonia, preparandolo e servendolo. Una prima quantità di acqua calda viene versata nella ciotola più grande e poi versata nella teiera vuota; serve per scaldare la teiera, viene poi versata nelle tazze per scaldarle. Una seconda quantità d'acqua viene lasciata raffreddare un po' mentre si mette nella teiera un cucchiaio di tè.
    Quando l'acqua si è raffreddata a sufficienza, viene versata nella teiera. L'acqua che si era versata nelle tazze per scaldarle viene gettata via. Il tè viene lasciato nella teiera da due a tre minuti. Il tè viene poi versato direttamente nelle tazze, un poco alla volta, avanti e indietro, in modo da diffondere equamente il tè più forte che emerge dal fondo della teiera. Nella teiera non deve restare acqua perché altrimenti prenderebbe un gusto amaro.
    Il tè coreano viene di solito bevuto tenendo la coppa in entrambe le mani. Il primo passo è quello di osservare il colore del tè, il secondo quello di inalarne la fragranza, il terzo di assaggiarlo con la lingua, il quarto quello di seguirne il gusto in gola e infine rimane in bocca un retrogusto da apprezzare.
    L'acqua del secondo giro può essere un poco più calda di quella del primo, dato che le foglie sono ammorbidite, l'acqua vi deve rimanere solo per un breve momento. Il tè viene poi versato nella ciotola grande, che viene poi passata in giro per permettere a ciascuno di servirsi da sé. Si dice che il tè verde raggiunga il massimo del suo gusto dopo averlo servito per tre volte, ma un tè molto pregiato può sopportare bene anche quattro o cinque giri.
    (tratto da “A Brief History of Tea”, uno studio molto completo pubblicato in Internet da Brother Anthony)

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    NOVEMBRE

    NOVEMBRE

    Gemmea l'aria, il sole così chiaro
    che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
    e del prunalbo l'odorino amaro
    senti nel cuore...

    Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
    di nere trame segnano il sereno,
    e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
    sembra il terreno.

    Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
    odi lontano, da giardini ed orti,
    di foglie un cader fragile. E' l'estate
    fredda, dei morti..


    (GIOVANNI PASCOLI)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di © Leszek Paradowski

    “Noi veniamo rapiti dalla bellezza di un fiore
    o dal silenzio di un bosco,
    e non ci rendiamo conto che dietro quel fiore e quel bosco
    c'è sempre una lotta per la vita.”

    GIACOMO LEOPARDI

  3. .






    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 045 (02 Novembre – 08 Novembre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    < Lunedì, 2 Novembre 2015
    COMMEMORAZ. DEFUNTI

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 45
    Giorni dall'inizio dell'anno: 306/59
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 06:44 e tramonta alle 17:03 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 07:05 e tramonta alle 17:08 (ora solare)
    Luna: 12.19 (tram.) 22.45 (lev.)
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Negli ordini pari, i pareri son dispari
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Il valore genera l'invidia nelle menti meschine e l'emulazione nelle anime grandi.
    (Henry Fielding)









    RIFLESSIONI



    ... UN PENSIERO GENTILE …
    ... Un pensiero gentile in questo tempo così pazzo. Un pensiero gentile in questo novembre che inizia e porta con se cambiamenti, nei colori della natura, in quelli degli abiti degli esseri umani, negli umori e nelle cose che ci circondano. Un pensiero gentile per chi ci è vicino, per chi condivide con noi, vicino o lontano le nostre gioie, angosce e vivere di tutti i giorni. Un pensiero gentile a chi non c’è più a chi ci ha lasciato da soli in questo mondo, in questo tempo; facendo si che lo scorrere degli eventi ci facesse crescere più forti di prima. Un pensiero gentile a chi non risponde al telefono, a chi vorremmo avere vicino; a chi ci sembra ostile ed invece è solo altrettanto solo e spaventato quanto noi. Un pensiero gentile a chi vive nella guerra, nella povertà, nella solitudine e continua a sorridere alla vita pensando che essa è un dono che va rispettato ogni attimo, ogni respiro. Un pensiero gentile a chi leggendo questa riflessione non la comprenderà, oppure cercherà di leggere tra le righe cercando di caprire e scorgere in esse verità o persone nascoste. Questo mio pensiero lo sto scrivendo senza filtro, senza pensare o leggere ciò che sto scrivendo. Un pensiero gentile è la unica soluzione, la sola via per la felicità, per una vita bella ricca di valori e di persone capaci di avere e dare un pensiero gentile senza chiedersi perché o a chi … Buon Ottobre amici miei … (Claudio)






    Pensiero ubriaco
    Un pensiero tremulo
    vacilla come ubriaco
    perso nel nulla che lo circonda,
    nel silenzio che lo culla.
    Si perde nel vento della sera
    via la luce…via il respiro,
    scivola amareggiato nel cuore
    stretto in una morsa.
    Si chiudono gli occhi
    rapiti dal sogno che sfugge
    nel silenzio sussurrato della notte
    rinnovano emozioni incise nell’anima.
    (Ela Gentile)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    L'acquazzone

    E venne, dopo il vento,
    d'impeto, come l'onda
    che scagliasi sul mare.
    Disperse in un momento
    glia agricoltori ai campi,
    scrosciò per ogni gronda
    ed allagò le strade.
    Poi, senza tuoni o lampi,
    quasi senza sussurro,
    finnì con grosse, rade
    gocce. Quando nel cielo
    dal già chiaro orizzonte,
    s'alzò l'arcobaleno
    candide come un velo
    di sposa, navigavano
    le nubi in mezzo a un mare
    divinamente azzurro.
    (V. Bosari)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Lo specchio magico e dell’amore

    C’era una volta un antico specchio magico che si trovava in un grande castello dove arrivò, un giorno, una principessa che voleva uno sposo.
    Lo specchio era fatto apposta per trovare gli sposi: era diviso in due parti, da un lato la persona si metteva davanti ed era riflessa, dall’altro lo specchio avrebbe dato l’immagine della persona giusta da sposare.
    La principessa aveva già in mente qualcuno, un re che conosceva e che pensava fosse la persona giusta. Per sapere se fosse lui, lo sposo, si mise davanti allo specchio.
    Lo specchio era antico e non era utilizzato spesso, così ci sarebbe voluto molto a fare apparire l’immagine dell’uomo. Annoiata dall’attesa, la principessa andò via, per tornare dopo.
    Così, lasciato incustodito lo specchio mentre caricava l’immagine, una strega, che aveva visto entrare la principessa nel castello e che l’aveva seguita di nascosto, disegnò una X nella parte dello specchio che stava elaborando l’immagine in modo che la principessa non potesse sposare l’uomo che amava.
    Quando la principessa arrivò davanti allo specchio, vide la X.
    “Non c’è dunque nessuno per me!” esclamò la principessa che, delusa, si sdraiò sul letto lì vicino e svenne.
    Al risveglio si mise a piangere per la delusione, e pianse, pianse per 7 o 10 giorni.
    Poi le venne in mente dei passi che aveva sentito dietro di se quando era entrata, così si rese conto di ciò che era accaduto:
    “E’ la strega. E’ la strega! E’ stata lei a mettere la X sullo specchio!”
    La principessa si arrabbiò tanto, poi strappò la X dallo specchio, ci si mise davanti e attese pazientemente che lo specchio completasse il caricamento dell’immagine.
    Vide così che il suo principe era quello atteso.
    “Devo sposare lui. Lo sapevo esclamò la principessa.” Uscendo dal castello e andando a cercare il re che già conosceva.
    La strega assistette alla scena e, una volta uscita la principessa, si precipitò a maledire lo specchio.
    “Me la pagherai, che tu sia maledetto per sempre, gli disse!”
    Ma lo specchio fece ciò che tutti gli specchi fanno, anche quelli che non sono magici, riflesse l’immagine della strega che quindi fece il maleficio a se stessa e perse tutti i suoi poteri per sempre!

    E vissero così tutti felici e contenti.
    Tranne la strega.

    (Alberto B.)



    ATTUALITA’


    Il baby panda di Washington Bei Bei pesa 4,3 chili.

    Nuovo scatto e aggiornamento sulla pagina Facebook. Sta bene e prende peso - ormai è a quota 4,3 chili - il piccolo Bei Bei, il cucciolo di panda dello Smithsonian National Zoo di Washington la cui nascita, a fine agosto, fu seguita online in diretta streaming da migliaia di persone in tutto il mondo. La madre, Mei Xiang, aveva avuto due cuccioli, ma uno morì pochi giorni dopo il parto.

    La crescita del piccolo Bei Bei promette bene, spiegano i responsabili della struttura in una nota, e a breve il cucciolo potrà anche essere svezzato. L'animale sembra singhiozzare più del normale, ma per ora i veterinari non sono preoccupati: probabilmente, spiegano, il panda prende il latte dalla madre con un tale entusiasmo da incorporare anche molta aria. Bei Bei continua nei suoi piccoli tentativi di usare le zampe, strisciando nella sua tana ed entro fine novembre dovrebbe essere in grado di muovere i primi passi.

    L'area dei panda dello zoo è chiusa al pubblico dal 20 agosto proprio per garantire la massima tranquillità possibile a madre e piccolo. I progressi di Bei Bei possono però essere seguiti via webcam in ogni momento.
    (Ansa)





    Rosetta, gran finale nel 2016 con tuffo sulla cometa.

    Si programma un atterraggio dolce. Sta per compiere un anno la storica discesa della missione Rosetta sulla cometa 67/P e si comincia a programmare il gran finale, cioè la manovra con cui la sonda si tufferà sulla cometa, dove si trova già il lander Philae. Più dolce sarà l'impatto, più gli strumenti di Rosetta saranno in grado di raccogliere dati straordinari.

    Previsto nel settembre 2016, sarà un momento emozionante per i ricercatori. ''Ci saranno molte lacrime'' rileva Matt Taylor, responsabile scientifico della missione dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa). Si pensa di far avvicinare la sonda alla cometa lentamente, con un volo a spirale per poi cominciare delle orbite sempre più ravvicinate che porteranno la sonda a cadere sulla cometa. Progettata per funzionare in orbita, Rosetta quando sarà sulla cometa non riuscirà più a orientare l'antenna per comunicare con la Terra e neanche i pannelli solari verso il Sole. ''Una volta toccata la cometa - dice Sylvain Lodiot, responsabile delle operazioni - il 'gioco sarà finito'''.

    Lanciata nel 2004, Rosetta ha raggiunto la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko 10 anni dopo e nel novembre 2014 ha liberato il lander Philae che è atterrato sulla sua superficie. Nato dalla collaborazione tra le agenzie spaziali di Germania (Dlr), Italia (Asi) e Francia (Cnes), il lander è stato il primo veicolo a posarsi sul suolo di una cometa, atterrando però in un luogo diverso da quello previsto e in una zona poco illuminata.

    Così è entrato in ibernazione dopo pochi giorni dall'atterraggio, per riprendere i contatti con la sonda da giugno a luglio scorsi. Al contrario, Rosetta è stata sempre in attività ma il suo lavoro non potrà essere 'a tempo indeterminato'. I finanziamenti finiranno nel settembre 2016 e da quel momento la cometa sarà diretta verso le regioni esterne del Sistema Solare, dove la sonda riceverà troppo poco luce per funzionare.

    ''Si pensava di ibernare la sonda mentre la cometa si allontanava dal Sole per poi 'risvegliarla' quando si sarebbe riavvicinata tra 4 o 5 anni'', rileva il direttore di volo di Rosetta, Andrea Accomazzo. ''Ma – aggiunge - il freddo dello spazio profondo potrebbe danneggiare la sonda''. L'impatto sulla cometa e il 'ricongiungimento' con Philae così è diventato il finale più probabile.
    (Ansa)





    Iscrizioni a scuola solo per chi e' vaccinato Serve una legge.

    Piano vaccinale approvato dalla conferenza Regioni. Obbligo di vaccinazione per le iscrizioni a scuola, e sanzioni, con la collaborazione degli ordini professionali, per i medici che non dovessero seguire le indicazioni. Sono tra i punti qualificanti del piano nazionale Vaccini del ministero della salute, approvato stamane dai presidenti di regioni, ma non dalla conferenza Stato-Regioni, dopo che il ministero dell'Economia ne ha chiesto un rinvio per approfondire ''alcuni aspetti tecnici'', legati all'impatto finanziario del provvedimento. Un rinvio del parere finale legato quindi alla copertura economica, come ha spiegato il sottosegretario all'Economia Pier paolo Baretta: ''la richiesta di rinvio sul provvedimento sui vaccini è motivata da ragioni tecniche. Il testo è complesso e il tempo per analizzarlo è stato scarso. Ne parleremo col Ministero della Salute per condividere la relazione tecnica e pensiamo di concludere positivamente entro la prossima conferenza straordinaria''. Dello stesso tenore il coordinatore degli assessori al Bilancio, Garavaglia: ''l'intesa verrà prevedibilmente trovata nel corso della prossima Stato-Regioni, ma in ogni caso bisogna dare al governo il tempo necessario per fare gli approfondimenti circa l'impatto finanziario sul piano dei vaccini''. Naturalmente l' obbligatorietà delle vaccinazioni per potersi iscrivere a scuola, dovrà essere regolata da un ''aggiornamento'' della normativa. ''Tale percorso - si legge nel testo del piano vaccini - sarà approfondito e dal nuovo piano potrà essere generata una normazione aggiornata, garantendo, peraltro, la protezione degli individui e delle comunità, con misure correlate, come, ad esempio, l'obbligo di certificazione dell'avvenuta effettuazione delle vaccinazioni previste dal calendario per l'ingresso scolastico''. E sul punto il capogruppo Pd in commissione affari sociali della Camera, Donata Lenzi, ritiene piu' praticabile l'ipotesi di limitare l'obbligo di vaccinazione solo per asili nido e scuole materne. Per introdurre queste misure, si legge ancora nel piano vaccini, sarà necessario anche un controllo continuo ''delle possibili violazioni del supporto alla pratica vaccinale e dell'offerta attiva delle vaccinazioni da parte dei medici e del personale sanitario dipendente e convenzionato con il servizio sanitario nazionale. Saranno concertati percorsi di audit e revisioni tra pari, con la collaborazione degli ordini professionali e delle associazioni professionali e sindacali che possano portare anche all'adozione di sanzioni disciplinari o contrattuali se se ne ravvisa l'opportunità''.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Tutto può accadere a Broadway




    locandina


    Un film di Peter Bogdanovich. Con Owen Wilson, Imogen Poots, Kathryn Hahn, Will Forte, Rhys Ifans.


    Bogdanovich regala un'ora e mezza di puro divertimento, "svitato" e cinefilo.
    Marianna Cappi


    Isabella "Izzy" Patterson, in arte Glo, è una ragazza di Brooklyn che coltiva il sogno di recitare e nel frattempo arrotonda lavorando per un'agenzia di ragazze squillo. Durante un appuntamento in una suite d'albergo, s'imbatte in Arnold Albertson, regista affermato, disposto ad offrirle trentamila euro perché abbandoni quel mestiere e realizzi se stessa. Poco dopo, senza che né Izzy né il suo benefattore potessero prevederlo, eccola al suo primo provino, a concorrere per la parte di una squillo nella nuova pièce teatrale di Albertson stesso, fianco a fianco con sua moglie, l'attrice Delta Simmons, e il di lei storico partner sulla scena (e pretendente nella vita) Seth Gilbert. Se a questo punto si aggiungono un sensibile commediografo, un vecchio giudice arrapato, una psicoterapeuta ubriaca, una sostituta terapeuta che non conosce il tatto né la privacy e un detective privato che si nasconde dietro i baffi finti, il quadro è solo abbozzato, perché sono i garbugli, ovviamente, a salare la farsa.
    Risale a più di un decennio fa il progetto di questa screwball comedy originariamente intitolata "Squirrels to the Nuts" (da una battuta di "Fra le tue braccia" di Lubitsch) e scritta da Bogdanovich con Louise Stratten. La morte improvvisa di John Ritter, per la quale era stata pensata, l'ha messa in stand-by fino a quando due tizi che rispondono ai nomi di Wes Anderson e Noah Baumbach non hanno deciso di farle da produttori, per il tramite del comune amico Owen Wilson. È anche a loro, dunque, che dobbiamo essere grati per questi novanta minuti di spassosa evasione, oltre che ad un cast brillantemente assortito, che dimostra di conoscere i tempi comici particolari di questo genere di commedia tanto quanto il necessario repertorio facciale.
    Peter Bogdanovich, maestro indiscusso e cinefilo eccellente, cammina in solitaria da quasi cinquant'anni, infilando salite e discese sul sentiero fisso del piacere di fare cinema e di ricordarne l'età dell'oro. Ma attenzione. "Memory is not a videocamera", fa dire alla sua protagonista in questo film: il ricordo non è una replica scientifica e irregimentata, nel ricordo convivono la libertà, l'errore, la distanza che tutto abbellisce e perdona. Esattamente come piace a Isabella, che ama sostituire il termine "escort" con "musa", credere (ancora) che andare a teatro voglia dire farsi sorprendere, e che il finale non sia un buon finale se non lo si spruzza con un po' di rosa.
    Uso da sempre a "ripresentare" il rétro (nel senso di riportarlo al presente più che di ringiovanirlo), Bogdanovich sembra qui recuperare soprattutto da un passato abbastanza recente (ma a sua volta carico di memoria cinematografica) qual è quello del miglior Woody Allen, riprendendone l'attore, i personaggi, la struttura del racconto a flashbacks, il gioco dell'arte che imita la vita che imita l'arte...
    Imogen Poots, novella dea dell'amore, e Jennifer Aniston, meravigliosamente "svitata", conducono una corsa che, specie nella prima parte, è divertimento puro e culmina nell'unità di luogo e di tempo della scena del ristorante. Nel seguito, il gomitolo si allenta, ma il sorriso non si spegne.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    Gli essere umani non hanno né la capacità uditiva
    né quella psicologica per sostenere
    il maestoso potere della vera voce di Dio.
    Sentendola la tua mente sprofonderebbe
    e il tuo cuore esploderebbe nel petto.
    Ci abbiamo rimesso cinque Adami prima di capirlo.
    (Metatron)

    DOGMA


    Paese di produzione Stati Uniti d'America
    Anno 1999
    Durata 130 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere commedia, avventura, fantastico
    Regia Kevin Smith
    Soggetto Kevin Smith
    Sceneggiatura Kevin Smith
    Effetti speciali Mark Alfrey
    Musiche Alanis Morissette, Howard Shore
    Scenografia Diana Stoughton

    Interpreti e personaggi

    Ben Affleck: Bartleby
    Matt Damon: Loki
    Linda Fiorentino: Bethany Sloane
    Jason Mewes: Jay
    Chris Rock: Rufus
    Alan Rickman: Metatron
    Jason Lee: Azrael
    Salma Hayek: Serendipity
    Kevin Smith: Zittino Bob
    Janeane Garofalo: Liz
    George Carlin: cardinale Ignatius Glick
    Alanis Morissette: Dio



    Incipit - Avvertenza ai titoli di testa

    Benché dopo dieci minuti diventi evidente, View Askew dichiara che questo film è, dall'inizio alla fine, una commedia surreale che non va presa sul serio. Insistere sul fatto che quanto segue sia incendiario o provocatorio significa fraintendere le nostre intenzioni ed emettere un giudizio inopportuno; emettere giudizi spetta solo e unicamente a Dio (questo vale anche per i critici cinematografici... scherziamo). Quindi, per favore, prima che pensiate che questa sciocchezza di film possa nuocere a qualcuno, ricordare: anche Dio ha un senso dell'umorismo... Prendete l'Ornitorinco. Grazie e buona visione.
    P.S. Porgiamo le nostre sincere scuse a tutti gli amanti dell'Ornitorinco che si sono offesi per questo sconveniente commento. Noi di View Askew rispettiamo il nobile Ornitorinco e non è nostra intenzione mancare in qualche modo di rispetto a queste stupide creature. E non si offendano gli estimatori dell'Ornitorinco, scherzavamo. Non è affatto stupido"

    TRAMA


    Due angeli ribelli cacciati dal paradiso sono costretti a trascorre la loro esistenza in un particolare inferno: lo stato americano del Wisconsin. Il loro maggior desiderio è quello di tornare a casa, in paradiso. Per fare ciò sono disposti a tutto. Anche a sacrificare l'esistenza stessa del mondo. Trovata una piccola scappatoia nel dogma dell'infallibilità divina essi vi si infilano, ben consapevoli delle gravi e luttuose conseguenze che questo gesto comporta. Nel momento stesso in cui l'infallibilità divina viene ad essere sconfessata per il mondo non vi è più scampo...

    ...recensione...



    Il Vangelo secondo Kevin Smith.
    Angeli, diavoli, profeti, muse, il 13º apostolo, e Dio in persona, costellano l'ennesima opera buffa di Kevin Smith, uno dei più originali registi americani degli ultimi anni. Questo e tanto altro in "Dogma", realizzato nel 1999.
    Il talentuoso Kevin conferma tutte le sue doti di bizzarro affabulatore, farcendo il suo film di miriadi di improbabili personaggi che discutono con estrema seriosità - e non è una frase fatta - sul sesso degli angeli. Ci avesse provato qualsiasi altro cineasta a realizzare un film come questo, pregno di barbose citazione bibliche, saremmo usciti dalla sala con un vago senso di nausea. Ma l'autore di "Clerks" lo fa con estrema leggiadria e noncuranza, con una tale leggera indifferenza, che è una piacevole sorpresa scoprire che Dio è femmina, che è un tipo solitario ma spiritoso e, soprattutto, che ha le fattezze di Alanis Morrissette. Così come ci si sorprende ad apprendere che gli angeli hanno la faccia stupidamente divertita di Matt Demon e Ben Affleck, che Linda Fiorentino è l'ultima discendente di Gesù Cristo e che Salma Hayek è una splendida e affascinante Musa che ha deciso di mettersi in proprio invece che favorire le ispirazioni artistiche altrui.
    Ottimo autore, discreto direttore, Smith si concede anche qualche preziosismo, come ad esempio le lunghe carrellate con una teoria di ridicoli personaggi sullo sfondo. Tutto ciò per raccontare una trama che riassumere è una prova ardua. Perché è difficile compendiare una storia dove la premessa è costituita da due angeli i quali, scacciati dal cielo perché stufi di sterminare torme di peccatori, dopo millenni, decidono di tornare in Paradiso attraversando la porta di una chiesa del New Jersey che un cardinale rampante della East Coast ha dichiarato avere le stesse proprietà salvifiche di quelle delle basiliche romane. Quindi ci rinunciamo.
    In definiva, "Dogma" è un film con tanti personaggi e tanti attori, ma, nonostante i nomi altisonanti, quelli che ci piacciono di più sono gli eroi dell'ormai saga di Kevin Smith. Ci riferiamo, naturalmente, agli ineffabili Jay (Jason Mewes) e Bob "Zittino" (come noto, lo stesso Kevin Smith).
    Tutto sommato, in un film che comunque risulta un pò dispersivo e disorientante, è confortante e tranquillizzante avere due punti fermi come loro. Logorroico e inconcludente Jey, silenzioso e concreto Bob, due certezze in questo mondo ricco di dubbi e insicurezze!! (Daniele Sesti, http://filmup.leonardo.it/)


    Esistono film che, una volta usciti, fanno giustamente discutere e, meno giustamente, vengono condannati dalla morale comune o da quella cristiana a prescindere, e alla fine censurati o comunque vietati. Dopo averlo visto per ben due volte, mi chiedo cosa possa aver spinto, all'epoca, l'opinione pubblica a demolire ed additare come sovversivo o blasfemo un film come Dogma (1999) di Kevin Smith, che è poco più di un simpatico e fumettistico divertissement. - [..]Aggiungeteci demoni fatti letteralmente di merda, una discendenza di Gesù Cristo, cartoni animati assunti a nuovi vitelli d'oro, angeli ubriachi e fatti di marijuana, un Dio donna, un apostolo nero, un Cristo Compagnone simbolo del movimento Cattolicesimo Wow! e una musa spogliarellista, insieme a mille altre cose altrettanto "blasfeme" e vi sarete fatti un'idea del perché questo film non possa essere additato come peccaminoso, rivoluzionario o pericoloso per la Chiesa. Sono invenzioni volutamente estreme e goliardiche, nate dalla mente di un regista cresciuto leggendo fumetti, fumetti e ancora fumetti.

    Assolutamente nulla di quello che viene mostrato sullo schermo viene preso sul serio da Kevin Smith, che comincia il film con un'avvertenza in tal senso. Nessuna intenzione di offendere i credenti perché in fondo "Dio ha il senso dell'umorismo. Ha creato un animale stupido come l'Ornitorinco. E non si offendano gli estimatori dell'Ornitorinco, scherzavamo. Non è affatto stupido". Insomma, il furbone immaginava già come avrebbero reagito bigotti e puritani. E ci ha marciato sopra, infischiandosene, a ragione. [...] Tornando poi al messaggio "blasfemo", in realtà gratta gratta questo film è assolutamente ottimista e molto religioso, nel senso più giusto del termine. Non rinnega la presenza di Dio né addita le persone che credono in lui (o lei?). Quello che traspare è una critica feroce contro la strumentalizzazione che viene fatta della Fede proprio da parte di coloro che dovrebbero renderla non più attuale o moderna ma più vera e spirituale, sviluppandone i concetti, le idee, i messaggi di speranza, e non le regole, i divieti, le imposizioni, assurdi da rispettare e a volte anche banali nella loro stupidità. Se lo spettatore è in grado di superare le baracconate e le battute, troverà che il senso del film è molto semplice, ingenuo e "sano": ognuno creda al Dio che vuole, e rispetti chi non la pensa come lui. Porti avanti le sue idee, confrontandosi con gli altri, senza chiudersi in quella che rischia di diventare una prigione di preconcetti. - http://bollalmanacco.blogspot.it

    (Gabry)





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    La musica del cuore


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    I Grandi Cantautori Italiani




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    testata



    1938 - Il 21 marzo nasce a Cassine, in provincia di Alessandria, da Teresa Zoccola vedova Tenco. Il signor Giuseppe Tenco, morto in circostanze misteriose (pare per il calcio di una mucca alla tempia) esattamente 6 mesi prima, il 21 settembre 1937, non è però il vero padre di Luigi. La paternità, mai riconosciuta legalmente, era di un giovane che, nel dopoguerra, avrebbe intrapreso l'attività di avvocato e sarebbe deceduto nel 1985.
    1948 - La famiglia Tenco, composta dalla madre Teresa Zoccola, dal piccolo Luigi e dal fratello maggiore Valentino, si trasferisce a Genova, dove avvia una attività di commercio all'ingrosso di vini piemontesi.
    Inizia a frequentare la scuola media (anno scolastico 1948/49).
    1951/56 - Si iscrive al Liceo Classico Andrea Doria, frequenta un solo anno (suo compagno di banco: Bruno Lauzi) e poi passa al Liceo Scientifico, prima al Cassini e poi al Galilei. Raggiunge la maturità il 29 luglio 1956, presentandosi come privatista. Si iscrive all'università, bienno propedeutico di Ingegneria.
    1953/58- Forma parecchi gruppi musicali insieme ai suoi amici dell'adolescenza (tra i quali, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De Andrè, Marcello Minerbi, Ruggero Coppola, i fratelli Reverberi): il repertorio è più che altro composto da musica jazz e dai primi esempi di Rock & Roll. Luigi suona dapprima il clarinetto, poi si specializza con il sax. I suoi idoli sono Jelly Roll Morton, Chet Baker, Gerry Mulligan, Paul Desmond, dai quali trae ispirazione.
    1957 - Conosce Marcello Minerbi (che negli anni '60 avrebbe fondato il gruppo dei Los Marcello's Ferials"). Viene preso insieme a Ruggero Coppola nel gruppo di Minerbi (che si chiama "Tony, Marcello e Max") e suona nei locali genovesi.
    Va a suonare a San Pellegrino Terme insieme a Dino Siani e in seguito con Marcello Minerbi e Ruggero Coppola.
    Va a suonare al Grand Hotel Stella Alpina di Stresa, nella band di Lino Patruno.
    2 GIUGNO - supera l'esame Disegno 1, voto 20/30. In seguito fallisce per due volte l'esame di "Geometria analitica e proiettiva" (esaminato dal prof. Togliatti, fratello dell'allora segretario del Pci). Quindi cambia corso e si iscrive a Scienze Politiche.
    1958 - Tournée in Germania, con Celentano e Gaber.
    Con Paoli ed altri amici forma il gruppo "I diavoli del rock".
    Suona al Santa Tecla di Milano con Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e Gianfranco Reverberi. Poi, nuovamente a Genova, con Gaber e Reverberi alla "Piccola Baita".
    IN ESTATE - viaggio in Svezia insieme all'amico Giulio Frezza.
    1959 - Raggiunge a Milano Gianfranco Reverberi, che è stato assunto dalla Ricordi e che introduce Tenco negli studi di registrazione come strumentista. In breve tempo, passa dal saxofono alla voce: comincia ad incidere le prime canzoni, dapprima quelle scritte da altri, poi quelle di sua composizione.
    24 MARZO - escono i primi 3 dischi 45 giri, per la Ricordi. Le canzoni sono "Mai", "Giurami tu", "Mi chiedi solo amore", "Senza parole". Si firma con il solo cognome.
    17 GIUGNO - escono ancora 2 dischi 45 giri, con lo pseudonimo di Gigi Mai. Le canzoni sono: "Amore", "Non so ancora", "Vorrei sapere perché", "Ieri".
    1960 - 18 GIUGNO - supera l'esame fondamentale di "Geografia politica ed economica", voto 24/30.
    24 AGOSTO - gli viene rilasciata la patente automobilistica, categoria "C".
    25 OTTOBRE - esce in 45 giri il primo successo: "Quando", firmato però dallo pseudonimo di Dick Ventuno.
    1961 - 8 MARZO - esce un altro 45 giri con "Quando", questa volta con il suo vero nome e cognome. La seconda canzone è "Triste sera".
    9 MARZO - esce il 45 giri di "Il mio regno" e "I miei giorni perduti".
    8 MAGGIO - esce il 45 giri di "Una vita inutile" e "Ti ricorderai".
    27 GIUGNO - supera l'esame complementare di Sociologia, voto 24/30. Non sostiene più esami e rimane iscritto all'università fino all'anno 1964.
    LUGLIO - esce un 45 giri, con "Quando" e "Ti ricorderai".
    3 OTTOBRE - esce un 45 giri con "Ti ricorderai" e "Se qualcuno ti dirà".
    1962 - 25 GENNAIO - esce un 45 giri con "Come le altre" e "La mia geisha".
    ESTATE - gira il film "La cuccagna", regia di Luciano Salce.
    10 SETTEMBRE - esce il 45 giri con le canzoni del film "La cuccagna": "Quello che conta", "Tra tanta gente" (entrambe scritte da Luciano Salce ed Ennio Morricone) e "La ballata dell'eroe" (scritta dall'amico Fabrizio De Andrè).
    OTTOBRE - intorno al giorno 10 esce nelle sale cinematografiche di tutta Italia il film "La cuccagna". Serate di gala per la presentazione del film e martellante pubblicità sui giornali.
    11 NOVEMBRE - esce il suo primo 33 giri, dove troviamo "Mi sono innamorato di te", "Angela" e "Cara maestra". Pochi giorni più tardi, il 17 novembre, esce un 45 giri contenente le prime due canzoni.
    FINE ANNO - tiene il provino per il ruolo di protagonista del prossimo film di Luigi Comencini: "La ragazza di Bube". Inizialmente viene scelto, ma poi verrà scritturato, per motivi di co-produzione, l'attore americano George Chakiris.
    1963 - PRIMO SEMESTRE DELL'ANNO - litiga con Gino Paoli per via del flirt con la giovanissima attrice Stefania Sandrelli, allora appena 17enne. I due cantautori rompono ogni rapporto e non si parlano mai più.
    10 SETTEMBRE - esce l'ultimo 45 giri per la Ricordi: "Io sì" e "Una brava ragazza", entrambe dal testo troppo esplicito per l'epoca, e dunque subito censurate.
    1964 - 1 GENNAIO - inizia la collaborazione con l'etichetta discografica Jolly (Joker).
    15 APRILE - esce il 45 giri di "Ragazzo mio", canzone dedicata, a quanto pare, ad Alessandro (figlio di un suo amico, Roy Grassi). La seconda canzone è "No, non è vero".
    NEL CORSO DELL'ANNO - prende parte allo sceneggiato della Rai-Tv "La comare".
    1965 - 7 GENNAIO - dopo parecchi rinvii per motivi di studio, si arrende all'inevitabile e parte per fare il servizio militare a Firenze, nei Lupi di Toscana.
    14 MAGGIO - esce il secondo album, contenente "Ho capito che ti amo", "Ragazzo mio" e la prima versione di "Vedrai vedrai".
    13 OTTOBRE - scrive a Valeria la prima delle lettere conosciute dall'opinione pubblica.
    DICEMBRE - compie una tournée di 10 giorni a Buenos Aires (Argentina) dove è atteso come ospite d'onore ad una trasmissione televisiva, la cui sigla è "Ho capito che ti amo", scritta da Luigi e popolarissima in tutto il Paese sudamericano. L'accoglienza che gli viene tributata supera quella riservata ai Capi di Stato.
    22 DICEMBRE - alle ore 21 partecipa con gran successo allo show televisivo "Casino Philips", l'equivalente del nostro "Fantastico", trasmesso da Canal 13 (Argentina).
    1966 - 1 GENNAIO - entra in vigore il contratto che lo lega alla etichetta discografica Rca.
    11 MARZO - si congeda dal servizio militare.
    ESTATE - una sua canzone "Lontano lontano" (diventata in seguito un ever-green) partecipa al concorso "Un disco per l'estate" e si piazza all'ultimo posto. Nemo propheta in patria.
    AGOSTO - nella sede della Rca, a Roma, conosce la cantante italo-francese Dalida.
    SETTEMBRE - visita di Luigi Tenco a Parigi, insieme ad alcuni funzionari della Rca, per presentare a Dalida la canzone "Ciao amore". Nasce l'idea della partecipazione di Tenco e Dalida al prossimo Festival di Sanremo.
    AUTUNNO - partecipa alla trasmissione della Rai-Tv "Scala Reale", ovvero "Canzonissima 66". Gareggia nella squadra capitanata da Dalida.
    NOVEMBRE (primi del mese) - rilascia una celebre intervista radiofonica ad Herbert Pagani di Radio Montecarlo.
    NOVEMBRE (data imprecisata) - partecipa ad un dibattito sul tema "La canzone di protesta", tenutosi al "Beat 72" di Roma. Viene pesantemente contestato dai giovani presenti in sala.
    18 NOVEMBRE - scrive a "Valeria" la seconda delle lettere note all'opinione pubblica. Esprime giudizi poco lusinghieri sul conto di Dalida.
    27 NOVEMBRE - denuncia ai Carabinieri di Recco (Genova) l'acquisto di una pistola, Walther Ppk, calibro 7,65.
    31 DICEMBRE - per il veglione di Capodanno, si esibisce alla "Casina Valadier" di Roma. Dimostra nervosismo e, quando gli spettatori coprono una sua canzone con il rumore delle trombette, si ferma per urlare "quelle trombette mettetevele nel culo".
    1967 - 3 GENNAIO - per questioni legali, è costretto a cambiare il titolo della sua canzone da "Ciao amore" a "Ciao amore, ciao".
    GENNAIO (data imprecisata) - tiene un recital all'Hotel Hilton di Roma e viene fischiato dal pubblico.
    17 GENNAIO - scrive la terza (e probabilmente ultima) lettera a Valeria.
    26 GENNAIO - partecipa al XVII° Festival di Sanremo, in coppia con Dalida. La sua canzone "Ciao amore, ciao" viene subito eliminata, prima dalle giurie (38 voti su 900) poi da una speciale commissione di "esperti".
    27 GENNAIO - alle ore 2:15 circa, viene ritrovato morto da Dalida nella sua stanza d'albergo, la 219 nella dependance dell'Hotel Savoy di Sanremo.
    30 GENNAIO - a Cassine (Alessandria) si svolge il funerale.

    Dopo la sua morte, Luigi Tenco ricevette quel favore del pubblico e della critica che gli erano stati negati in vita.
    Appena terminato il Festival di Sanremo del 1967, il suo ultimo disco "Ciao Amore, Ciao" andò letteralmente a ruba nei negozi, come spesso accade quando muore un artista: surclassò la concorrenza, vendendo sin dai primissimi giorni decine di migliaia di copie e subito risultò esaurito quasi ovunque. In due mesi ne vennero vendute 300 mila copie: il triplo di quanto Tenco era riuscito a vendere da vivo.
    Al fine di sfruttare l'onda di quel successo postumo, le case discografiche per le quali Tenco aveva lavorato tirarono fuori dal cassetto quelle canzoni che lui aveva registrato ma non ancora pubblicato (e forse non l'avrebbe fatto mai, ma si sa, il business è il business).
    Ecco perciò uscire dopo pochi mesi "Se stasera sono qui", brano registrato da Tenco con il solo accompagnamento di un pianoforte, al quale vennero aggiunti un'improbabile orchestra e un coro, con arrangiamenti assolutamente non in "stile-Tenco".
    La canzone venne poi registrata anche da Wilma Goich come tributo al cantautore e diventò il gran tormentone dell'estate 1967.
    Così Mogol ricorda il retroscena che portò alla registrazione di quella canzone, nel suo libro "Mogol, umanamente uomo" (Sperling & Kupfer editori, 1999):

    "[...] per convincerlo a cantare, una volta, ho dovuto quasi litigare. L'ho portato in una sala di incisione perchè volevo che registrasse 'Se stasera sono qui', una canzone che avevamo scritto insieme.
    Credo che Tenco abbia lavorato solo con me, come autore, ma non la voleva cantare in quanto riteneva la sua voce poco adatta. Avevo proposto a Luigi: -Ti offro il pranzo però, prima di andare a mangiare, mi fai un regalo e canti 'Se stasera sono qui'.
    E lui la cantò al pianoforte, da solo, insieme a un'altra canzone, 'Serenella' di Donida. Mi fece come regalo queste due canzoni. Poi mi dimenticai del disco che finì nella discoteca della Ricordi.
    E quando lui morì, la casa discografica fece mettere sotto a quella incisione, fatta solo al pianoforte, una intera orchestra e uscì 'Se stasera sono qui' che altrimenti non sarebbe stata mai pubblicata.
    Questo perchè lui amava la canzone ma non si riteneva adatto a cantarla: per fortuna io non ero dello stesso avviso!".



    fonte:luigi-tenco.tripod.com



    Se stasera sono qui

    Se stasera sono qui
    è perché ti voglio bene
    è perché tu hai bisogno di me
    anche se non lo sai.
    Se stasera sono qui
    è perché so perdonare
    e non voglio gettar via così
    il mio amore per te.
    Per me venire qui
    è stato come scalare
    la montagna più alta del mondo
    e ora che sono qui
    voglio dimenticare
    i ricordi più tristi giù in fondo.
    Se stasera sono qui
    è perché ti voglio bene
    è perché tu hai bisogno di me
    anche se non lo sai.
    Per me venire qui
    è stato come scalare
    la montagna più alta del mondo
    e ora che sono qui
    voglio dimenticare
    i ricordi più tristi giù in fondo
    Se stasera sono qui
    è perché ti voglio bene
    è perché tu hai bisogno di me
    anche se non lo sai


    (Ivana)





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    (Redazione)





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    CRONACA SPORTIVA


    Motogp Valencia, quinto tempo Rossi nelle 1/e libere.

    Il più veloce è Marquez, seguito da Lorenzo e Pedrosa. Rigettata dal Tas la richiesta di sospensiva del Dottore, Rossi partirà per ultimo, strada per il mondiale torna in salita. Marc Marquez ha ottenuto il miglior tempo nella prima sessione delle prove libere, classe MotoGp, del gran premio di Valencia. In 1'31"250 il campione del mondo uscente ha portato la sua Honda Hrc davanti alla Yamaha di Jorge Lorenzo (+0.184 millesimi) ed all'altra Honda di Dani Pedrosa (+0.303). Quarto tempo per la Ducati di Andrea Dovizioso (+0.392) e quinto per la Yamaha di Valentino Rossi (+0.415).

    Dopo due settimane di feroci polemiche, il Motomondiale riaccende i motori. I piloti della MotoGp tornano a confrontarsi in pista, per la prima volta da Sepang. Sono in corso le prime libere della classe regina sul circuito 'Ricardo Tormo', dove domenica Valentino Rossi e Jorge Lorenzo si giocheranno il titolo, con l'italiano in vantaggio di appena 7 punti, ma costretto a partire dall'ultima fila. Gran ressa di fotografi e telecamere davanti al box della Yamaha Movistar. Il primo ad uscire è stato Rossi (applaudito da un gruppetto di tifosi assiepati sullo spicchio di tribuna che affaccia sui box), seguito poco dopo da Lorenzo. Poco più avanti anche Marc Marquez ha lasciato il box Honda. Rossi potrà partecipare solo alle libere, ma non alle cronometrate di domani. Le seconde libere della MotoGp inizieranno alle 14.05.

    "Più che arrabbiato sono deluso: mi dispiace non potermi giocare una chance che mi ero costruito dall'inizio dell'anno, ma forse anche prima, e alla resa dei conti mi si toglie la possibilità di giocarmela". Valentino Rossi riassume così il suo stato d'animo in vista del gp di dove per la sanzione subita partirà in ultima posizione. "Già era difficile prima, adesso lo sarà ancora di più. ma adesso sono qui e dobbiamo cercare di impegnarci al massimo e mantenere concentrazione per arrivare competitivi e veloci il più possibile domenica. Era già difficile prima, ora di più..."
    (Ansa)




    < Serena Williams stende un ladro. E sui social si veste da supereroe.
    Ha rincorso e bloccato un uomo che le aveva preso il cellulare. Il suo grande 'slam' lo ha vinto. Nei confronti di un rapinatore. La campionessa americana di tennis diventa per un giorno una 'supereroe', come si è lei stessa definita in occasione di una disavventura che ha deciso di raccontare in un post su Facebook. Mentre si trovava in un ristorante cinese la Williams è stata derubata: un ladro le ha soffiato il cellulare sotto gli occhi. E la tennista ha rincorso l'uomo riuscendo a sventare il furto. L'episodio è stato raccontato dalla stessa Williams in un posto sul suo profilo Facebook, che invita tutti a seguire sempre il 'supereroe' che è in ognuno di noi.
    (Ansa)




    Basket, Messina ct: "orgoglioso di tornare".
    Petrucci 'sogno Olimpiade è vivo, ora motivo in più per fiducia'. Ettore Messina, neo ct dell' Italbasket, torna sulla panchina azzurra dopo quasi vent'anni: dal 1992 al 1997 ha diretto 105 partite vincendo una medaglia d'argento all'Eurobasket 1997, una medaglia d'oro ai Giochi del Mediterraneo del 1993 e una medaglia d'argento ai Goodwill Games nel 1994. "Sono onorato e orgoglioso - ha detto Messina - di avere l'opportunità di tornare a vestire la maglia azzurra. Mi auguro di poter dare una mano ai nostri ragazzi per poter raggiungere un obiettivo così importante per noi e soprattutto per i tanti tifosi che hanno seguito con entusiasmo gli ultimi campionati europei". "E' come se non ci fossimo mai lasciati - commenta il presidente Petrucci in una nota della Fip - perché il nostro rapporto umano è continuato anche in questi anni. Il nostro sogno di andare all'Olimpiade è ancora vivo e ora, grazie alle qualità di uno dei migliori tecnici al mondo abbiamo un ulteriore motivo per essere fiduciosi". Il nuovo ct azzurro sarà presentato alla stampa in Italia all'inizio del nuovo anno.
    (Ansa)

    (Gina)



    SAI PERCHE'???




    erché si dice che le gambe “fanno Giacomo Giacomo”?




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    Perché la gambe fanno “Giacomo Giacomo” e non “Luca Luca” o “Matteo Matteo”? Come ogni fine settimana, scegliamo un quesito linguistico risolto dall’Accademia della Crusca. «La questione è stata ampiamente trattata in un articolo di Ornella Castellani Pollidori all’interno del volume L’Accademia della Crusca per Giovanni Nencioni (Firenze, Le Lettere, 2002, pp. 333-356)», rispondono.

    Perché le gambe fanno “Giacomo Giacomo”?

    La Crusca risponde “Le attestazioni del detto in epigrafe ricavabili dalla lessicografia storica sono decisamente scarse. D’altra parte, non c’è da meravigliarsi che emerga di rado nella tradizione letteraria una formula decisamente connotata in senso popolare, e perciò viva soprattutto nell’uso parlato, com’è questa che attribuisce alle gambe la curiosa proprietà di fare, in determinate situazioni, giacomo giacomo. Basti dire che gli esempi d’autore forniti dai dizionari storici non superano complessivamente il numero di sei. Si va dall’isolata attestazione nella commedia La serva nobile (1660) del fiorentino Giovanni Andrea Moniglia (1624-1700), data dalla V impress. del Vocabolario della Crusca, alle cinque - nell’ordine: di Moniglia, Giovanni De Gamerra, Collodi, Idelfonso Nieri, Bacchelli - registrate nel Grande Dizionario della Lingua italiana fondato dal Battaglia (GDLI); una sesta testimonianza, che risulta poi la più precoce essendo quella offerta, a due riprese, dall’Eneide travestita (1633) dell’umbro Giovan Battista Lalli (1572-1637), si ricava dal Tommaseo-Bellini (s. v. Giacobbe, 4)”.

    Si citano poi le attestazioni ancora anteriori nella commedia dialettale La Pace (1561) del veneziano Marin Negro, individuata da Massimo Bellina, e nel Baldus (1517/1518) di Teofilo Folengo, segnalata da Ottavio Lurati a proposito della quale “inutile dire che il maccheronico folenghiano garantisce appieno la vitalità popolare dell’espressione”.

    La Castellani Pollidori stessa ne aggiunge un’altra che “precede di ben 83 anni la coppia di attestazioni dell’Eneide travestita del Lalli. Devo la piccola scoperta a un accenno che mi ha colpito nello scorrere il lemma Giacomo del Dizionario etimologico-pratico-dimostrativo del linguaggio fiorentino di Venturino Camaiti (Firenze, Vallecchi, 1934): «Far Giacomo Giacomo, o Diego Diego, o Diego e Giacomo: Ripiegarsi sulle ginocchia per fiacchezza. Far Giacomo Giacomo è modo usato anche anticamente, e lo trovo in una nota dell’edizione del 1550 del Morgante, canto XXIV v. 125»”.[...]

    “Non è certo un caso che, a fronte della penuria di attestazioni d’autore, i lessici dialettali forniscano una documentazione abbondante e geograficamente estesa del detto che chiama in causa le gambe e Giacomo; sicché è essenzialmente su quelli che si può contare per tentare una ricostruzione della sua storia. [...] Considerato lo stato della questione, sarà opportuno valutare innanzitutto, ricorrendo a un numero sufficientemente rappresentativo di dizionari dialettali, la portata della diffusione del modulo sull’intero territorio italiano”.

    A questo punto l’Autrice elenca testimonianze tratte da repertori dialettali di Piemonte, Lombardia, Triveneto, Emilia, Toscana, Umbria, Abruzzo, Campania, Sicilia e, fuori dei confini nazionali, Corsica: questa grande diffusione sul territorio italiano sembrerebbe escludere l’origine del modo nell’area friulano veneta come era stato ipotizzato in particolare dal Bellina.

    “L’origine geografica della locuzione resta in effetti un problema da risolvere: ma non il solo: occorrerebbe anche capire cosa c’entra l’antroponimo Giacomo con le gambe che tremano e a chi dobbiamo, ossia da dove ci viene, un’invenzione apparentemente così strampalata. [...] Tra le varie spiegazioni suggerite, la più condivisa è quella alla quale la ricerca etimologica, in casi di difficile decifrazione, tende a ricorrere con una certa facilità: la motivazione fonosimbolica”, ovvero quella che riconduce la locuzione al suono giac giac che farebbero le ginocchia cedendo alla stanchezza.

    La Castellani Pollidori passa in rassegna i sostenitori di questa ipotesi a partire dal Tommaseo-Bellini fino al GDLI e conclude la disamina con le parole del DELI (s.v. gamba): “Per avere le gambe che fanno giacomo giacomo [...], loc. ampiamente diffusa anche nei dial., non s’è trovato ancora di meglio della proposta onom[atopeica]”.

    Jacques in Francia è il nome tipico del ‘contadino’, anche con l’accezione negativa di ‘semplicione’, ‘debole di mente’ e di fisico, colui che trscina le gambe
    Per l’Autrice invece “decisamente innovativa suona l’ipotesi etimologica avanzata a suo tempo, sia pure con una certa cautela, dal DEI: «Detto delle gambe che si piegano per la stanchezza o per la debolezza, fanno g. g.; dal personale Giacomo (lat. Jacōb) forse per accostamento alla stanchezza dei pellegrini che si recavano a S. Giacomo di Compostella in Galizia [...]» (s. v.giàcomo1, vol. III, 1952)”.

    Sulla questione etimologica sono state successivamente avanzate due diverse proposte di Ottavio Lurati (1991) e di Massimo Bellina (1997) che meritano, secondo la Castellani Pollidori, un attento esame.

    “Il Lurati è sulla linea del DEI nel ritenere che nella spersonalizzazione dell’antroponimo che connota il detto si dissimuli il nome di San Giacomo. Ma mentre con l’ipotesi abbozzata dal DEI si profila all’origine della formula un dato storico - i pellegrinaggi medievali a Santiago di Compostella -, secondo il Lurati è l’antropologia culturale a svelarci l’arcano di un detto che, «a guardarlo più da vicino, si rivela un riferimento a radicate concezioni mitiche, al ponte di San Giacomo, all’ideologia della morte quale si è organizzata nelle società subalterne». [...] A sostegno della sua interpretazione il Lurati allega alcune testimonianze raccolte in Sicilia, sullo scorcio degli anni Sessanta, presso donne anziane di varie località del circondario di Enna. Si tratta di questo: nell’immaginario locale, «al momento dell’agonia, San Giacomo viene a prendere l’anima del moribondo e la porta in cielo lungo la strada della Via Lattea, detta appunto la "strada di San Giacomo". Se però al morto si allacciavano i piedi, l’anima non poteva viaggiare, [...] rimaneva nell’aria, come l’anima di Giuda, il traditore». Lo studioso ticinese non ha dubbi sul rapporto tra il detto delle gambe che fanno giacomo e tale ingenua credenza popolare: «Il tema non è dunque quello dei pellegrini in cammino verso San Jacopo, quanto quello della connessione di San Giacomo con la morte» [...]. Una connessione che viene «confermata da una testimonianza assai distante geograficamente, collocata com’è all’altro capo d’Italia, nelle valli grigionesi»”; in tale area infatti esisteva un giuoco fanciullesco che rappresentava la morte di San Giacomo, per cui fer giacum giacum in tale contesto significava morire. Un altro riscontro Lurati lo individua in area calabrese dove sono testimoniate espressioni evocanti il passaggio dalla vita alla morte come un transito del ponte di San Giacomo. In conclusione, secondo l’ipotesi di Lurati, la strada di san Giacomo «non era più la strada per la specifica località galiziana, bensì era la strada verso l’aldilà».

    A proposito di questa interpretazione l’Autrice scrive tra l’altro: “Debbo confessare che la ricostruzione del Lurati non mi persuade. Sembra davvero difficile che un modo di dire votato da secoli al burlesco come le gambe fanno giacomo giacomo possa aver tratto origine da un complicato intreccio di temi religiosi, miti e superstizioni popolari, il tutto dominato da cupe visioni di morte. Nessuna sfumatura di drammaticità sopravvive nell’impiego secolare dell’espressione far giacomo giacomo”.

    Si tratta poi la proposta interpretativa del Bellina, secondo il quale “per la spiegazione del detto «resta in piedi solo l’origine onomatopeica» [...], che sarebbe «confortata del resto dalla variante iterata che rappresenterebbe una duplicazione fonosimbolica seriore» e “poggia anche sul «parallelismo con forme analoghe sicuramente di origine imitativa, in cui il verbo fare indica la produzione di un suono» (il riferimento è in particolare all’espressione fare lappe lappe corrispondente, ma su un registro più triviale, a fare giacomo giacomo nell’accezione ‘tremare per la paura’[...]). Ma, obietta non senza ragione il Bellina, parlare genericamente di onomatopea, come per lo più vien fatto, non basta: occorre individuare da cosa precisamente nasce lo spunto fonico che la lingua traduce con la voce giacomo, semplice o raddoppiata che sia. In parole povere, bisogna chiedersi: «Come e quando [...] le gambe che vacillano o tremano producono un rumore?».

    La risposta è recisa: «Solo quando, private di energia per paura o debolezza, procedono stancamente trascinando i piedi a terra» [...], e immediatamente lo studioso spiega da dove trae tanta sicurezza, dando insieme la sua personale soluzione al problema del detto: «E per l’appunto in area veneta, già dal primo Trecento, compare la voce imitativa giach per riprodurre il rumore dello strascicamento dei piedi, dell’acciabattio. [...] In conclusione: una originaria forma fare giach, [...] riferita ai piedi che si trascinano, si sarà ampliata in fare giacomo, con accostamento popolare-scherzoso al nome proprio, e iterata per conferire maggiore espressività ritmico-imitativa [...]»”.

    Per la Castellani Pollidori però “la soluzione che prospetta il Bellina non è realistica” soprattutto perché nel documento citato a sostegno dell’interpretazione di fare giach come riproduzione del rumore tipico dell’acciabattìo, l’espressione sarebbe in realtà riferibile allo scalpiccio di piedi in movimento di gente armata, ovvero a un “trepestìo marziale e fragoroso di calzature ferrate: tutt’altra cosa, insomma, che un «procedere stancamente trascinando i piedi a terra»”.

    fare giach è l’espressione tipica di chi in guerra trascinava le gambe a fatica
    Ecco allora la nuova ipotesi dell’Autrice. “Un dato, a cui mi pare non si sia prestata finora l’attenzione che merita, è la presenza, in varie parlate della penisola, dell’antroponimo Giacomo nel senso di ‘semplicione’, ‘uomo debole di mente’. [...] Si è visto che diversi dizionari rinviano per il personale Giacomo usato come equivalente di ‘babbeo’ al corrispettivo francese Jacques, nomignolo tradizionale del "paysan" che assunse presto la poco lusinghiera accezione di ‘niais, imbécile’. Tutto a partire dalla circostanza storica che già il Migliorini evocava nel suo Dal nome proprio al nome comune (p. 224): «Jacques è in Francia il nome tipico del ‘contadino’: esso risale almeno alla terribile ribellione dei contadini del maggio-giugno 1358, detta appunto Jacquerie, il cui capo sarebbe stato soprannominato lui stesso Jacques Bonhomme: di qui il significato, pure antico, di ‘sciocco’»”.

    A questo punto si approfondisce l’indagine sulla storia del termine francese e mette in luce in particolare la “compresenza nelle due distinte tradizioni del depersonalizzato giacomo-jacques, di originaria impronta contadinesca, con la stessa accezione negativa di ‘semplicione’, ‘debole di mente’ (‘nigaud’, ‘simple d’esprit’)” e la circostanza che “il medesimo termine dà luogo in entrambe le lingue a una locuzione popolare d’identica struttura: far giacomo - faire le jacques”.

    A proposito della mancata coincidenza di senso tra le due locuzioni, la Castellani si pone la domanda “che cosa può aver davvero voluto dire, inizialmente, le gambe fanno giacomo? Le definizioni fornite dalla lessicografia parlano tutte di gambe (più raramente di ginocchia, piedi o talloni) che tremano, vacillano, perché rese deboli da un forte spavento o una gran fatica. Di gambe del genere, che improvvisamente si fanno molli, non reggono più, non sarebbe possibile dire, per traslato, che si comportano da scimunite, da imbecilli? (Come non ricordare, a questo proposito, che in latino imbecillus e imbecillitas coniugavano significativamente la debolezza fisica con la debolezza mentale [...]). Persa, col passar del tempo, la cognizione del traslato originario, non è strano che l’interpretazione popolare abbia finito col focalizzarsi sul tratto materiale e buffonesco delle gambe che traballano. Così pure non è strano, oserei dire, che nella versione delle parlate italiane si sia insinuata e sia infine prevalsa l’iterazione del nome, fare giacomo giacomo: mentre nel francese faire le jacques il soggetto gratificato del titolo d’"imbécile" è ancora un individuo reale, nella locuzione italiana fare giacomo si è insinuata quella duplicazione espressiva che è tratto endemico nella tipologia dell’avverbialità popolare: cfr. pian piano, lemme lemme, passo passo, bel bello, man mano, via via, ecc; senza dimenticare il ritmato cammina cammina della lingua delle fiabe (e dei Promessi Sposi)”.

    Dopo una serie di confronti che tralasciamo, l’Autrice conclude: “Direi insomma che sono vari i fili che visibilmente legano le due vicende, quella del nostrano giacomo e quella del francese jacques. Troppi, per pensare a mere coincidenze; abbastanza, mi sembra, per ritenere che l’impulso iniziale per l’assunzione del nome Giacomo nel detto delle gambe che tremano sia venuto dal francese. Del resto, è un fatto che, nel quadro generale della distribuzione del modulo, la presenza delle testimonianze risulta concentrarsi in particolare nelle aree che più direttamente e lungamente furono interessate nei secoli dall’influsso del francese: regioni settentrionali, Toscana, e nel Meridione le aree del napoletano e del siciliano”.


    Adattamento a cura di Matilde Paoli
    Redazione Consulenza linguistica
    Accademia della Crusca

    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    LEGGERE, LEGGERE, LEGGERE

    dal 18 ottobre al 24 gennaio 2016



    La Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate, nel Canton Ticino, ospita la mostra "Leggere, leggere, leggere". La mostra racconta la più importante delle rivoluzioni. Uno sconvolgimento non accompagnato dal tuono dei cannoni, avvenuto al contrario nel silenzio di case e scuole. La rivoluzione della lettura, che significò non solo l’accesso all’informazione: per la prima volta diventava possibile entrare in contatto con il mondo che è al di là della famiglia o del villaggio, il sapere cosa accade oltre l’orizzonte quotidiano. Ma che significò anche e soprattutto la possibilità di mantenere un contatto con familiari lontani, con fidanzati al fronte o emigrati. Senza dover ricorrere alla mediazione del parroco, spesso l’unica persona del paese ad essere in grado di leggere e scrivere. Poi e soprattutto il piacere della lettura, si tratti della Sacra Bibbia o del romanzo d’amore o di avventura: l’irrompere di grandi mondi e di grandi storie all’interno delle chiuse mura di casa, sin dentro l’anima. La lettura assume forme differenti, genera svariati umori, suscita reazioni che spaziano dalla gioia al dolore, dall’attesa alla malinconia: si svolge en plein air, sulla soglia, seduti in poltrona o confinati in letti da convalescenti, sempre sul filo della conoscenza, di nuove emozioni. Attraverso una corposa carrellata di 80 opere, da collezioni museali e private, selezionate dal curatore Matteo Bianchi, la mostra indagherà i modi secondo cui il tema della lettura è stato trattato dai maggiori pittori del secondo Ottocento svizzero e italiano, spaziando dalla necessità dell'istruzione al piacere del testo. Si passa dalla lettura domenicale, a voce alta, della Bibbia, con la famiglia raccolta ad ascoltare, a quella delle lettere giunte dal fronte, in epoca risorgimentale – celebri i dipinti degli Induno su questo tema – e talvolta lette dal parroco, alle lettere d’amore, alla lettura del giornale, finestra sul mondo che permette un’informazione più capillare, a quella d’evasione, spesso femminile, che viene raffigurata in quadri di grande impatto emotivo. La lettura incomincia quindi nell’Ottocento ad accompagnare e scandire ogni momento della vita, facendo da tramite per notizie dei propri cari o di attualità, ma anche permettendo di viaggiare con la mente in luoghi lontani, grazie alla diffusione di romanzi che offrono svago e riflessione. Racconta il piacere della lettura attraverso dipinti del tardo Ottocento di artisti italiani e ticinesi, una serie di sculture e una selezione di foto di Ferdinando Scianna. Un’intera sala della mostra è dedicata ad Albert Anker, uno dei più importanti pittori svizzeri, le cui opere illustrano la funzione della lettura attraverso i vari supporti, dal libro al giornale alla lettera. Le fotografie di Ferdinando Scianna, invece, sono tratte dal libro Lettori e vengono commentate così dallo stesso fotografo: “Dal momento che non si può fotografare la letteratura ho deciso di immortalare chi legge […]. Per me fotografo, o almeno per il tipo di fotografia che amo e che cerco di praticare, la realtà è quindi un infinito libro da leggere e rileggere”.
    Fra gli artisti esposti si annoverano i ticinesi Preda, Monteverde, Berta, Feragutti Visconti, Franzoni, Chiesa e Luigi Rossi, mentre si distinguono, fra gli italiani, Gerolamo Induno, Mosè Bianchi, Tranquillo Cremona, Ranzoni, Bazzaro, Gola, Sottocornola, Mancini, Cabianca, Longoni, Morbelli, Nomellini e alcuni pittori Macchiaioli (ad esempio Lega e Zandomeneghi).




    FESTE e SAGRE





    « ...per molto tempo, i discendenti di questi tre si moltiplicarono tanto che la terra non era in grado di sostenerli tutti. Estrassero a sorte, ed ogni terza persona venne scelta per andarsene, portando con sé tutti i propri beni eccetto la terra. ... risalirono il fiume Dvina, fino alla Russia. Arrivarono tanto lontano da raggiungere la terra dei Greci. ... qui si insediarono, vivendoci, ed assorbendo la nostra lingua »


    L'isola di GOTLAND



    gotland
    La Gutasaga è una saga che narra la storia del Gotland prima della sua cristianizzazione. Venne scritta nel XIII secolo, ne è sopravvissuto un solo manoscritto, il Codex Holm. B 64, datato attorno al 1350 circa, oggi conservato presso la Swedish Royal Library di Stoccolma assieme al Gutalag, il codice di leggi del Gotland. E' scritta in gutnico antico, un dialetto della lingua norrena. Paolo Diacono, nella sua celeberrima “Historia Langobardorum” dove parla di un’isola, “non particolarmente estesa” e caratterizzata da “basse coste lungo tutto il perimetro”. Una descrizione coincide perfettamente con Gotland.

    La saga tratta di un'emigrazione, associata con la storica migrazione dei Goti avvenuta durante le invasioni barbariche. La migrazione sarebbe avvenuta nel I secolo d.C., e deboli contatti con la terra d'origine sarebbero stati mantenuti per altri due secoli, il che spiega come il linguaggio degli emigranti "abbia ancora qualcosa" in comune con la lingua madre. Gli eventi sarebbero stati trasmessi oralmente per circa un millennio prima di essere scritti su carta.

    Secondo la saga, che potrebbe essere una raccolta mitologica con l'integrazione di leggende popolari germaniche. Thielvar aveva un figlio chiamato Hafthi. E la moglie di Hafthi era chiamata Stellabianca. Questi furono i primi due a stabilirsi in Gotland. Durante la prima notte sull’isola Stellabianca sognò di avere tre - numero sacro alle popolazioni indoeuropee - serpenti all’interno del suo grembo. Svegliatasi, avvertì suo marito, che nel tranquillizzarla le disse: “Tutto è unito con anelli, questa isola sarà abitata, e tu darai alla luce tre figli”. La coppia ebbe in futuro i tre figli che si aspettavano: Guti, che prese il centro dell’isola, Graip, che prese la parte settentrionale dell’isola, e Gunfiaun, il più giovane, a cui venne data la parte meridionale di Gotland. I loro discendenti abitarono le rispettive regioni dell’isola, fino a quando questa non si trovò in una situazione di eccessivo affollamento, e la soluzione fu soltanto una: allontanare una parte della popolazione dal suo luogo d’origine. Per quanto contenuta nella Gutasaga, si tratta di una soluzione non più leggendaria, ma realmente accaduta, riportataci anche da Plinio il Vecchio e dallo stesso Paolo Diacono.
    Paolo Diacono, a tal proposito, ci dice che alcuni degli abitanti di Gotland, i Winili, si spostarono in una terra denominata Scoringa, probabilmente l’isola di Rügen, nel Mar Baltico. Scontratisi con i Vandali, dopo la vittoria, i Winili decisero di cambiare il loro nome in Longobardi.
    Nel frattempo, la seconda parte della popolazione dell’isola si spostò nella Scania, nella Svezia meridionale, e diedero vita a Götar e Juti, i quali ultimi parteciparono tra l’altro all’invasione dell’Inghilterra insieme agli Angli e ai Sassoni nel VI secolo d.C., non a caso vengono anche menzionati in Beowulf, il primo poema epico della storia inglese.
    La terza e ultima parte della popolazione rimase a Gotland prima di spostarsi nell’attuale Polonia o paesi baltici: sono i Goti, che diedero il nome all’isola; dall’etimologia della parola, Goti significherebbe “popolo di Dio” ossia “popolo di Odino”.
    Da Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, nel libro IV vi è un riferimento alle isole del Mar Baltico. "Essa, come ci riferirono alcuni che l'hanno visitata, non è tanto posta sul mare quanto cinta tutta intorno dai flutti marini a causa della bassezza delle coste. I popoli stabilitisi entro i suoi confini, poiché erano enormemente accresciuti di numero, tanto da non potervi abitare insieme, come si narra, si divisero in tre parti cercando di sapere in base alla sorte quale di esse dovesse abbandonare la terra di origine e cercare nuove sedi."

    A Gotland sono state ritrovate molte testimonianze relative a insediamenti risalenti all'età del ferro, ma l'isola era abitata sin dal Paleolitico (6000 anni a.c.). La lingua gutnica è molto diversa dal resto delle lingue germaniche nordiche tanto da costituire un ceppo a se stante, si ritiene che questa sia la lingua oggi più simile al gotico.

    (Gabry)





    Parole In Musica



    <negramaro>




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    Negramaro – Fino alla fine del secolo

    Fino alla fine del secolo
    fino alla fine di te
    Il cielo continui a nasconderti da me
    che se ti ritrovo non ti posso più perdere
    ed io ti catturo dentro mille stelle che
    di certo non scappano come scappavi ogni volta tu da me
    lo vuoi questo caffè?






    (Lussy)







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    foto:files.l-essenza-delle-donne.webnode.it

    Salute e benessere


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    foto:migliorblog.it

    Terme di Bagno di Romagna




    L'offerta termale di Bagno di Romagna è fra le più ampie fra quelle proposte dalle stazioni italiane
    Ciò è dovuto ai vari tipi di acque che vi sgorgano [bicarbonato-alcalino-sulfuree, minerali, ipertermali (45°C) e termali (39°C) e solfureo-bicarbonato-alcalina, oligominerale, fredda (14°C)] ed alle moderne attrezzature, tecnologie e professionalità dei tre stabilimenti di Bagno di Romagna - Terme S. Agnese, Euroterme, Terme Roseo, tutti dotati di albergo proprio - che accompagnano ed e- saltano le tradizionali cure termali ampliandole e completandole con cure integrative e specialistiche.

    Oltre al massaggio manuale, che rappresenta il trattamento insostituibile per completare la cura termale delle malattie reumatiche, gli stabilimenti di Bagno di Romagna effettuano varie tecniche di massaggio (linfodrenante, connettivale, shiatzu, ...)
    Ciascun stabilimento, oltre che di piscina termale, è dotato di palestra e reparto di fisiochinesiterapia ove vengono effettuati trattamenti elettromedicali (ionoforesi, tens, faradica, galvanica, diadinamiche, elettrostimolazioni, infrarossi ultravioletti ultrasuoni magnetoterapia, laser, biofeedback, radarterapia, idrogalvanoterapia), trattamenti riabilitativi (kinesiterapia passiva ed attiva, rieducazione segmentaria, rieducazione funzionale per il recupero del motuleso) e back school per la prevenzione delle cervicalgie e lombalgie croniche.

    I medici termali sono affiancati da medici specialisti per le varie attività: idrologia, cardiologia, medicina interna, otorinolaringoiatria, pneumologia, dermatologia, reumatologia, fisiatria, medicina sportiva, ginecologia, chirurgia vascolare, gastroenterologia, scienza dell'alimentazione e medicina estetica.
    Ogni Stabilimento è dunque una struttura sanitaria completa ove la qualità delle prestazioni e la fondatezza scientifica dei trattamenti termali e riabilitativi è garantita dalla costante assistenza di medici qualificati, dalla consulenza medica plurispecialistica e da quella scientifica di illustri docenti universitari.

    Si ricorda che le visite mediche specialistiche sono facoltative ed a richiesta e che l'equipe medica operante in ognuno dei tre Stabilimenti non può prescrivere ricette in regime mutualistico, mentre può prescrivere ogni tipo di farmaco che però è a totale carico dell'assistito. Ricette mutualistiche si possono ottenere presso gli ambulatori della "Guardia Medica Turistica" di Bagno di Romagna.


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    foto:migliorblog.it



    Storia

    I Romani apprezzano le acque "divine" di Bagno

    Bagno di Romagna deve origine, nome e sviluppo alle sue acque calde minerali. Fenomeno raro e suggestivo, già in età preistorica divennero oggetto di culti salutari che ebbero fama su un territorio circostante.
    E dunque favorirono la prima aggregazione attorno al luogo dove sgorgavano, già privilegiato per la collocazione che permetteva rapidi collegamenti con le contigue valli del Bidente, del Tevere e dell'Arno.

    I Romani fanno il Balneum...

    Quando i Romani nel 266 a.C. conquistarono la valle del Savio e la Tribus Sapi-nia che avevano in Sapinia il suo centro, attuarono subito un processo di integrazione e riorganizzazione del territorio.
    A tale scopo costruirono a Balneum - che fecero diventare passaggio obbligato e celere tra Ravenna e l'Urbe, luogo di sosta in prossimità dei valichi - un importante santuario con cui esaltarono e fecero propri gli antichi culti delle acqua praticati dagli umbri Sapinates.


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    foto:hotelcentritermali.it/

    ... e le terme

    Il complesso - stando ai dati archeologici - aveva un’architettura imponente e solenne. Si articolava in due corpi principali, suddivisi da un lungo colonnato: un edificio attorno alla sacra fonte ospitava il santuario o tempio dedicato ad una Ninfa, regina delle acque; l'altro, più ampio, un impianto termale vero e proprio.
    Questo era organizzato in vari locali accessori e funzionali: dalla sorgente, racchiusa in un grande pozzo in muratura, l'acqua calda giungeva alle grandi vasche per le immersioni.

    A Baia? Macché! meglio a Balneum: parola di Marziale !

    Vari materiali - tra cui il bronzetto divenuto poi simbolo delle Terme di Bagno - attestano che il complesso fu frequentato dal II sec. a.C. al V d.C.
    Un potenziamento dell’impianto balneare, con l’incremento di vasche per abluzioni ed immersioni, si ebbe nel II secolo d. C., proprio mentre Marziale (IX, 58, 1-4) paragona la qualità delle acque di Balneum a quelle di Baia, località termale nel golfo di Pozzuoli, frequentata da imperatori, matrone e patrizi.


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    foto:images.placesonline.com.




    Proprietà

    Un piccolo miracolo della natura

    I primi uomini considerarono miracolose e di origine divina le acque termali, dono prezioso e salutare proveniente dalle profondità sconosciute e misteriose della terra. Attorno ad esse costruirono un tempio che fu all'origine di Bagno di Romagna, luogo di cura del corpo e poi centro di vita sociale. Con una continuità rassicurante che ha attraversato almeno due millenni quell'acqua "divina" fluisce ancora a Bagno di Romagna, ove la sua utilizzazione è dunque costume antico di igiene, di cura e di benessere fisico: di quello "star bene" cioè che risponde al moderno concetto di "salute".
    Ancor oggi l'acqua termale è un prezioso regalo: non dono "divino" - spiegano i geologi - ma comunque piccolo "miracolo" della natura. Parte della pioggia che cade nella zona del monte Còmero penetra infatti nel sottosuolo fino ad una profondità di circa 1.400 metri e poi risale in superficie ed affiora nella sorgente di S. Agnese. Per percorrere questo circuito sotterraneo l'acqua impiega dai 450 ai 650 anni durante i quali si riscalda per effetto geotermico e si carica dei minerali che trae dagli strati rocciosi attraversati: così arricchita di benefiche virtù salutari, quando riemerge é pertanto medicamentosa come un farmaco, in grado cioè di modificare ed influenzare positivamente le condizioni del nostro organismo.
    E' naturale, "fisiologica" perché contiene un concentrato di elementi naturali attivi (zolfo, bicarbonato, sodio, potassio, calcio, magnesio, fluoro, cloro, litio, stronzio, manganese, ferro, ammonio) che corrisponde a quello del corpo umano; è tollerabile e quindi non possiede gli effetti collaterali dei comuni farmaci; è in grado non solo di curare le malattie ma anche - e soprattutto - di prevenirle, perché attiva le naturali difese dell'organismo. Questa acqua viene utilizzata in varie forme a scopo terapeutico nei tre stabilimenti termali di Bagno di Romagna: Terme S. Agnese, Euroterme, Terme Roseo.

    bagno
    foto:emmeti.it




    Curiosità

    Le tentazioni del bagno "senza mutande"

    La promiscuità dei bagni metteva in tentazione e induceva a pensieri poco casti: nel 1216 per curarsi i dolori reumatici a Bagno di Romagna i monaci vallombrosani avevano infatti bisogno di speciali e avare licenze dell'abate generale.
    Solo nel 1558 gli Statuti della Comunità proibiranno a maschi e femmine di bagnassi "al tempo di giorno sanza mutande", stabilendo anche che, a richiesta, ogni donna "per sua honestà, possi docciarsi in un bagno segretamente".

    Una leggenda degna dei fratelli Grimm

    Con la distruzione di Bagno da parte di Totila (542 d.C.) andò perduto anche il ricordo delle acque calde. Una leggenda ne attribuisce il ritrovamento ad una fanciulla di 14 anno, Agnese di Sarsina, vissuta nel XII secolo.
    La leggenda racconta che costei, segretamente cristiana, fu cacciata da casa per non aver voluto acconsentire al matrimonio con un pagano, impostole dal padre. Affetta da lebbra, si rifugiò in una zona impervia attorno a Bagno, in compagnia di un cagnolino.
    Un giorno il cane, razzolando, fece scaturire un’acqua salutare con cui Agnese, lavatasi, guarì dall’orribile malattia. Ella si ritirò poi in un monastero vivendo in santità.
    La leggenda ha alcune varianti: una, racconta che Agnese, cacciata dal padre perché cristiana, fu affidata a due sgherri perché l’uccidessero; ma questi, mossi a compassione, la risparmiarono riportando al padre le vesti di costei sporche del sangue di un agnello ucciso in sua vece. Leggenda a parte, Agnese è da sempre venerata a Bagno.

    Un Re guarisce e gioca a pallone

    Nel 1829 l'ex re d'Olanda, Luigi Bonaparte, fratello di Napoleone, giunge a Bagno di Romagna da Firenze in portantina: è malato e spera di trovare rimedio ad una salute da sempre malferma. Le cure gli giovano talmente che, al termine del soggiorno, può partecipare attivamente ad un incontro di pallone in cui trascina alla vittoria i giocatori di Serravezza, opposti a quelli di S. Piero in Bagno.


    da: comunic.it

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    “Questo è il mio viaggio,
    il racconto della terra dove si dice nasca il vento.
    Una distesa vulcanica con una perla di giada. Il lago Turkana ."
    (Andrej Arsen'evič Tarkovskij, Tempo di viaggio, 1983)


    IL LAGO TURKANA



    La Great Rift Valley è una profonda frattura della crosta terrestre che separa Kenya e Tanzania, una fossa di oltre 4 mila chilometri che si è formata 10 milioni di anni fa a seguito della cosidetta "deriva dei continenti". All'interno di un Parco naturale tra i più ricchi del mondo, si trova il lago Turkana, un paradiso che fu l' origine dell'uomo. Perché in questa immensa distesa d'acqua (6.405 kmq) dal color della giada, tra montagne laviche, crateri, deserti lunari e foreste, si possono trovare i resti di quelli che si ritiene siano stati i primi uomini ad abitare sul globo terrestre.
    È il più grande lago permanente in luogo desertico ed è anche il più grande lago alcalino del mondo. Lungo 257 km e largo all'incirca 31 km il Turkana più che un lago, è quasi un mare interno. Essendo un lago chiuso l'acqua è leggermente salata, calda e con una sabbia scura. E' quasi completamente all'interno dei confini del Kenya; solo la parte settentrionale, in corrispondenza del delta del fiume Omo, si trova in Etiopia. Unico affluente il fiume Omo che dall'Etiopia riversa enormi quantità di limo e sedimenti. Altissima è l'alcalinità delle acque dovuta ad una forte percentuale di carbonato di sodio. Diverse le interpretazioni e gli appellativi con cui è conosciuto: Mare di giada, lago degli inganni, ma quello che appare univoco è l'idea di trovarsi in un'Africa ancora autentica. L'elevata evaporazione e la siccità degli ultimi secoli ne stanno modificando i tratti. Dopo molti anni di forte calo del livello del lago dovuto a una costante situazione di siccità, nel 2006 la situazione è stata completamente sovvertita, con forti alluvioni in particolare del fiume Omo.
    Il lago venne chiamato "lago Rodolfo" in onore del principe austro-ungarico Rodolfo d'Asburgo-Lorena dagli esploratori Sámuel Teleki e Ludwig von Höhnel, che furono i primi europei a raggiungerne le sponde (1888). Dal 1975 ha ripreso il suo nome storico, quello dell'etnia dei turkana, che abitano la regione circostante il lago. Il conte Teleki lo scoprì la prima volta il 5 Marzo 1888. Quasi tutta l'area, ma in modo particolare la zona meridionale è una grande desolazione, con enormi distese di roccia lavica da cui spuntano isolate e sparute acacie. Qui di trovano i vulcani Teleki e Nabuyaton "lo stomaco d'elefante" dei Turkana. L'isolamento del lago è dovuto a due i fattori ambientali: le condizioni quasi estreme del territorio con temperature che oscillano in tutto l'anno tra i 40 e i 60 gradi e le vie di accesso, piste dure e faticose. Arthur Rimbaud, un amante dell'Africa, ci veniva spesso e percorreva a piedi «sentieri spaventosi» per potersi godere le meraviglie del lago. Loyangalani, sulla riva sud orientale del lago è l'unico centro abitato, attorno ad esso sono nati tre villaggi e dalla forma delle capanne è possibile riconoscerne l'etnia. Quelle a cupola ricoperte con pelli e foglie di palma sono dei Samburu; a tucul ed interamente di paglia sono dei Turkana; quelle di forma quadrata con il tetto in paglia sono dei Rendille. Etnie che convivono pacificamente. “I guerrieri più sanguinari dell’Africa orientale”,” eredi inriducibili dell’Africa precoloniale”….così, tra storia e leggenda, si presentano i Turkana. Pastori nomadi di indole guerriera, sono l’etnia più remota ed estranea alla cultura occidentale del Kenya. Tutta l’economia dei Turkana e la loro stessa vita, i rituali comunitari, l’alimentazione, ruotano intorno al bestiame: bovini, dromedari, capre e asini.

    Il lago Turkana non a caso è conosciuto come la culla dell'umanità per via dei numerosi ritrovamenti dei nostri progenitori. Camminando lungo le rive del Turkana, in un paesaggio lunare, è facile imbattersi in fossili e utensili in pietra usati, secondo gli antropologi, dagli antenati dell'Homo Sapiens e ancheresti fossili di testuggini giganti e di coccodrilli nilotici (crocodilus cataphractus) lunghi fino a 9 - 10 metri. Qui milioni di anni fa ha avuto inizio il lungo cammino evolutivo dell'uomo. Una serie continua di rinvenimenti si sono succeduti grazie ai membri della famiglia Leakey. Richard Leakey, grazie all'appoggio del governo del Kenya ha istituito nel 1970 il parco nazionale Sibiloi a protezione dei siti paleoantropologici di Koobi Fora. I resti degli ominidi sono visibili al Museo nazionale di Nairobi. Il Sibiloi si trova sulla sponda orientale del lago, quella più accidentata ed inospitale con immense distese di detriti e rocce laviche. In queste acque c'è la più grossa concentrazione di coccodrilli del Nilo (crocodilus niloticus) lunghi oltre 6 metri.

    IL CONTE TELEKI VON SZECK



    Il conte Teleki von Szeck era un nobile asburgico di rango: bon vivant, piuttosto bene in carne (gli africani lo chiamavano Bwana Tumbo, il “Signor Pancia”), di carattere socievole e buon conversatore. Celibe fino alla fine dei suoi giorni, spese la propria vita tra occasioni mondane, impegni politici, battute di caccia e viaggi. Era immensamente ricco. Benché buon scrittore, come testimoniano le sue lettere al principe Rodolfo, non scrisse una sola riga sul viaggio che lo rese famoso, probabilmente per pura indolenza. La molla che fece scattare il desiderio di un viaggio in Africa non fu certo spinta dalla brama di gloria: Teleki era restio ad assumersi impegni troppo gravosi e voleva semplicemente divertirsi, collezionando trofei di caccia. La regione del lago Tanganyka, sua prima meta, era già selvaggia a sufficienza per i suoi scopi. Fu quasi a malincuore che cedette ai consigli del suo illustre amico, il principe Rodolfo d’Asburgo: trasformare una battuta di caccia in un viaggio di scoperta verso terre ancora sconosciute. Come compagno di viaggio e suo luogotenente il conte scelse Ludwig von Hönhel, uno sconosciuto ufficiale di marina.[..] Nell’ottobre del 1886 von Honel giunse a Zanzibar per predisporre la logistica e assumere le famose guide locali Jumbe Kimemeta e Qualla Idris. Teleki partì da Pangani, sulla costa dell’odierna Tanzania. La spedizione, equipaggiata con circa trecento armi da fuoco, contava oltre 670 effettivi ed era così composta: 450 portatori, 200 Zanzibariti (con compiti più specializzati), 9 guide, 9 soldati e 7 asinai. Inoltre seguivano il corteo 25 asini, una mandria di 21 vacche e 60 tra pecore e capre.
    Per trovare i fondi per l’impresa Teleki vendette una grossa proprietà terriera e un diamante di grande valore storico, già appartenuto ai suoi antenati. Le spese complessive ammontarono a 130.000 Corone, equivalenti in valore a 40 chilogrammi d’oro (ovvero, alla quotazione attuale, 1.600.000 Euro). Oltre al materiale da campo, agli effetti personali e alle scorte di viveri, nel bagaglio della classica spedizione ottocentesca in Africa figuravano stoffe, fili metallici, perline di vetro a altri articoli usati come doni e merci di scambio durante il percorso. Teleki ne acquistò quantità inverosimili, tanto che questa voce costituiva oltre la metà del carico al seguito della spedizione.[..] Qualche giorno dopo la partenza gli esploratori cercarono di stilare un inventario, assegnando ad ogni portatore il suo fardello, pari a circa 35 chilogrammi.
    Dal diario di Ludwig von Hönhel:
    “Allora iniziammo ad occuparci della revisione dell’ equipag-
    giamento della spedizione, accatastato in un mucchio talmente consistente nel mezzo dell’accam-
    pamento da impedire l’accesso alle nostre tende.
    Avevamo: - tende, tavoli, sedie, letti, valige piene di vestiti, strumenti, etc.: 65 carichi..- armi e munizioni: 35 carichi
    - articoli di uso quotidiano(sapone, tabacco, zucchero, tè, caffè, etc.): 44 carichi.. - medicine, bendaggi, filtri: 3 carichi
    - razzi ed esplosivi: 2 carichi.. - alcool: 1 carico.. - materiale per illuminazione: 3 carichi.. - seghe da legna, pale, asce: 4 carichi.. - utensili, ricambi, corde: 3 carichi.. - equipaggiamento per guadare fiumi e paludi (cavi robusti): 2 carichi
    - lubrificanti per fucili, etc.: 1 carico.. - riso: 5 carichi.. - cognac, vino, aceto: 4 carichi.. - imballaggi: 2 carichi
    - stoffe: 90 carichi.. - perle di vetro: 100 carichi.. - fili metallici: 80 carichi.. - cauri, catenelle di metallo, etc.: 5 carichi
    - moneta di rame(per la zona costiera): 3 carichi.. - battello smontabile in 6 parti di metallo, battello smontabile in 2 parti di tela: 22 carichi......Totale 470 carichi"


    Teleki e von Hönhel raggiunsero il lago Turkana il 5 marzo del 1888, un anno dopo la partenza da Zanzibar. Durante il percorso la spedizione perse oltre i due terzi dei componenti, fuggiti col proprio carico o uccisi in combattimento con tribù ostili. Teleki perse nel viaggio circa 30 chili del proprio peso.
    Sulle carte geografiche dell’Africa scompare l’ultimo Ignoto. Comincia la spartizione coloniale del continente.
    (Paolo Novaresio, pubblicato il 11 gen 2013 in Vite e avventure, www.luomoconlavaligia.it/)

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    “In base alla nostra storia, noi siamo gli indigeni della foresta di Mau.
    Senza foresta non possiamo sopravvivere.
    Raccogliamo i frutti spontanei della foresta,
    nella foresta cerchiamo il miele e cacciamo la selvaggina,
    e questo è il nostro modo di vivere”.


    IL MIELE DEGLI OGIEK


    Gli ogiek sono una delle più antiche tribù del Kenya, vivono nella foresta Mau e nella foresta vicina al monte Elgon, al confine con l’Uganda. Sono un popolo pacifico che credono la rabbia è una malattia. Vivono grazie alle risorse naturale della foresta: sono cacciatori e raccoglitori vivono nel cuore della foresta sostentandosi soltanto di caccia e raccolta, mentre la maggior parte coltiva anche ortaggi e alleva qualche animale. Tradizionalmente gli Ogiek cacciavano animali come antilopi e cinghiali, ma oggi non lo possono più fare, perché illegale. La loro attività principale è l’apicoltura. Un tempo questa attività era svolta esclusivamente dagli uomini, in particolare dagli anziani della comunità, gli unici autorizzati a costruire alveari e raccogliere il miele per non danneggiare gli alberi. Le arnie erano quelle tradizionali: grandi cilindri di cedro rosso, un legno resistente ai parassiti e al tempo, appese ad alberi ad alto fusto. Oggi, anche le donne praticano l’apicoltura, ma usano arnie collocate a terra (le cosiddette top bar). Gli uomini, invece, continuano ad arrampicarsi sugli alberi con l’aiuto di liane e raccolgono il miele dopo aver fumigato le arnie bruciando del muschio seccato.
    Sulle pendici della montagna, ad altezze differenti, gli alberi fioriscono in stagioni diverse permet-
    tendo a questo popolo di raccogliere miele durante tutto il corso dell’anno. Il miele ha un sapore che varia in base al periodo e alla stagione in cui è stato raccolto. Viene utilizzato come alimento, per la preparazione della birra e anche come merce di scambio con i popoli vicini, fuori dalla foresta. Il nettare preferito dalle api degli ogiek -api piccole e nere di razza africana- è quello prodotto dal fiori della Dombeya goetzeni, che fiorisce ad agosto e da un caratteristico colore grigio-biancastro e un sapore inconfondibile al miele. La raccolta di dicembre invece ha un colore giallognolo e quella tra febbraio e aprile è rossastra, quasi nera.

    All’inizio del ‘900 la foresta Mau fu pesante-
    mente sfruttata dagli inglesi, che avevano bisogno di legna per far funzionare le macchine a vapore; durante il dominio coloniale sono stati cacciati dalle loro terre, la commissione inglese esaminò il problema della terra, non li riconobbe come tribù vera e propria, ma come una popolazione vagante e abusiva. Dopo la seconda guerra mondiale, gli inglesi avviarono una campagna di riforestazione, introducendo però diverse piante esortiche, poco adatte all’apicoltura. Ma quando gli Ogiek vengono espulsi, la loro foresta perde i suoi migliori custodi e comincia ad essere sfruttata per il taglio e il trasporto del legname e per le piantagioni di tè – alcune delle quali sono addirittura di proprietà dei funzionari governativi. Le prime lottizzazioni della Foresta Mau iniziarono durante gli anni ’40 con l’allontanamento delle popolazioni locali e la creazione delle “White Highlands”. Tale processo continuò durante l’indipendenza, quando gli allontanamenti forzati di diverse comunità dalle loro terre divennero un fenomeno ricorrente. Durante il regime Moi (1978-2002), e soprattutto con il ritorno al regime multi-partitico nel 1991, la distribuzione dei lotti in cui la foresta Mau veniva via via suddivisa era il modo con cui ricompensare i sostenitori politici per la lealtà al capo. A partire dal 1980, lo sfruttamento della foresta Mau divenne sempre più grave, per far posto a piantagioni di te e di fiori, o per ricavare carbone o legname. Negli ultimi 20 anni è stato distrutto il 60 per cento della sua copertura arborea.

    La foresta è ricca di biodiversità e ospita numerose specie arboree autoctone come Olea africana, Dombeya goetzenii, Acacia spp, e Bamboo spp. Essendo su una scarpata, la vegetazione nella foresta Mau è distinto a diverse altitudini. Si compone delle foreste Afromontane e Afromontane di bambù a maggiori altitudini. La vegetazione iniziale è stata dominata dalla Neoboutonia macrocalyx. Le precipitazioni sono più alte e continue sul lato occidentale, dove non esiste una stagione secca, la media di pioggia annuale e al di sopra di 2000 mm. Sui pendii ripidi della scarpata, c'è una umida Foresta montana, caratterizzata da un misto di sempreverdi, semideciduo e latifoglie. Le specie arboree più comuni sono Cyathea manniana, Ensete ventricosum, eminens acanto e Lobelia gibberoa. Il lato orientale, che si trova in un'ombra di pioggia, sperimenta una distribuzione delle precipitazioni bimodale, con un picco nel mese di aprile e di nuovo in luglio/agosto, e la media annuale delle precipitazioni varia da 1.000 a 1.500 millimetri e c'è un tipo di ecosistema di foresta secca.Comprende principalmente di Juniperus procera, Hypericum revoltum, Olea capensis, latifolius Podocarpus e Dombeya goetzeni.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    NOVEMBRE

    NOVEMBRE

    Gemmea l'aria, il sole così chiaro
    che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
    e del prunalbo l'odorino amaro
    senti nel cuore...

    Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
    di nere trame segnano il sereno,
    e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
    sembra il terreno.

    Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
    odi lontano, da giardini ed orti,
    di foglie un cader fragile. E' l'estate
    fredda, dei morti..


    (GIOVANNI PASCOLI)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)



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    Voglio prendermi un pezzo di questo mondo
    e tutte le promesse del vento.
    (Michele Gentile)

  4. .

    Anche questo anno è passato il mio giorno speciale; quello degli auguri ricevuti, quello delle carezze dei sorrisi e delle belle parole e propositi. Anche questo anno in questo nostro luogo magico, sulla nostra Isola Felice, ci siamo riuniti per dedicare un pensiero, una carezza ed un augurio ad uno di questa famiglia allargata che è la nostra Isola Felice. Stavolta è toccato a me, è stato il mio turno. Vi chiedo scusa se lo faccio con un pò di ritardo, non è stata dimenticanza, neppure superficialità. Solo questa sera trovo un attimo per dedicarmi a voi AMICI SPECIALI che mi avete fatto dono di un pensiero, di una carezza. Grazie Gabry, Lussy, Gina, Giulia, mammannaskitchen, Mike, Augusto...e a tutti coloro anche solo per un attimo hanno ricordato nella loro mente questo giorno speciale per me. A tutti voi va il mio più grande ringraziamento ... un GRAZIE senza fine perchè mi avete regalato grandi emozioni ma soprattutto la certezza che non sarò mai solo ... Grazie ancora davvero dal profondo del cuore ...
    (Claudio)












    Il coraggio dell’amicizia



    Si narra che nella foresta di Akima, vivesse un branco di lupi guidato da una giovane femmina. Il suo nome era Redrose. Aveva il manto bianco ed occhi di fuoco. Per cercare cibo, erano costretti a spostarsi, poiché con la crescita della città, la vegetazione era diminuita e di prede ne erano rimaste poche. Redrose era buon capobranco e tutti, anche i lupi più anziani ubbidivano ai suoi comandi.

    Nella cittadina vicino, si era da poco trasferita una famiglia che possedeva un batuffolo di nome Nuvola. Era un dolce gattino bianco di pochi mesi. Curioso ed intraprendente. Data la sua giovane età, non conosceva nulla del mondo, neanche la paura.

    Spinti dalla fame, di notte il branco si avvicinava alle case e la popolazione spaventata, aveva assoldato dei cacciatori.

    Fu proprio in una di queste notti che ci fu l’incontro.

    Nuvola amava girovagare nel buio. Aveva anche trovato il modo di uscire in giardino, senza essere visto. Di certo non dagli essere umani, ma dagli altri animali sì. Difatti, Redrose il cui compito era quello di procacciare il cibo per il branco, annusando l’aria, lo sentì.

    Molto lentamente gli si avvicinò. Le sarebbe bastato un balzo per prenderlo, quando lui senza alcun timore la guardò.

    “Ciao, mi chiamo Nuvola” disse tranquillo “Sono appena arrivato in città. Tu chi sei?”

    Redrose pensò che fosse l’animale più stupido o più coraggioso che avesse mai incontrato “Dovresti aver paura di me. Sono un lupo” rispose.

    In quel momento un rumore fece voltare entrambi. I cacciatori stavano arrivando. In un lampo Redrose sparì nella notte.

    Nuvola era tutto eccitato da quell’incontro che, avrebbe voluto dirlo a qualcuno, ma si rese conto che non aveva amici a cui raccontarlo.

    La sera successiva il piccolo si sistemò sul davanzale della finestra, in attesa della sua nuova amica. Perché era così che lui, la considerava. Al calar delle tenebre due occhi rossi, si fecero largo tra il fogliame.

    “Ciao sei tu, sei arrivata!” urlò Nuvola contento.

    “Sì, sono qui per te” rispose il lupo leccandosi i baffi “Avvicinati piccolo”.

    Il gattino non se lo fece ripete e saltò giù dalla finestra. Gli altri lupi assistevano alla scena. Quella sarebbe stata la loro cena.

    Redrose stava per balzare su di lui, quando si udì un colpo sordo nell’aria. Il lupo si accasciò a terra privo di sensi.

    Il branco si disperse fuggendo nella foresta. I cacciatori erano riusciti a catturare il grande lupo bianco. Nuvola assisté alla scena. Che cos’era accaduto?

    Adesso la stavano caricando sopra un furgone. Dove l’avrebbero portata? Vide il chiarore dei fari allontanarsi. La notte seguente il gattino si mise sul davanzale aspettando Redrose, che non arrivò e così decise di avventurarsi fuori dal giardino alla sua ricerca.

    Notò in lontananza qualcosa che si muoveva. Era il branco affamato. Per quanto la somiglianza con la sua amica fosse notevole, non si fidò nell’andargli incontro, anzi pensò di osservarli di nascosto perché c’era qualcosa in loro che non gli ispirava fiducia.

    “Adesso che cosa facciamo?” domandò un orrido lupo grigio.

    “Dobbiamo aiutarla” rispose uno degli anziani “Sappiamo che è stata rinchiusa in un laboratorio e che domani sarà portata chissà dove oppure uccisa.”.

    Nuvola a quelle frasi ebbe un sussulto che per fortuna, nessuno udì.

    “Rischiamo di farci catturare tutti” esclamò subito Riak. Un feroce lupo ansioso di prendere il posto di Redrose al comando del branco “Purtroppo per lei non c’è più nulla da fare”.

    L’anziano continuava ad insistere “Non è nella nostra natura lasciare i compagni in difficoltà”

    Ma Riak riuscì a convincere gli altri. Avevano così decretato la fine del grande lupo bianco.

    Il gattino non riusciva a comprendere questo comportamento. Perché avevano voltato le spalle ad un loro simile? Non si dovrebbe aiutare il prossimo in difficoltà? Decise allora che l’avrebbe aiutata lui.

    “Un’amica non si lascia nei guai”, pensò “Ricordo la direzione che ha preso il furgone. Basterà fare la stessa strada e lo ritroverò e con lui anche la lupa”. Detto questo, s’incamminò.

    Era una notte limpida, con una grande luna che illuminava tutto come se fosse giorno. Il piccolo camminava piano, voltandosi a destra ed a sinistra. Trascorse molto tempo prima che notasse qualcosa di familiare. In un cortile era posteggiato l’automezzo.

    “Bene!” pensò. Davanti a lui si ergeva un edificio con tante finestre, ed un grande portone. Si sedette un momento per pensare “Vediamo, come faccio per entrare?” Poi notò che al primo piano una di queste finestre era aperta. “Basterà arrivare lassù.”

    Il piccolo però non era ancora un bravo scalatore e si accorse, troppo tardi, che non solo soffriva di vertigini, ma che non aveva molto equilibrio. Non si perse comunque d’animo e pien di coraggio, iniziò la scalata, saltando di qua e di là giunse sul cornicione. Ancora un paio di metri e sarebbe entrato.

    “Non devo guardare giù” pensava avanzando “Altrimenti perdo la concentrazione e cado”. Ripetendo questa frase arrivò all’apertura.

    Entrò in una stanza dove si trovavano alcune gabbie ed in una di queste c’era la sua amica distesa a terra. Aveva gli occhi chiusi e non si muoveva.

    “Spero di non essere arrivato tardi” e con il cuore che gli batteva all’impazzata la raggiunse e cominciò a chiamarla.

    Redrose aprì gli occhi e si voltò “Piccolo, che cosa ci fai qui?” domandò molto sorpresa nel vederlo.

    “Sono venuto a liberarti”. Detto questo si arrampicò sulla gabbia e con tutta la forza che aveva, spostò il catenaccio che chiudeva la serratura.

    La lupa era sempre più stupita da quello che Nuvola stava facendo per lei.

    Ancora un piccolo sforzo ed il lucchetto si aprì. Redrose era libera.

    “Con due balzi salì sulla finestra” poi si voltò verso il gattino “Dai vieni, seguimi”.

    Nuvola le andò dietro, come un cucciolo con la sua mamma. Finalmente erano fuori. La prima iniziò a correre, poi d’un tratto si voltò e vide che il gattino non riusciva a raggiungerla. Era troppo piccolo, così tornò indietro ed avvicinandosi piano, spalancò la bocca e lo afferrò per il collo. Una morsa forte, ma non fatale. E correndo più veloce del vento, si allontanò. In prossimità dell’abitazione di Nuvola, lo lasciò.

    “Perché mi hai aiutata?” gli domandò “Non sai che io ero pronta a mangiarti?”

    “Non credo che lo avresti fatto” rispose il gattino “So che tu, in fondo sei buona e noi siamo amici, anche se diversi” poi continuò “Gli amici si aiutano nel momento del bisogno, anche a rischio della propria vita. E’ questa la vera amicizia.”

    Redrose era meravigliata da tanta saggezza “Sei così piccolo” disse “ma il tuo cuore è grande e sei coraggioso. Non cambiare mai.”

    La lupa ritornò nella foresta e raggiunse il branco, dove tutti o quasi, l’accolsero contenti.

    Da quella notte, continuarono le loro razzie in città in cerca di cibo, ma Nuvola era intoccabile. Era diventato la piccola mascotte del gruppo.

    Sono trascorsi ormai tanti, tanti anni eppure si racconta che nelle notti di luna piena, di avvistino delle ombre per le strade. Esattamente quelle di un lupo e di un gatto. Redrose e Nuvola, le cui anime legate in eterno per il grande gesto di amicizia e coraggio, continuano a camminare fianco a fianco..


    (Fiaba di: Dora )



    Edited by loveoverall - 31/10/2015, 00:55
  5. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 044 (26 Ottobre – 01 Novembre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    <blunedì, 26 Ottobre 2015
    S. EVARISTO PAPA

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    Settimana n. 44
    Giorni dall'inizio dell'anno: 299/66
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    A Roma il sole sorge alle 06:36 e tramonta alle 17:12 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 06:55 e tramonta alle 17:19 (ora solare)
    Luna: 5.00 (tram.) 16.49 (lev.)
    Perigeo lunare alle ore 14 - distanza: km. 358.471.
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    Proverbio del giorno:
    Quando Dio non vuole, i Santi non possono
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    Aforisma del giorno:
    L'ansietà è uno dei maggiori traditori che la vera virtù e soda devozione possa mai avere; finge di riscaldarsi al bene operare, ma non lo fa, se non per raffreddarsi, e non ci fa correre, per farci inciampare e per questo bisogna guardarsene in ogni occasione, particolarmente nell'orazione; e per meglio riuscirci, sarà bene ricordarsi che le grazie ed i gusti dell'orazione non sono acque della terra ma del cielo, e che perciò tutti i nostri sforzi non bastano a far cadere, benché sia necessario il disporsi con grandissima diligenza sì, ma sempre umile e tranquilla: bisogna tenere il cuore aperto verso il cielo, ed aspettare di là la celeste rugiada.
    (S. Pio da Pietrelcina)









    RIFLESSIONI



    ...IL TEMPO…
    ... Scruto l’orrizzonte; ho trovato il luogo che mi piace, affascinante, dove il cielo e la terra si congiungono, dove i piedi penzolano nel vuoto e toccando la roccia lasciano cadere da essa piccoli frammneti che si perdono nel vuoto, nel silenzioso cadere verso il nulla. La vita cosa è se non il correre, camminare, viaggiare, in una parola spostarsi da un luogo ad un altro, da un tempo ad un altro. Anche quando a noi sembra di essere fermi in fin dei conti viaggiamo, ci spostiamo da un attimo ad un altro, da un minuto, un’ora, un giorno, un mese, un anno ad un altro. La vita, Intesa come esistenza, altro non è che un viaggiare senza fine, uno spostarci se non altro nel tempo. Vivo da sempre questa certezza, il mio stato d’animo circa il tempo, il suo scorrere è stato sempre questo. Il tempo non è nemico, non è colui che ci priva di qualcosa, esso è il compagno silenzioso del nostro muoverci, è la strada che percorriamo, è la rotaia, l’asfalto il mare, il cielo. Attraverso di esso la nostra vita, esistenza, assume spessore valore e significato. Su quel costone di roccia sospeso nel vuoto ricreo la mia esistenza. Lì prende corpo il mio vivere; anche lì, sospeso nel vuoto, mi sposto nel tempo ascoltanto i miei pensieri, le mie emozioni scorrere liberi. Sospesi nel “vuoto”abbiamo l’obbligo di dar corpo contenuto e forma alla nostra esistenza. Il tempo è strumento, attraverso esso possiamo riempire e abbellire quel vuoto. Ho sempre pensato che chi si lamenta del tempo, è una persona che non potrà mai essere felice. Su quel costone sono costretto a scrutare l’orizzonte, è li stagliato davanti a me come a sfidarmi. Ma ciò che mi rende felice, è tutto ciò che c’è intorno, le nubi che fanno giochi tra di loro creando forme che stimolano la mia immaginazione e le mie emozioni; le fronde degli alberi sono come mani tese che cercano di trovare luce ed ossigeno. Le strade sotto sembrano piccoli tratti di un pennello che un pittore si è divertito a tracciare, scarabocchi che interrompono la continuita dei colori di case e fiori. L’orizzonte che sarebbe la cosa che ho più facile ed immediata da vedere, in realtà non lo osservo proprio mai; la mia attenzione è rivolta a tutto ciò che riempie quello spazio e che vive abbellendolo il tempo. Mai guardare troppo a lungo l’orizzonte del tempo; si perde la bellezza del nostro vivere quotidiano. Il tempo ci mostrerà ciò che viviamo e vivremo, sta a noi godere di tutto ciò che di bello vedremo. Ieri era il mio compleanno, ne ho fatta di strada percorrendola insieme al mio amico tempo … Buon Ottobre amici miei … (Claudio)






    Trova il tempo
    Trova il tempo di riflettere,
    è la fonte della forza.
    Trova il tempo di giocare,
    è il segreto della giovinezza.
    Trova il tempo di leggere,
    è la base del sapere.
    Trova il tempo d'essere gentile,
    è la strada della felicità.
    Trova il tempo di sognare,
    è il Sentiero che porta alle stelle.
    Trova il tempo di amare,
    è la vera gioia di vivere.
    Trova il tempo d'essere contento,
    è la musica dell'anima.
    (Antica ballata irlandese)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    Vendemmia

    Pende dai tralci
    l'uva matura:
    senti per l'aria
    della pianura,
    uomini e donne
    lieti a cantare
    nel vendemmiare?

    Grappoli d'oro
    grappoli neri
    cadon nei cesti
    e nei panieri;
    di poi pigiati
    messi nel tino,
    danno il buon vino.
    (Web)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    La bella favola del pesciolino nero

    C’era una volta un pesciolino nero che viveva nell’acqua della sorgente, in uno stagno
    chiamato “il posto formato da dove nasce l’acqua”.
    Tutti i giorni il pesciolino nero si domandava: “dove va a finire tutta quest’acqua?, che
    strada fa? Da dove passa una volta che esce da qui? Perché scorre?”
    Finché un bel giorno il pesciolino nero andò dalla mamma e le chiese: “ Mamma dove va a
    finire tutta quest’acqua? Io voglio saperlo, voglio percorrere la stessa strada che fa lei
    fino in fondo!” La mamma lo guardò e così gli rispose: “Sciocchino, sciocchino, ma dove
    credi di andare, sei troppo piccolo, resta qui con noi. L’acqua della sorgente nasce e
    finisce qui, non c’è niente da scoprire”. E poi aggiunse: “Ah….questi piccoli che credono
    sempre di sapere tutto”.
    Ma il pesciolino non era convinto ed andò dal babbo a fargli la solita domanda: “Babbo
    dove va a finire tutta quest’acqua?” Il babbo lo guardò e così gli rispose: “L’acqua della
    sorgente nasce e finisce qui. Credi a me che so tutto, non va da nessuna parte. Io vivo
    qui da prima che tu nascessi, per questo lo so.”
    Ma il pesciolino non era convinto e lui girava, girava e si continuava a domandare: “Ma
    dove va a finire tutta quest’acqua? Da qualche parte deve pur andare una volta che esce
    dallo stagno.” E continuava a girare frenetico esplorando tutti gli anfratti ed i bordi
    dello stagno
    Finché un bel giorno andò anche dai suoi amici a chiedere: “Dove va a finire tutta
    quest’acqua secondo voi, ve lo siete mai chiesto?” E gli amici: “Sciocchino, sciocchino, ma
    che domande fai? Pensa a giocare con noi invece di farti queste domande. Sei troppo
    piccolo, resta qui con noi tranquillo a divertirti. L’acqua della sorgente nasce e finisce
    qui.” Il pesciolino nero non credeva nemmeno alle parole degli amici e girava, girava e si
    continuava a fare la solita domanda: “Dove va a finire tutta quest’acqua?”
    Finché una mattina il pesciolino decise: “Io questa mattina affronterò il grande viaggio”.
    E dopo aver salutato la famiglia e gli amici partì. Poco dopo si ritrovò davanti alla
    cascata, alla grande cascata dove l’acqua cade giù dall’alto. Il pesciolino era emozionato,
    non aveva mai visto un’acqua così; pensava alla famiglia, agli amici e pensò di gettarsi
    giù, giù in fondo.
    Dopo aver trapassato la cascata il pesciolino nero si ritrovò in un’acqua che faceva glu,
    glu. Era arrivato all’acqua rumorosa e agitata del ruscello.
    Lì l’acqua gorgogliava e il pesciolino non aveva mai visto un’acqua così e non aveva mai
    sentito un suono così; continuava ad essere sbattuto dalla corrente e a fare su e giù, giù
    e su e continuava a domandarsi tutto incuriosito: “Ma dove va a finire tutta
    quest’acqua?”
    Ad un tratto l’acqua del ruscello diventò calma ma tutta sporca, piena di schiuma,
    petrolio e plastica; era l’acqua dell’inquinamento, tutta pesante e puzzolente. Il pesciolino
    non riusciva a respirare e stava per affogare, la schiuma era dappertutto, lui pensava
    alla famiglia e pensava agli amici, ma era convinto ad andare avanti e così fece un altro
    grande salto.
    Ed arrivò in un’acqua lunga, era arrivato all’acqua del fiume. Quest’acqua era molto
    tranquilla e molto silenziosa. Lui nuotava in quest’acqua ed ascoltava questi suoni che non
    aveva mai sentito e continuava a domandarsi: “Ma dove va a finire tutta quest’acqua?”
    Ad un certo punto dietro una curva il pesciolino nero incontrò il grande granchio. Era un
    animale enorme, aveva due chele gigantesche, e quando si trovò davanti il pesciolino lo
    guardò e gli disse: “Cosa ci fai nella mia acqua? Adesso diventerai pasto per la mia
    colazione.” Il pesciolino nero lo guardò e così gli rispose: “Adesso vedremo”.
    E così iniziò una lotta tra il pesciolino ed il granchio. Il pesciolino nero cercava di
    scappare ma il granchio cercava di trattenerlo con le chele per prenderlo e mangiarselo.
    Il pesciolino cercava di fuggire ma non trovava via d’uscita. Si ripeteva: “devo andare
    avanti, devo andare avanti”; ma il granchio non gli dava scampo. Ad un certo punto il
    pesciolino con un colpo di coda si ritrovò dall’altra parte del fiume, davanti al mare. Era
    arrivato al mare, al grande mare, un mare d’acqua. Il pesciolino nero andava su e giù,
    non aveva mai visto un’acqua così. Era acqua salata, immensa, senza fine.
    Ad un certo punto il pesciolino nero, vide laggiù in fondo una pesciolina rosa, i due si
    guardarono ed all’improvviso si diedero un bel bacio.
    Il pesciolino nero ormai era stanco e stava per arrivare la notte. Allora, insieme alla
    pesciolina rosa decise di andare giù, giù in fondo al mare e si mise lì a riposare.
    A questo punto il pesciolino nero proseguirà il suo viaggio? O tornerà dai suoi genitori!
    Oppure rimarrà lì con la pesciolina rosa per vivere con lei altre avventure? Bohhhhh.
    Una cosa è certa: se non si fosse fatto tutte quelle domande non avrebbe mai scoperto
    tutte queste cose e provato queste emozioni.
    La sua vita da oggi in poi non sarà più quella di prima.

    (Samad Behrangi)



    ATTUALITA’


    Rino Gaetano, HappyBirthDAY per i 65 anni.

    Raduno per ricordarlo a Roma con cover band del nipote, Claudio Santamaria e Marco Baldini. Dopo il successo dello scorso 2 giugno, con 20 mila persone sotto il palco di Piazza Sempione a Roma per la V edizione del Rino Gaetano Day, presentata da Marco Baldini, l’Associazione culturale Rino Gaetano e la famiglia Gaetano annunciano il RINO GAETANO HappyBirthDAY, Raduno nazionale in occasione del compleanno del cantautore, che – il 29 ottobre – avrebbe compiuto 65 anni. La festa-concerto si terrà sempre nella capitale al PLANET LIVE CLUB (ex Alpheus).
    Rino Gaetano Day - 2015 - Associazione culturale italiana "Rino Gaetano" from Rino Gaetano Official on Vimeo.
    Ad aprire il consueto concerto della Rino Gaetano Band, capitanata dal nipote Alessandro, sarà la seconda mostra ufficiale di alcuni oggetti appartenuti al cantautore: effetti personali e strumenti con i quali impreziosì alcune sue apparizioni televisive, tra cui la fortunata partecipazione al Festival di Sanremo nel 1978.
    Sul palco ci saranno anche alcuni amici di Rino e della Rino Gaetano Band: Claudio Santamaria (già protagonista della fiction Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu), Marco Baldini, Enrico Gregori, David Gramiccioli, Angelo Sorino, Enrico Capuano, Gianni Mauro, Diana Tejera, Vanessa Cremaschi, Giovanna Famulari e Chiara Vidonis.
    (Ansa)





    Bolden (Nasa), mai così vicini a mandare uomini su Marte.

    Prima l'asteroide, poi il pianeta rosso. La Nasa non è mai stata così vicina a mandare uomini su Marte: parola dell'amministratore capo dell'agenzia spaziale americana, Charles Bolden, che parlando nel Centro per il Progresso Americano (Cap), ha osservato come, a cinque anni dalla sfida lanciata dal presidente degli Usa di inviare astronauti su Marte nel decennio 2030-2040, ''non siamo mai stati così vicini a mandare uomini sul pianeta rosso''.

    Bolden ha infatti confermato che la Nasa sta percorrendo la strada indicata dal presidente Obama, che prevede l'arrivo di astronauti su un asteroide fra il 2020 e il 2030 e l'arrivo su Marte fra il 2030 e il 2040. Un primo passo importante in questa direzione è stato prolungare la vita operativa della Stazione Spaziale Internazionale, estendendola almeno fino al 2024.

    Il secondo passo, la missione sull'asteroide, ha l'obiettivo di sperimentare le nuove tecnologie in grado di aprire la via verso Marte, prime fra tutte quelle relative a sistemi di propulsione avanzati. Un altro passo intermedio nel viaggio verso Marte è l'invio di un rover nel 2020: avrà il duplice compito di preparare l'arrivo dei primi uomini sul pianeta rosso e di raccogliere campioni marziani da portare a Terra.

    Su questa avventura incombe però un grande punto interrogativo: ''quello che non siamo ancora in grado di fare - ha detto Bolden - è assicurarci i finanziamenti necessari per completare il Programma dei voli commerciali'', che coinvolge complessivamente 350 aziende di 35 Paesi.

    Sui fondi che ancora mancano all'appello dovrà decidere il Congresso, ma l'amministratore capo della Nasa si considera ''un eterno ottimista''. Tanto da pensare ad un futuro ancora più lontano, quando ''la Nasa ed i suoi partner internazionale utilizzeranno marte come base per esplorare il resto del Sistema Solare''.
    (Ansa)





    Registrato il 'canto' delle dune.

    Nel deserto boati armonizzati come in un'orchestra. Le dune del deserto 'cantano'. Quando si muovono, si spostano infatti all'unisono, producendo un unico suono, simile a dei profondi boati, armonizzati tra loro come gli strumenti di un'orchestra. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'università di Cambridge, che sono riusciti a registrare il suono delle dune nel Parco nazionale della Valle della Morte in California.

    Il suono, descritto sulla rivista Physics of Fluids, è persistente e ha frequenze che oscillano tra i 70 e 105 Hertz, con armoniche più alte. Il 'canto' delle dune, un rimbombo monotono, che aumenta gradualmente di frequenza, corrisponde alla trasmissione di diverse onde tra le dune, quando si muovono e producono delle valanghe. ''Nell'arco di circa 25 giorni estivi - precisa Nathalie Maria Vriend, coordinatrice dello studio - siamo riusciti a esplorare e studiare il canto delle dune in California, che ci hanno 'rivelato' la fisica nascosta dietro i loro suoni''.

    I ricercatori hanno cercato di scoprire come i loro viaggiano attraverso la sabbia, misurando le caratteristiche delle onde di propagazione, come il movimento dei granelli di sabbia, la frequenza e l'energia del suono emesso. Hanno così scoperto che ci sono due diversi fenomeni acustici regolati da diverse leggi fisiche, cioè boati e rimbombi.

    Per misurare le vibrazioni sismiche nel terreno hanno adoperato dei geofoni, dei microfoni che raccolgono le vibrazioni acustiche nell'arie. ''Le onde viaggiano attraverso il movimento dei singoli granelli di sabbia della duna, esercitando una forza sul geofono che usiamo per le misure'', continua Vriend. I ricercatori sono anche riusciti a far 'risuonare' la duna, semplicemente con un colpo di martello su un piatto.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Suburra




    locandina


    Un film di Stefano Sollima. Con Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Greta Scarano


    12 novembre 2011. Silvio Berlusconi rassegna le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. La storia di Suburra, basato sul romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, comincia sette giorni prima, immaginando che proprio allora Papa Ratzinger prenda la storica decisione di abbandonare il ruolo di pontefice. Il film è dunque incorniciato da due abbandoni "paterni", è dedicato da Stefano Sollima al padre Sergio, e racconta l'assenza (o la defezione) delle figure maschili di riferimento nella società italiana, attraverso le avventure di un gruppo di uomini cui viene continuamente ripetuto di non essere all'altezza del proprio genitore.
    C'è Filippo Malgradi, politico corrotto e dissipato, che passa la notte con due escort, di cui una minorenne, e si caccia in un ginepraio senza fine. C'è Sebastiano, organizzatore di feste vip abituato a fare il vaso di coccio fra vasi di ferro. C'è Numero 8, giovane boss della malavita di Ostia che sogna di trasformare il litorale romano in una Las Vegas, come Bugsy Siegel. C'è Manfredi Anacleti, capo di un clan di zingari che vorrebbe fare il salto nel crimine di serie A. E ci sono Sabrina, l'escort che fornisce la "carne fresca" a Malgradi, e Viola, la compagna tossica di Numero 8. I destini di tutti i personaggi sono destinati ad incrociarsi illuminando il legame che esiste da sempre (o almeno dai tempi della Suburra romana) fra criminalità e potere politico.
    Dopo il coraggioso ACAB e la serie televisiva Gomorra, Sollima si cimenta con questo "romanzo criminale" cercando di dargli il respiro della lunga serialità, ma sacrificando nell'impresa molti snodi narrativi che sarebbero necessari per capire fino in fondo la trama: qui e là la sceneggiatura, firmata da Stefano Rulli e Sandro Petraglia oltre che da De Cataldo e Bonini, dimentica infatti di comunicare al pubblico dettagli importanti sul come, il quando e il perché avvengano determinati eventi e scambi di informazioni. A molti spettatori questo non importerà, presi come saranno dall'incalzante ritmo narrativo che Sollima imprime alle vicende e a i personaggi: la sua regia è impeccabile, energica, bizantina, fa leva su inquadrature calibrate al millimetro e sulla fotografia opulenta di Paolo Carnera. In questo senso Suburra è una goduria per gli occhi e avrà quel riscontro del pubblico che cerca incessantemente.
    Azzeccato anche il cast, su cui giganteggia Pier Francesco Favino in un'interpretazione che ha mille sfumature, evidenti già dalla prima scena. Il lavoro che Favino opera sulla voce, sulla postura, su uno sguardo che passa dalla morte dell'anima alla virulenza dell'istinto vitale è da Actor's Studio (e da incetta di premi). Lo affiancano un solidissimo Claudio Amendola nel ruolo del Samurai, l'unico personaggio veramente adulto della storia (e non è una buona notizia, essendo il Samurai un ex componente della Banda della Magliana); Elio Germano, untuoso publicist senza spina dorsale; Alessandro Borghi, nitido e potente Numero 8; Giulia Elettra Gorietti, escort fragile e corrotta; Greta Scarano, tossica fedele e a suo modo coerente. Il pubblico si divertirà a capire a quale personaggio realmente esistitente ognuno dei personaggi fa riferimento niente affatto casuale (e anche l'Ama fa un cameo non accreditato).
    Il tallone d'Achille di Suburra resta la storia, che mostra sì una conoscenza approfondita delle dinamiche politiche e del sottobosco del generone romano, ma sembra conoscere (o capire) molto meno bene il mondo della criminalità, fumettizzandone i modi e i caratteri. Se i politici di Suburra e la corte dei miracoli di nani e ballerine sono riconoscibili alla lettera, i criminali sembrano gaglioffi da cinema, il che risulta ancora più evidente nell'accostamento (quasi impossibile da evitare) fra il film di Sollima e Non essere cattivo di Claudio Caligari, girato proprio fra i piccoli malviventi di Ostia (e cointerpretato da Alessandro "Numero 8" Borghi). Quel che è più grave è che, in questa ricostruzione del momento in cui l'Italia si è trovata "sull'orlo del baratro", non vengono messi in evidenza i prodromi della crisi di oggi, col risultato di mostrare un sistema di potere superato senza indicare in quale nuovo assetto si sarebbe riconfigurato.
    Suburra è ottimo cinema medio ma sceglie di rinunciare alla grandezza, dunque pur nella sua estrema piacevolezza (soprattutto estetica) non sposta in avanti l'arte cinematografica nel suo complesso, né accresce la nostra comprensione della società italiana contemporanea. Eppure Sollima avrebbe tutte le carte in regola per uscire dalla dimensione artigianale e prendere il volo, come ha già dimostrato in ACAB, attraverso quella cifra autoriale tutta sua: sporca, ambigua, scorretta come la vita, soprattutto in certi ambiti. La sua grandezza potenziale è visibile in alcuni scambi: quello fra il Samurai e Malgradi; fra il Samurai e sua madre; fra il Samurai e Numero 8. Non è un caso, essendo il Samurai l'unico padre (ancorché degenere) la cui "idea sopravvive nel cuore", in questa storia di figli bastardi i cui "i referenti non esistono più", dove tutti tradiscono tutti e nessuno crede più a niente.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    CASTELLO de HAAR



    Il castello De Haar È un castello in stile neogotico, il più grande e il secondo più visitato dei Paesi Bassi, dopo Muiderslot. Si trova in una zona di boschi e laghi vicino al villaggio di Haarzuilens, circondato da un fossato e un vasto parco di 445 ettari. Risalente al XIII-XIV secolo e ricostruito nella forma attuale tra il 1892 e il 1912 su progetto dell'architetto Pierre Cuypers. È il più grande castello dei Paesi Bassi. Il castello si trova nella via chiamata "Kasteellaan", nella parte occidentale del villaggio.

    Il castello, che fu eretto su depositi alluvionali del fiume Reno, è menzionato per la prima volta nel 1391, ma le sue origini risalgono forse al XIII secolo. All'epoca, l'edificio fu di proprietà della famiglia dei Van de Haar.
    Nel 1449, dopo la morte di Josyna van de Haar, che andò in sposa a Dirk van Zuylen, il castello divenne di proprietà della famiglia Van Zuylen van Nijevelt. L'edificio fu distrutto nel 1482 durante le lotte tra il vescovo e la città di Utrecht e in seguito ricostruito. Il castello si salvò dalla distruzione delle truppe francesi durante il Rampjaar nel 1672.
    Rampjaar significa anno del disastro, fa riferimento al 1672 quando l’esercito della Repubblica delle 7 Provincie Unite fu sconfitto in seguito all’attacco dell’Inghilterra, Francia, Baviera, Colonia e Monaco e una grande parte della repubblica fu invasa.
    Nel 1890, il castello, di cui esistevano soltanto delle rovine, fu ereditato da Étienne van Zuylen van Nijevelt, che sposò tre anni prima la baronessa francese Hélène Carline Betsy de Rothschild. La restaurazione fu il regalo di nozze che il barone ricevette da sua moglie. La nuova coppia di proprietari decise di ricostruire l'edificio, affidando il progetto al famoso architetto Pierre Cuypers. La ricostruzione durò vent'anni, dal 1892 al 1912. Le vecchie mura sono incorporate nella nuova costruzione del XIX secolo, Cuypers sottolineò la differenza tra il nuovo e il vecchio utilizzando un altro tipo di mattone per le nuove mura.
    Poiché la famiglia De Rothschild finanziò l’intera restaurazione del castello, all’interno sono presenti molti dettagli della famiglia come le stelle di David nei balconi della Sala dei Cavalieri, il motto della famiglia al centro della sala (a majoribus et virtute) e lo stemma della famiglia al centro della biblioteca. In un angolo della galleria del primo piano Cuypers fece mettere la propria statua.
    Gli interni del castello De Haar sono decorati con intagli in legno simili a quelli di una chiesa cattolica. Sono arredati con molte opere delle collezioni della famiglia De Rothschild. Tra queste antiche porcellane del Giappone e della Cina, antichi arazzi fiamminghi e quadri con illustrazioni religiose e una portantina del XVIII secolo della famiglia Tokugawan, Shogun giapponesi. Rimane solo un’altra portantina di una donna del Shogun nel mondo, è conservato nel museo di Tokyo.
    All’interno della Sala del Signore, alle estremità delle travi del soffitto ci sono delle punte dette “acchiappa fantasmi” perché si credeva che servissero per imprigionare i fantasmi durante la notte. Nella Sala da Ballo, il soffitto è in stile Art Nouveau decorato con fogli d’oro di 14 carati e illuminato da lampadine sospese, fu il primo esempio del lusso del XIX secolo.Le mattonelle della cucina sono decorate con gli stemmi delle famiglie che sono state proprietarie del castello, Van de Haar e Van Zuylen, furono realizzate specificamente per il castello a Franeker.

    Per realizzare il parco, nel XIX secolo, venne demolito il villaggio Haarzuilens, ad eccezione della chiesa che oggi è la cappella del castello. Fu costruito un nuovo villaggio a un km dal castello utilizzando i colori della famiglia Van Zuylen, il rosso e il bianco, che ancora oggi rimangono nel castello e nelle case di Haarzuilens.Il parco, progettato da Hendrik Copijn, ha molti giochi d’acqua e un giardino formale simile a quello di Versailles in stile barocco e paesaggi in stile inglese. Durante la seconda guerra mondiale molti dei giardini andarono persi perché il legno veniva utilizzato per accendere fuochi e il terreno per coltivare ortaggi. Oggi sono stati ripristinati.

    Nel 2000 la famiglia Van Zuylen van Nyevelt donò la proprietà del castello e i 45 ettari di giardini alla fondazione Kasteel de Haar, mentre il terreno circostante di 400 ettari fu acquistato dalla società olandese Natuurmonumenten.

    (Gabry)





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    foto:c1.staticflickr.com


    La musica del cuore



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    foto:gliamantideilibri.it



    I Grandi Cantautori Italiani



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    Piero Ciampi


    Piero Ciampi (Livorno, 28 settembre 1934 – Roma, 19 gennaio 1980) è stato un cantautore italiano.
    Piero Ciampi nacque a Livorno in via Roma, proprio di fronte alla casa ove nacque Amedeo Modigliani, dal secondo matrimonio del padre che era commerciante di pelli.

    Durante la guerra, a seguito dei furiosi bombardamenti che fecero migliaia di vittime tra i livornesi, la famiglia Ciampi sfollò nelle campagne pisane per tornare a Livorno solo diversi anni dopo la fine del conflitto quando la zona fu definitivamente bonificata.

    Terminate le scuole superiori si iscrisse alla facoltà di ingegneria dell'Università di Pisa ma la abbandonò dopo aver sostenuto circa metà degli esami. Tornato a Livorno formò, con i fratelli Roberto e Paolo, un trio in cui lui era il cantante. Per vivere però lavorava in una ditta di oli lubrificanti del porto fino a quando non partì militare.

    Il periodo del CAR lo svolse a Pesaro dove passava le serate in libera uscita suonando nei locali della zona insieme a tre commilitoni tra cui Gianfranco Reverberi. Già durante questo periodo si ricordano le sue grandi bevute, il suo carattere che lo porta a cercare la rissa. Ma era anche un uomo e poeta affascinante che poteva suscitare solo sentimenti estremi: odio o amore. E di lui si innamora anche la figlia del comandante a cui Ciampi scrive lettere ogni giorno: secondo Reverberi, «neanche Cyrano de Bergerac avrebbe saputo fare di meglio»....

    Nel 1961 Ciampi pubblica, per la Bluebell di Antonio Casetta, il suo primo disco (Conphiteor/La grotta dell'amore). Il nome che compare in copertina è quello di Piero Litaliano (riprendendo quindi, senza l'apostrofo e senza l'accento, il suo nomignolo parigino).

    Crepax passa alla CGD e Ciampi lo segue. Per questa etichetta inciderà altri singoli e, nel 1963 il suo primo album: Piero Litaliano (ristampato in cd nel 1990 con lo stesso titolo ma con il vero nome del cantante). L'album però non ha successo né di pubblico né di critica (se si eccettua il giudizio di Natalia Aspesi che scrisse «nei suoi versi ci si trova qualcosa di abbastanza poetico per riuscire incomprensibile all'amatore abituale di canzonette»).....

    Non fu un periodo felice per il cantautore. Tornò dapprima a Livorno e poi fu a Roma con Gaetano Pulvirenti (uno dei fondatori della Karim) che gli affidò la direzione artistica di una piccola etichetta discografica, la Ariel (nata alla fine degli anni '50). In questo periodo Ciampi si dedica a composizioni più orecchiabili e firma canzoni per altri interpreti; tra queste Lungo treno del sud nel 1962 per Tony Del Monaco, Nessuno mai mi ha mandato dei fior nello stesso anno per Katyna Ranieri, Nato in settembre e Ballata per un amore perduto nel 1963 entrambe per Georgia Moll, Autunno a Milano nel 1964 per la celebre Milly e soprattutto Ho bisogno di vederti che, cantata da Gigliola Cinquetti, arrivò quarta al Festival di Sanremo del 1965.

    Questa canzone fu poi ripresa, nello stesso anno, anche da Connie Francis, Wilma Goich e Memo Remigi; la incise poi anche lui, ma senza successo, così come non ebbe successo la Ariel che chiuse poco dopo.

    Nel 1967 esce per la casa discografica Sibilla Lucia Rango Show, un album della cantante Lucia Rango che contiene alcune canzoni nuove scritte da Ciampi su musiche di Elvio Monti (per la precisione Samba per un amore, Il tuo volto, Stasera resta qui, Primavera a Roma, Ti ho sognato e Sono stanca), più alcuni suoi vecchi brani cantati dalla Rango (Non chiedermi più, Fino all'ultimo minuto, Quando il giorno tornerà, Qualcuno tornerà e Hai lasciato a casa il tuo sorriso). Ne esiste un'incisione inedita del 1967 cantata a due voci da Piero Ciampi e Lucia Rango....

    Ad apprezzarlo e riconoscerne la grandezza di autore ed interprete sono solo alcuni amici dei primi anni milanesi tra cui Gino Paoli che da tempo interpretava sue canzoni e che riuscì a fargli avere un contratto con la RCA Italiana e un consistente anticipo in denaro che il cantautore livornese dilapidò senza incidere un solo pezzo. Ai concerti per lui organizzati partecipa spesso sbronzo, o insultando la platea. Nonostante la scontrosità dovuta all'abuso di alcool, coltiva comunque alcune amicizie, come quella col calciatore friulano Ezio Vendrame, suo caro amico in quegli anni, che durante un incontro allo stadio Appiani con la maglia del Padova fermò il gioco per salutare pubblicamente Piero, dopo averlo riconosciuto per caso sugli spalti.
    Continuò ad incidere con il consueto insuccesso mentre un qualche riscontro arrivò come autore: nel 1973 Bambino mio (scritta da Ciampi con Pino Pavone, un cantautore calabrese conosciuto da Ciampi nel 1960) fu cantata da Carmen Villani a Canzonissima (Villani aveva anche progettato di incidere un intero album con le canzoni di Ciampi, ma la RCA non approvò il progetto).

    Da segnalare, tra il 1970 e il 1971, la collaborazione con Dalida, che, in occasione di una celebre puntata di Senza rete, interpretò (per poi inciderla nel 1975), la canzone La colpa è tua (orchestrazione di Gianni Marchetti). Il testo, in realtà, è la rielaborazione, realizzata dallo stesso Ciampi, di un altro suo brano particolarmente significativo, Cara: un brano carico di una sottile inquietudine esistenziale, sottolineata dall'interpretazione di Dalida.

    Lo stesso anno Nicola Di Bari rifiutò Io e te, Maria, che comunque incise l'anno dopo. Ed è proprio nel 1974 che la carriera di Ciampi potrebbe avere l'ennesima svolta: Ornella Vanoni contattò Gianni Marchetti perché avrebbe voluto incidere un intero album con le canzoni di Ciampi, ma questi era introvabile e quando ricomparve ormai il progetto era stato realizzato da Nada, compaesana di Ciampi, con l'album Ho scoperto che esisto anch'io.

    Intanto Ciampi si trascinava da un club all'altro, spesso senza concludere i concerti e litigando con organizzatori, baristi e ascoltatori. In questi anni tornò spesso a Livorno.

    Del 1976 è la sua storica apparizione al Club Tenco: la serata viene registrata e anni dopo pubblicata anche su CD.

    Tra la fine del 1976 e gli inizi del 1977 Ciampi prova ad esibirsi in concerto con alcuni amici conosciuti alla RCA: sono Paolo Conte, Nada e Renzo Zenobi, ma le serate non riscuotono molto successo; viene anche registrata la trasmissione televisiva Piero Ciampi, no!, che la Rai trasmetterà il 3 agosto 1978 sulla Rete 2. In essa, un Ciampi in evidente stato di alterazione alcolica canta cinque brani in una ventina di minuti, introducendoli con riflessioni sulla vita, l'amore, la solitudine e altri temi affrontati dai suoi testi. In quegli stessi anni, anzi sin dalla prima metà del decennio, in pratica non c'è trasmissione musicale di Radio Capodistria - emittente jugoslava all'epoca molto seguita in Italia centro-settentrionale - che non mandi in onda un suo brano.

    Morì a Roma il 19 gennaio 1980 all'età di 45 anni per un cancro all' esofago, assistito dal suo medico, anche lui cantautore: Mimmo Locasciulli (che per ricordare l'amico incise, anni dopo, una delle canzoni di Ciampi: Tu no).




    fonte: wikipedia.org



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    foto:discografia.dds.it




    La grotta dell'amore

    Non precipitar dentro la grotta dell'amor
    perché mai ne uscirai, mai più.
    Non ti avvicinar perché quel viso che vedrai
    ha un sorriso che non scorderai.
    Pareti azzurre e ruscelli affacciati sul mar
    tra verdi scogli e pescator....
    Poi c'è un sentiero cosparso di perle e di fior
    e infin la grotta dell'amor.
    Non precipitar dentro la grotta dell'amor
    perché mai ne uscirai
    mai più.
    Pareti azzurre e ruscelli affacciati sul mar
    tra verdi scogli e pescator....
    Poi c'è un sentiero cosparso di perle e di fior
    e infin la grotta dell'amor.
    Non precipitar dentro la grotta dell'amor
    perché mai ne uscirai
    mai più.


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Compiono 90 anni i primi sci d'acqua.

    Fred Waller li brevettò, ma inventore fu ragazzo di Lake City. "Se posso sciare sulla neve, dovrei poterlo fare anche sull'acqua": sono nati cosi', dalla realizzazione improvvisa e tignosa di un diciottene di Lake city in Minnesota nel primo ventennio del '900, gli sci d'acqua.
    Era il giugno del 1922, quando Ralph Samuelson, giovane atleta, figlio di un meccanico di barche, inizio' a sperimentare, aiutato dal fratello, rudimentali attrezzi fatti con doghe di legno di barile e legati alle caviglie con lacci d'occasione, sulle acque del lago Pepin.
    Ma per la sua prima sciata compiuta a filo d'acqua ci vollero mesi, e il brevetto per la storica invenzione non ando' mai a Ralph, che non se ne era minimamente occupato. Alcuni anni dopo, esattamente il 27 ottobre del 1925, la patente per il design compiuto degli sci venne conferita a Fred Waller di Long Island, a New York, che li chiamo' "Dolphin Akwa-Skees". Si tratta dello stesso Waller che creo' il primo format widescreen per i film chiamato 'Cinerama'.
    Lo sci nautico - che fonde in un'unica attività lo sci da neve ed il surf, sfruttando pero' non i venti ma la velocita' di una barca - nasce quindi grazie proprio alla tenacia del figlio di un barcaiolo. Il primo tentativo fallimentare di Ralph fu quello di farsi trascinare su di un paio di assi di legno dritte come fusi dalla barca guidata dal fratello. Subito dopo fu la volta di provare gli sci da neve, sottili e troppo stretti per l'acqua. Finalmente, convinto della necessita' di un nuovo design, Samuelson si fece preparare da un falegname locale degli sci nuovi fatti di pino, lunghi 2,4 metri e larghi 23 centimetri. Lui stesso si invento' le punte curvate all'insu', bollendo il legno nella pentola da cucina della madre per ammorbidirlo e plasmarlo.
    La prima sciata di successo avvenne il 28 giugno del 1922, quando Ralph si fece trainare da un idrovolante alla velocità di 130 km l'ora e successivamente fece il primo 'salto sull'acqua' da una rampa unta di lardo per scivolare meglio.
    Ma nel 1937 Ralph si fratturo' la schiena durante una delle sue acrobazie, e smise di sciare sull'acqua per ritirarsi in una fattoria del Minnesota ad allevare tacchini. Il 22 gennaio 1977, il mondo lo riconobbe come l'inventore degli sci d'acqua e lo consacro' alla 'Water Ski Hall of Fame'.
    (Ansa)




    < Wta Finals: Agnieszka Radwanska batte Halep e torna in gioco.
    Romena fuori. Pennetta-Sharapova deciderà 2/a semifinalista. Agnieszka Radwanska ha battuto Simona Halep per 7-6 (5) 6-1 nel primo singolare della quinta giornata delle Wta Finals, il Masters tra le otto migliori tenniste della stagione in corso a Singapore, rientrando così in corsa per la semifinali, ormai precluse invece alla romena. La 26enne polacca, numero 6 del ranking e alla settima partecipazione al torneo, si è aggiudicata la quinta delle nove sfide con la 24enne Halep, quattro gradini più in alto in classifica e finalista l'anno scorso (ko con Serena Williams), al debutto al Masters. Seguirà, sul veloce indoor dello Sports Hub della città- Stato asiatica, il match tra le altre giocatrici del Girone Bianco, Flavia Pennetta e Maria Sharapova, già qualificata. Nei precedenti, l'azzurra, debuttante alle Wta Finals, è in vantaggio 3-2 sulla russa, all'ottava partecipazione e vincitrice alla prima, nel 2004. Nei primi due match del gruppo, la Radwanska ha perso sia con la Sharapova sia con la Pennetta; La Halep, invece, ha vinto con la Pennetta e perso con la Sharapova. Il secondo posto in semifinale se lo giocheranno Radwanska e Pennetta: alla brindisina basta vincere un set, anche perdendo con la siberiana, per qualificarsi
    (Ansa)




    Valentino Rossi non molla: "Da oggi lavoro per Valencia". Marquez: "Tutti hanno visto".
    Secondo media spagnoli per un componente della direzione gara il pilota è stato corretto. A Valencia Valentino Rossi andrà in pista e gareggerà fino alla fine per il titolo mondiale di motogp, nonostante il finale di stagione al vetriolo con Marquez. Lo ha annunciato lo stesso campione della Yamaha. ''Grazie a tutti per il fantastico supporto, leggervi mi ha aiutato a superare amarezza e incazzatura. Da oggi si lavora per Valencia''. Con un tweet sul suo profilo ufficiale il 'Dottore' ringrazia tutti i suoi fan e annuncia che correrà l'ultimo Gp a Valencia dopo tutte le polemiche per lo scontro in pista con Marquez a Sepang. Dal canto suo Marquez ora cerca di tenersi fuori dalla polemica: "Penso solo a Valencia, tutti hanno visto quello che è successo".
    Parole in difesa del comportamento di Rossi arrivano anche da uno dei giudici di Sepang. "Marquez ha portato la situazione al limite", "quello di Valentino non è stato un calcio" e "non c'è stato nessun insulto da parte del pilota italiano". A parlare ai microfoni di Cadena Cope, secondo quanto riportato dal "Mundo Deportivo", è Javier Alonso, uno dei tre giudici della "Direzione Gara" del Gran Premio della Malesia
    Una guerra di nervi che prosegue a colpi di aneddoti e dichiarazioni. Secondo quanto scrive il quotidiano spagnolo Marca, nell'infuocato dopo gara in Malesia un gruppo di fan del campione della Yamaha ha fatto irruzione nel box Honda per intonare cori e indirizzare insulti nei confronti del rivale spagnolo reo d'aver provocato il pilota pesarese. Tra i tifosi più accesi, come riporta Marca, c'era Maurizio Vitali, ex pilota e uomo di fiducia di Valentino.
    Il caso di Valentino Rossi e le sue scintille con Marquez a Sepang è arrivato fino a Palazzo Chigi. Il premier Matteo Renzi ha infatti avuto oggi, nel corso della sua giornata a Lima nell'ambito della missione in Sudamerica, una telefonata con il pilota marchigiano.
    Da Vasco Rossi a l'ex ct Marcello Lippi, passando per il presidente del Coni, tutta l'Italia si è schierata al fianco di Valentino Rossi. La Spagna invece difende il suo connazionale Marquez con titoli avvelenati.
    "Il Mondiale di Motogp è stato falsato", tuona Giovanni Malagò. "Valentino stesso ha riconosciuto di essere cascato nella provocazione. C'è una responsabilità da parte sua però io lo voglio assolutamente difendere e non per un fatto istituzionale. Credo così facendo si sia falsato il mondiale". Così il presidente del Coni parlando del contatto fra Valentino Rossi e Marc Marquez nel Gp di Malesia di MotoGp.
    E la petizione internazionale per chiedere l'annullamento della penalità al campione marchigiano su Change.org ha raggiunto quasi 500mila firme. "Ho visto il video tv dell'episodio tra Rossi, un episodio che non scalfisce l'immagine di un campione come Valentino, noi italiani siamo più democratici, le altre nazioni fanno sinergie ma non fatemi aggiungere altro...": così il presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio. "Valentino Rossi è caduto in un trappolone, io sto assolutamente con lui". Così Marcello Lippi, parlando nel programma di Radio 2 'Non è un paese per giovani', dopo quanto accaduto ieri nel Motomondiale. "Che tristezza chi dice che Valentino si meritava una punizione più grande. Come sempre, un grande campione suscita grande invidia", aggiunge Lippi. "Valentino ha sbagliato, però... Un po' di nervosismo, con tutto quello che gli è capitato, è comprensibile", le parole dell'ex ct della Nazionale di calcio. Quel gesto, vero o presunto, potrebbe macchiare la carriera di Valentino un po' come accadde per la famosa testata di Materazzi a Zidane nella finale Mondiale del 2006? "No, loro sono campioni e non hanno macchiato niente con quel gesto", conclude Lippi.
    (Ansa)

    (Gina)



    GLI STILISTI E LA MODA!!!




    Christian Dior
    L'interprete della donna


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    Christian Dior (Granville, 21 gennaio 1905 – Montecatini Terme, 24 ottobre 1957) è stato uno stilista e imprenditore francese.

    Biografia
    Christian-Dior-CollectionChristian Dior, figlio di un industriale, assecondò il desiderio dei propri genitori frequentando l'École des Sciences Politiques dal 1920 al 1925. Alla fine Dior lasciò gli studi, e grazie all'aiuto finanziario del padre nel 1928 riuscì ad aprire una piccola galleria d'arte, che però dovette chiudere pochi anni dopo per via del crollo dell'azienda di famiglia. Dal 1937 al 1939 lo stilista lavorò con Robert Piguet finché non fu chiamato per il servizio militare. Nel 1942, Dior cominciò a lavorare nella casa di moda di Lucien Lelong, dove lui e Pierre Balmain diventarono i principali stilisti.
    L'8 ottobre 1946 Dior aprì un suo atelier a Parigi con l'aiuto finanziario di be040061-1517_0x420Marcel Boussac, il re del cotone. Dior riuscì nell'impresa di rivoluzionare la moda degli anni quaranta, introducendo uno stile e un'idea di femminilità completamente nuovi. La donna di Dior aveva spalle arrotondate rispetto a quelle imbottite precedentemente in uso; gonna lunga a forma di corolla a venti centimetri dal suolo; vita di vespa ottenuta con un leggero bustino, la celebre guepière; tessuti raffinati e costosi, che sostituirono il panno usato durante la guerra. L'abbondanza di stoffa dei suoi modelli fu di non poco aiuto alla ripresa dell'industria tessile. La sua linea, detta New Look, fu lanciata nel 1947 in America, dove aprì nel 1948 la boutique Dior New York.
    Ogni anno Dior immise sul mercato nuove idee creando un'attesa ed una tensione continua. Al Corolle et "En Huit" del 1947 seguirono:
    1949 la linea illusione a pannelli intercambiabili.
    1950 la linea verticale con le gonne a tubo e braccia nude.
    1951 la linea lunga con gonne strutturate per dare più slancio al busto.
    1952 la linea sinuosa con la vita sciolta e la gonna più corta.
    1953 la linea tulipano che valorizzava il seno.
    1954 la linea H che uniformava il seno alla linea del corpo.
    1955 la linea A dalle gonne ampie e le spalle strette.
    1956 la linea a freccia che assottigliava la figura.
    1957 la linea a sacco o a fuso.
    Fu anche il primo ad associare sistematicamente lo stile degli accessori alla linea dei vestiti, vendendo, insieme ai modelli, scarpe, borse, foulard, profumi e perfino lo smalto per unghie. Dior estese la sua attività in 24 Paesi, e portò il suo giro d'affari a sfiorare il miliardo di lire dell'epoca, una cifra enorme.
    reneg1Morì al Grand hotel & La Pace di Montecatini. Dopo la sua morte la maison Dior ha continuato la sua attività con Yves Saint-Laurent, Marc Bohan, Gianfranco Ferrè, John Galliano e Raf Simons che ne ha assunto la direzione creativa per l'universo femminile nel 2012.
    La maison Dior oggi
    Al giorno d'oggi la maison Dior conta più di 200 boutiques in tutto il mondo di cui quattro in Italia (Milano, Roma, Firenze, Portofino).
    La maison Dior dà vita ogni stagione a nuove creazioni di:
    Abbigliamento femminile (prêt-à-porter, haute couture, accessori, calzature).
    Gioielleria e Orologeria.
    Abbigliamento maschile (prêt-à-porter, accessori, calzature).
    Abbigliamento per bambini (accessori, calzature).
    Profumi, maquillage e cosmesi.


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    “Nella sua opera non si trova un solo viso umano
    di cui non abbia volutamente sottolineato il lato spiacevole.
    Era un osservatore implacabile ma il suo pennello non mentiva”
    (Artur Huc)


    "Toulouse-Lautrec. Luci e ombre di Montmarte"

    dal 16 ottobre 2015 al 14 febbraio 2016



    La Parigi vista da Montmartre è una città diversa. Ma forse anche il mondo visto da lassù è diverso: alimentato da un divertimento decadente, forse anche un po' disperato. Ma è il mondo che piaceva a Toulouse-Lautrec e che da domani sarà raccontato nella mostra allestita fino al prossimo 14 febbraio a Palazzo Blu di Pisa: "Toulouse-Lautrec. Luci e ombre di Montmarte", curata da Maria Teresa Benedetti e organizzata da Fondazione Palazzo Blu e MondoMostre con il patrocinio del Mibact, della regione Toscana e del Comune di Pisa.

    "Attraverso la sua magnifica produzione di dipinti, locandine, litografie e manifesti, Henri de Toulouse-Lautrec è riuscito, più di chiunque altro, a descrivere e caratterizzare una città, uno stile di vita, i colori di una generazione e, più in generale, il vero stile di vita della Parigi di fine Ottocento, la Parigi del Moulin Rouge, di Montmartre, delle maisons closes; quel magnifico periodo in cui, a cavallo tra due secoli, la Ville lumiére era l’indiscussa capitale mondiale dell’arte.....Henri de Toulouse-Lautrec rappresenta un’epoca. Il Moulin Rouge e la collina di Montmartre devono gran parte della loro fama e popolarità alla fondamentale produzione grafica dell’artista di Albi....Nel periodo che divide Goya da Picasso solo l’opera di Daumier e di Degas può avvicinarsi alla sua produzione, ma nessuno di questi artisti è riuscito in un lasso temporale così breve, solo 10 anni, a creare così tanto.
    Dal 1891 al 1901, Lautrec realizza 351 litografie, 28 delle quali sono i celebri manifesti che l’hanno reso celebre e che oggi rappresentano dei veri e propri cliché visivi della Parigi che lui ritrae. La Parigi di Montmartre, del Moulin Rouge, dei cafè-concert e delle maison closes."
    (www.palazzoblu.org)


    Oltre 180 opere per un allestimento che racconta la straordinaria avventura umana e artistica del maestro di Albi, considerato un 'gigante' dell'arte europea a dispetto della piccola statura per colpa di una patologia simile al nanismo, vissuto appena 37 anni prima di essere ucciso dai suoi vizi (adorava bere e andare a prostitute): alcolismo e sifilide. La mostra si articola in un ricco percorso espositivo sviluppato in cinque sezioni: "Le star-luci e colori di Montmartre", dedicato al celebre quartiere parigino, "Il Teatro, l'opera e lo spettacolo d'avanguardia" comprende una serie di opere dedicate agli spettacoli teatrali, "Il Grande pubblicitario" con le opere grafiche del Lautrec pubblicitario, "Maison closes" che attraverso 11 litografie racconta la vita quotidiana delle prostitute, e "Nel segno. Le passioni", che racconta il Lautrec più intimo tra cavalli, circo, incontri e temi di vita quotidiana. Il catalogo della mostra, edito da Skira, raccoglie per la prima volta in lingua italiana l'opera grafica completa dell'artista e l'esposizione presenta non solo la produzione artistica di Lautrec, ma anche il suo mondo, il suo stile di vita con opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private francesi e internazionali. L'intera raccolta dei suoi più celebri manifesti, numerosi disegni, un'attenta selezione di dipinti e, per la prima volta in Italia, una delle più complete collezioni della sua opera grafica, composta da prime edizioni e numerose litografie con dediche originali dell'artista.
    Attraverso la sua produzione Lautrec è riuscito, più di chiunque altro, a descrivere e caratterizzare una città, i colori di una generazione e, più in generale, il vero stile di vita della Parigi di fine Ottocento, la Parigi del Moulin Rouge, di Montmartre e delle 'case chiuse'. La sua arte rappresenta un'umanità circoscritta, di cui condivide gioie e angustie, eccessi e debolezze in un universo popolato da personaggi stravaganti e pittoreschi, ritratti con intensità e furore. La mostra è arricchita anche da una selezione di opere degli 'Italiens de Paris', tra i quali spiccano Boldini, Natali, Zandomeneghi e Macchiati. (ANSA).

    Toulouse-Lautrec



    Genio poliedrico, attraverso la sua magnifica produzione di dipinti, locandine, litografie e poster, Lautrec è riuscito, più di chiunque altro, a descrivere e caratterizzare una città, uno stile di vita, i colori di una generazione e, più in generale, il vero stile di vita della Parigi di fine Ottocento, la Parigi del Moulin Rouge, di Montmartre, delle maisons closes; quel magnifico periodo in cui, a cavallo tra due secoli, la Ville lumiére era l’indiscussa capitale mondiale dell’arte e della cultura, in cui i più grandi artisti creavano e si influenzavano a vicenda nella continua ed incessante ricerca del nuovo.
    Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec, a differenza della maggior parte degli artisti della Scuola Francese che vivevano in condizioni di povertà e degrado, proviene da un’antica aristocratica famiglia del Sud-ovest della Francia, quella dei Conti di Toulouse. Il giovane Henri subisce le conseguenze dei frequenti matrimoni tra consanguinei, pratica ancora molto in uso nelle famiglie blasonate dell’epoca e per ciò è affetto da diverse malattie genetiche. A peggiorare le sue già precarie condizioni di salute, contribuiscono due sfortunati eventi, due cadute che in meno di due anni provocano al giovane la rottura di entrambe le gambe, le fratture rimangono ed i suoi arti inferiori smettono di crescere e ciò fa sì che il giovane Lautrec non supera neanche in età adulta il metro,52 di altezza.
    La sua infelice forma fisica, gli impedisce di svolgere le più diverse attività che svolgono i suoi coetanei e lo spinge ad immergersi totalmente nella sua arte. Emblematica la sua frase “ e pensare che non avrei mai dipinto se le mie gambe fossero state appena un po’ più lunghe ”. Ed è come reazione a questa menomazione e alla possessività della madre Adèle a cui scriverà in una lettera “qualsiasi essere privato della libertà si immiserisce e muore in breve tempo” che Henri decide di abbandonare la sicura casa patrizia e dedicarsi ai piaceri della Belle Epoque, passò infatti dalle costrizioni della vita nobiliare di fine Ottocento alla Bohème di Parigi.
    Finiti gli studi ed arrivato nella Ville Lumière frequenta lo studio di René Princeteau a rue de Faubourg Saint-Honorè, è questo il periodo in cui firma le sue opere con diversi pseudonimi quali Monfa, Tolav-Segroeg o Trecleau questo su richiesta del padre che non voleva infangare il buon nome della nobile famiglia. I suoi primi dipinti rappresentano per lo più scene di caccia, di vita nobiliare, cani e cavalli.
    Seguono poi i vari periodi di appren-
    distato presso gli studi di Alexandre Cabanel, Lèon Bonnat che sarà poi maedtro died è ora che Henri lega profonda-
    mente con il quartiere di MontMartre che così profondamente lo influenzerà. E’ questo anche il periodo in cui si avvicina ed esplora la produzione di “giganti” quali Degas o Van Gogh, ma è la visione del manifesto di Bonnard “France-Champagne” che segna una svolta nella sua carriera e lo spinge nel mondo della litografia, della grafica, che lo renderanno celebre in tutto il mondo, grazie ai manifesti che gli vengono commissionati dai più celebri locali parigini quali il Moulin Rouge, il Divan Japonais e Les Ambassadeurs.
    Nel 1893 si avvicina al mondo del teatro e inizia a rappresentare momenti di scena e ad illustrare programmi teatrali. La sua celebrità cresce e le più importanti riviste gli commissionano illustrazioni, su tutte il Figaro Illustré, il Courrier Francais o la Revue blanche. In poco tempo Toulouse-Lautrec viene definito “l’anima di Montmartre” e rappresenta nelle sue opere, nei suoi dipinti le scene di vita al Moulin Rouge, nei locali, nei teatri e soprattutto nelle celebri “maisons closes”, i “bordelli”, in cui Lautrec si installa per lunghi periodi intento a ritrarre questa realtà. Per non essere costretto a spostare le sue opere dallo studio avanti e indietro utilizza questi locali come fossero il proprio atelier, ma ciò suscita diverse dicerìe e pettegolezzi sul suo bizzarro stile di vita. Lautrec, tra l’altro, contrasse anche la sifilide frequentando quei locali, ma nonostante ciò nei suoi dipinti solo eccezionalmente ritrasse le prostitute in atteggiamenti erotici o compromettenti.
    Tuttavia il successo e il riconoscimento da parte dei committenti sono solo il verso positivo della medaglia, le conseguenze della sifilide e l’alcolismo mettono, infatti, a serio rischio la salute di Lautrec e ne risente fortemente anche la sua produzione artistica.
    Nei momenti di crisi si lascia andare a comportamenti folli e imbratta le sue tele, nel 1899 viene ricoverato in una clinica per malattie mentali, ma ne uscirà di lì a poco, per via del miglioramento del suo stato di salute in seguito alla privazione dell’alcool. Nonostante un ritorno a dipingere e a lavorare con vigore, l’illusione di una ripresa duratura è solo un bagliore, perché debilitato e allo stremo delle forze, Henri viene portato nella casa della famiglia a Malromè, nei pressi di Saint-Andrè-du-Bois dove muore il 9 settembre 1901, poco prima di compiere 37 anni.
    Grazie anche alla lungimiranza del vecchio compagno di liceo e gallerista Maurice Joyant, incaricato dal padre dell’artista di esserne il suo esecutore testamentario, Henri de Toulouse-Lautrec è considerato oggi uno dei più eclettici ed innovativi artisti europei, nonché l’icona di un’epoca. Joyant organizzò nel 1914 una retrospettiva dedicata al suo amico Henri e soprattutto convinse la madre dell’artista a donare l’enorme patrimonio di opere di Lautrec alla città di Albi, dove egli nacque e dove ancora oggi sono conservate nel fondamentale Museo Toulouse-Lautrec.
    (www.palazzoblu.org/)




    FESTE e SAGRE





    CIBI NEL MONDO....


    IL SALE DI CANNA


    Nelle aree del Kenya occidentale storicamente escluse dalle principali rotte del sale marino, le comunità locali hanno sviluppato un particolare metodo di estrazione da una pianta acquatica. Le origini di questa tecnica risalgano al XVII secolo – quando la comunità di Bukusu è emigrata dal Congo alla costa orientale. Oggi la produzione di sale di canna è molto limitata a causa della lavorazione, lunga e impegnativa, e l'importazione del sale marino, arrivato in seguito alla colonizzazione inglese. La deforestazione su larga scala ha inoltre causato una riduzione del livello del fiume Nzoia e la riduzione delle aree paludose in cui vive e cresce la pianta usata per il sale. La comunità Bukusu, nel villaggio di Nabuyole del distretto di Webuye, è l’unica che continua a produrre il sale secondo la tecnica antica, che è stata tramandata attraverso i secoli di generazione in generazione
    L’erba muchua è una canna sottile che cresce nelle acque del fiume Nzoia nella stagione secca, da settembre a marzo. Raggiunge un’altezza di circa due metri ed è pronta per la raccolta quando i fiori appassiscono e le foglie più alte sono quasi secche. . Sistemata in fasci sui massi lungo il fiume, si lascia essiccare e poi si brucia a fuoco lentissimo, anche per due o tre giorni. La cenere ottenuta è mescolata con acqua calda, filtrata e bollita. Quando tutto il liquido è evaporato, sul fondo si deposita una purea salata, che viene raccolta, confezionata in foglie di banana ed essiccate sotto la cenere calda per una notte intera. A volte si aggiunge del pepe, dando al sale un aroma speziato.

    LO YOGURT DI POKOT


    Lo yogurt con la cenere (mala ya kienyeji o kamabele kambou, in swahili) è un yogurt prodotto tradizional-
    mente nella regione del Pokot occidentale nella Provincia della Rift Valley, in Kenya. Da sempre, lo yogurt con la cenere ha rappresentato uno degli alimenti principali per gli abitanti delle comunità dei villaggi di Tartar e Soibee.

    Si tratta di un insolito tipo di yogurt, ottenuto da latte di zebù o di capra. Il latte viene lasciato riposare a temperatura ambiente dai tre a sette giorni all'intorno di un calabash, tradizionale contenitore ricavato dalle zucche. La fermentazione e l'acidificazione avvengono spontaneamente grazie alla naturale carica batterica del latte e dei recipienti.
    Quando lo yogurt è pronto, si aggiunge una cenere ricavata dalla combustione di un albero locale, il cromwo. La cenere, che ha potere disinfettante, dà allo yogurt un sapore più intenso e un caratteristico colore grigio chiaro.
    Il lavoro più importante riguarda la sanità animale e il progressivo miglioramento delle varie fasi di produzione, per ottenere buone quantità di latte di qualità, con maggiori garanzie dal punto di vista igienico-sanitario, pur nel rispetto delle tradizioni della comunità.

    (Gabry)





    FESTE E RICORRENZE!!!




    Halloween




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    Halloween è una festività anglosassone che, traendo le sue origini da ricorrenze celtiche (All-Hallows-Eve), ha assunto negli Stati Uniti le forme accentuatamente macabre con cui oggi la conosciamo. Si celebra la notte del 31 ottobre. L'usanza si è poi diffusa anche in altri paesi del mondo e le sue caratteristiche sono molto varie: si passa dalle sfilate in costume ai giochi dei bambini, che girano di casa in casa recitando la formula ricattatoria del dolcetto o scherzetto. Tipica della festa è la simbologia legata al mondo della morte e dell’occulto, così come l'emblema della zucca intagliata, derivato dal personaggio di Jack-o'-lantern.


    Storia
    La storia di Halloween risale a tempi remoti.

    Lo storico Nicholas Rogers, ricercando le origini di Halloween, nota che mentre alcuni studiosi hanno rintracciato le sue origini nella festa romana dedicata a Pomona - dea dei frutti e dei semi - o nella festa dei morti chiamata Parentalia, Halloween viene più tipicamente collegata alla festa celtica di Samhain (pronunciato [ˈsɑːwɪn] o [ˈsaʊɪn] in inglese), originariamente scritto Samuin (pronunciato [ˈsaṽɨnʲ] in gaelico)".[2] Il nome della festività, mantenuto storicamente dai Gaeli e dai Celti nell'arcipelago britannico, deriva dall'antico irlandese e significa approssimativamente "fine dell'estate".

    La tesi della derivazione di Halloween da Samhain fu sostenuta da due celebri studiosi di fine Ottocento, Rhŷs e Frazer: secondo il calendario celtico in uso 2000 anni fa tra i popoli dell’Inghilterra, dell’Irlanda e della Francia settentrionale, l’anno nuovo iniziava il 1º novembre.

    Nell’840, la festa di Ognissanti fu ufficialmente istituita il 1º novembre mentre era papa Gregorio IV: probabilmente questa scelta era intesa a creare una continuità col passato, sovrapponendo la nuova festività cristiana a quella più antica; a conferma di ciò, Frazer osservava che, in precedenza, Ognissanti veniva già festeggiato in Inghilterra, il 1º novembre. Questa tesi ha avuto amplissima diffusione (per esempio è data per certa dall'Encyclopaedia Britannica).

    Tuttavia lo storico Hutton l'ha messa in discussione, osservando come Ognissanti venisse celebrato da vari secoli (prima di essere festa di precetto), in date discordanti nei vari paesi: la più diffusa era il 13 maggio, in Irlanda (paese di cultura celtica) era il 20 aprile, mentre il 1º novembre era una data diffusa in Inghilterra e Germania (paesi di cultura germanica).

    Secondo l'Oxford Dictionary of English folklore: "Certamente Samhain era un tempo per raduni festivi e nei testi medievali irlandesi e quelli più tardi del folclore irlandese, gallese e scozzese gli incontri soprannaturali avvengono in questo giorno, anche se non c'è evidenza che fosse connesso con la morte in epoca precristiana, o che si tenessero cerimonie religiose pagane.L'associazione centrale col tema della morte sembra affermarsi in un periodo successivo, e appare evidente nella più recente evoluzione anglosassone della festa con le sue maschere macabre.


    Halloween in Irlanda in un quadro di Daniel Maclise (1832): Snap-Apple Night (pesca della mela e giochi divinatori presso Blarney).
    Dopo che il protestantesimo ebbe interrotto la tradizione di Ognissanti, in ambito anglosassone si continuò a celebrare Halloween come festa laica; in particolare negli USA, a partire dalla metà dell'Ottocento, tale festa si diffuse (specialmente a causa dell'immigrazione irlandese) fino a diventare, nel secolo scorso, una delle principali festività statunitensi.

    Negli ultimi anni la festività di Halloween ha assunto carattere consumistico, con un oscuramento progressivo dei significati originari. Festeggiamenti che durano interi weekend sono ormai tipici in tutti gli stati di influenza anglofona. Così in USA, Irlanda, Australia e Regno Unito, Halloween viene festeggiato come una "festa del costume", dove party in maschera e festeggiamenti tematici superano il tipico valore tradizionale del "dolcetto o scherzetto", per dar vita ad una nuova tradizione di divertimento, tipica di una gioventù cresciuta.

    Origine del nome
    La parola Halloween rappresenta una variante scozzese del nome completo All-Hallows-Eve, cioè la notte prima di Ognissanti (in inglese arcaico All Hallows Day, moderno All Saints).[8] Sebbene il sintagma All Hallows si ritrovi in inglese antico (ealra hālgena mæssedæg, giorno di messa di tutti i santi), All-Hallows-Eve non è attestato fino al 1556.

    Simboli
    Lo sviluppo di oggetti e simboli associati ad Halloween si è andato formando col passare del tempo. Ad esempio l'uso di intagliare zucche con espressioni spaventose o grottesche risale alla tradizione di intagliare rape per farne lanterne con cui ricordare le anime bloccate nel Purgatorio. La rapa è stata usata tradizionalmente ad Halloween in Irlanda e Scozia,[10] ma gli immigrati in Nord America usavano la zucca originaria del posto, che era disponibile in quantità molto elevate ed era molto più grande – facilitando il lavoro di intaglio. La tradizione americana di intagliare zucche risale al 1837 ed era originariamente associata con il tempo del raccolto in generale, venendo associata specificamente ad Halloween verso la seconda metà del Novecento.

    Il simbolismo di Halloween deriva da varie fonti, inclusi costumi nazionali, opere letterarie gotiche e horror (come i romanzi Frankenstein, Dracula e Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde) e film classici dell'orrore (come Frankenstein, La mummia, L'esorcista e Shining). Tra le primissime opere su Halloween si ritrovano quelle del poeta scozzese John Mayne che nel 1780 annotò sia gli scherzi di Halloween in "What fearfu' pranks ensue!", sia quanto di soprannaturale era associato con quella notte in "Bogies" (fantasmi), influenzando la poesia Halloween dello scrittore Robert Burns. Prevalgono anche elementi della stagione autunnale, come le zucche, le bucce del grano e gli spaventapasseri. Le case spesso sono decorate con questi simboli nel periodo di Halloween.

    Il simbolismo di Halloween include anche temi come la morte, il male, l'occulto o i mostri. Nero, viola e arancione sono i colori tradizionali di questa festa.



    Dolcetto o scherzetto in Svezia.
    Fare dolcetto o scherzetto è un'usanza di Halloween. I bambini vanno travestiti di casa in casa chiedendo dolciumi e caramelle o qualche spicciolo con la domanda "Dolcetto o scherzetto?". La parola "scherzetto" è la traduzione dall'inglese "trick", una sorta di minaccia di fare danni ai padroni di casa o alla loro proprietà se non viene dato alcun dolcetto ("treat"). "Trick or treat" (dolcetto o scherzetto) in realtà significa anche "sacrificio o maledizione". Esiste una filastrocca inglese insegnata ai bambini delle elementari su questa usanza.

    La pratica del travestirsi risale al Medioevo e si rifà alla pratica tardomedievale dell'elemosina, quando la gente povera andava porta a porta a Ognissanti (il 1º novembre) e riceveva cibo in cambio di preghiere per i loro morti il giorno della Commemorazione dei defunti (il 2 novembre). Questa usanza nacque in Irlanda e Gran Bretagna, sebbene pratiche simili per le anime dei morti siano state ritrovate anche in Sud Italia. Shakespeare menziona la pratica nella sua commedia I due gentiluomini di Verona (1593), quando Speed accusa il suo maestro di "lagnarsi come un mendicante a Hallowmas [Halloween]."

    Prospettive religiose
    Gli atteggiamenti cristiani verso Halloween sono diversi. Nella Chiesa Anglicana alcune diocesi hanno scelto di enfatizzare le tradizioni cristiane del giorno di Ognissanti,mentre alcuni altri protestanti celebrano la festività come Giorno della Riforma, un giorno per ricordare la Riforma Protestante. Padre Gabriele Amorth, un esorcista nominato a Roma dal Vaticano, ha affermato che "festeggiare la festa di Halloween è rendere un osanna al diavolo. Il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona.". L'Arcidiocesi di Boston ha organizzato una "Festa Santa" in questo giorno cercando di portare la festa alle sue radici cristiane. Molti artisti, organizzatori e partecipanti hanno detto che Saint Fest è una celebrazione della notte prima di Ognissanti o "All Hallows Eve".La chiesa protestante è contraria ad Halloween, e la considera una festa di carattere neopagano, la cui origine risale ai popoli celtici. Gli evangelici dicono "in questo giorno si spera che il misterioso, diabolico e occulto conviva con gli umani. Al giorno d’oggi, nel mondo intero, Halloween è la festa più importante dell’anno per i seguaci di Satana. In più il 31 ottobre è l’inizio del nuovo anno secondo il calendario delle streghe." Il World Book Enciclopedia afferma che essa rappresenta l’inizio di tutto ciò che è "cold, dark and dead": freddo, nero e morto. Alcuni cristiani, in modo particolare dei popoli celti, da cui ha origine la leggenda di Halloween, non ascrivono a esso un significato negativo, vedendolo come una festa puramente secolare dedicata al celebrare "fantasmi immaginari" e a ricevere dolci. Per questi cristiani, Halloween non costituisce una minaccia per la vita spirituale dei bambini: gli insegnamenti sulla morte e la mortalità e le credenze degli antenati celti possono essere una lezione di vita valida e una parte dell'eredità dei loro parroci. Nella Chiesa Cattolica degli Stati Uniti c'è chi ritiene che Halloween abbia delle connessioni col Cristianesimo.

    Per molte chiese cristiane le origini di Halloween sono strettamente connesse alla magia, alla stregoneria e al satanismo, per cui esso porta all'influsso dell'occulto nella vita delle persone. L'enfasi di Halloween è sulla paura, sulla morte, sugli spiriti, la stregoneria, la violenza, i demoni e il male. I bambini ne sono negativarmente influenzati.Una risposta da parte di alcuni fondamentalisti e chiese evangeliche conservatrici è stato l'uso di opuscoli, o brevi fumetti per usare la popolarità di Halloween come un'opportunità per evangelizzare. In generale tuttavia il cristianesimo non approva che si festeggi Halloween, in quanto ritiene che il paganesimo, l'occulto, e le altre pratiche e fenomeni culturali connessi siano incompatibili con la fede cristiana.

    Paganesimo
    Il neopaganesimo celtico considera questo periodo come un tempo sacro.

    È comunque da precisare che Halloween si configura in maniera diversa dall'originale festività pagana celtica di Samhain, che i neopagani continuano a celebrare nella sua forma originaria.


    (Lussy)





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    Salute e benessere


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    foto:termediriolo.it


    Terme di Riolo



    Lord Byron, Gioacchino Murat, i principi Bonaparte, Pellegrino Artusi, Giosuè Carducci sono solo alcuni dei tanti estimatori e frequentatori delle Terme di Riolo fin dall’antichità, una risorsa naturale dalle molteplici virtù terapeutiche che si trova tra le verdi colline che caratterizzano il paesaggio della valle del fiume Senio, ove i fanghi emergono dal terreno attraverso piccoli vulcani, già miscelati con le acque termali e pronti per l’uso.

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    foto:benessere.com

    Un po’ di storia

    Valorizzate già in epoca romana, le sorgenti delle acque minerali di Riolo hanno conosciuto nel tempo una frequentazione pressoché costante da parte di chi ebbe modo di verificare la bontà dei suoi effetti salutari, compresi quelli apportati dai fanghi che fuoriescono naturalmente dai cosiddetti “vulcanetti”, le piccole conche che si trovano nel folto dei boschi nella valle del fiume Senio. I primi studi scientifici sulle acque delle Terme di Riolo risalgono al Rinascimento (un esempio ne è il “De Acquis Rioli” di Giovan Battista Codronchi) e la loro diffusione in tutta Europa accrebbe la popolarità del luogo, tanto da attirare anche personaggi noti come Lord Byron, Gioacchino Murat, i principi Bonaparte, Pellegrino Artusi e Giosuè Carducci. Sulla scia di tale successo, il Consiglio Comunale di Riolo commissionò nella seconda metà del XIX secolo un progetto per la costruzione di uno stabilimento termale, per la quale fu scelta la proposta dell’Ing. Antonio Zannoni. Approvato nel luglio del 1870, lo stabilimento termale di Riolo fu inaugurato solo sette anni dopo, il 24 luglio 1877 e si è imposto pressoché subito come uno dei più importanti centri di cura termale in Italia, tanto che nel 1914 la cittadina poté assumere il nome di Riolo Bagni, prima che nel 1957 acquisisse l’attuale denominazione di Riolo Terme.

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    foto:riminibeach.it


    Le acque

    Il territorio della Valle del Senio, presso la quale si trova Riolo, possiede delle particolari caratteristiche geologiche che lo rendono uno dei più ricchi al mondo per numero e varietà di acque salutari. Le acque utilizzate alle Terme sono quattro, diverse per composizione e proprietà: l’acqua Breta è un’acqua minerale di tipo solfureo, bicarbonato-solfato-alcalino-terroso, indicata nella cura dell’apparato respiratorio, digerente e uro-genitale, delle malattie osteo-articolari, del ricambio e delle affezioni dermatologiche; l’acqua Salsoiodica è invece un’acqua salsobromoiodica indicata in particolare per le malattie osteo-articolari, degli apparati genitale e vascolare e delle affezioni dermatologiche; l’acqua Margherita e l’acqua Vittoria, infine, sono entrambe acque minerali salsobromoiodiche, con una forte presenza di idrogeno solforato e indicate nella cura dell’apparato digerente. I fanghi, come si è detto, fuoriescono a Riolo spontaneamente, già miscelati con l’acqua termale e quindi pronti per l’applicazione per la cura delle reumoartropatie (se caldi) o per i disturbi circolatori, le affezioni dermatologiche e in campo estetico (se tiepidi). La composizione delle acque di Riolo, ricche di principi attivi, di idrogeno solforato, di sali e di oligoelementi, le rendono adatte anche per i bambini, per il quale è stato allestito un impianto dedicato, le “Terme Bimbo”.


    terme_di_riolo_largefoto:riminibeach.it

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    foto:mondodelgusto.it


    Lo stabilimento termale

    Il centro termale di Riolo Bagni è lo stesso che venne inaugurato nel 1877, nella splendida cornice di un parco di dodici ettari circondato dai vigneti coltivati sulle colline che caratterizzano il paesaggio della valle dei fiume Senio. Il nucleo originale dello stabilimento – ristrutturato dopo i danni conseguenti ai bombardamenti della II Guerra Mondiale, contemplava già il Centro di Otorinolaringoiatria e delle terapie bronchiali ove si accertano la presenza e lo stato delle patologie da curare alle Terme e dove nei padiglioni annessi viene praticata la cura inalatoria (ve n’è anche uno specificamente dedicato ai bambini), utilizzando soprattutto l’acqua Breta (utilizzata anche per la cura idroponica, facilitando i processi digestivi). Il reparto fanghi e bagni è precedente alla costruzione del complesso (data 1870) e qui l’acqua più utilizzata è invece la Salsoiodica, per l’azione rilassante e antinfiammatoria che ha sull’apparato osteoarticolare e per la proprietà esfoliante e depurativa della pelle. Il reparto presenta una grande piscina termale dotata di idromassaggi, getti a cascata e di un percorso vascolare in vasche a temperature diverse.
    Più recenti gli altri reparti. Il Centro di Medicina Estetica è stato aperto nel 1991 e vi si praticano trattamenti che combinano le proprietà delle acque e dei fanghi di Riolo con le nuove tecniche del settore. Nel Centro di Metodologie Naturali, inaugurato nel 1996, si praticano invece le più recenti tecniche diagnostiche che traggono comunque origine dalla millenaria medicina orientale. L’ultimo reparto ad essere stato inaugurato, nel 1999, è il Centro Nuove Tecniche Riabilitative nel quale il completo recupero funzionale viene raggiunto mediante programmi per la riabilitazione motoria, cardiologica e pneumologica.


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    foto:upload.wikimedia.org


    Turismo nei dintorni

    Le Terme di Riolo sono la principale ma non l’unica attrattiva di una cittadina incastonata nel verde paesaggio dell’Appennino, con molteplici possibilità di escursioni naturalistiche, da effettuare a piedi, in mountain bike o a cavallo. La stessa Riolo è incantevole, con un centro storico raccolto attorno ad una Rocca trecentesca perfettamente conservata e le alte mura che per secoli hanno difeso l’abitato. L’ingente flusso turistico generato dalle Terme, soprattutto nei mesi caldi, ha fatto sì che si moltiplicassero in città le iniziative culturali e quelle legate alla tradizione enogastronomica della zona.


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    foto:comune.rioloterme.ra.it/


    Riolo si trova però anche a metà strada tra due città di notevole richiamo turistico: Imola e Faenza. Imola è celebre in ambito sportivo per essere la sede dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari ove si è disputato per molti anni il Gran Premio della Repubblica di San Marino di Formula 1 ma presenta molti altri motivi di interesse culturale, tra monumenti e musei. La fama di Faenza è invece legata all’arte della ceramica che ha raggiunto qui i massimi livelli: da visitare, a proposito, il Museo Internazionale delle Ceramiche presso le quali sono esposte collezioni di arte fittile non solo realizzate a Faenza ma in tutto il mondo e in tutte le epoche. La città presenta inoltre testimonianze architettoniche che attraversano i secoli dall’epoca romana al neoclassico (splendidamente rappresentato dall’elegante Palazzo Milzetti), passando per il Medioevo e il Rinascimento.
    Tra gli altri luoghi di interesse nei dintorni di Riolo Terme, ci sono Brisighella, un borgo che conserva pressoché intatta l’atmosfera medievale e Casola Valsenio, un borgo fondato all’inizio dell’anno mille dai monaci Benedettini che è diventato nel tempo un punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di erbe officinali, per il grande orto botanico specializzato e per il ricco centro di documentazione sul tema. Da visitare anche gli orridi del rio Basino, suggestive grotte naturali che si trovano in prossimità della Vena del Gesso.



    da: salute e benessere.it

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    Non si possiede mai un gatto.
    Semmai si è ammessi alla sua vita,
    il che è senz’altro un privilegio.
    (Beryl Reid)


    AOSHIMA e TASHIRO,
    LE ISOLE DEI GATTI


    Sull’isola di Aoshima, in Giappone, la popolazione di gatti è sei volte quella degli esseri umani. Aoshima fa parte della prefettura di Ehime, a sud del Paese, ed è un’isola lunga poco più di un chilometro. E' situata a circa 13 km dalla costa di Ozu.
    I primi abitanti a stabilirsi qui, circa 380 anni fa, furono alcuni pescatori giapponesi. Con loro portarono dei gatti, per sbarazzarsi dei topi che infestavano l’isola. Poi durante la Seconda Guerra Mondiale, l’isola veniva utilizzata come postazione per i rifugiati. La gente portava con sé anche i propri animali domestici. Col passare del tempo sempre più persone abbandonarono l’isola, lasciandovi case e gatti, che col tempo se ne sono “impadroniti”. Nel 1945 ad Aoshima si contavano 900 residenti. Oggi sono meno di 20, tutti pensionati tra i 50 e gli 80 anni.

    Una storia simile a quella di Aoshima la troviamo anche nell'isola di Tashiro, sempre in Giappone. Meglio conosciuta come “l’isola dei gatti”, questo lembo di terra conta circa 100 residenti (in maggioranza anziani) e centinaia, centinaia di gatti. Qui questi bellissimi micioni sono riusciti, infatti, a stringere amicizia con i pescatori già dal 1800, i primi per un po’ di cibo e i secondi per un po’ di compagnia. Successivamente il legame si è trasformato in vera e propria passione.

    I pescatori sono convinti, infatti, che nutrire i gatti porti loro fortuna e salute, una credenza che continua ancora oggi. Secondo la tradizione locale, un giorno un pescatore stava raccogliendo delle pietre da utilizzare per le sue reti, quando un masso è rotolato accidentalmente e ha ucciso uno dei gatti.
    Il profondo rispetto che il pescatore nutriva per questi animali lo ha portato a seppellire quel corpicino esanime e a creare un santuario in ricordo dello sfortunato felino e per proteggere gli altri.

    Oggi nell’isola si contano almeno 10 santuari simili, oltre a 51 statue raffiguranti mici e molti edifici a forma di gatto, con tanto di “orecchie”.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    LA SWAINONA FORMOSA, il fiore di sangue



    La Swainsona formosa è una pianta australiana pianta del genere Swainsona, dal nome botanico inglese Isaac Swainson, famosa per le sue peculiarità di avere fiori rosso sangue. E 'una dei più noti fiori di campo. E' originaria delle aride regioni del centro e del nord-ovest dell'Australia, e il suo areale si estende in tutti gli stati australiani continente, ad eccezione di Victoria.

    I primi esemplari sono stati raccolti prima da William Dampier nel deserto di Sturt,nelle isole di sabbia a secco di Dampier Archipelago, a nord-ovest dell'Australia, il 22 agosto 1699. Questi campioni si trovano presso la Fielding-Druce Erbario dell'Università di Oxford, in Inghilterra. Il botanico inglese Allan Cunningham le raccolse nella stessa località nel 1818. Campioni della pianta sono stati raccolti, anche da Benjamin Bynoe, durante il suo viaggio con la HMS Beagle.

    Inizialmente è stato classificato, nel XVIII secolo, nel genere Clianthus come Clianthus Dampieri, e dopo una più attenta conoscenza divenne Clianthus formosus (formosus in latino significa "bello"). In seguito riclassificata sotto il genere Swainsona come Swainsona formosa. Un ulteriore riclassificazione di Willdampia formosa è stata proposta nel 1999 ma, è stata respinta dalla comunità scientifica nel 2000. La seconda versione del nome scientifico onora il naturalista Isacco Swainson, e la terza versione del nome scientifico (respinto) aveva lo scopo di onorare l'esploratore William Dampier. Il nome comune onora l'esploratore inglese Charles Sturt, che ha registrato vedendo grandi quantità di fiori mentre esplorare Australia centrale nel 1844

    La Desert Pea di Sturt fa parte della famiglia delle Fabaceae, sottofamiglia Faboideae. E' una pianta rampicante dalla crescita lenta, formata da steli e foglie che appaiono di un colore grigio chiaroHa foglie grigio-verde disposte a spirale lungo l'asse principale della pianta, e in due file contrapposte su steli laterale; coperti da lunghi peli biancastri, setosi. I fiori suggestivi ed insoliti hanno petali cremisi uniformi, interrotti da un disco viola-nero lucido sui petali. Sono di circa 9 centimetri di lunghezza e crescono in gruppi di circa mezza dozzina su steli verticali spessi, di un rosso brillante, che può essere lungo fino a 2 metri. Gli organi sessuali, racchiusi da una chiglia, comprendono 10 stami, di cui 9 sono uniti e 1 singolo sormontato da un ovario da un stile su cui si trova lo stigma per ricevere il polline durante la fecondazione.

    La pianta fiorisce dalla primavera all'estate, in particolare dopo la pioggia. Vi è una forma naturale bianco puro, e molte varietà ibride che vanno dal rosso scarlatto di sangue, al rosa e persino crema pallido. I fiori sono impollinati per mezzo degli uccelli. Il frutto è un legume, lungo circa cinque centimetri.
    E' ben adattata alla vita del deserto. I piccoli semi hanno una lunga vitalità, e possono germinare dopo molti anni. I semi sono ricoperti da un guscio duro, che li protegge da ambienti aridi duri fino alla pioggia successiva.
    Una volta germinato, le piantine formano rapidamente un profondo fittone, vitale per la sopravvivenza nel deserto.

    Gli Aborigeni australiani mangiano i semi tostati, o fanno torte con la farina di macinazione dei semi. Tuttavia, i semi contengono inibitori della tripsina. Perché tripsina è un enzima essenziale che rompe le proteine durante la digestione, questi semi non possono essere una fonte ideale di nutrimento.
    La Desert Pea di Sturt è stata adottata come emblema floreale dello stato del Sud Australia, il 23 novembre 1961.
    E' apparsa in diverse versioni di australiani difrancobolli raffiguranti emblemi floreali australiane, emessi nel 1968, 1971 e 2005.

    ...una leggenda Koori...



    Per il Kooris questo fiore è conosciuto come 'Flower of Blood'.
    La leggenda vuole che una giovane e bella donna non voleva essere promessa sposa a un uomo anziano, perché era innamorata di un altro. Per sfuggire a questo triste matrimonio, fuggì con il suo giovane amante. Si rifugiarono in casa di un parente lontano e vissero felici. Ma felicità ebbe breve durata. L'anziano uomo anziano li rintracciò e senza pietà li uccise insieme all'intera famiglia dei parenti che avevano offerto loro rifugio. Pochi anni dopo, un giorno l'uomo anziano che era ormai diventato un vecchio passò attraverso il luogo dove aveva ucciso le amanti e parenti. Trovò il terreno ancora coperto di sangue ma il suoi occhi non vedevano molto bene. Temendo gli spiriti maligni iniziò a urlare e tremare dalla paura. Alcune persone lo informarono che ciò che vedeva non era sangue, ma che il terreno era coperto di '' Fiori che sembravano sangue ..."

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    OTTOBRE

    Ottobre
    Sdraiato sulla terra, là presente.
    l'infinito paese castigliano,
    che l'autunno awolgeva nell'arcano
    dorato del suo sole all'occidente.
    Lento, l'aratro, parallelamente
    la zolla apriva, e il seme con la mano
    aperta nelle viscere il villano
    gettava della terra, onestamente.
    Pensai strapparmi il cuore, e là gettarlo,
    pieno del suo soffrire alto e profondo,

    del tenero terreno nel calore,
    per vedere se, infranto, a seminarIo,
    la primavera di svelasse al mondo
    l'albero puro dell'etèrno amore.


    (Juan Ramòn Jiménez)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di LARRY LOUIE

    C’è uno spettacolo più grandioso del mare, ed è il cielo,
    c’è uno spettacolo più grandioso del cielo,
    ed è l’interno di un’anima.
    (Victor Hugo)

  6. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 043 (19 Ottobre – 25 Ottobre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 19 Ottobre 2015
    S. ISACCO M. , S. LAURA.

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    Settimana n. 43
    Giorni dall'inizio dell'anno: 292/73
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    A Roma il sole sorge alle 06:27 e tramonta alle 17:22 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 06:45 e tramonta alle 17:30 (ora solare)
    Luna: 12.05 (lev.) 22.11 (tram.)
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    Proverbio del giorno:
    Gallina vecchia fa buon brodo
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    Aforisma del giorno:
    È più facile rimpiazzare un uomo morto che un quadro.
    (George Bernard Shaw)









    RIFLESSIONI



    ...RICORDI…
    ... Vento fresco sulla pelle; occhi schermati dalla patina di lacrime che la temperatura causa naturalmente. Fine ottobre, mese che ci porta ogni volta verso il Mese; quello dei ricordi del ricorrere di tempi andati che fisicamente non torneranno più. Nel bosco a quest’ora di mattina regna ancor di più un silenzio fatato. Foglie colorate di autunno cadono e lasciano in terra un manto di colorate carezze; ogni passo solleva, sposta le foglie, ogni passo fa risuonare lieve il canto di quei colori che accompagnano il respiro. Lontano nella campagna i primi fumi della stagione escono da comignoli di case ancora illuminate dalle luci della colazione intorno al tavolo. Immagini calde, colorate, che un po’ stridono col fresco sulla pelle e col tiepido dento l’anima di questi ultimi giorni di ottobre. Si avvicina novembre, quell mese dove si ricorda chi non c’è più. Una mano calda mi sfiora il visto, una voce lieve mi carezza l’anima. Eravamo a casa quando mettevi la colazione nel cestino che portavo all’asilo. Eravamo in strada quando la tua mano forte stringeva la mia accompagnandomi nel mio primo giorno di scuola. Fiocco, colletto inamidato e grembiule; petto in fuori perchè al mio fianco c’era lei ed io mi sentivo felice, protetto e sicuro. Rugiada sulle foglie, lacrime sul volto. Ricordi che carezzano e graffiano, che danno dolcezza e lieve punta di amaro. Mani delicate che piegavano il lenzuolo del letto, e scorrevano per togliere ogni imperfezione alla stoffa; profumi all’alba della domenica venivano dalla cucina, spalle dritte e sorriso luminoso quando insonnolito entravo in cucina attratto dai profumi del pranzo in preparazione. Vento lieve che scuote le foglie, brividi forti attraversano pelle e cuore. Voce calda e forte, seduta sul lato del mio letto, a tavola o sul divano, consigli, rimproveri, divieti e concessioni che mi davano la strada da percorrere, il sentiero più giusto da seguire. Mi perdevo in quel suono, in quelle parole, mi accoccolavo su quel sentiero tracciato, sicuro che mi avrebbe portato alla felicità. Tuoni e lampi echeggiano sul bosco, suoni e immagini popolano la mia anima. Ho camminato molto in questo bosco nel quale sono entrato il 24 dicembre del 2013; non mi volto mai indietro perchè tu mi hai insegnato a guardare sempre avanti, ad avere fiducia in me stesso; queste foglie in terra nascondo il sentiero da seguire, quella casa lì in fondo mi indica il luogo dove tornare e dove cercare la mia vita. Mi manca il suono della tua voce, mi manca il tocco fisico della tua mano che mi carezza; ma nessuna foglia potrà mai concellare il sentiero, nessuna strada potrà mai deviarmi dal raggiungere quella casa perché ci sei tu MAMMA, che mi indichi, mi spingi, mi carezzi l’anima ogni attimo della mia vita. Luce alta nel cielo della mia anima; stella cometa nel mio cielo, focolare che scalda con i ricordi con le preghiere, col vivere nel tuo ricordo e per il tuo ricordo. Ti voglio bene MAMMA ieri oggi per sempre. Non ho mai avuto modo di dirtelo.. Grazie MAMMA, grazie dal profondo del mio cuore! … Buon Ottobre amici miei … (Claudio)






    BOSCO D’AUTUNNO
    Una musica lieve
    come d’incanto guidava i miei passi,
    scricchiolìo di foglie
    e danza di polvere nel vento…
    sapevo che ci saremmo incontrati
    in una giornata d’autunno.
    Il cielo doveva essere esattamente così:
    velato e rispettoso della tua figura fine.
    La strada. Ho sempre immaginato fosse questa:
    costeggiata d’alberi e foglie dai mille colori.
    Colore e Musica, Profumo e Suono…
    e tu…Poesia.
    Questa è la perfezione in cui opera il Destino!.
    (Anton Vanligt)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    La nuvoletta

    Ho levato gli occhi al cielo
    ed ho visto un bianco velo
    una nube piccoletta
    nel seren tutta soletta.
    Mi pareva un agnellino,
    che per fare il birichino
    fosse uscito dall'ovile,
    mentre il cane nel canile
    dolcemente pisolava I »
    e il pastore riposava. .
    Ma una nube grossa e nera
    s'avanzò come una fiera.
    Era sorta in un istante
    quella nuvola gigante
    e in un attimo (oh, terrore!)
    fu vicina a quel biancore,
    con ferocia l'azzannò "
    ed ingorda la mangiò.
    E dal ciel cadeva intanto
    della nuvoletta il pianto.
    (A. Castoldi)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Palloncino e Cappello

    Ci sono, ma non qui nella realtà, un Palloncino rosso e un Cappello, di quelli che usano i maghi per farci uscire fuori uccelli e coniglietti.
    Il Cappello è tutto nero, molto elegante, da lord scozzese. Palloncino e Cappello sono migliori amici. Vivono in cielo ovviamente, perché Palloncino non può smettere di volare.
    A Cappello piace mettersi sopra a Palloncino, e di solito col peso di Cappello scendono giù giù fino a una nuvola più densa che li sorregge e ridono un sacco. E quando vogliono risalire Cappello si aggancia al filo di Palloncino con un gancetto che il Cappellaio gli ha messo a posta.
    A loro piace anche mettersi uno sopra l’altro e fare le capriole spinti da Vento, quando c’è. E quando invece c’è Pioggia, Cappello si gira e raccoglie tutta l’acqua per poi rovesciarla addosso a Palloncino, quando meno se lo aspetta. Ormai però Palloncino se lo aspetta eccome e quindi quando proprio non gli va di bagnarsi (ma gli va quasi sempre), si rifugia sotto al para-acqua dei Gatti Volanti (ai Gatti Volanti, come a quelli della terra, non piace l’acqua!), e qui però deve stare attento a non farsi sgonfiare dai loro artigli! Però però Palloncino ha una particolarità: ogni momento che passa, gli si allunga un po’ il filo e arriverà il giorno in cui il filo supererà le nuvole e arriverà giù, dove vivono i Bambini.
    A quel punto ogni Bambino che vorrà potrà tirare il filo e avere per sé Palloncino per un po’. Questo pensiero rendeva Cappello molto triste, perché lui sarebbe rimasto senza il suo amico un sacco di volte. Infatti improvvisamente, un giorno che i due stavano giocando insieme, Palloncino sente uno strattone e se ne va giù giù giù… una Bambina ha preso il suo filo! Palloncino non aveva mai visto una bambina. Questa qui ha i capelli arancioni, le mani e i piedi di tutti i colori: le mani una verde e una gialla, i piedi rosso e celeste.
    Si chiama Mirah. Palloncino si diverte a giocare con lei. Fa giochi nuovi, Mirah lo dipinge tutto colorato e gli fa il solletico, poi gli fa il bagno in un posto con dei buchi che fanno delle bolle solleticanti! Però, sebbene Palloncino si divertisse, gli manca Cappello e continua a pensare che con lui sarebbe stato ancora più colorato. Più colori ci sono, più divertente è. Colorato vuol dire divertente.
    Quando Mirah lo lascia, Palloncino torna su e racconta tutto a Cappello, che è molto contento di rivedere Palloncino. È anche contento che Palloncino non si sia scordato di lui e che si continui a divertire pure facendo i soliti giochi. Però Palloncino continua ad essere tirato giù sempre più spesso e Cappello a rimanere su, triste. I due amici iniziano a cercare una soluzione e quando gli capita un bambino profumato e colorato Palloncino chiede consiglio anche a loro.
    Alla fine Supplì (un Bambino roscio roscio e cicciottello, e molto gentile e colorato) fa una proposta interessante: “Cappello scende giù con te, Palloncino. E il bambino che ti tira giù deve per forza metterselo in testa!”
    Lo lasciano andare su, lo riferisce a Cappello. Anche lui è entusiasta all’idea! E così ogni volta che Palloncino viene tirato giù, scende anche Cappello, e i due si divertono e giocano ogni volta con tanti bambini. E così vivono felici e contenti, e voi, li avete incontrati?!

    (Veronica Campagna)



    ATTUALITA’


    E' il D-day di Netflix in Italia, ecco come funziona.

    Boom di abbonati nel mondo, 63 milioni in 50 Paesi. Ai 63 milioni di abbonati in 50 paesi dal 22 ottobre si aggiungono anche gli spettatori italiani. Dopo i tanti annunci è approdata Netflix, la piattaforma tv via internet che in pochi anni si è fatta strategicamente largo in tutto il mondo facendo cambiare abitudini al pubblico, prima fra tutta quella di partecipare alle maratone di serie tv, con tutti gli episodi uno di seguito all'altro anzichè aspettare gli appuntamenti settimanali. Lo stesso giorno sarà presentata a Milano nel dettaglio l'offerta e il progetto che basa la propria forza su illimitati programmi da vedere via internet ovunque e in qualsiasi momento.

    Alcuni contenuti sono noti tra film, serie originali esclusive, documentari e altri programmi provenienti da ogni parte del mondo. L'attesa è però anche sulle produzioni italiane di cui si parla da un po', ad esempio una serie su Mafia Capitale, ma non ancora annunciate. Riuscirà ad affermarsi in Italia, dove peraltro la copertura della banda larga non è totale? La domanda è lecita in un mercato, quello italiano, che è sempre stato definito ristretto e dove finora è soprattutto sul calcio che ci si è divisi gli abbonati tra Sky e Mediaset (Premium).

    La risposta arriva da Netflix stesso che, nel momento in cui ha deciso di puntare sull'Italia, ''e' un'opportunita' - ha detto a luglio a Ischia Global Fest ai produttori mr. Netflix Ted Sarandos incontrandoli per la prima volta - siamo qui non per distruggere il sistema italiano ma per partecipare facendolo crescere e contribuendo alla produzione, il che significa lavoro per gli italiani. Aprire in Italia e' un atto di fiducia''. Già chiari i costi: un piano Base con una sessione di streaming alla volta e definizione standard a 7,99 euro al mese, un piano Standard con due sessioni di streaming contemporanee e alta definizione a 9,99 euro al mese e un piano Premium, che consentirà quattro sessioni di streaming alla volta e la visione in Ultra HD 4K a 11,99 euro.

    Primo mese di lancio gratis per tutti e la promessa iniziale di abbonarsi facilmente con un clic e altrettanto facilmente disdire. Si potrà accedere da Smart TV, tablet e smartphone, computer e da una serie di console per videogiochi e set-top box connessi a Internet, oltre che da Apple TV e Google Chromecast. Due le partnership già siglate: con Telecom Italia e con Vodafone. Netflix sarà disponibile anche tramite il set-top box TIMvision e i clienti della compagnia telefonica potranno pagare l'abbonamento Netflix tramite la bolletta TIM, mentre Vodafone offrirà diverse promozioni esclusive che includeranno abbonamenti Netflix con l'acquisto di servizi di fibra ottica o 4G. Vodafone consentirà inoltre agli utenti italiani di semplificare la registrazione e il pagamento dell'abbonamento Netflix, che potrà avvenire tramite il contratto. Ci saranno anche le carte regalo Netflix presso diversi rivenditori autorizzati, tra cui GameStop, Unieuro, MediaWorld, Esselunga, Mondadori ed Euronics.

    In lingua originale, con sottotitoli o doppiate in italiano, le serie originali di Netflix tra cui quelle con Marvel, Darevil e Jessica Jones (entro la fine dell'anno) e poi la miniserie The Defenders, che riunisce i personaggi delle quattro serie precedenti. E poi ancora le serie Sense8, Grace and Frankie, Unbreakable Kimmy Schmidt, Marco Polo e Narcos, i documentari Virunga e Mission Blue, docu-serie come Chef's Table. Alla prassi di acquisto di titoli da qualche tempo si è affiancato anche il salto nella produzione: tra i titoli annunciati figurano Crouching Tiger, Hidden Dragon The Green Legend, Jadotville, The Ridiculous 6 e War Machine di Brad Pitt, mentre alla Mostra del cinema di Venezia ha debuttato con successo il primo film originale Beasts of No Nation, sui bambini soldato. Capitolo a parte le serie cult già in onda in Italia ossia House of Cards (Sky Atlantic) e Orange is the New Black (Mediaset Premium) che comunque Netflix sta cercando di riprendersi.
    (Ansa)





    Maltempo: ancora allerta meteo, piogge su isole e sud Italia.

    Scuole ancora chiuse in 14 comuni del Sannio. Nuova allerta meteo del Dipartimento della Protezione Civile per le isole e il sud Italia: la perturbazione di origine atlantica che sta interessando Sicilia e Sardegna, si sposterà in serata sulle regioni meridionali. Secondo gli esperti, a partire dal pomeriggio di oggi, sono previste precipitazioni diffuse, localmente anche molto intense e accompagnate da fulmini e forti raffiche di vento, su Calabria, Basilicata e Puglia. Per domani sono previsti venti di burrasca su Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia. Sulla base dei fenomeni previsti, il Dipartimento ha anche valutato per oggi una criticità rossa - il livello più alto su una scala di tre - per rischio idrogeologico sulla Sicilia nord occidentale e nord orientale, mentre sono in criticità arancione il resto della Sicilia, la Campania, la Calabria e la Sardegna meridionale. Per domani, invece, è prevista criticità rossa per la Puglia meridionale.

    Scuole chiuse anche domani, 22 ottobre, in 14 comuni del Sannio, compresa la città di Benevento, a causa del prolungarsi dell'allerta meteo che prevede anche temporali fino alle 22. Intanto la società Mts, che gestisce il mega parcheggio nella città di Benevento, ha messo gratuitamente a disposizione auto di sosta per coloro che hanno perso in questi giorni box e garage a causa dell'esondazione del fiume Calore.

    Sindaco beneventano, fuori da emergenza senza aiuti - "Non siamo abituati a piangerci addosso, ci siamo rimboccati le maniche e stiamo provvedendo a uscire dall'emergenza, approfittando di qualche ora di tregua dal maltempo". Lo dice Luigi Paragone, sindaco di San Giorgio La Molara (Benevento), da sette giorni impegnato ad affrontare le varie emergenze di soccorso nella sua comunità "senza mezzi e senza risorse". Lamentando la lentezza dei soccorsi, Paragone aggiunge: "Vedo troppi falchi in giro. Nel Sannio la ripartizione dei fondi per la ricostruzione dai danni causati da nubifragi e alluvioni dovrà essere equa".

    Nel Sannio prorogata la criticità arancione - La Protezione civile della Regione Campania ha prorogato di ulteriori 24 ore la criticità idrogeologica di colore arancione sul Sannio per l'elevato rischio che ancora permane su un territorio duramente provato dagli eventi di questi giorni. Le previsioni del centro funzionale - si spiega in una nota - evidenziano ancora precipitazioni che localmente potranno assumere carattere di breve rovescio o temporale che dalla serata odierna potranno intensificarsi. La perturbazione insisterà sull'intero territorio regionale almeno fino alle 22 di domani. Infatti anche per le restanti zone della Campania vige la criticità idrogeologica di livello giallo (ordinaria). La sala operativa della Regione, che ha già diramato sia i bollettini meteo, sia gli avvisi di criticità, informa che è in vigore anche un'allerta meteo per venti forti e mare agitato che permarrà per 24-36 ore su tutta la Campania. Si prosegue, intanto, nelle attività di soccorso alla popolazione e all'invio di mezzi e uomini di protezione civile a supporto dei comuni. Al momento, sono circa 400 i volontari impegnati tra quelli delle colonne mobili arrivati da Toscana, Marche e Umbria e gli uomini del sistema regionale di Protezione civile.
    (Ansa)





    Arrivano le Orionidi, le stelle cadenti d'autunno.

    Il picco è previsto nella notte fra il 21 e il 22 ottobre. Arrivano le stelle cadenti d'autunno, le Orionidi, il cui picco è previsto nella notte fra il 21 e il 22 ottobre. Questo sciame di meteore, spiega l'astrofisico Gianluca Masi, responsabile del Virtual Telescope, è chiamato così perché sembra 'piovere' dalla costellazione di Orione ''regina del cielo d'inverno''.

    Le Orionidi arrivano ogni anno in questo periodo, aggiunge, perché la Terra attraversa una zona di spazio disseminato di detriti dalla famosa cometa di Halley, passata l'ultima volta nei pressi del Sole nel 1986, mentre vi ritornerà nel 2061.

    Il momento migliore per osservare le stelle cadenti è appena prima dell'alba del 22 ottobre, perché la Terra incontra la parte più densa del flusso di polveri lasciate dalla cometa di Halley e perché, dice Masi, ''la costellazione di Orione sarà visibile nella seconda parte della notte''. Inoltre in quel momento ''la Luna sarà tramontata e non vi sarà perciò nessuna interferenza da parte del suo bagliore''. Naturalmente, sottolinea l'astrofisico, per una visione perfetta c'è bisogno di ''un cielo buio, lontano dai lampioni cittadini''. Secondo Masi ci si può aspettare di vedere tra le 10 e le 20 meteore l'ora. Anche se la pioggia di meteore non sarà molto intensa, lo spettacolo è assicurato, rileva la Nasa, perché nelle vicinanze ci saranno alcune delle stelle più belle del cielo notturno. Fra queste Sirio e le luminose costellazioni dei Gemelli e del Toro, non mancheranno anche i pianeti come i luminosi Giove e Venere.

    L'unica incognita sono le nuvole, ma se il cielo dovesse essere coperto si potrà tentare con le prossime stelle cadenti, le Leonidi, il cui è picco atteso il 18 novembre.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Io sono Ingrid




    locandina


    Un film di Stig Björkman. Con Jeanine Basinger, Pia Lindström, Fiorella Mariani, Isabella Rossellini, Isotta Rossellini


    Un ritratto ricchissimo e coerente, assai efficace nell'evocare l'anima, oltre che l'immagine, dell'attrice.
    Paola Casella


    Io sono Ingrid e questa è la mia storia": un nome che, come Audrey o Marilyn, non ha bisogno del cognome per evocare un immaginario cinematografico leggendario. Per tutta la vita Ingrid Bergman ha fotografato e filmato la sua vita conservando quelle fotografie e quegli home movie come se dovesse documentare ogni momento della propria esistenza, a se stessa prima ancora che agli altri. "Era il suo modo di trovare le radici", dice la figlia Isabella Rossellini in Io sono Ingrid: quelle radici che, in un'intervista televisiva, l'attrice svedese diceva di non ritenere necessarie. Dunque il regista e critico cinematografico svedese Stig Bjorkman ha avuto solo l'imbarazzo della scelta nel trovare materiale sul soggetto del suo documentario, ma ha saputo fare una cernita oculata e intelligente, riuscendo a costruire come un puzzle un ritratto ricchissimo e coerente, assai efficace nell'evocare l'anima, oltre che l'immagine, dell'attrice.
    Oltre alle foto e ai filmini della Bergman (e di suo padre, scomparso quando Ingrid era ancora bambina, pochi anni dopo la madre) ci sono i film, i backstage, un incantevole primo provino che ce la mostra timidissima e irresistibilmente fotogenica, le interviste, le premiazioni (compresi i tre Oscar, il primo per Angoscia, il secondo per Anastasia, il terzo per Assassinio sull'Orient Express), e le testimonianze delle persone a lei più care: i quattro figli Pia, Roberto, Isotta Ingrid e Isabella. E poi le lettere, innumerevoli, indirizzate al primo marito Petter Lindstrom, ai figli, al secondo marito Roberto Rossellini (memorabile quella, presciente, in cui chiedeva al regista mai incontrato di lavorare con lui anche se in italiano lei sapeva dire soltanto "Ti amo"), alle amiche di sempre.
    Il documentario procede in ordine cronologico ricordando l'infanzia triste di Ingrid, orfana di entrambi i genitori, ma anche il suo entusiasmo e il suo ottimismo incrollabili, la sua avventura da globetrotter nel cinema mondiale - dalla Svezia agli Stati Uniti all'Italia alla Francia - e quella vita sentimentale tumultuosa che l'ha spinta a "cambiare tutto ogni dieci anni" lasciandosi dietro figli, mariti, case, carriere. "Non ho alcun rimpianto", ha detto Ingrid a chi cercava di strappare da lei un mea culpa per la disinvoltura con cui aveva gestito la sua esistenza, in particolare i rapporti con gli uomini. Ed è tangibile il dolore della figlia Pia, cresciuta dal padre a migliaia di chilometri di distanza dalla madre, per essersi sentita "noiosa" e poco interessante agli occhi di quella mamma così ricca di fascino e di glamour. Ma Pia ammette che Ingrid Bergman era una delle donne più divertenti, vitali e irresistibili che sia mai vissuta, e che il problema era che, di una così, non se ne aveva mai abbastanza.
    Anche il cinema non ne ha mai avuto abbastanza di Ingrid: la cinepresa si sforzava inutilmente di afferrare quella sua immagine luminosa e sfuggente, il sorriso improvviso e devastante, la natura indomita e irrefrenabile. I registi, nonostante gli scandali e le censure imposte alla Bergman per il suo stile di vita a dir poco anticonformista, hanno continuato a cercarla e ad affidarle ruoli di primo piano. Perché la Bergman era larger than life, anche come dimensioni, con quel metro e settantacinque che all'epoca svettava su chi le stava intorno facendo sembrare gli altri poveri lillipuziani e quel fisico statuario che appare in tutta la sua magnificenza soprattutto negli home movie quando mettono in evidenza i suoi dettagli anatomici: gambe interminabili, seni granitici, piedi giganti, dita chilometriche.
    Ingrid rotea come una majorette in mezzo alle star che la guardano incantati - star del calibro di Humprey Bogart, Cary Grant, Alfred Hitchcock, abituati al glamour ma non a quella forza della natura e ai suoi modi diretti, privi di qualunque diplomazia ma non di grazia selvatica e innocente. Con Ingrid nascerà una nuova Hollywood perché la Bergman stessa è simbolo di rinascita: una fenice sempre pronta a risorgere dalle proprie ceneri, passata "da santa a puttana e poi ancora santa", convinta che "tutte le ferite guariscono" (anche quelle inferte agli altri, che il documentario non nasconde) e che nessuno avesse il diritto di decidere come doveva vivere. Ingrid voleva di più, voleva tutto. E l'ha avuto, nel bene e nel male, trascinandoci nella sua corsa da puledra selvaggia, e ricordandoci quanto è complicato e appagante essere una donna libera.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    Malaga è la “Ciudad del paraíso” ovvero la città del paradiso
    (Vicente Aleixandre)

    MALAGA



    Detta anche la capitale della Costa del Sol, Malaga è una città della Spagna, che si trova in Andalusia, al centro di una baia prospiciente la costa marocchina, ai piedi delle propaggini meridionali della Cordigliera Betica. Il fiume Guadalmedina, quasi sempre in secca, separa la parte più vasta e antica della città, sulla riva sinistra, dai moderni quartieri industriali, situati sulla riva destra.
    Il patrimonio artistico, storico e culturale e molto ampio:
    Teatro romano - Ai piedi della collina di Gibralfaro ci sono i resti del teatro romano che risalgono all'epoca augustea. Il teatro rimase in attività fino al III secolo. Durante la dominazione araba fu utilizzato come deposito di materiale edile per la vicina Alcazaba. Venne riscoperto a metà del Novecento in seguito alla demolizione di alcuni edifici.
    Alcazaba - Appena al di sopra del teatro romano, sulla collina di Gibralfaro, è situata la alcazaba, la fortezza-palazzo mussulmana di epoca nasride. Sono visibili due cinte murarie: una inferiore, più esterna, cui si accede attraverso una porta ad angolo detta Arco del Cristo, e una superiore, posta all'interno della prima. Entrambe si adattano all'orografia del terreno esaltandone la funzione difensiva. All'interno del recinto superiore si trova il palazzo moresco edificato in due tempi, XI e XIII-XIV secolo, e oggi sede del museo archeologico.
    Castello di Gibralfaro - Posto sull'omonima collina, domina la città e il porto di Málaga ed è collegato mediante una lunga muraglia, La Coracha, all'Alcazaba. Venne edificato nel XIV secolo su resti fenici preesistenti. Una parte del castello è stato adibito a parador .
    Cattedrale dell'Incarnazione - L'imponente Cattedrale di Málaga è il principale edificio religioso della città. Fu edificata dove un tempo sorgeva la più importante moschea di Màlaga. I lavori di costruzione iniziarono nel 1528 e si protrassero, tra alterne vicende, per circa tre secoli; questa lunga gestazione rende ragione dello stile eclettico dell'edificio. La cattedrale non venne mai completata mancando una delle torri campanarie che dovevano abbellire la facciata. Il soprannome “Monquita” che significa “piccola monca”, si riferisce all'opera incompiuta La cattedrale di Malaga è stata progettata da E. Egas ed è stata costruita con un caratteristico calcare bianco, in stile gotico
    Alameda Principal - E' un antico viale fiancheggiato da alberi di ficus bicentenari. Fu realizzata grazie alla parziale demolizione di un tratto delle mura nella penisola alluvionale situata tra il fiume Guadalmedina ed il porto. Lungo il viale si trovano l'antica taverna Antica Casa del Guardia e la casa ove soggiornò Hans Christian Andersen

    ...storia....



    L’archeologia dimostra l’uomo di Neandertal visse in un complesso labirinto di caverne vicino a Malaga molte migliaia di anni fa. Ne sono testimonianza i dolmen ad Antequera (Peña de los Enamorados), le pitture rupestri a Benaoján, le ceramiche a Nerja. Con il passare dei secoli la popolazione della zona aumentò e agli inizi dell’età del bronzo la presenza umana si estese per tutta la costa.
    Málaga deve le sue origini al fatto di essere stata una delle colonie fondate dai fenici di Tiro intorno al VII secolo a.C. lungo il Mediterraneo occidentale, probabilmente per le buone condizioni di approdo ai piedi del monte Gibralfaro. In epoca fenicia la città era nota come Malaka, toponimo derivato probabilmente dalla parola fenicia per “sale”, perché l’industria della salatura ai fini di conservazione delle vivande era l’attività all’epoca più importante.
    La città divenne poi probabilmente la colonia greca di Mainake, di cui non rimangono altre tracce se non in documenti, passando poi sotto il dominio di Cartagine. Secondo il geografo Strabone, la città aveva pianta irregolare. Alcuni secoli più tardi, alla presenza cartaginese successe quella romana, dove la città raggiunse un ragguardevole sviluppo.
    Diventata città confederata, Málaga venne retta da un codice speciale, la Lex Flavia Malacitana. Dopo la caduta dell’impero romano, Malaga conobbe grandi emigrazioni e colonizza-
    zioni di tribù di origine germanica, in particolare i vandali silingi che introdussero il credo ariano proveniente da oriente. Venne poi l’invasione dei visigoti, nel V secolo, con alcune incursioni bizantine. Agli inizi del VIII secolo vi fu la caduta della monarchia gotica e gli arabi invasero la penisola iberica. Malaga cadde sotto il dominio arabo nel 743. A partire dalla conquista musulmana dell'VIII secolo, fu inglobata nella regione di al-Andalus e venne ribattezzata Māllaqa (in arabo مالقة). Dopo la divisione del territorio in taifas (emirati indipendenti in lotta tra di loro), nel 1026 la città divenne la capitale della taifa sotto il controllo della dinastia berbera degli Hammudidi. Diventò una fiorente città, circondata da una muraglia con 5 enormi porte. Comparvero numerosi sobborghi con una via che li percorreva da Est a Ovest, che collegava il porto e la alcazaba a tutta la zona interna alla muraglia. I sobborghi furono occupati da commercianti genovesi e giudei che si stabilirono in maniera indipendente dal resto della città. In questa epoca visse uno dei figli più illustri di Málaga: il filosofo e poeta ebreo Avicebron (Shelomoh ibn Gebirol).Nel corso della seconda metà del XIII secolo passò sotto il controllo della dinastia dei Nasridi, diventando parte del Sultanato di Granada. Abderramán III costruì la Porta di Atarazanas nel secolo XIII - oggi è la porta di accesso al mercato centrale. La presa della città da parte dei castigliani nel corso della Reconquista rappresentò uno dei momenti più sanguinosi della storia di Málaga. La città, cinta d’assedio da 45.000 uomini e difesa da forze tre volte inferiori, oppose una fiera resistenza per quasi sei mesi, finché fu costretta alla resa il 13 agosto 1487. Il re Fernando il Cattolico negò ai vinti una capitolazione onorevole e, ad eccezione di alcuni disertori, i 15.000 sopravvissuti della città furono condannati a morte o ridotti in schiavitù. La città seguì poi le sorti del Regno di Spagna, ma non trasse particolare beneficio dai commerci con le Americhe.
    Dopo un periodo di grande prosperità, nei secoli XVI e XVII Malaga vide epidemie e cattivi raccolti nelle campagne che provocarono una profonda crisi economica. Nel secolo XVII, venne costruito il porto che riattivò l’economia.
    Nel XIX secolo, Malaga diede inizio a un importante piano di sviluppo urbanistico, ma l’impatto politico che ebbe la tirannia del Re Fernando VII provocò di nuovo la crisi economica. Vi fu l’assassinio del generale Torrijos, liberale spagnolo in lotta contro l’assolutismo, e dei suoi uomini. In memoria del generale Torrijo e dei suoi uomini, venne eretto un obelisco in Piazza della Merced, che ancora oggi è il centro delle attività culturali e delle feste popolari di Malaga.
    Málaga fu anche città pioniera nei tempi della rivoluzione industriale, in cui per lungo tempo contese a Barcellona la palma di città più industrializzata del paese. In quest’epoca di rapido sviluppo emersero la famiglia Larios e il politico conservatore Antonio Cánovas del Castillo.
    Durante la guerra civile spagnola, Málaga venne bombardata dai nazionalisti e dall’aviazione fascista mandata da Mussolini; l’attacco provocò una fuga massiccia verso la zona repubblicana di Almería. La città fu infine presa dai franchisti l’8 febbraio 1937. Negli anni del dopoguerra per la città iniziò una fase di espansione dovuta al crescente afflusso di turisti verso la Costa del Sol, che negli anni Sessanta assunse il ritmo di un vero e proprio boom economico ed edilizio.

    (Gabry)





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    La musica del cuore


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    I Grandi Cantautori Italiani




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    Gino Paoli


    Gino Paoli (Monfalcone, 23 settembre 1934) è un cantautore, musicista.

    Ha scritto ed interpretato brani di vasta popolarità, quali Il cielo in una stanza, La gatta, Che cosa c'è, Senza fine, Sapore di sale, Una lunga storia d'amore, Quattro amici; ha partecipato a 6 edizioni del Festival di Sanremo, l'ultima delle quali nel 2014 in qualità di super ospite; ha collaborato con numerosi colleghi alla realizzazione di album e di singoli di successo; ha composto musiche per colonne sonore di film.

    Gino Paoli nasce a Monfalcone da padre toscano, ingegnere navale, e madre giuliana. Molti suoi congiunti da parte materna furono coinvolti nell'esodo giuliano-dalmata e alcuni persero la vita durante le operazioni di pulizia etnica compiute dai reparti regolari e paramilitari jugoslavi. Pochi mesi dopo la sua nascita, la famiglia si trasferisce però a Genova, nel quartiere di Pegli, città alla quale rimarrà sempre legato.

    L'amore per la musica lo riceve dalla madre pianista. Gino, poco incline agli studi, frequenta un gruppo di amici che condividono questa sua stessa passione e che costituiranno il primo nucleo della cosiddetta Scuola genovese: Luigi Tenco (con il quale forma il gruppo "I DIAVOLI DEL ROCK"), Bruno Lauzi, Fabrizio De André, Umberto Bindi, Joe Sentieri, Giorgio Calabrese, i fratelli Gian Piero e Gianfranco Reverberi.
    Saranno proprio questi ultimi, musicisti professionisti, a far convocare a Milano Paoli e i suoi amici Bindi e Tenco per un'audizione presso la Dischi Ricordi, da poco costituitasi come casa discografica. Sotto la direzione artistica di Nanni Ricordi, Gino realizza i suoi primi 45 giri nel 1959 (La tua mano, Non occupatemi il telefono, Senza parole, Sassi) senza ottenere alcun successo. Stesso destino sembra toccare al successivo La gatta, brano autobiografico pubblicato nel 1960, che nei primi tre mesi vende poco più di cento copie. Un incessante passaparola, però, fa sì che più tardi il brano arrivi in classifica, calamitando l'attenzione degli addetti ai lavori e l'interesse del paroliere Mogol, che fa da prestanome al giovane Paoli, non ancora iscritto alla SIAE.

    Mogol propone a Mina, cantante già affermata, di incidere Il cielo in una stanza, scritta da Paoli, ma che porta appunto la sua firma come paroliere e quella del maestro Renato Angiolini (che si firma con lo pseudonimo di Toang) come compositore. L'enorme successo di vendite di questo brano, ispirato a Paoli da un bordello, dove si trovava un giorno, e che rimane in classifica per più di sei mesi, sancisce la definitiva affermazione di Gino Paoli come cantautore.

    Nel 1961 Gino conosce Ornella Vanoni e intreccia con lei una relazione sentimentale, che ispira alcune delle sue canzoni d'amore più famose: Senza fine, Anche se, Me in tutto il mondo. Del 1961 è anche la sua prima partecipazione al Festival di Sanremo con Un uomo vivo, presentata in coppia con il vincitore dell'anno precedente, Tony Dallara.

    Nello stesso anno scrive per Sergio Endrigo la canzone Gli innamorati sono sempre soli, con cui il cantautore istriano partecipa ad aprile al Festival di Diano Marina; in seguito Paoli inciderà il brano, che nella versione di Endrigo resterà inedito.

    Sempre nel 1961 incominciano i suoi problemi con l'alcol, nati quasi per gioco dopo una sfida con Sergio Bernardini, proprietario della Bussola di Viareggio, e che andranno avanti per 15 anni, fino al 1976. Dopo la morte del fratello, avvenuta in quel periodo e causata dall'abuso di alcolici, Paoli deciderà di disintossicarsi dal whisky.

    Nel 1962, in occasione di una lunga tournée nei locali italiani, incontra Stefania Sandrelli, allora giovanissima attrice, e se ne innamora. Dal loro legame, giudicato scandaloso dalla stampa e dall'opinione pubblica (Paoli era sposato e in attesa di un figlio dalla moglie legittima, mentre la Sandrelli era ancora minorenne), nascerà Amanda, oggi attrice affermata.

    Intanto Nanni Ricordi esce dall'omonima casa discografica e approda alla RCA Italiana. Gino lo segue e nel 1963 incide quello che si rivelerà il 45 giri di maggior successo di tutta la sua carriera: Sapore di sale, arrangiato da Ennio Morricone. Paoli dichiarerà che l'ispirazione per questo brano è nata proprio dalla sua storia con la Sandrelli. Sapore di sale partecipa al Cantagiro e Gino avrà in questa occasione l'impatto con il grosso pubblico. Un'altra hit di successo, Che cosa c'è, del medesimo periodo, diventerà negli anni un classico del repertorio di Paoli.......




    fonte: wikipedia.org




    La tua mano - 1959

    Oh, oh, oh, oh, oh….
    Oh, oh, oh, oh, oh….
    La tua mano… La tua mano…
    te l’ho chiesta per provare,
    me l’hai data, mi hai sorriso…
    ti ho potuta ritrovar,
    I tuoi occhi senza fine
    Son gli stessi che mi han dato
    La maniera di sognare
    Di guardare nel passato
    Voglio avere qualche cosa per poter ricordare
    Voglio uscire E non vederti
    Non sentirti nel mio cuor
    La tua mano… La tua mano…
    Tu mi hai dato la tua mano
    La tua mano… La tua mano…
    Tu mi hai dato la tua mano
    Oh, oh, oh, oh, oh….


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Motogp: Malesia è primo match point. Rossi: 'Niente errori'.

    Vale vuole vincere. Lorenzo: "devo limare ancora svantaggio". Due gare alla fine, due piloti compagni di team ed acerrimi avversari, 11 punti a dividerli. Ecco gli ingredienti di un finale di stagione avvincente, come la classe regina del Motomondiale non ne apparecchiava da anni. Domenica il gran premio della Malesia, l'8 novembre chiusura a Valencia. Ma già a Sepang Valentino Rossi si gioca il primo match point. In caso di vittoria, Jorge Lorenzo non dovrebbe fare meglio del sesto posto.

    Con Rossi secondo, lo spagnolo non dovrebbe arrivare sopra l'11/o. A Rosi basterebbe un terzo posto se Lorenzo non raccogliesse più di un punto (15/o). Difficile, insomma, però non impossibile. Lo scenario della penultima sfida sarà il circuito a sud di Kuala Lumpur, temuto dai piloti soprattutto per il caldo afoso: nel fine settimana sono attese temperature oltre i 30 gradi, con tanta umidità ed acquazzoni tropicali. Una pista "amica" di Rossi: lì ha vinto tre dei suoi nove mondiali, con un palmares complessivo di 10 podi, di cui sei sul gradino più alto, l'ultimo nel 2010. Lorenzo è sempre salito sul podio nelle ultime quattro edizioni, ma non vince dal 2006, quando correva in 250. A soli 230 chilometri dalla fine del Mondiale "vietato sbagliare" è la parola d'ordine

    . "A questo punto è importante non commettere errori - si dà la carica Rossi - In Australia ho fatto una buona gara, ma avrebbe potuto essere molto meglio. In Malesia dobbiamo trovare subito un buon set up, sapendo che ogni sessione sarà importante, non solo la gara. Dobbiamo ottenere il miglior risultato fin dalle libere e poi puntare a vincere. Arrivo all'ultimo di questi tre gran premi consecutivi con un buon vantaggio in classifica e questo è sicuramente positivo. Ora è il momento di chiudere con due belle gare una stagione ricca di successi. Mi sento bene e con il mio team sono pronto a dare il meglio". Esattamente come il compagno-avversario, rilanciato dai 7 punti rosicchiati a Rossi in Australia. "A Sepang, ci aspetta una corsa complicata - prevede Lorenzo - anche a causa delle temperature estremamente elevate e dell'umidità. Penso che una delle chiavi per arrivare alla vittoria sarà il rendimento delle gomme. L'obiettivo principale è limare ancora qualche punto, accorciare il distacco che mi separa da Valentino, per arrivare a Valencia con un piccolo svantaggio da recuperare. Mi sento in forma, carico e non vedo l'ora di correre in Malesia".
    (Ansa)




    < Tour: 2016 meno crono e più salite, chance Aru e Contador.
    Sardo: 'Posso prendermi soddisfazioni'. Spagnolo "E' per scalatori". Il Mont Ventoux è senza dubbio il piatto forte del Tour de France di ciclismo numero 103, che nel 2016 scatterà il 2 luglio (l'epilogo il 24, nella consueta cornice parigina) da Mont Saint-Michel, con una tappa pianeggiante. La mitica vetta della Provenza, spazzata dai famigerati venti Mistral, dove non cresce l'erba e sulla quale sono state scritte pagine leggendarie nella storia del ciclismo, verrà raggiunta il 14 luglio, in concomitanza con l'arrivo della 12/a tappa. Sarà quello uno dei giorni più significativi della Grande boucle, che è stata presentata stamattina nel Palazzo dei congressi, a Parigi, e che l'anno prossimo sembra disegnata a misura di scalatori. Il 'Monte Calvo' verrà scalato per la decima volta dal 1958 e, come sempre, offrirà il peggio di sè ai corridori che lo affrontano con timore e rispetto. Saranno 3.519 i chilometri da percorrere, suddivisi nove tappe pianeggianti, una di collina, nove di montagna (inclusi i quattro arrivi in salita); due le cronometro individuali, per un totale di soli 54 chilometri contro il tempo, altrettanti i giorni di riposo. Tre gli sconfinamenti: Spagna, Andorra e Svizzera. La tappa più lunga unirà idealmente Saumur a Limoges, per un totale di 232 chilometri.

    "Il percorso non mi dispiace - le parole di Fabio Aru, all'Ansa -. L'anno prossimo voglio far bene: affronterò il Tour senza particolari pressioni. In salita tengo, a cronometro sono migliorato. Insomma, pur essendo all'esordio, nella corsa a tappe francese posso sicuramente togliermi qualche soddisfazione". L'Astana punterà sul 'Tamburino sardo', ma potrebbe essere della partita anche Vincenzo Nibali, che il Tour lo ha vinto nel 2014, contro ogni pronostico. Lo 'Squalo dello Stretto', come ha già dichiarato nei giorni scorsi, l'anno prossimo punterà tutto sul bis al Giro d'Italia e a una medaglia olimpica. "A Rio parteciperò per la terza volta ai Giochi, dopo Pechino e Londra: è arrivato il momento di prendermi qualche soddisfazione", le parole di Nibali. Che, tuttavia, potrebbe anche 'sostenere' il compagno Aru nell'assalto al podio, anche per preparare la gara su strada a Rio - programmata per inizio agosto - nella migliore condizione possibile. Pure Alberto Contador, che quest'anno ha trionfato al Giro d'Italia, prepara l'assalto ai Campi Elisi. Lo spagnolo, prima di appendere la bicicletta al chiodo, ci terrebbe a iscrivere per la terza volta il proprio nome nell'albo del Tour. Quello del 2016 lo considera "duro". "Mi piacciono entrambe le cronometro - ammette il leader della Tinkoff-Saxo -. Le tappe di montagna sono distribuite in modo uniforme, dall'inizio alla fine, bisognerà gestire le forze con molta attenzione, in modo da non presentarsi troppo stanchi nella parte finale del tracciato. E' un Tour per scalatori? Sì, lo è, anche se il Tour dello scorso anno lo è stato ancora di più, dal momento che non erano state inseriti tanti chilometri a cronometro".
    (Ansa)




    Pennetta ai quarti a Mosca, qualificata per Wta Finals.
    Batte all'esordio Gavrilova e stacca biglietto per Singapore. Flavia Pennetta si è qualificata per le Wta Finals - il Masters tra le otto migliori tenniste della stagione, al via domenica prossima a Singapore - grazie alla vittoria per 6-2 6-4 sulla russa Daria Gavrilova, che la proietta ai quarti di finale della Kremlin Cup a Mosca. Battendo all'esordio la Gavrilova, numero 36 Wta, e tenendo conto della sconfitta della ceca Lucie Safarova contro la russa Anastasia Pavlyuchenkova, la 33enne brindisina, numero 8, ha ottenuto i punti necessari per essere tra le prime otto.
    (Ansa)

    (Gina)



    STRUMENTI MUSICALI!!!




    Corno


    French_horn


    Classe di strumenti a fiato con apertura conica, dal corpo metallico o ricavato direttamente da un corno animale. Il suono in questi strumenti viene prodotto grazie alla vibrazione delle labbra contro l'imboccatura, così come avviene nella tromba. Il corno da orchestra fu utilizzato a partire dal 1650 circa: si tratta di una versione di maggiori dimensioni degli strumenti precedentemente costruiti, fornito di un tubo ritorto secondo un disegno circolare. Il corno da caccia, introdotto in orchestra nei primi anni del Settecento, poteva eseguire dodici note derivate dalla serie degli armonici naturali. Il corno ottenne una maggiore flessibilità intorno al 1750 con una nuova tecnica: introducendo la mano nel padiglione era possibile alterare l'altezza dei suoni fino a ottenere un tono intero. Nonostante questa innovazione fu necessario aggiungere allo strumento nuove sezioni di tubo, dette ritorte, per poter agevolmente suonare in un maggior numero di tonalità. Fu l'invenzione dei pistoni agli inizi del XIX secolo a rivoluzionare il corno. Il moderno corno in Fa ha tre pistoni, un canneggio circolare che termina da un lato con una svasatura a campana e dall'altro con un bocchino a imbuto che dà al corno il suo caratteristico timbro soffice e mellifluo. Il corno doppio in Fa e in Si-bemolle fu introdotto intorno al 1900.

    Il corno (lingue antiche: sanscr. crn-gam corno, gr. kèras, lat. cornu, fr. cor e crone; sp. trompa, ted. horn) è uno strumento musicale a fiato che fa parte degli aerofoni e della sottofamiglia degli ottoni con canneggio conico. Viene anche chiamato Corno Francese per essere distinto da quello inglese.

    Il corno presenta cilindri da 12 piedi (3,7 metri) avvolti in una spirale, e con campana svasata. Discendente del corno naturale, lo strumento è ufficiosamente noto con il nome di corno francese, ma dal 1971 l'International Horn Society ha suggerito il termine corno.
    I corni possiedono valvole, azionate con la mano sinistra, per deviare l'aria in tubature aggiuntive per cambiare l'altezza. Molti corni possiedono valvole rotative azionate da leve, ma alcuni, come il corno viennese, usano pistoni (simili alle valvole della tromba). Un corno senza valvole è chiamato corno naturale, cambiando tono lungo la frequenza naturale dello strumento (simile ad un bugle), ma con un'ampia serie di note per via dei lunghi cilindri.
    Nel corno singolo, tre valvole controllano il flusso dell'aria, il quale viene accordato in FA o, ancor meno, al SIb. Il più comune corno doppio possiede una quarta valvola, solitamente azionata dal pollice, che devia l'aria ad una serie di cilindri accordata in FA o ad una seconda serie di cilindri a SIb. Vengono anche realizzati corni tripli a cinque valvole.
    Il corno moderno possiede entrambi i tipi di canneggio: in prossimità del bocchino e della campana si ha un canneggio conico, mentre il corpo centrale, in prossimità dei cilindri, presenta canneggio cilindrico. L'inizio del corpo dello strumento si ha da un lato con un bocchino, la cui sezione può essere a tazza o a V, mentre termina dall'altro con un ampio padiglione a campana, da cui prende appunto il nome (in gergo strumentistico, valido per ogni aerofono, campana). Il suo suono viene prodotto grazie alla vibrazione delle labbra appoggiate sul bocchino, così come avviene negli altri ottoni.
    Il corno possiede una macchina composta da cilindri, il cui numero può variare da 3 per il corno semplice, a 4 per quello doppio, fino a 5 per quello triplo.
    Il timbro è soffice e profondo. Rispetto agli altri ottoni presenti nell'orchestra, l'estensione del corno può raggiungere quasi le 5 ottave.
    In orchestra viene utilizzato come strumento armonico e solistico, grazie al suo particolare timbro che "lega" molto bene gli altri suoni e può anche emergere facilmente; molti compositori dei periodi barocco, classico e romantico hanno dato importanti ruoli a questo strumento dal suono evocativo sia in campo sinfonico cameristico che in quello operistico.

    I musicisti che suonano il corno sono chiamati usualmente cornisti.

    Estensione del corno
    L'estensione del corno doppio (vedi oltre) in FA-SIb va dal SIb contrabbasso (SIb0) al Fa acuto (FA4), che in chiave del corno si scrivono come FA contrabbasso e DO bisacuto, ma al grave si può spingere fino al FA contrabbasso (FA0), per il corno DO contrabbasso.
    I cornisti più dotati riescono ad arrivare al FA bisacuto (Fa5) che per il corno viene scritto come DO trisacuto, ma il suono risulta chiuso e strozzato e perde le caratteristiche del suono del corno, cioè il timbro pieno, scuro e pastoso.
    Le note del corno restano ben articolabili, modulabili e con buon timbro potente e cornistico fintanto che si resta nelle due ottave RE basso - RE centrale - RE acuto sebbene, come detto, il corno possa raggiungere note molto più gravi e molto più acute.
    L'estensione acuta e grave, così come l'agilità nei vari registri, possono variare leggermente da esecutore ad esecutore e, in minor misura, da corno a corno, data l'odierna notevole varietà di metodi e materiali con cui vengono costruiti i corni.

    Storia
    250px-Hunting_horn_3
    Gli antichi corni erano molto più semplici degli odierni. In principio, lo strumento si ricavava dalle corna del bestiame, come, per esempio, dalle mucche o dai tori. Molto più tardi apparvero i corni naturali, detti abitualmente corni da caccia, strumenti che appunto venivano suonati durante le battute di caccia. Essi consistevano in tubi metallici ripiegati diverse volte e terminanti con una larga apertura finale, detta "campana". Dalla parte dell'imboccatura invece si aveva il bocchino, che era parte integrante dello strumento. Il cornista teneva lo strumento afferrandolo nella porzione di tubo vicina all'imboccatura, con il resto del corno attorno al braccio, in modo che fosse sufficiente una sola mano per suonarlo e l'altra potesse tenere a freno il cavallo. La posizione moderna dei cornisti prevede di utilizzare la macchina con la mano sinistra (al contrario degli altri ottoni, come anche un'altra piccola curiosità, cioè che il corno è l'unico strumento, a parte il sax, a non poter stare in equilibrio sulla campana), e di posizionare la mano destra, messa distesa e a dita chiuse nel padiglione per correggere l'intonazione che altrimenti è di circa un quarto di tono crescente, e per scurire il suono. In caso di necessità la mano destra può essere usata per ottenere l'effetto dello stoppato, cioè chiudere saldamente la campana con la mano, e per ottenere l'effetto sordina, chiudendo completamente la campana con la mano. Per questo ultimo effetto data la chiusura della campana occorre correggere il suono perché diventa di un semitono calante, quindi il musicista dovrà suonare trasportando un semitono sopra. L'effetto sordina rende il timbro molto particolare, nasale e ovattato. Esistono comunque sordine di legno o di metallo applicabili all'uscita della campana.
    I corni odierni, rispetto ai corni antichi, hanno il bocchino separabile dal corpo dello strumento. Questo fa sì che ogni strumentista possa scegliere il modello di bocchino che più gli aggrada. Tra tutti gli ottoni, il corno ha il bocchino più piccolo.
    Il corno naturale non poteva emettere tutti i suoni: gli unici possibili erano quelli corrispondenti ai suoni armonici che il tubo emetteva variando la pressione dell'aria e la tensione del labbro.
    399px-Cor_a_tons_de_rechangeIn seguito i corni attirarono l'interesse dei compositori e furono usati per evocare atmosfere campestri ed immagini di caccia. Anche al tempo di Wolfgang Amadeus Mozart, tuttavia, il suonatore di corno (ormai parte integrante dell'orchestra) si serviva di uno strumento diverso dall'attuale. Si trattava ancora di un corno naturale (si serviva solo dei suoni armonici), tanto che era costretto a possederne più d'uno, dotati anche di tubi ritorti, cioè di porzioni di tubo aggiuntivo che potevano essere aggiunti per variare la lunghezza del canneggio e, di conseguenza, sia il suono base che tutta la serie degli armonici. Mentre la mano sinistra teneva la parte iniziale dello strumento, vicino al bocchino, la mano destra del cornista aveva già assunto la posizione attuale, infilata nella campana dello strumento; attraverso l'azione della mano nella campana, potevano essere ottenuti altri suoni, calanti o crescenti, dei quali i compositori si servirono largamente malgrado l'evidente differenza timbrica con i suoni naturali. Fu tuttavia una svolta per il corno, perché poteva finalmente eseguire tutta la scala cromatica. Con l'aggiunta di questi altri suoni a quelli naturali, il corno divenne infatti uno strumento melodico e molti grandi compositori cominciarono a scrivere concerti a lui dedicati. I concerti per corno di Mozart (K 412, K 417, K 447 e K 495), ad esempio, furono scritti per questo tipo di corno che, abbiamo detto, oggigiorno viene definito corno naturale.

    Intorno al 1835, il corno assunse una nuova forma: grazie all'invenzione del cornista Luigi Pini furono aggiunti i cilindri, meccanismi che aprono e chiudono porzioni di tubo facenti le veci dei vecchi ritorti, rendendoli quindi sorpassati.
    Il sistema non godette di immediata fortuna e diffusione, al punto che Charles-Joseph (il padre di Adolphe), brevettò il cosiddetto "cor omnitonique" automizzando il sistema dei ritorti attraverso un cursore (ed ignorando i pistoni) ancora nel 1824.

    L'aggiunta dei tre cilindri, e l'ormai diffusissimo uso di accoppiare lo strumento in FA ad uno in SIb (corno doppio), ha reso lo strumento completo nella sua estensione, senza i "vuoti" presenti nel corno naturale.
    La mano destra tuttavia viene ancora usata sia per sostenere lo strumento, che con il doppio canneggio è diventato più pesante, e controllare l'intonazione, sia per ottenere degli effetti di suono metallico chiudendo opportunamente il padiglione.

    Tipi di corno
    In seguito all'uso massiccio che si cominciò a fare del corno in ambito orchestrale nonché solistico, si sentì l'esigenza di potenziare la zona acuta dello strumento in FA (lunghezza 250px-Omnitonic_horn_2del tubo 3,94 m). La soluzione, come già accennato, consistette nell'accoppiare al canneggio in FA un ulteriore canneggio in SIb (2,95 m).
    Il primo prototipo di questo strumento risale al 1897 ad opera del costruttore tedesco Fritz Kruspe.
    Il corno doppio combina i due strumenti in un unico corpo. Attraverso un quarto cilindro azionato dal pollice, il cornista può agevolmente passare dai suoni gravi e pieni del corno in FA a quelli acuti e squillanti del corno in SIb.
    Col passar del tempo vengono inoltre sempre più in uso corni in fa-sib-fa acuto (tripli) o semplicemente in fa acuto (descant horn) che facilitano l'emissione nel registro più alto e rendono più agevole l'esecuzione di repertori o brani particolari.
    Queste opportunità colmano quelle regioni dello strumento che non erano ancora state raggiunte dall'uso della mano per intonare il corpo dello strumento, rendendo il corno uno strumento completo.
    Oggigiorno si potrebbe quindi ragionevolmente rivedere la notazione: infatti il corno attuale adotta ancora la scrittura del corno naturale in FA, il che costringe i compositori a trasportare tutti i suoni una quinta giusta sopra ai suoni reali e gli strumentisti a leggere nella chiave di mezzosoprano, aggiungendo mentalmente sempre un bemolle in armatura.
    Il corno, ormai affrancato dall'incombenza del cambio strumento, si può considerare, al livello di scrittura, uno strumento in Do.

    Valvole
    La valvola rotativa fu inventata (probabilmente da Joseph Riedlin nel 1832) dopo la coulisse e prima dei pistoni: molti strumenti antichi hanno utilizzato tale meccanismo.
    Tre valvole sono già sufficienti per ottenere tutte le combinazioni che servono per avere una scala cromatica completa. Ogni combinazione di valvole abbassa la nota di base della serie degli armonici in un determinato modo. La prima valvola abbassa di un tono, la seconda valvola abbassa di un semitono, la terza valvola di un tono e mezzo. Ne conviene che, abbassando contemporaneamente la prima e la seconda, è come se si abbassasse soltanto la terza poiché un tono e mezzo, è la somma di un tono più un semitono.



    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    DAL MUSEO D'ORSAY AL VITTORIANO:
    L'ESPRIT DU TEMPS
    NEI RITRATTI DEGLI IMPRESSIONISTI



    Dal 15 ottobre 2015 al 7 febbraio 2016



    La rassegna intitolata “Dal Musée d'Orsay Impressionisti. Tête à tête” presenta un’accurata selezione di autoritratti, ritratti e scene di vita mondana, curata da Guy Cogeval, presidente dei Musées d’Orsay et de l’Orangerie, con la curatela scientifica di Xavier Rey, direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay, e di Ophélie Ferlier, conservatore del dipartimento di sculture del Musée d’Orsay.

    All’interno del percorso espositivo, i volti, gli abiti, le posture, gli accessori e le ambientazioni diventano oggetto di un’indagine tesa a ricostruire il milieu culturale e sociale in cui gli Impressionisti operarono, e a cogliere al tempo stesso la potenza di un rinnovamento stilistico che scelse di rappresentare la vita moderna anticipando la fotografia.

    Tra le opere scelte per l’esposizione capitolina spiccano capolavori come “Il Balcone” (1890) di Manet, ritratto della borghesia parigina di fine Ottocento; “Jentaud, Linet et Lainé” (1871) di Edgar Degas che immortala tre uomini seduti all'interno di un caffè in un momento di relax; “L’altalena” (1867) di Pierre-Auguste Renoir, che lavorando sulla luce restituisce il ritratto di un istante effimero; e ancora “Donna con caffettiera” (1890-1895), l’“Autoritratto” (1875) e “Il giocatore di Carte” (1890-1892) di Paul Cezanne.




    FESTE e SAGRE





    UN LIBRO ....UN AUTORE

    "La vita non ci appartiene, ci attraversa"

    A N N A



    I ragazzi sono tutti orfani: un virus ha ucciso gli adulti, i cui cadaveri restano nelle case, nei centri commerciali, nelle auto abbandonate ai lati delle strade deserte. Anna è ambientato in una Sicilia devastata, dove i campi sono bruciati, le città disabitate, la vegetazione riprende possesso dello spazio, e bande di ragazzi sopravvissuti combattono con branchi di cani randagi per il poco cibo e acqua rimasti. Lo sforzo per sopravvivere si intreccia con la fatica di imparare le conoscenze che gli adulti non sono riusciti a lasciare. Ma è anche un mondo in cui, se si ha molta fortuna, si può trovare un barattolo di Nutella. L’Anna del titolo ha tredici anni e un fratellino, Astor, a cui racconta fiabe. Porta sulle spalle uno zaino pieno di cose, tra le quali una bottiglia di Amaro Lucano, un tubetto di latte condensato e il quaderno su cui sua madre prima di morire le ha lasciato scritto “Le Cose Importanti”. Prima di uscire, a volte, ci infila un doppio cd di Massimo Ranieri. È un romanzo cupo e avventuroso, sulla paura dei bambini di rimanere soli, e sulla paura dei grandi di non riuscire a insegnare niente di ciò che si è capito a chi verrà dopo.

    "Anna correva sull’autostrada stringendo le cinghie dello zaino che le rimbalzava sulla schiena. Ogni tanto girava la testa. I cani erano ancora lí. Uno dietro l’altro in fila indiana. Sei, sette. Un paio piú malconci si erano persi per strada, ma quello grosso, davanti, si avvicinava.
    Due ore prima li aveva scorti in fondo a un campo bruciato apparire e sparire tra le rocce scure e i tronchi anneriti degli ulivi, ma non ci aveva dato peso. Le era già capitato di essere seguita da branchi di cani selvatici, ti venivano dietro per un po’, poi si stancavano e se ne andavano per i fatti loro. [..] Erano creature disperate, alla deriva in un mare di cenere.. Gli incendi dell’estate avevano bruciato la pianura e c’era rimasto poco o niente da mangiare.
    Superò una fila di automobili con i vetri sfondati. Erbacce e grano crescevano intorno alle carcasse coperte da uno strato di cenere. Lo scirocco aveva spinto le fiamme fino al mare e aveva lasciato dietro di sé un deserto.[..] La caviglia destra le faceva male. Ad Alcamo aveva aperto a pedate la porta di un alimentari.
    E pensare che fino ai cani era andato tutto per il verso giusto. Era partita che era ancora buio. Ogni volta era costretta ad allontanarsi di piú per cercare da mangiare. Prima era facile, bastava andare a Castellammare e trovavi quello che volevi, ma gli incendi avevano complicato tutto. Aveva marciato per tre ore sotto il sole che montava in un cielo slavato e senza nuvole. L’estate era finita da un pezzo, ma il caldo non mollava. Il vento, dopo aver attizzato il fuoco, era sparito come se quella parte di creato non gli interessasse piú. In un vivaio, accanto a un cratere lasciato da una pompa di benzina esplosa, aveva trovato uno scatolone pieno di cibo sotto dei teloni impolverati.
    Nello zaino aveva sei barattoli di fagioli Cirio, quattro di pelati Graziella, una bottiglia di Amaro Lucano, un grosso tubetto di latte condensato Nestlé, un pacco di fette biscottate rotte ma ancora buone da sciogliere nell’acqua e una confezione da mezzo chilo di pancetta sottovuoto. Non aveva resistito, la pancetta se l’era mangiata subito, in silenzio, accovacciata sopra i sacchi di terriccio impilati sul pavimento.."


    ..recensione..


    L'autore parte da uno scenario tutt'altro che novello in letteratura, ossia l'annientamento dell'uomo a causa di un virus letale. Il mostro subdolo si chiama “la Rossa” e non dà scampo agli adulti, mentre per un misterioso motivo il male non contagia i bambini. L' habitat che si presta ad essere terreno di svolgimento degli eventi è la calda Sicilia, con le sue spiagge e il suo mare ma anche il suo variegato entroterra dove il profumo del sole che scalda le distese dei fichi d'india maturi ed il profumo degli aranceti in fiore lasca posto ad ambientazioni di morte e desolazione, pregne di tanfo di migliaia di corpi.
    Il mondo immaginato da Ammaniti è silenzio, fame, orrore; al contempo il declino del mondo dei “grandi” mette in pista il nuovo mondo dei “piccoli”, catapultati tra le spire di un universo desolante, dove il quotidiano diventa la lotta per la sopravvivenza. Dopo un brevissimo esordio di cosiddetta normalità, tra le pagine sfila una schiera di orfani depredati in primo luogo del calore familiare, della fase complessa della crescita, della possibilità di avere una guida ed una spalla per incamminarsi lungo l'arduo sentiero della vita. I “bambini di Ammaniti” non hanno tempo per le lacrime, hanno forte dentro di loro il ricordo del genitore ma una spinta innata li costringe a combattere per guardare al futuro, perché la tensione per la vita è nettamente più potente di quella della disperazione; sono esseri decisi a vincere la battaglia contro il destino. Il messaggio dell'autore appare in tutta chiarezza, appare come un'ancora di salvezza dopo una ridda di immagini dolorose e macabre; il focus è sulla speranza e non sulla sconfitta, questo lo percepisce a chiare lettere. (silvia71, www.qlibri.it/)

    NICCOLO AMMANITI


    Niccolò Ammaniti è uno scrittore italiano, vincitore del premio Strega nel 2007 per Come Dio comanda. S'iscrisse al corso di laurea in Scienze biologiche non completando tuttavia gli studi. Il suo primo romanzo, intitolato Branchie. Nel 1995 Ammaniti ha pubblicato, insieme con il padre Massimo, medico psichiatra, il saggio Nel nome del figlio, edito da Arnoldo Mondadori Editore. Nel 1996 ha recitato insieme alla sorella nel film a basso budget Cresceranno i carciofi a Mimongo di Fulvio Ottaviano.
    Ha partecipato nel 1996 all'antologia Gioventù cannibale, curata da Daniele Brolli e pubblicata da Einaudi, con un racconto scritto a quattro mani con Luisa Brancaccio. Sempre nel 1996 ha pubblicato per Mondadori Fango, raccolta di racconti che contiene, tra gli altri, i testi Vivere e morire al Prenestino e L'ultimo capodanno dell'umanità; da quest'ultimo è stato tratto nel 1998 il film di Marco Risi L'ultimo capodanno, alla sceneggiatura del quale collaborò lo stesso Ammaniti. Diventa uno dei principali rappresentanti del gruppo di scrittori definiti Cannibali.
    Nel 1999 è uscito il romanzo Ti prendo e ti porto via, sempre per Mondadori. La notorietà a livello nazionale giunge per Ammaniti nel 2001, quando pubblica il romanzo Io non ho paura, trasposto due anni dopo nell'omonimo film di Gabriele Salvatores. Nel 2004 ha scritto il soggetto per il film Il siero della vanità, diretto da Alex Infascelli. Nel 2006 è stato pubblicato il romanzo Come Dio comanda, edito da Arnoldo Mondadori Editore, accolto con favore dal pubblico, ma con alterni giudizi dalla critica, nonostante nel 2007 il romanzo si aggiudichi il premio Strega; il libro è stato inoltre adattato per il grande schermo, nuovamente da Salvatores, nel film Come dio comanda (2008). Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Che la festa cominci edito da Einaudi, per il quale ha ottenuto una candidatura al premio Alabarda d'oro 2010. Ha una rubrica su xL. Nel 2010 ha pubblicato il suo sesto romanzo dal titolo Io e te.
    Nel 2012 Niccolò Ammaniti ha pubblicato la raccolta di racconti Il momento è delicato, il cui titolo deriva dalla frase che gli venne rivolta da un editore per comunicargli il rifiuto della pubblicazione della raccolta di racconti Fango.

    ..intervista..



    Perché far sparire gli adulti?
    Me li sono immaginati come dèi tristi che decidono di abbandonare i figli.
    Come sopravvivono i bambini?
    Ripercorrono in modo primitivo la storia dell’umanità, come si fa a dare peso alla memoria. Non volevo raccontare la sopravvivenza di bambini trasformati in animali.
    La mamma lascia istruzioni scritte, tra queste quella di non entrare in camera dopo la sua morte per 100 giorni. Cosa rappresentano quei 100 giorni?
    Il tempo del lutto. Da bambino pensavo che i morti andassero a vivere in un altro quartiere di Roma, e che se avevi fortuna, prendendo la strada giusta, li ritrovavi. Loro stavano lì, abitavano le loro case, facevano la loro vita normale, solo in un altro quartiere.
    Il superamento del lutto è dunque ritrovare i morti?
    C’è un momento in cui quella persona non è più al posto giusto, e tu devi andare a cercarla, perché da qualche parte la trovi.
    Nel romanzo è il compito di Anna?
    Anna educa alla memoria il fratello.
    Perché affidare questo compito a una femmina?
    Come scrittore devi affrontare cose che non hai mai fatto, e io non avevo mai scritto di una donna protagonista, volevo raccontare il mondo visto da una donna.
    Ragazzina.
    In realtà Anna è tutto: all’inizio bambina, in un’infanzia prolungata. Poi, nella ricerca del fratello, nel confronto col mondo, adolescente. Quindi madre e moglie, nella famiglia che si ricostruisce con Astor e Pietro. Vedova. E alla fine vecchia nel momento in cui s’imbatte nella nuova generazione di piccoli, che non ha memoria dei cani da compagnia, perché non li ha mai vissuti.
    Com’è stato scrivere di una donna?
    Negli altri libri mi risuonava dentro quello che sono stato io. Questa è la prima volta che scrivo un protagonista che non mi corrisponde, scrivendo di Anna lei prendeva strade sue. è stato quasi un rapporto d’amore. A un certo punto lei dice di avere la sensazione che qualcuno la guardi dall’alto, che ci sia qualcuno che stia scrivendo la sua storia: si è stancata di me, per le disavventure e gli ostacoli, se la prende con me. Anna è una ragazzina atipica: coraggiosa, battagliera, sempre pronta allo scontro fisico, che lei descrive ogni volta nel dettaglio.
    [...]
    Un’altra indicazione lasciata dalla mamma a Anna: “Imparare a leggere”. È davvero così importante?
    Per la madre è la chiave alla sopravvivenza. E anche per me. Penso anch’io che il confronto con la memoria sia fondamentale, leggere significa non dimenticare. Anna non sa bene quanti anni abbia: tredici o quattordici, dice.
    Quanto conta in questo romanzo il tempo?
    È un’altra dimensione, è facile scordarlo. Mi piaceva l’idea che i tuoi giorni non fossero stati contati, condizione comune nel terzo mondo, non per noi che celebriamo ogni momento. Anna conta il tempo osservando il corpo, i segni del virus, che dicono quanto sei vicino alla fine.
    [..](tratta da www.iodonna.it/)

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Perche' si dice"In bocca al lupo"




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    In bocca al lupo è un augurio scherzoso di buona fortuna che si rivolge a chi sta per sottoporsi ad una prova difficile.

    Nei secoli l'espressione ha assunto un valore scaramantico: per scongiurare l'eventualità di un avvenimento indesiderato, lo si esprime sotto forma di augurio. Andare nella bocca del lupo è infatti una palese metafora per cacciarsi nei guai. Una consuetudine più recente del modo di dire in sé vuole che si risponda con "Crepi (il lupo)!" a chi formula l'augurio.

    Storia
    Anche se l'origine del modo di dire non è chiara, come altre analoghe espressioni che hanno per protagonista il lupo, sembrerebbe legata all'immagine del lupo nella tradizione popolare come personificazione stessa del male; infatti il lupo, considerato animale feroce e dall'insaziabile voracità nella tradizione antica e medioevale, portò morte e terrore fra gli abitanti delle campagne e delle zone di montagna, soprattutto fra pastori e cacciatori, divenendo in tutta l'Europa il protagonista negativo di numerose favole, leggende e storie che furono tramandate attraverso i secoli: basti ricordare le favole di Esopo e di La Fontaine, il lupo del Roman de Renart o il Lupo di Gubbio dei Fioretti di S. Francesco. Di questa visione paurosa del lupo permangono tracce in numerose lingue europee sotto forma di modi di dire e proverbi.

    La III edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, del 1691, riporta l'espressione andare in bocca al lupo con il significato di "andare nel potére del nimico, incontrare da sé il pericolo" e l'espressione andare in bocca, di significato più generico, definita come "andare in preda, restare nel potere" del nemico (uomo, animale o spirito maligno). L'espressione (ed altre simili come correre nella bocca del lupo, mettersi in bocca al lupo, cascare in bocca al lupo, andare nella tana del lupo), col significato di "finire nelle mani del nemico" o "andare incontro a grave pericolo" compare successivamente in altri dizionari, come ad esempio il Vocabolario dell'uso toscano di Pietro Fanfani del 1863.

    Interpretazione
    Il detto sarebbe quindi nato dal linguaggio dei cacciatori come frase d’augurio di buona fortuna, rivolta per antifrasi (cioè con significato opposto a quello letterale) ai cacciatori stessi, e, per estensione, a chi si appresta ad affrontare una prova rischiosa o difficile. La risposta "Crepi il lupo!" sarebbe invece nata per estensione da altre espressioni, costruite analogamente col verbo crepare, nelle quali alla lingua viene attribuito il potere magico di allontanare la cattiva sorte oppure di scongiurare un cattivo presagio, come, ad esempio, "Crepi l'avarizia!" e "Crepi l'astrologo!".


    (Lussy)






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    foto:aquariuscom.it


    Salute e benessere


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    foto:placesonline.com

    TERME DI PEJO

    Centro termale ma anche località sciistica tra le più rinomate in Italia, meta di turismo sia invernale che estivo, Pejo si trova al margine sudorientale del Parco Nazionale dello Stelvio. La caratteristica dell’acqua termale è nella sua massiccia presenza di anidride carbonica – tra le più alte mai registrate – ciò che la rende particolarmente efficace nella cura idropinica per le malattie gastroenteriche e renali.


    Un po’ di storia

    Una prima testimonianza storica sull’acqua di Pejo data 1549 e faceva esplicito riferimento ai “Bagni di Pejo”. Ben più circostanziata, una trattazione pubblicata intorno al 1660, scritta in latino, che raccoglieva una serie di testimonianze sulle virtù delle acque terapeutiche delle Fonte di Pejo, tra le quali quella di un “Medico, Fisico e Cubiculario effettivo del Serenissimo Arciduca d’Austria Ferdinando Carlo”, tal Alessandro Colombo, che faceva riferimento alle proprietà dell’acqua di Pejo nello stimolare l’appetito, nel “corroborare il ventricolo, impedire che i vapori dei visceri salgano alla testa” oltre che facilitare la digestione delle carni e guarire altre affezioni. Anche sulla scia della pubblicazione intitolata “De admirando Dei dono, sive de facultatibus acidularum in Valle Solis Episcopatus Tridenti repertarum”, Pejo conobbe fin dalla fine del XVII secolo un crescente sviluppo del turismo termale di cui beneficiarono, in un primo tempo, nobili provenienti dalla Germania e dall’Austria. Pare, quindi, che gli ufficiali austriaci dislocati in Val di Sole durante la guerra di successione spagnola (1701-1714) si facessero trasportare all’accampamento interi barili pieni dell’acqua dalle straordinarie virtù.
    All’inizio del XX secolo, quindi, iniziò l’attività di imbottigliamento dell’acqua di Pejo, la cui produzione era diretta inizialmente soprattutto nei territori dell’impero asburgico ma che, oltre naturalmente che nelle vicine regioni italiane, fu commercializzata persino nella lontana Mosca.



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    foto:valdisole.net


    Le acque


    foto:visittrentino.it

    L’acqua di Pejo è di tipo minerale effervescente naturale, tra quelle a maggior contenuto di anidride carbonica libera che si conoscano. Dopo aver percorso un lungo tragitto tra i pendii del massiccio montuoso dell’Ortles-Cevedale che circonda la Val di Pejo, l’acqua sgorga a Pejo a 1397 metri di altitudine e da cinque diverse fonti, con proprietà differenti: il Fontanino di Pejo, la fonte S. Camillo, l’Antica Fonte, il Fontanino di Cellentino e la Fonte Alpina dalla quale sgorga l’acqua oligominerale che viene imbottigliata e commercializzata. Tutte le acque vengono utilizzate prevalentemente nella cura idropinica per le malattie gastroenteriche e renali ma anche nella balneoterapia e nella terapia inalatoria. La presenza del ferro nella forma di jone ferroso, rende l’acqua minerale di Pejo inoltre particolarmente idonea per la cura delle anemie, del linfatismo e della clorosi in quanto lo jone ferroso consente un ottimo assorbimento e fissazione del ferro nei globuli rossi.
    L’acqua di Pejo viene indicata per la cura idropinica in presenza di malattie dell'apparato digerente, quali la dispepsia iper e iposecretoria, le coliti spastiche, specie di natura neurodistonica, le coliti irritative, la stipsi; le malattie del ricambio, quali la gotta e le tossicosi croniche, tenendo conto quanto sia importante, dal punto di vista metabolico, l'azione alcalinizzante sulle acidosi in genere; le malattie dell'apparato urinario, con particolare riferimento alla prevenzione primaria e secondaria della calcolosi pratica; le anemie ipocromiche primitive e secondarie a ridotto apporto alimentare; i linfatismi, specie se accompagnati da anemia, soprattutto nell'età pediatrica ed evolutiva.
    Nella terapia inalatoria, l’acqua di Pejo viene indicata in presenza di laringiti, sinusiti, rinite allergica, sindrome rinobronchiale e bronchite cronica.
    Nella balneoterapia, gli effetti dell’acqua di Pejo sono legati soprattutto alla presenza dell’anidride carbonica: le indicazioni comprendono tutte le patologie artroreumatiche e muscolari, esiti di traumi e fratture, artrite reumatoide in fase di quiescenza, osteoporosi, arteriopatie croniche periferiche (arteriosclerotiche, diabetiche, sindrome di Raynaud, acrocianosi vasomotorie e sindromi in generale), esiti di flebiti, sindrome post-flebitica, distrofie cutanee, edemi e cianosi declivi, parestesie, cellulite e patologia linfatica, obesità localizzata e diffusa, psoriasi, eczemi e dermatiti.
    Con terapia combinata (bibita più bagni, più balneoterapia o altro), con l’acqua delle Terme di Pejo vengono curate diverse forme di dermatite, sia di tipo allergico che di altra origine, le vasculopatie e la cura della cellulite oltre che le patologie di microcircolo.



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    foto:valdisoletravel.it


    Lo stabilimento termale

    Nuovissimo e moderno, lo stabilimento termale di Pejo si trova nel centro della cittadina ed è strutturato attraverso diversi caseggiati comunicanti tra loro. I reparti più strettamente legati al termalismo sono quelli della cura idropinica (per la quale viene utilizzata più di altre l’acqua dell’Antica Fonte), della balneoterapia, delle crenoterapie inalatorie e della fisiokinesiterapia termale. Lo stabilimento è dotato di un Centro Salute con piscina a 30° e con idromassaggio collettivo, di un Centro Benessere con bagno turco a 48° e ‘vasca aromi’, di un Centro Estetico dotato di lampade abbronzanti parziali e totali e beauty farm ove vengono praticati anche massaggi riabilitativi, shiatsu, rilassanti, parziali e generali e linfodrenaggi. Completa la struttura una palestra con attrezzi Technogym.



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    foto:terme.qviaggi.it

    Turismo nei dintorni

    Fin dal XV secolo e probabilmente anche prima, il soggiorno a Pejo era molto ricercato per la salubre combinazione tra il termalismo curativo e il clima che caratterizza la Val di Pejo, a sud-est del Parco Nazionale dello Stelvio. La zona è anche da sempre ambita dagli appassionati dello sci, che qui possono trovare piste di tutti i livelli e impianti che raggiungono fino a 2500 metri di quota.
    La cittadina di Pejo rappresenta senz’altro una valida base per escursioni sia nel Parco Nazionale dello Stelvio (ove vengono organizzate visite guidate) che nel Parco Naturale dell’Adamello. Da non perdere, anche per i non sciatori, una passeggiata alla stazioni sciistiche, per ammirare da vicino le montagne dell’Ortles-Cevedale o attorno ai numerosi laghetti alpini come il lago Pian Palù e il lago Careser.
    La Val di Pejo, così come la Val di Rabbi, si trovano ai lati della più grande Val di Sole che a diverse attrattive di tipo naturalistico unisce anche la presenza di pittoresche località di interesse turistico.


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    foto: emmeti.it

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    foto:bebtrentino.info



    da:benessere.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    "Paradiso e inferno sono qui. Dietro ogni muro, ogni finestra. Il mondo dietro il mondo... noi siamo presi nel mezzo. Angeli e demoni non possono passare sul nostro piano, così abbiamo quelli che io chiamo "sanguemisto", i faccendieri dell'aldilà. Possono solo sussurrarti nell'orecchio, ma una loro parola può darti il coraggio o trasformare il tuo piacere preferito nel tuo peggiore incubo. Quelli dal tratto demoniaco, come anche i mezzi angeli, vivono accanto a noi. L'Equilibrio lo chiamano... io lo chiamo ipocrisia. (Constantine)

    COSTANTINE


    Titolo originale Constantine
    Paese di produzione Stati Uniti
    Anno 2005
    Durata 121 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Rapporto 2.35:1
    Genere orrore, fantastico
    Regia Francis Lawrence
    Soggetto Jamie Delano e Garth Ennis (dal fumetto Hellblazer)
    Sceneggiatura Kevin Brodbin, Frank A. Cappello
    Produttore Lorenzo di Bonaventura, Akiva Goldsman, Benjamin Melniker, Lauren Shuler Donner, Erwin Stoff, Michael E. Uslan, Cherylanne Martin, Josh McLaglen
    Produttore esecutivo Gilbert Adler, Michael Aguilar
    Distribuzione (Italia) Warner Bros. Pictures
    Fotografia Philippe Rousselot
    Montaggio Wayne Wahrman
    Effetti speciali Matthew Hall, Allen Hall, James Reedy
    Musiche Klaus Badelt, Brian Tyler
    Scenografia Naomi Shohan
    Costumi Louise Frogley
    Interpreti e personaggi
    Keanu Reeves: John Constantine
    Rachel Weisz: Angela Dodson/Isabel Dodson
    Shia LaBeouf: Chas Kramer
    Djimon Hounsou: Papa Midnite
    Max Baker: Beeman
    Pruitt Taylor Vince: padre Hennessy
    Gavin Rossdale: Balthazar
    Tilda Swinton: Arcangelo Gabriele
    Peter Stormare: Lucifero
    José Zúñiga: Detective Xavier
    Francis Guinan: padre Garret
    Larry Cedar: Vermin Man
    April Grace: dottoressa Leslie Archer
    Suzanne Whang: madre

    TRAMA


    John Constantine è stato all'inferno ed è tornato indietro. Nato con un potere che non voleva, la capacità di individuare gli angeli e i demoni che si confondono fra gli umani, Constantine si è ucciso per sfuggire alle visioni che lo tormentavano. Ma ha fallito, è stato riportato in vita suo malgrado. Quando la detective Angela Dodson chiede il suo aiuto per scoprire la verità sulla misteriosa morte della sua gemella, le indagini li trascineranno nel mondo di demoni e angeli che esiste proprio al di sotto della Los Angeles contemporanea.

    "Io non credo al diavolo" "peccato. Perché lui crede in te"


    ...recensione....



    Il criterio del giudizio è talvolta vittima di un riflesso condizio-
    nato: i film sugli anticristo, sulla lotta tra il bene e il male, sugli esorcisti e tutto l'arma-
    mentario animistico ma non mistico, vengono di norma bollati a causa del sensazionalismo visivo ed emotivo che i filmakers utilizzano con le stesse modalità dei più fessi film horror. Non è il caso di Constantine, così ricco di umori, di autentica ironia, di dialoghi a volte irresistibili, dove la materia trattata: lo scontro tra angeli e demoni, mentre Dio è assente, secondo la visione nichilista tipica di una società i cui valori massimi sono le droghe, il potere e la violenza, è una sorta di puntata conclusiva di tutti film sull'argomento. Pur essendo passibile di un sequel, "Constantine" sembra davvero dimostrare che "scherzare coi santi" sia per una volta possibile per una buona causa. Il personaggio di Constantine è tratto dal fumetto "Hellblazer", un curioso epigono del film di Wenders, Così lontano, così vicino, perchè l'invisibile diaframma che separa i vivi dall'inferno e dal paradiso sembra davvero a portata di mano.
    John Constantine nasce col potere che gli consente di vedere tra gli umani angeli e demoni che si occultano tra noi. Spaventato dal suo potere si suicida, ma verrà riportato in vita e costretto a guadagnare il perdono divino, che ad un suicida di norma non è concesso, spedendo nel loro mondo i demoni che infestano la terra. È un fumatore accanito, cui hanno diagnosticato pochi mesi di vita e pertanto deve fare presto; esperto di demonologia e magia nera, Constantine è davvero un antieroe, che non cerca simpatie, che agisce al solo scopo di salvare la sua anima. Tutto quanto accade, non poco, è un vivace accumulo di situazioni che private dall'ironia sarebbero folli farneticazioni.
    Le visioni dell'oltretomba cadono talvolta nella convenzione visiva, con la tecnica digitale che inizia a mostrare i suoi limiti. Keanu Reeves è perfetto, diviso tra bene e male, il volto bellissimo, la recitazione asciutta ed ironica. L'avversione per l'ipocrisia e la crudeltà che contraddistingue il suo personaggio, attraversa la vicenda con l'ausilio della maturità interpretativa che a 40 anni Reeves ha finalmente raggiunto.
    Un curioso, folle e anarchico racconto del quale ciascuno può dire tutto il male e tutto il bene possibile: nel cinema non accade spesso, pertanto è una ghiotta occasione per un'incursione in un film di genere che si libera dall'etichetta grazie alla freschezza delle invenzioni e un dialogo accattivante. Per una volta possiamo abbandonarci al piacere di andare all'inferno. (Adriano De Carlo)

    "Sono Constantine, John Constantine" Si presenta alla James Bond il supereroe paladino del "lato buono della forza", difensore dell' equilibrio della terra.
    Il primo film diretto da Francis Lawrence, è un esplosivo mix tra "L'esorcista", "Stigmate" e "Blade", con un pizzico di situazionismo e battute ad effetto che ricorda molto il famoso agente segreto.
    La storia è quella tratta dalla serie di fumetti "Hellblazer". John Constantine ha il compito di spedire all'inferno tutti gli emissari dei due mondi ultraterreni che vanno al di là dei loro compiti, e cercano di influenzare attivamente la vita dell'uomo. Il problema si pone quando un demone ribelle, magari con l'aiuto di qualche angelo, decide che è l'ora di installarsi in maniera definitiva sulla terra.
    E magari lo vuole fare proprio attraverso il corpo di una poliziotta, amica del nostro eroe.
    Lawrence dirige tutto sommato positivamente i suoi attori, un Keanu Reeves dal nodo della cravatta sempre perfettamente sfatto, e una Rachel Weisz che si cala bene in alcune scene effettivamente non facili. La macchina da presa non si fa soffocare dall'effetto speciale, ma detta quasi sempre al meglio i ritmi e gli spazi, cercando a volte una profondità di campo insolita per una grande produzione sensazionalistica come può essere il Constantine della Warner.
    La fotografia segue l'andamento della storia, aiutandoci a immergerci nell'insolito conflitto tra le due "superpotenze", come le definisce Reeves nel film, che si giocano a scacchi, e non solo, il destino della terra.
    Quello che pare francamente non all'altezza è la sceneggiatura, che ci restituisce in modo pedissequo alcune situazioni e alcuni topoi tipici del fumetto, ma che nell'economia globale di un film di certo bene non riescono (basti solo pensare ad un Lucifero chiamato amichevolmente "Lou", o a figure di assistenti mollate dalla storia e ripescate come jolly a metà film). Ma a pensarci bene il difetto principale non è nemmeno questo.
    Lo script non riesce a creare un climax narrativo ed emotivo. Il film parte in modo fragoroso e fracassone sin dalle prime scene, e il ritmo e la dinamicità permangono costanti per tutte le due ore, creando uno stato di assuefazione nello spettatore che dopo la prima mezz'ora si abitua, malauguratamente al ritmo narrativo. Niente pause e niente picchi. Un livello abbastanza alto e scanzonato, ma costante. Maldestramente si cerca di ovviare inserendo (fiacchi) snodi narrativi, cercando d'inserire personaggi ad effetto ad ogni piè sospinto.
    Si intravede qualche caduta nel trash qua e là (come non pensare al dito medio alzato di Constantine), ed il livello narrativo è sublimante, ma dopotutto questo Constantine fa intravedere qua e là qualche lampo positivo, soprattutto grazie ad una regia fortunatamente non plasmata sul film, ma, in alcuni punti, addirittura caratterizzante.
    (Pietro Salvatori)

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    SOLANUM MAMMOSUN



    Solanum mammosum è comune-
    mente noto come mammelle di mucca. E' una pianta perenne della famiglia delle Solanaceae. E' originaria del Sud America, ma è stata natura-
    lizzato nelle Grandi Antille, America Centrale e Caraibi.
    Nella cultura cinese è conosciuto come cinque dita melanzane (五指茄). In Giappone è conosciuto come Fox faccia.
    La pianta arbustiva ha un fusto spinoso e può crescere fino ad 1,5 m di altezza. Ha bellissimi fiori viola a grappolo, lunghi circa 8 cm e larghi 4/5.
    La pianta è coltivata a scopo ornamentale, in parte a causa della fine somiglianza del frutto alle mammelle di mucca. Il frutto di color giallo, non è commestibile poichè tutte le sue parti sono velenose.
    È stato usato nella medicina tradizionale per il trattamento del piede d'atleta dai cacciatori in Trinidad e per l'irritabilità e l'irrequietezza. Viene usato in alcuni rimedi omeopatici. Prima dell’invenzione del sapone il succo era comunemente usato nei villaggi come detergente. E’ usato nel folclore popolare per attrarre la fortuna, a Taiwan si utilizza come un'offerta religiosa. Sono comunemente utilizzati nella costruzione degli alberi cinesi di Capodanno per il buon auspicio dei frutti di colore dorato. Spesso questi alberelli vengono anche offerti in dono per il culto degli antenati. La tradizione infatti dice che il numero delle “mammelle” dei frutti segnalerebbe il numero di generazioni che conviverà felicemente e a lungo sotto lo stesso tetto.

    SOLANUM LINNAEANUM



    Il Pomo di Sodoma è una pianta apparte-
    nente alla famiglia delle Solanaceae. In botanica è il nome volgare italiano del Solanum sodomaeum L., detto anche morella di Sodoma o pomodoro selvaggio. E' originaria del Sudafrica. È stata introdotta in Europa agli inizi del Settecento.
    È una specie arbustiva che può raggiungere i 2 m di altezza. Sul fusto e sui rami, ma anche sui peduncoli delle foglie e dei frutti, sono presenti robuste spine. Le foglie, plurilobate, sono lunghe 5-12 cm, larghe 3-6 cm. Sono di colore verde brillante sulla pagina superiore, con venatura centrale più chiara e rilevata. I fiori, di colore violaceo, sono riuniti in infiorescenze a corimbo; ciascun fiore presenta 5 petali uniti alla base e con parte apicale sfrangiata. I frutti sono delle bacche tondeggianti del diametro di 2-3 cm, di colorazione dapprima verde screziata di bianco quindi gialla a maturazione. Contengono solanina, un alcaloide tossico.

    Deve il suo nome comune, dagli scritti di Tacito, ad una leggenda legata all'episodio biblico dell'incendio di Sodoma, in seguito al quale la regione sarebbe divenuta totalmente sterile; l'unica pianta a cui fu permesso di crescere dalla volontà divina fu appunto il "pomo di Sodoma", i cui frutti, all'apparenza belli ed invitanti, una volta aperti contenevano solo fuoco e fumo. Le bacche del Solanum sodomaeum hanno in effetti una polpa che dopo la maturazione si riduce in polvere nerastra, il che ha portato a identificarle, appunto, con le mitiche "mele di Sodoma" colme di cenere.

    "L'esploratore francese Visconte di Marcellus, seguendo le piste percorse dagli antichi Egizi per giungere al Mar Morto per raccogliere i preziosi sali e componenti per l'imbalsamazione scoprì i "pomi di sodoma", frutti che una volta toccati si frantumarono, tra le mani del'esploratore francese del XIX secolo, in cenere maleodorante e perniciosa e il ricercatore consapevole delle relazioni dei pellegrini medievali contestualemente si rifornì di parte di questo materiale ma soprattutto di quelle sostanze che ivi si trovavano in abbondanza e che gli Egizi -ritenendole essenziali alla realizzazione delle migliori Mummie- tanto cercavano come essenziali ai fini dell'imbalsamazione."



    Molti dei pellegrini medievali hanno lasciato un resoconto del loro viaggio in Palestina ed hanno testimoniato sull'esistenza di tale pianta: qual simbolo della bellezza che sfiorisce e che appena toccata e induce alla perdizione. Fu poi a lungo utilizzata in epoca medievale per la realizzazione di pozioni mortali e per la preparazione di piatti velenosi, come la letale "Coca de Metzines", una specie di pizza con verdure tipica dell'isola di Maiorca.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    OTTOBRE

    Ottobre
    Sdraiato sulla terra, là presente.
    l'infinito paese castigliano,
    che l'autunno awolgeva nell'arcano
    dorato del suo sole all'occidente.
    Lento, l'aratro, parallelamente
    la zolla apriva, e il seme con la mano
    aperta nelle viscere il villano
    gettava della terra, onestamente.
    Pensai strapparmi il cuore, e là gettarlo,
    pieno del suo soffrire alto e profondo,

    del tenero terreno nel calore,
    per vedere se, infranto, a seminarIo,
    la primavera di svelasse al mondo
    l'albero puro dell'etèrno amore.


    (Juan Ramòn Jiménez)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto diTiina Törmänen



    È l’incertezza che affascina.
    La nebbia rende le cose meravigliose.
    (Oscar Wilde)

  7. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 042 (12 Ottobre – 18 Ottobre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 12 Ottobre 2015
    S. SERAFINO CAPP.

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 42
    Giorni dall'inizio dell'anno: 285/80
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 06:19 e tramonta alle 17:33 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 06:36 e tramonta alle 17:43 (ora solare)
    Luna: 5.37 (lev.) 17.28 (tram.)
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    Proverbio del giorno:
    D'ottobre il vino nelle doghe.
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    Aforisma del giorno:
    Guardiamo con sentimento di commossa riconoscenza a quel sublime mistero che potentemente attrae il Cuore di Gesù verso la sua creatura; guardiamo alla grande degnazione con cui assunse le nostre medesime carni per vivere in mezzo a noi la misera vita della terra; raccogliamo le forze tutte dell'intelletto per considerare degnamente il tenace fervore e la durezza del suo apostolato, per rievocare gli orrori della sua passione e del suo martirio, per adorare il sangue suo... regalmente offerto fino all'ultima stilla per la redenzione del genere umano: e poi con umile fede, con lo stesso ardente amore ond'egli circonfonde e persegue la anime nostre, pieghiamo al suo piede la nostra fronte impura.
    (S. Pio da Pietrelcina)









    RIFLESSIONI



    ...SPECCHIO/REALTA’…
    ... Passai più volte davanti allo specchio. Il saggio mi aveva detto che nell’attimo, nell’istante esatto avrei visto in quella cornice la realtà come avrei desiderato. Ogni giorno quell’uomo passava davanti allo specchio; attendeva attimi infiniti in attesa che si palesasse l’immagine tanto desiderata. “Vedrò i miei desideri rappresentati, li vedrò materializzati e finalmente potrò gioire di vivere la realtà così come la desidero”. Seduto davanti allo specchio, disegnava in terra con un bastoncino; era forte l’emozione, era bello quel sentire la mano tramare per il battere forte del cuore. Aveva visto altre persone passare davanti quello specchio. Il segreto era che soltanto la persona che era interessata poteva vedere l’immagine a lui dedicata; quella emozione non poteva essere condivisa, doveva essere racchiusa negli occhi e nel cuore di chi la vedeva e viveva. Il campanile del paese col suo rintocco segnava lo scorrere del tempo; la fila davanti allo specchio aumentava ad ogni rintocco. Si passava un attimo lì davanti e se l’immagine non si materializzava bisognava passare oltre per lasciare spazio a chi era in fila dietro. Un lungo scorrere senza fine di persone, tutti con le loro attese, con i loro desideri e sogni attendevano quell’attimo davanti allo specchio. Il fortunato di turno sembrava essere folgorato da quell’attimo, dall’immagine riflessa dallo specchio; risate forti o pianti. “Lo specchio non fa sconti, esso rappresenta senza filtri la realtà. Se non siete convinti, se avete paura di cià che potrebbe essere rappresentato non avvicinatevi, state lontani dallo specchio”. Queste erano state le parole dette dal saggio a tutti coloro che si incamminavano verso lo specchio. Nubi basse e scure, quella mattina la giornata iniziava così; “se il tempo è un segnale, allora devo pensare che anche oggi non sarà giorno buono per me”, pensò l’uomo mettendosi in cammino verso lo specchio. Pioggerella fina fina appesantiva il suo passo nel sentiero di terra che si faceva sempre più fangoso e molle; quella mattina la fila era più lunga del solito e sotto la pioggia l’attesa era ancora più sofferta. Ore e rintocchi del campanile si succedevano mentre lo specchio si avvicinava sempre di più. “Ancora pochi passi e finalmente sarò giunto nel luogo che sogno”; l’ultima persona in fila passò oltre e finalmente l’uomo si pose di fronte al grande specchio. Attimi che sembravano lunghi quanto l’eternità. Poi si udì il suono di una risata fortissima e una frase ripetuta come una filastrocca “scusa amica mia”. Passò oltre lo specchio; non volle raccontare a nessuno cosa avesse visto. Aveva una strana luce negli occhi; un misto tra felicità e amaro dispiacere. Una sola cosa era chiara nel suo parlare, una sola frase che ripeteva continuamente: “Scusa amica mia”. Sempre più spesso vivendo ci troviamo in situazioni che ci imbarazzano, lo specchio della realtà spesso ci fa vedere cose che ci fanno male, che ci creano fastidio e rabbia. “Scusa amica mia, per questo mondo senza rispetto, per questo mondo che discrimina. Scusa amica mia a nome di tutti coloro che non hanno occhi, cuore, cervello ed anima per comprendere. Davanti a quello specchio ci sono passato e sono stato felice nel vedere la nostra bella forte ed indistuttibile amicizia; ti chiedo però scusa amica mia per i tanti che vivono nel buio dell’ignoranza. GRAZIE AMICA MIA PER LA BELLA AMICIZIA CON CUI MI RENDI FELICE… TI VOGLIO BENE!!!!… Buon Ottobre amici miei … (Claudio)






    SPECCHIO
    Ed ecco sul tronco
    si rompono gemme:
    un verde più nuovo dell'erba
    che il cuore riposa:
    il tronco pareva già morto,
    piegato sul declivio
    E tutto mi sa di miracolo;
    e sono quell'acqua di nube
    che oggi rispecchia nei fossi
    più azzurro il suo pezzo di cielo,
    quel verde che spacca la scorza
    che pure stanotte non c'era.
    (SALVATORE QUASIMODO)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    Sotto l’ombrello

    Oh, come piove!
    Sono contento,
    questo è il mio grande
    divertimento.
    Ora a passeggio
    vado bel bello
    sotto l’ombrello.
    Eccolo aperto:
    cupola tonda,
    pare una giostra
    lieve, gioconda,
    un capannino
    mobile e bello:
    viva l’ombrello!
    La pioggia crepita
    sui tesi spicchi,
    dai ferri gocciola
    con dei ripicchi:
    io resto asciutto
    ilare e bello
    sotto l’ombrello!
    Quanti si bagnano!
    fan compassione:
    io sto benissimo,
    arcibenone!
    Chi vuol venire?
    E’ grande e bello,
    sì, quest’ombrello!
    (Arpalice Cuman Pertile)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    [size=9 Il gufo Ramiro [/size]

    C’era una volta un grosso gufo che viveva sulla Terra.
    Non sapeva volare, così zampettava da un prato a un altro cercando qualche vermetto da mangiare. Ogni giorno faceva molta strada e alla sera, quando calava il buio, si addormentava all’ombra di grossi funghi.
    Questo grosso gufo si chiamava Ramiro. Era molto vecchio perciò camminava lentamente e quando incontrava altri animali lungo la strada raccontava loro tutte le cose che aveva visto viaggiando.
    Ramiro non era l’unico uccello che non sapeva volare: devi sapere che tanto tanto tempo fa, nessun uccello era capace di farlo. Vivevano tutti a terra ed erano molto amici dei grilli, dei fiori e delle farfalle, che osservavano con incanto perché potevano volare da un cespuglio ad un altro!!
    Un giorno Ramiro incontrò un corvo enorme!! Era così nero che di notte faceva fatica a vederlo!! Questo grosso corvo si era ferito ad una zampetta cercando di acchiappare un lombrico nascosto tra le rose. Non appena lo vide, Ramiro decise di aiutarlo così costruì una piccola casetta nel gambo di un grande fungo rosso e lì decise di fermarsi fino a che il corvo non fosse guarito.
    Proprio davanti al fungo c’era una piccola sorgente che attirava molti animaletti. Un giorno vi si fermò un piccolo passerotto blu che aveva perso il suo gruppo. Quando Ramiro sentì la sua storia, capì che il passerotto era stanco di rimanere da solo e lo invitò a fermarsi.
    Pian piano cominciarono ad arrivare altri uccelli e l’angolo di bosco di Ramiro si trasformò in un vero e proprio villaggio con uccelli di tante razze diverse!! Il saggio gufo aveva avuto l’idea di ospitare tutti i più sfortunati: quelli che erano partiti alla ricerca di un posto migliore, quelli che erano fuggiti per il troppo lavoro, quelli soli e quelli che si erano persi.
    Come ti ho già spiegato, gli uccelli avevano le ali ma non le usavano per volare. C’erano uccelli che le utilizzavano per il trasporto di piccoli pezzi di legno, per costruire le loro tane; con le zampe appoggiavano i rametti sotto l’ala e poi la richiudevano, per trasportarli senza che cadessero.
    Altri, quelli che avevano sempre caldo, sventolavano un’ala alla volta per farsi aria a vicenda. Altri ancora usavano le ali per proteggere i piccoli dai pericoli, dal freddo o dalla pioggia.
    Solo Il Saggio non le usava mai. Nessuno sapeva perché e nessuno aveva il coraggio di chiedergli spiegazioni. Lui, in cuor suo, sentiva che avrebbe dovuto averne cura perché in futuro sarebbero potute servire a salvare la sua specie.
    Ogni giorno le guardava, studiando attentamente ogni piuma: portava gli occhiali sull’orlo del becco e teneva sempre con sé un quaderno e una matita per appuntare le nuove idee.
    Grazie ai suoi studi, aveva scoperto che alcuni colori allontanano i predatori: quando bisognava affrontare spedizioni pericolose, chiamava a raccolta tutti gli uccelli rossi che grazie al loro colore riuscivano facilmente a sfuggire e tornare al villaggio sani e salvi. Gli uccelli verdi, invece, potevano facilmente nascondersi tra i cespugli senza farsi vedere, proprio come fa il camaleonte.
    Un giorno, arrivò al villaggio una mamma che stava per dare alla luce i suoi piccoli. Un fortissimo temporale aveva distrutto la sua tana. Per cercare un nuovo riparo, si era allontanata troppo dal suo villaggio e non era stata più capace di ritrovarlo. Quando giunse alla comunità, era molto stanca e Ramiro si dimostrò assai ospitale: le donò del cibo e la invitò nel suo rifugio perché potesse riposarsi dopo il lungo viaggio.
    La mattina dopo, una folla circondava la tana di Ramiro, proprio come ogni volta che arrivava qualcuno di nuovo. Tutti accolsero con gioia la nuova compagna. Ci fu una grande festa e i giorni successivi trascorsero sereni.
    Intanto però, arrivò l’inverno e il cibo cominciò a scarseggiare. Così i grandi animali iniziarono a cacciare anche gli uccelli e a sterminare interi gruppi. Lo facevano per sopravvivere! Ramiro era sempre più preoccupato: temeva di non poter fare più nulla per salvare i suoi amici.
    Arrivò anche il momento della nascita dei piccoli. Era una mattina freddissima quando le uova si schiusero. Erano quattro. Ramiro era in compagnia della mamma che piangeva di felicità. Quello che vide fu per lui una rivelazione!
    I piccoli uccellini si agitavano e cinguettavano; muovevano le ali velocemente e azzardavano dei piccoli saltelli! A un tratto si ricordò delle parole del suo vecchio nonno:
    quando ti sembra che non ci sia più niente da fare sfrutta ogni piccola parte della tua anima e di ciò che sei. Non arrenderti mai!
    E allora capì. Capì come le ali avrebbero donato loro la salvezza. La libertà.
    Aspettò la notte per raggiungere il punto più alto del villaggio. Fece un balzo, aprì le ali e cominciò a volare. Tutto dall’alto sembrava più bello e meno minaccioso.
    Erano salvi!
    Il giorno seguente svegliò tutti i compagni e insegnò loro a volare. Insegnò proprio a tutti e anche a tutti gli uccelli degli altri gruppi!
    Così la specie riuscì a salvarsi e a sopravvivere.
    Da allora gli uccelli volano liberi nel cielo!
    Quando ti capiterà di vederne uno, ricordati del vecchio Ramiro che ha insegnato ai suoi piccoli amici a non arrendersi mai e a lottare nei momenti più difficili!

    (Chiara)



    ATTUALITA’


    Il nuovo ritratto di Giove.

    La macchia rossa si sbiadisce ed è attraversata da un filamento. Sorprese da Giove: le immagini inviate dal telescopio spaziale Hubble rivelano un filamento mai visto prima all'interno della gigantesca macchia rossa, che continua a restringersi e a diventare più circolare. E' quanto indica il nuovo 'ritratto' di Giove pubblicato sull'Astrophysical Journal e realizzato dai ricercatori del centro Goddard della Nasa coordinati da Amy Simon.

    Il ritratto, che ha ricostruito l’intera rotazione di Giove sul suo asse, ha permesso inoltre di calcolare che, nella zona che corrisponde alla macchia rossa, i venti soffiano alla velocità di soffiano a 150 metri al secondo. Quello ricostruito sulla base delle immagini inviate a Terra da Hubble è il primo della serie dei ritratti annuali dei pianeti esterni del Sistema Solare che vengono aggiornati ogni anno e programmati per osservare venti, nubi, tempeste e atmosfera. Tutti questi dati aiuteranno i ricercatori a ricostruire come questi mondi giganti cambiano nel tempo.

    Le immagini indicano inoltre che il filamento che attraversa la macchia rossa si attorciglia, disturbando i venti e che la macchia con il tempo si sta 'scolorendo' da rossa ad arancione In prossimità dell'Equatore, infine, i ricercatori hanno osservato anche un'insolita onda 'intravista' in passato anche dalla sonda Voyager 2. L'onda si muove verso Nord, in una regione costellata di cicloni e anticicloni.
    (Ansa)





    Riscaldamento al via, 10 regole base contro il caro-bollette.

    Dal 15/10 accensione in 4.300 comuni. Vademecum Mise-Enea. Da giovedì, 15 ottobre, riscaldamenti al via in 4.300 comuni italiani, quelli in zona climatica E che comprendono grandi città come Milano, Torino, Bologna, Venezia. Lo ricordano il ministero dello Sviluppo economico e l'Enea (l'agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) rendendo noto un vademecum con dieci regole base per aiutare i consumatori a scaldare al meglio le proprie case, evitando però sprechi e brutte sorprese nella bolletta (o sanzioni per non aver effettuato le revisioni di legge).

    Regola 1 - Fare la manutenzione degli impianti, per motivi di sicurezza, per evitare sanzioni, consumare e inquinare meno. Chi non effettua la manutenzione del proprio impianto rischia una multa non inferiore a 500 euro.

    Regola 2 - Controllare la temperatura ambiente. Scaldare troppo la casa fa male alla salute e alle tasche: la normativa consente una temperatura di 20-22 gradi, ma 19 sono più che sufficienti. Ogni grado abbassato si traduce in un risparmio dal 5 al 10% sui consumi di combustibile.

    Regola 3 - Attenti alle ore di accensione. Il tempo massimo di accensione giornaliero è indicato per legge e cambia a seconda delle 6 zone climatiche in cui è suddivisa l'Italia. Per i comuni in fascia E il massimo sono 14 ore.

    Regola 4 - Usare i cronotermostati per risparmiare perchè consentono di regolare temperatura e tempo di accensione in modo da mantenere l'impianto in funzione solo quando si è in casa.

    Regola 5. Applicare valvole termostatiche, che aprono o chiudono la circolazione dell'acqua calda nel termosifone e consentono di mantenere costante la temperatura impostata, aiutando a concentrare il calore negli ambienti più frequentati e a evitare sprechi.

    Regola 6. Installare pannelli riflettenti tra muro e termosifone per ridurre le dispersioni di calore.

    Regola 7. Chiudendo persiane e tapparelle o mettendo tende pesanti di notte si riducono le dispersioni di calore. Regola 8. Fare il check up alla propria casa in particolare riguardo all'isolamento termico su pareti e finestre. Con nuovi modelli che disperdono meno calore, il beneficio può essere doppio: si riducono i consumi fino al 20% e si può usufruire dei cosiddetti ecobonus, la detrazione fiscale del 65%.

    Regola 9. Valutare l'installazione di impianti di riscaldamento innovativi, ad esempio caldaie a biomasse, pompe di calore, o integrati dove la caldaia è alimentata con acqua preriscaldata da un impianto solare termico e/o da una pompa di calore alimentata da un impianto fotovoltaico. Per questi interventi si può usufruire degli ecobonus per la riqualificazione energetica degli edifici 65% e del patrimonio edilizio del 55%.

    Regola 10. Evitare ostacoli davanti e sopra i termosifoni che disperdono calore e sono fonte di sprechi. Inoltre non lasciare troppo a lungo le finestre aperte.
    (Ansa)





    Scoperti i 'misteriosi neuroni dei maschi'.

    Sono esclusivi del cervello maschile, sesso è la loro priorità. Scoperti i 'Misteriosi neuroni dei maschi': sono state chiamate proprio così, 'Mcms' (dall'inglese 'mystery cells of the male'), le cellule nervose che nei maschi rendono il sesso una priorità e fanno la differenza tra il cervello maschile e quello femminile. Descritte sulla rivista Nature, sono state individuate per la prima volta nel cervello di una vecchia conoscenza dei genetisti, il minuscolo verme Caenorhabditis elegans.

    Scoperte dal gruppo internazionale coordinato da Arantza Barrios, dell'University College di Londra, le misteriose cellule maschili sono davvero uniche: si sviluppano con la maturità sessuale e funzionano come un campanello d'allarme che costantemente ricorda al maschio che le esigenze legate al sesso sono prioritarie, tanto che durante l'accoppiamento fanno passare in secondo piano perfino l'esigenza di mangiare.

    Come il cromosoma Y è unico nel genoma maschile, i neuroni appena individuati sono esclusivi del cervello dei maschi e sono la chiave che spiega le differenze nell'apprendimento e nelle abilità cognitive rispetto alle femmine. ''Abbiamo dimostrato come le differenze genetiche e nello sviluppo tra i due sessi siano legate a cambiamenti strutturali nel cervello che avvengono durante la maturità sessuale'', osserva Barrios. ''Questi cambiamenti - ha aggiunto - fanno sì che il cervello maschile funzioni in modo diverso, rendendo i maschi più inclini a ricordare gli incontri sessuali avuti in passato e a considerare il sesso una priorità''.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Inside Out




    locandina


    Un film di Pete Docter. Con Mindy Kaling, Bill Hader, Amy Poehler, Phyllis Smith, Lewis Black.


    Un film che impersona le voci di dentro con un radicalismo che impressiona e commuove.
    Marzia Gandolfi


    Riley ha undici anni e una vita felice. Divisa tra l'amica del cuore e due genitori adorabili cresce insieme alle sue emozioni che, accomodate in un attrezzatissimo quartier generale, la consigliano, la incoraggiano, la contengono, la spazientiscono, la intristiscono, la infastidiscono. Dentro la sua testa e dietro ai pulsanti della console emozionale governa Joy, sempre positiva e intraprendente, si spazientisce Anger, sempre pronto alla rissa, si turba Fear, sempre impaurito e impedito, si immalinconisce Sadness, sempre triste e sfiduciata, arriccia il naso Disgust, sempre disgustata e svogliata. Trasferiti dal Minnesota a San Francisco, Riley e genitori provano ad adattarsi alla nuova vita. Il debutto a scuola e il camion del trasloco perduto nel Texas, mettono però a dura prova le loro emozioni. A peggiorare le cose ci pensano Sadness e Joy, la prima ostinata a partecipare ai cambiamenti emotivi di Riley, la seconda risoluta a garantire alla bambina un'imperturbabile felicità. Ma la vita non è mai così semplice.
    Il segreto della Pixar non risiede nell'abilità tecnica, sempre raggiungibile o perfezionabile, ma nella forza drammatica delle loro storie. Storie che non abdicano mai l'originalità narrativa. Prima un bel soggetto, a seguire la scelta grafica, sempre coerente con quella narrativa che tende a semplificare la superficie e mai la sostanza.
    La bellezza delle loro sceneggiature è costituita poi dai risvolti teorici, che dopo aver esplorato il mondo oggettuale e indagato i sogni delle cose, reificano le emozioni umane, in altre parole prendono per concreto l'astratto. Inside Out visualizza ed elegge a protagonisti della vicenda la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto, emozioni che guidano le decisioni e sono alla base dell'interazione sociale di Riley, che a undici anni deve affrontare sfide e cambiamenti. Se Up svolgeva l'avventura di fuori, Inside Out la sviluppa di dentro, attraversando in compagnia di Joy e Sadness la memoria, il subconscio, il pensiero astratto e la produzione onirica di una bambina che sta imparando a compensare la propria emotività e ad assestarsi in una città altra.
    Diretto da Pete Docter, Inside Out impersona le voci di dentro con un radicalismo che impressiona e commuove. Con Inside Out Docter installa di nuovo l'immaginario al comando e ingaggia cinque creature brillanti per animare un racconto di formazione che mette in relazione emozioni e coscienza. Perché senza il sentimento di un'emozione non c'è apprendimento. Dopo la senilità e l'intenso riassunto con cui apre Up, che ha la grazia e la crudeltà della vita, Docter lavora di rovescio sulla fanciullezza, tuffandosi nella testa di una bambina, organizzando la sua esperienza infantile intorno a centri di interesse (la famiglia, l'amicizia, l'hockey, etc) e accendendola con flussi di pensieri sferici che hanno tutti i colori delle emozioni. E a introdurre Riley sono proprio le sue emozioni che agitandosi tra conscio e inconscio sviluppano le sue competenze e la equipaggiano per condurla a uno stadio successivo dell'esistenza. Nel cammino alcuni ricordi resistono irriducibili, altri svaniscono risucchiati da un'aspirapolvere solerte nel fare il cambio delle stagioni della vita e spazio al nuovo. A un passo dalla pubertà e resistente dentro un'infanzia gioiosa, che Joy custodisce risolutamente e Sadness assedia timidamente, Riley passa dal semplice al complesso, dal noto all'ignoto. Nel processo 'incontra' e congeda Bing Bong, amico immaginario che piange caramelle e sogna di condurla sulla Luna.
    Creatura fantastica generata dalla fantasia di una bambina, Bing Bong, gatto, elefante e delfino insieme, è destinato a diventare uno dei personaggi leggendari della Pixar Animation, rivelando un'anima segreta, la traccia di un sentimento e l'irripetibilità del suo essere minacciato dalla scoperta di una data di scadenza. Rosa e soffice come zucchero filato, guiderà Joy e Sadness dentro i sogni e gli incubi di Riley, scivolando nell'oblio per 'fare grande' la sua compagna di giochi.
    I personaggi, realizzati con tratti essenziali che permettono di coglierne la natura profonda (rotonda, esile, spigolosa), emergono l'aspetto intangibile del processo conoscitivo dentro un film perfettamente riuscito, che ricrea la complessità e la varietà dell'animazione senza infilare scorciatoie tecniche o narrative. Dentro e fuori Riley partecipiamo alle vocalizzazioni affettive indotte da Joy e Sadness che, finalmente congiunte, la invitano a comunicare la tristezza. Perché la tristezza, quando è blu e piena come Sadness, è necessaria al superamento dell'ostacolo e alla costruzione di sé. Impossibile resistere all'espressività emozionale delle emozioni primarie di Docter che privilegia anziani e bambini, gli unici a possedere una via di fuga verso il fantastico. Gli unici a volare via coi palloncini e ad avere nella testa una macchina dei sogni.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    “Mi piace l'odore di questo paese, non lo dimenticherò mai..
    .. Ha un che di speziato!”
    (ADRIEN BRODY)


    I POZZI A GRADINI, India



    I pozzi a gradini, chiamati anche kalyani o pushkarani, bawdi o baoli (hindi: बावड़ी), barav (marathi: बारव) o vaav (gujarati: વાવ), in inglese Stepwell, sono pozzi o laghetti in cui l'acqua può essere raggiunta scendendo una scalinata. Tutte le forme di pozzi a gradini sono esempi dei molti tipi di serbatoi idrici di riserva e irrigazione che si svilupparono in India, principalmente per affrontare le fluttuazioni stagionali della disponibilità idrica. La maggior parte di questi pozzi si trovano in regioni dell'India nord occidentale come Gujarat e Rajasthan, luoghi che per metà dell'anno sono caldi e secchi, mentre per i rimanenti mesi hanno un clima monsonico, accompagnato da cicloni e tifoni e per secoli hanno garantito l'approvvigionamento idrico e la sopravvivenza alle regioni secche.
    Nel Gujarat sud-occidentale, tra il VI e il VII secolo d.C. si cominciarono a scavare giganteschi pozzi per raggiungere la falda acquifera e garantirne così l'accesso alla popolazione durante tutto l'anno, in una regione dove i violenti ma brevi allagamenti monsonici si alternano da sempre con lunghissimi mesi di totale siccità. Costruendo dal basso verso l'alto, le pareti dei pozzi vennero lastricate con enormi blocchi di pietra, senza malta, e i versanti muniti di scalinate. La tecnica di depurazione delle acque piovane era raffinata: l’acqua cadendo all’interno del pozzo filtrava attraverso il limo finissimo, fino a raggiungere il fondo ricoperto di argilla, per essere poi disponibile nella stagione secca. Per millenni questi sistemi hanno aiutato intere popolazioni a lottare contro la siccità. L'idea si rivelò molto pratica e presto si diffuse in tutta la regione fino all'attuale Rajasthan, dando origine a migliaia di pozzi e serbatoi analoghi e punteggiando così la zona con edifici pubblici fino al XVIII secolo. Perfino l'invasione dei sovrani moghul non aveva sconvolto la cultura pratica in questo tipo di pozzi. Al contrario, i Moghul ne incoraggiarono la costruzione. Tutto finì quando il Raj britannico soppiantò il loro uso per ovvie questioni igieniche con l'installazione di acquedotti, tubature e rubinetti, dando il via alla progressiva decadenza e poi all'abbandono.
    Le straordinarie geometrie delle scalinate nei bacini e i padiglioni, le decorazioni con cui vennero attorniati o ricoperti i pozzi, costituiscono una particola-
    rissima forma di architettura unica che solo recentemente le autorità locali competenti stanno riscoprendo e valorizzando. I pozzi a gradini del Gujarat penetrano la falda acquifera e si riempiono per trasudamento; il livello dell'acqua al loro interno dipende dunque dalle precipitazioni o le siccità della regione e quando questo è alto, come dopo il monsone, sarà sufficiente scendere pochi gradini per abbeverarsi. In periodi di siccità bisognerà scendere invece fino a profondità pari anche a nove piani, dove l'ultima rampa di scale scompare nell'acqua limpida. Ogni piano può essere attrezzato con padiglioni colonnati, dove ci si può fermare a godere il fresco. Quelli del Rajasthan, invece, sfruttano spesso esclusivamente le piogge monsoniche, catturate nello scavo dove viene filtrata dal finissimo limo - gran parte del terreno della regione è di origine alluvionale - fino a raggiungere il fondo ricoperto di argilla, per essere poi disponibile nella stagione secca. Durante le ore più calde, anche gli uomini riposavano volentieri nei padiglioni ai vari piani dei pozzi, ma poiché in India l'acqua è profondamente associata al genere femminile, questi luoghi sono da sempre principalmente territorio delle donne. I pozzi a gradini non avevano solo una funzione pratica: si trattava anche di un luogo di ritrovo riservato, giacché alle donne è quasi sempre affidato l'approvvigionamento d'acqua per la casa e la famiglia. Recarsi alla fonte è spesso ancora oggi nei villaggi l'unica attività indipendente concessa alle ragazze, e nella frescura dei pozzi le giovani potevano intrattenersi a ridere, giocare, chiacchierare con altre donne, come loro altrimenti isolate dalla stretta cultura patriarcale locale. E poi vi era come sempre il lato religioso: in ogni pozzo o serbatoio d'acqua naturalmente vive Devi, la dea madre, alla quale chiedere conforto e grazie bagnandosi nelle sue acque o invocando il suo nome.
    In quasi tutti i pozzi e serbatoi si trovano, a tutt'oggi, piccoli santuari dedicati a Mata, adornati con ghirlande di fiori, onorati con offerte, incensi e lucerne. Il termine Mata, madre, compare all'incirca in un terzo dei nomi dei pozzi della regione: Mata Bhavani, Matri Mata, Bhadrakali Mata etc. L'acqua nell'architettura dell'India si può ritrovare fin dai tempi più antichi e giocò un importante ruolo nella cultura. I pozzi a gradini furono utilizzati per la prima volta come forma artistica dagli Indù e diventarono poi popolari sotto il dominio musulmano. È noto che la costruzione di pozzi a gradini sia iniziata nella regione meridionale di Gujarat almeno dal 600 d.C. L'idea pratica si diffuse a nord nello stato del Rajasthan, lungo il confine occidentale dell'India dove furono costruiti parecchie migliaia di pozzi. La costruzione raggiunse il suo culmine dall'XI al XVI secolo. La maggior parte dei pozzi esistenti risalgono agli ultimi 800 anni. I primi pozzi, scavati nella roccia, risalgono al 200-400 d.C. Successivamente, vi fu la costruzione di pozzi a Dhank (550-625 d.C.) e di laghetti a gradini a Bhinmal (850-950 d.C.). La città di Mohenjo-daro ha pozzi che potrebbero forse essere i predecessori dei pozzi a gradini; ben 700 sono stati scoperti solo in un'unica sezione della città, portando gli studiosi a credere che i "pozzi cilindrici rivestiti di mattoni" furono inventati dal popolo della civiltà della valle d'Indo. I più belli e in migliori condizioni sono in Gujarat l'Adalaj ni Vav, a 18 km da Ahmedabad, l'Ankol Mata di Davad e soprattutto il Rani Ki Vav di Patan - dal Giugno 2014 Patrimonio Mondiale dell'Umanità sancito dall'UNESCO - ma anche il Chand Baori ad Abhaneri, nei pressi di Jaipur in Rajasthan, quello presso il tempio Shiv Vadi di Bikaner o il Sabirna dha ka Kund e il Raniji ki Baori, entrambi a Bundi.


    Agrasen ki baoli
    La Baoli di Delhi sorge nel cuore commerciale della città moderna, edificata secondo la leggenda agli albori della civiltà Indiana e, storicamente, ricostruita ne XVI d.C. Mondo antico, medioevale e moderno uniti nella profondità di 103 scalini che portano a una cisterna che fino al 2002 era ancora usata come piscina; oggi è secca
    Una architettura sobria e simmetrica, di grande eleganza e pragmatismo. Si possono scendere i 15 metri fino alla base, vedendo scomparire gradino dopo gradino i grattacieli, sentendo svanire il rimbombo del traffico e la vita moderna.
    Agrasen ki baoli è oggi sotto la protezione dell’Archeological Survey of India (ASI), è una delle meglio conservate tra le 30 baoli ancora esistenti della capitale.

    Chand ki Baori - Abhaneri, Jaipur
    Si scendono i 13 livelli del pozzo che porta a 20 metri di profondità. Il cielo continua a brillare in alto, i corvi gracchiano sulle teste, gli uccelli vorticano, l’acqua verde immobile attende e l’atmosfera si fa più spettrale passo dopo passo. Si dice che il pozzo sia stato costruito dagli spiriti in una sola notte.
    L’ incisioni raccontano un’altra storia: il pozzo, il più antico e profondo ancora esistente, è stato costruito intorno al VII secolo d.c, anche se alcune fonti lo datano al IX, è situato di fronte al tempio di Harshat Mata, dal re Chanda della dinastia Nikumbha ed è stato dedicato alla dea. La simmetria dei 3500 gradini, divisi per scalinate, che scendono sui tre lati del pozzo verso l’acqua, la pendenza da capogiro, la profondità e il mistero delle sculture annerite dagli oltre mille anni di storia, fanno il sito molto affascinante. Si spinge per circa 100 metri sotto al livello del terreno, il che lo rende il più ampio e profondo pozzo a gradini dell’India. Si tratta di un bacino in cui l’acqua può essere raggiunta scendendo attraverso una serie di passaggi. Il pozzo prende il nome dal suo costruttore, il re Chand di Abhaneri e dalla parola “baori”. Il livello dell’acqua era legato al periodo dell’anno. Nei momenti di siccità era ovviamente più basso, mentre negli altri periodi bisognava scendere meno scalini.
    Chand Baori è a ragione considerato uno dei più mirabili esempi di architettura del passato. L’acqua era necessaria per le abluzioni rituali che dovevano essere eseguite dai fedeli prima di recarsi al tempio. Un rigoroso reticolo di forme geometriche basate principalmente su triangolo e quadrato.

    Rani ki Vav - Patan, Gujarat
    C’era una volta una regina che viveva nel prospero regno di Patan. La Rani era una donna dal fine gusto artistico ed era innamorata del valoroso sposo, il Maharaja Bhimdev I della dinastia dei Solanki. Ma il re morì prematuramente e la Rani, per ricordare l’amato, fece costruire un pregiato pozzo a gradini, con sale coperte per proteggere i viandanti e i locali dai raggi del sole, colonne finemente scolpite con rappresentazioni degli dei (il dio Vishnu in particolare) e delle ninfe celesti, sette livelli di gallerie che scendevano verso il pozzo circolare dall’acqua sacra e curativa. In superficie, attorno all’ingresso rettangolare del pozzo, fece seminare piante medicinali della tradizione ayurvedica per curare i malati e migliorare la qualità dell’acqua del pozzo.
    La regina si chiamava Rani Udayamati e la storia si ambienta all’inizio del XII d.C. L’origine romanzata del pozzo è forse leggendaria, ma la cisterna si chiama Rani ki Vav “la Regina dei pozzi”e c’è qualcosa di molto sacro e femminile in questo capolavoro architettonico riportato parzialmente alla luce dagli scavi archeologici negli anni ottanta, dopo che un’alluvione lo aveva completamente nascosto nel fango.

    Stepwell di Adalaj - Ahmedabad, Gujarat
    Il pozzo del villaggio di Adalj è un ottimo esempio di arte indo-saracena. Vuole la leggenda che il vav venne iniziato da un raja hindu e completato da sua moglie, Rani Rudabai, con la collaborazione, essendo rimasta vedova, del re musulmano Mohammed Begda.
    La tragica storia del pozzo è raccontata nelle incisioni al suo interno: il re musulmano si innamorò della bellissima regina e lei acconsentì a sposarlo, a patto che completasse il pozzo iniziato dal marito prima di morire. Il sultano intraprese i lavori con solerzia e passione e la cisterna venne terminata in tempo record nel 1499. Il giorno dell’inaugurazione la regina si dedicò ai rituali prescritti, girando attorno all’apertura del pozzo circolare in fondo al vav e si gettò nelle acque suicidandosi. Nonostante la tragedia Mohammed Begda non deturpò l’opera e lasciò liberi i mercanti delle carovane che si spostavano da Patan verso Alahabad di rifornirsi di acqua e sostare nelle fresche sale colonnate dello splendido pozzo.
    Il pozzo ha tre scale d’ingresso che si uniscono, al primo dei cinque livelli, in un’ampia sala quadrata con un’apertura ottagonale al centro da cui si intravvede la bocca circolare del pozzo in fondo, 75 m più in basso. Mentre la luce del sole entra nello spazio ottagonale a illuminare le sale colonnate, le scale per scendere rimangono costantemente all’ombra, garantendo una temperatura di cinque gradi inferiore rispetto all’esterno.
    Il disegno architettonico e le decorazioni sono una sintesi tra induismo, jainismo e islam, e non mancano rappresentazione di vita quotidiana –donne che fanno il burro, danzatrici, musici e dame intente al trucco. Ogni passo e ogni scalino è una scoperta di storie raccontate nella pietra.

    (Gabry)





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    foto:c1.staticflickr.com


    La musica del cuore


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    foto:gliamantideilibri.it



    I grandi Cantautori Italiani



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    foto:spaghettibcn.com



    Fabrizio De Andrè


    Libero di vivere nella strada



    Sono nato il 18 febbraio del 1940 a Genova Pegli, quindi Genova occidentale.
    Fu una colonia di peglini (o pegliesi) ad aver colonizzato Tabarca, in Tunisia. Intorno al 1700, mi pare che gli Arabi li avessero respinti coi forconi nel culo e quelli lì, prendendo il mare, la prima isola in cui si fermarono fu Carloforte. Allora si chiamava San Pietro eppoi è diventata Carloforte dove si parla infatti ancora il pegliese di quell'epoca.

    Dell’infanzia ricordo soprattutto la casa di campagna di mia nonna, una cascina: allora le vacanze estive duravano quattro mesi e, a parte quindici giorni di mare, che avevamo sotto, le passavamo tutte in campagna, con mio grande piacere. Lì ho assorbito tutto l’amore, che poi mi è rimasto, per la campagna, la natura, gli animali e la cultura contadina.

    Mio padre, contrariamente a quanto per anni è stato scritto, era di origini modeste: il benessere cominciò ad aggirarsi in casa nostra dopo che lui aveva superato i quarant'anni. Forse da queste radici la sua mai abbastanza ringraziata accondiscendenza a lasciarmi libero di vivere nella strada: e nella strada ho imparato a vivere come probabilmente prima di me aveva imparato lui.

    Ho fatto il classico al liceo comunale “Cristoforo Colombo”. A Genova ce n’erano tre di comunali: l’”Andrea Doria”, il “Cristoforo Colombo” e il “Mazzini”. Quest’ultimo era molto fuori zona, in periferia; per l’”Andrea Doria” c’era il problema di mio fratello che prendeva 10 anche in educazione fisica oltre che in filosofia e in italiano. Perciò non volendo rischiare confronti sono rotolato al liceo “Colombo” ch'era un po’ distante da casa però ero tranquillo che non mi si metteva in concorrenza con lui.

    Al liceo studiavo il meno possibile. Riuscivo a racimolare la sufficienza perché ai professori ero simpatico. E, d'altronde, andare a scuola mi serviva quando, d’estate, cercavo di rimorchiare le ragazze alla Lucciola, una balera alla periferia di Asti. Mi presentavo come uno studente di Genova, il che fa sempre effetto, da quelle parti.

    Ho fatto un po’ di tutto: ho frequentato un po’ di medicina, un po’ di lettere e poi mi sono iscritto seriamente a legge dando, se non mi sbaglio, 18 esami. Quasi laureato dunque poi ho scritto Marinella, mi sono arrivati un sacco di quattrini e ho cambiato idea dopo che Marinella l’aveva cantata Mina, eravamo nel ’65, io ero sposato da tre anni e lavoravo negli istituti privati di mio padre.
    Lavoravo lì non sapendo cos'altro fare, visto che di laurea non se ne parlava perché stentavo molto a studiare, insomma questa Canzone di Marinella, me la canta Mina, mi arrivano 600 mila lire in un semestre (somma davvero considerevole per quegli anni). Allora mi sono licenziato, ho preso armi e bagagli, moglie, figlio e suocero e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di Genova. Da quel momento ho cominciato a pensare che forse le canzoni m’avrebbero reso di più e soprattutto divertito di più.[....]


    fonte:http://www.fondazionedeandre.it/libero_di_vivere.html






    Smisurata Preghiera


    L'ultima canzone dell'album "Anime salve" del 1996 è una specie di riassunto dell'album stesso: è una preghiera, una sorta di invocazione... un'invocazione ad un'entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifichiamo queste entità parentali, immaginate così potentissime come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l'invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze.

    Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi... dire "Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni..." e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze.
    La preghiera, l'invocazione, si chiama "smisurata" proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso.


    Alta sui naufragi
    dai belvedere delle torri
    china e distante sugli elementi del disastro
    dalle cose che accadono al disopra delle parole
    celebrative del nulla
    lungo un facile vento
    di sazietà di impunità
    Sullo scandalo metallico
    di armi in uso e in disuso
    a guidare la colonna
    di dolore e di fumo
    che lascia le infinite battaglie al calar della sera
    la maggioranza sta la maggioranza sta
    recitando un rosario
    di ambizioni meschine
    di millenarie paure
    di inesauribili astuzie
    Coltivando tranquilla
    l'orribile varietà
    delle proprie superbie
    la maggioranza sta
    come una malattia
    come una sfortuna
    come un'anestesia
    come un'abitudine
    per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
    col suo marchio speciale di speciale disperazione
    e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
    per consegnare alla morte una goccia di splendore
    di umanità di verità
    per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
    e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
    con improbabili nomi di cantanti di tango
    in un vasto programma di eternità
    ricorda Signore questi servi disobbedienti
    alle leggi del branco
    non dimenticare il loro volto
    che dopo tanto sbandare
    è appena giusto che la fortuna li aiuti
    come una svista
    come un'anomalia
    come una distrazione
    come un dovere


    fonte:ZeroArmi

    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    [color=#2ab32b]CRONACA SPORTIVA



    Pallavolo: Europei; 3-0 alla Russia, Italia in semifinale.

    L'Italia è nella Final Four degli Europei di pallavolo. L'Italia è nella Final Four degli Europei di pallavolo. Gli azzurri hanno battuto la Russia per 3-0 (25-20, 25-19, 25-19) in una partita dei quarti di finale, giocata al PalaYamamay di Busto Arsizio.

    Una marea azzurra sui campioni olimpici ed europei in carica. L'Italia travolge 3-0 (25-20, 25-19, 25-19) la Russia al PalaYamamaY di Busto Arsizio e accede alle semifinali dei campionati Europei di volley maschile, in programma sabato a Sofia: l'avversario per la finale e una medaglia certa sarà la Slovenia di Andrea 'Giangio' Giani che ha battuto a sorpresa al tie break la Polonia iridata e grande favorita del torneo. L'altra semifinale metterà di fronte Francia e Bulgaria. Una serata davvero perfetta per la Nazionale di Gianlorenzo Blegnini, una squadra apparsa in fiducia e molto determinata: partita sempre in controllo, con una Russia impalpabile a muro, molto imprecisa in ricezione e oltremodo fallosa in attacco (32 errori gratuiti concessi). Italia invece eccellente in ogni fase di gioco, compresa la difesa che tanto aveva fatto penare ad inizio torneo, e guidata ancora una volta dal carisma e dalla classe di Ivan Zaytsev, figlio del pallavolista russo Vjačeslav Zajcev e giocatore della Dinamo Mosca. Un personale derby con le sue origini vissuto da assoluto dominatore.
    (Ansa)




    < Motogp, Rossi. "Anche in Australia davanti a Lorenzo".
    Jorge sfida Valentino: 'Mondiale possibile se vinco sempre'. "Quella di Phillip Island è una pista molto particolare. Mi piace, ma è sempre difficile trovare la giusta regolazione e le condizioni sono spesso complicate, tra vento forte e temperature basse. Spero in un buon fine settimana come l'anno scorso e di fare una buona gara per arrivare sul podio davanti a Lorenzo". Lo ha detto Valentino Rossi, leader del Mondiale MotoGp, in vista del Gp d'Australia di domenica, terz'ultima prova della stagione. Il campione di Tavullia ha detto poi di non voler pensare al Mondiale, preferendo "affrontare il campionato gara per gara, concentrandomi ora su Phillip Island e cercando di tirarne fuori il meglio". sarò in grado di vincere le prossime tre gare e Rossi dovesse fare un errore posso ancora vincere il Mondiale". Così il pilota della Yamaha Jorge Lorenzo vede la sua sfida al compagno di squadra e leader della classifica a quattro giorni dal Gp d'Australia a Phillip Island. "Diciotto lunghezze di svantaggio non sono pochi da recuperare - ha proseguito lo spagnolo -, ma ci proverò in tutti i modi. Dopo un'altra gara strana a Motegi ho perso punti importanti ma mi sento ancora pienamente in corsa per il titolo". Lorenzo ha poi detto di gradire molto la pista di Phillip Island "ma anche a Valentino piace e così sarà una sfida molto interessante. E' un tracciato che richiede molta attenzione nel setting della moto, specie considerando le condizioni meteo spesso difficili, così dobbiamo essere pronti a tutto".
    (Ansa)




    Troppo divario,arbitro fischia fine gara.
    Partita tra Giovanissimi interrotta sul 31-0, si dovrà rigiocare. Troppo divario tra le due squadre in campo. E così, sul 31-0, l'arbitro, dopo aver preso atto della manifesta superiorità di una formazione sull'altra e dopo aver consultato entrambe le parti, ha fischiato la fine. E' successo il 4 ottobre durante una partita del campionato dei Giovanissimi provinciali di Bologna, tra Ponte Ronca e Persiceto 85, con gli ospiti in netto vantaggio. Secondo quanto riferito dal Resto del Carlino, il direttore di gara ventenne che ha interrotto l'incontro tra ragazzi di 14 anni, è stato sospeso dalla sezione Aia di Bologna e il giudice sportivo non ha potuto omologare il risultato: la partita si dovrà rigiocare. "Si è trattato di un errore rispetto al regolamento - ha spiegato al quotidiano Antonio Aureliano, responsabile provinciale degli arbitri - l'arbitro era consapevole di ciò che ha fatto, tanto che lo ha scritto nel referto. Tiene molto al suo ruolo, ma una pausa di riflessione gli servirà per crescere".
    (Ansa)

    (Gina)



    STRUMENTI MUSICALI!!!




    Muselar


    muselarag


    muselaer_aIl muselar (o muselaar termine fiammingo del XVI secolo) è una variante del virginale, strumento musicale a tastiera e corde pizzicate, appartenente alla famiglia del clavicembalo.
    Simile al virginale e alla spinetta italiana, per la disposizione della tastiera in rapporto alle corde, sono tutti strumenti a salterello. Il tasto ha un angolo di 10 gradi rispetto al piano della cordiera. Esiste una corda per nota e le corde consecutive sono abbinate. Vi è una corda a sinistra ed una a destra nell'arcata che regge i due salterelli alternati, il ponticello doppio. Per esempio Mi bemolle a sinistra e Mi a destra.
    La particolatità principale risiede nel fatto che il virginale e la spinetta italiana sono i soli strumenti della famiglia del clavicembalo a possedere due cavalletti vibranti.
    La forma del muselar è quella di una cassa e la tastiera è contenuta in una nicchia. La spenetta italiana segue lo stesso principio ma gli angoli posteriori sono tagliati in senso obbliguo e la tastiera è sporgente coma una mensola.
    Il muselar ha la tastiera a destra, contrariamente al virginale la cui tastiera è a sinistra. Vedere il dipinto di Johannes Vermeer (1632-1675) rappresentante una giovane donna che suona il muselar:
    La specificità del muselar sta nel punto in cui viene pizzicata la corda: dal 50% delle note alte al 27% delle note basse. Le corde vengono pizzicate, per la maggior parte, intorno ad un terzo della loro lunghezza. Questo spiega il posizionamento della tastiera a destra.
    Altra caratteristica importante: i tasti, come nel virginale e nella spinetta, hanno dei tasti di lunghezza diversa. I tasti delle note alte hanno una lunghezza doppia rispetto a quelli delle note basse e pertanto conferiscono una differenza di sensazione al tocco. Il tasto grave può essere così corto che il dito deve posarsi sul punto di incernieramento del tasto; con la corda molto molle la ripetizione è delicata.
    Queste difficoltà di esecuzione hanno fatto dire ai detrattori dello strumento che il suono emesso dal muselar assomiglia al « grugnito di un maialino » (Blankenburg Elementa Musica 1739).
    Questo apprezzamento è dovuto al movimento dell'arpicordum di cui è dotato il muselar. Esso consiste in un righello che costeggia il cavalletto di destra, che è azionato a volontà. Questo righello porta degli uncini metallici che venendo a contatto con le corde producono un ronzio. Questo, modifica il suono della corda producendo un effetto di bordone.
    Il suono ottenuto è rotondo ed al tempo stesso chiaro e più dolce, avvicinandosi a quello di un'arpa o di un liuto.




    fonte wikipedia


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    IL NUOVO MUSEO
    DELL'OPERA DEL DUOMO



    Firenze - Riapre il Museo dell’Opera del Duomo a Firenze. Sono circa 750 le opere d'arte che il 29 ottobre prossimo troveranno la loro definitiva collocazione all'interno del nuovo Museo, restituendo alla città una tradizione lunga 720 anni che abbraccia - dai capolavori di Arnolfo Di Cambio a quelli del Verrocchio e Donatello - secoli di tradizione artistica medievale e rinascimentale fiorentina.

    I capolavori di Firenze riuniti in un luogo solo. Statue, rilievi in marmo, bronzo, argento, originariamente realizzati per gli ambienti esterni ed interni delle strutture che sorgono davanti al Museo - il Battistero di San Giovanni, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore e il Campanile di Giotto - troveranno posto nelle 25 sale, distribuite su tre piani, di questo nuovo edificio. Uno spettacolare allestimento che mira a valorizzare capolavori unici al mondo, frutto di un restauro durato tre anni, molti originariamente concepiti per stare insieme, ma successivamente dispersi in attesa di una collocazione più ampia e definitiva.

    Le opere restaurate e la ricostruzione dell’antica facciata del Duomo. Tornano a splendere la Maddalena di Donatello, la Porta del Paradiso e la Porta del Nord del Battistero, opera di Lorenzo Ghiberti, mentre l'antica facciata medievale del Duomo, realizzata da Arnolfo Di Cambio a partire dal 1296, ma distrutta nel 1586, verrà ricostruita a grandezza naturale (un colossale modello in resina) nella sala maggiore del museo. Ed è proprio questa facciata - con le sue 40 statue ricollocate nelle loro nicchie - il “gioiello” più atteso da monsignor Timothy Verdon, storico dell'arte e direttore della nuova struttura. «Firenze, città ricca di glorie antiche - spiega Verdon - ha bisogno di grandi iniziative moderne e il nuovo Museo dell'Opera, una struttura spettacolare di qualità mondiale, è la più importante iniziativa fiorentina degli ultimi anni».

    Le antiche porte del Battistero. Su un lato della sala del nuovo edificio sarà esposta la Porta del Paradiso che, come spiega Verdon, «tornerà a occupare una posizione frontale rispetto all'antica facciata, ricostruendo un rapporto visivo e iconografico perso oltre 400 anni fa». Ai suoi due lati si potrà ammirare la Porta Nord del Battistero – il cui restauro ha consentito il recupero, dopo sei secoli dalla sua realizzazione, dell'oro che ne ricopriva le sculture - e presto anche la Porta Sud di Andrea Pisano.

    Donatello, Michelangelo, Luca della Robbia: i grandi della scultura fiorentina. Il percorso dello spettatore proseguirà al piano terra con le sale che accolgono la Maddalena penitente di Donatello - un'opera che sprigiona una grande forza, ma anche tenerezza e devozione attraverso lo sguardo e le mani congiunte in preghiera - e la Pietà di Michelangelo. All'interno della Galleria del Campanile di Giotto, tra le sedici statue a grandezza naturale, spiccano i Profeti di Donatello, Abacuc e Geremia, e i 54 rilievi scultorei originali che la adornavano. Nella Galleria delle Cantorie di Luca della Robbia e di Donatello si potranno, invece, osservare i due grandi pergami realizzati per il Duomo tra il 1431 e il 1439.

    La Galleria della Cupola del Brunelle-
    schi. Un museo nel museo sarà la Galleria, con i modelli lignei del 400, tra cui quello attribuito allo stesso artista fiorentino, materiali e attrezzi dell'epoca impiegati per la costruzione della Cupola, oltre alla maschera funebre del grande architetto.

    La missione dell’Opera di Santa Maria del Fiore e il nuovo Museo. Fondata nel 1296 per realizzare il Duomo di Firenze l’Opera continua a portare avanti il suo impegno finalizzato alla conservazione e alla valorizzazione del suo straordinario patrimonio culturale. Il Museo dell'Opera del Duomo, fondato nel 1891, fa parte del sistema museale del Grande Museo del Duomo che racchiude il Duomo di Firenze, la Cupola di Brunelleschi, la Cripta di Santa Reparata, il Battistero di San Giovanni e il Campanile di Giotto. Un accordo artistico che il prossimo 29 ottobre tornerà a orbitare, con il suo spartito di arte, fede, storia, di fronte al suo pubblico, nella spettacolare piazza che rappresenta il cuore vibrante di Firenze.
    (SAMANTHA DE MARTIN, www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    IL BACARO




    Il bacaro, o bacaréto, è un tipo di osteria veneziana, caratte-
    rizzata da pochi posti a sedere e da un lungo bancone vetrinato contenente in cui sono esposti i prodotti in vendita. Il Bacaro, in veneto e a Venezia in particolare, è il principale luogo dove si incontrano gli amici, quelli che i veneziani chiamano i fioi (ragazzi), anche se poi metà di loro sono già nonni. Di solito si prende un’ombreta, ovvero un bicchiere di vino che viene accompagnato da qualche cicheto, una sorta di stuzzichino, di solito consumato prima di cena tra un buon bicchiere di vino rosso o bianco, o per accompagnare lo spritz, aperitivo tipico veneziano, preparato con aperol, vino bianco e selz.

    Il nome bacaro deriva dai "bacari", un termine che, a sua volta, si vorrebbe derivato da "Bacco", dio del vino. Secondo un'altra teoria, deriverebbe da "far bàcara", espressione veneziana per "festeggiare". "Bacari" era il nome attribuito, un tempo, ai vignaioli e ai vinai che venivano a Venezia con un barile di vino da vendere in Piazza San Marco insieme con dei piccoli spuntini. Un altro significato di bacaro derivare da un modo di dire diffuso tra intenditori di vino che asseriscono ‘è proprio un vino di bacche’, ovvero fatto con acini d’uva di buona qualità e quindi buono. Il bicchiere di vino che si beveva si chiamava "ómbra", perché i venditori seguivano l'ombra del campanile per proteggere il vino dal sole. Per evitare il faticoso trasporto ogni giorno, cercarono in seguito un locale stanziale, che si usava come magazzino e come mescita. I venditori si chiamavano Bacari, un termine che risale alla fine dell’Ottocento dal quale, poi, hanno preso il nome le osterie. È così che nacquero questi rappresentativi luoghi d’incontro, con l’antico fascino della semplicità e della genuinità, un luogo in cui s’incontravano nobili e gondolieri per far “do ciacole”, bere un’ombra, mangiare una “canocia”, e magari sfidarsi in una partita a carte.

    I bacari sono distribuiti più o meno in tutta Venezia. La più alta concen-
    trazione è nei sestieri di Canna-
    regio e, soprattutto, San Polo. Questi tipici locali si differen-
    ziano dalle comuni osterie per via della modalità di consumazione dei cibi, per il modo in cui questi sono presentati al pubblico, e per le dimensioni e struttura degli ambienti interni. Il bacaro, quindi, è solitamente di piccole dimensioni, con pochi posti a sedere, banconi con sgabelli simili a quelli dei bar e vetrine in cui vengono esposti i cibi. Questi, di solito, vengono acquistabili a pezzo, al fine di comporre un piatto con diversi tipi di prodotto diverso. Il bacaro viene visto sia come un esercizio di ristorazione per il pranzo, sia come luogo di aperitivo.
    Un piatto di cicchetti e due bicchieri di prosecco. Tradizionalmente non erano dei ritrovi di buona nomea o ben visti dalla gente dabbene, tant’è vero che anche oggi quando si vuol definire un bar molto scarno in quanto a mobilia o pulizia lo si definisce ‘bàcaro’.
    Alcuni bacari sono frequentati da turisti, ma ve ne sono altri, più nascosti nei piccoli vicoli, che sono frequentati da veneziani a cui piace "andar a cicheti" o fare il "giro d'ombra", cioè trovare degli amici e bere un "ombra". Il vino della casa si chiama sempre "ombra"; al bacaro non si trova solo del vino semplice ma può esservi anche una grande scelta tra vini di alta qualità. Tradizione in voga tra i pensionati, soprattutto a Cannaregio, è fare il giro dei bacari partendo dal ponte delle Guglie e arrivando fino a Santi Apostoli.

    I prodotti tipici del bacaro sono definiti "cicheti" in dialetto veneziano e spincióni a Padova, termine derivante dal latino ciccus, ovvero "piccola quantità". Si presentano con un'estrema varietà di forme: di solito sono a base di pesce, ma anche di salumi, carne, e altro, e possono essere semplici o complessi. Tra i cicheti più ricorrenti vi sono i crostini di baccalà mantecato, alici marinate, misto mare o "folpetti" in umido. Al cicheti a base di pane sono alternati quelli fritti: baccalà fritto, sarde fritte, verdure fritte ecc. I cicheti stessi si sono fatti sempre più stuzzicanti e invitanti, quasi a sostituire un pasto che si consuma in compagnia al banco, o seduti ad un tavolo di legno circondati da un clima accogliente. Degli esempi di cicheti, tra i più famosi a Venezia, sono i nervetti con cipolla, i fagioli in umido, le seppioline grigliate, i polipetti, le alici marinate, le sarde in saor, la zucca in saor, le anguille marinate, l’aringa, mezzo uovo con acciuga, i crostini di polenta con baccalà mantecato, la frittata con radicchio di Treviso, la spienza (milza) alla veneziana, le polpette e le alici fritte al momento.Le composizioni, tuttavia, sono fra le più disparate ed originali; ciò che le accomuna, però, è la praticità del cibo informale: potendo essere mangiati senza l'utilizzo di posate, non richiedono la necessità di tagliarli o di sedersi a un tavolo.

    I bàcari erano pratica-
    mente scomparsi lasciando il posto ai bar con il toast e panini.Negli ultimi anni, questi locali sono stati riscoperti e presentati in versione “aggiornata” ma rispettando le caratteristiche di un tempo. Stesso cibo e stesse tradizioni culinarie, ma certamente, al giorno d’oggi i Bàcari non sono più dei posti trasandati e spartani come invece lo erano una volta. I “Cichetti” sono un vero e proprio rito gastronomico, sia per i Veneziani, giovani e meno giovani, ma spesso anche per i turisti, che con immenso piacere, scoprono un modo di mangiare e di bere alternativo al solito ristorante

    Negli ultimi anni però sono stati riscoperti e presentati in versione “aggiornata” ma rispettando le caratteristiche di un tempo. Stesso cibo e stesse tradizioni culinarie, ma certamente, al giorno d’oggi i Bàcari non sono più dei posti trasandati e spartani come invece lo erano una volta. I “Cichetti” sono un vero e proprio rito gastronomico, sia per i Veneziani, giovani e meno giovani, ma spesso anche per i turisti, che con immenso piacere, scoprono un modo di mangiare e di bere alternativo al solito ristorante.
    Andar per Bàcari, è diventata una piacevole consuetudine e un simpatico modo per fare del turismo enogastronomico assaporando del buon cibo e del buon vino con la consapevolezza di essere in una città come Venezia, dove oltre ad essere conquistati dall’arte e dalle bellezze storiche si può venire anche “sedotti” dalla bontà delle sue tradizioni culinarie e gastronomiche.
    Diversi sono i Bàcari presenti a Venezia. Uno dei più famosi è il "Do Mori", un bàcaro vicino al mercato del pesce presso Rialto. Il locale esiste dal 1462 e leggenda vuole sia stato frequentato da Giacomo Casanova. Modernamente ha assunto il nome Cantina do Mori, ma mantiene la tradizione di servire ombre e "cicheti" rigorosamente in piedi.

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Perché si dice “fare d’ogni erba un fascio”?




    fare-di-tutta-l-erba-un-fascio


    L’espressione viene usata per indicare una situazione in cui si tende a generalizzare eccessivamente ed erroneamente, mentre si dovrebbe focalizzare meglio il caso specifico. Il riferimento è alla pratica, che i contadini ritenevano non corretta, di mischiare erbe di tipo differente.

    In italiano esistono tanti modi di dire ma uno dei più usati è quello che recita ‘fare d’ogni erba un fascio‘ che ha il significato di generalizzare volutamente, ragionare a casaccio prendendosela indistintamente con tutti o per tutto.
    Insomma, ‘fare d’ogni erba un fascio’ non è mai una cosa bella perché è sintomo dell’impossibilità o della mancanza di volontà nell’ammettere che non è tutto è uguale, che non tutte le persone sono le stesse.
    Il perché si dica così ci riporta – come ben si capirrà – alla vita di campagna nella quale i contadini erano soliti mietere l’erba al fine di dare da mangiare agli animali posseduti e quando si mieteva l’erba per poi costituire dei fasci, degli insiemi, era un gesto che indistintamente colpiva qualsiasi tipo d’erba senza separazione alcuna.

    tempi addietro le merci venivano trasportate su grossi e lunghi carretti trainati da uno o più cavalli. Il loro tragitto ,talvolta, superava molte decine di chilometri e, specie nei periodi estivi quando il caldo spaccava le pietre, le povere bestie , oltre ad essere stanche , avevano anche fame e sete. Per tale motivo, lungo le strade vi erano venditori di gramigna . Il venditore doveva fare fasci di gramigna , ben lavata ed assicurarsi che non vi fossero altre specie di erbe mischiate nel fascio che potesse nuocere alla salute dei cavalli. Questa era la frase che esprimeva il malcapitato carrettiere quando si accorgeva che al fascio di gramigna si erano aggiunte altre erbe estranee al far bisogno della bestia Almeno così penso che sia sorta l' espressione "di fare d' ogni erba un fascio".


    (Lussy)





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    Salute e benessere


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    Il Parco Termale del Garda


    Vicinissimo al lago di Garda, in località Colà di Lazise, si trova uno straordinario parco termale dove si può praticare la balneoterapia in un ambiente di rara bellezza visitabile, anche per una giornata intera, magari attrezzandosi per una colazione a sacco (permessa) nei boschi su tavoli e panche esistenti.

    Tra prati e alberi secolari si trovano due laghetti di acqua termale a 34 °C con grandi vasche di idromassaggio a circa 38 °C.
    Il più grande dei due laghi ha una superficie di circa 5.000 mq e di sera, quando la stagione lo permette, è anche illuminato per la balneazione notturna.


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    foto:terme.myblog.it


    foto:i30.tinypic.com


    Il parco e la villa

    Il parco ha un'estensione di 13 ettari ed è contiene una grande varietà di specie arboree, cedri, lecci, sequoie, abeti, magnolie e piante esotiche disposte con grande armonia.Ci sono ampie aree erbose e alberi secolari che, anche nella stagione più calda, donano spazi d'ombra.

    Villa dei Cedri è una tipica costruzione neoclassica di notevole sobrietà ed bellezza; si eleva su tre piani di cui due nobili ed un terzo per la servitù. Non segue lo schema tipologico tradizionale delle Ville Venete ma è molto più vicina allo stile lombardo.
    Il corpo centrale è coronato da un timpano triangolare che, nel prospetto verso il parco, posa su quattro lesene con capitelli corinzi che si elevano su due piani ed hanno come basamento il volume del pianoterra trattato a bugnato.

    All'interno del parco si trovano anche altri interessanti edifici: Villa Moscardo, la più antica, risalente al XIV secolo, un corpo unico che include foresterie, depandances e scuderie, asseribile al XIV-XV secolo e due serre di cui una particolarmente interessante, costituita con una volta a botte e nel corpo centrale una gran cupola a padiglione che eleva di molto le volte dei corpi minori.
    Ci sino poi tre portinerie che si affacciano, data l'estensione del parco, su tre diverse strade. La prima è di stile neogotico (finestre ad ogiva, tetto in rame con finti mattoncini dipinti) paragonabile come gusto all'architettura del Franco (fine 800 inizi 900), era la portineria di rappresentanza della Villa. La seconda appartenente alla fine dell'800 o ai primi del '900 è un classico stile neoromantico. La terza risale al XV secolo; fu poi ristrutturata nell'800 dove gli venne dato un aspetto del tardo Medioevo e ne venne ricavata una nicchia per ricreare un "ninfeo" che ricorda le Ville del 500.

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    Un po' di storia

    Nel 1989 i proprietari della villa e del parco, per potenziare l'irrigazione della tenuta, fecero scavare un pozzo all'interno della proprietà. Alla profondità di 160 metri, la sorpresa: una falda d'acqua calda e per di più oligominerale, ricca di bicarbonato, calcio, magnesio, litio, silice.


    Ed ecco l'idea geniale: sostituire l'acqua del laghetto che si trova nel parco con quella calda, che scaturisce dal sottosuolo alla temperatura di 37 gradi, tramite pompe che garantiscono al lago un ricambio pari alla metà del suo intero contenuto.
    Ma prima di tale evento?
    La Villa dei Cedri fu costruita secondo la tipologia delle ville napoleoniche dall'architetto Luigi Canonica tra la fine del '700 e l'inizio dell'800. Per quanto riguarda le altre strutture che compongono la proprietà, Villa Moscardo risale al XIV secolo (sulla facciata una lapide attesta il passaggio dell'imperatore Carlo V il 21 aprile del 1530), le foresterie, le scuderie e la maestosa serra in ferro battuto risalgono alla seconda metà dell'800.
    In un prezioso album fotografico di Richard Lotze del 1860, presso il Museo dei Miniscalchi di Verona, figurano alcune immagini del parco, la cui ricchezza floristica è rimasta immutata nel tempo con i suoi centocinquanta cedri e altre specie arboree.

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    foto:4.bp.blogspot.com


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    foto:benessere.com


    I laghi e la grotta

    Ci sono due laghi: uno più piccolo, più raccolto e uno più grande (5000mq), quello storico, con una simpatica grotta artificiale.
    Entrambi sono ora attrezzati con grandi vasche con acqua più calda, interne al lago, per idromassaggi di vario tipo. Ci sono poi delle potenti fontane che innalzano l'acqua fino al 10-15 metri.

    La grotta, costruita contemporaneamente al lago "storico" come ornamento estetico ed elemento di sorpresa, è stata adibita a luogo di delizie: un vero e proprio trionfo di idromassaggio con zampilli d'acqua i più vari, dall'alto per la schiena e collo, dal fondo per piedi e dita e più in alto leggeri come pioggerellina per il viso.


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    foto:bedbrek.com

    Balneoterapia: istruzioni per l'uso

    I bagni termali consistono nella completa immersione del corpo nell'acqua, in modo che ne emerga solo il capo. La durata consigliata della balneazione è di circa 30'.

    Il ciclo terapeutico generalmente di 10 - 15 bagni che vengono eseguiti giornalmente.
    L'utilità della balneoterapia è legata a due fattori: uno aspecifico, idroterapia in senso lato, di tipo fisico in rapporto alla pressione idrostatica ed alla temperatura dell'acqua; ed uno specifico, farmacologico, legato alle caratteristiche organolettiche dell'acqua.
    La pressione idrostatica può essere semplicemente quella del peso dell'acqua sovrastante il corpo, oppure variare da 1 a 3 atmosfere nella balneoterapia arricchita da idromassaggio. Questo rende possibili movimenti che il soggetto non riuscirebbe ad eseguire fuori dall'acqua, con risultati positivi nella terapia dell'artrosi, dei reumatismi extra-articolari, degli esiti di traumi, ecc..

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    foto:cortepontigliardo.it

    L'acqua

    L'acqua di Villa dei Cedri è stata certificata (dal Ministero della Sanità con decreto del 7 Novembre 1996) come oligominerale, esente da contaminanti chimici, batteriologicamente idonea, appartenente al gruppo delle acque bicarbonato calciche, con una significativa presenza di silicio, potassio e magnesio.
    Per queste sue preziose caratteristiche chimico fisiche, l'acqua di Villa dei Cedri svolge una benefica azione detergente, calmante ed antiflogistica ed è ritenuta di grande utilità sia nella prevenzione che nella terapia di un vasto numero di patologie o inestetismi cutanei, tra cui eczemi, dermatiti di contatto, dermatiti pruriginose, dermatiti associate a disturbi circolatori, celluliti, irritazioni o sensibilizzazioni in generale della pelle.

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    foto:farm4.static.flickr.com

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    foto:agriturismocavecia.it


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    foto:fotografieitalia.it
    Lazise



    da benessere.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    Le farfalle hanno una grazia incantevole,
    ma sono anche le creature piú effimere che esistano.
    Nate chissà dove, cercano dolcemente solo poche cose limitate,
    e poi scompaiono silenziosamente da qualche parte.
    (Haruki Murakami)

    LA VALLE DELLE FARFALLE



    La Valle delle Farfalle è un parco naturale situato vicino alla costa occidentale dell’isola di Rodi, dista 23 km dalla capitale. E' uno dei biotopi più rari dell’Europa dove avviene un fenomeno unico nel suo genere, la concentrazione di milioni di farfalle della specie Panaxia Quadripunctaria, nei mesi di luglio e agosto. Queste falene, appartengono alla famiglia degli Arctidi, farfalle notturne di qualche centimetro di dimensioni caratterizzate da colorazioni bruno-rossastre. Il nome della famiglia deriva da Arctos (in Greco orso) perché i bruchi presentano una folta peluria bruna che ricorda il manto degli orsi. Allo scopo di confondere i predatori, queste farfalle presentano una strategia comune in molti altri insetti: il mimetismo flash. Il primo paio di ali, di colore bruno con striature bianche, garantisce un buon grado mimetico; il secondo paio di ali, di colore rosso vivace e nascoste dalle precedenti quando l’insetto è a riposo, determina un’esplosione di colore quando la farfalla spicca il volo attirando l’attenzione del predatore e distogliendolo dalla colorazione spenta e mimetica, così l’insetto si può posare su un tronco o una roccia e sparire completamente alla vista del predatore.
    Le farfalle sono attirate dal profumo dolce di resina ma soprattutto, dal microclima della valle che è umido e fresco. La Valle si è estende per circa 60 ettari, tra ruscelli, ponti di legno, il piccolo fiume Pelecanos, cascate e stretti sentieri.
    Un habitat raro ma non incontaminato. Le farfalle si concentrano in questa zona dell’isola perché necessitano di biotopi con caratteristiche ambientali particolari, tipiche di valli strette, con precipizi ripidi su entrambi i lati, provvisti di una folta copertura arborea di specie sempreverdi e sclerofile che impediscano la penetrazione della radiazione solare nel profondo del sottobosco. Così, benché al di fuori della valle vi siano temperature altissime con punte superiori a 40 C°, all’interno vi sono temperature basse con un più alto tasso di umidità dell’aria, garantito dall’evaporazione dell’acqua e dalla traspirazione degli alberi.
    Le femmine volano anche per più di 25 km, per deporre le uova in luoghi bui e sicuri. I bozzoli si schiude-
    ranno in primavera e nel periodo estivo.

    La prima testimo-
    nianza sulle farfalle risale ai primi del ‘900 da parte di operai italiani che lavorarono alle opere di conformazione della valle. Secondo alcune testimonianze all’inizio del secolo scorso la vegetazione della valle era così densa da renderne impossibile l’accesso. Nel 1928 una compagnia italiana si stabilì nella comunità di Pelacanos cominciando un processo di valorizzazione della valle. Furono costruite alcune cisterne e venne sostituito il vecchio mulino. I lavori continuarono per un una decina di anni fino alla costruzione dell’acquedotto. E’ proprio in questo lasso di tempo che apparvero le prime farfalle. Alcuni sostengono che furono proprio gli italiani ad introdurle sull’isola. Altre testimonianze tra gli abitanti più anziani della valle dicono che le farfalle ci sono sempre state e che furono solamente scoperte in quei tempi.


    La farfalla, è qualcosa di particolare,
    non è un animale come gli altri, in fondo non è propriamente un animale ma solamente l’ultima,
    più elevata, festosa e vitalmente importante essenza di un animale.
    È la forma festosa, nuziale…..di quell’animale
    che era giacente crisalide e ancor prima affamato bruco.
    La farfalla non vive per cibarsi e invecchiare,
    vive solamente per amare e concepire,
    e per questo è avvolta in un abito mirabile…
    Tale significato della farfalla è stato avvertito
    in tutti i tempi e da tutti i popoli…
    È un emblema sia dell’effimero, sia di ciò che dura in eterno…
    È un simbolo dell’anima…
    (Hermann Hesse)


    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    LA SAPODILLA



    La Manilkara zapota è una pianta della famiglia delle Sapotacee, originaria del Sud del Messico e dell'America Centrale. Nello Yucatan è una delle specie arboree dominanti.
    In Messico è commercializzata come "chupeta" o "chicozapote" che deriva dalla lingua nahuatl e significa zapote di miele, ad indicare il sapore più dolce degli altri frutti della famiglia delle Sapotaceae. Dai Maya dello Yucatan è invece chiamato "zaya". Altri nomi con cui è noto altrove sono "zapote chico", "chicu", "àcana", "korob", "muy", "muyozapot", nonché, in modo più generico, come "níspero", che più propriamente indica in spagnolo la specie europea nespola.
    Linneo denominò questa specie Achras sapota, dal termine greco achras, "pera", per la somiglianza del frutto.
    L'albero, molto longevo, è un sempreverde, ha una chioma conica e può crescere fino a 30 metri di altezza. Il suo tronco è grigiastro e con la crescita la corteccia si fessura. La pianta produce un lattice bianco. I giovani rami della pianta sono coperti da uno strato lanoso.
    Le foglie sono alterne, ellittiche o ovali, a margine intero, lunghe 7–15 cm.
    I fiori sono bianchi, molto profumati, solitari e bisessuali. Hanno sei sepali liberi racchiusi all'esterno in due spirali. I petali sono uniti in una corolla tubulare con sei lobi. Sopra vi è l'ovario con un singolo stame. I fiori rimangono aperti durante tutta la notte.
    Il frutto della sapodilla è di color bruno, rotondo o leggermente oblungo, con un diametro di 4–8 cm e una buccia sottile. La polpa è dolce e delicata, e ricorda il caramello, la pera e il miele. I frutti hanno da due a cinque semi neri, duri e allungati. In Indonesia, i germogli giovani sono mangiati anche crudi o cotti con il riso.
    In Sud America è coltivata non solo per il frutto, dal suo fusto si estrae il chicle, una gomma che da millenni è utilizzata come chewingum naturalmente dolce, e veniva utilizzata per produrne anche a livello industriale. Oggi solo poche aziende continuano a produrre la gomma da masticare utilizzando il chicle, a causa dell'introduzione, a partire dagli anni sessanta, della gomma sintetica, la cui lavorazione è meno costosa. I raccoglitori locali di chicle sono chiamati chicleros. La tecnica utilizzata è simile a quella con la quale si ricava il lattice dall'albero della gomma: vengono praticate delle incisioni a zig-zag sul tronco, e la sostanza che ne cola viene raccolta con dei piccoli contenitori. Viene quindi bollita fino a darle la giusta consistenza. Il lattice è utilizzato anche nella produzione di dentifrici, per produrre gomme di pregio, nelle cinture di trasmissione e per isolare i cavi elettrici. Il legno pregiato è utilizzato per la produzione di mobili.

    I semi, i fiori e la corteccia contengono tannino che ha proprietà medicinali. Numerose sono le applicazioni della medicina popolare nei paesi asiatici. A Giava i fiori ridotti in polvere con altri ingredienti sono spalmati sul ventre delle donne immediatamente dopo il parto. In Malesia i semi sono utilizzati per prevenire la febbre o come diuretico. I frutti acerbi e la corteccia sono usate principalmente in Cina come efficace rimedio medicamentoso.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    OTTOBRE

    Ottobre
    Sdraiato sulla terra, là presente.
    l'infinito paese castigliano,
    che l'autunno awolgeva nell'arcano
    dorato del suo sole all'occidente.
    Lento, l'aratro, parallelamente
    la zolla apriva, e il seme con la mano
    aperta nelle viscere il villano
    gettava della terra, onestamente.
    Pensai strapparmi il cuore, e là gettarlo,
    pieno del suo soffrire alto e profondo,

    del tenero terreno nel calore,
    per vedere se, infranto, a seminarIo,
    la primavera di svelasse al mondo
    l'albero puro dell'etèrno amore.


    (Juan Ramòn Jiménez)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Federico Veronesi


    La natura non è un posto da visitare.
    E' casa nostra.
    (Gary Snyder)

  8. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 041 (05 Ottobre – 11 Ottobre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Martedì, 6 Ottobre 2015
    S. BRUNO AB.

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 41
    Giorni dall'inizio dell'anno: 279/86
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 06:13 e tramonta alle 17:43 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 06:28 e tramonta alle 17:54 (ora solare)
    Luna: 14.21 (tram.)
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    Proverbio del giorno:
    Patti chiari e amicizia lunga
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    Aforisma del giorno:
    Amoreggiate con le idee finché vi piace; ma quanto a sposarle, andateci cauti.
    (Arturo Graf)









    RIFLESSIONI



    ... IL “MUSICANTE” …
    ... “Datemi un suono; voglio stordirmi, inebriarmi lasciandomi cullare sulle note.” Viale chiaro scuro di un paesino della provincia; la nebbia costeggiava l’unica strada sterrata perdendosi tra le fronde degli alberi che circondavano il caseggiato. Sul viale principale, lontano dalla taverna, l’unico locale aperto che illuminava con la fioca luce del lampione ad olio davanti la sua porta, passeggiava un uomo. Lo chiamavano “musicante”, nel paese tutti lo conoscevano perchè quell’uomo aveva un dono prezioso; quando si avvicinava a chi soffriva improvvisamente il dolore svaniva e la mente si riempiva di note e melodie ed un senso di delicato benessere riempiva cuore ed anima. A volte l’uomo raccontava ciò che la sua mente involontariamente creava; “un giorno mi ha rapito un nuvola; bianca soffice corsi sulla suo manto bianco e ad un tratto caddi, scivolai in basso; un enorme pentagramma frenò la caduta e fui proiettato in un mondo di colori e note musicali. Fui cullato e poi avvolto dai suoni dai colori; ogni mia parola, ogni mio gesto in quel mondo diventava suono. Muovevo un braccio e una sinfonia di archi mi carezzava; ogni singolo muscolo del mio corpo produceva suoni, ogni mia parola si trasformava in melodia”. Magia in quei suoni mentre scivolavo sul pentagramma; la mia caduta si arresto davanti ad un enorme tempio fatto a forma di orecchio. Attesi tempo davanti a quella porta chiusa; ogni attimo che passava nella mia mente i suoni divenivano parole, i pensieri suoni e ogni singolo gesto del mio essere assumeva sembianze musicali. Sospeso nel suono; questa forse è la definizione che meglio mi desrive. Scese un grandissimo telo di fianco al grande orecchio, il tempio maestoso di fronte al quale ero scivolato involontariamente. Immagini incomprensibili che raccontavano le violenze piccole o grandi di tutti i giorni apparivano sul bianco telo; incredulo seguivo quel doloroso scorrere di immagini di sofferenza e violenza. Usci una lacrima dal mio volto, dapprima silenziosa, poi le successive nel loro scorrere sulle mie guance emettevano singoli suoni che, tutti insieme, creavano una melodia di dolcezza indicibile. Le immagini sul grande telo scomparvero dissolte dalla melodia prodotta dalle mie lacrime. “Sei pronto” tuonò una voce dall’alto, “ora il mondo avrà l’antitodo alle violenze, ora il mondo e gli uomini si dissolveranno nella dolce melodia che produrrà la tua esistenza”. Scivolai di nuovo attraversando cumuli di nubi bianche e soffici e quando mi svegliai ero su un grande covone di fieno. Scesi con i piedi in terra; il mio cuore era un tripudio di suoni, e fiero afforntai il mondo convinto di donare ad esso melodie e dolcezza da sconfiggere violenza e brutture. Ancora una fiaba, una invenzione … questo è il solo rimedio che conosco per ribellarmi a chi uccide una anziana vecchietta per rubare 10 euro per il bisogno di un pacchetto di sigarette; oppure chi uccide una donna proprietaria di una tabaccheria e, non pago del delitto ruba anche dei gratta e vinci. Ci vorrebbe il “musicante” per far sparire questo bruttume, per spazzar via quelle persone cattive e avvolgere tutti e tutti in una dolce melodia d’amore .… Buon risveglio … Buon Ottobre amici miei … (Claudio)






    La poesia è la musica dell'anima
    La poesia è la musica dell'anima...
    Tutto possiede in sè della poesia.
    I poeti altro non sono che dei musicisti
    che suonano le melodie che
    provengono dal cuore,
    con strumenti diversi da quelli convenzionali..
    Uomini che sanno trarre dalle cose
    un significato profondo,
    un afflato sensibile solo a pochi,
    non percepibile da tutti
    e lo trasformano in parole...
    Alchimisti dell'anima.
    (Fabrizio De André)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    Foglie d’autunno

    Quelle matte, matte foglie,
    brune, rosse, verdi, gialle,
    che disegnano nell’aria
    le figure più bizzarre,
    per terra sono cadute,
    ma senza farsi male.
    Se taci le puoi ascoltare:
    sotto la pioggerella
    canticchiano una canzone,
    imparata dagli uccelli
    nella bella stagione.
    (Maria Albina Scavuzzo)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    [size=9 Ma tu lo sai cosa sono le stelle? [/size]

    Una volta, ancora prima dei dinosauri, sulla Terra non c’era niente, solo una nebbia soffice soffice. Non c’erano le città né i prati o le montagne. Non c’erano i mari e nemmeno gli animali. C’era solo questa nebbia, simile a una grossa bolla di sapone! Non so dirti perché ma un giorno, proprio da quella grossa bolla di sapone, nacquero due corpi bellissimi, quelli che oggi chiamiamo Sole e Luna.
    Luna era grandissima e aveva due vestiti, tutti e due gialli: uno la faceva sembrare rotonda e l’altro, quello che preferiva e che perciò indossava più spesso, le dava la forma di uno spicchio!!
    Era sempre tranquilla e silenziosa e le piaceva molto dormire; insomma…era un po’ pigra!!!
    Quando stava con Sole però, diventava una chiacchierona e insieme si divertivano a giocare. Ballavano molto!!
    Anche Sole era grandissimo e aveva un vestito giallo! Era un po’ vanitoso così aveva attaccato dei grossi raggi che risplendevano tutto il tempo intorno al suo vestito! Sole era vivace, aveva sempre un sacco di idee e di giochi in mente! Non voleva dormire mai e quando Luna chiudeva gli occhi, lui pensava al prossimo gioco che avrebbero fatto insieme!
    Allora passavano tutto il tempo insieme e non esistevano né il giorno né la notte. Il cielo era sempre coloratissimo grazie alla luce dei loro vestiti!!
    Passavano ore e ore a cercare di descriversi perché non avevano uno specchio e non potevano guardarsi se non con gli occhi l’una dell’altro! Erano molto felici e non potevano pensare di allontanarsi neanche per un minuto!
    Luna però era un po’ pensierosa e a volte diventava triste perché non riusciva a capire perché era nata: sai, a quel tempo non c’erano gli asili, le scuole e i nonni. E allora perché era nata? Per fare cosa? All’inizio questa curiosità aveva poca importanza e cercava di nasconderla guardando il cielo con i suoi colori e le sue nuvole, che nacquero poco dopo il loro arrivo sulla Terra.
    Col passare del tempo però quel pensiero si fece sempre più forte, tanto che Luna smise quasi di dormire! Finché chiese a Sole: «Voglio scoprire chi sono e perché sono nata! Voglio scoprirlo adesso! Ma come posso fare?». E Sole rispose con aria un po’ triste: «Penso che non si possa! Forse siamo nati e basta! Forse quello a cui serviamo deve ancora nascere o forse non nascerà mai! Non possiamo pensarci tutto il tempo! Dai, andiamo a giocare! A me l’unica cosa che importa è che stiamo insieme!».
    E così, per un lunghissimo periodo, Sole e Luna rimasero vicini ed erano contenti. Anche Luna riuscì a ritrovare il sorriso! Finché sulla Terra non arrivò l’uomo…
    L’uomo era un essere un po’ strano! Era piccolissimo rispetto a Sole e Luna e aveva dei modi di fare un po’ buffi! All’inizio non sapeva né parlare né ridere; mangiava e dormiva tutto il tempo!
    Luna rimase impaurita da questa novità, perché l’uomo pensava solo a cacciare! In realtà non aveva fatto caso a Sole e Luna perché in confronto erano così grandi che non riusciva nemmeno a vedere fino a dove arrivavano!!
    Comunque Sole cercò di rassicurare Luna. La teneva per mano e quando l’uomo si avvicinava più del solito la abbracciava forte! Allora Luna si calmava perché si sentiva al sicuro.
    Col tempo l’uomo cominciò a sentirsi solo e così da una polverina argentata nacque la donna; poi ne nacquero altre e altre ancora e poi altri uomini finché la Terra non si popolò del tutto!
    Intanto Sole e Luna crescevano lentamente e diventavano sempre più grandi e la Terra troppo piccola per ospitarli insieme agli uomini. E così, dal cielo, si udì una voce:
    «È giunto il momento di salutarvi … la Terra è diventata troppo piccola per voi e gli uomini hanno bisogno della luce che solo tu, Sole, puoi portare; e del buio che solo tu, Luna, puoi far scendere. Dovete dirvi addio, ma non per sempre. Ogni tanto potrete rincontrarvi, anche se per pochi minuti! Vi incontrerete in un punto del cielo irraggiungibile a tutti così potrete riabbracciarvi! Il giorno del vostro incontro si chiamerà ECLISSI.
    Dovrete abbandonare la Terra e viaggiare fino a che non raggiungerete lo spazio, che vi accoglierà perché è molto ampio! Mi dispiace ma gli uomini hanno bisogno del giorno e della notte…»
    Luna preoccupata chiese «Ma come faremo a incontrarci se lo spazio è così tanto grande?? Come sapremo che strada prendere??» Ma non fece in tempo a finire la domanda che la voce si spense per scomparire da dove era venuta.
    Non parlarono, per tutto il lungo viaggio. I ricordi correvano nella loro memoria veloci veloci. Solo ogni tanto Sole stringeva un po’ più forte la mano di Luna e la guardava negli occhioni.
    Giunti nello spazio si sfiorarono per l’ultima volta. Luna, lentamente, si allontanò. Cercò di non voltarsi ma non ci riuscì: allora girò il viso per rivedere per l’ultima volta Sole … e piccole lacrime scesero dai suoi occhi. Piccole lacrime luminose. Sembravano quasi magiche!! Man mano che si allontanava, altre ne cadevano dai suoi grandi occhi! Pian piano andarono a depositarsi nello spazio.
    Quando Sole le vide pensò che erano bellissime e che se fosse riuscito a renderle ancora più luminose gli avrebbero permesso di ritrovare la strada per riabbracciare Luna.
    Così prese un po’ dei suoi raggi, che splendevano di una luce accecante. Li divise in piccoli pezzetti e li strinse tra le sue manone così forte che si riempirono di tutta la speranza che aveva nel cuore. Alla fine li lanciò nello spazio e la speranza andò a depositarsi proprio sulle lacrime di Luna, illuminando il sentiero che li avrebbe fatti incontrare nel giorno dell’eclissi.
    Così nacquero le stelle. E così la speranza si diffuse in tutto il mondo!

    (Chiara)



    ATTUALITA’


    Isis distrugge l'arco di trionfo a Palmira, in Siria.

    Lo ha riferito il sovrintendente alle autorità siriane. La furia e la violenza distruttiva dell'Isis si scatenano di nuovo contro tesori d'arte: militanti jihadisti hanno fatto saltare in aria l'arco di trionfo di Palmira, in Siria, vestigia di epoca romana di almeno duemila anni fa.

    L'esercito del cosiddetto stato islamico ha conquistato il sito archeologico nel maggio scorso. Il 19 agosto ha decapitato l'archeologo custode del sito, Khaled Assad.
    Khaled Al Homsi, archeologo e attivista dei diritti umani, ha twittato una foto del monumento prima che fosse distrutto dall'isis, indicando con dei segni rossi le parti dell'arco che non esisterebbero più: la sommità centrale e quella dei due archi laterali.

    I militanti dell'Isis hanno preso possesso del sito archeologico nel maggio scorso, facendone un simbolo del loro odio contro l'occidente e le sue vestigia considerate sacrileghe. Nell'agosto scorso avevano raso al suolo tre tombe a torre costruite tra il 44 e il 103 dopo Cristo. Poco prima era stato distrutto anche il Tempio di Bel, sempre nello stesso sito. Il 19 agosto i miliziani hanno decapitato l'archeologo Khaled Assad, responsabile del sito di Palmira. La sua testa era stata appesa ad una colonna romana.
    (Ansa)





    Vita su Marte? Curiosity rischia di inquinare le prove.

    Il rover della Nasa rischia lo stop, rischio contaminazione. Doccia fredda sull'entusiasmo suscitato dall'annuncio della Nasa dopo la scoperta che su Marte scorre ancora oggi l'acqua: un trattato internazionale rischia di bloccare il cammino del robot-laboratorio Curiosity della Nasa, al lavoro sul pianeta rosso dal 2012. E' un problema che l'agenzia spaziale americana ha ben presente, come spiega l'esperto di geologia planetaria Gian Gabriele Ori, dell'Università D'Annunzio di Pescara e Chieti e membro del comitato esecutivo del Mars exploration program analysis group della Nasa.

    A rischiare di fermare il cammino avvenutoso di Curiosity sono una risoluzione delle Nazioni Unite del 1966 e un trattato internazionale, l'Outer Space Treaty (Trattato sullo spazio extra atmosferico): entrambi impongono agli Stati di evitare ogni forma di contaminazione dello spazio e dei corpi celesti.

    Nel caso di Marte e di Curiosity, in particolare, c'è il rischio che la marcia del robot possa alterare l'equilibrio attualmente presente nel suolo marziano, nel caso della presenza di eventuali microrganismi. Su Marte, spiega Ori, esistono infatti delle 'regioni speciali', cioè zone 'a traffico limitato' dove potrebbe essere più probabile trovare acqua e forme di vita. ''Curiosity - spiega Ori - non ha un livello di sterilizzazione tale che gli consenta di andare nelle regioni speciali. Se quindi fosse confermato che l'acqua c'è, per un principio di precauzione non ci potrebbe andare''.

    In un sistema aperto come quello dell'acqua che scorre ''i batteri e i microorganismi potrebbero essere sollevati dal suolo - continua - e andare nell'atmosfera, li' potrebbero poi essere catturati da una tempesta di polveri, che a sua volta potrebbe portarli ovunque, magari nel sottosuolo, dove troverebbero terreno fertile per crescere e propagarsi'', andando a modificare l'equilibrio del pianeta. ''Bisogna dunque stare molto attenti. Curiosity - conclude Ori - ha gli strumenti per per individuare la presenza dei minerali che si formano nell'acqua. Ma se si dovesse confermare la presenza di acqua o qualcosa che suggerisce la presenza di vita, bisogna fermarsi. Ma queste sono decisioni che si prenderanno al momento''.
    (Ansa)





    Pechino Express, il nuovo mondo.

    In Perù, nel leggendario sito archeologico di Nazca. Lunedì 5 ottobre in prima serata su Rai 2, sesto appuntamento per l’adventure game Pechino Express- Il nuovo mondo.

    Il “deserto desnudo” della quinta puntata ha lasciato indenni i concorrenti. Nessuna uscita dal programma ha infatti segnato lo scorso episodio (graziati #fratelloesorella a rischio eliminazione) ma anzi è da registrare il nuovo ingresso di Piero Filoni, nuovo compagno di avventure di Paola Barale dopo il ritiro per infortunio di Luca Tommassini. Tra le novità di questa nuova puntata l’ingresso di un personaggio misterioso di nome Eva, che rappresenterà inizialmente lo svantaggio di #fratelloesorella. Un elemento enigmatico che lascerà un segno indelebile in questa nuova edizione dell’adventure game prodotto da Magnolia.
    Dal deserto di Sechura le 7 coppie rimaste in gara approderanno al sito archeologico di Nazca, luogo leggendario del Perù dove oltre 13.000 linee formano circa 800 disegni stilizzati di animali tipici dell’area (come il condor), figure umane e piante. I disegni più grandi superano i 200m di estensione e sono datati tra il 300 a.c. e il 500 d.c.. In quest’area carica di storia e di mistero l’affiatamento delle coppie in gara verrà messo davvero a dura prova.
    Queste le 7 coppie che si cimenteranno nelle gare della sesta puntata: #fratelloesorella, Naike Rivelli e Andrea Fachinetti, gli #espatriati, Pasquale Caprino – in arte Son Pascal – e Christian Bachini – in arte Kang; gli #antipodi, ovvero Andrea Pinna e Roberto Bertolini, le #persiane, Giulia Salemi e la madre Fariba, le #professoresse Eleonora Cortini e Laura Forgia, gli #artisti Paola Barale e Piero Filoni e, infine, gli #stellati Philippe Léveillé e Ciccio Sultano.
    Come di consueto sarà possibile seguire e commentare la nuova puntata attraverso l’hashtag ufficiale #PechinoExpress. Pechino Express vive sul web grazie al sito ufficiale (www.pechinoexpress.rai.it), dove è possibile seguire le puntate in live-streaming, rivedere on-demand tutti i momenti del viaggio in Sud America, scoprire le curiosità sulle coppie in gara e sul conduttore, nonché gustare in esclusiva fotogallery, interviste e clip inedite realizzate ad hoc per la Rete.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Nausicaa della valle del vento




    locandina


    Un film di Hayao Miyazaki. Con Sumi Shimamoto, Goro Naya, Yôji Matsuda, Yoshiko Sakakibara, Akiko Tsuboi.


    Una parabola ecologista tra fantasy e fantascienza che mostra già il genio inimitabile di Miyazaki.
    Emanuele Sacchi


    È trascorso un millennio da quando una serie di guerre, culminata nelle esplosioni termonucleari dei Sette Giorni del Fuoco, ha alterato l'ecosistema mondiale. Il Mare della Rovina si è espanso drammaticamente, occupando i regni degli uomini e invadendo la Terra con i suoi insetti giganti e le sue spore velenose. Solo pochi territori sono rimasti indenni, ma i loro abitanti continuano incessantemente a combattere tra loro. In un regno neutrale e pacifico, la Valle del Vento, vive la principessa Nausicaa, dotata di un potere extrasensoriale che le permette di comunicare con gli animali e con i temibili insetti Ohm. Nausicaa è convinta che la soluzione non sia attaccare gli insetti, bensì comprendere il segreto alla base del Mare della Rovina.
    È nel futuro distopico di Nausicaa della Valle del vento che ha inizio la straordinaria epopea trentennale dello Studio Ghibli. Benché tecnicamente il film non sia ancora una produzione dello studio, ma un lavoro distribuito dalla Toei, Nausicaa è unanimemente considerata l'opera fondativa della casa cinematografica (è infatti inclusa in tutti i Dvd retrospettivi) e del Miyazaki-pensiero, la filosofia che ha cambiato per sempre il mondo dell'animazione mondiale. Nella vicenda è possibile individuare agevolmente le tematiche peculiari dell'autore, che il regista svilupperà nel corso degli anni: l'amore per la natura e per la vita, un'eroina in età adolescente con un coraggio pari solo alla sua bontà di cuore, la fascinazione per gli aerei e per ogni tipo di strumento o marchingegno che consenta all'uomo di librarsi in volo. Anche il sodalizio con Hisaishi Joe, autore delle musiche, nasce con Nausicaa. Benché da un punto di vista tecnico si avverta una certa obsolescenza (i fondali e le animazioni sono piuttosto primitive, con alcuni movimenti tutt'altro che fluidi), per il resto Nausicaa è opera che trascende la propria contestualizzazione temporale, tanto da rappresentare, a distanza di decenni, un'inesauribile fonte di ispirazione. Forse resta ineguagliabile per lo stesso Miyazaki l'operazione di sincretismo di molteplici fonti (Dune e i suoi Vermi, i Grandi Antichi di H. P. Lovecraft, le battaglie di popoli di J.R.R. Tolkien, l'Odissea), in cui ognuna fornisce il suo contributo senza inficiare la totale autonomia e credibilità dell'universo miyazakiano.
    Fantasy e fantascienza si mescolano in parti uguali, in una versione quasi opposta per estetica e spirito rispetto allo steampunk: gli avveniristici ritrovati tecnologici convivono con rudimentali strumenti agricoli, i phaser a raggi laser con spadoni dall'elsa dorata. Il risultato è una straordinaria parabola ecologista in cui la forza della narrazione e la libertà delle creazioni visive del regista non sono intaccate dalla presenza di un evidente messaggio-monito ambientalista. In netta controtendenza con il canone del genere fantastico, Miyazaki evita infatti ogni manicheismo, chiarendo in diverse scene come non esista una divisione netta tra bene e male: anche gli atti più scellerati sono figli di una ragione ben precisa, che alimenta la paura nel cuore degli uomini. Cause e soluzioni variano caso per caso e, benché l'uomo sia dominato da tentazioni e da fragilità che lo portano a commettere gli stessi errori in un ciclo continuo, non esiste il male in sé. Al secondo film, dopo la rielaborazione della saga di Lupin III con Il conte di Cagliostro, Miyazaki Hayao è già un maestro indiscusso e Nausicaa l'inizio di un viaggio indimenticabile.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    "Le scogliere calcaree del White Rocks terminano bruscamente
    contro uno sperone di basalto scuro,
    che è maestosamente coronato dal Dunluce Castle."


    DUNLUCE CASTLE



    Dunluce Castle è uno dei monumenti storici più rappre-
    sentativi di Irlanda del Nord, arroccato sulla costa di Antrim a nord su un promon-
    torio roccioso drammatico. Costruzione tardo-medievale e del XVII secolo è circondato da rocce spaventosamente ripide su entrambi i lati.


    "il ponte rinforzato da un arco in pietra muraria. Una volta era solo uno stretto passaggio naturale che rendeva la fortificazione inespugnabile. Da qui vedo il mare fragoroso alzarsi e arricciarsi sulla costa. Proseguo sino a varcare l’ingresso vero e proprio del castello. Le difese della parte più antica del maniero hanno mura esterne possenti e due torri con due angoli giro. Il corpo originale venne distrutto da un cannone nel 1584 e poi ricostruito in stile scozzese.
    Cammino sino alla fila di colonne: in origine erano parte della Loggia che dava su un giardino elegante del XVI secolo. A causa dello sfaldarsi della roccia su cui posa la costruzione, la Manor House venne spostata in una posizione più centrale intorno al 1630. Era costituita da una Grande Hall con due enormi caminetti e tre finestre ad arco e una scalinata in legno che portava agli appartamenti privati. Nella zona nord c’era una dispensa, una stanza per le stoviglie e una vecchia cucina. Ma la parte che mi affascina di più e mi fa immaginare gli antichi proprietari è il vecchio tunnel proprio sotto la Torre a nord-est. Il passaggio segreto porta alla spiaggia e sembra che sia più vecchio del castello di 500 anni. Lì sotto venivano nascoste navi e imbarcazioni per raggiungere Rathlin Island o la Scozia. Continuo verso la Corte della Cucina con i laboratori al pianterreno, dove i pavimenti di basalto sono irregolari, e gli appartamenti al piano superiore che conservano pietre tagliate d’arenaria. Alla fine della roccia, le mura hanno perso la loro forza: nei secoli sono state attaccate dal mare che le ha indebolite ed erose sino a privarle della loro maestosità. Torno indietro sui miei passi guardano il cielo limpido che fa da soffitto al castello. Riattraverso il ponte e seguendo le indicazioni e le scale scendo sulla spiaggia. Da qui vedo chiaramente la grotta che, per paura di frane, è vietata al pubblico. Dal mare ancora in burrasca, ascolto raccontarmi le gesta dei clan che si sono succeduti nei secoli. E in brivido di freddo rivivo per un istante le loro gesta eroiche."
    (Andrea Lessona, www.ilreporter.com)


    L'interpretazione del nome, deriva da dun-lois, una combinazione di dun, 'forte', usato aggettivo e lois, la parola normalmente tradotta era 'anello forte', residenza fortificata.

    ...storia...



    Nel XIII secolo Richard Óg de Burgh, secondo conte dell'Ulster, fece costruire il primo castello a Dunluce. Si trattava semplice-
    mente di due torri di 9 metri di diametro.
    Verso la fine del XIII secolo, la famiglia McQuillan prese il controllo dell'area di Dunluce e del castello fino a che, dopo aver perso due grandi battaglie contro il clan dei MacDonald, cedettero a questi ultimi il controllo della regione.
    La prima testimonianza scritta del risale al 1513. In seguito il castello di Dunluce divenne la dimora del capo del clan dei MacDonnell di Antrim alleatosi con una nuova stirpe di MacDonald proveniente da Dunnyveg, in Scozia. Nel 1584, con la morte di James MacDonald, sesto capo del clan MacDonald di Antrim e Dunnyveg, la vallate di Antrim vennero occupate da Sorley Boy MacDonnell, uno dei suoi fratelli minori. Sorley Boy si impadronì del castello e lo ristrutturò in base al tipico stile scozzese. Tra le altre cose, Sorley Boy giurò fedeltà alla regina Elisabetta I, e ciò permetterà a suo figlio Randal di essere nominato poi primo conte di Antrim dal re Giacomo I. Nonostante le continue guerre, nel corso del XVI secolo, il castello vide molti cambiamenti architettonici e integrazioni. Dunluce raggiunse il suo apice nei primi anni del XVII secolo, con Randal MacDonnell, primo conte di Antrim. Quattro anni dopo, il galeone Girona della marina spagnola affondò a causa di una tempesta nelle acque davanti al castello. I MacDonnell si impadronirono del cannone dell'imbarcazione e vendettero il carico recuperato dal mare per pagare la ristrutturazione del castello. La struttura è stata assediata più volte lungo il corso della storia, come nel 1584, quando la regina Elisabetta voleva arrestare Sorley Boy MacDonnell, capo clan scozzese che lo abitò nel 1500. Durante questo periodo furono costruiti degli edifici della terraferma che formarono un piccolo paese. Nel 1641 fu la volta dell’esercito irlandese che distrusse il villaggio di Dunluce ma, fortunatamente, non il castello.
    Nel 1642 anche il Generale Munro in compagnia di un migliaio di soldati ha saccheggiato il Dunluce Castle. E nonostante l’incendio che nel 1641, devastò il villaggio di Dunluce, sono ancora visibili pezzi delle antiche mura. Nelle vicinanze della fortezza, si trovano delle rovine dell’antica chiesa di St. Cuthbert, che prende il nome da un monaco della Northumbrian e il – possibile – luogo di sepoltura di marinai e nobili dell’Armada spagnola. Recenti indagini archeologiche stanno cominciando a portare alla luce Dunluce Town, rivelando splendidi resti archeologici di strade acciottolate e case di mercanti. Dunluce sarà la dimora dei conti di Antrim fino all'impoverimento della famiglia MacDonnell, che raggiunse il suo culmine nel 1690, come conseguenza della Battaglia di Boyne. Durante il dominio dei MacDonnell, parte della cucina del castello collassò in mare. Secondo una leggenda, solo uno sguattero presente nella stanza sopravvisse all'incidente, in quanto l'angolo della stanza in cui era seduto fu l'unico a non crollare in acqua. La moglie del proprietario si rifiutò di vivere ancora nella struttura e da quel momento il castello fu abbandonato e molte sue parti vennero saccheggiate per poter costruire altri edifici nelle vicinanze.
    Il Dunluce Castle è stato donato al governo dell’Irlanda del Nord dal Conte di Antrim nel 1928, per essere conservato come monumento nazionale.

    (Gabry)





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    foto:1.staticflickr.com


    La musica del cuore


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    foto:gliamantideilibri.it


    I Grandi Cantautori Italiani



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    foto:asterischi.it


    Sergio Endrigo


    Sono nato a Pola il 15 giugno 1933 a mezzogiorno in punto da Romeo Endrigo e da Claudia Smareglia.
    Pola era il capoluogo dell’Istria: nel 1947 è stata assegnata alla Jugoslavia e adesso è in Croazia.
    Mio padre Romeo era figlio di uno scalpellino che aveva la sua baracca di lavoro proprio davanti al cimitero. Mio padre, assolutamente autodidatta, si dedicava anche alla pittura e divenne uno scultore molto conosciuto a Pola. Al cimitero di Pola ci sono molte sue sculture e bassorilievi in marmo. Le ho riviste nel 1963, passando per Pola, mentre mi recavo in vacanza con mia moglie a Lussinpiccolo (oggi Malilosini), dove da ragazzino ero stato ospite di mio zio. Negli uffici comunali della mia città natale e nella provincia c’erano le riproduzioni in gesso dei busti di Mussolini e di Vittorio Emanuele III scolpiti originariamente in marmo da mio padre. Inoltre era anche tenore (autodidatta): cantò dal 1922 al 1924 e con grande successo. In quegli anni si esibì al Teatro Dal Verme di Milano ne La Bohème e nella Madama Butterfly. La Scala era chiusa a causa dei bombardamenti della prima guerra mondiale, quindi il Dal Verme era il primo teatro di Milano. Mio nonno mi aveva dato un quaderno con tutti gli articoli di giornale riguardanti l’attività di mio padre come tenore. Purtroppo nei miei trasferimenti di città in città, negli anni ’50 l’ho perso. Ma un particolare lo ricordo ancora. Diceva, più o meno, che finalmente c’era un tenore che non esagerava con gli “ooooooh” e gli “aaaaaah”… Credo che quell’articolo abbia avuto una grande influenza su di me. Non ho mai amato i gigioni e il “birignao”.
    Devo dire però che praticamente io non ho potuto conoscere mio padre, perché dai tre ai sei anni fui ospite dei miei zii a Trieste, e lui morì nel 1939 quando io avevo sei anni.
    La mia vocazione di cantante la scoprii a circa dieci anni. Io abitavo con mia madre in una soffitta al quarto piano; sotto casa nostra c’era un’osteria ed ogni tanto lei mi incaricava di andarvi a comprare un po’ di vino. Il padrone dell’osteria era soprannominato Bepi Mustaccia perché aveva due grandi baffi alla Francesco Giuseppe. A mezzogiorno c’erano operai e manovali che mangiavano salumi avvolti nella carta oleata ed il Mustaccia, per intrattenerli, mi sollevava di peso, mi metteva in piedi su un tavolo ed io cantavo La Donna È Mobile. Quando finivo di cantare tra gli applausi il padrone mi regalava un paio di lire. A me sembravano proprio tante perché allora si andava al cinema con …settanta centesimi....
    ...Nel 1959 entrai a far parte del complesso di Riccardo Rauchi. Io ero il suo cantante e suonavo il contrabbasso; con la sua formazione ho inciso una mezza dozzina di dischi per l’etichetta La Voce del Padrone (sebbene il mio nome non comparisse mai nelle note di copertina).
    Decisi quindi di abbandonare il lavoro di cantante di night per tentare la carta discografica come solista. Ero stufo di fare il night-club, anche se mi ero molto divertito, perché nell’Italia bacchettona di allora il night-club era un’oasi di spensieratezza, di whisky, di donne, di ballerine. Sono stato anche a Beirut per sette mesi, però quando sono arrivato all’età di ventisei anni mi sono visto a sessant’anni ancora con il contrabbasso in mano a cantare My Funny Valentine, e la cosa non mi entusiasmava molto. Non c’era nessuna possibilità di carriera. Sì, stavo bene, guadagnavo bene, mi divertivo, ma non c’era futuro. E allora mi sono detto: “Provo la carta discografica come cantante oppure emigro in Australia, in Canada, vado a lavorare, cambio tutto”. E così tramite Mario Minasi, che era il mio impresario di allora, firmai un contratto come cantante con la Ricordi. Era il 1960. Feci il provino con il Maestro Giampiero Boneschi, cantai Le Tue Mani di Pino Spotti, e Boneschi diede il suo parere favorevole. Fu Nanni Ricordi insieme a Franco Crepax a creare il reparto di musica leggera. Avevano portato in sala d’incisione Paoli, Tenco, Gaber, Jannacci, Bindi, c’erano Gianfranco e Giampiero Reverberi come arrangiatori, c’era il gruppo che ci accompagnava in studio, I Cavalieri della Tavola Rotonda, perché Tavola Rotonda si chiamava una sottoetichetta della Ricordi dove incidevano molti di noi. C’era insomma un nutrito scambio di idee tra tutti noi. Dopo aver firmato il contratto, Nanni Ricordi mi chiese a bruciapelo: “Ma lei (ci davamo del lei allora) non scrive canzoni?”. Ed io gli risposi di no. Poi sono tornato a casa, ho preso la chitarra ed ho scritto Bolle Di Sapone, la mia prima canzone in assoluto, e subito dopo le altre, I Tuoi Vent’Anni, La Brava Gente e Chiedi Al Tuo Cuore. Quindi…grazie, grazie tante Nanni! Questi quattro pezzi uscirono tutti con la firma Calibi-Toang perché io non ero ancora iscritto alla SIAE. Calibi era lo pseudonimo di Mariano Rapetti, il padre di Mogol, mentre Toang era lo pseudonimo di Renato Angiolini, un musicista che lavorava per la Ricordi. ..

    fonte: sergioendrigo.it






    Adesso sì


    Adesso si
    Adesso che tu vai lontano
    Sono acqua chiara
    Le nostre lacrime
    E non servono più
    Adesso è tardi
    Per ritrovare le parole
    Che tante volte
    Volevo dirti
    E non ho trovato mai
    Senza di me
    Tu partirai per altri mondi
    Ti perderai
    Tra gente e strade sconosciute
    Non ci sarò
    Quando qualcuno mi ruberà
    Gli occhi tuoi
    Adesso si
    Adesso che tu vai lontano
    Il mio pensiero
    Ti seguirà
    Sarò con te
    Dove andrai
    Dove sei


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Doping: Tas, a Kostner 21 mesi ma scadono 31 dicembre.

    Atleta ammette "bugia" del 2012 per farsi retrodatare stop. La squalifica di Carolina Kostner si concluderà il 31 dicembre. Il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, come anticipato dall'Ansa, ha infatti appena ratificato un "consent agreement" ovvero un accordo in tal senso tra le parti (Coni, Wada e atleta). L'accordo prevede l'inasprimento della squalifica (comminata dal Tribunale nazionale antidoping all'azzurra per avere aiutato nel 2012 l'allora fidanzato Alex Schwazer a eludere un controllo) da 16 a 21 mesi, con decorrenza tuttavia retrodatata al primo aprile 2014 in quanto le "lungaggini procedurali non erano attribuibili all'atleta". In sostanza Kostner potra' tornare a gareggiare il primo gennaio e non il 16 maggio del 2016. Per ottenere questo Carolina Kostner ha dovuto pubblicamente ammettere di aver detto una bugia sul caso Schwazer.

    Kostner "dissi il falso a ispettore Wada" - Emergono particolari curiosi e inediti nel comunicato congiunto allegato al dispositivo del TAS sulla vicenda Kostner. Nel "consent agreement", cioè l'accordo tra le parti, è stato inserito come allegato 2 un comunicato stampa congiunto al termine di una lunga trattativa che è stata praticabile solo di fronte all'esplicita ammissione di colpa dell'atleta:"Il 30 luglio 2012 riferii falsamente all'ispettore antidoping che Schwazer non era in casa". La pattinatrice ammette di aver "commesso un grave errore di giudizio non riferendo la verità all'addetto ai controlli" e riconosce che tale "condotta rappresentava una violazione delle norme antidoping italiane".
    (Ansa)




    < Ciclismo, Giro 2016 dall'Olanda a Torino. Nibali: 'Attenti alle Dolomiti, lì si vince o si perde'.
    Due sconfinamenti, tre cronometro e 5 tappe di alta montagna. MILANO - Il Giro d'Italia 2016 partirà venerdì 6 maggio, da Apeldoorn (Olanda), e si concluderà il 29, a Torino. La 99/a corsa rosa conta 21 tappe, per 3.383 km totali: due sconfinamenti (oltre all'Olanda, anche in Francia), tre crono individuali e cinque tappe di alta montagna. Dopo la 'tre giorni' in Olanda, il Giro ripartirà dalla Calabria. Presentata oggi all'Expo di Milano, la corsa rosa di Rcs Sport-La Gazzetta dello Sport muoverà i primi passi nella regione del Gelderland, in Olanda, con una crono individuale di 9,8 km ad Apeldoorn: la prima tappa scatterà dall'interno del celebre velodromo. A seguire altre due frazioni in terra olandese, da dove il Giro partirà per la terza volta nella storia (l'ultima nel 2010). Catanzaro è il punto più a sud dello Stivale: dalla città calabrese, il 10 maggio, la corsa ripartirà per puntare verso Torino. Quest'anno tornerà il Colle dell'Agnello che, con i suoi 2.744 metri d'altezza, sarà la 'Cima Coppi' della 99/a edizione. La mitica montagna verrà scalata nel corso della 19/a tappa, da Pinerolo a Risoul (Francia), il 27 maggio. La 18/a e anche la 19/a tappa sconfineranno in Francia. La 13/a frazione, in programma il 20 maggio da Palmanova a Cividale del Friuli, ricorderà il terremoto del 1976.

    Prima del 2016 è partito 11 volte dall'estero - Prima del battesimo olandese del Giro d'Italia 2015 erano state 11 le partenze della corsa rosa dall'estero. Nel 1965: Repubblica di San Marino (con vittoria finale di Vittorio Adorni); 1966: Principato di Monaco (Gianni Motta); 1973: Verviers (Eddy Merckx); 1974: Città del Vaticano (Eddy Merckx); 1996: Atene (Pavel Tonkov); 1998: Nizza (Marco Pantani); 2002: Groeningen (Paolo Savoldelli); 2006: Seraing-Liegi (Ivan Basso); 2010: Amsterdam (Ivan Basso); 2012: Herning (Ryder Hesjedal); 2014: Belfast (Nairo Quintana). L'arrivo finale a Torino non è novità assoluta: il Giro d'Italia si concluse nel capoluogo piemontese già nel 1982, quando vinse il francese Bernard Hinault, in trionfo dopo la Pinerolo-Torino.

    Vegni, nel 2016 percorso difficile ed equilibrato - "Abbiamo voluto ricalcare l'avvio del Giro d'Italia 2015, inserendo un arrivo in salita nella 6/a tappa. Una scelta importante, che serve per dare uno scossone alla gara. Il percorso dell'anno prossimo è difficile, ma equilibrato: il Giro che deve essere affrontato con intensità fin dalla prima tappa, perché non permette distrazioni". Così il direttore del Giro d'Italia, Mauro Vegni, definisce il percorso della 99/a edizione della corsa rosa, che è stata presentata oggi all'Expo di Milano. "E' un Giro difficile - aggiunge Vegni - abbiamo cercato di venire incontro il più possibile ai corridori. E' forse il Giro con il minor numero di trasferimenti, siamo in controtendenza con quello che accade negli altri giri".

    3383 km tra crono e salite, ecco le 21 tappe - Il Giro d'Italia 2016 di ciclismo prenderà il via di venerdì e non di sabato, come di consueto: appuntamento il 6 maggio, in Olanda, nella regione del Gelderland, con la cronometro individuale di 9,8 km ad Apeldoorn. La partenza avverrà all'interno del celebre velodromo. La 99/a corsa rosa si concluderà a Torino, dopo 3.383 chilometri (161,1 di media per ciascuna tappa) e 42.200 metri complessivi di dislivello. Ma soprattutto dopo 21 tappe, che prevedono tre cronometro individuali, sei arrivi per velocisti, sette frazioni di media montagna, delle quali due con arrivo in salita, cinque di alta montagna (tre con arrivo in salita). - 1/a tappa venerdì 6 maggio: Apeldoorn (Olanda), km 9,8, cronometro individuale. - 2/a tappa sabato 7 maggio: Arnhem-Nijmegen (Olanda), km 190 km, pianeggiante. - 3/a tappa domenica 8 maggio: Nijmegen-Arnhem (Olanda), km 189, pianeggiante. Lunedì 9 maggio: riposo. - 4/a tappa martedì 10 maggio: Catanzaro-Praia a Mare, km 191, pianeggiante. - 5/a tappa mercoledì 11 maggio: Praia a Mare-Benevento, km 233, media montagna. - 6/a tappa giovedì 12 maggio: Ponte-Roccaraso (Aremogna), km 165, alta montagna. - 7/a tappa venerdì 13 maggio: Sulmona-Foligno, km 210, media montagna. - 8/a tappa sabato 14 maggio: Foligno-Arezzo, km 169, media montagna. - 9/a tappa domenica 15 maggio: Radda in Chianti-Greve in Chianti, km 40,4, cronometro individuale. Lunedì 16 maggio: riposo. - 10/a tappa martedì 17 maggio: Campi Bisenzio-Sestola, km 216, media montagna. - 11/a tappa mercoledì 18 maggio: Modena-Asolo, km 212, media montagna. - 12/a tappa giovedì 19 maggio: Noale-Bibione, km 168, pianeggiante. - 13/a tappa venerdì 20 maggio: Palmanova-Cividale del Friuli, km 161, alta montagna. - 14/a tappa sabato 21 maggio: Alpago (Farra)-Corvara, km 210, alta montagna. - 15/a tappa domenica 22 maggio: Castelrotto-Alpe di Siusi, km 10,8, cronoscalata. Lunedì 23 maggio: riposo. - 16/a tappa martedì 24 maggio: Bressanone-Andalo, km 133, media montagna. - 17/a tappa mercoledì 25 maggio: Molveno-Cassano d'Adda, km 196, pianeggiante. - 18/a tappa giovedì 26 maggio: Muggiò-Pinerolo, km 234, media montagna. - 19/a tappa venerdì 27 maggio: Pinerolo-Risoul (Francia), km 161, alta montagna. - 20/a tappa sabato 28 maggio: Guillestre (Francia)-Sant'Anna di Vinadio, km 134, alta montagna. - 21/a tappa domenica 29 maggio: Cuneo-Torino, km 150, pianeggiante.

    Nibali "attenti alle Dolomiti, lì si vince o si perde" - "A dire il vero non c'è una tappa che può decidere il Giro d'Italia del 2016: bisognerà tenere un'andatura regolare per tutta la durata della corsa. Potranno decidere molto due delle tre cronometro e anche la tappa del Colle dell'Agnello, perché le condizioni climatiche potrebbero essere avverse quel giorno di fine maggio". E' l'analisi che fa l'ultimo vincitore del Giro d'Italia, lo spagnolo Alberto Contador, della prossima corsa rosa. Il capitano della Tinkoff-Saxo non dovrebbe partecipare alla corsa a tappe di Rcs Sport-La Gazzetta dello Sport, ma non sono esclusi colpi di scena. Il percorso del 2016, infatti, piacerebbe molto allo spagnolo, che può sempre tornare sui propri passi e iscriversi. "Una tappa importante mi sembra quella delle Dolomiti, con ben sei colli da scalare, fra cui il Giau e il Campolongo. Nel finale si può fare la differenza: quel giorno si possono perdere o guadagnare secondi, oppure minuti. Dipende", ha aggiunto Vincenzo Nibali, che il Giro d'Italia se lo aggiudicò nel 2013 e che l'anno prossimo - salvo clamorosi ripensamenti - sarà al via per cercare il bis. Nel corso della presentazione odierna è stato premiato Ivan Basso, che si è ritirato dal Tour de France nello scorso luglio a causa di un tumore al testicolo: il corridore nato a Gallarate, che in seguito è stato operato con successo, è stato premiato per i due Giri d'Italia vinti nel 2006 e nel 2010. Oggi Basso ha annunciato il proprio ritiro dall'attività agonistica: resterà nel ciclismo, ricoprendo però altri incarichi nella Tinkoff-Saxo, la formazione russa di proprietà del magnate Oleg Tinkoff e capitanata dallo spagnolo Alberto Contador, della quale fa parte anche il campione del mondo Peter Sagan.
    (Ansa)




    Al via la Coppa del mondo di rugby, tutti contro gli All Blacks.
    Venti nazioni, 13 stadi: numeri-show. Sei settimane di rugby, 48 partite in 13 stadi già tutti esauriti, 20 nazionali divise in quattro gironi, uno spettacolo globale capace di generare più di tre miliardi di sterline. Inizia nel tempio di Twickenham, con l'esordio dei padroni di casa inglesi contro Fiji, l'ottava edizione della Coppa del Mondo di rugby. Il terzo evento sportivo più seguito, dopo le Olimpiadi e i mondiali di calcio, dall'alto di una audience prevista che sfiora gli 800 milioni di telespettatori disseminati in 209 nazioni al mondo.

    Già venduti in prevendita oltre 2,25 milioni di biglietti (95% dei tagliandi disponibili), a conferma dell'enorme attesa che si respira nelle 10 città inglesi (ma si gioca anche a Cardiff), dove sono attesi oltre mezzo milione di tifosi stranieri. Favorita d'obbligo, la Nuova Zelanda, detentrice della William Webb Ellis Cup (vinta quattro anni fa ad Aukland, in finale contro la Francia), nonché dominatrice nel ranking mondiale. La nazionale da battere, secondo i bookies locali e l'unanime giudizio degli esperti. Un pronostico convalidato anche dalle 24 vittorie in altrettanti incontri nei precedenti gironi eliminatori, che per la Nuova Zelanda cominciano contro l'Argentina. Sono due le corone mondiali per gli All Blacks (la prima nel 1987), ma sempre conquistate nei mondiali di casa. Due come i trionfi iridati di Australia e Sudafrica.

    L'egemonia dell'emisfero sud è stata violata una sola volta dall'Inghilterra, nella finale 2003 di Sydney contro l'Australia. L'Italia è sbarcata in Inghilterra nella sfiducia generale di un'ambiente lacerato da polemiche interne e scadenti risultati. Sabato sera, nell'esordio contro la Francia, dovrà anche fare a meno del suo capitano Sergio Parisse. Un'assenza pesantissima per una squadra fragile, reduce da un Sei Nazioni negativo, che non è mai riuscita a qualificarsi ai quarti di finale in sette partecipazioni. L'edizione migliore, ma sfortunata, resta la prima (1987), quando solo la differenza mete aveva negato il passaggio del turno, premiando Fiji. La peggiore, quella alla vigilia del debutto nel Sei Nazioni: nel 1999, tre sconfitte su tre per gli Azzurri. Il rischio che il mondiale italiano finisca dopo una sola partita è concreto: in caso di sconfitta contro la Francia, tre volte finalista nella Coppa del Mondo, agli Azzurri non resterebbe che battere l'Irlanda per qualificarsi nella Pool D (vincendo ovviamente anche le altre partite contro Canada e Romania). Un risultato - almeno sulla carta - fuori dalla portata della squadra di Jacques Brunel, che lascerà dopo la spedizione in Inghilterra.
    (Ansa)

    (Gina)



    BALLIAMO!!!




    Danza indiana


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    La danza classica indiana che oggi si può vedere sui palcoscenici di tutto il mondo, è una disciplina molto antica che una volta faceva parte dei rituali del tempio, per questo era considerata di buon auspicio. Essendo apprezzata come una delle danze più complete (perché comprende anche un lavoro teatrale unico), costituisce un valido supporto alla crescita dei bambini fornendo loro l’opportunità di fare sano movimento, con un lavoro che coinvolge tutte le parti del corpo, che stimola la fantasia del bambino attraverso l’utilizzo delle storie narrate nella danza stessa e che porta, grazie al fondamentale ruolo del ritmo, allo sviluppo dell’ascolto musicale. Nel corso degli incontri si sperimenteranno i passi base, i ritmi, il linguaggio delle mani, i movimenti degli occhi e le espressioni del volto.
    Per gli adulti invece, oltre ai benefici del lavoro sul corpo, si tratta anche di intraprendere un viaggio all’interno di una cultura antica, lontana e particolarmente affascinante.



    Introduzione al Bharata Natyam
    danza-indianaAppartenente ai sette stili principali di danza classica Indiana, il Bharata Natyam, è considerato la forma di danza classica più antica del mondo. La prima citazione ufficiale viene infatti individuata in un testo che risale a più di 2500 anni fa. Con origini quindi che si perdono e si fondono con la Storia, la raffinata e sofisticata arte del Bharata Natyam sopravvive al giorno d’oggi grazie ad un intrinseco senso di bellezza unltraterrena e di stupefacente dinamismo.
    Il Bharata Natyam detiene un’intima connessione con gli antichi bassorilievi e le sculture che per secoli hanno ornato i templi dell’India meridionale, con la pittura e con gli antichi testi sacri, un vincolo quindi che pur assegnandole notevole autorità, non ha mai ostacolato l’evolversi creativo che la danza richiede.
    Il Bharata Natyam abbraccia i concetti più astratti ed evoluti esplorati dal pensiero umano, principi illustrati dalla poesia, adornati dalla melodia ed incorniciati dal perimetro del ritmo. Visivamente questo stile racchiude la staticità ieratica della geometria sacra contenuta nelle linee stilizzate e nei volumi sensuali sapientemente combinati nelle sculture che ancora oggi possono essere ammirati all’interno dei templi dello Stato meridionale del Tamil Nadu. L’origine stessa della danza infatti sboccia nel perimetro sacro del tempio, dove la casta delle devadasi, ancelle degli dèi, offriva la propia arte, la danza, il canto, la musica e la devozione, come servizio quotidiano alla divinità.

    Al giorno d’oggi il Bharata Natyam ha lasciato il recinto del tempio per il palcoscenico dei teatri dell’India e del mondo intero, diffondendo così attraverso il tintinnìo delle cavigliere questa forma d’arte antichissima ma al tempo stesso sempre attuale.
    La gioia che illumina il volto della danzatrice, ciò che negli Shastras viene descritto come Paramananda, emerge dall’intima relazione con il divino a cui ogni danzatrice aspira. L’origine della bellezza del Bharata Natyam risiede nell’abilità di creare un canale, metaforicamente simile a un cavo elettrico, attraverso il quale l’emozione può scorrere e raggiungere coloro che, anche se sconosciuti, assaporano attraverso la danzatrice l’unione immortale e indistruttibile che intercorre tra Brahman e Atman, l’anima universale e l’essenza individuale di ogni essere umano. Anche quando eseguita senza un pubblico, la danza riesce a liberare il corpo, le mente e lo spirito dai turbamenti e dalle ansie della vita quotidiana per innalzare la coscienza dalle illusioni del mondo e riportala alla pace del divino.

    Lo Studio del Bharata Natyam
    Il termine Bharata racchiude già in sè l’essenza di questa forma d’arte.Suddividendo la parola in tre parti si ottengo le sillabe Bha, Ra e Ta, che a loro volta formano le espressioni Bhava, Raga e Tala, rispettivamente l’espressività e le emozioni, la melodia e i ritmo. La danzatrice di Bharata Natyam deve saper combinare questi treprincipi alla perfezione. Per raggiungere tale finalità occorrono anni di seria dedizione, disciplina ed enorme passione.





    FONTE:http://www.yogamilano.it/


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    DAGLI IMPRESSIONISTI A PICASSO.

    I CAPOLAVORI DEL DETROIT INSTITUTE OF ARTS


    dal 25 settembre 2015 al 10 aprile 2016


    Nel 1880, uno dei fondatori del Metropolitan Museum spronava i suoi connazionali americani a “convertire la carne di maiale in porcellane, il grano e i derivati in ceramiche preziose, le pietre grezze in sculture in marmo, le partecipazioni alle linee ferroviarie e i proventi dell’industria estrattiva nelle gloriose tele dei maestri più importanti del mondo”.
    Nasce la straordinaria avventura culturale e imprenditoriale del collezionismo statunitense: un inimitabile scambio tra pubblico e privato, uno scenario del tutto nuovo per il mercato dell’arte internazionale, che porta alla creazione e al rapido sviluppo di grandi musei, considerati strategici per la crescita culturale dell’interna nazione.
    Con tipico spirito americano, nel giro di pochi decenni, a cavallo del Novecento, si assiste a una vera e propria competizione per la formazione delle raccolte più complete, per l’acquisizione di opere-chiave, per la scoperta e la valorizzazione di artisti antichi e moderni. La scintillante Parigi della Belle Époque è il punto di riferimento principale, ma i collezionisti, i galleristi, gli antiquari, le case d’aste, i direttori dei musei americani sono impegnati in una continua corsa sostenuta non solo da ingenti risorse economiche, ma anche da un gusto aperto, libero da pregiudizi. E’ noto, ad esempio, che pittori come gli impressionisti o lo stesso Matisse sono stati apprezzati e acquistati prima da collezionisti americani (e russi), e solo in seguito apprezzati anche in Europa!
    Detroit è una delle capitali economiche degli Stati Uniti, storico centro dell’ industria automo-
    bilistica, tanto da essere sopran-
    nominata “Motor City”: il Detroit Institute of Arts, fondato nel 1885 e più volte ampliato e rinnovato nel corso dei suoi 130 anni di storia, è da sempre l’epicentro della gloria cittadina, in particolare quando, negli anni del boom economico, le fabbriche cittadine rappresentavano la locomotiva dell’industria americana. Già nei primi decenni del ‘900 il museo di Detroit era considerato l’avamposto e la principale via di accesso delle avanguardie europee negli Stati Uniti.
    Oltre a poter contare sulle solide basi del mecenatismo degli industriali, il museo ha potuto contare su una risorsa che lo contraddistingue rispetto ai musei sorti in altre città degli Stati Uniti. Per oltre vent’anni (1924-1945), il Detroit Institute of Arts è stato diretto dallo storico dell’arte tedesco William Valentiner. Grazie a lui, il museo si è aperto a nuovi orizzonti: il gusto e l’esperienza di Valentiner porta a Detroit i primi Van Gogh e Matisse esposti nei musei americani, e la competenza specifica sull’espressionismo tedesco, perfino l’amicizia personale con alcuni artisti, consente scelte di altissimo livello anche in questo campo. Sotto la direzione di Valentiner, il museo ha radicalmente rinnovato la propria sede, e, nel 1937, è stato anche decorato in modo superbo da un ciclo di dipinti murali di Diego Rivera. Un’altra figura di straordinaria importanza è quella di Robert H. Tannahill, che ha lasciato numerose opere d’arte (metà dei dipinti esposti in mostra appartengono alla sua donazione) e un ingente fondo per il costante accrescimento delle collezioni. Grazie alla convergenza tra il mecenatismo dei privati, fra cui va ricordata anche la famiglia Ford, e la lungimirante direzione, il Detroit Insitute of Arts è dunque saldamente collocato tra i massimi musei degli Stati Uniti.
    Le opere che saranno a lungo esposte nello splendido Appartamento del Doge ripercorrono il tragitto all’inverso che da Detroit porta al Vecchio Continente. La ricchezza della collezione di arte europea tra XIXX e XX secolo è data dalla sua completezza e dalla molteplicità dei linguaggi: un dialogo che coinvolge Van Gogh, Matisse, Monet, Modigliani, Degas, Monet, Manet, Courbet, Otto Dix, Degas, Picasso, Gauguin, Kandinsky, Cézanne, Renoir. Per la presenza di tutti i protagonisti, e per l’importanza delle opere, è possibile tracciare l’intera vicenda dell’arte europea dall’impressionismo alle avanguardie.
    Il percorso della mostra è costantemente accompagnato da supporti didattici che inseriscono dipinti, artisti e movimenti nella dinamica storica di cinquanta anni densi di capolavori, organizzati secondo un criterio cronologico.
    Si comincia con la grande sala in cui si racconta la nascita del movimento, dell’idea che ha cambiato per sempre la storia della pittura: l’impressionismo.
    La volontà di aprirsi alla luce libera della natura è una conquista che passa attraverso il realismo intenso di Courbet (Bagnante addormentata presso un ruscello) e le opere piacevolmente narrative di pittori “alla moda” come Gervex e Carolus-Durand, per approdare alla gloria del colore di un capolavoro di Monet, i radiosi Gladioli databili intorno al 1876. Altrettanto significativo è il luminoso Sentiero di Camille Pissarro, che costituisce un autonomo, libero sviluppo dell’impressionismo, riflesso in un ampio paesaggio di campagna. Significativa è la presenza di tre opere affascinanti di Renoir, a cominciare dalla Donna in poltrona che coincide con la prima mostra dell’Impressionismo (1874), per giungere a due opere della tarda maturità, ormai dopo la svolta dell’anno 1900.
    Uno spazio autonomo, quasi una vera “mostra nella mostra”, è dedicato alla figura di Edgar Degas, di cui sono presenti cinque tele, in cui sono sviluppati tutti i temi fondamentali del grande pittore parigino: il ritratto, i cavalli, le inconfondibili ballerine. In ciascuna di queste tele si riconosce la grande perspicacia del disegno, con cui Degas fissa espressioni, gesti, sentimenti, con un percorso che è parallelo a quello degli impressionisti, ma anche di una grande, nobile autonomia.
    Segue, subito dopo, un altro spazio monografico, quello che raccoglie quattro straordinari dipinti di Paul Cézanne. Anche in questo caso, le collezioni del museo di Detroit comprendono tutti i campi di ricerca del pittore: la figura umana, il paesaggio provenzale nei dintorni di Aix (con una delle ultime versioni della prediletta Montagna Sainte Victoire), la natura morta, le Bagnanti nel bosco. All’opposto di Van Gogh, Cézanne non si lascia travolgere dai sentimenti, ma ritorna più volte sugli stessi soggetti, indagandone con pazienza la forma, e combinando il colore luminoso degli impressionisti con una rigorosa logica geometrica ben radicata nella tradizione.
    La sala più grande della mostra affronta uno dei temi più delicati e significativo dell’arte di fine Ottocento: il superamento dell’impressionismo, e l’aprirsi di nuovi orizzonti. La figura-chiave è quella di Vincent Van Gogh, che trasferendosi in Francia “scopre” la luce, e rispecchia una vicenda umana esaltante ma terribilmente sofferta in pennellate cariche di materia e di espressione. La Riva della Oise ad Auvers, del 1890, è un capolavoro che si impone per la esplosiva carica del colore, ma anche per le dimensioni significative. Indimenticabile è poi l’Autoritratto con il cappello di paglia (1887), un’esplosione di colore e di emozione, ma anche un primato assoluto: questa è la prima opera di Van Gogh esposta in un museo degli Stati Uniti. Immediato e molto intenso è il confronto con l’Autoritratto di Paul Gauguin (1893), meditabondo e un po’ sornione.
    Alle dinamiche del postimpressionismo partecipano Pierre Bonnard, con l’incantevole Donna con un cane, e l’originalissimo Odilon Redon, la cui Evocazione di farfalle è uno dei dipinti più suggestivi e sorprendenti di tutta la mostra.
    All’aprirsi del Novecento, Parigi si conferma il centro delle arti e della cultura. I pittori internazionali convergono sulle due leggere alture di Montmartre e di Montparnasse, alle estremità opposte rispetto al centro della Ville Lumiére. Prendono corpo gruppi e avanguardie, ma nel suo insieme si parla di una École de Paris, la “scuola parigina”. Uno dei massimi protagonisti è Henri Matisse, qui presente con tre opere memorabili, fra cui l’indimenticabile Finestra (1916), in cui un classico interno borghese viene scomposto in una serie di forme, tra la penombra e la piena luce. Appassionante è il dialogo con i tre ritratti (uno femminile e due maschili) di Amedeo Modigliani, il raffinato livornese, maestro indiscusso della linea, capace di evocare sentimenti segreti, con una intensità struggente. Le tele dei francesi Dufy e Rouault e del bielorusso Soutine confermano la spiccata internazionalità del contesto artistico parigino nei primi due decenni del XX secolo.
    Il gruppo di capolavori delle avanguardie tedesche presenti a Detroit è senza paragoni nei musei nordamericani. Questa parte della mostra è quasi fisicamente dominata dall’Autoritratto di un ancora giovanissimo Otto Dix (1912), impressionante per la fermezza grafica e l’espressione decisa. Accanto ad artisti di spiccata autonomia, come Nolde (Girasoli) e Kokoshka (davvero spettacolari le due vedute di Dresda e di Gerusalemme), troviamo i protagonisti delle diverse tendenze in cui si articola il movimento espressionista in Germania. Il “Ponte”, con gli elettrizzanti Paesaggi di Kirchner e di Schmidt Rottluff, e le figure inquiete di Heckel e Pechstein; la “Nuova oggettività” di Beckmann; e infine la svolta geniale verso l’astrattismo, carico di colore e di emozione, impressa da Kandinsky, con il precoce Studio per quadro con forma bianca, del 1913.
    La sala monografica dedicata a Pablo Picasso presenta sei tele, in un percorso che attraversa in pratica l’intera vicenda dell’arte del Novecento, dalla giovanile Testa di Arlecchino (1905) fino alla magmatica Donna seduta, dipinta nel 1960, quando Picasso era ormai alle soglie degli ottant’anni. Da un capolavoro all’altro, si seguono le svolte, gli scatti geniali, il continuo dinamismo mentale del grande pittore spagnolo. Si parte dal periodo blu, ancora legato alle lezioni accademiche, e con il Ritratto di Manuel Pallarés (1909) ci si ritrova sulle soglie della scomposizione cubista, una indagine sulle forme che si ispira chiaramente a Cézanne; la natura morta intitolata La bottiglia di Anìs del Mono (1915) è una evoluzione di questa ricerca, con gli oggetti disposti liberamente nello spazio, riconducibili alle sagome e alle materie essenziali. Sorprendente è il passaggio successivo, il “classicismo” dei primi anni Venti, conseguenza di un viaggio in Italia: il grande ritratto di Donna seduta in poltrona ne è un esempio di formidabile intensità e importanza. La ragazza che legge (1938) ci porta poi nel clima stilistico di Guernica (dipinta l’anno prima), con l’espressiva deformazione di visi e mani, pur senza perdere la forza intima del personaggio.
    (www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    IL BACARO




    Il bacaro, o bacaréto, è un tipo di osteria veneziana, caratte-
    rizzata da pochi posti a sedere e da un lungo bancone vetrinato contenente in cui sono esposti i prodotti in vendita. Il Bacaro, in veneto e a Venezia in particolare, è il principale luogo dove si incontrano gli amici, quelli che i veneziani chiamano i fioi (ragazzi), anche se poi metà di loro sono già nonni. Di solito si prende un’ombreta, ovvero un bicchiere di vino che viene accompagnato da qualche cicheto, una sorta di stuzzichino, di solito consumato prima di cena tra un buon bicchiere di vino rosso o bianco, o per accompagnare lo spritz, aperitivo tipico veneziano, preparato con aperol, vino bianco e selz.

    Il nome bacaro deriva dai "bacari", un termine che, a sua volta, si vorrebbe derivato da "Bacco", dio del vino. Secondo un'altra teoria, deriverebbe da "far bàcara", espressione veneziana per "festeggiare". "Bacari" era il nome attribuito, un tempo, ai vignaioli e ai vinai che venivano a Venezia con un barile di vino da vendere in Piazza San Marco insieme con dei piccoli spuntini. Un altro significato di bacaro derivare da un modo di dire diffuso tra intenditori di vino che asseriscono ‘è proprio un vino di bacche’, ovvero fatto con acini d’uva di buona qualità e quindi buono. Il bicchiere di vino che si beveva si chiamava "ómbra", perché i venditori seguivano l'ombra del campanile per proteggere il vino dal sole. Per evitare il faticoso trasporto ogni giorno, cercarono in seguito un locale stanziale, che si usava come magazzino e come mescita. I venditori si chiamavano Bacari, un termine che risale alla fine dell’Ottocento dal quale, poi, hanno preso il nome le osterie. È così che nacquero questi rappresentativi luoghi d’incontro, con l’antico fascino della semplicità e della genuinità, un luogo in cui s’incontravano nobili e gondolieri per far “do ciacole”, bere un’ombra, mangiare una “canocia”, e magari sfidarsi in una partita a carte.

    I bacari sono distribuiti più o meno in tutta Venezia. La più alta concen-
    trazione è nei sestieri di Canna-
    regio e, soprattutto, San Polo. Questi tipici locali si differen-
    ziano dalle comuni osterie per via della modalità di consumazione dei cibi, per il modo in cui questi sono presentati al pubblico, e per le dimensioni e struttura degli ambienti interni. Il bacaro, quindi, è solitamente di piccole dimensioni, con pochi posti a sedere, banconi con sgabelli simili a quelli dei bar e vetrine in cui vengono esposti i cibi. Questi, di solito, vengono acquistabili a pezzo, al fine di comporre un piatto con diversi tipi di prodotto diverso. Il bacaro viene visto sia come un esercizio di ristorazione per il pranzo, sia come luogo di aperitivo.
    Un piatto di cicchetti e due bicchieri di prosecco. Tradizionalmente non erano dei ritrovi di buona nomea o ben visti dalla gente dabbene, tant’è vero che anche oggi quando si vuol definire un bar molto scarno in quanto a mobilia o pulizia lo si definisce ‘bàcaro’.
    Alcuni bacari sono frequentati da turisti, ma ve ne sono altri, più nascosti nei piccoli vicoli, che sono frequentati da veneziani a cui piace "andar a cicheti" o fare il "giro d'ombra", cioè trovare degli amici e bere un "ombra". Il vino della casa si chiama sempre "ombra"; al bacaro non si trova solo del vino semplice ma può esservi anche una grande scelta tra vini di alta qualità. Tradizione in voga tra i pensionati, soprattutto a Cannaregio, è fare il giro dei bacari partendo dal ponte delle Guglie e arrivando fino a Santi Apostoli.

    I prodotti tipici del bacaro sono definiti "cicheti" in dialetto veneziano e spincióni a Padova, termine derivante dal latino ciccus, ovvero "piccola quantità". Si presentano con un'estrema varietà di forme: di solito sono a base di pesce, ma anche di salumi, carne, e altro, e possono essere semplici o complessi. Tra i cicheti più ricorrenti vi sono i crostini di baccalà mantecato, alici marinate, misto mare o "folpetti" in umido. Al cicheti a base di pane sono alternati quelli fritti: baccalà fritto, sarde fritte, verdure fritte ecc. I cicheti stessi si sono fatti sempre più stuzzicanti e invitanti, quasi a sostituire un pasto che si consuma in compagnia al banco, o seduti ad un tavolo di legno circondati da un clima accogliente. Degli esempi di cicheti, tra i più famosi a Venezia, sono i nervetti con cipolla, i fagioli in umido, le seppioline grigliate, i polipetti, le alici marinate, le sarde in saor, la zucca in saor, le anguille marinate, l’aringa, mezzo uovo con acciuga, i crostini di polenta con baccalà mantecato, la frittata con radicchio di Treviso, la spienza (milza) alla veneziana, le polpette e le alici fritte al momento.Le composizioni, tuttavia, sono fra le più disparate ed originali; ciò che le accomuna, però, è la praticità del cibo informale: potendo essere mangiati senza l'utilizzo di posate, non richiedono la necessità di tagliarli o di sedersi a un tavolo.

    I bàcari erano pratica-
    mente scomparsi lasciando il posto ai bar con il toast e panini.Negli ultimi anni, questi locali sono stati riscoperti e presentati in versione “aggiornata” ma rispettando le caratteristiche di un tempo. Stesso cibo e stesse tradizioni culinarie, ma certamente, al giorno d’oggi i Bàcari non sono più dei posti trasandati e spartani come invece lo erano una volta. I “Cichetti” sono un vero e proprio rito gastronomico, sia per i Veneziani, giovani e meno giovani, ma spesso anche per i turisti, che con immenso piacere, scoprono un modo di mangiare e di bere alternativo al solito ristorante

    Negli ultimi anni però sono stati riscoperti e presentati in versione “aggiornata” ma rispettando le caratteristiche di un tempo. Stesso cibo e stesse tradizioni culinarie, ma certamente, al giorno d’oggi i Bàcari non sono più dei posti trasandati e spartani come invece lo erano una volta. I “Cichetti” sono un vero e proprio rito gastronomico, sia per i Veneziani, giovani e meno giovani, ma spesso anche per i turisti, che con immenso piacere, scoprono un modo di mangiare e di bere alternativo al solito ristorante.
    Andar per Bàcari, è diventata una piacevole consuetudine e un simpatico modo per fare del turismo enogastronomico assaporando del buon cibo e del buon vino con la consapevolezza di essere in una città come Venezia, dove oltre ad essere conquistati dall’arte e dalle bellezze storiche si può venire anche “sedotti” dalla bontà delle sue tradizioni culinarie e gastronomiche.
    Diversi sono i Bàcari presenti a Venezia. Uno dei più famosi è il "Do Mori", un bàcaro vicino al mercato del pesce presso Rialto. Il locale esiste dal 1462 e leggenda vuole sia stato frequentato da Giacomo Casanova. Modernamente ha assunto il nome Cantina do Mori, ma mantiene la tradizione di servire ombre e "cicheti" rigorosamente in piedi.

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Perché il Teatro alla Scala si chiama così?




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    Il Teatro alla Scala di Milano prende nome dalla piazza dove è stato costruito, l’omonima piazza della Scala. Questa, a sua volta, si chiama così perché vi sorgeva, dal 1381, la chiesa di Santa Maria alla Scala. Questa chiesa prese il nome della sua committente, Beatrice Regina della Scala, discendente della potente dinastia veronese, oggi estinta, dei della Scala (era nota anche come “famiglia scaligera”).

    Un buon matrimonio
    Regina della Scala sposò nel 1345, a soli 12 anni, Bernabò Visconti, signore di Milano, e gli diede 15 figli. Quando nel 1776 Maria Teresa d’Austria ordinò la costruzione del teatro, la preesistente chiesa, di stile gotico, fu abbattuta per far posto al nuovo tempio della lirica.


    fonte:http://www.focus.it/


    (Lussy)





    salute-benessere


    Salute e benessere




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    foto:hotellacappuccina.com


    Terme di Riccione

    Riccione è la città del divertimento per eccellenza, con il suoi 140 stabilimenti balneari, i locali e le discoteche tra i più rinomati d’Europa e un’accoglienza che non ha eguali in Italia. Da diversi anni, però, la cittadina romagnola è diventata anche un ricercato luogo di benessere, grazie alla ricchezza di risorse termali le cui proprietà benefiche possono essere apprezzate non solo in un moderno stabilimento ma anche sulla spiaggia, a contatto con il sole e con la sabbia.



    Un po’ di storia

    Come per la maggior parte delle terme italiane, anche quelle di Riccione furono sfruttate dai romani o meglio dai loro cavalli, condotti fin lì dai soldati per ritemprarli dopo lunghi tragitti o battaglie. Ciò accadeva qualche decennio prima dell’Era Cristiana mentre nel III secolo d.c. alcuni testi segnalano la presenza di Diocleziano, primo di una lunga serie di personaggi eccellenti che vollero saggiare le virtù delle risorse termali di Riccione. Nel 1657 si curò qui, ad esempio, la Regina Cristina di Svezia, approfittando di una visita ai Signori di Riccione al Castello degli Agolanti. Ma per tornare ai tempi dei romani va segnalata la scoperta di una lapide in una cappella votiva non lontano da una fonte termale che recita: “Viator siste gradum – ab aqua decorata miraculis habebis” ovvero “Sarai guarito, viandante, se ti fermerai e berrai da quest’acqua miracolosa.”
    Le prime analisi delle acque di Riccione furono eseguite nel 1890 dal Conte Felice Pullè, primo Direttore Sanitario dell’ospedale Ceccarini della città romagnola ma pur avendo dimostrato l’efficacia dell’acqua ricca di sali minerali nella cura delle insufficienze epatiche, ciò non incoraggiò ancora la creazione di una struttura termale funzionale che nacque invece diversi anni dopo e in un primo tempo limitata alla semplice somministrazione dell’acqua. Il vero sviluppo del centro termale, quindi, risale solo agli anni ’80, nei quali si sono anche intensificati gli studi sulle acque e sui suoi benefici, coinvolgendo alcuni dei maggiori atenei italiani e anche l’Università di Parigi.


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    foto:benessere.com


    Le acque

    L’acqua delle terme di Riccione è di tipo sulfureo-salso-bromo-iodica e sgorga da quattro differenti fonti, ciascuna con diverse caratteristiche cui corrispondono diverse proprietà curative. Le acque della Fonte Adriana, ad esempio, è magnesiaca ed altamente mineralizzata, ciò che la rende particolarmente efficace contro le forme allergiche ed affezioni cutanee oltre che per le idrokinesiterapie per il suo elevato grado di salinità.
    Quelle della Fonte Celestina possiede invece è un’acqua leggera con una componente clorurata sodica ed ha dimostrato un’alta azione depurativa, rinfrescante e tonificante sull’organismo. L’acqua della Fonte Claudia-Riccione possiede, tra le quattro, la maggiore azione purgativa ed è indicata in maniera specifica nelle malattie del fegato e delle vie biliari, nel trattamento delle patologie croniche e recidivanti dell’apparato respiratorio e dell’apparato locomotore. L’acqua della Fonte Isabella, infine, presenta una elevata concentrazione salina e viene utilizzata per tutte le forme allergiche, eruzioni cutanee, eczemi, acne giovanili e foruncolosi. Il fango utilizzato a Riccione Terme è composto di argille di origine marina (montmorillonite, illite, caolinite) estratte nella cava Tausano, nel comune di S. Leo, e combinato con le acque delle quattro sorgenti


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    foto:blog.network-service.it

    Lo stabilimento termale

    Il moderno stabilimento di Riccione Terme sorge a pochi metri dal mare, circondato da 40.000mq di pineta. Vi vengono praticati trattamenti terapeutici come bagni, docce, idromassaggi, inalazioni ed irrigazioni. Uno dei trattamenti esclusivi di Riccione Terme è rappresentato dal cosiddetto fango vellutato, attivato all’infrarosso con un procedimento brevettato dal centro di ricerca scientifica dello stabilimento, in grado di ritardare l’invecchiamento della pelle.
    Più recentemente, a fianco del complesso termale, è stato allestito un centro di medicina estetica chiamato “L’Oasi” ove i trattamenti hanno sempre come base gli elementi contenuti nell’acqua e nel fango termale ma ove vengono anche praticati servizi di chirurgia estetica. L’Oasi possiede tre piscine termali, palestre ed una spiaggia privata provvista di un centro di elioterapia, fangoterapia, talassoterapia rivitalizzante, psammatoterapia (sabbiature) e attività fisica coadiuvata da insegnanti Isef. Per quanto riguarda la ricettività, essendo Riccione una delle mete turistiche più rinomate a livello europeo, presenta un’offerta vastissima; alcuni alberghi sono convenzionati con il centro termale.


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    foto:ilportaledellevacanze.it


    Turismo nei dintorni




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    foto:emmeti.it/

    Riccione e la vicina Rimini sono tra le località balneari più ricercate a livello europeo, con una tradizione di ospitalità che comprende, oltre che una perfetta organizzazione di accoglienza, anche numerose proposte ricreative, sportive e culturali, non solo stagionali. La passeggiata in riva al mare è una delle consuetudini irrinunciabili per il visitatore della località così come una puntata in una delle numerose discoteche o locali che si trovano dentro o appena fuori la città. Tuttavia anche l’entroterra offre numerosi motivi di interesse, sia sotto il profilo naturalistico che di attrazioni culturali. Alcune proposte: Coriano, che dista 8 chilometri da Riccione, è una cittadina situata tra antichi poderi ricchi di vigne ed ulivi, una base ideale per unba passeggiata nel Parco Fluviale del Fiume Merano e nella valle del Rio Melo.



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    foto:visitriminipesarourbino.it
    Coriano.- il castello

    Nei pressi di Gemmano, invece, si possono visitare le Grotte di Onferno, di notevole interesse geologico.



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    foto:paincentive.it

    Grotte di Onferno


    Ancora, valgono una visita Gradara, con la sua meravigliosa rocca, l’antichissima Montecolombo nella cui Chiesa di San Martino vi è una splendida tela settecentesca del Brancaleoni,


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    foto:static.riviera.rimini.it

    chiesa di S. Martino


    Montegridolfo con il famoso Castello Malatestiano del 1300, la Repubblica di San Marino con il suo caratteristico percorso che unisce le tre Torri poste sul punto più alto del monte,



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    foto:mondimedievali.net

    tempio Malatestiano

    il borgo di San Clemente con una Chiesa parrocchiale disegnata dall’architetto del Papa Luigi Poletti, San Leo con la rocca che fu la prigione del Conte di Cagliostro. Tutte le località ospitano regolarmente Feste tradizionali e sagre, specialmente nel periodo estivo, ove è possibile assistere a rappresentazioni in costume che ricreano atmosfere di epoche medievali e rinascimentali.
    Più distante (52 chilometri) ma assolutamente impedibile è Urbino, città natale di Raffaello Sanzio, con il Duomo edificato da Federico da Montefeltro, il Palazzo Ducale e la Galleria Nazionale delle Marche ricco di opere rinascimentali.

    foto:benessere.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    LE NUOVE ARTI....



    NICOLA TELLA



    Le sue opere che rimandano a sogni utopici e scenari travolgenti, sembrano nascere da un rapporto pacifico con il passato, che nel presente si carica di una straordinaria energia vitale. Ciò che si percepisce è una forza che affonda le ragioni nell’origine primordiale della cultura. I manoscritti antichi alla base della comunicazione, rappresentano l’oggetto eterno, incorruttibile, nonostante la materia fragile di cui sono fatti. Sono il simbolo di un sapere tradizionale tramandato di generazione in generazione che viene riutilizzato per essere sempre qualcosa di nuovo da cui ripartire.
    L’indole dell’artista si mescola a quella dell’architetto che vuole annotare le strutture del mondo in una sorta di archivio personale. Ma non sono le architetture a catturare l'attenzione di Nicola Tella, bensì gli elementi della natura che sembrano prendere forma concreta dallo sgretolamento della pagina, come se venissero fuori da antichi manoscritti di scienze naturali. Le sculture acquisiscono nuove sembianze ad ogni sguardo: simili ad esplosioni o a favolosi funghi, ad arnie di api, o a curiosi labirinti, sono dotate di potenza visionaria e plastica che ci fanno avere contatto con la sensazione dell’incalzante fluire del tempo. Niente sembra sereno nel suo osservare, ma tutto è sconvolgimento continuo che lo porta a scolpire, paradossalmente, la carta. E ancora la visione dell’architetto si mescola a quella dell’artista quando vuol piegare a nuove leggi questo materiale fragile, leggero, trasparente, rendendolo simile al più resistente dei materiali. La carta diventa la costruzione di uno spazio-sognante, ma vitale di cui si contano gli anni solo attraverso le stratificazioni, una forma mutante che si intreccia con il presente.(www.artsblog.it/)


    VESKA ABAD



    Veska Abad che crea meravigliose forme scultoree di carta, sperimen-
    tando con texture, pieghe, curve ed angolature per trasformare il materiale in oggetti surreali e decorativi. Per quanto io sia general-
    mente attratta da opere dark e malinconiche, in questo caso mi piace proprio il fatto che i lavori di Veska siano un’esplosione di colore, allegria e divertimento. Veska si definisce un’animatrice e illustratrice che ha riscoperto la gioia di creare con le mani piuttosto che con il computer. Ammiro il modo in cui sia le accurate sculture di carta che i libri di Veska siano in grado di raffigurare qualsiasi cosa, dalle labbra pop art ad un riccio di mare, un albero o una coda di pavone.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    "MAMEY SAPOTE"



    La Pouteria sapota è un albero della famiglia delle Sapotaceae, originaria dell'America Centrale e del Messico, diffusa in tutti gli Stati affacciati sui Caraibi ed anche in Florida, si è evoluta a latitudini tropicali in zone di bassa elevazione fino a 600 m e raggiunge altezze superiori ai 1000 m solo in prossimità dell'equatore. Si tratta di una pianta a crescita lenta e richiede circa cinque anni prima di fiorire e produrre frutta. Le civiltà precolombiane dell'America Centrale lo coltivavano per il suo grande frutto, che veniva chiamato chachaas o chachalhaas dai Maya e tzapotl dagli Aztechi. Nei luoghi di origine è anche chiamato "Mamey zapote", che ha il significato di zapote enorme, essendo il maggiore fra quelli del genere Pouteria, o semplicemente "zapote", termine però usato anche per altre Sapotaceae, avendo il significato di "frutto dolce" in nahuatl.
    È albero molto ornamen-
    tale, perenne, che può raggiun-
    gere un'altezza tra i 15 ed i 45 metri. Nelle coltivazioni, si propaga per innesto, una pratica che permette di trasmettere le qualità della pianta, ed inoltre l'arrivo in produzione è così più rapido. Il fusto è eretto e il legno è ricco di un lattice gommoso come tutte le altre Sapotaceae. Le foglie sono lunghe fino a 30 cm e larghe fino a 10 cm. Possono essere sempreverdi o decidue. Sono considerate velenose, ed il lattice è irritante per pelle. Il frutto ha forma Il frutto della Mamey Sapote ha la forma in genere ellittica, ma può essere anche rotondo o ovale, le dimensioni variabili da una mela fino a un pompelmo, può superare i 10 cm di larghezza e i 30 di lunghezza e pesare oltre i 2 kg. La pelle è coriacea e marrone, la polpa cremosa è di colore arancione e il frutto contiene un seme di grandi dimensioni. Il sapore è una combinazione di un albicocca e una pesca o è descritto come una zucca piccante. I frutti vengono raccolti ancora acerbi e possono richiedere diversi giorni prima che siano abbastanza morbidi da essere mangiati. Possono essere consumati come una pesca o tagliati in piccoli pezzi da aggiungere ad un’insalata o miscelati per frullati. Possono anche essere usati per preparare marmellate e gelatine. Il frutto acerbo può anche essere cotto come una verdura. Anche i semi vengono utilizzati a scopo alimentare. Sono venduti in genere decorticati, impilati in bastoni o inanellati su corde, e impiegati, mischiati al cacao nella produzione di cioccolato. In Messico si miscelano al grano arrostito o alla farina di mais con l’aggiunta di zucchero e cannella per ottenere una bevanda nutriente, il “Pozol”.
    Il frutto è ricco di vitamina C e di calcio. Nel sud di Cuba, il Mamey Sapote è usato per curare mal di testa e malattie veneree. È un frutto assai rispettato nella medicina di alcuni paesi dei Caraibi. Si utilizza perchè si ritiene che sia molto efficace nei confronti delle infermità gastrointestinali. Si utilizza talvolta come antisettico.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    OTTOBRE

    Ottobre
    Sdraiato sulla terra, là presente.
    l'infinito paese castigliano,
    che l'autunno awolgeva nell'arcano
    dorato del suo sole all'occidente.
    Lento, l'aratro, parallelamente
    la zolla apriva, e il seme con la mano
    aperta nelle viscere il villano
    gettava della terra, onestamente.
    Pensai strapparmi il cuore, e là gettarlo,
    pieno del suo soffrire alto e profondo,

    del tenero terreno nel calore,
    per vedere se, infranto, a seminarIo,
    la primavera di svelasse al mondo
    l'albero puro dell'etèrno amore.


    (Juan Ramòn Jiménez)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    Fotografia di Dennis Ramos, National Geographic

    „Il mondo attorno a me sembra schiudersi.
    In questa quiete avverto un senso di meraviglia.
    Sento che qualcosa dentro di me riconosce tutto.
    Spontaneamente.“
    (Fabio Volo)

  9. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 040 (28 Settembre – 04 Ottobre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 28 Settembre 2015
    S. VENCESLAO MARTIRE

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 40
    Giorni dall'inizio dell'anno: 271/94
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 06:04 e tramonta alle 17:57 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 06:18 e tramonta alle 18:09 (ora solare)
    Luna: 6.13 (tram.) 18.20 (lev.)
    Eclisse di luna alle ore 3.48. Luna piena alle ore 03.52.
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    È più la spesa che l'impresa
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Anche le minime occasioni di piacere che possono capitarmi, io le afferro.
    (M. de Montaigne)









    RIFLESSIONI



    ... IL TEMPO E’… GALANTUOMO …
    ... Ha i capelli lunghi e bianchi, il volto scavato e le spalle curve. Ha lo sguardo fiero, capelli ricci biondi e spalle forti. Di lui si narrano le gesta, si parla ovunque; lui è l’essenza della nostra vita perché ne scandisce lo scorrere. Tutti lo immaginano, lo rappresentano, nessuno sa di preciso come sia fatto fisicamente… tutti però ne sono inconsapevoli alleati o nemici. Egli è ovunque e comunque che ci piaccia o no, perché senza di lui nulla esisterebbe. Lo immaginano curvo su una grande ruota tirare il filo ed avvolgerlo. Silenzioso perché egli esiste nel silenzio, perché ciò che rappresenta ha esigenza di vivere nel lento o veloce ma nel silenzio. Nessuno pùò con certezza dire come esso sia fatto, perché egli è come noi lo viviamo, come noi lo accettiamo o subiamo. Un’essenza, una presenza fisica egli è tutto ed in tutto. Raccontano di un uomo partito giovane alla sua ricerca; viaggiò nei continenti, parlò col mondo intero per sapere dove egli fosse, quali fossero le sue sembianze. Vagò senza meta ignorando il peso degli anni senza riuscire a trovare ciò che stava cercando. Decise di tornare a casa convinto di aver girovagato per una vita senza aver raggiunto il suo scopo. Triste continuava a chidersi “perché non ti mostri a me? Perché ti nascondi senza mostrare mai il tuo volto?”. A pochi chilometri dal suo villaggio, vide una strana costruzione che non aveva mai visto in passato; si avvicinò timidamente. La porta era aperta, bussò e all’invito , di una voce calda ed accogliente che veniva da dentro la casa, entrò. Sentì una mano carezzare la sua spalla, curva per il peso della tracolla. “Cosa cerchi con tanta curiosità da tanti anni?”. “Cerco il Tempo!” rispose con tono deciso ma sofferente per la vana ricerca. “Non lo hai trovato? Voleve vedere il suo aspetto?” “ Si, volevo incontrarlo e vedere se le dicerie erano vere; volevo vedere cosa faceva”. La mano sulla sua spalla lo fece voltare; un grande specchio sul quale apparve il suo volto. Una lacrima scese sul suo volto; in quegli anni il suo volto era cambiato lasciando al tempo modificarne le sembianze. “Ecco, quello che vedi è il Tempo. Sul tuo volto esso ha lasciato i suoi segni, si è mostrato in quel modo. Egli non è egli esiste ovunque è dentro ogni cosa ogni persona e si mostra attraverso i suoi segni. Egli è giusto con tutti, è un galantuomo perché rende a tutti ciò che danno e fanno mostrando i segni del suo silenzioso ma ineluttabile passaggio.” L’uomo si svegliò ai piedi di una palma, aveva un naturale sorriso che aumentava ogni volta che carezzava il proprio viso toccando le sue rughe ed i segni che il Tempo gli aveva donato. Entrato nel suo paese a chiunque lo incontrava e gli chiedeva dell’esito del suo viaggio rispondeva:”Sono felice, ho incontrato il Tempo, mi ha aiutato a capire il senso del mio viaggio. Egli è un galantuomo. Egli è un vero galantuomo”. .… Buon risveglio … Buon Settembre amici miei … (Claudio)






    Ti auguro tempo
    Non ti auguro un dono qualsiasi,
    ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
    Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
    se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.
    Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
    non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
    Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
    ma tempo per essere contento.
    Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
    ti auguro tempo perché te ne resti:
    tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guadarlo sull'orologio.
    Ti auguro tempo per guardare le stelle
    e tempo per crescere, per maturare.
    Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
    Non ha più senso rimandare.
    Ti auguro tempo per trovare te stesso,
    per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
    Ti auguro tempo anche per perdonare.
    Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.
    (Elli Michler)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Autunno…

    Autunno nel bosco

    E’ tornato l’autunno nel bosco,
    con l’ultima festa
    di foglie infiammate
    di giallo e di rosso,
    con l’ultimo pallido sole,
    che languido muore.
    Son già bianche, dei monti
    nel cielo le cime;
    nell’aria è l’acuto
    profumo dei funghi,
    di dolci castagne,
    di mosto fragrante nei tini.
    (Emilio Gallicchio)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Ninna nann-a-o-e-i-u

    Ninna a, ninna a.
    Tutto il mondo ormai lo sà.
    Ninna a, ninna a.
    Un bambino adesso è qua.
    Grande amore della mamma, grande amore di papà.

    Ninna o, ninna o.
    Per un po' io canterò,
    Ninna o, ninna o.
    Ma tra un poco me ne andrò.
    Non temere angelo mio, presto sai che tornerò.

    Ninna e, ninna e.
    Dormi bene mio bebè
    Ninna e, ninna e.
    La tua mamma è qui con te.
    Il papà ora non c'è, ma vuol bene solo a te.

    Ninna i, ninna i.
    Il mio cuore è sempre qui.
    Ninna i, ninna i.
    A vegliarti notte e dì.
    Chiudi gli occhi e sognerai fino al chicchirichì.

    Ninna u, ninna u.
    Dorme il merlo ed il cucù,
    Ninna u, ninna u.
    Dorme pure il caribù.
    Bel bambino, bel bambino fai la nanna pure tu.

    (Nono Tate Venezia)



    ATTUALITA’


    Droni nel mare alla ricerca tesori del passato.

    Utili anche per monitorare stato fauna marina. Dopo i droni aerei, arrivano anche quelli archeo-subacquei. Dotati di sensori con telecamere e sonar, possono scoprire nuovi siti archeologici, documentare quelli già noti e sostituire l'uomo quando l'esplorazione subacquea è troppo pericolosa. Come quelli realizzati dall'università di Firenze, già 'prenotati' per diverse missioni, e la cui attività è stata presentata a Milano a Dronitaly al convegno 'Droni marini: regolamentazione e opportunità di impiego'.

    ''Abbiamo sviluppato tre veicoli operativi dotati di sensori, che stiamo impiegando su diversi fronti'', fa sapere Benedetto Allotta, docente di Meccanica applicata alle macchine dell'ateneo fiorentino. Prima dell'estate, per due settimane i ricercatori toscani hanno lavorato in Sicilia con i droni subacquei vicino l'isola di Levanzo, ''area ricca di reperti archeologici, dove però le correnti rendono piuttosto pericoloso il lavoro dei subacquei, mentre a fine ottobre faremo dei test in Toscana nel Golfo di Baratti alla ricerca di relitti di navi sotto la sabbia'', aggiunge Allotta. E ci sono già archeologi spagnoli che hanno chiesto di poterli impiegare alle isole Baleari.

    Con i droni subacquei è possibile sostituire l'uomo quando le condizioni sono troppo pericolose, fare ricostruzioni in 3D utili agli archeologi per capire com'è il sito, o mosaici bidimensionali per lo studio dei fondali marini. Si possono usare anche in biologia per monitorare la fauna marittima di una riserva, o in geologia, ''per controllare ad esempio la pendenza di una colata di lava in mare, che come accade nell'isola di Stromboli può provocare dei mini-tsunami. Insomma, l'utilizzo di questi apparecchi è limitato solo dalla fantasia''. E con il 70% della superficie terrestre ricoperto dalle acque, la maggior parte delle quali inesplorata, e ben 8.000 chilometri di costa solo in Italia, le applicazioni possono essere numerosissime, dal controllo di porti e piattaforme in mare alla vigilanza sulle condizioni delle acque e la ricerca di naufraghi.
    (Ansa)





    In 50mila in Darsena per 'Ndocciata.

    Un corteo di 500 fiaccole nel porto del capoluogo lombardo. Sono stati 50 mila, secondo il Comune, i milanesi e i turisti che, lungo le sponde della Darsena, hanno assistito ieri sera a una delle più suggestive tradizioni italiane, la 'Ndocciata del Comune di Agnone (Isernia). Cinquecento fiaccole infuocate, trasportate a spalla da 135 'ndocciatori, suddivisi in cinque gruppi in rappresentanza delle cinque contrade, hanno illuminato il cielo milanese nella suggestiva cornice del porto di Milano. "Il successo che ha coronato questa antica festa del Fuoco rappresentata per la prima volta a Milano, è un altro segno che la nuova Darsena è entrata nel cuore dei cittadini - ha dichiarato l'assessore al Commercio Franco D'Alfonso, presente alla fiaccolata -. Con questa grande partecipazione di pubblico abbiamo dimostrato come il porto di Milano possa essere anche il palcoscenico ideale per accogliere le più antiche tradizioni italiane nel segno di una reciproca promozione turistica e culturale. In questo momento Milano e la sua Darsena rappresentano il luogo migliore per dare il giusto risalto alle attrattive del nostro Paese". La manifestazione, che rientra nel più ampio programma di appuntamenti di ExpoinCittà, si fregia del titolo di "Ambasciatrice d'Italia nel mondo dal Ministero del Turismo" ed è stato realizzata grazie al patrocinio e all'impegno della Regione Molise, dell'Union Camere, della Provincia di Isernia, del Comune di Agnone e del Comune di Milano. A dare il via alla suggestiva sfilata di torce infuocate è stato il primo rintocco della "Campana di Expo", un'opera d'arte di ben 850 kg in bronzo, realizzata dal laboratorio della Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone e donata alla città di Milano quale simbolo di gemellaggio tra i due Comuni.
    (Ansa)





    3 anni e il telefonino. Le invenzioni tecno della Maker Faire.

    Laboratori, corsi di coding e stand, i ragazzi possono innovare con creatività. Una palestra di 3 mila mq e per una volta anzichè capriole si sperimenta la tecnologia. Dai 5 ai 16 anni, dal 16 al 18 Ottobre a Roma, alla città universitaria della Sapienza, appuntamento per gli aspiranti maker, giovani artigiani digitali, chiamati a realizzare il futuro già possibile. Torna la Maker Faire ed è (anche) roba da ragazzi! La più grande fiera dell'innovazione, con quelle di San Francisco e New York, ha un'area Kids che l'anno scorso, ha visto la partecipazione di più di 15.000 giovanissimi e quest'anno se ne aspettano anche di più. Workshop didattici, laboratori di programmazione, elettronica e robotica, tour guidati da animatori scientifici con mini laboratori per un’immersione diretta nella tecnologia in modo semplice e alla portata di tutti. E ancora, tanti stand con attività interattive e uno science corner che mostrerà come la scienza può dare spettacolo. Grandi novità di quest’anno, un’Area FabLab a misura di bambini e ragazzi e le Isole Didattiche: sette postazioni aperte in cui, accanto all’insegnamento dei linguaggi di programmazione informatica e all'educazione tecnologica e scientifica, ci sono molte attività dedicate al riciclo creativo didattico e al learning by doing, ovvero imparare facendo, imparare attraverso il fare.

    Alla Maker Faire si troveranno invenzioni strabilianti e prodotti sorprendenti del nuovo Made in Italy: biciclette intelligenti, il kit per fare l'aceto con Arduino, caratteri tipografici prodotti su misura, l’abito musicale, la cuccia domotica per i nostri amici a quattro zampe, la lampada che insegna le lingue, lo specchio interattivo con news, social network e previsioni del tempo.

    Tra le novità che saranno presentate anche il primo telefonino per i nativi digitali, parliamo di un cellulare adatto ai 3 anni, ovviamente semplicissimo da usare. Lo hanno inventato Adam James Cavallari, nato in Inghilterra nell'82 ma in Italia dall'86 e Andrea Alessandri di Jesi classe 1980, entrambi con studi al Politecnico. Alla Maker Fair presentano Giomax bPhone U10 proogettato per la sicurezza dei bambini e per la tranquillità dei loro genitori. Un telefonino studiato e certificato per bambini di età dai 3 anni in su: piccolo, leggero, robusto e colorato ma soprattutto con funzionalità dedicate studiate con cura: il dispositivo permette di ricevere chiamate ed effettuarle a tre numeri pre-impostati dai genitori oltre a un numero di emergenza, utilizzando grandi tasti che, attraverso forme e colori, sono comprensibili anche in età prescolare; Sotto il suo guscio simpatico e colorato, bPhone U10 racchiude un efficiente sistema di localizzazione basato sulle tecnologie LBS e GPS: per un numero abilitato, quello del genitore o di un familiare, basterà inviare un SMS con scritto “trova” per attivare il localizzatore del telefonino che a sua volta risponderà con un SMS nel quale indicherà la sua posizione ( Si riceverà un link che rimanda a Google maps).

    Le limitate funzionalità sono frutto di una specifica scelta e rendono il bPhone U10 uno strumento importante con il quale i genitori possono educare i propri figli ad un corretto uso della comunicazione, rendendoli autonomi e coscienti in vista dell’uso futuro di dispositivi più complessi come i più moderni smartphone.

    Le attività dell’Area Kids della Fiera della tecnologia si trasformano in “Start coding @Maker Faire Rome”, il più grande evento, realizzato con il supporto di Microsoft, mai realizzato in Europa in cui oltre 2.500 ragazzi muoveranno i primi passi nella programmazione informatica, coding. Il corso di coding non è (solo) roba da ingegneri: imparare la lingua dei computer è una materia sempre più necessaria per chi è nato in questo millennio, come accade per l’inglese. Maker Faire Rome si pone l'obiettivo di far diventare i partecipanti interpreti attivi della tecnologia e non meri utilizzatori passivi.

    L’area Kids nasce, infatti, per lanciare un messaggio di altissimo valore educativo. I ragazzi possono diventare creatori di tecnologia e imparare ad avere sempre maggiore consapevolezza nelle proprie possibilità, trasformandosi così in autentici fautori del proprio destino. L’area è stata progettata per bambini e ragazzi, ma con un occhio di riguardo anche per i loro genitori che, in alcuni casi, possono partecipare alle esperienze didattiche, dando così vita a un’occasione unica di condivisione. L’Area Kids della Maker Faire Rome è curata con passione ed energia da Codemotion Kids (www.codemotionkids.com/), la più grande scuola di coding e tecnologia per bambini e ragazzi in Italia, a gestita in collaborazione con Associazione DiScienza, Roma Makers e Rete CoderDojo Italia.

    Alla Maker Faire troveremo invenzioni strabilianti e prodotti sorprendenti del nuovo Made in Italy: biciclette intelligenti, il kit per fare l'aceto con Arduino, caratteri tipografici prodotti su misura, l’abito musicale, la cuccia domotica per i nostri amici a quattro zampe, la lampada che insegna le lingue, lo specchio interattivo con news, social network e previsioni del tempo.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Padri e figlie




    locandina


    Un film di Gabriele Muccino. Con Russell Crowe, Amanda Seyfried, Aaron Paul, Diane Kruger, Quvenzhané Wallis


    Muccino tira fuori tutto il mestiere che non gli è mai mancato senza sconfinare nelle derive autoriali che spesso gli hanno teso uno sgambetto.
    Paola Casella


    New York, 1989. Jake Davis è uno scrittore che ha già vinto un premio Pulitzer. Quando sua moglie muore in un incidente d'auto Jake si ritrova a dover crescere la figlia Katie da solo, e a gestire una serie di problemi fisici e mentali che lo costringono ad un temporaneo ricovero presso un ospedale psichiatrico. Purtroppo Katie viene affidata alla zia, sorella della madre defunta, che nutre verso Jake un profondo rancore. New York, 25 anni dopo. Katie è diventata un'assistente sociale che si occupa di bambini disagiati e che nel tempo libero si concede a chiunque, rifiutando di instaurare legami che vadano oltre il sesso occasionale. Il grande amore che ha provato per il padre le ha lasciato un vuoto incolmabile e ha fatto di lei una persona in grado di aiutare gli altri, ma non se stessa.
    Che Gabriele Muccino abbia compiuto con Padri e figlie un salto di crescita si capisce soprattutto dall'ultima scena, che chiude il cerchio emotivo della storia in campo lungo, rinunciando al primo piano che il regista avrebbe usato in passato. Fedele al suo registro narrativo melodrammatico, Muccino sceglie qui di contenere le emozioni invece che lasciarle traboccare ovunque, e segue in modo lineare e rigoroso la progressione esteriore e interiore della storia pur muovendosi su due diversi piani temporali, di fatto mescolando due film attraverso continui flash back e flash forward.
    Lavorando su una sceneggiatura preesistente (di Brad Desch) e all'interno di una macchina produttiva angusta come quella statunitense (sulla quale però questa volta il regista esercita una misura di controllo maggiore perché nel team ci sono anche Andrea e Raffaela Leone, i figli di Sergio) Muccino tira fuori tutto il mestiere che non gli è mai mancato senza sconfinare nelle derive autoriali che spesso gli hanno teso uno sgambetto. E paradossalmente la confezione artigianale valorizza la cifra d'autore del Muccino regista: quel modo di far lievitare la storia attraverso le emozioni e di gonfiare il petto dei protagonisti della forza necessaria a superare gli ostacoli, spingendoli a compiere azioni esagerate al cospetto di circostanze paralizzanti.
    In Padri e figlie c'è tutto Muccino: la corsa della ragazza che insegue il suo sogno, l'ansimare dei personaggi in difficoltà, lo strazio genitoriale nel promettere ai propri figli ciò che non si è certi di poter mantenere, i sentimenti viscerali e fagocitanti secondo i quali una persona dev'essere "mia e di nessun altro". Ancora una volta Muccino racconta una storia di antieroi donchisciotteschi che si arrampicano su una parete insaponata continuando a scivolare a valle, ma che non mollano la loro impresa titanica ad alto rischio fallimentare.
    Muccino si toglie anche lo sfizio di deridere i suoi detrattori facendo dire a Jake "Me ne frego delle recensioni" e "Non so perché Dio abbia creato gli scarafaggi e i critici": poi però (altro salto di maturità) mostra come su certe valutazioni i critici di Jake avessero avuto ragione, e come un gesto successivo di umiltà da parte dello scrittore determini un risultato finale assai migliore. Muccino infine lancia una stoccata contro gli Stati Uniti del Denaro, che come è noto reggono anche i cordoni della borsa hollywoodiana: perché un regista si riconosce anche dalle "tasche piene di sassi", come direbbe Jovanotti, che ha un cameo acustico in una scena del film.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    "Ascoltate tutti! Questa è la verità.Il lottare porta ad uccidere, e le uccisioni arrivano all guerra. E questo ci ha portato dannatamente vicino alla morte di tutti noi. Guardate ora! A cosa ci ha portato, e tutti a parlare di Pioggia radioattiva! Ma abbiamo imparato, dalla polvere di tutti ... Bartertown ha imparato. Ora, quando gli uomini vogliono combattere, lo facciamo succedere qui! E finisce qui! Due uomini entrano, uno rimane."


    MAD MAX - Oltre la sfera del tuono


    Titolo originale Mad Max Beyond Thunderdome
    Paese di produzione Australia, USA
    Anno 1985
    Durata 107 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere fantascienza, azione, avventura
    Regia George Miller e George Ogilvie
    Soggetto Terry Hayes, George Miller
    Sceneggiatura Terry Hayes, George Miller
    Fotografia Dean Semler
    Montaggio Richard Francis-Bruce
    Effetti speciali Michael Wood
    Musiche Maurice Jarre
    Scenografia Graham Walker

    Interpreti e personaggi

    Mel Gibson: "Mad" Max Rockatansky
    Tina Turner: Aunty Entity
    Angry Anderson: Ironbar
    Frank Thring: The Collector
    Angelo Rossitto: The Master
    Paul Larsson: The Blaster
    Bruce Spence: Jedediah, il pilota
    Adam Cockburn: Jedediah Jr.
    Robert Grubb: Ammazza-porci
    Edwin Hodgeman: Dott. Dealgood
    Tom Jennings: Slake



    TRAMA


    In un deserto dell'era post-atomica, Mad Max deve recuperare il suo veicolo. Arriva nella città di Batser Town dove regna la cattiva Aunty Entity (Tina Turner) che lo obbliga ad affrontare in duello un gigante. Mad vince, ma è espulso. Ma mentre sta per morire di sete nel deserto, viene soccorso da una comunità di fanciulli che vive senza adulti sperando che un misterioso capitano li porti via guidandoli verso il "Domani". Mad diventa il loro capitano e li fa fuggire su un aereo difendendoli, a rischio della sua stessa vita, dai nemici che li inseguono. La regina lo grazia e Max riprende a peregrinare.

    ..recensione..



    Scoprimmo Mad Max con un film australiano che in Italia s’intitolava Interceptor (1979), storia truce delle vendette on the road di un poliziotto cui ammazzano prima un amico e poi moglie e figlio, in un mondo futuro, che diventò nei film successivi decisamente postatomico. Personaggio e ambiente – strade senza fine, deserti e pianure allucinate – si definirono meglio nel seguito, Interceptor – Il guerriero della strada (1981), dove la fantascienza ebbe il sopravvento.
    Il successo negli Stati Uniti e nel mondo del film e del personaggio portò a un più costoso Mad Max – Oltre la sfera del tuono, di mirabolante dinamismo, che piacque per la sua mistura di avventura e ironia, con un fondo di patetismo e con un’utopia infine positiva nell’incontro tra Max e una comunità di ragazzini sopravvissuti al cataclisma, isolati dal mondo e in attesa di guida. I momenti di stasi, o di vita “regolare” in un mondo allucinato dove il problema fondamentale è l’energia e il suo controllo (una benzina ottenuta dallo sterco dei maiali: da qui ripartivano la civiltà, la storia), erano interrotti da inseguimenti e battaglie con armi composite e su macchine ottenute con resti di altre macchine, un patchwork affascinante che prendeva molto dal fumetto e che influì molto sul fumetto a venire.
    Eravamo nel 1985 e recensendo quest’ultimo film ebbi a invocarne un seguito: “Torna, Mad Max!”.
    (Goffredo Fofi, www.internazionale.it/)


    La civiltà è ormai andata, morta e sepolta, ma questo lo avevamo già visto nell'episodio precedente della saga, ma in questo terzo capitolo c'è ancora chi tenta di riportarla in vita. Nascono piccole comunità governate con un sistema molto primitivo e una di queste è quella in cui si ritrova Max Rockatansky, Bartertown, governata dalla Regina Aunty Entity, anche se in realtà, così come ci veniva accennato nell'episodio precedente, chi realmente governa il paese ed è davvero in grado di farlo è The Master, proprietario di una ditta che produce metano sfruttando migliaia di spalatori di merda di maiale.[..] La prima parte della pellicola scorre che è un piacere, mostrandoci come funziona la civiltà ormai corrotta di Bartertown e mostrando anche il "Thunderdome", la sfera del tuono a cui fa riferimento il titolo [..] E' la seconda parte del film invece a non avermi convinto moltissimo: con Max esiliato nel Gulag, un immenso deserto in cui i trasgressori della legge della sfera del tuono, tutto si rallenta abbastanza. Diciamo che non è una parte del film da buttare via in senso assoluto, ma certamente mi ha convinto molto meno rispetto alla prima, che vede anche una Tina Turner in grande spolvero, con una performance di "We Don't Need Another Hero" valsale anche la nomination come miglior canzone al Golden Globe.(http://nonceparagonecinema.blogspot.it/)

    (Gabry)





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    foto:c1.staticflickr.com


    La musica del cuore


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    foto:gliamantideilibri.it



    I grandi Cantautori Italiani


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    foto:birikina.it

    Lucio Battisti


    Lucio Battisti (Poggio Bustone, 5 marzo 1943 – Milano, 9 settembre 1998) è stato un cantautore, compositore e polistrumentista italiano.

    Tra i più grandi, influenti e innovativi cantanti italiani di sempre, è considerato una delle massime personalità nella storia della musica leggera italiana sia come compositore ed interprete della propria musica, sia come compositore per altri artisti. In tutta la sua carriera ha venduto oltre 45 milioni di dischi. La sua produzione ha impresso una svolta decisiva al pop/rock italiano: da un punto di vista strettamente musicale, Lucio Battisti ha personalizzato e innovato in ogni senso la forma della canzone tradizionale e melodica.

    Grazie al sodalizio artistico con Mogol, Battisti ha rilanciato temi ritenuti esauriti o difficilmente rinnovabili, quali il coinvolgimento sentimentale e i piccoli avvenimenti della vita quotidiana; ha saputo esplorare anche argomenti del tutto nuovi e inusuali, a volte controversi, spingendosi fino al limite della sperimentazione pura nel successivo periodo di collaborazione con Pasquale Panella.

    L'addio ai concerti

    Dopo quello del 1969, il tour dell'estate 1970 è il secondo ma anche l'ultimo della carriera di Battisti. Secondo le sue stesse dichiarazioni, una prima motivazione per la decisione di non fare più concerti è il maggiore tempo a disposizione, con ripercussioni positive sia in campo artistico che personale:

    « Intanto, non vivi e, come ho detto, io intendo seguire questa professione, intendo guadagnare, intendo divertirmi, intendo avere successo, ma intendo anche vivere. […] Non solo, ma le ripercussioni più grandi quali sono? Proprio quelle del lavoro: e chi me lo dà il tempo di stare la mattina, da quando mi alzo, dalle otto alle quattro del pomeriggio, con la chitarra a suonare? Perché, ripeto, le canzoni mica scaturiscono così. Intendo conservare la mia autonomia, la mia personalità per quanto possibile, e una delle cose che ti spersonalizzano al massimo sono le serate. »

    (Battisti, dicembre 1970)

    Inoltre, una seconda motivazione è da ricercare nella volontà di essere giudicato esclusivamente per la musica composta, e di eliminare qualsiasi altro fattore "di disturbo":
    « Non faccio tournée né spettacoli perché mi sembra di vendermi, di espormi in vetrina: io voglio che il pubblico compri il disco per le qualità musicali e non per l'eventuale fascino del personaggio. »
    (Battisti, 1980)

    Secondo l'amico e fotografo Cesare Montalbetti, inoltre, un altro fattore che lo portò a questa decisione fu l'impossibilità di riprodurre dal vivo la perfezione dei suoni ottenuti in studio di registrazione.
    Altri sostengono inoltre che la decisione sia dovuta, almeno in parte, anche alla timidezza di Battisti, che lo rendeva poco adatto a intrattenere grandi folle, o ancora alle non eccellenti doti vocali dell'artista, che non gli avrebbero permesso di eseguire dal vivo performance soddisfacenti.


    fonte: wikipedia.org





    Emozioni

    Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi
    ritrovarsi a volare
    e sdraiarsi felice sopra l'erba ad ascoltare
    un sottile dispiacere
    E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire
    dove il sole va a dormire
    Domandarsi perchè quando cade la tristezza
    in fondo al cuore
    come la neve non fa rumore
    e guidare come un pazzo a fari spenti nella notte
    per vedere
    se poi e' tanto difficile morire
    E stringere le mani per fermare
    qualcosa che
    è dentro me
    ma nella mente tua non c'è
    Capire tu non puoi
    tu chiamale se vuoi
    emozioni
    tu chiamale se vuoi
    emozioni
    Uscir dalla brughiera di mattina
    dove non si vede ad un passo
    per ritrovar se stesso
    Parlar del più e del meno con un pescatore
    per ore ed ore
    per non sentir che dentro qualcosa muore
    E ricoprir di terra una piantina verde
    sperando possa
    nascere un giorno una rosa rossa
    E prendere a pugni un uomo solo
    perchè è stato un po' scortese
    sapendo che quel che brucia non son le offese
    e chiudere gli occhi per fermare
    qualcosa che
    e' dentro me
    ma nella mente tua non c'è
    Capire tu non puoi
    tu chiamale se vuoi
    emozioni
    tu chiamale se vuoi
    emozioni



    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Mondiali ciclismo 2015, vince Sagan. Italia in ombra.

    A Richmond primo trionfo slovacco, Nibali non fa la differenza. Mai ha vinto una classica, né un grande giro, ma il talento di Peter Sagan brilla da anni sulle strade del ciclismo e finalmente lo slovacco ha centrato un risultato all'altezza, conquistando il Mondiale di ciclismo 2015 a Richmond, in Virginia. Lo ha fatto da campione qual è, rimanendo il più possibile coperto, senza compagni a lavorare per lui, e affondando il colpo, imparabile, al penultimo strappo della corsa, senza dare tempo a nessuno di reagire. Così mentre lui tagliava il traguardo a mani alzate, tante grandi squadre sono rimaste a guardare, compresa l'Italia, che nonostante il tanto lavoro e le speranze per una zampata di Vincenzo Nibali si è dovuta accontentare del 18/o posto di Giacomo Nizzolo.

    E' dal 2008 che gli azzurri mancano l'oro (e l'argento), conquistati allora da Ballan e Cunego, e l'attesa si prolungherà ancora per un podio dove oggi, insieme al primo slovacco della storia, sono saliti anche l'australiano Michael Matthews e il lituano Ramunas Navardauskas. La compagine guidata dal ct Davide Cassani si è spesa molto durante una prova che, per come si erano messe le cose, sembrava poter dare qualche soddisfazione, nonostante il fallito tentativo di Elia Viviani di andare in fuga con un gruppetto comprendente Tom Boonen e altri velocisti. I tre muri nel finale, violenti e complicati con il fondo in pavé, hanno invece complicato tutto: il gioco di squadra non ha funzionato, il gruppo azzurro si è sfaldato, Nibali (che ha chiuso 42/o a 40 secondi) e gli altri sono rimasti a guardare il belga Philippe Gilbert che se ne andava. A raggiungere subito l'ex campione del mondo è stato invece Sagan, che lo ha presto superato e lasciato indietro insieme con il norvegese Boisson-Hagen, prima sulla rapida discesa e poi sull'ultimo muro, scavando un divario incolmabile. Il gruppo, allungatosi nelle salite, non aveva più spazio e la volata per il secondo posto è stata vinta da Matthews, che ha ripagato in parte il gran lavoro dei suoi compagni di squadra. Sagan intanto, impugnata la bici e lanciati caschetto e guanti alla folla che lo applaudiva, aspettava i colleghi dando il "cinque" a chi lo affiancava, complimentandosi sinceramente con lui. "E' incredibile. E' la mia più grande vittoria e sono molto felice - ha dichiarato lo slovacco all'arrivo -. Ho fatto grandi sacrifici nelle ultime tre settimane dopo la Vuelta. Oggi ho fatto un solo attacco e ho pensato subito che era quello giusto". "E' stata una corsa molto strana - ha aggiunto -, mi sembrava di impazzire mentre aspettavo e aspettavo. Poi ho dato tutto".
    (Ansa)




    <ialle Iene Ilary Blasi annuncia la sua terza gravidanza. E Totti scherza: 'Lo chiameremo Teodoro'.
    Mammuccari a sorpresa spunta con un mazzo di fiori. Il capitano della Roma al telefono in diretta tv. Ilary Blasi ha annunciato in diretta tv la sua terza gravidanza, proprio nel giorno del compleanno di suo marito, Francesco Totti. "Vorrei approfittare di venti secondi per condividere una notizia con voi, che siete i miei amici, nel posto in cui io mi sento a casa e con il pubblico delle Iene che ormai ci segue da anni - ha detto la conduttrice del programma, rivolgendosi anche a Teo Mammuccari che le ha portato in diretta un mazzo di fiori - . Se n’è parlato per tanti anni, sono usciti tanti articoli di giornale, ci sono stati degli scoop, sempre falsi: la novità di quest’anno è il Trio Medusa. Però Teo, ti devo dire che anche qui in studio c’è un trio: sei tu, io e qua (indicando la pancia, ndr)".

    Lo stesso capitano, Francesco Totti, ha parlato con Ilary in collegamento telefonico in diretta tv, a pochi minuti dall'annuncio. Alla domanda di Teo Mammuccari sul nome del prossimo figlio, il capitano della Roma ha risposto scherzando: "Teodoro, ma senza tinta".
    (Ansa)




    F1: Gp Giappone, trionfa Hamilton e raggiunge Senna a 41 vittorie. Vettel terzo: 'Felice per podio Ferrari a Suzuka'.
    Rosberg completa la doppietta della Mercedes, Raikkonen è quarto. Gp Giappone nel segno della Mercedes. Lewis Hamilton vince a Suzuka ed eguaglia con 41 traguardi il numero di vittorie di Senna.

    Alle spalle del britannico, al secondo posto, il tedesco Nico Rosberg, suo compagno di scuderia; terza la Ferrari di Sebastian Vettel e quarta l'altra 'rossa' di Kimi Raikkonen.

    Per Hamilton, che ha chiuso il Gp del Giappone in 1h28'06"508, si tratta della 41/a vittoria in carriera nella F1, un traguardo che gli permette di raggiungere il proprio idolo Airton Senna, anche lui conquistò lo stesso numero di successi. Il britannico ha così consolidato il primato nella classifica del Mondiale piloti, davanti al compagno di scuderia Rosberg e a Sebastian Vettel. Dopo le due Mercedes e le due Ferrari, al quinto posto si è piazzata la Williams di Valtteri Bottas e sesta la Force India di Nico Hulkenberg. Solo 11/o Fernando Alonso, al volante della McLaren-Honda.

    Vettel, 'scuse'per 3/o posto "fatto il massimo" - "Sono andato al limite, non ho potuto fare di più e mi 'scuso' per non essere arrivato su un gradino più alto del podio". Sebastian Vettel fa sfoggio di grande umiltà, parlando alla radio con i box, mentre è ancora al volante, subito dopo avere tagliato il traguardo del Gp del Giappone, alle spalle delle due Mercedes. Il tedesco, dal podio, ha poi aggiunto: "E' stato grandioso tornare qui, a Suzuka, sul podio: questa è la mia gara preferita, peraltro sono arrivato molto vicino al secondo posto. Nel complesso è stata una gara combattuta, bella, è stato interessante vedere Hamilton e Rosberg che duellavano nella prima curva, io mi sono inserito, prendendomi momentaneamente il secondo posto. Siamo sulla strada giusta, è andata meglio di quanto ci aspettavamo".

    Ai microfoni di Sky, l'altro ferrarista Kimi Raikkonen, ha spiegato che le 'Rosse' hanno "fatto il massimo, in relazione alla posizione di partenza". "Abbiamo fatto il possibile, è andato tutto bene, ma potevamo fare pure meglio - sottolinea il finlandese -. Ovviamente vorremmo essere al vertice delle classifiche e non alle spalle delle due Mercedes, ma abbiamo fatto un lavoro straordinario nel corso di tutta la stagione; speriamo di fare meglio in futuro, dunque di fare altri passi avanti".

    I Piloti con il maggior numero di vittorie. Quando Senna fece il giro più bello della F1 nel Gp d?Europa a Donington nel 1993. Sotto la pioggia nel corso del primo passaggio, Senna si scatena: sopravanzato Schumacher già all'uscita della prima curva, nel resto del giro supera in sequenza Wendlinger, Hill e Prost, conquistando la testa della corsa che poi andrà a vincere
    (Ansa)

    (Gina)



    GLI STILISTI E LA MODA!!!




    Antonio Marras


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    Antonio Marras, lo stilista poeta


    da Uomini&Business (aprile 2010)
    Antonio+Marras+Milan+Fashion+Week+Womenswear+dGC1MH97VFdlL’intellettuale. E ancora, l’artista, il poeta del lusso. Quando si parla di Antonio Marras, stilista sardo titolare dell’omonimo marchio, si entra in un terreno che ha pochi paragoni nel panorama odierno della moda: nelle sue collezioni poesia, memoria, tradizione si sposano con una sapienza artigiana piuttosto rara tra i suoi colleghi. Il risultato sono collezioni senza tempo, in cui tessuti pregiati e ricami diventano espressione di un talento che, fin dagli esordi, ha trovato nel forte legame con la sua terra d’origine il marchio distintivo. Dalla sua Sardegna non si è infatti mai voluto separare. Non lo ha fatto neanche quando nel 2003 Bernard Arnauld, patron del numero uno mondiale del lusso Lvmh, gli ha affidato il rilancio dell’ex marchio giapponese Kenzo. Meglio fare la spola tra Parigi e Milano, che lasciare Alghero, dove continua a vivere insieme alla moglie Patrizia e i due figli.

    Ostinato nel suo splendido isolamento sardo, lo stilista ha fatto della perseveranza, associata ad una sconfinata dedizione per il lavoro, il suo cavallo di battaglia. Talvolta visto con sospetto dagli addetti ai lavori per eccesso di intellettualismi, lo stilista-poeta di Alghero è riuscito nel giro di pochi anni ad imporsi all’attenzione del mercato, entrando a pieno titolo tra i rappresentanti più noti del made in Italy all’estero.

    Dopo anni di consulenza per una società della moda, il suo battesimo ufficiale è arrivato nel 1996 sulle passerelle dell’Alta Moda romana. Già nella sua prima sfilata couture sono presenti gli elementi chiave del suo stile: una forte componente artigianale e la Sardegna come fonte d’ispirazione. Il suo talento non passa inosservato. Di lui, in particolare, si invaghisce il gruppo bolognese Les Copain, che decide di investire su questo giovane emergente. È grazie al supporto industriale dei nuovi soci che nel 1999 vedrà la luce la prima collezione prêt-à-porter firmata Antonio Marras. La collezione, dedicata alla scrittrice Annemarie Schwarzenbach, racchiude tutti gli elementi che compongono la sua poetica: elementi di grande ricchezza decorativa si innestano su abiti vintage in mix-match di ricco e povero, maschile e femminile in cui fanno da sfondo suggestioni di costumi sardi.

    Dal prêt-à-porter alla collezione uomo il passo è breve: il debutto arriva nel 2002 al Pitti Immagine Uomo. Da allora la linea uomo ha continuato a sfilare regolarmente a Milano durante la settimana della moda. Poi, in attesa di tempi migliori, la decisione di metterla in stand-by. Un po’ per la crisi, un po’ perché i numerosi impegni di lavoro in cui lo stilista è impegnato mal si conciliano con il rigore che da sempre contraddistinguono i suoi abiti.

    effetti, a guardar bene i numerosi progetti in cui è impegnato, viene da chiedersi come faccia occuparsi in prima persona di tutto. A fianco alle collezioni donna, Antonio Marras è, dal 2002, impegnato nella linea “Laboratorio”: abiti in tiratura limitata, realizzati a mano nel laboratorio dove vive e lavora, e che spesso sono punti di partenza per modelli che confluiranno nella prima linea.

    Oltre a seguire il proprio marchio, dal 2003 lo stilista segue Kenzo, società che fa parte del grande universo di Lvmh: entrato in punta di piedi per disegnare la collezione femminile, nel 2008 la società francese ha deciso di ampliarne i poteri, nominandolo direttore artistico globale.

    Come se non bastasse, negli ultimi anni Marras si è lanciato nel progetto I’M Isola Marras: una seconda linea rivolta ad una clientela più giovane e anche più abbordabile nei prezzi, prodotta e commercializzata su licenza da Interfashion, società del gruppo Stefanel. «Da molto tempo desideravo ampliare il mio discorso verso un pubblico più vasto rispetto a quello che fin qui ha apprezzato le mie prime linee, ma per farlo avevo la necessità di trovare il partner giusto per un simile progetto. Interfashion ha dimostrato di esserlo per know-how, competenza e penetrazione di mercato». Nella nuova linea si ritrovano tutti i codici che hanno caratterizzato fin dall’inizio l’alfabeto di Antonio Marras, ma in una versione più casual, dove il jeans gioca un ruolo fondamentale. «In un certo senso, I’M è il mio lato B: nella collezione principale ho sempre esaltato il mio cotè più nostalgico, malinconico, retrò, mentre con I’M ho dato sfogo alla mia vena più ludica, giocosa, divertente. È una collezione sfiziosa, allegra, frizzante, che non si prende troppo sul serio».

    Insomma, un periodo di grande fermento in casa Marras. Che in parte è da ricollegare alla recente acquisizione del 40 per cento in mano a Les Copains. Nel 2007, Marras è tornato titolare unico del suo marchio. E in questa nuova fase della vita professionale ha deciso di aumentare il suo spettro d’azione, andando oltre i confini dell’abbigliamento.

    All’avvio della campagna vendita della collezione donna autunno-inverno 2010-2011, lo stilista si è presentato al mercato con un tris di licenze che allargano significativamente la sua offerta prodotto. Tra queste, il recente accordo con Kallisté per la produzione di calzature, borse e oggetti di piccola pelletteria. Novità sono arrivate anche sul fronte della maglieria: a partire dalla collezione della prossima stagione autunnale, la produzione, prima affidata al gruppo Gibò, passa a Loma, un’azienda emiliana con una grande esperienza alle spalle nella maglieria di alto livello. Dall’accordo è nata una sorta di capsule con un numero di pezzi notevolmente aumentato sempre più indirizzato al total look.

    A queste licenze si aggiunge infine il progetto «Soft Accessories» realizzato in collaborazione con Erica Industria Tessile Spa di Busto Arsizio (Varese) per la produzione di una vasta linea di accessori (dalle borse da viaggio e da lavoro ai portadocumenti e porta computer) realizzata utilizzando il tessuto come materia prima.

    Resta da capire come lo stilista riesca a seguire tutto questo. «Sono uno stakanovista, anche se la vita che sto facendo ora, pur riempiendomi di soddisfazioni è davvero troppo intensa. Io ho bisogno anche di spazi per riflettere, per fare quello che davvero mi tocca l’ animo: il teatro, la danza, la musica e la pittura. Non sono uno stilista, sono un uomo prestato alla moda con interessi travolgenti verso altre discipline, mi confronto quotidianamente con altri universi. Il problema è che tutti ormai viviamo in uno stato di urgenza totale, una vita al limite del nevrotico».


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    RAFFAELLO. IL SOLE DELLE ARTI

    dal 26 Settembre 2015 al 24 Gennaio 2016



    Il fulcro della mostra è costituito da un nucleo di celebri capolavori di Raffaello, che evocano il racconto della sua prodigiosa carriera artistica, le persone che ha conosciuto, le diverse città dove ha vissuto. A documentare gli anni della sua formazione è una scelta di opere dei maestri che hanno avuto un ruolo fondamentale, vale a dire il padre Giovanni Santi, il Perugino, il Pinturicchio e Luca Signorelli.
    La mostra intende accostarsi alla geniale personalità di Raffaello anche da un punto di vista inconsueto e imprevedibile, vale a dire illustrando il suo impegno creativo verso le cosiddette “arti applicate”, che tradussero nelle rispettive tecniche suoi cartoni e disegni nonché incisioni tratte dalla sua opera, e che nel corso del Cinque e Seicento costituirono il veicolo privilegiato per la diffusione e la conoscenza in Italia e nel resto d’Europa delle invenzioni figurative dell’Urbinate: arazzi, maioliche, monete, cristalli di rocca, placchette, smalti, vetri, armature, intagli.
    Per le richieste di prestito delle opere sono coinvolte le più importanti istituzioni museali italiane e straniere come i Musei Vaticani, il Residenzschloss di Dresda, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Victoria and Albert Museum di Londra, la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, gli Uffizi, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, il Museo Nazionale del Bargello e il Palazzo Corsini di Firenze, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, i Musei Civici di Pesaro e il Museo di Capodimonte di Napoli.(www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    MEDEA



    Medea è figlia di Eeta, re della Colchide, una regione asiatica affacciata sul Mar Nero, e della Oceanide Idyia o della dea Ecate. Era nipote di Elio, secondo altre fonti di Apollo, e della maga Circe.
    Secondo una variazione del mito (Diodoro Siculo), il sole, Elio, ebbe due figli, Perse e Eeta. Perse ebbe una figlia, Ecate, potentissima maga, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eeta. Da questa unione sarebbero nati Circe, Medea ed Egialpo.
    Il suo nome, in greco, significa "astuzie, scaltrezze", la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini. Nella tradizione letteraria greca Medea è il simbolo del “magico” e dello “straniero” rispetto al cosmo culturale dei Greci.
    Quando Giasone con gli Argonauti giunse nella Colchide per impadronirsi del Vello d'oro, custodito da un feroce e terribile drago a servizio di Eete, Medea che era stata imprigionata dal padre perché ostile alla sua pratica di uccidere gli stranieri che giungessero nel regno, ma che si era facilmente liberata con le sue arti magiche, si innamorò dell'eroe e, tradendo il padre, lo aiutò a vincere tutte le difficoltà e i pericoli. Pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Medea istruisce l’eroe e gli fornisce le armi con cui superare le prove imposte dal re Eeta per ottenere l’ambito premio, lo dota di filtri protettivi e usa formule magiche per far addormentare il drago custode del manufatto. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Iolco con il Vello d'Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello: Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l'inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l'amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un "pharmakòn", che dopo averlo fatto a pezzi e bollito, lo avrebbe ringiovanito completamente. Per dimostrare la validità della sua arte, trasforma un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze: Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno.
    Dopo dieci anni, Creonte, re della città di Corinto, vuole dare la sua giovane figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta e cerca inutilmente di far accettare la cosa a Medea, che si dispera per l'abbandono. Vista l'indifferenza di Giasone di fronte alla sua situazione, Medea medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda come dono nuziale un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il dono è intriso di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore.
    Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo Euripide, per assicurarsi che Giasone soffra e non abbia discendenza, dopo un'angosciosa incertezza vince la sua natura di madre e uccide i figli Mermero e Fere, avuti da lui. Secondo Diodoro Siculo i figli che Medea aveva avuto da Giasone erano tre: i due gemelli Tessalo e Alcimene e Tisandro.
    Fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole trainato da draghi alati, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio, Medo. A lui Medea vuole lasciare il trono di Atene, finché Teseo non giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce Teseo come suo figlio e Medea è costretta a fuggire di nuovo.
    Torna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eete. Sulla fine di Medea esisteva un mito tardo secondo il quale Medea non morì mai, ma divenne immortale e regnò nei Campi Elisi, dove si unì con Achille.

    Il mito dell'uccisione dei figli è connesso in Corinto con un rituale d'iniziazione dei giovani: quasi una morte dell'adolescenza come preparazione all'età adulta. Frequente nell'arte antica la raffigurazione di Medea e del suo mito. Nella ceramica, soprattutto dell'Italia meridionale (vasi apuli e campani), e in pitture murali provenienti da Pompei ed Ercolano (Napoli, Museo Archeologico Nazionale) è spesso ritratta nell'atteggiamento meditativo che precede l'infanticidio. Nel rilievo plastico la figura di Medea è abbastanza comune nei sarcofaghi di età romana.
    Nella Medea di Euripide (431 a. C.), la prima e la più famosa tragedia ispirata al personaggio, è presentata, con risultati di altissima poesia, non tanto come una maga, ma piuttosto come una creatura umiliata e offesa

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Perché si dice “Luna di Miele”?




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    Dopo la celebrazione del rito religioso e i festeggiamenti con amici e parenti che hanno condiviso la loro gioia, gli sposi sono pronti a partire per la “luna di miele”, ossia il tradizionale viaggio di nozze. L’origine del termine “luna di miele” si riferisce senz’altro al primo mese di matrimonio, che dovrebbe essere appunto “di miele”, fatto di dolcezza e tenerezza tra i due sposini che hanno coronato il loro sogno d’amore.

    Nell’Oxford Dictionary si fa riferimento a questo significato, mettendo in evidenza come solo la prima “luna” (intesa come mese lunare) sarà di miele, poi bisogna aspettarsi che l’iniziale felicità a due declini con il tempo.

    L’espressione “luna di miele” risale agli antichi Babilonesi, che erano soliti donare agli sposi una particolare bevanda alcolica a base di miele (l’idromele), nella quantità necessaria per un mese.



    Pare che l’idromele fosse utile a stimolare la fertilità, e venne utilizzato anche dai Romani e successivamente nel periodo medievale. Durante il Medioevo la famiglia che dava in matrimonio la figlia ad un uomo le porgeva anche il miele, una sostanza considerata simbolo di dolcezza e costosa per quei tempi. I due sposi trascorrevano insieme la prima notte, detta “luna di miele” per la durata del ciclo femminile che è legata alle fasi lunari e per la presenza del miele che appunto addolciva l’atmosfera.

    Nel periodo medievale venivano svolti veri e propri rituali che avevano come oggetto la luna di miele, considerato dalla religione neopagana Wicca come un periodo legato alla natura, ricco di cambiamenti positivi e nel quale ciascuno deve diventare responsabile. Questa fase della vita è la più propizia per cominciare la vita a due con il matrimonio. L’origine antica del termine è avvalorata dal fatto che esiste l’equivalente in diverse lingue, come l’inglese (Honeymoon), lo spagnolo (Luna de miel), il francese (Lune de miel), ma anche in arabo e gallese.


    In età moderna, a partire dal diciannovesimo secolo, l’espressione “luna di miele” viene utilizzata per individuare il periodo immediatamente successivo alla cerimonia, e coincide quindi con il viaggio di nozze, organizzato dagli sposi per allontanarsi dalla vita di tutti i giorni e godersi un po’ di relax dopo lo stress dovuto ai preparativi del matrimonio.

    Nelle Sacre Scritture si legge che lo sposo in questo particolare periodo non dovrebbe compiere lavori pesanti o gravosi, ma dedicarsi completamente alla moglie. In realtà questo proposito dovrebbe accompagnare tutto il tempo del matrimonio, non solo gli inizi!

    Oggi si parla di luna di miele per descrivere vacanze e mete esotiche, e si è perso di vista il vero significato di tale modo di dire. Dovremmo invece tornare alle origini di alcune espressioni perché sono queste che ci dicono chi siamo e da dove veniamo. La luna di miele è un periodo che gli sposi dovrebbero vivere più intimamente e godendo del sentimento che li unisce, senza perdersi in distrazioni inutili che, seppur piacevoli, allontanano la mente ed il cuore dal reciproco impegno preso.


    fonte:http://cultura.biografieonline.it/


    (Lussy)






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    Salute e benessere



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    foto:marcheinvacanza.myblog.it


    Terme di S. Lucia


    Tre acque diverse ma ugualmente efficaci, tanto per la cura delle malattie respiratorie quanto per quelle del ricambio, le otorinolaringoiatriche e le ginecologiche. Sono le acque di S. Lucia e di Rofanello, ben conosciute nel XV secolo quando sembrava che fossero addirittura insufficienti a fronte della ampia affluenza dei forestieri che si recavano alle Terme in cima ad un colle a pochi passi dalla cittadina di Tolentino.


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    foto:terme.info

    Un po’ di storia
    All’inizio del XV secolo, nella zona di Rofanello, nei pressi di Tolentino, si registrava un’affluenza tale di forestieri richiamati dalla fama della locale acqua termale, che qualcuno in una testimonianza scritta denunciava la possibilità che la sorgente non fosse sufficiente ad esaudire la richiesta. Solo un secolo dopo però, ovvero nel 1507, si pensò alla realizzazione di una struttura che rendesse agevole la sosta degli utenti nella stazione termale, utilizzando sia l’acqua di Rofanello che quella dell’antica fonte detta “dell’Acquacece”, che sgorgava a S. Lucia. Alla fine del secolo, quindi, la prima autorevole documentazione medica: si tratta del trattato “De Thermis” (1587), opera dell’archiatra di Sisto V, Andrea Bacci. Delle proprietà benefiche dell’acqua salsobromoiodica di S. Lucia Tolentino si occuparono in maniera più approfondita, nel 1784, il Dott. Massimo Moreschini di San Ginesio e, un secolo dopo, il tolentinate Saverio Santini. In occasione dell’apertura del nuovo stabilimento termale del 1938, nuovi studi furono condotti dai dottori Baroni, Filippella e Francescani e nel 1961 dai professori Federici e Palombi. Nel frattempo, lo stabilimento ha subito una serie di ristrutturazioni e migliorie fino all’assetto attuale.


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    foto:portaleterme.com

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    foto:benessere.com

    Le acque
    Nello stabilimento termale di S. Lucia Tolentino vengono utilizzate tre tipi di acqua, dalle differenti caratteristiche fisiche. Quella che sgorga dalla sorgente di S. Lucia è un’acqua minerale a contenuto bicarbonatocalcico, di temperatura fredda (14°) e viene impiegata essenzialmente per la cura idropinica, con una alta efficacia nella cura e nella prevenzione delle malattie urinarie, renali ed iperuricemiche. Nella vicina Rofanello, quindi, si trovano due tipi di acque, una salsobromoiodica e l’altra sulfurea. La prima produce effetti sia di tipo locale che generale e fonda la sua efficacia sull’alta concentrazione di cloruro di sodio, oltre che sulla elevata presenza di iodio e bromo. Il cloruro di sodio stimola i processi di difesa dell’apparato respiratorio dalle infiammazioni: l’acqua salsobromoiodica di Rofanello, quindi, viene utilizzata per le cure inalatorie, balneoterapiche ma anche per alcune affezioni ginecologiche. La cura inalatoria, oltre che la cura della sordità rinogena, è anche la principale terapia per la quale viene utilizzata l’acqua sulfurea di Rofanello, un’acqua minerale caratterizzata da un alto contenuto di idrogeno solforato ma che presenta anche altri elementi come il sodio, il calcio e il magnesio.


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    Lo stabilimento termale
    I reparti del moderno stabilimento di S. Lucia Tolentino coprono tutte le branche della medicina termale e non solo. La terapia prevalente è quella idropinica, con l’utilizzo dell’acqua della sorgente di S. Lucia, ma anche le cure balneoterapiche e ginecologiche sono molto richieste. Il Centro di Diagnosi e Cura della Sordità Rinogena è attrezzato con i più moderni strumenti diagnostici; nel reparto vengono effettuate insufflazioni endotimpaniche finalizzate al riequilibrio dell’orecchio con la pressione esterna e nel caso dei bambini o pazienti con alterazioni anatomiche delle fosse nasali (ciò che rende problematica l’introduzione del catetere per le insufflazioni) o che presentano una mucosa delle fosse nasali particolarmente sensibile viene utilizzata la tecnica del Politzer Crenoterapico. Per i bambini che devono affrontare cure inalatorie, lo stabilimento si è dotato di un reparto apposito, con un ambiente opportunamente arredato ed attrezzato; qui viene attuato, tra gli altri, un programma di medicina preventiva con uno screening della sordità in età pediatrica.
    Lo stabilimento presenta quindi un Centro di Medicina dello Sport, all’interno del quale vi è anche un ambulatorio per la valutazione della funzione respiratoria. L’Ambulatorio di Riabilitazione e Terapia Fisica è orientato alla riabilitazione di traumatizzati per attività sportive, riabilitazione di pazienti con problemi di natura osteo articolare, con malattie respiratorie e con malattie cardiovascolari. Alle Terme di S. Lucia vi è quindi un Servizio Medico Specialistico che copre pressoché tutte le branche della medicina: tra gli altri sono presenti un Centro Studi e cura dei disturbi alimentari, Dietologia e Endocrinologia che collabora con la Clinica di Endocrinologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Ancona e un Servizio Medico di Ecografia Internistica ove vengono eseguiti e certificati esami ecografici mirati.
    Infine, il Centro Estetico Termale, ove le acque termali di S. Lucia vengono utilizzati nei trattamenti estetici e nella preparazione di prodotti cosmetici ma dove vengono effettuate anche le più classiche metodologie estetiche.


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    foto:caravanserraglio.com

    Turismo nei dintorni
    La città di Tolentino, di origine romana, non è nota soltanto per l’importante stazione termale di S. Lucia ma anche come città d’arte, ricca di monumenti medioevali e rinascimentali. Da non perdere una visita alla Basilica intitolata a S. Nicola da Tolentino, al cui interno si può ammirare uno splendido Cappellone di scuola giottesco-riminese; il periodo medioevale della città è invece testimoniato dalla cerchia muraria, da alcune porte risalenti al XIV secolo e dal Ponte cosiddetto del Diavolo, datato 1268, cui è legata una leggenda popolare che viene rievocata ogni anno. Tolentino è entrata nella Storia per aver ospitato nel 1797 lo storico incontro tra Napoleone Bonaparte e Pio VI che decretava la pace tra il generale francese e lo Stato Pontificio; a Palazzo Bezzi, ove fu firmato il trattato, si conservano ancora i mobili e gli arredi dell’appartamento in cui soggiornò Napoleone. Tra i diversi Musei della città, va segnalato quello internazionale della Caricatura, una istituzione unica in Italia che si trova all’interno di Palazzo Sangallo e che conserva circa 3000 opere, espressione di umorismo artistico italiano e straniero; lo stesso Palazzo ospita la Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte.
    Nelle immediate vicinanze di Tolentino, almeno due luoghi da non perdere. Il Castello della Rancia, a pochi chilometri ad est della città, è stato costruito nel 1357 da Andrea Beltrami da Como e ha dato il nome ad una celebre battaglia che vi si svolse all’interno nel 1815 tra gli austriaci e i miliziani di Gioacchino Murat. L’Abbazia di S. Maria di Charavalle di Piastra, fondata nella metà del XII secolo da monaci cistercensi che provenivano dalla Abbazia di Chiaravalle di Milano, è una bellissima costruzione a tre navate, divise in otto campate, con capitelli romanici scolpiti dagli stessi monaci e con numerosi affreschi all’interno.
    Qualche chilometro in più, ed è possibile visitare alcune delle più belle città d’arte delle Marche, da Camerino a San Severino e Macerata.


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    foto:adriatic-sea.com

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    foto:rete.comuni-italiani.it

    castello della Rancia

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    foto:le-marche.com

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    foto:farm2.static.flickr.com

    Basilica di S. Nicola


    fonte: benessere.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    “Lentamente in Cina ebbi una reazione che fu questa: invece di cercare l’uomo nuovo mi resi conto che c’era un uomo vecchio, cinese, che era meraviglioso; e che quella era stata una cultura stupenda con una grandezza e con una ricchezza che proprio mi colpivano.” (TIZIANO TERZANI)


    PINGYAO, Cina



    Pingyao è una piccola cittadina antica situata al centro della provincia dello Shanxi, di cui ne è capoluogo, a circa 100 chilometri a sud di Taiyuan. La sua costruzione ebbe inizio durante la dinastia Zhou occidentale (XI secolo a.C. -771 a.C.) e in seguito la città venne ampliata durante la dinastia Ming (1368-1644), per motivi di difesa.
    Essendo una delle quattro antiche città cinesi interamente protette, la Città Vecchia di Pingyao è vista come la “stanza del tesoro” dell’antica architettura cinese. Le altre tre sono la Città Vecchia di Langzhong, il Distretto di Shexian e la Città Vecchia di Lijiang. Ha una struttura quadrata, con una superficie di 2,25 kmq. I principali edifici e la struttura risalgono a oltre 600 anni fa, con le mura di cinta, strade, abitazioni, negozi e templi ben conservati e rappresentano la millenaria cultura tradizionale della nazionalità Han con un museo storico dell'arte architettonica delle dinastie Ming e Qing (1368-1911).
    Ci sono tre importanti Beni Nazionali Protetti a Pingyao: le Mura cittadine, il Tempio Shuangxiu e il Tempio Zhenguo. Grazie all’ottima conser-
    vazione del paesaggio urbano, durante le dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911), il 31 dicembre 1997, Pingyao venne inclusa nella lista del Patrimonio dell’umanità dell'UNESCO. Pingyao mantiene in gran parte l'organizzazione e l'aspetto di una città delle due dinastie, con una classica pianta a forma di bagua. Più di 300 siti all'interno e nelle immediate vicinanze della città rivestono un interesse archeologico, con circa 4.000 edifici.
    Con una lunghezza totale di sei chilometri, le mura della città sono alte circa 12 metri e larghe 3-6 metri sulla parte superiore. Il muro è di terra battuta coperto da mattoni e pietre. Da una prospettiva a volo d'uccello, la parete rettangolare assomiglia a una tartaruga. La città ha sei porte: una sul lato nord, una sul lato sud, due sul lato est e due sul lato ovest. La porta sud rappresenta la testa della tartaruga, i due pozzetti esterni ne rappresentano gli occhi. La porta nord, il punto più basso della città, è la coda della tartaruga. Ci sono 72 torri di guardia sulla cima delle mura della città e 3.000 merli esterni. Si dice che le 72 torri di guardia rappresentino 72 personaggi di grande saggezza, mentre i 3.000 merli i 3.000 discepoli di Confucio. Nella cultura tradizionale cinese la tartaruga è un simbolo di longevità, e la forma delle mura dimostra il profondo significato della speranza degli antichi cinesi che la città di Pingyao, grazie alla forza magica della tartaruga, fosse stabile ed eterna come un monolito.

    Secondo documenti storici, durante la dinastia Zhou occidentale (1045-256 a.C.), il re di Xuan inviò il suo generale Yin Jiefu a combattere gli invasori di altri regni. Il generale Yin collocò le sue truppe in Antica Tao e vi costruì delle mura di difesa.
    Prima delle dinastie Qin (221-206 a.C.) e Han (206 a.C. - 220 d.C.), Pingyao veniva chiamata Antica Tao. Secondo i registri della Contea di Pingyao, fu il maniero di Yao, il re di una tribù della Cina antica.
    Nel Periodo delle primavere e degli autunni (722-481 a.C.), l'Antica Tao apparteneva al Regno Jin, e più tardi al Regno Zhao. Il sistema distrettuale sostituì il sistema feudale, quando il primo imperatore Qin (Qin Shi Huang 259-210) unificò l’intero paese. L'Antica Tao venne poi dichiarata municipalità di distretto e il suo nome venne modificato in Pingtao.
    Nei primi anni della dinastia Wei settentrionale, Pingtao venne ribattezzata Pingyao per evitare di pronunciare la parola Tao, perché l'imperatore del tempo si chiamava Tuoba Tao. Secondo le regole antiche, il nome di un imperatore, di un alto funzionario, di un capo di famiglia o dell’anziano di un clan era considerato tabù dai suoi sudditi o dai più giovani. Durante il periodo iniziale della dinastia Ming (1368-1644), dal 1370, il governo ampliò e ricostruì le mura della città per fornire maggiori spazi ad uso militare.
    Le mura dell’antica città di Pingyao furono costruite 2800 anni fa nella forma di mura di terra. Nel 1370 le mura di terra furono trasformate in una struttura di mattoni e pietra, in seguito costantemente consolidate.Negli ultimi 500 anni (1644-1911) delle dinastie Ming e Qing, le mura vennero riparate circa 26 volte, ma lo stile e le dimensioni di base sono rimasti pressoché invariati.

    Nella citta chiusa, la strada in direzione sud-nord era considerata l'asse centrale su cui si incrociano stradine e vicoli, mentre la struttura dell'intera città risulta perfettamente ordinata, con chiare funzioni. Tutte le abitazioni hanno cortili quadrati, realizzati con mattoni scuri e tegole grige. Dal punto di vista dell'aspetto esteriore, ogni cortile è chiuso, con mura alte 7-8 metri.
    La caratteristica principale è che gli edifici mantengono la struttura delle case-grotte della Cina nord-occidentale, mentre dalle sculture su legno e mattone, dalle finestre intagliate e dalle carte ritagliate decorative traspira un'aria campagnola. La maggior parte delle oltre 4000 case di abitazione esistenti risale alle dinastie Ming e Qing, di cui oltre 400 perfettamente conservate, costituendo il complesso di abitazioni civili meglio conservato dell'area abitata dagli Han.
    Nell’antica città i complessi di edifici dei sei maggiori templi esistenti ed i negozi ai lati delle strade sono originali, le tegole di maiolica gialla e verde e gli edifici con tegole grigie sono simboli di classe sociale.
    Pingyao presenta molti siti storici, come la Sala dei diecimila buddha del Tempio Zhengguosi, a nord-est della città, la terza antica struttura in legno di livello nazionale, con una storia di oltre mille anni. La preziosa statuaria policroma al suo interno risalente al X secolo. Il Tempio Shuanglinsi, risalente al VI secolo, conta dieci sale contenenti oltre 2000 statue a colori risalenti dal XIII al XVII secolo, chiamate “un tesoro della statuaria policroma dell’antichità cinese”. Inoltre all’interno ed all’esterno della città si ergono più di 1000 antiche steli recanti iscrizioni.
    L’antica città di Pingyao occupa una speciale posizione nella storia finanziaria moderna. Nel 1824 nella città nacque la prima banca cinese, la “Rishengchang”.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    L’ingestione della Belladonna rende:
    "caldo come una lepre"
    "cieco come un pipistrello"
    "secco come un osso"
    "rosso come una barbabietola"
    "matto come una gallina"
    (filastrocca inglese)


    LA BELLADONNA


    La belladonna è una pianta a fiore (Angiosperme dicotiledoni) appartenente all'importante famiglia delle Solanaceae, come il pomodoro e la patata. Cresce sporadica nelle zone montane e submontane fino ad una altitudine di 1400 metri. Predilige i suoli calcarei e i margini di boschi freschi e ombrosi, come le faggete. Allo stato selvatico è presente in Europa centrale, Africa settentrionale e Asia occidentale fino al Pakistan. In Italia la si può trovare nei boschi delle Alpi e Appennini.
    E' un pianta erbacea e perenne, dotata di un grosso rizoma dal quale si sviluppa un fusto robusto, eretto e ramificato, di altezza compresa tra i 70–150 cm. Le foglie sono semplici, picciolate, di forma ovale-lanceolata, alternate nella zona superiore a foglie più piccole; come il fusto, sono ricoperte di peli ghiandolari responsabili dello sgradevole odore emanato dalla pianta. I fiori sono ermafroditi, ascellari e penduli; presentano un calice a 5 sepali ed una corolla a 5 petali di forma campanulata-tubulosa e di colore violaceo cupo; l'androceo è composto da 5 stami con antere molto sviluppate, il gineceo da un ovario biloculare con stilo unico e stigma bifido.
    La belladonna fiorisce nel periodo estivo e l'impollinazione è entomogama (tramite Insetti). I frutti sono lucide bacche nere, di piccole dimensioni, contornate dal calice che, durante la maturazione, si accresce aprendosi a stella.

    Nonostante l'aspetto invitante e il sapore gradevole, le bacche sono velenose per l'uomo.
    La Belladonna è una delle piante più tossiche nell’emisfero orientale. Tutte le parti contengono l’alcaloide tropano. Le bacche sono il pericolo più grande, soprattutto per i bambini. Hanno un aspetto molto attraente e un sapore dolciastro. Il consumo da due a cinque bacche può essere letale per un adulto. La parte più tossica in assoluto è la radice. Anche le foglie hanno una buona concentrazione e possono risultare fatali. Conigli, pecore, capre e maiali non hanno problemi nel nutrirsi della pianta e anche molti uccelli sono immuni e si cibano delle bacche e dei semi. I cani e i gatti invece sono sensibili.

    ..storia, miti e leggende..


    Il suo nome latino utilizzato dai botanici e dai fito-
    terapeuti, venne ispirato da Atropo, una delle Moiere della mitologia greca, una delle tre dee del destino, figlie di Zeus e di Ananke, la dea della Legge. Delle tre “fate” greche del destino, Atropo, il cui nome significa “inflessibile”, era quella incaricata di recidere il filo della vita con un paio di cesoie d’oro; è un veleno, violento e implacabile, che dà la morte, dopo delirio e follia. Era una delle erbe coltivate nel giardino di Ecate, che insieme con il giusquiamo, lo stramonio e la mandragora, venivano usate dalle streghe.
    Il nome volgare deriva dall'usanza come espediente di bellezza dalle dame del Rinascimento, che usavano un macerato di foglie di belladonna per lucidare lo sguardo e dilatare la pupilla in modo da sembrare più seducenti: ciò derivava dall'effetto dell'atropina, un alcaloide di cui la belladonna è molto ricca, che provocava la midriasi delle pupille agendo sul sistema nervoso parasimpatico per aumentare la circolazione.
    In passato era considerata l'erba delle streghe per gli effetti allucinatori che derivavano dalla sua assunzione; le streghe ai tempi del sabba si spalmavano un unguento sul corpo permettendo alla sostanza di entrare in circolo velocemente e di volare: chiamato “il sussurro delle streghe”. E' da sempre associata a riti satanici. Circe, herbaria per eccellenza, era figlia della “dea dei crocicchi” Ecate (le sue statue venivano poste negli incroci -trivi -, a protezione dei viandanti) e Canidia, nella Roma di Augusto, mescolava per i propri intrugli piante funebri, piume di civetta, uova di rospo, erbe della Colchide e zampe di gallina, chiamando a testimoni del proprio rituale « Nox et Diana».
    Solamente l’angelica, soprannominata erba degli angeli dai medici del Rinascimento, poteva essere utilizzata come antidoto contro tutte le pozioni magiche e i temibili effetti della belladonna.
    In Sicilia, ove è conosciuta col nome di "sulatra" (almeno nella zona nord del siracusano), si trova facilmente anche negli agrumeti, in zona collinare attorno ai 400 metri di quota; il succo delle foglie viene usato come rimedio contro le punture di vespa.
    L'utilizzo medicinale della belladonna è relativamente tardivo, a causa della sua velenosità e della difficoltà di dosaggio. La pianta è stata usata come anestetico chirurgico prima dell'avvento degli anestetici di sintesi. La belladonna è stata usata in passato come veleno per le frecce, e alla morte dell'Imperatore Augusto si diffuse la voce che la moglie Livia l'avesse avvelenato con la belladonna. Nell'undicesimo secolo, gli scozzesi respinsero l'attacco degli invasori danesi avvelenando con il succo delle bacche di belladonna la birra scura dei loro rivali. Il loro capo era Macbeth, immortalato poi nell'omonima tragedia di Shakespeare.
    Un tempo nelle campagne si sconsigliava di adornarsene perché sarebbe stato di cattivo augurio e si raccomandava, quando la si voleva eliminare dal giardino o dall’orto, di sradicarla evitando di tagliarla poiché le radici mozze avrebbero nuociuto alle altre piante. Divenne anche il simbolo del Silenzio, che è uno degli attributi della morte.
    Anticamente, la superstizione popolare sosteneva che, collocando due piantine di belladonna davanti alla porta di casa avrebbe respinto gli spiriti impuri. Lo stesso effetto avrebbero ottenuto i suoi fiori e steli posti all’interno della casa.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    SETTEMBRE


    Settembre

    Triste il giardino: fresca
    scende ai fiori La pioggia...
    silenziosa trema
    l'estate, declinando alla sua fine.
    Gocciano foglie d'oro
    giù dalla grande acacia...
    Ride attonita e smorta
    Pestate dentro il suo morente sogno;
    s'attarda tra le rose,
    pensando alla sua pace;
    lentamente socchiude.


    (Hermann Hesse)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Jessica Jenney

    “Tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato,
    amaro e dolce, pioggia e sole, freddo e notte,
    è dentro di te......”

    (LUIS SEPÚLVEDA)

  10. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 039 (21 Settembre – 27 Settembre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 21 Settembre 2015
    S. MATTEO APOSTOLO

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 39
    Giorni dall'inizio dell'anno: 264/101
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 05:57 e tramonta alle 18:09 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 06:09 e tramonta alle 18:22 (ora solare)
    Luna: 13.18 (lev.) 23.22 (tram.)
    Luna: primo quarto alle ore 10.00.
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    Proverbio del giorno:
    A San Mattè l'uccellator salta in piè.
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    Aforisma del giorno:
    Una mosca morta guasta l'unguento del profumiere: un pò di follia può contare più della sapienza e dell'onore. (Ecclesiaste)









    RIFLESSIONI



    ... LA FUGA …
    ... E’ buio, fa freddo. L’ennesima notte fuori, un lampeggiante della volante accompagna col suo periodico fascio di luce rotante le ore lunghissime dell’attesa. Chilometri mangiati come fossero cioccolata per un goloso di dolci; la fatica mescolata alla speranza ed ai sogni diventa contorno di un piatto agrodolce addirittura gradevole al palato. In fila per giorni attraversando il deserto prima, le lunghe strade asfaltate, un variegato mondo di colori e di magia sospeso nelle speranze, nei sogni ed in quel desiderio di libertà lontano dalle barbarie lasciate alle spalle. Borsoni colmi di poco, di piccoli ricordi, di regali ricevuti da genitori lontani nelle case e nelle terre natie. La quarta notte fermo nello stesso posto; nel viaggio non avrei mai pensato di incontrare ciò che il cammino mi ha messo davanti. Fuggo dalla violenza e trovo guardie qui ad aspettarmi. Viviamo da fuggiaschi non più dalla violenza dei nostri luoghi di origine, siamo fuggiaschi anche qui da paesi e governanti che non ci vogliono. Guardie, militari ci cercano per arrestarci e rimandarci da dove veniamo. Ci giungono voci, di persone sgambettate dalle guardie,con figli in braccio, per farli arrestare. Muri, recinsioni e divieti di entrata. Il momento più bello? La mattina quando alle prime luci si svegliano i bambini e il loro giocare durante il giorno, il loro ridere spensierati è contagioso è infonde in tutti noi uno spiraglio di speranza e positività. Il momento più brutto? Un attimo fa, ho sentito nel sonno un “ahiiii!!!” fortissimo ed una risata più lontana. Mi sono alzato e ho camminato guidato dal suono di un pianto; era buio una luce lontana di un faro creava penombra. Mi volto e vedo una bambina, seduta in terra con gli occhi grandi colmi di lacrime. Un ditino con una goccia di sangue; si era graffiata col filo spinato messo dai militari, quegli stessi che ridevano del suo piangere. Mi sono seduto al suo fianco, lei è salita sulle mie gambe, le ho asciugato le lacrime e lei dopo un attimo di silenzio…”Perché?” io “Perché cosa, piccola?”. Lei, un copetto di tosse e “Perché ci sono quelle cose che graffiano e fanno male? Perché quei signori hanno riso al mio pianto?”. Ci sono cose facili da dire, altre complicate per non ferire. Altre talmente dolorose che ti bloccano il fiato, che ti tolgono la voglia di parlare o proferire parola. Ci ho messo un po’ a rispondere, ho camuffato la mia emozione e dolore asciugando quella goccia di sangue sul suo ditino, quando stavo cercando le parole giuste, la piccolina indica una nuvola in cielo. “Facciamo il gioco delle nuvole?Quello che diciamo la forma delle nubi in cielo?”; io ho subito accettato, volevo trovare le parole più corrette per spiegare e darle risposte alle sue domande. Un attimo dopo, tra risate e nubi in cielo, la bimba “Lo so, quei signori non sanno giocare. Tu invece lo fai, sai giocare e farmi ridere.” Un bacio sulla mia guancia. Stavolta ero io a piangere di commozione e lei a ridere delle mie lacrime. Siamo rientrati nel gruppo vicini alla volante col lampeggiante acceso. La mamma della bambina era sveglia, preoccupata dall’assenza della figlia, la bimba è salita sulle sue gambe indicava il cielo e le nuvole e rideva, rideva, ridedeva. Domani è un altro giorno dove altre speranze, sogni e desideri che correrano insieme a noi ogni attimo della giornata … Buon risveglio … Buon Settembre amici miei … (Claudio)






    Migranti: 'fatemi inciampare', autoironia virale profughi siriani
    'Datemi una giornalista maleducata e arrivo in Spagna come un eroe', scrivono sui loro profili Facebook. Con ironia e un velo di polemica su Internet molti siriani, profughi all'estero o in cerca di una via di fuga dal Paese in guerra, sperano di trovare sul loro cammino "qualcuno che mi faccia inciampare". Il riferimento è alla vicenda del siriano Osama Abdul Mohsen e di suo figlio, nei giorni scorsi arrivati sani e salvi in Spagna dopo che al confine con l'Ungheria erano stati vittime di uno sgambetto da parte di una giornalista locale, subito licenziata dall'emittente per cui seguiva l'afflusso massiccio di profughi alla frontiera. Il video amatoriale della loro caduta aveva fatto il giro del mondo, suscitando non solo l'indignazione pubblica ma anche l'interesse da parte di molti per le sorti dell'uomo e di suo figlio. "Sgambetto cercasi" è l'annuncio ironico apparso sulla bacheca Facebook di molti siriani. "Datemi una giornalista maleducata e arrivo in Spagna come un eroe", scrivono altri sui loro profili. Abdul Mohsen e suo figlio sono ora ospitati a Getafe, vicino Madrid. A loro è stata offerta una casa, una scuola per il bambino e un lavoro per il padre.
    (Ansa)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Estate…

    Pioggia d'estate

    Tra ombra e sole,
    un lampo giallo... un tuono lungo... e poi
    acqua a rovesci
    su l'assetato, polveroso bosco.
    Fili d'argento
    (aghi lucenti di ricamatrice)
    tagliano obliqui
    la verdazzurra semioscurità;
    rapidamente
    sfiorano i tronchi, lavano le foglie,
    e poi leggeri
    tra i fiori e l'erbe a terra si disfanno.
    Nei lor rifugi
    gli animaletti pavidi e felici
    seguon l'incanto
    per cui l'aria d'un tratto splende e odora.
    Fatto sonoro,
    il bosco vibra con un rombo d'organo:
    unica nota
    che poi dilegua a poco a poco e muore.
    L'ultime gocce,
    tinnule e gravi, pallide e lucenti,
    su foglie e tronchi
    battono ancora quando il sol ritorna.
    . Il bosco splende;
    e la vita - festosa - ecco riprende.
    (Pucci)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Black

    La notizia fece il giro del grosso condominio in pochi secondi.
    Black era morto alle ore 10 di una mattina solare che prometteva caldo anche se sulle cime circostanti c'era la neve.
    Gli occhi di Sonny, 14 anni come Black, erano umidi e profondi come quelli del suo bastardino.
    Lo aveva chiamato Black perché era quasi tutto nero, solo pochi peli sulla pancia bianchi, ed una macchia sull'orecchio sinistro.
    -No! non è bastardo- aveva gridato Sonny quando l'aveva trovato. La mamma prima gli aveva detto:
    -Ma è un bastardino...devi almeno portarlo prima dal dottore per vedere se ha malattie prima di portarlo a casa-
    -Non è bastardo-aveva ancora gridato Sonny- è di razza lui, è...è...è razza Fantasia!-
    I genitori avevano sorriso felici a quella esclamazione, contenti della bontà del loro figliolo.
    - Va bene, ora lo portiamo dal dottore e dopo le solite vaccinazioni lo portiamo a casa, ma ci penserai solo tu alle sue cose, noi abbiamo già tanti impegni-aveva detto la mamma fingendo grande serietà.
    Sonny era davvero felice, aveva solo 3 anni quando aveva trovato il cane. Il dottore disse che tutto era a posto, che aveva circa 3 anni e che dopo un lauto pasto sarebbe stato ancora meglio.
    Fu così che Black entrò in famiglia e nella mente e nel cuore di Sonny.
    Si parlavano, o meglio Sonny parlava a Black, dei suoi giocattoli rubati a scuola, del fatto che non sapesse disegnare , di tutte le cose che non sapeva fare e del suo orgoglio di nascondere a tutti le sue incertezze. Ma Black sapeva ogni piccola cosa del suo padroncino.
    Crescevano insieme, avevano la stessa età, gli stessi occhi scuri e dolci, e bastava uno sguardo ormai senza parole per intendersi, crescevano anche di altezza, Sonny sempre più somigliante al papà e Black somigliante ad un pastore o chissà che razza di alta statura, ma si...razza fantasia...aveva detto bene il piccolo Sonny quando l'aveva trovato!
    Erano trascorsi undici anni, insieme in vacanza e nei rimproveri. Nelle corse sui monti d'estate e nei giardini del parco della sua città d'inverno. D'estate al mare si alzavano presto la mattina per andare a fare il bagno insieme, perché alla spiaggia attrezzata frequentata dai suoi non era permesso portare cani. Insieme anche a scuola o in biblioteca. Sonny dentro a studiare Black fuori sempre calmo in attesa del suo amico, e per nulla si sarebbe mai mosso di là.
    Ora, alle 10, è tutto finito. Lo strazio dei suoi guaiti e dei pianti di Sonny....tutto finito.
    Il dottore aveva detto già da 4 mesi che un cancro violento aveva abbarbicato quasi tutti gli organi del suo amico, ma Sonny aveva resistito 4 mesi prima di decidersi a fargli fare la puntura.
    Gli era sembrato come se fosse lui a condannarlo a morte e non la malattia.
    Dopo le ultime notti piene di dolori violenti si era deciso e alle 10 di quel mattino Black regalava l'ultimo sguardo al mondo.
    Sonny si tuffa nei suoi cuscini del letto e piange. Ormai è grande e non vuole conforto dai genitori, solo un pianto di sfogo poi tutto come prima...o quasi...
    Sempre orgoglioso, solo con Black aveva trovato il modo di confidarsi le piccole-grandi pene della sua vita giovane.
    Mette in alcune cornici delle foto di Black, togliendo delle vecchie foto di quando era bambino, le sistema sulle mensole vicino al letto e poi studia.
    -Ma chi ha detto che esiste solo l'anima degli uomini?- chiede un cane nero ad altri cani che passeggiano sotto il sole in giardini rigogliosi.
    -Eh solo gli uomini sono così presuntuosi da credere che solo loro hanno un ‘anima- sospira una cagnetta dal nasino all'insù...
    -si si, vero, solo gli uomini- ripete un cagnolone che sembra un s. bernardo
    Black si guarda intorno, si da una grattatina e si accorge di non avere nessuna ferita, nessuna malattia.
    -Ehi ma dove sono?- chiede incuriosito e stralunato.
    - Come dove sei mio caro- chiede una deliziosa cagnetta dal pelo candido e lungo
    -Ma sei nel nostro paradiso, da qui noi guardiamo i nostri padroni, quelli che ci hanno amato davvero, se invece ci hanno pestato e malmenato non li vediamo mai. E' un piccolo regalo per noi animali dopo la morte sulla terra.-
    Black è frastornato, quasi intontito.
    Possibile mai che esiste il paradiso degli animali...pensa tra sé.
    La bianca cagnetta, Desirè, gli legge nel pensiero e dice:
    - si si, è vero, siamo nel nostro paradiso, qui si vive sempre bene, e quando il nostro padrone muore se lui vuole possiamo raggiungerlo e vivere nel paradiso degli uomini-
    Incredibile , pensa Black, davvero incredibile, e si comincia a fare tante domande nella sua mente quando all'improvviso un altezzoso alano di nome King gli si avvicina e gli dice:
    -Mi hanno detto che eri molto felice col tuo padroncino, vuoi che lui venga qui e vivere insieme per sempre?-
    -Oddio no, non lo voglio, non voglio che lui muoia per stare con me, cosa si può fare per farlo stare bene senza farlo morire?
    Il suono di piccole campanelle interrompe i discorsi, tutti i cani, ma proprio tutti, si mettono in fila e si dirigono verso la stessa parte.
    -Che succede ora- chiede Black
    - E ‘ l'ora del pranzo, non hai fame? ora mangiamo tutti poi si gioca, si corre, andiamo a chiacchierare fra noi e con altri animali che sono qui e chi ha il padrone in paradiso lo va a trovare-
    Sempre più esterrefatto Black continua la sua avventura e va insieme agli altri cani....
    In una grande aiuola con tanta erba si ritrovano molti animali, non solo cani ma anche gatti, pappagalli, passerotti e tanti altri che sulla Terra avevano avuti padroncini affettuosi e non.
    Perfino nelle fontane di marmo bianco, grandi vasche decorate con tante piccole statue, c'erano tanti pesci di ogni colore che avevano avuto breve vita terrena...
    Black sente commenti di ogni genere, con calma e gentilezza si avvicina ora ad uno e poi ad un altro per capire bene e per orizzontarsi meglio.
    Ancora gli sembra tutto troppo bello e quasi non crede...
    Altri cani, che tra loro chiacchierano di tutto, lo chiamano per conoscerlo:
    - Ehi Black- lo chiama King- piano piano cerca di fare amicizia con tutti così sarai in compagnia fino a quando il tuo padrone non verrà qui, se se lo meriterà!
    - E come potrebbe fare per meritarselo?-
    -Semplice...dovrebbe comportarsi sempre bene come ha fatto con te, poi invecchierà e morirà e poi verrà qui, prenderà te e andrà nel suo paradiso.
    -Uhm...-pensò la bestiola- sembra facile!Poi Sonny è così buono con me ma con tutti gli altri è bizzoso e irruento e qualche volta pure impertinente....
    -Senti King- chiese Black al grosso alano- ma come potrei fare per far sì che Sonny rimanga sempre un ragazzo dolce e amichevole così da guadagnarsi il paradiso?
    -Bah...uff....- bofonchiò il vecchio alano- dovrebbe avere un altro te per tutta la vita...non saprei diversamente...-
    - e come si può fare?-
    -Ma non lo so...uff....e va bene andiamo a chiedere all'Angelo guardiano, va bene? Vieni su...
    -Angelo guardiano...nel paradiso degli animali?-
    -Ahhhhh...ma sei duro di orecchi allora....siamo animali si ma abbiamo tutti un'anima...Ma scusa..secondo te il Signore Creatore di tutto perché doveva fare l'anima agli uomini e a noi no? Anche noi viviamo, anche noi camminiamo e mangiamo, facciamo figli, ci guadagniamo la nostra vita con sacrifici, solo che parliamo diversamente dagli uomini...ecco tutto!
    Sempre più sbalordito dal ragionamento che calzava a pennello, Black si mette a ruota di King per raggiungere l'Angelo guardiano.
    Pochi minuti e, tra fiori profumati e verdi foglie, un angelo dalle ali grandi e tutte bianche va loro incontro:
    - Ciao King, fatto amicizia con il nuovo venuto?-
    -Ma..ma tu mi conosci?-chiede Black
    - Ma certo caro, sono sempre io che vi porto qui subito dopo la morte sulla Terra, da questa mia postazione io vedo tutto, e so subito quando devo scendere giù per venire a prendere qualcuno di voi-
    -E hai visto il mio padroncino che piangeva?-
    -Certo che l'ho visto...era tanto triste e spero davvero che il signor Tempo faccia subito effetto su di lui e lo faccia guarire dalla tristezza-
    - E tu non potresti fare qualcosa per farlo stare bene subito e fargli guadagnare sicuro il paradiso dopo morto?-
    -Certo che no-esclama l'angelo- e come potrei....è Sonny che deve imparare a essere sempre buono così da guadagnarsi il paradiso-
    -Si lo so...però non posso fare nulla per aiutarlo? Gli voglio bene sai...e sarei triste io se lui non venisse in paradiso!
    -Beh...avrebbe bisogno di un altro cane che lo amasse tanto, come hai fatto tu, e anzi avrebbe bisogno di tanti cani quanto lunga sarà la sua vita.
    -Se qualcuno gli regalasse un altro cane e poi dopo la sua morte un altro ancora e ancora un altro e così via....?
    -Ecco si, hai capito , così dovrebbe essere-rispose il guardiano
    - e noi non possiamo cominciare ad aiutarlo a regalargli un altro cane, solo uno... per favore...-
    L'angelo si gratta l'ala sinistra e pensa...
    -si forse qualcosa si può fare...ora vado a chiedere al mio collega del paradiso degli uomini, voi mi raccomando non fate pasticci che torno subito!
    Tutti contenti si siedono nel giardino tutto colorato in attesa del guardiano.
    Black intanto si guarda ancora intorno, cammina un po' e conosce tanti altri animali, un gatto rosso con la coda mozza...un pappagallo che canta...una cagnolina molto carina con un occhio nero sul pelo tutto bianco.
    -Ciao ..chi sei? Io mi chiamo Kelly e tu?-
    -Io sono Black..piacere di conoscerti ....ma..ti vedo triste come mai?
    -Perché io sono arrivata qui ieri e ho lasciato i miei tre cuccioli da soli, chissà che faranno senza di me, chissà se il padrone li curerà..-ed una lacrima scendeva giù dal ciglio umido dei suoi occhietti...
    A Black venne un'idea e andò subito dal guardiano che stava tornando:
    -Angelo..angelo...-gridava con tanto fiato- ho trovato un'idea, e cominciò a parlare di corsa senza prendere fiato- si potrebbe fare in modo che uno dei cuccioli di Kelly arrivasse fino a Sonny...
    -In effetti somiglia alla mia idea questa che hai avuto..va bene, l'angelo guardiano del paradiso degli uomini mi aiuterà. Questa notte ci penseremo noi, non preoccuparti più.
    E tutti felici delle rassicurazioni andarono tutti via a riposare.
    A casa Sonny stava finendo i compiti, un tema di storia che non gli era piaciuto affatto, ma doveva farlo per forza. A lui piaceva studiare scienze e chimica, anche la matematica gli stava bene, ma la storia e scrivere i temi no, proprio no!
    -Finito Sonny?-gridò la mamma dal fondo delle scale-dai su aiutami in cucina, e butta la spazzatura ...mi raccomando!-
    Sonni ubbidisce sbuffando, lo sa bene che la mamma è stanza la sera e l'aiuta sempre quando il padre è fuori di turno al lavoro. Entra in cucina, lega i sacchetti di spazzatura , mette il giubbino jeans ed esce nel giardino per andare a depositare nei grossi secchioni.
    Sta per far rotolare i sacchetti quando sente dei lamenti da un pacchetto di carta da imballaggio che è per terra. Si accoccola, apre e guarda: 3 cuccioli bianchissimi con una macchia nera sugli occhi tremano di freddo tra le sue mani. Sonny si sente per un attimo spaesato, pensa ancora a l suo Black morto da soli due giorni e poi decide di prendere i cuccioli.
    - mamma..mamma...guarda...-
    La mamma capisce subito, inutile ora dire altro:- Allora..che aspetti ad andare dal veterinario? sei ancora qui?-
    Di corsa Sonny, con i cuccioli sotto la camicia, va dal dottore, lo chiama, suona tante volte il campanello fino a quando non gli apre:
    -eeeee...e va bene Sonny...a quest'ora...non potevi aspettare domani?-
    -No dottore...guardi chi ho trovato vicino la spazzatura, e gli porge il fagottino con i tre cuccioli ancora addormentati-
    -Ehi Sonny...ancora razza fantasia eh?-
    Sorridono insieme, mentre il dottore prepara una cuccia riscaldata e del latte in un piccolo biberon
    -Vieni domani sera prima di cena, e vediamo cosa possiamo fare ancora per questi cuccioli, per stasera e domattina sarà meglio che restino qui con me che ho gli strumenti adatti per loro
    Contento della soluzione, Sonny va via
    -A domani dott.-
    -A domani ragazzo!-
    Dopo diversi giorni di cuccia riscaldata e biberon i cuccioli aprono gli occhi e cominciano a camminare, e Sonny li porta a casa sua. Ogni sera il dott. passa da lui per un caffè e per vedere come va...
    Una di queste sere il dott. gli dice:
    -Sonny ma hai deciso cosa fare dopo la scuola superiore?-
    -ma..non so bene ancora..-
    -Sai ragazzo...pensavo...saresti un veterinario perfetto tu. Ti piacciono le materie scientifiche, ti piacciono tanto gli animali, perché non studi veterinaria? Pensa quanti animali potresti guarire, faresti qualcosa che ti piacerebbe davvero e tua madre sarebbe felice di avere un figliolo laureato...Inoltre sarei contento io...Vedi io non ho figli, e fra una decina d'anni andrò in pensione, sarei felice di lasciarti lo studio perché so che faresti il possibile per esser un bravo dottore.-
    Sonny resta turbato da quelle parole, quell'uomo che lo conosceva da tanto eppure lui mai gli aveva detto delle sue preferenze scolastiche o dei suoi crucci. Però aveva ragione, le materie scientifiche gli piacevano davvero e ora lui riconosce che il suo sogno è davvero fare il veterinario, aiutare i cani e i gatti che lui ha sempre amato tanto...
    -Come sai che mi piacciono le materie scientifiche dott.-chiede Sonny troppo incuriosito
    -L'ho capito da come ti interessavi delle medicine che davo al tuo cane, da come lo curavi e dall'amore che gli davi, ti si legge negli occhi sai?-
    Sonny gli sorride e gli da la mano.
    -Ok dott. cercherò di farcela, se poi ogni tanto vieni qui per un caffè a vedere come me la cavo...-
    Dal paradiso degli animali Black e Kelly guardano il destino di Sonny e dei tre cagnolini.
    I tre cuccioli crescono, a loro volta hanno dei cuccioli, rimangono sempre con Sonny, lo aiutano a studiare facendogli compagnia, il tempo passa, la vita scorre, Sonny diventa dottore, i cuccioli diventano grandi e poi muoiono, Sonny ha sempre con sé altri cuccioli, cura altri animali con affetto, e dal paradiso Black e Kelly osservano felici.
    -Blackkkk....-lo chiama con forza Kelly- vieni su..dai..guarda chi c'è...
    E' l'alba rosa nel suo paradiso e apre gli occhi e...il suo padroncino Sonny è con lui, meravigliato del posto, non capisce dove sta!
    -Vedi Sonny...tu credevi che solo gli uomini avessero l'anima invece anche noi ed ora possiamo parlarci davvero e capirci!-
    Sonny stralunato si guarda intorno mentre vede Kelly che saluta Black aprendo da sotto il bianco pelo due piccole ali:
    -Ora posso andare via, io sono il cane angelo che aiuta i cani in difficoltà in paradiso-dice a Black- ora che è arrivato Sonny potete andare nel suo paradiso per sempre lì troverete già molti altri cani che Sonny ha ben curato e amato, io torno al mio lavoro.
    Sonny e Black vanno insieme nei loro giardini rigogliosi, mentre il profumo dei fiori li avvolge. Camminano lentamente, hanno tanto da dirsi e tanto tempo ormai...

    (isaefrenk)



    ATTUALITA’


    Alzheimer, oggi giornata mondiale, il mondo si tinge di viola.

    Ogni 3 secondi, nel mondo, una persona si ammala di demenza. Ogni 3 secondi, nel mondo, una persona si ammala di demenza, l'Alzheimer è la forma più comune perché rappresenta il 60% di tutti i casi. Questi i dati epidemiologici dell'ultimo Rapporto mondiale Alzheimer 2015, diffusi dalla Federazione Alzheimer Italia: oltre 46 milioni le persone affette in tutto il mondo, di cui 1.241.000 nella sola Italia. Il Rapporto sottolinea poi come le stime ne prevedono 74,7 milioni nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050 e nel nostro paese, secondo le stime, le persone con demenza saranno ben 1.609.000 nel 2030 e 2.272.000 nel 2050.

    "I nuovi casi nel 2015 sono 269.000 e i costi ammontano a 37,6 miliardi di euro", sottolinea Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia: "Alla luce di questi nuovi dati - aggiunge - , chiediamo al governo di mettere in atto il Piano nazionale demenze, assegnandogli i finanziamenti adeguati per supportare concretamente i malati e le loro famiglie". Oggi si celebra la XVII Giornata Mondiale dell'Alzheimer.

    Un giorno tinto di viola, il colore della malattia, dove si potranno lanciare campagne di attenzione o raccolte di fondi basate su oggetti di quella tonalità o sui fiori "non ti scordar di me". L'Alzheimer e' un processo degenerativo che colpisce progressivamente le cellule cerebrali, provocando il declino progressivo delle funzioni cognitive e il deterioramento della personalità e della vita di relazione. Indispensabili sono i continui progressi della ricerca scientifica: ultimamente l'attenzione si e' concentrata su due nuovi studi su questa malattia e sulla sua possibile genesi, mentre una ricerca inglese ipotizza che possa essere addirittura contagiosa come una malattia infettiva.

    Il nuovo studio condotto dall'Università di Verona, fornisce un contributo fondamentale nella conoscenza della genesi dell'Alzheimer, gettando luce sul ruolo inaspettato delle cellule del sistema immunitario, i globuli bianchi (chiamati anche leucociti), nell'induzione della patologia. Mentre l'ipotesi avanzata da un gruppo di ricercatori dell'University College di Londra in uno studio pubblicato su "Nature" che hanno analizzato il cervello di 8 persone morte per la malattia di Creutzfeldt-Jakob - il cosiddetto morbo della "mucca pazza". I ricercatori hanno osservato che, nel cervello di queste persone, e nelle pareti dei vasi sanguigni, vi erano tracce di placche della proteina beta-amiloide, caratteristiche dell'Alzheimer.

    Da qui l'ipotesi estrema che l'Alzheimer possa essere contagioso come lo è il morbo della mucca pazza. Una tesi che ha bisogno ancora di molte altre conferme ma che ha scatenato immediatamente preoccupazioni e polemiche anche alla luce del forte aumento di casi previsto.
    (Ansa)





    Scuola, metà degli edifici sono da rottamare.

    L’allarme del Rapporto di Cittadinanzattiva. Senza manutenzione, senza scale di sicurezza, senza decoro. E perfino senza carta igienica. Ma con 340 incidenti lo scorso anno. L’allarme del Rapporto di Cittadinanzattiva. Mentre partono l’Anagrafe dell’edilizia scolastica e il piano triennale d’intervento.

    Su cento edifici scolastici, 40 hanno una manutenzione carente per cui sono più le cose rotte che quelle che funzionano. 20 hanno lesioni strutturali serie e nel 50% dei casi nessuno ci ha ancora messo mano. Ma la madre di tutte le grane è che metà delle scuole italiane è stata costruita in aree a rischio sismico e una su dieci a rischio idrogeologico, con buona pace di chi a suo tempo ha dato le autorizzazioni edilizie. A leggere il malloppone del XIII Rapporto di Cittadinanzattiva sulla sicurezza delle scuole, sono queste le emergenze rilevate da Skuola.net . Tanto più che il dramma è ormai annoso, così come lo sono le promesse di intervento.

    Oggi il quadro di politica scolastica su questi temi è diverso rispetto a quello di un anno fa, perché a giugno è stata attivata l’Anagrafe degli edifici scolastici e perché- soprattutto –nella legge sulla “buona scuola” c’è un piano di intervento triennale proprio sull’edilizia. Ma i miracoli non si fanno in pochi mesi e così – rileva il Rapporto – la situazione effettiva è ancora a carissimo amico. Come i dati evidenziano impietosamente.

    Il 73% delle scuole monitorate è situato in zona a rischio sismico, il 14% in zona a rischio idrogeologico, il 4% in zona a rischio industriale, il 5% a rischio vulcanico, il 5% in zona a elevato inquinamento acustico.

    Quaranta edifici su cento non sanno cosa sia la manutenzione: il 21% presenta lesioni strutturali serie e pericolose. Il 15% delle aule mostra distacchi di intonaco o segni di fatiscenza. Sono rotti o inutilizzabili il 20% dei banchi e il 18% delle sedie, mentre metà degli arredi non è a norma. I presidi –beninteso - protestano e supplicano, ma gli “enti proprietari” (comuni o province) fanno orecchie da mercante in quasi un caso su 5. Il preside del Liceo Troja di Andria – per esempio - ha invitato i ragazzi a portarsi sedia e banco da casa perché ne mancano all'appello 60 e la scuola non può comprarli.

    E ancora: un quinto de cortili scolastici funge da deposito merci di varia natura ed ha una recinzione fatiscente. Il 42% dei bagni è sprovvisto di carta igienica (è la cosa di cui ci si lamenta di più) , il 53% di sapone, il 77% di asciugamani e il 49% di scopini per il wc.
    Le scale di sicurezza mancano in una scuola su quattro, le vetrate sono a norma solo in un terzo dei casi , le porte con apertura antipanico sono assenti nel 74% delle aule, nell’89% dei bagni, nel 65% delle aule computer, nel 54% dei laboratori, nel 47% delle mense e nel 37% delle palestre e anche nel 15% dei cortili dove sarebbero obbligatorie per legge. E via elencando, in una pianto greco che non risparmia neppure la sicurezza degli impianti elettrici e di quelli antincendio oltre ai sistemi di accessibilità per i disabili. Con il risultato che solo lo scorso anno si sono registrati 340 incidenti.

    Come se non bastasse ci si mettono i “bulli” a dare il colpo di grazia: “gli episodi di bullismo – lamenta il Rapporto - nell’ultimo anno hanno interessato il 36% degli istituti monitorati (lo scorso anno era solo il 10%). Una scuola su tre ha subito nell’ultimo anno atti di vandalismo, il 14% anche episodi di criminalità all’interno e il 9% nei pressi dell’edificio”.

    E sui finanziamenti ricevuti con #scuolebelle (il piano ministeriale per restituire gli edifici scolastici al proprio decoro – ndr) , i dirigenti ringraziano ma rilanciano: “uno su tre – dice Cittadinanzattiva - non aveva richiesto quel tipo di interventi e sette su dieci dichiarano che la propria scuola aveva bisogno di interventi ben più urgenti”. Insomma, troppa grazia Sant’Antonio, e soprattutto non quella invocata.
    “Vorremmo poter condividere l’ottimismo del Ministero dell’Istruzione quando afferma che con l’Anagrafe “conosciamo le condizioni di ogni edificio scolastico” e che in quattro anni tutte le scuole saranno sicure”, commenta Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale scuola di Cittadinanzattiva. “In realtà l’Anagrafe dell’edilizia scolastica, come dimostriamo oggi, presenta dati, per una parte dei comuni e delle regioni, ancora approssimativi, non aggiornati, poco chiari. Meglio evitare toni rassicuranti sulla sua reale efficacia e sullo stato delle scuole italiane. Chiediamo agli amministratori e ai dirigenti di comuni e regioni, soprattutto del Sud e delle Isole, di fare la loro parte sull’edilizia scolastica.

    Se esiste un gap geografico tra i finanziamenti erogati molto è dovuto alla capacità e alla competenza delle amministrazioni locali di decidere prima e di investire poi su questa grave emergenza. Pur apprezzando l’impegno dimostrato dal Governo sull’edilizia scolastica con il piano triennale di finanziamenti e i provvedimenti contenuti nella Legge n.107/2015, chiediamo allo stesso di modificare ciò che si dimostri non efficace, come gli interventi di “scuole belle”, di considerare i cittadini e le organizzazioni impegnate su questo fronte alleati preziosi e non disturbatori indesiderati, di vigilare con controlli diretti e sanzioni adeguate per chi speculasse sulla sicurezza dei bambini”.
    In conclusione un dato geografico ampiamente prevedibile, e cioè che tutto questo al Sud è ancora peggio: “Abbiamo appurato – dice il Rapporto - che le maggiori lacune si registrano proprio per le scuole appartenenti alle 6 regioni che hanno provveduto ad inserire i dati solo dalla fine di giugno: Campania, Sicilia, Lazio, Sardegna, Basilicata, Calabria”.
    (Ansa)





    Miss Italia 2015, vince Alice Sabatini dal Lazio. Simona Ventura sul palco con Morgan, Facchinetti e Ferreri.

    Claudio Amendola incorona la vincitrice. La reginetta vince abiti, gioielli, contratti e borsa di studio. Podio all'insegna del Lazio a Miss Italia, con Claudio Amendola che incorona la reginetta del 2015, la 18enne Alice Sabatini, di Montalto di Castro (Viterbo), alta 1,78 con occhi marroni e capelli castani molto corti, in controtendenza con le altre 32 finaliste. Alice è anche vincitrice dei titoli Miss Cinema, Miss Compagnia della Bellezza e Miss Diva e Donna. Giocatrice di basket, "un po' mascolina" secondo qualcuno, "femminile" per altri, Alice sbaraglia le concorrenti con la sua semplicità.

    Batte nella volata finale Letizia Moschin, seconda classificata, e Vincenza Botti, terza. Tre ragazze procaci, immagine di un'Italia sana, sportiva e godereccia, alla conquista della corona nel giorno del compleanno di Sofia Loren, per la quale venne ideata la fascia di Miss Eleganza.

    Una serata divertente e frizzante. Al grido-slogan della conduttrice 'Don't miss le miss', porta, passo dopo passo, con il voto incrociato di giuria e pubblico da casa, al tris di finaliste provenienti da Lazio, Veneto e Campania, interrompendo la tradizione degli ultimi anni che ha premiato tre Miss Italia siciliane consecutive: Giusy Buscemi, Giulia Arena e la reginetta uscente Clarissa Marchese.

    La gara boccia nelle prime fasi Ahlam e Osaremen, la prima di origine marocchine, la seconda italo-nigeriana, divenute ragazze simbolo di questa 76/a edizione del concorso. Prima della trasmissione, appare in video Sara Ventura, sorella della padrona di casa, che apre l'anteprima di Miss Italia con la presentazione dei tre giudici-coach: Joe Bastianich, Vadimir Luxuria e Claudio Amendola, ognuno tutor di una squadra di 11 miss.

    E' poi la volta di Massimo Ferrero, l'eccentrico presidente della Sampdoria, in veste di guastatore e commentatore della gara 'a bordo campo'. All'inizio si aggira spaesato tra palco e platea, poi gli viene assegnato un posto su una poltrona e da lì dispensa aneddoti e 'perle' di saggezza. Al microfonista dice: "Se me chiudi il microfono mentre parlo, me ne vado!", poi si rasserena e, fuori onda, va da Amendola con la bandiera blucerchiata sulla giacca e scherza con lui.

    Il popolo del web invoca un balletto Ferrero-Luxuria, ma Simona Ventura evita il siparietto, recuperato poi con una giravolta e un inchino del presidente ai piedi di Vladimir.



    Intanto l'hashtag #missitalia vola su Twitter ed è primo trending topic in Italia e quinto a livello mondiale. Luxuria, la sorpresa della giuria, dice di essere qui per cercare "una bellezza che non deve turbare, ma rassicurare e che possa piacere a tutte le donne, quelle che così sono nate e quelle che lo sono diventate". Per la finale di Miss Italia, oltre a chiamare Vladimir, vecchia conoscenza dell'Isola dei Famosi, Simona Ventura ha riunito a Jesolo intorno a sé anche un bel pezzo di X Factor, con Morgan, arrivato al pala Arrex di Jesolo sfrecciando su uno skateboard dopo il travagliato addio al talent, con Giusy Ferreri, in coppia con Baby-K (al terzo disco di platino con la hit estiva 'Roma-Bangkok'), e Francesco Facchinetti, nella postazione di Radio Kiss Kiss con Pippo Pelo.

    Le altre vincitrici di titoli nazionali sono: Miss Cotonella Viola Martina Porta, Miss Miluna Anita Roncari, Miss Rocchetta Bellezza Noemi Bosco, Miss Sport Lotto Letizia Moschin, Miss Equilibra Valeria Valentini, Miss Eleganza Joseph Ribkoff Chiara Giuffrida, Miss Sorriso Blanx Francesca Busti, Miss Simpatia Interflora e Miss Tv Sorrisi e Canzoni Ginevra Bertolani e la Curvy di Miss Italia Keyrà Vincenza Botti, scelta anche come voce di Radio Kiss Kiss. Martina Asia Galvagno, 19 anni, è invece Miss Kia 2015.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Sangue del mio sangue




    locandina


    Un film di Marco Bellocchio. Con Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Filippo Timi, Lidiya Liberman, Fausto Russo Alesi.


    Enigmatico, svincolato e sfuggente, Sangue del mio sangue è un film che affronta la Storia e (ancora una volta) la biografia del suo autore attraverso una declinazione libera.
    Marzia Gandolfi


    Bobbio, ieri. Federico, uomo d'arme a cavallo, bussa alla porta di un convento per riabilitare la memoria di Fabrizio, il fratello sacerdote morto suicida. Del gesto estremo è accusata Benedetta, una giovane suora che secondo l'Inquisizione lo avrebbe amato, sedotto e condotto alla follia. Ma la vendetta di Federico volge presto in desiderio. Refrattaria al pentimento e agita dal piacere, Benedetta è condannata alla prigione perpetua e murata viva in una cella del convento. 'Graziata' trent'anni dopo da Federico, diventato cardinale, Benedetta incrocerà di nuovo il suo sguardo, piombandolo a terra. Bobbio, oggi. Federico, sedicente ispettore del Ministero, bussa al medesimo convento. Lo accompagna un miliardario russo che vorrebbe acquistare l'antico complesso. Apparentemente abbandonato ai capricci delle stagioni e all'incuria del comune, il convento è abitato da un enigmatico conte, che ha abbandonato i vivi per i redivivi. Coniuge 'estinto' di una vedova (in)consolabile, il conte lascia la sua cella di notte e attraversa il paese interrogando amici e nemici sullo 'stato delle cose'. Cose che cambiano sotto la spinta del 'nuovo'.
    Enigmatico, svincolato e sfuggente, Sangue del mio sangue è un film che affronta la Storia e (ancora una volta) la biografia del suo autore attraverso una declinazione libera, una rielaborazione del materiale narrativo sganciata da qualsiasi aderenza o fedeltà. Traslocato di nuovo il suo cinema a Bobbio, estensione di un corpo individuale, familiare e sociale in procinto di esplodere ieri e di 'risolversi' oggi, Marco Bellocchio non è mai pago di sperimentare e di sperimentarsi, andando contro o rivedendo il sé che era. Sangue del mio sangue porta addosso i segni di questo lavoro paziente e faticoso di messa in discussione, sprigionando un'energia abbagliante, una sintesi di rigore, semplicità, essenzialità, movimento, fisica, chimica, storia, filosofia, mistero.
    Per Bellocchio le immagini veramente vive nascono dal passato dimenticato e trasformato dalla nostra fantasia interna, che combina la vicenda di una monaca 'manzoniana', accusata di stregoneria nell'Italia del '600, con un lutto personale già drammatizzato ne Gli occhi, la bocca, un fratello morto per amore accende il desiderio erotico (e di vendetta) del sopravvissuto. Ambientato in una realtà indeterminata, in cui fluttuano situazioni contemporanee e squarci antichi resi anonimi dalla collocazione notturna ma esaltati da una fotografia che emerge i volti dal buio, Sangue del mio sangue è rapito dalla visione di un movimento e sedotto da una presenza femminile (Lidiya Liberman). Un femminile che ha funzione di anima, di chi, con buona pace dei tribunali inquisitori, può condurre alla luce, fuori dal buio delle costrizioni e degli schemi in cui è imprigionato (idealmente) Federico e viene imprigionata (letteralmente) Benedetta.
    Come fu per La visione del sabba, Sangue del mio sangue suggerisce la strega come emblema della femminilità irriducibile agli schemi del potere maschile e poi si lascia sopraffare dalla forza delle immagini, magnetiche, ardenti e vere padrone del film. Perché Bellocchio, dentro uno spazio patologico dove la geografia finisce per coincidere con la psicologia sociale, torna al fiume, alla fonte, alle origini della vita, là dove le immagini si sono formate per la prima volta davanti ai suoi occhi. E nello spazio domestico, nel piccolo borgo che delineava nei suoi protagonisti un itinerario ripetitivo e un orizzonte bloccato, il suo Federico si libera del complesso armamentario di intelletto e pregiudizio, per lasciarsi trascinare dalla 'strega', partecipare delle sue visioni, del passato che attraversa indenne. Richiamo affettivo e sessuale irresistibile, Benedetta ha il 'passo' della Gradiva (L'ora di religione), che schianta l'inquisitore e rade al suolo l'orrore, imponendo grazia e bellezza.
    Ambientato tra due epoche e 'interrotto' dal progresso (la statale 45) come il Ponte Gobbo, Sangue del mio sangue deflagra nel capitolo contemporaneo il campo di tensioni immanenti alla provincia e al provincialismo italiano. In quel sistema di tensioni familiari e sociali, Bellocchio accomoda figli e fratelli, attori professionisti e non per continuare una diagnosi su quella cellula territoriale imprescindibile, espressione di un modo di vivere e di concepire il rapporto tra il qui e l'altrove. Lungo il fiume, dentro inquadrature che scavano nella memoria e piani che affiorano un'intensità violenta, il cavaliere sonnambulo di Pier Giorgio Bellocchio incarna un'idea di battaglia, piuttosto che la battaglia, secondo un principio di economia radicale che fa eco alla regia paterna alla ricerca incessante di una forma di pace interiore.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    Qualunque cosa tu faccia, la più terribile, la più dolorosa, per te ha un senso, no? Nella tua testa... Nessuno può pensare veramente di essere un mostro. [...] Forse prendi il passato e lo metti in una stanza, lo metti in cantina. Chiudi bene a chiave e non ci torni più. Io faccio così. [...] Poi incontri una persona speciale e vorresti soltanto consegnargli la chiave. E dirgli: "Apri, dai. Entra!". Ma non puoi farlo. Perché è buio lì. Pieno di demoni. E se qualcuno vedesse come è brutto lì dentro. [...] Io lo desidero, sai? Spalancare la porta per... sì, ripulire la stanza, far entrare la luce. Vorrei una gigantesca gomma da cancellare e cancellare tutto. Cominciando da me stesso. (Tom)


    IL TALENTO DI MR. RIPLEY


    Titolo originale The Talented Mr. Ripley
    Paese di produzione USA
    Anno 1999
    Durata 139 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere drammatico, commedia drammatica, thriller
    Regia Anthony Minghella
    Soggetto Patricia Highsmith
    Sceneggiatura Anthony Minghella
    Produttore William Horberg, Tom Sternberg
    Fotografia John Seale
    Montaggio Walter Murch
    Musiche Gabriel Yared
    Scenografia Roy Walker
    Costumi Ann Roth, Gary Jones



    Interpreti e personaggi

    Matt Damon: Tom Ripley
    Gwyneth Paltrow: Marge Sherwood
    Jude Law: Dickie Greenleaf
    Cate Blanchett: Meredith Logue
    Philip Seymour Hoffman: Freddie Miles
    Jack Davenport: Peter Smith-Kingsley
    Sergio Rubini: ispettore Giovanni Roverini
    James Rebhorn: Herbert Richard Greenleaf
    Lisa Eichhorn: Emily Greenleaf
    Philip Baker Hall: detective Alvin MacCarron
    Celia Weston: zia Joan
    Rosario Fiorello: Fausto
    Ludovica Tinghi: fidanzata di Fausto
    Stefania Rocca: Silvana
    Beppe Fiorello: fidanzato di Silvana
    Alessandra Vanzi: madre di Silvana
    Marco Quaglia: fratello di Silvana
    Ivano Marescotti: colonnello Verrecchia
    Alessandro Fabrizi: sergente Baggio
    Anna Longhi: signora Buffi
    Silvana Bosi: Ermelinda
    Gretchen Egolf: Fran
    Brian Tarantina
    Paolo Calabresi
    Massimo Reale

    Premi

    2000 - Premio BAFTA
    Miglior attore non protagonista a Jude Law


    TRAMA



    Il giovane e misterioso Tom Ripley viene ingaggiato dal facoltoso Herbert Greenleaf per andare in Italia a recuperare il figlio Dickie, che sperpera la rendita familiare con la fidanzata Marge e una serie di amici usa e getta. Tom farà il doppio gioco, intascando la retta del signor Greenleaf e godendo dei privilegi del giovane rampollo. Ben presto però il rapporto tra Tom e Dickie si fa morboso, altalenante, e la personalità astuta e al tempo stesso arrivista di Tom porteranno a torbidi intrighi, per un gioco pericoloso e alla lunga insostenibile.

    ..recensione..



    Comincia bene il film di Minghella, coi suoi studiati titoli di testa in stile anni '70, e coinvolge subito con la frase d'apertura (un rimpianto) e le sue promesse di inquietu-
    dine. Coinvolge soprattutto chi non conosce la storia e può godersi a lungo l'ambiguità di Ripley-Damon. Ragazzo di modesta estrazione che vive di sogni e forse di invidie, ispirato e non realizzato pianista, ma anche individuo falso e bugiardo. Non è chiaro cosa architetti quando parte. Lo ritroviamo nella stimolante cornice di questa storia: la solare Italia degli anni '50, in cui gli italiani (come da stereotipo) sono espansivi con i turisti, fischiano alle ragazze che passano e iniziano spontaneamente a cantare in mezzo alle strade. E qui il protagonista conosce il ragazzo che ha tutto ciò che lui ha sempre desiderato: è ricco, spensierato, circondato da amici, è anche più bello di lui (e molto più abbronzato di lui, senza contare che sa sciare...). La loro amicizia è all'insegna dell'ambivalenza e del tradimento, ma è sicuramente basata su una forte attrazione.
    Si sente a questo punto che i personaggi della storia sono molto più complessi e curati della media dei prodotti cinematografici (e soprattutto delle pellicole gialle o sui serial killer). Il privilegiato interpretato da Jude Law è in realtà un incostante, in tutto, la delusione di suo padre, un egoista che tradisce la sua compagna ed abbandona le ragazze incinte (con un rimorso che dura per poche ore), un individuo che tratta gli amici come giocattoli nuovi per cui prima si entusiasma e poi si stanca senza molti riguardi, uno che non mantiene le promesse.
    Agli occhi di Ripley la sua diviene una vita fortunata mal sfruttata. Il protagonista è a metà strada tra amore e rancore e noi non sappiamo fino a che punto il suo piano fosse già programmato dall'inizio. Forse era davvero tentato dalla prospettiva di una nuova vita accanto all'amico, ma è il rifiuto brutale (e la irrisione) di quest'ultimo a decidere tutto. Non sapremo mai se le cose potevano andare diversamente, anche perchè gli omicidi sono sempre casuali. Si snoda a questo punto un lungo (forse troppo lungo) gioco di finzione, astuzia, altissimo rischio ed inseguimento. Il commediante braccato se la cava spesso in modo piuttosto inverosimile, mentre la polizia appare di un'incapacità sorprendente. Ma quello che domina la scena (oltre ad una certa suspance determinata dalla continua attesa dello smascheramento) è la figura di Ripley che di svela poco a poco davanti ai nostri occhi. Ripley ambizioso arrampicatore sociale, insoddisfatto ed avido, dedito al perfezionamento del suo unico talento: diventare un altro. Ma soprattutto Ripley immensamente fragile, che come un bambino guarda a bocca aperta un mondo diverso dal suo, Ripley che si innamora come un adolescente, e non resiste alla tentazione di appoggiare la testa sulla spalla dell'amato. Proprio quando il ragazzo si innamora per la seconda volta il film riesce a trasmettere persino un senso di tenerezza nei suoi confronti. Appropriatamente a Venezia si svolge la scena più esplicativa e toccante. Il protagonista spiega tutto di sé in un chiarissimo dialogo a due: "nessuno pensa di essere un mostro... qualunque cosa faccia nella sua mente ha un senso"; e poi il forte desiderio della confessione, di uscire dalla sua insopportabile solitudine: "poi un giorno incontri una persona speciale e vorresti dirle tutto di te... darle la chiave...". Per questo motivo il finale in un certo senso delude chi aveva fatto sua questa lettura del personaggio. Ripley preferisce "essere un falso qualcuno che una autentica nullità", ma proprio quando ha la testimonianza di essere "qualcuno" per un'altra persona ci rinuncia (e solo per l'improbabile incontro con l'insopportabile ed onnipresente figura interpretata dalla Blanchett). Come se per lui contasse davvero di più rimanere ricco (e completamente solo) getta per sempre la chiave ("mi sono perduto, resterò per sempre in cantina"). Ma è forse inverosimile che una persona del genere resista ad una dichiarazione d'amore che corona i suoi sogni di sempre più della sua attuale posizione sociale; per una sicurezza, tra l'altro, che non sembrava del tutto compromessa e che comunque il finale non garantisce (se ci si continua a circondare di cadaveri si insospettisce non poco...).
    Il film non testimonia una particolare bravura del suo regista, vanta piuttosto un intreccio interessante (benché mai pauroso, a dispetto del sangue sprecato) e una buona prova di tutto il ricco cast. Matt Damon fa sicuramente la parte del leone, convincente e bruttino dietro ai suoi occhiali, ma anche apparentemente innocente come il ruolo richiede. Alla Paltrow non resta che ricoprire dignitosamente la sua parte (un po' in ombra) da "donna che perdona tutto al fidanzato perchè solo lei conosce il bambino che è in lui", e lo fa in evidente "stile Grace Kelly". Bravi Law e la Blanchett, bravi gli italiani nelle poche battute strappate al copione. Divertente (o buffa) la partecipazione di Fiorello nella parodia di se stesso in un simil karaoke.
    Raffaella Saso, www.spietati.it/

    (Gabry)





    domina-musica



    I Tormentoni dell'Estate 1975 al 1979



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    La musica del cuore


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    foto:img1.wikia.nocookie.net

    Alunni del Sole - 'A Canzuncella



    'A canzuncella è un grande successo del gruppo musicale italiano degli Alunni del Sole, pubblicato nel 1977.
    La canzone è tra le tracce dell'omonimo album, il quinto del gruppo.




    'A Canzuncella

    Che m'e' 'mparate a fa
    Che m'e' 'mparate a fa
    Si doppe tantu tiemp' te si scordata 'e me
    E quanne me guardave
    E je pure te guardave
    Cu ll'uocchie me studiavo
    Tutt'e mosse ca facive.
    Sinnamurata 'e me
    Ma sienteme, chi t'o fa fa
    E torna 'n'ata vota
    'Mbraccio a chillu lla
    Sinnamurata 'e me
    Ma sienteme, non ce pensa'
    E torna 'n'ata vota
    Addu chillu lla.
    Che t'aggia ditte a fa
    Che t'aggia ditte a fa
    Pruvamme 'n'ata vota
    Pe 'n'ora po basta'
    Pe te senti' 'e parla'
    E pe te dicere ca po
    Nun m'aspettave niente 'a te
    Cchiu' 'e chello ca si stata.
    Sinnamurata 'e me
    Ma sienteme, chi t'o fa fa
    E torna 'n'ata vota
    'Mbraccio a chillu lla
    Sinnamurata 'e me
    Ma sienteme, non ce pensa'
    E torna 'n'ata vota
    Addu chillu lla.
    Te si spugliata cca'
    Te si spugliata cca'
    Si bella e nun 'o saccie
    Comme faccie a te gurda'
    Te vojje bene ancora
    Ma pe dice po pe 'ddi
    E intanto t'accuntento
    Cu chesta canzuncella
    Sinnamurata 'e me
    Ma sienteme, chi t'o fa fa
    E torna 'n'ata vota
    'Mbraccio a chillu lla
    Sinnamurata 'e me
    Ma sienteme, non ce pensa'
    E torna 'n'ata vota
    Addu chillu lla


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Formula Uno, Ferrari Vettel trionfa a Singapore. Si ritira Mercedes Hamilton.

    Raikkonen terzo dietro alla Red Bull Daniel Ricciardo. Solo 4/o Rosberg. La Ferrari trionfa al Gran Premio di Singapore con la vittoria di Sebastian Vettel e il terzo posto di Kimi Raikkonen. Singapore 'maledetta' invece per il leader del Mondiale Lewis Hamilton. Dopo le brutte qualifiche, il campione del mondo della Mercedes è stato costretto a ritirarsi dopo metà gara a causa della perdita di potenza del motore della sua vettura. "Un passo importante per tornare ai vertici da dedicare ai tifosi" commenta il presidente del Cavallino; Sergio Marchionne.
    Dopo aver tagliato il traguardo in trionfo con la sua Ferrari, Sebastian Vettel eslode di gioia all'interno del suo abitacolo parlando coi box in italiano. ''Grazie ragazzi, che giornata, forza Ferrari'', grida il pilota tedesco.

    Dietro a Vettel la Red Bull di Daniel Ricciardo e l'altra Rossa di Kimi Raikkonen. Quarta posizione nel Gran Premio di Singapore per la Mercedes di Nico Rosberg davanti alla Williams di Bottas e alla Red Bull di Kvyat. Settima la Force India di Perez che precede le Toro Rosso di Verstappen e Sainz Junior. La Sauber di Nasr chiude decima in zona punti. Oltre ad Hamilton problemi anche anche per la McLaren di Alonso. Lo spagnolo e' costretto al ritiro dopo il rientro ai box. Settimo ritiro stagionale per lui. Nei precedenti cinque anni e' stato costretto al ritiro solo otto volte. Abbandona definitivamente il Gp anche la Williams di Felipe Massa.

    IL PUNTO. Ora nulla è impossibile. Marchionne: "Passo per tornare vertice" - Una vittoria che vuole segnare il ritorno con continuità della Ferrari ai vertici della Formula 1. Orgoglio e cuore Rosso targato Sergio Marchionne che dopo il trionfo di Sebastian Vettel fa i complimenti alla sua squadra guardando al prossimo futuro del Cavallino Rampante: ''Vettel ha guidato da vero campione qual è ed ogni membro della squadra, in pista e a Maranello, ha fatto tutto perfettamente. Sono contento anche per Kimi Raikkonen che torna sul podio: era da troppo tempo che due piloti Ferrari non erano insieme tra i primi tre. Un successo importante - sottolinea il numero uno della Ferrari - su una pista difficile che dedico prima di tutto ai nostri tifosi, che non ci hanno mai fatto mancare il loro affetto e supporto. A loro la promessa di tutta la Ferrari che questa gara non è un episodio ma un passo importante nel nostro cammino per tornare in maniera stabile ai vertici e far suonare l'inno d'Italia sempre più spesso". Unico comun denominatore a cui si associa lo stesso Vettel che anche per il Mondiale in corso con sei gare alla fine e 49 punti di distacco dal Leader Hamilton non si pone limiti visto il flop delle Mercedes a Singapore: "Se avremo altri week-end così possiamo insidiare le Mercedes. Noi non dobbiamo fare altro che pensare a noi stessi - avverte il pilota tedesco della Ferrari - attaccare al massimo e poi quello che faranno le Mercedes non dipende da noi. Abbiamo ancora una piccola possibilità, forse possiamo rendere l'impossibile possibile, ci proveremo. Oggi - continua Vettel - per noi è il Paradiso, ma la strada è ancora lunga. E' stata una sorpresa vedere la Mercedes fuori dai giochi questo fine settimana, non sappiamo perché, ma ad essere sinceri non mi interessa troppo. Sono molto felice per la squadra, ha lavorato moltissimo fin dal mio arrivo. Per le prossime gare continueremo a spingere al cento per cento, in modo da dare il massimo, come sempre. Finché c'è una possibilità - ribadisce il pilota tedesco - dobbiamo fare tutto il possibile. Le Mercedes restano le vetture da battere, e il modo migliore per farlo è guardare a noi stessi e fare il meglio che possiamo". Di Mondiale parla anche il team principal Maurizio Arrivabene: ''Progetti per il campionato non ne faccio: ci sono ancora tanti punti a disposizione, ed è ovvio che si farà tutto il possibile per stare davanti. Ma sempre con grande umiltà e rispetto per i nostri avversari".
    (Ansa)




    Basket: La Spagna è campione d'Europa.
    Lituania battuta 80-63 in finale, Gasol 25 punti e 11 rimbalzi. La Spagna di coach Sergio Scariolo è campione d'Europa di basket. Nella finale del torneo continentale, giocata a Lilla, ha battuto la Lituania per 80-63. Match-winner è stato Pau Gasol, andato in doppia doppia con 25 punti e 11 rimbalzi. Bene anche Sergio Llull con 12 punti. Quello di oggi per gli spagnoli è il terzo oro nelle ultime 4 edizioni degli Europei. In più questa generazione di campioni ha conquistato anche un oro mondiale nel 2006 e 2 argenti olimpici nel 2008 e 2012. Terzo posto per la Francia che ha battuto la Serbia 81-68.
    (Ansa)




    Tennis, Coppa Davis: Fognini mette ko Russia, Italia resta in A.
    Barazzutti, 'Fabio grandissimo ma squadra molto forte'. Nella città che diede i natali a Rudolf Nureyev, e che è nota anche come la Parigi della Siberia, Fabio Fognini, con una prestazione da 'etoile', ha regalato all' Italia la permanenza nel Gruppo mondiale della Coppa Davis. Una settimana dopo la storica impresa della fidanzata Flavia Pennetta agli Us Open, il 28enne ligure è stato l'artefice della vittoria contro la Russia nello spareggio per rimanere nella 'serie A' della massima competizione tennistica per nazioni, da cui gli azzurri rischiavano l'esclusione dopo la sconfitta contro il Kazakhstan, nel primo turno a marzo. Per Fabio, tre match vinti in tre giorni: l'ultimo, quello che ha fruttato il punto del 3-1 decisivo, contro il numero 1 russo Teymuraz Gabashvili, sconfitto per 7-6 (4) 6-3 7-6 (5), in due ore e 32'. "La Russia è stata battuta per tre/quarti da Fabio, è stato grande, grandissimo. C'è una firma molto marcata su questa vittoria", l'elogio del capitano azzurro Corrado Barazzutti. "Fabio quando è ispirato fa cose pazzesche. E' stato grandissimo il primo giorno, nel doppio ben affiancato da Bolelli, ed oggi è stato decisivo", ha aggiunto. Contro Gabashvili, un 30enne di origini georgiane solido e coriaceo, che nella prima giornata aveva superato Simone Bolelli (ma Fognini aveva poi rimediato imponendosi su Andrey Rublev), il campione di Arma di Taggia ha sfoggiato a tratti tennis di altissimo livello, in un match con un alternarsi di break e contro-break. Il primo e il terzo set, equilibrati, sono stati conclusi al tie break mentre il secondo è stato dominato dall'azzurro. Alla fine, il bilancio degli ace sarà di 8-5 per Fabio, quello dei punti 110-102, con 43 colpi vincenti a 23. "Una bella prova mentale da parte mia", il commento di Fognini, che a fine match ha abbracciato Gabashvili. In tre giorni - ha spiegato - "ho giocato tanto, ho giocato bene ma anche a tratti male. Sono contento per me perché ho dimostrato ancora una volta di essere attaccato a questa maglia, di lottare per questa maglia anche in condizioni non ottimali. Quando Barazzutti chiama Fognini risponde", ha aggiunto. "L'importante era restare nel World Group e ci siamo riusciti", ha detto ancora Fabio, che tra gli obiettivi di fine stagione si pone "il Masters di doppio di Londra con Simone". Per rinverdire gli allori della coppia vincitrice degli Australian Open, che ieri ha felicemente superato i russi Donskoy e Kravchuk. Riconosciuta l'impresa del mattatore Fognini, capitan Barazzutti non dimentica comunque il contributo del gruppo: "I meriti sono solo loro, dentro il campo ci sono solo loro, si battono ancora di più quando giocano per la Nazionale", spiega. "Abbiamo una squadra molto forte, una squadra che guarda al futuro, che manda il messaggio che noi ci siamo", conclude. L'importante era rimanere in 'serie A': missione compiuta. Il sorteggio di mercoledì a Santiago del Cile deciderà chi saranno i prossimi avversari.
    (Ansa)

    (Gina)



    ANDIAMO A TEATRO!!!




    La principessa della Czarda


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    La principessa della Czarda (titolo originale Die Csárdásfürstin) è un'operetta in tre atti di Leo Stein e Bela Jenbach, con le musiche di Emmerich Kálmán, andata in scena allo Johann Strauß-Theater di Vienna il 17 novembre 1915.
    Tradotta da Carlo Zangarini, è stata pubblicata in Italia dalla Casa Musicale Sonzogno.


    La Vicenda
    II giovane principe di Lyppert-Weylersheim, Edvino, trascorre le sue serate in un celebre locale notturno di Budapest, l'Orpheum. Qui si innamora di Sylva, la diva del momento. Purtroppo il suo romanzo d'amore è destinato a durare poco. Infatti sua madre Cecilia, venuta a conoscenza della cosa, ha fatto ingaggiare Sylva per una tournée in America e ha preparato per il figlio un fidanzamento ufficiale con la contessina Stasi. Ma Sylva ed Edvino si amano profondamente e così, prima di lasciarsi, il principe stipula un contratto di nozze col quale promette di sposarla entro otto settimane. Due mesi più tardi le cose sembrano prendere una piega diversa. Edvino ha accettato, sia pure a malincuore, di unirsi con Stasi e, a palazzo Lyppert-Weylersheim, viene indetta una festa di fidanzamento. Sylva si presenta alla festa facendosi passare per la moglie del conte Boni. La serata porta molte sorprese: Cecilia ritrova una sua vecchia fiamma, Ferì; Stasi e Boni si innamorano a prima vista. Sylva cerca invece di irridere Edvino: ora che è "contessa", può essere considerata del suo stesso rango. Ma poi, amareggiata, confessa a tutti gli invitati di essere solo una canzonettista di varietà. Anche Peri ha una notizia importante da comunicare: Cecilia, in gioventù, è stata anche lei una canzonettista ed era nota col nome di "principessa della czardas". A questo punto il consenso alle nozze fra Edvino e Sylva è ormai scontato.
    Con La principessa della czardas la duplice monarchia - sul punto di spezzarsi storicamente - trova il suo massimo punto d'incontro. Ancora nel 1950 questa operetta, con la leggendaria Hanna Honthy, rappresentava il successo teatrale più acclamato in terra magiara, cosa che dura tutt'ora, anche se lo spartito di Kàlmàn è ormai eseguito nei teatri d'opera di tutto il mondo.

    La musica
    Czarda2Fra i compositori dell'area danubiana, Kàlmàn si caratterizza per una vena se non proprio drammatica almeno inquieta. Molti sono gli spunti in cui Kàlmàn sembra tentato di comporre un'opera tzigana, ma che non prevalgono comunque sui ritmi di tre quarti - splendido il valzer lento "L'ora d'amor" - che si richiamano direttamente al carattere straussiano. L'autore è contenuto nel valzer della "Rondinella", popolare nell'"Hurrà!", avvincente in "Canta un coro di angioletti". Tra accenti ungheresi e valzer viennesi, Kàlmàn dimostra già un'ottima predisposizione per i duetti affidati alla coppia brillante. Emmerich, non più Imre, si affezziona a Vienna e non vuole staccarsene. Così, il 17 Novembre 1915, al teatro Johann Strauss ha luogo la prima de "La principessa della czardas", protagonista Mizzi Günther. Noie e difficoltà nella messa in scena. A Kàlmàn muore improvvisamente il fratello e i tempi non sono rosei: l'assassinio di Serajevo, lo scoppio della guerra. La data della prima è stata fissata per il 13? Kàlmàn detesta questo numero. L'attore Josef Konig (Boni) cade malato: rinvio. Rinviare una prima è cattivo segno. Tuttavia in quattro giorni, bandite le superstizioni, si smussano gli angoli al lavoro che, rimodellato, ottiene uno dei più grandi successi della storia operettistica.



    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    LA GRANDE MADRE


    Dal 26 Agosto al 15 Novembre 2015



    La mostra è il frutto di una collabo-
    razione tra istituzioni pubbliche e private nella condivisione di un progetto che porta la grande arte contempo.
    ranea, anche nelle sue dimensioni più attuali e innovatrici, nello spazio espositivo più prestigioso della città, rappresentando l’evento di punta del calendario di Expo in città nel secondo trimestre di Expo 2015.

    “Il palinsesto di Expo in città propone una mostra prestigiosa,ospitata in una delle sedi espositive più visitate d’Italia, Palazzo Reale, che chiude il cerchio di una proposta completa sull’arte, le sue stagioni e i suoi linguaggi. – ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno – Una proposta che non solo offrirà al pubblico la possibilità di compiere un viaggio straordinario nella storia dell’arte e della cultura italiana e internazionale, ma sarà anche un’occasione speciale di approfondimento sulla figura della madre, che più di tutte incarna l’idea della nutrizione, tema centrale di Expo2015. Un risultato reso possibile grazie alla Fondazione Nicola Trussardi nel quadro di un ampio dialogo tra pubblico e privato, stretti in un’alleanza per la diffusione dell’arte e dellacultura”.
    "La Grande Madre offre uno sguardo sulla maternità e sulla condizione femminile filtrato attraverso un secolo di opere d'arte, che ripropongono questioni oggi non solo presenti ma spesso ancora irrisolte – ha sottolineato Beatrice Trussardi, Presidente della Fondazione Nicola Trussardi – Questo ci permette di affrontare le problematiche legate al tema generale di Expo secondo una prospettiva di genere che ribadisce la centralità delle donne nella società, ruolo molto spesso non adeguatamente riconosciuto. Nonostante gli enormi passi avanti fatti negli ultimi decenni e le azioni sociali e politiche di difesa della donna che hanno contributo a diffondere conoscenze e diritti anche nei paesi più poveri, molti sono i pericoli che oggi minacciano di rallentare o ostacolare il percorso di emancipazione femminile. Per questo motivo La Grande Madre può e deve essere un occasione importante per riflettere sui valori di cui la presenza della donna è portatrice in ogni settore sociale, contribuendo a rendere Expo una piattaforma di ideee progetti concreti per lo sviluppo del pianeta.”
    Attraverso le opere di centoventisette artiste e artisti internazionali e con un allestimento che si estenderà su una superficie di circa 2.000 metri quadrati al piano nobile di Palazzo Reale, La Grande Madre analizzerà l'iconografia e la rappresentazione della maternità nel'arte del Novecento, dalle avanguardie fino ai nostri giorni.
    Dalle veneri paleolitiche alle “cattive ragazze“ del post femminismo, passando per la tradizione millenaria della pittura religiosa con le sue innumerevoli scene di maternità, la storia dell’arte e della cultura hanno spesso posto al proprio centro la figura della madre, a volte assunta a simbolo della creatività e metafora della definizione stessa di arte. La madre e la sua versione più familiare di “mamma” sono anche stereotipi intimamente legati all’immagine dell’Italia.
    La Grande Madre sarà una mostra sul potere della donna: non solo sul potere generativo e creativo della madre, ma soprattutto sul potere negato alle donnee sul potere conquistato dalle donne nel corso del Novecento. Partendo dalla rappresentazione della maternità, l’esposizione si amplia per passare in rassegna un secolo di scontri e lotte tra emancipazione e tradizione, raccontando le trasformazioni della sessualità, dei generi e della percezione del corpo e dei suoi desideri.
    Concepita come un museo temporaneo nel quale si combinano storia dell’arte e cultura visiva,l’esposizione ricostruirà una narrazione trasversale del ventesimo secolo, esplorando i miti e i cliché del femminile, e dando vita a una complessa riflessione sulla figura della donna come soggetto e – non più solo – come oggetto della rappresentazione.
    La mostra si aprirà con una presentazione dell’archivio di Olga Fröbe-Kapteyn, che dagli anni Trenta ha raccolto per tutta la vita migliaia di immagini di idoli femminili, madri, matrone, veneri e divinità preistoriche confluite in una vasta collezione iconografica alla quale hanno attinto Carl Gustav Jung, Erich Neumann e molti altri psicologi e antropologi impegnati nelle ricerche sull’archetipo della grande madre e sulle culture matriarcali della preistoria.
    Qualche decennio prima gli scritti di Sigmund Freud e le sue osservazioni sul complesso di Edipo avevano trasformato i rapporti familiari e le relazioni tra madri e figli in un dramma di desideri sessuali e tensioni represse che avrebbero segnato l’intero Novecento. Queste atmosfere ritornano trasfigurate nei disegni e nelle incisioni coeve di Alfred Kubin ed Edvard Munch. Le prime sale della mostra alterneranno queste visioni allucinate all’immagine didascalica della maternità divulgata a fine Ottocento attraverso le fotografie di Gertrude Käsebier e i film della prima regista cinematografica donna Alice Guy-Blaché.
    Un’importante sezione della mostra sarà incentrata sulla partecipazione delle donne alle avanguardie storiche e, in particolare, ai movimenti futurista, dadaista e surrealista. Giustapponendo il lavoro di artiste e artisti, la mostra metterà in evidenza gli aspetti più contrastanti della modernità, analizzando le radicali trasformazioni dei ruoli sessuali che hanno accompagnato i profondi cambiamenti economici e sociali di inizio Novecento. Lo studio della posizione della donna all’interno del Futurismo – con opere di Benedetta, Umberto Boccioni, Giannina Censi, Valentine De Saint-Point, Mina Loy, Filippo Tommaso Marinetti, Marisa Mori, Regina, Rosa Rosà e altre – rivelerà lo scontro tra energie riformatrici e forze repressive nell’Italia di inizio secolo.
    Le sale dedicate al Dadaismo si concentreranno sulla nascita del mito della donna meccanica e automatica – “la figlia nata senza madre” come la battezzò Francis Picabia – collocandola nel panorama sociale in rapidissimo mutamento degli anni Dieci e Venti, sia in Europa sia in America. Passando dalle macchine celibi di Marcel Duchamp, Picabia e Man Ray, alle bambole meccaniche di Sophie Taeuber-Arp, Emmy Henningse Hannah Höch,fino alle performance irriverenti della Baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, la mostra descriverà le relazioni pericolose che all’inizio del Novecento si intrecciarono tra biologia, meccanica e desiderio.
    Il culto della donna nel Surrealismo sarà analizzato attraverso la straordinaria presentazione di cinquanta collage originali da La donna 100 teste di Max Ernst, esposti accanto a opere e documenti di André Breton, Hans Bellmer, Salvador Dalí e altri. Esplorando le implicazioni estetiche ed etiche della fascinazione surrealista nei confronti del femminile, la mostra porterà in primo piano le opere di artiste che abbracciarono e al contempo rifiutarono la retorica del Surrealismo, all’interno del quale trovarono strumenti per l’emancipazione femminile ma anche opprimenti stereotipi sessuali. Questa sezione includerà capolavori e opere celebri di Leonora Carrington, Frida Kahlo, Dora Maar, Lee Miller, Meret Oppenheim, Dorothea Tanning, Remedios Varo, Unica Zürn e altre artiste dell’epoca, la cui fama è stata a lungo oscurata da quella dei loro colleghi uomini.
    Queste opere si intrecceranno a una selezione di scene madri del cinema muto e a documenti sulla politica delle nascite nel fascismo, a loro volta affiancati a immagini di madri addolorate e orgogliose eroine del cinema neorealista. In questo album di famiglia corale, l’immagine della madre si sovrappone spesso all’idea di nazione e stato, creando preoccupanti associazioni tra corpi e patria.
    La seconda parte della mostra avrà come epicentro ideale una selezione di opere di Louise Bourgeois, che assimila l’influenza del Surrealismo e la trasforma mescolandola con riferimenti a culture arcaiche, per creare una mitologia individuale di straordinaria forza simbolica. Molte artiste che emergono negli anni Sessanta e Settanta – tra cui Magdalena Abakanowicz, Ida Applebroog, Lynda Benglis, Judy Chicago, Eva Hesse, Dorothy Iannone, Yayoi Kusama, Anna Maria Maiolino, Ana Mendieta, Marisa Merz, Annette Messager e altre – creano un nuovo vocabolario di forme in cui abbondano riferimenti biologici con i quali le artiste rivendicano la centralità del corpo femminile, spesso associandolo alle forze della natura e della terra. Più o meno negli stessi anni – ai quali corrispondono le rivendicazioni dei movimenti femministi di cui verranno presentati vari documenti in mostra – artiste assai diverse tra loro come Carla Accardi, Joan Jonas, Mary Kelly, Yoko Ono, Martha Rosler, Valie Export e altre descrivono lo spazio domestico come un luogo di tensioni e soprusi, rimettendo in discussione la divisione del lavoro e dei ruoli sessuali negli ambienti della casa e della famiglia.
    Gerarchie e rapporti di potere sono messi in crisi anche nelle opere di Sherrie Levine, Lee Lozano e Elaine Sturtevant che – in modi diversi – si oppongono alle tradizionali modalità di produzione e riproduzione. Attraverso copie e repliche o rifiutandosi del tutto di creare ex novo, queste artiste immaginano nuovi modelli di proprietà e nuove forme di possesso che si sottraggono all’autorità patriarcale.
    Attraverso l’accostamento di immagini trovate e collage, Barbara Kruger, Ketty La Rocca, Suzanne Santoro e altre intraprendono una guerriglia semiotica che critica gli slogan e i messaggi dei media e decostruisce l’immagine della donna e della madre creata dai mezzi di comunicazione di massa. Le opere di artiste diverse come Katharina Fritsch, Cindy Sherman, Rosemarie Trockel – attive dagli anni Ottanta – si rimpossessano della storia dell’arte, mescolando generi e riferimenti iconografici al tema della maternità e della pittura e scultura religiose.
    Negli anni Novanta emergono varie artiste la cui opera è segnata da un’aggressiva semplicità. In una serie ormai leggendaria Rineke Dijkstra ritrae madri e figli a poche ore dal parto. Sarah Lucas compone sculture e bricolage dalle forme al contempo maschili e femminili. Catherine Opie documenta la vita e i desideri delle comunità gay e sadomaso di Los Angeles. Mentre pittrici assai diverse come Marlene Dumas e Nicole Eisenman rappresentano la maternità come croce e delizia, liberazione e condanna.
    Pipilotti Rist mescola pittura barocca e videoclip in un’opera inedita che trasformerà il soffitto di una sala di Palazzo Reale in un'affresco elettronico, mentre Rachel Harrison documentale apparizioni della Madonna in un sobborgo della provincia americana. Dalle opere di Nathalie Djurberg, Robert Gober, Keith Edmier, Kiki Smith, Gillian Wearing e altri emerge una sensibilità post Fumana in cui tecnologia e biologia aprono prospettive inedite attraverso le quali superare le vecchie distinzioni di genere.

    La mostra sarà arricchita da altre presenze importanti, con installazioni di Jeff Koons, Thomas Schütte, Nari Ward e opere di rilievo di Thomas Bayrle, Constantin Brancusi, Maurizio Cattelan, Lucio Fontana, Kara Walker, per citare solo alcuni.
    Nel suo celebre video Grosse Fatigue, vincitore del Leone d’Argento all’ultima Biennale di Venezia, Camille Henrot analizzerà i miti di creazione e la genesi dell’universo, raccontando così la nascita della Madre Terra. Uno straordinario ciclo fotografico di Lennart Nilsson – il primo ad avere fotografato un feto in endoscopia in vivo – rappresenterà la maternità in maniera iperrealista, trasformando la in uno spettacolo al limite della fantascienza.
    Tra le opere più recenti anche la prima presentazione in Italia della celebre serie di ritratti delle Brown Sisters, realizzata da Nicholas Nixon scattando ogni anno per quarant’anni il ritratto di gruppo delle sorelle Brown.
    Da queste e da molte altre opere in mostra, emergerà un’immagine della madre come proiezione di desideri, ansie e aspirazioni individuali e collettive, maschili e femminili. Forse un’immagine meno rassicurante di quella consueta a cui ci hanno abituato la pubblicità e la retorica, ma decisamente più complessa e potente.
    La mostra La Grande Madre sarà accompagnata da un catalogo a cura di Massimiliano Gioni, pubblicato in due lingue, italiano e inglese. Il volume raccoglierà più di trecento immagini a colori che illustreranno testi monografici e approfondimenti su tutti gli artisti presenti in mostra e una raccolta di saggi e testi critici inediti, commissionati per l’occasione a Marco Belpoliti, Barbara Casavecchia, Whitney Chadwick, Massimiliano Gioni, Ruth Hemus, Raffaella Perna, Lucia Re, Pietro Rigolo, Adrien Sina, Guido Tintori, Calvin Tomkins, Lea Vergine.
    Il progetto grafico della mostra e dei prodotti editoriali è firmato dallo studio Goto Design di New York. La Grande Madre è realizzata grazie al sostegno di BNL Gruppo BNP Paribas, main sponsor dell’esposizione. Si ringrazia SKY ARTE HD che in qualità di media partner realizzerà una produzione originale per raccontare la mostra.
    (www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    MEDEA



    Medea è figlia di Eeta, re della Colchide, una regione asiatica affacciata sul Mar Nero, e della Oceanide Idyia o della dea Ecate. Era nipote di Elio, secondo altre fonti di Apollo, e della maga Circe.
    Secondo una variazione del mito (Diodoro Siculo), il sole, Elio, ebbe due figli, Perse e Eeta. Perse ebbe una figlia, Ecate, potentissima maga, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eeta. Da questa unione sarebbero nati Circe, Medea ed Egialpo.
    Il suo nome, in greco, significa "astuzie, scaltrezze", la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini. Nella tradizione letteraria greca Medea è il simbolo del “magico” e dello “straniero” rispetto al cosmo culturale dei Greci.
    Quando Giasone con gli Argonauti giunse nella Colchide per impadronirsi del Vello d'oro, custodito da un feroce e terribile drago a servizio di Eete, Medea che era stata imprigionata dal padre perché ostile alla sua pratica di uccidere gli stranieri che giungessero nel regno, ma che si era facilmente liberata con le sue arti magiche, si innamorò dell'eroe e, tradendo il padre, lo aiutò a vincere tutte le difficoltà e i pericoli. Pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Medea istruisce l’eroe e gli fornisce le armi con cui superare le prove imposte dal re Eeta per ottenere l’ambito premio, lo dota di filtri protettivi e usa formule magiche per far addormentare il drago custode del manufatto. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Iolco con il Vello d'Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello: Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l'inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l'amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un "pharmakòn", che dopo averlo fatto a pezzi e bollito, lo avrebbe ringiovanito completamente. Per dimostrare la validità della sua arte, trasforma un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze: Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno.
    Dopo dieci anni, Creonte, re della città di Corinto, vuole dare la sua giovane figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta e cerca inutilmente di far accettare la cosa a Medea, che si dispera per l'abbandono. Vista l'indifferenza di Giasone di fronte alla sua situazione, Medea medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda come dono nuziale un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il dono è intriso di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore.
    Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo Euripide, per assicurarsi che Giasone soffra e non abbia discendenza, dopo un'angosciosa incertezza vince la sua natura di madre e uccide i figli Mermero e Fere, avuti da lui. Secondo Diodoro Siculo i figli che Medea aveva avuto da Giasone erano tre: i due gemelli Tessalo e Alcimene e Tisandro.
    Fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole trainato da draghi alati, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio, Medo. A lui Medea vuole lasciare il trono di Atene, finché Teseo non giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce Teseo come suo figlio e Medea è costretta a fuggire di nuovo.
    Torna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eete. Sulla fine di Medea esisteva un mito tardo secondo il quale Medea non morì mai, ma divenne immortale e regnò nei Campi Elisi, dove si unì con Achille.

    Il mito dell'uccisione dei figli è connesso in Corinto con un rituale d'iniziazione dei giovani: quasi una morte dell'adolescenza come preparazione all'età adulta. Frequente nell'arte antica la raffigurazione di Medea e del suo mito. Nella ceramica, soprattutto dell'Italia meridionale (vasi apuli e campani), e in pitture murali provenienti da Pompei ed Ercolano (Napoli, Museo Archeologico Nazionale) è spesso ritratta nell'atteggiamento meditativo che precede l'infanticidio. Nel rilievo plastico la figura di Medea è abbastanza comune nei sarcofaghi di età romana.
    Nella Medea di Euripide (431 a. C.), la prima e la più famosa tragedia ispirata al personaggio, è presentata, con risultati di altissima poesia, non tanto come una maga, ma piuttosto come una creatura umiliata e offesa

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Perché l’acqua del mare è salata?




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    All’origine l’acqua del mare era dolce come quella dei fiumi e la concentrazione di sale (circa 35 grammi per chilo d’acqua) risale “soltanto” a un miliardo di anni fa. Come si è formata? Bisogna...

    All’origine l’acqua del mare era dolce come quella dei fiumi e la concentrazione di sale (circa 35 grammi per chilo d’acqua) risale “soltanto” a un miliardo di anni fa. Come si è formata? Bisogna andare molto più indietro nel tempo. Cioè a quando, quattro miliardi di anni fa, la Terra ha iniziato a raffreddarsi. Torrenti di pioggia si sono abbattuti sul pianeta per migliaia di anni e l’acqua si è depositata nelle depressioni della crosta terrestre formando i primi mari.
    Abissi più dolci. Le acque che, nel frattempo, hanno continuato a scorrere sulla superficie dei continenti, si sono via via arricchite di sali minerali prelevati dalla terra, e li hanno riversati negli oceani in formazione. La salinità dei mari varia anche a seconda della loro profondità ed è sensibilmente più alta verso la superficie, e là dove si verifica una forte evaporazione. Più scarsa è invece in quei mari in cui l’apporto d’acqua dolce è più consistente, per esempio in vicinanza di un estuario.

    fonte:http://www.focus.it/


    (Lussy)





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    foto:aquariuscom.it


    Salute e benessere


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    foto:terme.qviaggi.it



    Terme reali di Valdieri




    È il più alto stabilimento termale d’Italia, trovandosi a ben 1370 metri s.l.m., nel cuore del Parco Naturale Alpi Marittime, in Valle del Gesso. Circondate da alberi secolari, le Terme Reali di Valdieri hanno una storia intimamente legata a quella dei Reali d’Italia (da cui il nome) e la particolarità di essere le uniche a produrre ed utilizzare a scopo terapeutico le alghe termali, cosiddette “muffe”.


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    foto:termespa.it

    Un po’ di storia

    La storia documentata delle Terme di Valdieri, già note ai romani, risale ai primi del ‘500 e al 1588 risale invece la costruzione, per volontà del Comune di Valdieri, del primo stabilimento per i bagni. Per almeno due secoli, però, le terme non conobbero sviluppo, finché nel 1755 Re Carlo Emanuele III non decise di usufruire egli stesso delle ormai note proprietà terapeutiche delle acque locali, così che per lui venne costruito uno stabilimento di legno, piuttosto rudimentale, detto familiarmente “Il Baraccone”. Per quasi un secolo, anche a causa delle guerre napoleoniche, l’impianto restò ancora abbandonato. La sua popolarità nasce in effetti solo a partire dalla metà del XIX secolo, dopo che fu sistemata la strada che conduceva da Sant’Anna a Valdieri e dopo che Re Carlo Alberto soggiornò presso le terme per ben quattro settimane nel luglio del 1833. Nel 1855, a favore della valorizzazione delle terme intervenne anche il Conte Camillo Benso di Cavour che le considerava le più salutari d’Italia “e forse anche in tutta Europa”. In quello stesso anno venne costituita una società per realizzare uno stabilimento termale e la bellezza della località – oltre che la ricchezza di risorse di caccia e pesca, sue grandi passioni - conquistò il Re di Sardegna Vittorio Emanuele II, tanto che poco più tardi fece costruire una residenza estiva a Sant’Anna di Valdieri e quattro chalet alle Terme. Appena due anni dopo iniziarono i lavori di incanalamento delle acque e la costruzione di quello che sarebbe diventato l’Hotel Royal Centro Benessere delle Terme di Valdieri, il primo passo verso l’attuale assetto di quelle che ancora oggi si chiamano Terme Reali.



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    foto:cuneobooking.it

    Le acque

    Le acque termali di Valdieri sgorgano da una trentina di fonti e appartengono alla tipologia delle acque solfato-cloruro-sodiche. Con un ph alcalino, sono acque ipertermali, sgorgando alla temperatura tra i 50° e i 70°, mentre nella falda profonda può arrivare a 130°. Per le sue caratteristiche, l’acqua svolge attività antiinfiammatoria, antalgica, antisettica, antiessudativa ed eutrofica, utile per il trattamento e la cura di patologie dell’apparato locomotore, otorinolaringoiatriche, broncopneumologiche, dermatologiche ed anche di alcune forme di affezioni ginecologiche. Una particolarità delle sorgenti termali di Valdieri è quella di produrre, tramite lo scorrimento su gradinate in pietra, di alghe dette impropriamente “muffe”, le quali vengono conservate in acqua calda e poi usate per impacchi nella cura delle malattie dermatologiche



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    foto:tripadvisor.com

    Lo stabilimento termale

    Le terme di Valdieri sono dotate di quattro grotte, ciascuna composta di due ambienti, alimentate e riscaldate direttamente dalle sorgenti idrominerali con acque di temperatura variabile dai 51° ai 55°. Indicate per le patologie croniche e recidivanti dell’apparato locomotore e di quello respiratorio, le grotte sono solo una delle metodiche termali dello stabilimento di Valdieri ove si pratica anche la balneoterapia (bagno in vasca singola, balneoterapia libera in piscina, idrochinesiterapia e idromassaggio), l’applicazione delle citate alghe termali o “muffe”, le terapie inalatorie (inalazione caldo-umida e aerosol, entrambe con apparecchi alimentati direttamente dalle sorgenti di acqua solfurea), le insufflazioni endotimpaniche (con immissione nell’orecchio medio di gas estratto dall’acqua solfurea), le docce nasali micronizzate, le nebulizzazioni collettive e le irrigazioni vaginali. A completamento e potenziamento della terapia termale, nello stabilimento si praticano anche la massoterapia, la chinesiterapia, l’idrochinesiterapia e varie cure estetiche, sempre con utilizzo delle alghe termali, delle grotte e di una esclusiva linea cosmetica.
    Lo stabilimento è dotato di due piscine, una delle quali riservata esclusivamente ai clienti dell’Hotel Royal Centro Benessere, entrambe dotate di solarium ed entrambe collegate al centro benessere che come pure lo stabilimento termale è aperto da giugno a settembre.



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    foto:parks.it


    Turismo nei dintorni



    La particolare posizione delle Terme di Valdieri, nel cuore del Parco Naturale Alpi Marittime, rendono i dintorni della località particolarmente interessanti sotto il profilo del turismo naturalistico. Nel Parco Naturale – quasi 26.000 ettari – si trova l’ex riserva reale di caccia dei Savoia oltre che il Giardino Botanico Alpino Valderia, con circa 450 specie di piante: molto varia e ricca sia la flora che la fauna, grazie alla sua vicinanza al mare (da cui la denominazione di Alpi Marittime); presenti diversi punti di informazione e organizzazione di escursioni. Molto ricca anche l’offerta di sport all’aria aperta, a partire naturalmente dallo sci. Da visitare, infine, la riserva naturale di Juniperus Phoenicea, una necropoli che si colloca fra l’età del Bronzo e quella del Ferro.



    da: benessere.it

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    foto:tryitaly.com


    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    UN LIBRO..UN AUTORE

    “Rosalie amava l’azzurro.
    Era il suo colore preferito da quando aveva memoria.
    E nel frattempo aveva compiuto ventotto anni”.


    PARIGI E' SEMPRE UNA BUONA IDEA



    Parigi è sempre una buona idea, si sa. Innamorati o no, vale sempre la pena di fare una passeggiata per le vie della Ville Lumière. Lì, in rue du Dragon, una deliziosa stradina nel cuore di Saint-Germain, ci si può imbattere in un piccolo negozio con una vecchia insegna di legno, un campanello d’argento démodé sulla porta e, dentro, mensole straripanti di carta da lettere e bellissime cartoline illustrate: la papeterie di Rosalie Laurent.
    Talentuosa illustratrice, Rosalie è famosa per i biglietti d’auguri personalizzati che realizza a mano. Ed è un’accanita sostenitrice dei rituali: il café crème la mattina, una fetta di tarte au citron nelle giornate storte, un buon bicchiere di vino rosso dopo la chiusura della papeterie. I rituali aiutano a fare ordine nel caos della vita, ed è per questo che ogni anno, per il suo compleanno, Rosalie fa sempre la stessa cosa: sale i 704 gradini della Tour Eiffel fino al secondo piano e, con il cuore in gola, lancia in aria un biglietto su cui ha scritto un desiderio. Ma finora nessuno è mai stato esaudito. Tutto cambia il giorno in cui un anziano signore entra come un ciclone nella papeterie. Si tratta del famoso scrittore per bambini Max Marchais, che le chiede di illustrare il suo nuovo libro. Rosalie accetta felice e ben presto i due diventano amici, La tigre azzurra ottiene premi e riconoscimenti e si aggiudica il posto d’onore in vetrina. Quando, poco tempo dopo, un affascinante professore americano, attratto dal libro, entra in negozio, Rosalie pensa che il destino stia per farle un altro regalo. Ma prima ancora che si possa innamorare, ha un’amara sorpresa. Perché l’uomo è fermamente convinto che la storia della Tigre azzurra sia sua…
    (www.feltrinellieditore.it/)


    "Come ogni mattina alle 11, Mademoiselle Laurent aprendo la sua piccola cartoleria aveva guardato in alto, sperando di vedere uno sprazzo di azzurro nel cielo grigio di Parigi. “Scorgendolo sorrise”. Uno dei ricordi più cari al cuore di Rosalie era un cielo di agosto incredibilmente azzurro sopra uno sconfinato mare turchese inondato di luce. Allora Rosalie aveva quattro anni e si trovava insieme ai genitori Emile e Cathérine in vacanza a Les Isambre, sulla Costa Azzurra. Tornata a Parigi dopo quella “lunga estate piena di sole”, la bambina dalle lunghe trecce castane aveva ricevuto in dono dalla zia Paulette una scatola di acquerelli. Quello stesso pomeriggio Rosalie, armata di pennello e acquerelli, aveva disegnato per ore, colorando con foga un foglio dopo l’altro fino a svuotare le tre vaschette di colore azzurro disponibili nella scatola. Infatti, per la ragazzina la magica visione della distesa marina era la metafora della felicità, perché la bimba era ormai stregata dall’azzurro in tutta la sua gamma e in tutte le sue sfumature. Gli stessi occhi di Rosalie erano di un azzurro molto intenso, tendente al blu, glielo aveva confermato suo padre, un uomo molto paziente e gentile. Non stupiva il fatto che prima di imparare a leggere e a scrivere, Rosalie conoscesse a memoria il nome di tutte le possibili tonalità di azzurro: carta da zucchero, celeste, grigio blu, azzurro ghiaccio, blu polvere, acquamarina, oltremare, fiordaliso, blu cobalto, blu notte, zaffiro... non esisteva un altro colore altrettanto ricco, meraviglioso e vario. Mai la giovane donna avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe imbattuta in una storia su di una tigre azzurra e tanto meno che quella storia, e il mistero che la circondava, le avrebbe cambiato la vita."
    (www.sololibri.net/)


    NICOLAS BARREAU



    Nicolas Barreau è nato a Parigi nel 1980 da madre tedesca e padre francese. Ha studiato Lingue e letterature romanze alla Sorbonne, poi ha lavorato in una piccola libreria sulla Rive Gauche. Ha scritto sei romanzi, tutti pubblicati da un piccolo editore tedesco che hanno ottenuto un ottimo successo, cresciuto sempre più soprattutto grazie al passaparola dei lettori. "Gli ingredienti segreti dell’amore" (Feltrinelli, 2011) è un vero e proprio caso editoriale: è stato un bestseller internazionale tradotto in 34 paesi, è rimasto per oltre quattro mesi in vetta alle classifiche italiane ed è diventato un film per ZDF. In Germania, Parigi è sempre una buona idea, ha venduto 35.000 copie in sole tre settimane e ha raggiunto la posizione più alta di sempre per un romanzo di Barreau sulla classifica dei bestseller di “Der Spiegel”.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    ALBERO
    l’esplosione lentissima
    di un seme.
    (Bruno Munari)


    IPPOCASTANO


    L'ippocastano o castagno d'India, nome comune per Aesculus hippocastanum , appartenente alla famiglia Sapindaceae, è un albero di estrema bellezza per la sua ricca e spettacolare fioritura, appartenente alla famiglia delle Ippocastanacee. E’ particolarmente diffuso nelle regioni continentali, specialmente in ambiente pedemontano o collinare. Si può trovare fino a mille metri di quota. E’ uno dei pochi alberi alti e rustici diffusi in luoghi con clima nordico. Il genere Aesculus, che indica una quercia che produce ghiande commestibili, comprende circa 13 specie, una europea, cinque italiane e le rimanenti nordamericane. Quasi tutte le specie e molte loro varietà sono divenute delle piante ornamentali per i parchi delle regioni a clima temperato. Aesculus hippocastanum è la specie più grande.
    Dal portamento elegante ed imponente, può raggiungere i 30 metri di altezza; il tronco è piuttosto corto, regolare e di diametro notevole; la chioma è espansa, globosa e maestosa nei vecchi esemplari. Il tronco, diritto e nodoso con l'età, è robusto e presenta una corteccia prima sottile, liscia, di colore grigio, poi grigio-brunastra, ispessita, solcata e desquamata in piccole placche quadrangolari. I rami, assurgenti a candelabro, sono lenticellati; presentano grandi gemme opposte, rossastre, ed una terminale di notevoli dimensioni, ricoperte da una sostanza vischiosa. Le foglie dell'ippocastano sono decidue, palmato-settate, con inserzione opposta, mediante un picciolo di 10–15 cm, su rametti bruni o verdastri e leggermente pubescenti. Ciascuna foglia, che può arrivare a oltre 20 cm di lunghezza, è costituita da 5-7 lamine obovate con apice acuminato e base stretta. Il margine è doppiamente seghettato, la nervatura risulta ben marcata. Il picciolo non ha stipole, ma una base allargata ed una fenditura che lo solca. Le foglie sono di color verde brillante nella pagina superiore e verde chiaro, con una leggera tomentosità sulle nervature, in quella inferiore. Diventano giallo-ruggine in ottobre, prima di cadere.
    I frutti sono grosse capsule rotonde e verdastre, munite di corti aculei, che si aprono in tre valve e contengono un grosso seme o anche più semi di colore bruno lucido che prendono il nome di castagna matta. Hanno un sapore amaro e sviluppano un odore molto sgradevole durante la cottura; sono leggermente tossici quindi non commestibili. Le castagne sono ricche di amido. Sono cibo per i maiali, per le capre e, a volte, anche per i pesci. Tuttavia, con una speciale lavorazione atta ad eliminare il sapore amaro, le castagne d’India danno una fecola nutriente e gradevole.

    Longevo e rustico, tollera le basse temperature e non ha particolari esigenze in fatto di suolo, anche se cresce meglio nei terreni fertili. È poco resistente alla salinità del terreno e gli agenti inquinanti atmosferici, ai quali reagisce con arros-
    samento dei margini fogliari e disseccamento precoce della lamina. Fino a pochi secoli fa si riteneva che quest’albero fosse originario delle montagne dell’India, in realtà esso proviene dalle foreste albanesi, greche e balcaniche.
    Il nome deriva dal greco "ippos" (cavallo) e "castanon" (castagno), e deve il suo nome al fatto che i Turchi usavano la farina ricavata dai suoi frutti, mescolata all’avena, per curare i cavalli affetti da bolsaggine, una grave difficoltà respiratoria. Il termine "castagno d’India" deriva dall’abitudine degli antichi di qualificare come "indiano" tutto ciò che proveniva dall’Oriente.
    Il legno di Ippocastano è di cattiva qualità viene utilizzato per la produzione d’imballaggi. Sia la corteccia sia i frutti dell’ippocastano contengono delle sostanze attive “astringenti” e con la farina ottenuta dalle castagne si fanno degli appretti e delle colle molto tenaci. Sempre con una farina ricavata dai suoi semi contenenti molte saponine, si possono pulire tessuti, nonché produrre un olio lubrificante impiegabile nell’industria saponiera.

    …storia, miti e leggende…



    Venne introdotto in Europa verso la metà del XVI secolo, importato da Istanbul, e i suoi frutti furono seminati per la prima volta a Vienna dal giardiniere dell’imperatore d’Austria. Col passare dei secoli, l’ippocastano si diffuse rapidamente a scopo ornamentale, mai come pianta spontanea.
    In un tempo molto lontano la pianta cresceva spontaneamente anche nell’ Italia settentrionale: ne è testimonianza i suoi semi, rinvenuti in palafitte preistoriche a Molina di Ledro e presso Peschiera.
    Le credenze popolari hanno di volta in volta attribuito all’ippocastano qualità terapeutiche, ritenendolo in particolare un efficace febbrifugo e un buon antiasmatico. Dalla pianta si ottengono pure principi medicamentosi utilizzati per vari disturbi dell’apparato circolatorio.
    L’Ippocastano, nella mitologia, rappresenta il Dio Thor, un Dio nordico, dei popoli germanici, famoso per la sua forza leggendaria.

    ..una favola..



    …..“Sai che questo elegante albero è originario dei balcani, fu introdotto in Italia nella seconda metà del Cinquecento da un botanico di Siena… un certo Andrea Mattioli, il quale ricevette i frutti dell’albero da Costantinopoli. Tu pensa, mah, e poi dicono che non è più il caso di studiare il greco! Il nome kastànos hìppos, significa Castagno di cavalli e si dice che risalga agli arabi i quali, abili allevatori, curavano le malattie respiratorie equine con decotti di castagne. E’ uno degli alberi che, tra l’altro, ha più blasoni: Castagno d’India , perché in passato si riteneva che fosse originario di questa nazione, oppure, Castagna amara, per lo sgradevole gusto, Castagna cavallina… ma anche i frutti, sai, hanno il loro soprannome: Castagne matte, Castagne gingia. Ah, non ti ho mai raccontato la favola dell’ippocastano?”

    C’era una volta un piccolo Castagno d’India che abitava nel Pakistan, perché era nato lì. Aveva otto anni, faceva la terza ed era sempre triste e solo. Non andava d’accordo con gli altri alberi, li considerava noiosi e soprattutto li trovava tutti eguali. Il suo sogno era quello di viaggiare per conoscerne altri. Trascorreva le giornate sulla riva del mare in attesa degli uccelli migratori e quando li vedeva arrivare:-
    - Ciao, ciao uccellini, ben tornati! Da dove venite?
    - Veniamo da Torino.
    - E ci sono alberi a Torino?
    - Oh si! Quanti ne vuoi!
    - Mi piacerebbe venire a Torino con voi e conoscerli tutti; ma non sono tutti uguali…?
    - No, no, ce ne sono di tutte le qualità possibili.
    - Ah! Che meraviglia sarebbe… ciao, ciao.
    Il piccolo Castagno d’India era sempre più afflitto dalla malinconia, finché un giorno arrivò un enorme elefante che andò a grattarsi contro di lui.
    - Hei! Elefante! Ma sei matto?! Non vedi che mi butti giù! Io sono piccolo sai?
    - Oh! Scusa piccolo Castagno d’India, sono mezzo rimbambito, ho girato tutto il mondo con il circo Togni, ora sono tornato in pensione e trascorro gli ultimi giorni nel mio paese.
    - Hai girato tutto il mondo?! Ma dimmi sei stato anche a Torino?
    - Si, sapessi quante volte! Mettevamo il tendone sempre in piazza d’Armi.
    - E ce ne sono alberi li?
    - Se ce ne sono… andavo sempre a grattarmi contro i platani di corso Agnelli.
    Il piccolo Castagno d’India gli abbracciò una zampa:
    - Elefante portami con te a Torino, voglio conoscere quegli alberi.
    - Per carità, ho appena smesso di lavorare e non mi passa neppure per l’anticamera del cervello di rifare tutti quei giri.
    - Oh! Elefante sii buono, portami con te, voglio andare là per vedere, conoscere.
    - Ma siamo impazziti! No, no, no, figurati se alla mia età mi metto di nuovo a girare con un moccioso come te.
    - Ti prego, ti prego elefante, fallo per me, io non ne posso più di stare qua!
    Il piccolo Castagno d’India supplicò, pregò, pianse tanto che convinse l’elefante a partire. Compera-
    rono due biglietti di seconda classe e si imbarca-
    rono su di un bastimento slovacco che li portò a Marsiglia. Spesero presto i pochi soldi che avevano e gliene rimasero solo quanti bastavano per un pasto. Decisero allora di andare al ristorante. Quì c’era un cameriere di Cuneo al quale chiesero: “Senta signor cameriere di Cuneo, noi dovremmo andare fino a Torino, ma non abbiamo più soldi: come facciamo?”. Il cameriere di Cuneo fece roteare gli occhi assumendo una espressione intelligente, poi, dopo una pausa, esclamò: “Eh giacche! Bravi! Se avete finito i soldi, a Torino ci andate a piedi!”. In quel momento all’elefante venne in mente che suo nonno gli raccontava che suo bisnonno gli aveva raccontato, dopo averlo ascoltato da un trisnonno… che un loro antenato era andato a piedi da Marsiglia a Torino attraverso le montagne con un certo Annibale. Si ricordò perfettamente il racconto e si incamminarono su per le Alpi Marittime. Superato il Colle delle Traversette, arrivarono a Cuneo, dove l’elefante morì perché era vecchio e tanto stanco per le fatiche del viaggio. Il piccolo Castagno d’India si incamminò a piedi e verso Racconigi ottenne un passaggio da un pensionato della Michelin che trasportava della mobilia usata per una sua cognata che abitava in via Giulia di Barolo 25 bis. Arrivato a Torino, piazza Castello, vide una guardia che stava fischiando e le chiese: “Senta, signora guardia che fischia, io sono un piccolo Castagno d’India che viene dal Pakistan e vorrei trovare lavoro”. La guardia smise di fischiare e lo scrutò da sotto la visiera: “Ecco! Tutti uguali! Appena arrivati vogliono già sistemarsi. Intanto, per trovare un lavoro, devi andare all’ufficio di Collocamento Alberi, che sarebbe la Ripartizione Alberate di piazza San Giovanni 4, dove c’è il dottor Rovere”.
    - Toc, toc.
    - Avanti, disse il dottor Rovere.
    - Permesso?, chiese timidamente… è lei il dottor Rovere?
    - Si, cosa desideri?
    - Io sono un piccolo Castagno d’India, vengo dal Pakistan e vorrei trovare una collocazione assieme agli altri alberi della città.
    - Bravo! Tutti uguali, appena arrivati… ma dimmi cosa sai fare tu?
    - Io? Io so fare ombra.
    - Eh giacche! Tutti gli alberi fanno ombra, ma noi qui abbiamo alberi che non solo fanno ombra, ma sono stati indispensabili per la nostra civiltà! Abbiamo Olmo, Frassino, Faggio, Rovere ed altri con i quali abbiamo fatto i mobili, le botti, le travature dei tetti, le traversine dei binari ed altre centinaia di cose utili; e tu dici che fai solo ombra!!? E frutti ne fai?
    - Si! Faccio le castagne, assaggi, assaggi, e gli porse una manciata di castagne lucide e marroni.
    Il povero dottor Rovere ne addentò una e subito comincio a sputare e per poco non ebbe un travaso di bile. Nonostante il disgusto ed i denti “legati” riuscì ad esclamare: “Fuori di quà! Che schifo, che schifo!”. Il piccolo Castagno d’India supplicò: “Per carità dottor Rovere, non mi mandi via, io voglio restare quì, non posso tornare nel Pakistan, mi trovi almeno un posto in un controviale!”.
    “No! No! No!, Niente da fare! Per uno che fa queste cose disgustose non c’è posto!”. Il dottor Rovere, che intanto si era addolcito la bocca con una caramella alle erbe alpine, si lasciò commuovere dalle lacrime del piccolo Castagno d’India: “Se proprio vuoi fare ombra vai a farla in via Nino Costa, dietro la Borsa Valori (4), dove non darai fastidio e non avvelenerai nessuno!”.
    Il piccolo Castagno d’India si mise in mezzo al prato e cominciò a crescere ed a produrre, ma era sempre tanto solo. Nessuno lo vedeva e lo salutava, così provava sempre tanta malinconia. A qualcuno però non era sfuggita la sua presenza e la notizia si sparse come al solito al tramonto quando arriva sulla città il vento della valle di Susa che mette in onda il notiziario degli alberi in concomitanza con il telegiornale della TV: “Fiiii… hei Olmo, hai sentito? E’ arrivato uno che fa delle castagne che se le metti in tasca non ti viene il raffreddore”. Una travolgente risata si riversò su tutti i corsi ed i viali. “Fiiii… hei, Frassino, hai sentito, è arrivato un indiano che fa delle castagne che si danno da mangiare alle mucche, ai maiali e servono anche per curare la tosse dei cavalli”. Altra risata travolgente. “Fiiii… hei, Betulla, hai sentito è arrivato un asiatico che fa delle castagne dalle quali si estrae la esculina che serve per curare le emorroidi”. Risata più travolgente del solito. Le disgustose castagne sembravano adatte per tutto; servivano persino per fare il sapone, come commestibile e messe nei vasi impedivano la nascita dei lombrichi. Nel giro di pochi giorni tutta la città rise alle spalle del poveretto. Il piccolo Castagno d’India era sempre più triste e disperato. Finché un mattino di ottobre sostarono sotto di lui due bambini che avevano marinato la scuola. Cominciarono a tirarsi le castagne e poi si stesero vicino al tronco per fumare di nascosto. Ad uno dei bambini venne un’idea: prese i fiammiferi e li conficcò in due castagne ed ottenne una bellissima mucca; l’altro allora fece un cavallo; l’amico replicò con una formica. Giunsero anche altri bambini e tutti, con quelle castagne, costruirono gli animali e gli omini più impensati. Dopo qualche ora il prato era pieno di bambini che giocavano. Quella mattina, per caso, passava di lì Diego (non Maradona, ma Novelli, un antico sindaco di Torino), il quale dinnanzi a quello spettacolo esclamò: “Boia faos” , ma cos’è questo?! Un albero che fa giocare i bambini, e ce n’è uno solo!!?”. Si precipitò in Municipio ed emanò un’ordinanza che obbligava il dottor Rovere a mettere i Castagni d’India nei corsi più belli della città. Così oggi abbiamo i Castagni d’India in corso Stati Uniti, corso Palestro, corso Duca degli Abruzzi, corso Marconi, corso Montevecchio…E così finalmente il piccolo Castagno d’India visse felice e contento
    (Giancarlo Perempruner)

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    SETTEMBRE


    Settembre

    Triste il giardino: fresca
    scende ai fiori La pioggia...
    silenziosa trema
    l'estate, declinando alla sua fine.
    Gocciano foglie d'oro
    giù dalla grande acacia...
    Ride attonita e smorta
    Pestate dentro il suo morente sogno;
    s'attarda tra le rose,
    pensando alla sua pace;
    lentamente socchiude.


    (Hermann Hesse)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Bill Stipp

    " Durante uno dei miei viaggi ho incontrato per la via
    un giovane poverissimo che era innamorato.
    Aveva un vecchio cappello, la giacca logora,
    l'acqua gli passava attraverso le suole delle scarpe e le stelle attraverso l'anima."
    (Simone G., dal web)

  11. .






    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 037 (07 Settembre – 13 Settembre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 7 Settembre 2015
    S. REGINA

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 37
    Giorni dall'inizio dell'anno: 250/115
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 05:42 e tramonta alle 18:33 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 05:52 e tramonta alle 18:50 (ora solare)
    Luna: 0.12 (lev.) 14.57 (tram.)
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Di settembre di frutti ce n'è sempre.
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Il presidente è il primo dei servitori.
    (Mahatma Gandhi)









    RIFLESSIONI



    ... MOSAICO …
    ... “Quell’odore di colla non lo dimenticherò mai”; pensieri sparsi nella mente, il ricordo di quello scrocchiettare delle pagine del libro nuovo di testo che alla prima apertura suonava come un lieve strumento magico. La colla era il corollario a tutto questo, quel profumo lieve e penetrante accompagnava le prime giornate di scuola. “La mano passava col dorso sui fogli intonsi dei quadernoni appena acquistati”; un altro flash della memoria. Curvo sul banco al comando della maestra di aprire il quaderno per iniziare a scrivere le prime cose, quel gesto involontario ma ripetuto dalla maggior parte dei bambini. Un lieve passare del dorso della mano sul foglio bianco di quel quadernone appena aperto era il segno che da quel momento quel foglio e quel quaderno sarebbero divenuti il centro del cosmo. “Un zip prolungato, ripetuto”, lo scorrere delle lampo di quegli astucci nuovissimi, lieve poesia, accordi fatati di un tempo andato. Aperta completamente la zip, si apriva il mondo dei colori, degli strumenti. Penne di tutti i colori, matita, gomma per cancellare e, a volte, anche un righello, era come aprire il cancello che porta alla fantasia, agli strumenti che avrebbero potuto dar corpo ad ogni fantasia, a tutti i tipi di immaginazione. “Le spalle un po’ le sento affaticate”, zaini colmi fino all’inverosimile di ogni cosa pesavano su quelle spalle forti e giovani che avrebbero di li in avanti dovuto sostenere il peso non solo dei libri ma degli anni, delle esperienze belle o brutte. Libri, quaderni di ogni tipo con pagine protocollo oppure a quadretti, grandi o piccoli, con pagine bianche per disegnare. L’immancabile astuccio che sembrava un enorme hot dog tanto era ridondante e pieno fino quasi a scoppiare. “La carta oliata, il profumo semplice ma invitante”; in un angolo dello zaino la merenda; pizzetta col pomodoro. Incartata nella carta oleata lasciava una scia profumata che ogni volta che si apriva lo zaino fuoriusciva con tutta la sua forza e stuzzicava fortemente l’appetito. “Quel suono, nel grande androne della scuola, pieno di bambini, nei loro grembiuli blu con tanto di fiocco, e genitori. La campanella”. Quel suono così apparentemente ingenuo in realtà in quel primo giorno di scuola non rappresentava solo l’inizio dell’anno scolastico; era l’inizio della nuova vita, del cammino verso nuovi gradini da salire nuove sfide da affrontare per entrare nel “mondo dei grandi”. Un mosaico di pensieri in questo tempo che ci riporta all’infanzia, in questi giorni in cui le scuole riaprono e noi in qualche modo ci sentiamo tornare sui banchi di scuola … Buon risveglio … Buon Settembre amici miei … (Claudio)






    E se tornassimo sui banchi di scuola?
    Tra interrogazioni incubo e diario cult, un viaggio tra i ricordi. E se tornassimo tutti sui banchi di scuola? Qual era la materia più amata? E il diario? Quanti ricordi...
    MATEMATICA CHE PASSIONE!
    Chi l’avrebbe detto! La tanto temuta matematica risulta essere, al fianco di altre materie scientifiche come fisica, scienze e chimica, la più amata, trasversalmente da uomini e donne. Con oltre il 38% delle preferenze, supera di misura l’italiano (30%) e l’inglese (17,7%).
    Nota dolente la storia. Troppi nomi da ricordate, troppe date, troppa confusione. Per il 32,3% degli intervistati raggiunge la vetta delle materie più ostiche.

    Sono i risultati di un'indagine focalizzata sul back to school dal sapore “amarcord”, realizzata alla vigilia della ripresa scolastica da, Privalia, l'outlet online di moda e lifestyle
    UNA SCUOLA 3.0
    Più aspettata la risposta alla domanda “quale materia avresti voluto studiare o approfondire di più?”. Nessun dubbio: è l’informatica. Quasi il 50% del campione, che forse oggi accusa il digital, e guarda con invidia alle generazioni dei nativi digitali, è d’accordo. Esercitano un certo fascino anche le lingue orientali, scelte dal 20% del campione, e la musica, con il 15% delle preferenze.
    I BEI TEMPI ANDATI, FRA COMPAGNI E MAESTRI DI VITA
    Facendo un bilancio dei ricordi più belli e più brutti, gli italiani sono più che convinti: il 71% del campione tornerebbe volentieri indietro ai tempi della scuola. Non di diversi decenni, ma al tempo delle scuole superiori, individuate come il miglior ciclo di studi per il 50% degli intervistati. Seguono le scuole elementari (28%) e chiudono la classifica le scuole medie (22%).
    Fra i momenti più belli, stravince nella classifica la quotidianità dei giorni trascorsi con i compagni di scuola (46% delle risposte). Per il 22% del campione sono però gli insegnamenti di alcuni professori ad aver segnato positivamente il corso degli studi. Non solo note e richiami, ma veri e propri insegnamenti di vita.
    E i momenti da dimenticare? Uomini e donne si trovano d’accordo: le interrogazioni. Per il 28% degli intervistati sono tuttora il momento più temuto, perfino prima dei compiti in classe a sorpresa (24%), della ricordi legati alla severità di alcuni insegnanti (19%), degli esami (18%) e dell’attesa delle pagelle (11%).
    CARO DIARIO
    La corsa al equipaggiamento migliore per affrontare l’anno scolastico segnava sì la fine delle vacanze, ma era per gli intervistati un ottimo antidoto per combattere la nostalgia dell’estate giunta agli sgoccioli. Vissuto come un momento di vera gioia per l’88% del campione, la corsa in cartoleria e nei negozi specializzati – in assenza di siti di e-commerce che, come Privalia all’interno della sezione Baby & Kids, offrono oggi una vasta scelta di accessori e abbigliamento baby e junior per il back to school - era una lotta per accaparrarsi l’oggetto di culto della stagione.
    Una vittoria schiacciante. Il diario per il 52%, uomini e donne, era l’articolo più desiderato, superando il nuovo zaino, i nuovi kit di penne e colori, gli abiti e le nuove scarpe per l’ora di ginnastica.
    Il diario arrivava al drin della campanella di inizio delle lezioni già pieno di storia e di storie. Per il 71% del campione – valore che sale fino al 78% per le donne - era un autentico collage di foto, di trascrizioni di testi di canzoni, saluti degli amici dell’estate.
    Utilizzato solo dal 20% degli intervistati per segnare i compiti, mentre nel 5% dei casi risultava essere soprattutto un insieme di note e comunicazioni per i genitori.
    Il 3% del campione preferiva non acquistarlo: ci si affidava alla memoria per ricordare tutto!
    (Ansa)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Estate…

    Le pannocchie

    Or che il granturco fu raccolto, a gara
    le massaie hanno appeso in molte file
    alle rozze verande le pannocchie.
    Splendono le pannocchie sui graticci
    di legno, gialle, d'un bel giallo ardente
    ch'è quasi rosso, fitte di rotondi
    chicchi, liete allo sguardo e liete al cuore.
    Voi superbe, o massaie, per la casa
    parata a festa come al Corpus Domini,
    quando fra canti e mortaretti passa
    col suo Gesù la Vergine Maria!
    Splendono le pannocchie al sol d'autunno,
    tutte certezza; ed ai fanciulli parlano
    della polenta che la madre al fuoco
    del nel paiolo rimesta, e d'un sol colpo
    sul tagliere arrovescia, e, nel buon fumo
    ravvolta, suddivide in tante fette
    quante le bocche.

    Giunto poi che sia
    gennaio con la sizza come frusta
    che scocchi su la pelle e con la neve
    alta sino ai polpacci, oh, benedetta
    la polenta che scalda mani, gola
    e sangue, mentre sugli alari avvampano
    secchi rami di pino intorno al ceppo,
    e dalle travi del soffitto in strane
    ombre discende, adagio adagio, il sonno.
    (Ada Negri)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Bene e male

    C'era una volta, in un villaggio, un povero, al quale Dio aveva dato una nidiata di figlie e più tardi anche due gemelli maschi: uno lo battezzò col nome di Bene, l'altro col nome di Male. Quando ebbero dieci anni, dissero ai loro genitori:«Finora ci avete allevati e vi siete affaticati abbastanza per noi; d'ora in poi possiamo anche vivere senza il vostro aiuto. Avete abbastanza disgrazie; preparateci qualcosa da mangiare per il viaggio e lasciate che andiamo in giro per il mondo in cerca di fortuna.»«Va bene, miei cari», disse l'uomo vedendo che ai suoi figlioli la voglia di lavorare non mancava. «Però di tanto in tanto passate di qua, almeno una volta all'anno, affinché sappiamo come state e che cosa fate.»
    La mamma preparò per loro una gran torta ed essi, dopo essersi fatto un bastone ciascuno, si misero in cammino. Cammina cammina, camminavano verso sud, finché giunsero ad una fonte sotto un gran salice. E lì si fermarono per riposarsi un pò. Quello che si chiamava Bene aveva fame, sicché tirò la torta fuori dalla bisaccia e cominciò a mangiare. Male, vedendo ciò, gli si avvicina e gliela mangia tutta quanta. Al momento della partenza, Male dice a Bene:«Fratello, quando avremo fame, mangeremo la mia torta. Adesso partiamo, ma abbiamo davanti a noi due strade, che arrivano ambedue là in cima al colle, dove c'è la croce. Io vado a sinistra, tu vai a destra: vediamo chi arriva prima».
    E così fecero, perché Bene accettava di buon grado tutto quello che gli diceva suo fratello Male; Bene pensava che tutti quanti fossero buoni come lo era lui. Bene si incamminò dunque per la strada di destra, ma non si incontrò con suo fratello Male; arrivò invece in un gran bosco, dal quale non sapeva più come uscire. Da mangiare non ne aveva e si nutriva solo di qualche nocciola, di lamponi e di more; anzi, la fame lo spingeva a mangiare anche ghiande e faggina, per quanto non ne trovasse molto. A un certo momento cominciò a non trovare più nulla e nemmeno riusciva ad uscire dal bosco. Tutt'a un tratto arriva vicino ad un gran formicaio, in mezzo ad una radura; si dirige verso il formicaio, deciso a mangiarlo, tanta era la fame che aveva.
    Ma il formicaio aveva indovinato il pensiero e gli disse:«Non mangiarmi, mio caro! Abbi pazienza ancora un po', visto che hai già pazientato tanto. Vedrai che non avrai a pentirtene».Il ragazzo ebbe pietà del formicaio e non lo mangiò. Andò oltre, ma era così affamato, che per la fame gli brontolavano gl'intestini. Mentre camminava, vedendo in un albero cavo un nido di api, vi si accostò con l'intenzione di mangiarlo.
    Ma il nido d'api indovinò il suo pensiero e gli disse:«Ehi, giovanotto, se mi mangerai ti servirà a poco. Porta pazienza ancora un pò, visto che hai già pazientato tanto. Vedrai che non avrai a pentirtene».Bene lasciò in pace il nido d'api e andò oltre, sempre più tormentato dalla fame. Camminando ancora un pò, vide un lago e vicino al lago due cicogne che andavano a caccia di rane. «Una di queste la devo mangiare!», pensò Bene e cercò un pezzo di legno per ammazzare una cicogna e poi arrostirla, ché davvero non ne poteva più dalla fame.
    Ma le cicogne dovevano aver indovinato il suo pensiero, perché gli gridarono di lontano: «Risparmiaci, bravo giovane, ché non avrai a pentirtene! Hai portato pazienza per tanto tempo, pazienta ancora un pò! Vai avanti per questo sentiero e ti imbatterai in una bella prateria; là troverai il palazzo di un ricco boiaro, dove avrai tutto ciò che ti occorre».Bene risparmia anche le cicogne e procede oltre, lungo la via che esse gli avevano indicata. Ed effettivamente non passò il tempo necessario a una fumata di pipa, che si trovò in una prateria. E che cosa vide per prima cosa? Suo fratello Male, che stava pascolando un gran gregge di pecore del boiaro. Come lo vide, si mise a correre verso di lui gridando: «Grazie a Dio che ti trovo, fratello! Presto, dammi un tozzo di pane, ché muoio di fame!». Male però, anziché dargli qualcosa da mangiare, fuggi via da suo fratello come il diavolo dall'incenso.
    Addolorato, con le gambe che gli barcollavano per la fame, Bene strisciò come un serpente fino al palazzo del boiaro e pregò quest'ultimo di dargli un lavoro, affinché potesse guadagnarsi da mangiare, siccome stava morendo di fame. Il boiaro ordinò che gli fosse immediatamente portato del cibo e gli disse che tutti i servizi erano già assegnati; rimaneva libero, se lo voleva, il posto di guardiano d'oche. Bene accettò con gioia, mangiò finché fu sazio, ringraziò Dio e il boiaro, poi andò a coricarsi. il mattino seguente avrebbe preso in custodia le oche.Il giorno dopo Bene andò con le oche, mentre suo fratello Male pascolava le pecore.
    Quando fu sera, Male entrò nella corte del palazzo e disse al boiaro: «Guardi, vossignoria, il guardiano delle oche si è vantato che in un giorno e una notte è capace di separare tutto il frumento dalla paglia, filo per filo, e che la paglia resterà solo paglia».Il boiaro prestò fede alle parole di Male, perché fino a quel momento non gli risultava che avesse detto bugie. Perciò manda a chiamare il guardiano delle oche e gli dice: «Ragazzo, vedi un po' di fare ciò di cui ti sei vantato, altrimenti sarà peggio per te». «Ma che cosa debbo fare, signore?», domanda Bene, «Di che cosa mi sono vantato?» «Lo sai benissimo. Hai detto che separerai tutto il frumento dalla paglia, filo per filo, e che la paglia resterà solo paglia. Adesso voglio vedere, altrimenti guai a te!»Il ragazzo si mise a piangere e a disperarsi, che si sarebbe creduto fosse la fine del mondo. Non ne volle sapere di cenare, ma si chiuse nella sua capanna, vicino al recinto delle oche, e pianse fin verso mezzanotte. Fu allora che qualcuno bussò all'uscio.«Chi è?», chiede il ragazzo. «Sono io, il formicaio», gli fu risposto, «fammi entrare.»«Ragazzo mio, io sono il re dei formicai e delle formiche e sono al corrente della tua disgrazia. Vai a coricarti e dormi senza timore, perché domani all'alba il frumento sarà tutto ben selezionato.»
    Poi il re delle formiche andò nel pagliaio e vi salì fin sulla cima, mentre tutte le formiche del mondo si erano radunate nel pagliaio. Erano così numerose, che per ogni granello di frumento ce n'erano tre o quattro. In poche ore, il frumento fu selezionato. Bene le aveva osservate per tutto quel tempo e si era meravigliato della loro laboriosità. Era ben contento di non aver divorato il formicaio, l'altro giorno, quando era tormentato dalla fame!Al mattino il boiaro si alza e vede il prodigio. Si stupisce dello spettacolo e loda il ragazzo, ma non riesce a capacitarsi che un povero guardiano d'oche faccia cose di cui non sarebbero capaci i cortigiani più istruiti.
    La sera seguente, Male va a raccontare un'altra menzogna al boiaro e questi gli crede ancor prima che parli. Gli dice che il guardiano d'oche si è vantato di poter trasformare il palazzo del boiaro in una chiesa di cera. Se il boiaro è disposto, lui lo può fare dalla sera alla mattina. Una cosa grandiosa, questa! Quando il boiaro ne sentì parlare, gli venne voglia di averla. Pensate un po': una chiesa di cera! Allora fa venire davanti a se il ragazzo e gli dice: «Entro domattina mi devi trasformare questo palazzo in una chiesa di cera!».Impossibile dire la disperazione del ragazzo, il suo pianto, il suo dolore. Ma verso mezzanotte, chi è che bussa alla porta? La regina degli alveari, che l'altro giorno era stato lì lì per mangiare, tanta era la fame che aveva. Gli disse di non esser triste, perché sarebbe stato come Dio avesse voluto. E ordinò a tutte api del mondo di radunarsi, di rivestire di cera le pareti del palazzo, di fare icone di cera sulle pareti, di fare un altare di era nella chiesa e che entro l'alba fosse tutto pronto. Così fu.
    Il boiaro fu molto contento ed elogiò il ragazzo, quando vide quella meraviglia di chiesa, che non ce n'era un'altra al mondo.Qualche giorno dopo, dopo aver pensato una stramberia dietro l'altra, Male si presentò di nuovo dal boiaro con una delle sue menzogne. Egli sapeva che il boiaro non aveva figli, ma solo una figlia, che ormai era una giovinetta. Allora Male dice al boiaro che Bene si è vantato di poter andare dalle fate e portar un bambino dai capelli d'oro, tutto in una notte. Il boiaro che desiderava tanto di avere un nipotino e che vedeva quante elle cose aveva fatto Bene, crede che questi si sia vantato a gion veduta. Perciò lo chiama davanti a se e gli dice: «Entro mani voglio trovare un bambino nel letto di mia figlia, accanto a lei. Vai a prenderlo dalle fate, fa' come vuoi, purché essa dia un bambino!».A questo ordine, Bene restò di sasso ed entrò nella sua capanna piangendo. Ma verso mezzanotte bussò alla porta l'imperato delle cicogne e gli disse: «Non piangere più, perché l'ordine I boiaro è stato eseguito. Sua figlia ha sul seno un bimbo coi capelli d'oro: glielo siamo andati a prendere adesso dalle fate». Fu contento il ragazzo, ma quanto fu contento il boiaro! Chiama subito il pope affinché faccia due cose: un battesimo e un fidanzamento. Fidanzò Bene con sua figlia e gli diede metà delle sue terre e dei suoi beni. Quanto a Male, si vantò che nel giorno delle nozze sarebbe rimasto in cima a un mucchio di fieno finché questo fosse bruciato tutto.
    Tutti si stupivano, perché riuscivano a capire come avrebbe potuto fare. Ma, quando Male bruciò insieme col fieno, di lui non rimasero neanche le ceneri. Le sue ceneri furono soffiate via dal vento in tutte le direzioni: dove si posavano, si sollevavano di nuovo. È per questo che al mondo c'è più male che bene.

    (isaefrenk)



    ATTUALITA’


    La 'vecchia' scuola più vicina al libro Cuore che a Facebook.

    Il mondo cambia ma la scuola sembra non accorgersene. Tra Lim, registri elettronici e tablet, le lezioni in classe però restano sempre le stesse. Le lezioni dei nostri figli sono uguali a quelle che facevano i nostri genitori, la scuola italiana è la stessa della maestra dalla penna rossa del Libro Cuore. E l’innovazione continua a rimanere in punizione fuori dalla porta. E così, mentre esiste un’app per tutto, 2 studenti su 3 raccontano di non averne mai usata una durante le lezioni. Solo il 29% dei ragazzi dice di averlo fatto, ma solo con qualche prof, magari più giovane e aggiornato. Appena il 4% dei ragazzi adopera insieme ai prof questo materiale con regolarità. La situazione peggiora se chiediamo agli studenti se abbiano mai creato un blog a scuola: più di 8 su 10 dicono di no, e ad averlo fatto almeno una volta è solo il 15% degli intervistati. Sono i dati emersi da un’indagine di Skuola.net su un campione di circa 4mila studenti.

    Eppure i docenti sanno di parlare a una generazione che utilizza pc, smartphone e tablet come un’estensione del proprio arto. Una generazione che vive sui social, è sempre connessa. Connessione per lo meno "disturbata" però tra le mura di scuola, visto che il 20% dichiara che che i suoi insegnanti non utilizzano mai materiali didattici presi dal web per le loro spiegazioni. E se lo fanno non si tratta della regola per il 58% degli intervistati.

    Tutto quello che gli studenti sanno sul digitale lo hanno imparato da soli sul campo. Anche se 1 su 3 racconta di saperne “abbastanza” anche grazie al contributo della scuola, sono più di 3 su 5 i ragazzi che affermano con tranquillità che il loro patrimonio di conoscenza al riguardo non viene per merito del proprio istituto. Probabilmente perché, per ben il 77% dei ragazzi intervistati, sono mancati totalmente corsi per migliorare le conoscenze digitali e informatiche. Così probabilmente solo una minoranza uscirà da scuola sapendo cos’è un programma di coding, Arduino o una stampante 3D. E il mercato del lavoro ne prenderà atto.

    Allo stesso modo, se ormai i teenagers vivono online, non è detto che sappiano starci nel modo giusto. Ne sono testimoni tutti i casi di cyberbullismo e di suicidi e violenze che ne conseguono e di cui trattano giornali, web e tv. Eppure la scuola resta a guardare: circa 3 su 5 dicono che non è mai stato organizzato un incontro sul corretto uso di internet e dei social contro i rischi della rete.

    "I dati di questa indagine ci confermano che le nuove tecnologie non dimorano a scuola non solo per quanto riguarda quelle fornite dall'alto, come ad esempio le LIM o il registro elettronico, ma neanche per quanto riguarda gli strumenti di uso comune. Immaginate quanto risparmierebbero invece le famiglie se, invece di un costoso dizionario cartaceo, potessero utilizzare un' app - sostiene Daniele Grassucci, Responsabile della Comunicazione del portale Skuola.net - purtroppo la scuola è resistente all'uso di contenuti o tecnologie che potrebbero alzare di molto il livello delle lezioni. Stando così le cose, non meravigliamoci del ritardo italiano nelle nuove professioni digitali e delle difficoltà di reclutamento da parte delle aziende che ormai lavorano in un mondo dove internet e i social network sono il pane quotidiano.

    Per fortuna, c'è chi si pone il problema e cerca di trovare una soluzione. Si trova a Reggio Emilia il liceo dove insegna Matteo De Benedittis, uno di quei prof che statrovando il modo di comunicare con chi, ormai, parla un linguaggio incomprensibile agli over-40. Con il progetto Apocrifo Dantesco, concorso nazionale tra scuole, posta su Facebook le terzine composte da novelli Dante. La sua didattica innovativa non finisce qui: con la sperimentazione del compito in classe a coppie, insegna a suoi ragazzi la capacità di lavorare in team, così cercata dai direttori del personale delle grandi aziende.

    Nella scuola di Salvatore Giuliano, dirigente scolastico dell' ITIS Ettore Majorana di Brindisi, tutti i ragazzi, dal prossimo anno, avranno un tablet per fare lezione e per studiare sui e-book e materiale autoprodotto. E' sua l'idea di Book In Progress, un progetto di condivisione di materiali didattici sostitutivi dei libri di testo, scritti dai docenti della rete nazionale. A Pravisdomini in Friuli, nella classe di Enrico Galiano (docente, blogger e youtuber) la Geografia si studia realizzando "documentari" sui paesi del mondo. La Storia e i suoi personaggi si racconta a creando, tramite applicazione web, biografie multimediali a fumetti. Tra un autore di italiano e una regola di grammatica si impara come si produce un video e come si lavora sulle piattaforme di condivisione, come si gestisce un sito web e un blog.
    (Ansa)





    Andrea Camilleri, i 90 anni del papà di Montalbano.

    Due ebook Sellerio e dal 14/9 il 'giovane' commissario su Rai1. Fenomeno letterario davvero unico e inimitabile, Andrea Camilleri e' diventato autore bestseller a oltre 70 anni e ora, alla vigilia dei suoi novanta - che festeggia il 6 settembre - quel successo arrivato in tarda eta' si vede quanto sia radicato, non solo nei numeri. Un successo da oltre 30 milioni di copie con titoli tradotti in tutto il mondo, che non fanno in tempo ad uscire ed entrano in testa alle classifiche dei piu' venduti, piacendo dal nord al sud Italia e a lettori di tutte le eta'.

    Il suo editore storico, Sellerio, gli rende omaggio con due ebook speciali, in vendita solo fino al 6 settembre: 'Le indagini di Montalbano' (90 euro) con i 23 romanzi e una raccolta di racconti con protagonista il famoso commissario e 'I romanzi di Vigata e altro ancora' (90 euro), 23 tra romanzi e altre pagine con le storie che Camilleri ha ambientato nella sua citta' immaginaria, da 'La stagione della caccia' a 'Il birraio di Preston' e 'La concessione del telefono'. Ma i festeggiamenti non si fermano qui: dal 7 settembre esce, in tiratura limitata, il cofanetto 'I sogni di Andrea Camilleri' (15 euro), un'antologia dei sogni raccontati nei romanzi e nei racconti dello scrittore insieme alle 48 cartoline con le copertine dei suoi libri Sellerio e il volume celebrativo, 'Gran Teatro Camilleri', a cura di Salvatore Silvano Nigro, con una serie di saggi in cui viene proposta una chiave di lettura della sua opera, del rapporto con la lingua, i luoghi e le abitudini, firmati da critici e intellettuali come Giovanni De Luna, Tullio De Mauro, Vittorio Spinazzola e Stefano Salis. E il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto, ha deciso di festeggiare il compleanno dello scrittore avviando la procedura per conferirgli la cittadinanza onoraria. Il salto alle grandi tirature per Camilleri e' arrivato con il suo commissario Salvo Montalbano, apparso per la prima volta nel romanzo 'La forma dell'acqua' del 1994, il cui nome e' un omaggio a uno degli scrittori piu' amati da Camilleri, Manuel Vazquez Montalban, e il cui modello ideale e' stato Maigret. Ma il vero balzo mediatico si e' realizzato nel 1996 quando Maurizio Costanzo, in una puntata della sua trasmissione, ha invitato a comprare 'Il ladro di merendine' impegnandosi a restituire i soldi se il libro non fosse piaciuto.

    Da allora non si e' piu' fermata la fortuna del commissario - colto, gran lettore di romanzi, ghiotto , fidanzato con Livia - che ha superato il giro di boa dei vent'anni, e' entrato nell'immaginario collettivo grazie all'interpretazione di Luca Zingaretti, ex allievo di Camilleri, negli episodi della serie di Rai1, al top degli ascolti anche in replica. E dal 14 settembre, in prima serata sulla rete ammiraglia Rai, andra' in onda la nuova serie di sei episodi del 'Giovane Montalbano' con Michele Riondino e la regia di Gianluca Maria Tavarelli. Montalbano "e' un monumento che se ne sta li', ancora destinato a crescere per qualche anno. Terminera' quando finiro' io" come ha detto all'ANSA Camilleri in occasione dei vent'anni del suo commissario le cui avventure si sarebbero dovute fermare al secondo episodio e invece non hanno mai smesso di stupire, anche affrontando gli imbrogli negli appalti delle opere pubbliche.

    "Non mi facevo capace di avere una tale fantasia per la lunga serialita'. Pero' ci sono riuscito" ha spiegato lo scrittore, incallito fumatore. Regista, sceneggiatore, autore teatrale e televisivo delle piu' conosciute produzioni poliziesche della tv italiana, dal tenente Sheridan a Maigret, Camilleri e' nato il 6 settembre 1925 a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento. Prima di Montalbano lo scrittore ha appassionato una cerchia di lettori di mezza eta' che non lo ha mai abbandonato pubblicando, dopo il rifiuto di 14 editori, 'Il corso delle cose' (Lalli, '78) e poi 'La strage dimenticata', 'La stagione della caccia' cui sono seguiti libri diventati cult come 'Il birraio di Preston' o 'Un filo di fumo'. Tutto senza fare troppo chiasso, come nello stile dell'amica Elvira Sellerio, per lo scrittore "una sorella", con cui ha venduto piu' di 15 milioni di copie. Pubblicato, oltre che da Sellerio, da editori come Mondadori - che ha puntato molto su Montalbano contribuendo alla sua fortuna - e poi da minimum fax, Chiarelettere, a Camilleri viene reso omaggio anche da Rizzoli che pubblica, in una nuova edizione con uno scritto di Giuseppina Torregrossa, 'La targa', che ci porta nel 1940 a Vigata.
    (Ansa)





    Rubano 29 chili di Nutella da supermercato, denunciati.

    Bloccati all'uscita dai carabinieri con i maxibarattoli. Talmente golosi di Nutella da rubarne 29 chilogrammi. Protagonisti, tre pregiudicati napoletani fermati questa mattina all'uscita di un supermercato di Sarzana mentre tentavano di allontanarsi con 29 confezioni da un chilogrammo ciascuna della famosa crema alle nocciole. I tre uomini, due di 45 anni e uno di 28 anni, sono stati bloccati dai carabinieri del Nucleo Radiomobile, e denunciati per furto aggravato. Tutta la refurtiva è stata riconsegnata all'ipermercato.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Dove eravamo rimasti




    locandina


    Un film di Jonathan Demme. Con Meryl Streep, Mamie Gummer, Rick Springfield, Kevin Kline, Audra McDonald.


    Demme trova in un'ottima Meryl Streep l'interprete giusta per far funzionare una storia già vista innumerevoli volte sul grande schermo.
    Giancarlo Zappoli


    Rick è la front woman di una band rock che entusiasma un non foltissimo pubblico di appassionati. Non è più giovanissima e ha lasciato da molti anni il marito e i tre figli per inseguire il suo sogno musicale. La brusca rottura del matrimonio della figlia Julie la spinge a 'tornare a casa'cioè a raggiungere l'ex marito che vive con la nuova compagna in una lussuosa villa. L'incontro con l'ormai cresciuta prole avrà luci ed ombre.
    Sicuramente Jonathan Demme sarà rimasto affascinato dallo script di Diablo Cody (ricordate Juno?) per la possibilità che gli forniva di tornare a tradurre la musica in immagini. Lo aveva fatto in passato con i Talking Head e con Neil Young perché non riprovarci ancora mutando però il livello di lettura passando dal documentario alla fiction? Da grande regista qual è deve avere anche intuito immediatamente che la storia di base era di quelle già viste innumerevoli volte sul grande schermo: un genitore che ha lasciato la famiglia ed è costretto dalle circostanze a farvi ritorno portandosi dietro tutte i propri buoni diritti ma anche una montagna di sensi di colpa. Ma Demme sapeva che anche i copioni più deja vu, se hanno dentro un fondo di verità, possono funzionare se affidati a un'interprete che sappia fare emergere quella verità. L'ha trovata in Meryl Streep e anche qui si potrebbe cadere nel risaputo perché si sono sprecati fiumi di parole nel corso dei decenni per dire quanto è brava Meryl Streep e si finisce con il doverlo ripetere per l'ennesima volta. Perché la Streep che suona e canta davvero non si limita a questo tipo di performance passando dal country dell'altmaniano Radio America al rock carico di energia della sua band, ma fa molto di più. Offre a questa madre tutto il carico degli anni e dei sentimenti provati, le regala sensi di colpa ma anche di orgoglio, insinua nei suoi gesti quella che altri pensano sia volgarità e che per lei non è un atteggiamento ma un modo di essere. Demme le consente anche di lavorare su un piano che mescola finzione e realtà ponendola di fronte al tormentato personaggio di Julie che è interpretato da Mamie Gummer che è figlia di Meryl e ha seguito le sue orme.
    In tutto questo Demme non dimentica la propria dimensione 'politica' e non si lascia alle spalle film come Philadelphia o documentari come The Agronomist o Man from Plains. Porta così sullo schermo una Rick che ha votato due volte per George W. Bush, che non pronuncia neppure il nome di Obama e che di fronte al figlio gay non ha un atteggiamento iniziale di comprensione. Rick sta dall'altra parte rispetto a ciò che pensa Demme ma questo non impedisce di fare emergere passo dopo passo, ruga dopo ruga, un senso di umanità profonda in cui errori e capacità di riconoscerli finiscono con il coesistere. Perché come diceva Giorgio Gaber (per rimanere sempre in ambito musicale) "L'uomo è quasi sempre meglio rispetto alla propria ideologia".



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    “E’ meraviglioso, il potere di una fede come questa può far sì che moltitudini di vecchi e di deboli, di giovani e di persone delicate, intraprendano senza esitazioni o lamentele incredibili viaggi e sopportino le conseguenti sofferenze senza lagnarsene. Ciò avviene per amore o per paura. Non so di cosa si tratti. Non importa. Quale che sia l’impulso, l’atto nato da esso è al di là di ogni immaginazione, incredibile per gente come noi, insensibili bianchi…“
    (Mark Twain, sul Kumbh Mela di Allahabad del 1895, brano tratto da “More tramps abroad“)


    LA KUMBH MELA - Grande Festa dell'Urna sacra


    La Kumbh Mela è un pellegri-
    naggio della tradizione induista che si ripete ogni 12 anni, sulle rive del 'Sangam', confluenza dei fiumi sacri Gange. La festa è il culmine di altre; ogni tre anni, nei giorni considerati propizi, i devoti si radunano presso determinati fiumi sacri dentro i quali si immergono per ottenere un maggior beneficio spirituale nelle località sacre di Hardiwar, Allahabad, Nasik e Ujjain. Questi posti sacri si trovano presso fiumi considerati altrettanto sacri: il Gange (Haridwar), la confluenza tra il Gange, lo Yamuna e il Saraswati (Allahabad), il Godawari (Nasik) e lo Shipra (Ujjain).

    Kumbh significa brocca e Mela significa fiera. Si chiama così poiché si crede che delle gocce di nettare siano cadute dal Kumbh trasportato dagli dei dopo il frullamento del mare. Lo scopo è sempre quello di liberarsi dai condizionamenti dell'esistenza materiale e, attraverso il bagno rituale, purificare il proprio karma. Nelle scritture vediche è detto che abitando per almeno tre giorni alla confluenza dei fiumi sacri si conquista la salvezza, e che bagnandosi nelle acque sacre nei momenti più propizi si ottiene la liberazione dal ciclo di morti e rinascite. Il primo Snan, bagno rituale, previsto dal rito canonico del Maha Kumbh Mela per i religiosi avviene il giorno di Mauni Amavasya, quando i Naga Sadhus si immergono rigorosamente per primi, dopo di loro si immergono altri Sadhus e poi i Guru portati dai loro discepoli fino alla riva su baldacchini coloratissimi, auto iperdecorate o rimorchi di trattore addobbati fino all'inverosimile. Poi tocca ai comuni pellegrini fino al tramonto. Ma già dalla luna piena del mese in genere migliaia di Sadhus e pellegrini cominciano a confluire nella città titolare.

    L’esercito di Shiva

    di Giacomo Fè


    Ad Allahabad confluiscono il Gange, lo Yamuna e il mitico Saraswati, il fiume invisibile. Dove i tre fiumi diventano uno, l’acqua assume la sua valenza più magica. Lungo la piccola sponda del Sangam si bagneranno 100 milioni di induisti nei 55 giorni del Maha ("grande") Kumbh Mela. In queste acque laveranno via i peccati i pellegrini, arrivati da ogni stato dell’India. Chi in treno, chi in autobus, i più ricchi in aereo. Arriveranno anche gli indiani più poveri, quelli del Bihar, del Jharkhand, dell’Orissa, quelli del Tamil Nadu dall’estremo sud. Molti ci metteranno mesi, viaggiando a piedi, portando con sé poche cose dalla casa che lasceranno quasi per un anno. Arriveranno migliaia di Baba, gli asceti dell’hinduismo. Parteciperanno al Kumbh Mela anche i naga sadhu, asceti-guerrieri che sfilano armati con spade e tridenti, le armi di Shiva, nudi, cosparsi solo di cenere. Il loro campo si individua da lontano, l’enorme bandiera gialla dei naga è quella più alta nella sterminata tendopoli che si crea ad Allahabad, la città più grande del mondo come estensione e popolazione che nasce e si dissolve in quasi due mesi. La notte del bagno sacro nei chowni, gli accampamenti dei naga sadhu, si respira tensione ed euforia crescenti. È isteria magica, primordiale. I naga aspettano solo il loro bagno nel Sangam travolgendo chiunque si trovi sulla loro corsa. Nelle tende prima della sfilata, tra 35 milioni di pellegrini, i naga sadhu si cospargono l’uno con l’altro la cenere sacra sulla pelle, si incolonnano come un plotone per ricevere la benedizione.
    Dopo indossano le ghirlande gialle e sono pronti alla grande marcia verso l’acqua, appena l’esercito avrà sgombrato dai pellegrini i tre chilometri di percorso che si snoda nella tendopoli e aprirà loro i cancelli. Har Har Mahadev (“vittoria al dio supremo”, Shiva) urlano mentre sfilano adornati da ghirlande gialle e arancio, a piedi e a cavallo. In India rappresentano l’estremismo religioso induista. C’è chi vorrebbe regolare i loro eccessi religiosi, definendoli militari e violenti. Nella storia si sono macchiati dell’uccisione di tanti buddhisti, reminiscenze violente che si ritrovano nelle armi che esibiscono durante la sfilata dove rappresentano combattimenti e figure quasi circensi. Rifiutano ogni regola, ogni divieto, sfidano le forze dell’ordine, fumano cyaras o oppio nei cylom, anche se l’uso di queste droghe è proibito in India e punito severamente. Del resto, Shiva fumava hascisc secondo le tradizioni induiste.Si dice che in India non tutti i baba siano autentici, non tutti compiono un percorso religioso da asceta. Spesso sono persone che lasciano famiglia, lavoro e vita comune per vivere sulla strada, sopravvivendo con le offerte, spesso dei turisti. Ma al Kumbh Mela non si trovano falsi santoni, spiega un ragazzo di Manali, volontario addetto alla sicurezza. La comunità baba non accetterebbe mai impostori. Il baba fa un voto e lo mantiene per tutta la vita, spesso in povertà, vivendo del cibo offerto dai propri fedeli e diffondendo nella gente, che vive attorno agli ashram, benevolenza e saggezza. Vivono in templi, in luoghi remoti, molti in montagna. Altri sono molto ricchi, avere un ashram ampio può portare anche molto denaro. Altri come Amar Bharti Baba hanno fatto voti estremi, come perdere l’uso del braccio. Nel 1973 decise di tenere il braccio destro alzato, teso verso il cielo senza abbassarlo più, e così è rimasto fino a oggi, con la mano mummificata per la difficoltà di circolazione e le ossa calcificate per l’assenza di movimento. Questo suo grande e originale voto lo rende una persona importante, conosciuta in tutto il continente indiano, anche se lui resta in povertà. Storie dal Maha Kumbh Mela, il grande show dei naga sadhu, il grande pellegrinaggio dei più poveri dell’India.
    (www.nikonschool.it)

    ..storia, miti e leggende..


    A intervalli di 12 anni, stabiliti da tempi imme-
    morabili secondo precisi calcoli astronomici, si celebra nell'India setten-
    trionale la Kumbh Mela, il più affollato raduno religioso dell' umanità. La prima cronaca del Kumbh Mela si trova negli scritti del monaco cinese Xuanzang che visitò l'India tra il 629 e il 645 d.C., durante il regno di re Harshavardhana. Secondo la teologia induista, l'origine della festività deriva da un episodio narrato in uno dei purana più popolari, il Bhagavata Purana.

    Lo Srimad-Bhagavatam racconta che molti milioni di anni fa, sui pianeti celesti di questo universo, si svolse una tremenda battaglia per la supremazia tra i deva (esseri celesti) e gli asura (demoni) che erano capeggiati da Bali Maharaja, discendente del grande re demoniaco Hiranyakasipu. Indra, il re dei deva, aveva offeso il grande saggio Durvasa Muni, che quindi condannó i deva a perdere la loro potenza. I deva si videro privati di tutta la loro influenza e di tutta la loro forza, persero ogni fortuna e in breve furono sconfitti dagli asura. Dunque chiesero aiuto a Sri Visnu, Dio la Persona Suprema che consiglió loro di chiedere una tregua ai demoni e di frullare l'oceano di latte per ottenere il nettare dell'immortalitá che sarebbe stato equamente distribuito tra deva e asura. Dato che Sri Visnu protegge sempre i deva e voleva porre fine all'espandersi dell'influenza degli asura in tutta la creazione, disse ai deva di seguire la logica del serpente e del topo nel trattare con i demoni. Una volta un topo e un serpente rimasero intrappolati in un cesto. Il serpente disse al topo: "senti, potrei mangiarti con facilitá, ma per me è piú importante uscire di qui. Perchè non fai un buco cosí possiamo scappare tutti e due?" Il topo fu d'accordo e cosí inizió a darsi da fare, ma non appena il buco fu abbastanza grande, il serpente mangió il topo e uscí dal cesto. Il Signore non aveva alcuna intenzione di dare il nettare ai demoni perchè erano disonesti ed empi: distribuire loro il nettare non sarebbe stato saggio. Esistono due categorie di esseri dice Sri Krishna nella Bhagavad-gita, "una si chiama divina, l'altra demoniaca." Srila Prabhupada spiega che chi è nato con qualitá divine segue le ingiunzioni delle Scritture e obbedisce al Signore e ai suoi rappresentanti, mentre gli altri agiscono a capriccio per soddisfare i propri sensi.
    Seguendo le istruzioni di Sri Visnu, i deva avvicinarono i capi dei demoni e raggiunsero un accordo, dopo di che tutti si recarono all'oceano di latte per iniziare a frullarlo, aiutati da Sri Visnu che portava la montagna Mandara sulla schiena di Garuda, l'aquila che Lo trasporta. Quando arrivarono all'oceano di latte, Sri Visnu pose la montagna che doveva essere usata come zangola al centro dell'oceano. Fu poi chiesto a Garuda di allontanarsi, vista la sua nota inimicizia nei confronti dei serpenti, in modo che Vasuki, che è onorato dai deva come Nagaraja 'il re dei serpenti', potesse arrivare ad essere usato come corda per frullare.
    I demoni insistettero per tenere la parte anteriore del serpente durante l'operazione, mentre i deva, consigliati da Sri Visnu, tenettero la sua coda. Non appena iniziarono a tirare la 'corda' per produrre il nettare, dalle innumerevoli bocche di Vasuki uscirono fumo e vampate di fuoco che causarono grandi sofferenze agli asura. Mentre i deva e i demoni continuavano a frullare, l'immensa montagna Mandara cominció ad affondare nell'oceano di latte perchè mancava il supporto. Il Signore assunse allora la forma di una tartaruga, entró nell'oceano e si pose la montagna sulla schiena per dar modo di continuare a frullare. E' spiegato nello Srimad-Bhagavatam che la tartaruga, conosciuta come Kurma-avatara, accettò che la montagna, girando su se stessa, strofinasse la Sua schiena procurandoLe una piacevole sensazione. L'oceano produsse dapprima un veleno che si diffuse in ogni direzione. I deva, si impaurirono e presero rifugio in Siva. Siva, mosso a compassione, prese il veleno tra le sue mani e lo bevve, lo trattenne in gola e sul suo collo si produsse una linea bluastra che ora viene considerata un ornamento di Siva, chiamato Nilakantha 'colui che ha il collo bluastro.' Mentre Siva beveva, un po' di veleno cadde dalle sue mani e varie piante, scorpioni, cobra e simili creature bevvero quelle gocce e divennero velenosi.
    Dopo il veleno, l'oceano produsse molte altre cose opulente che furono distribuite fra i membri delle due parti. Apparve prima una mucca surabhi che fu presa dai grandi saggi. Poi fu la volta di un cavallo bianco di nome Uccaihsrava che fu preso da Bali Maharaja. Quando apparve Airavata, il re degli elefanti, Indra lo prese per sè. Quindi apparve Kaustubha-mani la piú preziosa della gemme, che venne offerta a Visnu per decorare il Suo petto. Quindi apparve l'albero Parijata, che fu offerto ai deva. Quindi apparvero le apsara, meravigliose danzatrici che intrattengono le corti dei deva, seguite da Laksmi, la dea della fortuna, che scelse di diventare la consorte di Sri Visnu. Poi venne Varuni, la dea del liquore, e i demoni se ne impossessarono. L'oceano produsse anche Balacandra, la luna crescente che per il suo effetto rinfrescante fu offerta a Siva, stordito dall'aver bevuto il veleno, perchè potesse indossarla sulla sua testa. Apparvero poi una conchiglia di nome Pancajanya e un arco di nome Haridhanu (l'arco di Hari) che furono entrambi offerti a Sri Visnu. Comparve infine una meravigliosa persona di sesso maschile, Dhanvantari, il quale portava tra le mani l'amrita-kumbha, un vaso di nettare pieno fino all'orlo. Prima dell'apparizione del nettare per il quale i demoni e i deva avevano lavorato cosí faticosamente non si erano verificati litigi, ma all'arrivo di Dhanvantari con il vaso di nettare, l'oggetto piú agognato, tutti persero il controllo. I demoni strapparono di forza il vaso e ne derivó una battaglia. Secondo lo Skanda Purana a un certo punto, nel corso della battaglia, Jayanta, il figlio di Indra, prese il vaso e corse via verso i pianeti celesti, ma fu inseguito dai demoni e la feroce battaglia continuó. La battaglia infuriò per dodici giorni e in questo lasso di tempo un po' di nettare si rovesció dal vaso cadendo sulla Terra a Nasika, nel Maharastra, a Ujjain nel Madya Pradesh, a Haridwar e ad Allahabhad nell'Uttar Pradesh. Poichè un giorno nei pianeti superiori equivale a un anno sulla Terra, per commemorare la pioggia di nettare sulla Terra, ogni dodici anni si tengono sulla Terra, in ciascuno di questi luoghi, dei festival o mela.
    Il nettare scende tuttora su questi luoghi durante particolari configu-
    razioni planetarie. Perfino oggi milioni di persone vengono a prendere questo nettare o amrita, per ottenere l'immortalitá, bagnandosi nei fiumi santi e bevendo l'acqua sacra. A Nasika i pellegrini si bagnano nel fiume Godavari, a Ujjain nella Ksipra, a Haridwar nel Gange e ad Allahabad alla confluenza del Gange con la Yamuna e la Sarasvati. Infine gli asura sconfissero i deva e si portarono via il vaso con il nettare lasciando i deva molto abbattuti. Il Signore disse loro: "Non rattristatevi. Con la mia energia confonderó i demoni facendo sí che litighino fra loro. Cosí esaudiró il vostro desiderio e avrete il nettare. Poco tempo dopo i demoni cominciarono a litigare per chi dovesse bere il nettare per primo. Sri Visnu assunse allora la forma di Mohini Murti, una donna bellissima. Quando i demoni videro la meravigliosa bellezza di Mohini devi che lanciava loro sguardi e sorrisi, ne rimasero completamente incantati. La bellezza della forma assunta da Dio, la Persona Suprema, superava quella della dea della fortuna, e i demoni, completamente sopraffatti dal suo fascino, le chiesero di fare da arbitro inquesta disputa, cosa che lei accettó a condizione che nessuno si sarebbe opposto o avrebbe protestato qualunque cosa Lei avesse fatto o deciso. Gli asura furono d'accordo e le consegnarono l'amrita-kumbha chiedendole di distribuire il nettare. Sebbene essi avessero facilmente strappato il vaso a Dhanvantari, avendo quindi la possibilitá di tenerselo, lo persero stupidamente confusi dalla pura e incomparabile bellezza del Signore: la stessa Mohini-murti li aveva apertamente avvertiti dell'inganno. Mohini-murti fece sedere in settori separati i deva e gli asura e diede il nettare ai deva, parlando dolcemente con i demoni. Un demone, Rahu capí peró il trucco e si travestì da deva, prese posto nel loro settore, e ricevette il nettare. Il Sole e la Luna rivelarono la sua identitá a Mohini-murti che immediatamente lanció il suo disco, tagliente come la lama di un rasoio, e gli taglió la testa prima che egli potesse ingerire la bevanda immortale. E sebbene il suo corpo fosse morto dal collo in giú, la sua testa restó viva perchè aveva il nettare nella bocca. Dopo aver dato il nettare ai deva, Mohini-murti riveló di essere Sri Visnu. Il Signore fece poi ritorno nel mondo spirituale sulle spalle di Garuda. (www.radharamana.it/)

    (Gabry)





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    I Tormentoni dell'Estate 1975 al 1979

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    LA MUSICA DEL CUORE


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    foto:soulfunkdance.com



    Mi vendo - Renato Zero


    Nel 1977 Renato Zero realizza l'album "Zerofobia", seguirà lo spettacolo che prenderà lo stesso titolo dell'album. Il disco avrà un grosso successo di vendite, grazie alla canzone "Mi vendo"

    Il disco mantenne la sua posizione delle prime dieci canzoni per 5 settimane consecutive.




    Mi vendo

    Faccio in fretta un altro inventario…
    Smonto la baracca e via!
    Cambio zona, itinerario,
    Il mio indirizzo è la follia!
    C'è un infelice, ovunque vai…
    Voglio allargare il giro dei clienti miei…
    Io vendo desideri e speranze,
    In confezione spray.
    Seguimi io sono la notte,
    Il mistero, l'ambiguità…
    Io creo gli incontri… Io sono la sorte!
    Quell'attimo di vanità…
    Incredibile, se vuoi…
    Seguimi e non ti pentirai!
    Sono io la chiave dei tuoi problemi,
    Guarisco i tuoi mali, vedrai!!!
    Mi vendo,
    La grinta che non hai!
    In cambio del tuo inferno,
    Ti do due ali, sai!
    Mi vendo,
    Un'altra identità!
    Ti do quello che il mondo…
    Distratto non ti da!
    Io mi vendo, e già !
    A buon prezzo, si sa!
    Ho smarrito, un giorno, il mio circo,
    Ma il circo vive senza di me!
    Non è l'anima tua che io cerco,
    Io sono solo più di te!
    Nell'arco di una luna io,
    Farò di te un baro oppure un re…
    Sono io la chiave dei tuoi problemi,
    Guarisco i tuoi mali, vedrai!!!
    Mi vendo, la grinta che non hai!
    In cambio del tuo inferno,
    Ti do due ali, sai!
    Si…
    Ti vendo,
    Un'altra identità!
    Ti do quello che il mondo,
    Distratto non ti da…
    Io mi vendo, e già!
    A buon prezzo, si sa!
    Seguimi!


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    F1: domina la Mercedes di Hamilton al Gp di Monza, secondo Vettel.

    Sul terzo gradino del podio, la Williams di Felipe Massa. Il britannico Lewis Hamilton su Mercedes ha vinto il Gran Premio d'Italia a Monza, davanti alla Ferrari di Sebastian Vettel. Sul terzo gradino del podio, la Williams di Felipe Massa, che ha preceduto il compagno di squadra Bottas. Quinto posto per la Ferrari di Kimi Raikkonen, davanti alla Force India di Sergio Perez. A punti anche l'altra Force India di Nico Hulkenberg, giunto settimo, la Sauber di Ericsson e la Red Bull dell'australiano Ricciardo, nono al traguardo. Decimo posto il suo compagno di squadra Kvyat.

    Ordine d'arrivo del Gp d'Italia di Formula 1 svoltosi oggi sul circuito di Monza
    1. Lewis Hamilton (Gb/Mercedes) 53 giri in 1:18:00:688
    2. Sebastian Vettel (Ger/Ferrari) a 25:042
    3. Felipe Massa (Bra/Williams) 47:635
    4. Valtteri Bottas (Fin/Williams) 47:996
    5. Kimi Raikkonen (Fin/Ferrari 1:08:860
    6. Sergio Perez (Mex/Force India) 1:12:783
    7. Nico Hulkenberg (Ger/Force India) a 1 giro
    8. Daniel Ricciardo (Aus/Red Bull)
    9. Marcus Ericsson (Sve/Sauber)
    10. Daniil Kvyat (Rus/Red Bull)
    11. Carlos Sainz (Spa/Toro Rosso)
    12. Max Verstappen (Ola/Toro Rosso)
    13. Felipe Nasr (Bra/Sauber)
    14. Jenson Button (Gb/McLaren)
    15. Will Stevens (Gb/Marussia) a 2 giri
    16. Roberto Merhi (Spa/Marussia)

    - Classifica del Mondiale piloti
    1. Lewis Hamilton (Gb) 252 punti
    2. Nico Rosberg (Ger) 199
    3. Sebastian Vettel (Ger 178
    4. Felipe Massa (Bra) 97
    5. Kimi Raikkonen (Fin) 92
    6. Valtteri Bottas (Fin) 91
    7. Daniil Kvyat (Rus) 58
    8. Daniel Ricciardo (Aus) 55
    9. Romain Grosjean (Fra) 38
    10. Sergio Perez (Mex) 33

    - Classifica del mondiale costruttori
    1. Mercedes 451 punti
    2. Ferrari 270
    3. Williams 188
    4. Red Bull 113
    5. Force India 63
    6. Lotus 50
    7. Toro Rosso 35
    8. Sauber 25
    9. McLaren 17.
    (Ansa)




    Mondiali canottaggio: Italia oro nel 4 senza.
    Un equipaggio azzurro non vinceva questa prova da 20 anni. L'Italia (con Giuseppe Vicino, Matteo Lodo, Matteo Castaldo e Marco di Costanzo) ha vinto l'oro nel 4 senza ai Mondiali di canottaggio in corso di svolgimento ad Aiguebelette, in Francia. Il team ha chiuso in 5'46"780, precedendo Australia (5'48"740) e Gran Bretagna (5'49"000). Un equipaggio azzurro non vinceva questa prova in una rassegna iridata da vent'anni.

    E' un successo dell'Italia di La Mura e di Peppe Abbagnale. Questi ragazzi sono stati fantastici e l'Italia deve essere orgogliosa di vederli a Rio il prossimo anno". Così il Presidente del Coni, Giovanni Malagò, presente sugli spalti ad Aiguebelette dove sono in corso i mondiali di canottaggio, ha commentato l'impresa azzurra. Una medaglia d'oro che mancava all'Italia da venti anni (Tampere 1995 con Mornati, Leonardo, Dei Rossi, Molea) e che l'Italia ha vinto sul finale, in cui ha risucchiato l'Australia ed è passata in testa negli ultimi 200 metri. Una chiusura in trionfo con quasi due secondi di vantaggio, con la Gran Bretagna che è riuscita a spuntarla per il bronzo sul Canada.
    (Ansa)




    Us Open: Vinci ai quarti, eliminato Fognini ko negli ottavi.
    La tarantina passa grazie al forfait della Bouchard, ko ligure con Lopez. Roberta Vinci è approdata ai quarti di finale degli Us Open senza giocare gli ottavi, in seguito al ritiro, per infortunio, di Eugénie Bouchard. La 21enne canadese, numero 25 del tennis mondiale, si è ferita alla testa venerdì cadendo negli spogliatoi e i medici le hanno consigliato, a titolo precauzionale, di non scendere in campo (già ieri aveva rinunciato al doppio femminile e al doppio misto). Nei quarti, già raggiunti a Flushing Meadows nel 2012 e nel 2013, la 32enne tarantina, numero 43 del ranking, affronterà la vincente tra la francese Kristina Mladenovic e la russa Ekaterina Makarova. Roberta era arrivata agli ottavi - centrati anche da Flavia Pennetta e Fabio Fognini - superando la statunitense Vania King, la ceca Denisa Allertova e la colombiana Mariana Duque-Marino. Tra i big, si sono qualificati per i quarti i campioni in carica, il croato Marin Cilic, numero 9 Atp (6-3 2-6 7-6/2 6-1 al francese Jeremy Chardy); e la statunitense Serena Williams, numero 1 Wta (doppio 6-3 alla connazionale Madison Keys), che punta al settimo titolo agli Us Open, e di conseguenza al Grande Slam. Bene anche la sorella maggiore di Serena, Venus (6-2 6-1 all'estone Anett Kontaveit). La Pennetta se la vedrà invece oggi con l'australiana Samantha Stosur, vincitrice del torneo Slam newyorchese nel 2011, che ha eliminato la terza azzurra arrivata al terzo turno, Sara Errani.

    Non ce l'ha fatta Fabio Fognini a ripetersi dopo l'impresa su Nadal e a raggiungere i quarti di finale agli Us Open. Il ligure ha ceduto negli ottavi a Feliciano Lopez in tre set per 6-3, 7-6 (5), 6-1. Lo spagnolo 33/enne raggiunge per la prima volta i quarti nello slam americano. Fognini non e' riuscito stavolta ad affondare i colpi come il giorno prima e ha commesso ben 40 errori. L'italiano ha anche avuto dolori alla schiena e al collo durante il match, tanto da rendere necessaria un'inalazione durante il terzo set.
    (Ansa)

    (Gina)



    MUSICA E DANZA




    Musica e danza al tempo dei faraoni


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    Molti scrittori e filosofi dell’antica Grecia ci hanno tramandato notizie riguardanti l’importanza della musica e danza nella civiltà egiziana. Secondo Platone gli antichi egizi studiavano fin dalla gioventù danza e musica e l’interesse per queste due arti era dovuto agli effetti benefici che queste avevano sul corpo e sull’anima di ogni individuo. Plutarco era convinto che il dio Thot avesse donato al popolo egizio la musica.

    c_254_190_16777215_01_images_stories_musica_arpista-ciecoInizialmente la musica scandiva i momenti più importanti delle attività religiose dei templi, in seguito canti e balli accompagnarono ogni festa reale o banchetto nelle abitazioni private. Tra gli addetti del tempio si contavano molti cantanti, musicisti e ballerini di entrambi i sessi, che operavano durante le principali celebrazioni religiose, erano gruppi più o meno folti di artisti che accompagnavano danze sinuose con il suono della voce, la melodia del flauto, del tamburello o dell’arpa.
    Nel Museo Egizio di Torino sono conservati i resti di una raffigurazione parietale proveniente da una tomba tebana che rappresenta un banchetto nobiliare rallegrato da una ballerina e due suonatrici di arpa e liuto.


    Alla corte del faraone i musicisti godevano di una grande importanza, testi risalenti all’antico regno ricordano i nomi di tre famosi musicisti chiamati c_254_190_16777215_01_images_stories_musica_arpista“direttori del canto reale”, la loro professione era talmente importante da ricoprire anche la carica di “direttori di tutti i divertimenti reali”. Grazie agli scambi commerciali e alle conquiste effettuate nel Nuovo Regno si diffusero in Egitto molti strumenti di origine asiatica. La stele di Amenhotep II ritrovata a Menfi ricorda come il faraone introdusse presso la propria corte 270 musicisti asiatici provvisti di preziosi strumenti in argento e oro. Molte testimonianze scritte ci permettono di conoscere le parole di alcune canzoni intonate alla corte del faraone anche se rimangono ignote le melodie che accompagnavano le canzoni.
    Una di queste dice: “Davanti a te ci sia musica e canto, gettati alle spalle crucci e pene e volgi l’animo alla gioia finchè si leverà il giorno in cui dovremo viaggiare verso quella terra che ama il silenzio..”


    Fra gli strumenti a corde l’arpa è stata la più amata, scavi archeologici hanno restituito numerosi esemplari facendoci capire che questo popolo c_254_190_16777215_01_images_stories_musica_idiofono-avanbraccioutilizzata un’arpa ricurva di tipo verticale con sette corde annodate e una cassa di risonanza posta alla base dello strumento che veniva poggiato a terra.
    Nel nuovo regno questo strumento fu ulteriormente perfezionato vennero costruiti esemplari di magnifica fattura alti circa due metri con cinque corde che venivano suonate appoggiandole su una spalla.

    Il Museo del Louvre conserva un’arpa angolare risalente all’epoca tarda con la singolare lavorazione del legno rivestito in cuoio verde.


    c_254_190_16777215_01_images_stories_musica_sistro-bronzo-hatorNel Nuovo Regno, grazie agli scambi commerciali con il vicino oriente, furono introdotti in Egitto nuovi strumenti musicali come il liuto e la lira. I primi strumenti musicali di cui si trova testimonianza scritta nei testi egiziani sono gli idiofoni, oggetti che producevano un suono simile al battito delle mani ed erano costituiti da due semplici bastoncini a percussione reciproca di legno o avorio.

    Nel Museo Egizio del Cairo e in quello di Torino sono conservati bellissimi esemplari di questo strumento riprodotto anche sotto forma di braccio semi curvo con decorazioni di fior di loto e immagini della dea Hathor. Oltre i tamburelli, il flauto obliquo, dritto o doppio ed i clarinetti, uno degli strumenti più utilizzati già dall’antico regno era il sistro, solitamente creato in bronzo era formato da una forcella posta su un manico sopra il quale erano fissate delle piccole aste trasversali, scuotendo lo strumento si otteneva un suono che assomigliava ad un tintinnio.
    Il sistro suonato dalle sacerdotesse durante le cerimonie religiose veniva chiamato “sekhem”, mentre il sitro “sesheshet” prodotto con materiali preziosi era un semplice oggetto di culto simbolico.

    Frequenti raffigurazioni tombali riportano immagini di ballerini ed acrobati che piegavano i loro corpi durante le esibizioni di danza che accompagnavano le processioni religiose o allietavano i banchetti reali. I ballerini si esibivano in coppia o in gruppi più o meno numerosi, la danza era un divertimento indispensabile per rallegrare i banchetti reali ed era considerata l’espressione naturale della gioia. La tomba di Tebe appartenuta a Kheruef, scriba reale sotto Amenhotep III, contiene una pittura che rappresenta il giubileo reale, durante la cerimonia sono raffigurati trenta danzatori che eseguono una complessa coreografia.

    La “danza degli specchi” era un ballo che vedeva un gruppo di giovani donne muovere armoniosi passi, le fanciulle erano vestite con lunghi abiti bianchi, gioielli multicolore e un’acconciatura formata da lunghe trecce che terminavano con dischi di metallo colorato, in mano le donne tenevano degli specchi con manici decorati con immagini della dea Hathor.

    Le danze facevano parte anche delle cerimonie religiose, nel medio regno alcune celebrazioni funebri erano accompagnate dai “Muu” degli attori / danzatori che accompagnavano i defunti fino all’ingresso della necropoli. In seguito ai frequenti contatti dell'Egitto con il vicino oriente la musica e la danza subirono le influenze asiatiche, la danza diventò più sensuale e i movimenti si fecero più flessuosi ed aggraziati, le lunghe vesti delle ballerine si trasformarono in abiti succinti, spesso ridotti a corti e trasparenti gonnelline.

    Articolo a cura di Silvia B.

    fonte:http://www.aton-ra.com/


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    IMAGO MUNDI


    dal 1 settembre al 1 novembre 2015



    "Imago Mundi", che coinvolge tutti e cinque i continenti, con opere di 6.930 artisti provenienti da oltre 40 Paesi. La grande esposizione ci dà un'immagine del mondo diversa da quella che ci raccontano i fatti di attualità e i giornali: con i loro lavori, gli artisti, ci consegnano una testimo-
    nianza diretta del loro sentire. Lo fanno con una particolarità, quella di esporre - tutti - un'opera della medesima dimensione di 10x12 centimetri. Piccoli pezzi che formano una Mappa dell'arte nuova, come recita il sottotitolo della mostra, visitabile, a ingresso gratuito, alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, sull'isola di San Giorgio Maggiore, dal 1 settembre all'1 novembre 2015.

    L'esposizione raccoglie opere che provengono tutte dalla collezione di Luciano Benetton, anzi dalla varie collezioni, acquistate nel corso degli anni nei numerosi viaggi di lavoro svolti dall'imprenditore veneto, che non ha mai smesso di visitare gallerie e incontrare chi l'arte la crea, in giro per il mondo. "La vastità di artisti presenti riproduce in un certo senso il mondo ideale che vorrei. Un mondo senza confini e senza barriere politiche, ideologiche o religiose. Dove si lavora per il bello" ha dichiarato Benetton. L'imprenditore del celebre marchio ha aggiunto: "Fosse per gli artisti, come dico spesso, non ci sarebbero guerre. Per questo ogni nuovo autore, collezione, popolo, nazione di Imago Mundi aggiunge una tessera creativa e appassionata a quella mappa dell'arte nuova che auspichiamo possa comprendere anche i luoghi dell'Utopia, della speranza e della pace" .
    Così negli spazi espositivi sull'isola di San Giorgio gli artisti dell'Algeria convivono pacificamente a fianco a quelli Boscimani del Kalahari, includendo Nigeria, Sudafrica, Tunisia, Uganda/Rwanda/Burundi. Ma non c'è soltanto l'Africa. Presenti anche artisti delle Americhe: dal Brasile, tra gli altri, c'è un lavoro del famoso designer Fernando Campana ("Corallo", realizzato con penna permanente su tela), ma più spesso è facile imbattersi in lavori inediti di nomi spesso sconosciuti, come quelli degli artisti provenienti da Caraibi, Cile, Colombia, Cuba e persino quelli degli Indigeni nativi americani. Una chicca, invece, è quella che arriva dagli Stati Uniti: "Bardot No. 1", un'opera realizzata con tecnica mista dal regista Steven Soderbergh, nel 2013.
    E come si diceva, i Siriani, prima di essere cittadini di un Paese in difficoltà, sono uomini e artisti, e qui lo dimostrano con la loro bravura così come gli abitanti di Afghanistan, Arabia Saudita, Corea del Nord, Filippine, Giordania, Iran, Israele, Siria, Tailandia, Tibet. Di quest'ultimo Paese non poteva mancare un'opera che rappresenta un mandàla, è "Mind of Love" e l'ha dipinto su seta Nyima Dhondup nel 2013.
    Oltre all'Asia c'è anche la collezione che include opere provenienti dall'Europa: in questa sezione, che comprende Austria, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Germania, Lettonia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria, ci sono anche due opere di artisti presenti alla 56° edizione della Biennale di arte di Venezia. Si tratta di Maria Papadimitriou, che ad Imago Mundi espone il collage Family Reunion del 2014 ed è anche la protagonista del Padiglione della Grecia di quest'anno, e di Mimmo Paladino, a San Giorgio con "Harmonia", un disegno del 2014 e invitato alla Biennale nel Padiglione Italia. Non mancano le opere degli artisti aborigeni d'Australia.
    Interessante notare la pluralità di soggetti e materiali usati: oltre ai classici oli su tela, c'è chi si è spinto a usare vernice di alluminio su gomma-
    piuma traforata, come la svizzera Carmen Perrin per il lavoro "The Smallest Splash" del 2014 o come la filippina Geraldine Javier che, nello stesso anno, ha scelto di utilizzare inchiostro ed encausto su legno su tela per la sua opera senza titolo. Nella collezione che include anche il Messico, l'artista Tania Candiani ha creato l'opera "The past was brought up to date" con ruote e ingranaggi di un orologio e testo dattiloscritto. É tessitura su telaio quella che ha creato invece l'iraniano Afsaneh Modiramani nel 2013: "Shadow of a Bygone Hero" (Ombra di un antico eroe). Zahra Hosseini, sempre dall'Iran, ha realizzato il suo lavoro usando cartone ondulato, pillole contraccettive e batuffolo di cotone.
    All'esterno della Fondazione c'è un'installazione progettata dall'architetto Tobia Scarpa, costituita da cinque alte bandiere che rimarcano il benvenuto a una mostra globale. Tutte le opere, allestite dallo stesso Scarpa, sono collocate in agili strutture comode da trasportare, favorendo così che la collezione venga mostrata in più esposizioni itineranti, sotto la guida della Fondazione Benetton Studi Ricerche che, infatti, hanno già fatto vedere le collezioni in Senegal (Dak'Art Off 2014), passando per Roma (Museo Carlo Bilotti, 2014/2015) e New Orleans (NOMA, 2014/2015), fermandosi anche a Vienna (Belvedere & Winter Palace) e a Torino (Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) nell'ultimo anno. Entro la fine di quest'anno le nazioni e i popoli nativi coinvolti saranno 100 e più di 20.000 gli artisti: oltre che con le mostre e coi cataloghi, le opere e gli artisti si possono conoscere anche grazie al sito imagomundiart dove sono raccolte tutte le diverse collezioni .
    (VALENTINA BERNABEI, www.repubblica.it)




    FESTE e SAGRE





    "... i segni di un mondo perduto in fondo del Mare del Nord..
    .. cominciarono ad apparire ma, nessuno voleva crederci."


    DOGGERLAND



    Guardando l'area tra l'Europa continentale e orientale costa della Gran Bretagna, probabilmente non farebbe pensare possa esserci stato qualcosa di diverso da una grande distesa di acqua di mare. Ma circa 12.000 anni fa, quando l'Era Glaciale stava raggiungendo la sua fine, la zona era molto diversa. Invece del Mare del Nord, vi erano una serie di dolci colline, paludi, valli boscose e lagune paludose: Doggerland.

    La prova che esistesse, ha cominciato ad emergere a metà del XIX secolo, quando i pescatori lungo la costa olandese trascinando le reti da pesca sul fondo marino, a volte issavano un enorme zanna, resti di un rinoceronte lanoso, o altra bestia estinta. Non sapendo cosa fossero le rigettavano in mare.
    Il paleontologo dilettante Dick Mol convinse i pescatori a portargli quei resti strani così capitò che fu pescta una mandibola umana ben conservata. Col radiocarbonio datò il rilevamento a 9.500 anni fa, aveva trovato un individuo vissuto durante il periodo Mesolitico.


    Durante la glaciazione più recente, circa 12.000 anni fa, il Mare del Nord e quasi tutte le isole britanniche erano coperte di ghiaccio e il livello del mare era di circa 120 metri inferiore a quello che è oggi. Il fiume Reno scorreva verso nord attraversando Doggerland. Si pensa che un deposito di limo del Cenozoico in East Anglia sia l’antico letto del Reno. Nel 12.000 a.C. gran parte del Mare del Nord e nel canale della Manica era una distesa di bassa tundra. Nell’8000 a.C. la parte settentrionale di Doggerland presentava lagune, coste e spiagge, mentre la parte interna era una vasta pianura ondulata ricca di corsi d’acqua, fiumi, paludi e laghi. Nella parte settentrionale vi era un imponente cratere meteoritico, Silver Pit, risalente a 65 milioni di anni fa. L'innalzamento del livello del mare, dovuto allo scioglimento dei ghiacci, causò la graduale sommersione di Doggerland, che divenne un’isola nella sua zona più elevata, l'attuale secca detta Dogger Bank. La Gran Bretagna si staccò dal continente intorno al 5000 a.C.

    Doggerland era probabilmente un habitat ricco di insediamenti umani nel periodo Mesolitico. Particolar-
    mente rilevante è il ritrova-
    mento nel Middeldiep, una regione del Mare del Nord a circa 16 km al largo della costa della Zelanda, di un cranio di Neanderthal, datato oltre 40.000 anni fa. Doggerland era abitata dall'uomo, una presenza supportata dai ritrovamenti, in nel fondo del mare, dei pescatori che spesso trovano ossa e strumenti che risalgono a circa 9.000 anni fa. Le ricostruzioni archeologiche fanno pensare che nel Mesolitico Doggerland potrebbe essere stata la zona europea in assoluto più ricca di fauna e flora, habitat ideale per la caccia e la pesca dei cacciatori-raccoglitori, forse discendenti della cultura magdaleniana.

    Nel 6200 a.C. una frana di un'enorme massa di ghiaccio sulle coste della Norvegia, conosciuta come Storegga Slide, causata forse dall’esplosione degli idrati di metano sottomarini, provocò un catastrofico tsunami che devastò l'isola che emergeva in quel periodo lì dove si trova oggi il Dogger Bank. Ebbe un impatto enorme sulle popolazioni mesolitiche. Secondo alcuni studiosi l'isola, di circa 17.000 km², era estremamente bassa, priva di montagne e fu rapidamente sommersa, sia per l'effetto dello tsunami, sia per il concomitante e rapido aumento del livello del mare dovuto alla fusione dell'enorme ghiacciaio Agassiz in Canada.

    Molti ritengono che non sia ipotizzabile identificare Doggerland con Atlantide, perché non sono state rinvenute tracce di tecnologia del bronzo e perché non vi sono tracce di attività vulcanica secondaria, ma la scoperta degli effetti prodotti dallo tsunami di Storegga nel Nord Atlantico si che avvenne in un’epoca molto vicina a quella indicata da Platone nei suoi scritti.

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Come mai abbiamo la pelle di colori diversi?




    pelle_colore_diverso


    Nel mondo se ne vedono di tutti i colori... di pelle! Lo sai perché noi esseri umani abbiamo la pelle di colori diversi? Scopriamolo insieme!


    Nel corso dei millenni, ogni popolazione ha sviluppato un colore della pelle diverso, a seconda dell’area geografica in cui viveva e dell’esposizione al Sole. I raggi solari ultravioletti, infatti, possono danneggiare la pelle e i tessuti sottostanti. Siccome l’uomo non ha una pelliccia protettiva, come altri mammiferi, per difendersi dalle radiazioni ultraviolette produce un pigmento marrone scuro chiamato melanina, che protegge i tessuti da quei raggi dannosi. La melanina è presente anche nei capelli e nell’iride degli occhi ed è quasi assente negli albini: per questo la loro pelle è chiarissima.

    Le cellule della pelle di chi vive in regioni assolate, invece, producono più melanina, quindi le persone hanno carnagione più scura.

    Da queste considerazioni deriva un fatto molto importante: anche se abbiamo la pelle di colori diversi, noi tutti, esseri umani, siamo uguali. Non ci sono differenze tra noi. E chi sostiene il contrario è semplicemente razzista.


    fonte:http://www.focusjunior.it/


    (Lussy)





    salute-e-benessere


    SALUTE E BENESSERE



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    foto:benessere.lifeandtravel.com



    Terme di Aspio


    Le terme di Aspio si trovano fra i boschi e le colline della valle bagnata dall'omonimo torrente. Occupano una posizione panoramica rispetto al monte Conero e al colle di Camerano.
    A pochi chilometri si trovano Osimo, che vanta il Duomo romanico con un bel portico dalle arcate imponenti e due portali gotici ed il Battistero con la fonte battesimale del XVI secolo in bronzo, e Camerano, con la chiesa di S. Francesco dal portale gotico e il particolare museo della fisarmonica.

    Lo stabilimento termale

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    foto:italhotels.com

    Davanti allo stabilimento si estende un vialetto erboso rialzato affiancato da numerosi esemplari di pino marittimo. La zona circostante è inoltre caratterizzata da ampi spazi verdi e fiorenti.
    Entrati all'interno, ambiente elegante e molto gradevole, si notano immediatamente le quattro fonti termali, denominate "La Forte, La Nuovo, La S. Maria e La Regina".
    Sul retro è possibile scorgere l'alveo del fiume Aspio incorniciato da tigli, antichi cipressi e canneti di bambù. Nei tempi passati questi luoghi ed in particolare le rive del fiume erano meta di scampagnate di tanti Cameranesi che, con la famosa "guluppa" e una fisarmonica al seguito, passavano giornate di festa in allegria. Infatti tempo fa, al posto della ferrovia, giungeva direttamente la strada proveniente da Camerano che superava il ponte sull'Aspio.


    conero
    foto:camperlife.it

    Le acque

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    foto:marche.italiaguida.it

    Le Aspio Terme traggono la loro importanza dalla fonte idrominerale di acque salso-bromo-iodiche. Esse sgorgano da quattro fonti interne allo stabilimento e la loro applicazione terapeutica è diretta allo stomaco, al fegato, all'intestino, alle vie biliari e alle malattie del ricambio. Le terapie inalatorie trovano applicazione nelle affezioni respiratorie.
    Le acque minerali hanno la stessa base compositiva, ma una differente presenza di cloruro di sodio diversifica la loro leggerezza. Possono essere usate, singolarmente o mescolate fra loro.


    Cure termali

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    foto:camperlife.it

    - Cure inalatorie: sono curate le patologie del naso, della gola, dell'orecchio, della trachea, dei bronchi, dei polmoni, oltre alle sinusiti, riniti, faringiti, otiti, catarrali, bronchiti, croniche. Le diverse patologie vengono trattate sotto la stretta sorveglianza medica.
    - cure idropiniche: La cura idropinica si realizza bevendo l'acqua a digiuno. Si curano le malattie dello stomaco, intestino, fegato e vie biliari
    - cure ginecologiche e apparato digerente: si attua l'idrocolon e irrigazioni termali.
    - Fisioterapia termale: massaggio energetico, back school, aromassaggio, terapia del dolore, massaggio distensivo


    Turismo ambientale nei dintorni


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    foto.members.aon.at
    monte conero


    Dalle Terme di Aspio è facile e interessante raggiungere il monte Conero, che, oltre a essere l'unica montagna (572 metri) a picco sul mare da Trieste al Gargano, è il cuore dell'omonimo Parco Regionale. Istituito nel 1987, ma gestito solo dal 1991, è un'oasi ambientalista che si estende per 5800 ettari di area protetta, con luoghi di grande suggestione: la baia di Portonovo, la spiaggia delle "due sorelle", il belvedere nord, Pian Grande, pian dei Raggetti...
    Vi sono 18 percorsi escursionistici che si snodano tra corbezzoli, ginestre, lecci e pini. Numerose specie di uccelli presenti, alcuni dei quali rari, assieme ad una ricca presenza faunistica. Le tantissime piante che costituiscono la macchia mediterranea sono qui protette e rappresentano un terzo dell'intero patrimonio floristico delle Marche. Inoltre sono presenti numerose le testimonianze d'arte: Santa Maria di Portonovo, San Pietro al Conero, l'Antiquarium sulla civiltà picena a Numana, insieme a specifici itinerari geologici di singolare interesse.


    vinadio
    foto:sorgentitermali.it
    sorgente termale

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    foto:italos.it
    grotte di Camerano


    Da non perdere per la loro suggestività sono le Grotte di Camerano: assai numerose, scavate nel sottosuolo del centro storico, con andamento labirintico e, per lo più, comunicanti fra loro. A lungo si è ritenuto erroneamente che fossero i resti di antiche cave di arenaria. Se una tale ipotesi vale per alcune di esse senz'altro si può escludere che la maggior parte debba essere interpretata in tal senso.
    L'iscrizione più antica ivi rinvenuta reca la data 1327 anche se si suppone un'origine assai più remota e un uso ancor oggi in gran parte sconosciuto.
    Ricche di decorazioni architettoniche, sembra fossero luoghi di culto ed opere difensive dei primi abitatori del colle di Camerano. Durante i bombardamenti dei 1944 vennero adibite a rifugio antiaereo per la popolazione.

    Inoltre lungo la strada per il Poggio, a poca distanza dalla chiesa di S. Germano è visibile una gradina di interessante valore storico e culturale: la Gradina di Camerano.
    Sebbene restino ancor oggi avvolte nel mistero le origini delle gradine e la loro funzione, non è da escludere che queste colline a forma conica fossero inizialmente dei villaggi fortificati prostorici. Potrebbe essere questo il caso anche della Gradina di Camerano, usata probabilmente dagli abitanti dei luogo per il loro villaggio di capanne, una volta abbandonata la sommità del monte Conero.
    Nelle zone immediatamente vicine sono presenti numerosi cunicoli, forse coevi, scavati nel sottosuolo. I cunicoli fanno parte probabilmente di un unico sistema idraulico che interessa la zona delle gradine, ma anche le stesse città di Numana e di Ancona. Caratteristiche costanti dei cunicoli sono: la volta a botte, l'altezza (150 cm), la larghezza (60cm), i camini d'areazione che si aprono a distanze pressoché regolari. Fra essi il più noto è il "Buco del Diavolo", anche detto "Buco della Paura", impregnato da numerose e inquietanti leggende. Una tradizione ricollegabile ai miti pagani, narra che, percorrendolo interamente, si arriverebbe in una grande stanza con al centro un altare, su cui si troverebbe una chioccia d'oro attorniata da dodici pulcini: ma lo sventurato non potrà mai tornare indietro se non scoprirà il vero nome del Demonio e non lo scriverà sulla roccia con il proprio sangue.


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    foto:farm4.static.flickr.com


    Gradina di Camerano



    fonte: benessere.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    "...Guarda l’acqua, si abbandona con sicurezza assoluta
    e può occupare tutti gli spazi vuoti che incontra...."
    (Anton Ponce de Leon Paiva)


    IL LAGO VYRNWY


    Il lago Vyrnwy, Llyn Efyrnwy o Fyrnwy in gallese, è un bacino idrico risalente all'epoca vittoriana situato nel nord del Galles nella contea di Powys. Venne progettato negli anni ottanta del XIX secolo dalla corporazione di Liverpool con lo scopo di fornire acqua potabile alla città, che dista circa 70 miglia. Fu costruito inondando la valle Vyrnwy ed il villaggio di Llanwddyn, situato nel Montgomeryshire. Completata nel 1889, fu la prima diga costruita in pietra della Gran Bretagna. Le dighe precedenti erano costruzioni di argini di terra. La sua zona di filtraggio è celebre per la torre gotica a punta alta 48 metri ed il ponte ad arco che la congiunge alla riva.
    Il lago venne riempito nel 1889 dalle acque provenienti da Loch Leven. La valle impiegò 2 anni a riempirsi. Può sembrare insolito, trovare pesci in un lago artificiale, ma poco dopo la costruzione di Vrynwy, 400.000 trote sono state trasferite da Loch Leven. L'acqua copriva completamente l' antico villaggio chiamato Llanwddyn, che si trovava nella valle. Durante alcuni periodi quando il livello dell'acqua scende abbastanza alcune parti del paese sono visibili. I piani degli edifici, appena spuntano sopra l'acqua, danno luogo ad uno spettacolo spettrale.
    Il paese sommerso è stato sostituito con uno nuovo, con lo stesso nome. Il villaggio di Llanwddyn, che si trovava circa a metà strada su per la valle ai piedi del Afon Cedig, o fiume Cedig, prese il nome da un Santo di nome Wddyn che visse come un recluso in una grotta vicin,a nel VI secolo. La parrocchia è stato chiamata San Giovanni di Gerusalemme. La ragione di ciò è che nel XIII secolo il maniero di Llanwddyn era stato visitato dai Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni, ed avevano costruito una chiesa in pietra nel villaggio e dedicata al loro santo patrono.
    Questa parte del Galles, vicino al confine inglese, è ricca d'acqia. Così come Vyrnwy c'è il vicino Lago di Bala, il più grande lago in Galles. Ad est di entrambi i laghi si trova Pistyll Rhaeadr, probabilmente la più bella cascata in Galles. E' nascosta in un tranquilla valle boscosa. Con un'altezza totale di 80 metri, Pistyll Rhaeadr è in realtà più alto delle Niagara Falls.

    Un piccolo ponte ad arco conduce ad una torre. Il tetto è in rame ossidato. All'interno della torre vi è una maglia fine utilizzata per filtrare materiale solido presente nell' acqua. L'imponente torre a punta che si erge dalle acque ad una certa distanza dalla diga. Questa è la 'torre di sforzo', dove l'acqua esce dal lago ed inizia un viaggio lungo un acquedotto e gasdotto verso Liverpool, circa 70 miglia di distanza. Gran parte della struttura è nascosta sott'acqua dove si trova l'ingresso della Hirnant tunnel. Questo porta l'acqua dal lago Vyrnwy al lungo 70 miglia acquedotto a Liverpool.

    ....storia....



    Il Consiglio comunale di Liverpool era alla ricerca di un sito per un nuovo serbatoio per poter fornire più acqua alla popolazione in continua espansione della grande, tentacolare area urbana. Nell'estate del 1877 il signor Deacon, l'ingegnere città di Liverpool, arrivato a Llanwddyn per studiare la possibilità di sbarramento del fiume Vyrnwy in un punto da qualche parte sotto il paese per creare un grande lago artificiale in grado di contenere molti milioni di litri d'acqua. Durante la sua indagine trovò uno sbarramento roccioso disteso sul letto della valle, a due miglia a sud del villaggio. Il potenziale di questa barra di roccia fu che poteva fungere come base su cui costruire una diga.
    Deacon ha lavorò velocemente e presentò la sua relazione al Liverpool Corporation, il 27 novembre dello stesso anno. Il progetto fu approvato e nel settembre 1878 furono impiantati alberi di prova per vedere se il letto di roccia avrebbe fornito una base sicura su cui costruire la diga. Nel 1880 il Liverpool Corporation Waterworks legge fu approvata dal Parlamento, e ricevette l'assenso reale il 6 agosto. I lavori iniziarono nel luglio 1881, dato commemorato da una pietra posata all'estremità settentrionale della diga il 14 luglio dal Conte di Powis.
    La pietra per la muratura fu ottenuta dalla cava apposi-
    tamente aperta, nella valle sul lato orientale di quello che oggi è il lago. Tutti gli altri materiali furono portati dai cavalli e carretto dalla stazione ferroviaria di Llanfyllin, dieci miglia di distanza. Per la costruzione furono impiegati 1.000 uomini, molti di loro erano scalpellini.
    In pochissimo tempo, la diga fu completata. L'antico borgo di Llanwddyn, e tutti gli edifici della valle che dovevano essere coperti dalle acque del lago, furono demolite. Una nuova chiesa, dedicata a San Wddyn, fu costruita su uno sperone roccioso della collina sul lato nord. Su 27 Novembre 1888 la nuova chiesa fu consacrata, e il giorno dopo le valvole alla base della diga furono aperte. Sorpresa generale il nuovo lago riempito più rapidamente del previsto, e poco meno di un anno dopo, il 22 novembre 1889, l'acqua scorreva sopra il labbro della diga.
    La costruzione della diga non fu l'unica impresa necessaria: altrettanto importante fu la creazione di un adeguato mezzo di portarlo a Liverpool. 68 miglia viaggio dell'acqua di rubinetti in città inizia alla torre di sforzo, progettata sia per filtrare con enormi filtri filo calibro, che per regolare il livello di erogazione. Il 14 luglio 1892 prima acqua scorreva in città. Negli anni successivi, per aumentare la quantità di acqua fu collocata una seconda linea di tubo da 42 pollici. Un terzo fu aggiunto nel 1920 e '30. Il completamento di questi lavori nel 1910 è stata caratterizzata da un'apertura ufficiale dell'allora principe di Galles, futuro re Giorgio V, e la messa a dimora di un albero che può essere visto sul lato destro della strada, poco oltre Pont Cynon, meglio noto ai visitatori come il 'ponte di barche-casa'
    Estese foreste di conifere sono stati piantati intorno al lago, in parte in collaborazione con la Commissione forestale.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    L'ALCEA ROSEA


    L' Alcea rosea chiamata anche malvarosa o malvone è una pianta ornamentale della famiglia delle Malvacee.
    Ha grandi foglie alterne ovato-lobate, bollose. Il fusto ha un portamento eretto, e le foglie sono ricoperte da una fitta peluria che rende la pianta ispida al tatto. I fiori sono ascellari, con colori dal bianco al rosa al rosso, anche screziati. Esistono varietà viola, blu e quasi nere. È pianta rustica, infestante dal vigoroso sviluppo, capace di vegetare allo stato selvatico anche in condizioni estreme come sui bordi della strada e in terreni aridi.
    E' descritta variamente come pianta annuale o biennale e la ripresa vegetativa della pianta avviene per auto-semina. Se si lascia sviluppare il fittone radicale in modo naturale, la pianta è perenne.
    Ha accrescimento molto rapido in primavera-estate, dove dalla rosetta basale si slanciano uno o più fusti verticali che raggiungono rapidamente l'altezza di 1,5 - 2,5 m o più. La fioritura perdura fino ad inizio autunno. Ai primi freddi invernali i fusti si seccano e la pianta si riduce cespo globoso di 20-30 cm, forma sotto la quale la pianta sverna allo stato di sempreverde.
    La radice della pianta è un fittone carnoso bianco; si insinua facilmente a grandi profondità per circa 1, anche in terreni compatti e sassosi, ed ha numerose indicazioni farmacologiche. La raccolta della radice avviene in autunno da piante di due anni d'età: viene tagliata in bastoncini di max 20 cm, decorticata e seccata a 40 °C. Le radici vengono vendute anche sotto forma di estratti secchi, sciroppi e pastiglie. Gli zuccheri mucillaginosi di cui le radici sono ricche, composti principalmente da acido glucuronico, acido galatturonico, ramnosio e galattosio, a contatto con l'umidità si convertono in un soffice gel che viene utilizzato per proteggere la faringe dagli elementi irritanti e nel trattamento della tosse secca.

    ...storia, miti e leggende...


    In Giappone, durante il periodo Edo, la malvarosa era il simbolo dello shogunato Tokugawa, e chiunque portasse tale simbolo sul kimono era rappresentante dello shōgun sotto tutti gli aspetti. Chiunque arrecasse danno o si opponesse agli ordini del rappresentante dello shōgun veniva punito anche con la morte. Puntare un'arma nei confronti di tale simbolo era considerato una vera e propria aggressione nei confronti dello shōgun stesso.

    Il suo nome comune deriva da Hocys Bengaida, un nome dato in Galles alla Malva Benedictus, "malva santo" dalla letteratura medievale latina. Wedgewood, un botanico inglese, afferma che è stato chiamato "santo" perché la prima delle piante portata in Europa meridionale apparteneva alla Terra Santa, ma in realtà è originaria della Cina. La sua caratteristica di sopravvivenza in tutti i climi e terreni ha fatto si che fosse trapiantata in tutte le parti del mondo civile durante il Medioevo. In un trattato orticolo britannico, del 1548, è citato come "santo-Hoke", un adattamento del nome gallese.
    Per gli spagnoli, l'Alcea era conosciuta come Las Varas de San Jose ", "personale di San Giuseppe," per questo motivo la si vede raffigurata in molti dipinti di San Giuseppe, a sud dell'Europa; la sua qualità di resistere ad ogni sorta di circostanze in tutti i climi e terreni rappresenterebbe l'amore e la misericordia di Dio per l'umanità.
    I fiori di Alcea hanno una lunga storia, resti di questo fiore sono stati trovati in una tomba dell'età della pietra a Shanidar in Iraq. Gli antichi Egizi facevano corone di Malvone che deponevano nelle tombe vicino alle mummie, indicando che la pianta aveva connotazioni con il cerchio della vita, accompagnava i morti nelle loro nuove vite. Oltre ai riti funerari, gli Egizi, così come Romani mangiavano la radice, perchè ricca di zuccheri, bollita o fritta. L'Alcea probabilmente giunse in Europa dal Medio Oriente dai crociati di ritorno dalle guerre sante, intorno al 1500, e divenne ben presto un punto fermo di giardini medievali. Durante l'epoca Tudor, la Malvarosa fu usata per prevenire aborti spontanei, dalla macerazione delle fioriture nel vino. Veniva data ai bambini da masticare, per lenire il processo di dentizione. La versione nera, simile se non identici a quelli cresciuti da Thomas Jefferson a Monticello erano conosciuti in Europa nel 1629; Frank Lloyd Wright chiamò il suo primo progetto di Los Angeles, "Hollyhock House" (nome inglese), dato che era ilfiore preferito di Aline Barnsdall.
    I fiori possono essere utilizzati per creare un colorante rosso ruggine, usato in molte opere d'arte. Tre sono gli esempi più noti: Georgia O'Keeffe in "Malvarosa nera, speronella blu", "rosa con Pedernal," e il realistico "Vaso con Malvarosa" di Vincent Van Gogh.

    I fiori freschi erano considerati una prelibatezza culinaria nella vecchia Cina. I fiori secchi erano molto usati come un tè dalle donne in Inghilterra e New England. Ogni famiglia aveva delle piante di Malvone. Nel 1800, la linfa di Malvarosa unita allo zucchero venita versata in stampi e venduta come caramelle. Vi è una ricetta che risale al 1660 che raccomanda la combinazione Malvone, calendule, Wild Thyme e boccioli di Hazel per consentire mortali di vedere il popolo delle fate.

    La Malvarosa divenne "un fiore all'occhiello" per i giardini dei cottage inglesi, data la loro travolgente altezza insieme con le loro fioriture espansiva. Nei circoli pagani e wiccan, Malvone è associata a Lammas causa della sua tendenza a riprodurre in abbondanza. In realtà, si dice che uno dei motivi per cui è usato così vicino ai cottage inglesi, era quello di promuovere l'abbondanza in casa, sia in potere e ricchezza, ma anche nella fertilità.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    SETTEMBRE


    Settembre

    Triste il giardino: fresca
    scende ai fiori La pioggia...
    silenziosa trema
    l'estate, declinando alla sua fine.
    Gocciano foglie d'oro
    giù dalla grande acacia...
    Ride attonita e smorta
    Pestate dentro il suo morente sogno;
    s'attarda tra le rose,
    pensando alla sua pace;
    lentamente socchiude.


    (Hermann Hesse)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto dal web

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    (dal web)

    C'è solo la strada su cui puoi contare
    la strada è l'unica salvezza
    c'è solo la voglia, il bisogno di uscire
    di esporsi nella strada, nella piazza.
    Perché il giudizio universale
    non passa per le case
    in casa non si sentono le trombe
    in casa ti allontani dalla vita, dalla lotta, dal dolore, dalle bombe.
    (Giorgio Gaber)

  12. .


    ..Oggi è un giorno speciale vero????..





    BUON COMPLEANNO ANTO!!!!!


    TANTI TANTI TANTI AUGURI!!!!!


  13. .

    TANTI TANTI AUGURI ANNA ... BUON COMPLEANNO!!!



    Anna ti auguro soddisfazioni, felicità e tutto ciò che desideri non solo oggi ma SEMPRE!!!

  14. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 036 (31 Agosto – 06 Settembre 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 31 Agosto 2015
    S. ARISTIDE MARTIRE

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    Settimana n. 36
    Giorni dall'inizio dell'anno: 243/122
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    A Roma il sole sorge alle 05:35 e tramonta alle 18:45 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 05:43 e tramonta alle 19:03 (ora solare)
    Luna: 7.26 (tram.) 19.50 (lev.)
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    Proverbio del giorno:
    Poco mosto, vil d'agosto.
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    Aforisma del giorno:
    Il presidente è il primo dei servitori.
    (Mahatma Gandhi)









    RIFLESSIONI



    ... POESIA …
    ... La poesia è la parola dei secoli. (Nicolò Tommaseo) … La poesia non si scrive, la poesia si dice. (Jaroslaw Iwaszkiewicz) … La poesia si trova dappertutto, ma solo pochi la vedono. (Léon-Paul Fargue)… La poesia, al pari della virtù, si ricompensa da sola. (Sir John Coventry) … La poesia non cerca seguaci, cerca amanti. (Federico García Lorca) … La poesia è la ragione messa in musica. (Francesco De Sanctis) La poesia non è un'espressione... È il tempo di notte, dormire nel letto, pensiero di quello che realmente pensi, rendere il mondo privato pubblico, ed è questo che il poeta fa. (Allen Ginsberg) … La poesia è un atto di pace. La pace costituisce il poeta come la farina il pane. (Pablo Neruda) … Un poema non necessita di un significato come la maggior parte delle cose nella natura. (Wallace Stevens) …
    Una storia di fatti particolari è uno specchio che oscura e distorce ciò che potrebbe essere bello; la poesia è uno specchio che rende bello ciò che è distorto. (Percy Bysshe Shelley) … Spesso compongo il primo verso molto bene, ma incontro problemi nel comporre i successivi. (Molière) … Chi desidera capire il poema / Deve recarsi nella terra della poesia, / Chi desidera capire il poeta / Deve andare nella terra del poeta. (Wolfgang Goethe) … La poesia si avvicina alle verità essenziali più della storia. (Platone) … Ogni trovata narrativa è reale, ne potete star certa. La poesia è una scienza esatta quanto la geometria. (Gustave Flaubert) … Far poesie è come far l'amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa. (Cesare Pavese) … Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e passione. (Giambattista Vico) … La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia personale e interiore, che il lettore riconosce come proprio. (Salvatore Quasimodo) … La poesia non è una liberazione di emozioni, ma una fuga dalle emozioni; non è l'espressione di personalità, ma una fuga dalla personalità. (Thomas Stearns Eliot) … La poesia è come un uccello, ignora tutte le frontiere. (Yevgeny Yevtushenko) … La Poesia è un'arte molto complessa…. È un'arte di puro suono connesso ad un'arte di simboli arbitrari e convenzionali. (Ezra Pound) … Poesia, tanta poesia; inizia settembre, nuova stagione (continuo a far finta che le stagioni esistano che siano ancora il divisorio naturale delle fasi climatiche dell’anno), iniziano tra breve le scuole sembra tutto una poesia che avvolge ogni persona ogni uomo … poi leggo quello che accade in Cechia con gli immigranti che vengono col loro carico di disperazione e speranze; leggo che sono marchiati quando entrano nella loro patria. Ricordi di un passato doloroso, ferite della storia dell’uomo tornano alla luce e fa spavento. E allora torno a pensare alla poesia … torno a pensare che l’uomo sa anche creare cose belle alate delicate … POESIA … Buon risveglio … Buon Agosto amici miei …
    (Claudio)






    Polizia ceca marchia profughi con numeri sul braccio
    La cifra identifica i treni e i vagoni in arrivo. ni e i vagoni in arrivo
    La polizia ceca sta procedendo a marchiare ogni migrante (FOTO), anche i bambini, in arrivo a Breclav, al confine con l'Austria, con un numero scritto a pennarello sul braccio, che identifica il treno d'arrivo e il vagone. La notizia è sul sito Britske listy (pagine britanniche) ed è confermata da Vaclav Janous del quotidiano Mlada fronta Dnes (Mfd).
    Le stesse cifre vengono poi scritte sul biglietto del treno che la polizia sequestra. Con i numeri sono marchiati non solo gli adulti ma anche i bambini: il Mfd ha riportato ad esempio la foto di una bambina di 5 anni addormentata sulla spalla della madre durante il controllo. Sull'avambraccio porta la scritta C5.

    "È un fatto gravissimo". Così il presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna definisce "i segnali in queste drammatiche ore" dalla Repubblica Ceca dove "decine di profughi sono stati letteralmente marchiati come fossero bestiame al macello, richiamando inevitabilmente il periodo più oscuro della storia contemporanea".
    (Ansa)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Estate…

    Pioggia d'Estate

    Tra ombra e sole,
    un lampo giallo... un tuono lungo... e poi
    acqua a rovesci
    su l'assetato, polveroso bosco.
    Fili d'argento
    (aghi lucenti di ricamatrice)
    tagliano obliqui
    la verdazzurra semioscurità;
    rapidamente
    sfiorano i tronchi, lavano le foglie,
    e poi leggeri
    tra i fiori e l'erbe a terra si disfanno.
    Nei lor rifugi
    gli animaletti pavidi e felici
    seguon l'incanto
    per cui l'aria d'un tratto splende e odora.
    Fatto sonoro,
    il bosco vibra con un rombo d'organo:
    unica nota
    che poi dilegua a poco a poco e muore.
    L'ultime gocce,
    tinnule e gravi, pallide e lucenti,
    su foglie e tronchi
    battono ancora quando il sol ritorna.
    . Il bosco splende;
    e la vita - festosa - ecco riprende.
    (Pucci)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Dormi un'altra luna

    Dormi un'altra luna,
    ascolta il canto che il mare le ha rivolto,
    la terra che ti culla ed il cielo che ti soffia fortuna.
    Tu dormi ancora il tempo di un raccolto.
    Io dormirò stretto stretto a te,
    ninna nanna ninna eh,
    Io ci sarò sempre li' con te,
    ninna nanna ninna eh...
    Non lo sai che i sogni

    sono lo spiraglio di un'altra dimensione
    ma chiusi dentro agli occhi
    sono tutti i loro disegni.
    Tu sogna ancora dentro una canzone.
    Io dormiro'stretto stretto a te,
    io ci sarò sempre li' con te!.

    (isaefrenk)



    ATTUALITA’


    Immigrazione: Foto shock di bimbo morto sulla spiaggia. Media: Ue apra occhi.

    Piccolo siriano su spiaggia Turchia. "Ue capisca tragedia". A faccia in giù, appena lambito dall'acqua, le braccia abbandonate, immobile nella morte. Il piccolo profugo siriano annegato davanti alla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, ha ancora la maglietta rossa e i pantaloncini scuri, le scarpe allacciate. E la foto di quel corpicino composto, delicato, ha fatto il giro del web, è stata rilanciata all'infinito su Twitter, simbolo della tragedia dei migranti e della decisione dei media di guardarla in faccia, questa tragedia. Senza sensazionalismo, ma anche senza ipocrisia. L'agente turco ha il volto tirato mentre solleva con attenzione quel bimbo di due anni per portarlo via dal mare, troppo tardi per metterlo al sicuro ma ancora in tempo per un gesto silenzioso di pietà. Immagini dure, che il quotidiano britannico 'The Independent' ha pubblicato per primo.

    "E' troppo facile dimenticare la realtà di una situazione disperata che molti rifugiati devono affrontare", scrive il giornale spiegando una scelta non scontata e lanciando, con una domanda, un appello: "Se queste immagini straordinariamente potenti di un bimbo siriano morto su una spiaggia non cambiano l'atteggiamento dell'Europa nei confronti dei rifugiati cosa può farlo?". Lo chiede agli inglesi terrorizzati dall'ondata di migranti nel tunnel della Manica e agli ungheresi che costruiscono muri, agli austriaci scioccati dai morti asfissiati nel camion, a tutti i Ventotto che non sanno dare risposte alle centinaia di migliaia di disperati in fuga dal caos al di là del Mediterraneo. Lo ricorda al premier David Cameron, intransigente paladino della chiusura a ogni aiuto. El Pais parla di "simbolo del dramma nell'Egeo". "Immagini scioccanti" della "tragica epopea dei rifugiati", scrive The Guardian. Il Mail online sceglie di sgranare l'immagine. Per l'Huffington Post Gb questa è "la guerra siriana in una foto". The Telegraph titola :"L'immagine del bambino siriano morto cattura la tragedia umana della crisi dei migranti". Perfino Twitter cambia linguaggio, e c'è chi scrive "preghiamo per la sua anima innocente. Ogni giorno siamo impotenti di fronte a questo".

    Ieri un'altra foto aveva fatto il giro del mondo. Quella di una turista greca a bordo di una barca che stringeva a sé un profugo siriano salvato dopo 13 ore di mare non lontano da Kos. Il piccolo di oggi non è stato cosi fortunato. E' uno degli 11 migranti siriani annegati mentre tentavano di raggiungere, a bordo di due imbarcazioni, l'isola greca di Kos, la porta più vicina dell'Europa e di una speranza inseguita a qualunque costo. Erano partiti da Akyarlar, poco lontano da Bodrum, e a soli cinque chilometri di mare da Kos. Troppi per la salvezza.
    (Ansa)





    Sulla Terra più alberi del previsto.

    Sono 3 miliardi di miliardi, 422 per abitante. Sulla Terra ci sono più di tre miliardi di miliardi di alberi e sono decisamente più numerosi di quanto si pensasse, tanto che per ognuno degli oltre sette miliardi di abitanti del pianeta ci sarebbero ben 422 alberi, anzichè 61 come si riteneva finora.Sono questi i risultati sorprendenti del censimento pubblicato sulla rivista Nature e condotto da una collaborazione internazionale che comprende gruppi di 15 Paesi, guidata dall'università americana di Yale.

    Sono questi i risultati sorprendenti del censimento pubblicato sulla rivista Nature e condotto da una collaborazione internazionale che comprende gruppi di 15 Paesi, guidata dall'università americana di Yale.

    E' una vera e propria mappa della distribuzione degli alberi, basata su circa 430.000 misure eseguite in 50 Paesi di tutti i continenti, ad eccezione dell'Antartide, sotto la guida di Thomas Crowther, della Scuola di studi ambientali di Yale. Finora le stime della vegetazione si erano basate soprattutto su dati rilevati dai satelliti, ma questi non riuscivano a raggiungere un grado di precisione tale da poter suggerire delle stime numeriche.

    Il censimento indica adesso che per la maggior parte (1,3 miliardi di miliardi, pari al 43% del totale) degli alberi si trovano nelle zone tropicali e subtropicali. Sono ricche di verde anche le regioni boreali di Russia, Scandinavia e Nord America, con 74 milioni di miliardi di alberi (pari al 24%). Seguono le regioni temperate, con 61 milioni di miliardi (22%).

    Sempre secondo il censimento la presenza dell'uomo si fa sentire con 15 miliardi tagliati ogni anno: un intervento che dall'inizio della civilizzazione ha portato ad una perdita complessiva stimata nel 46%. Il ritmo del disboscamento è maggiore nelle regioni tropicali, ma gli effetti si fanno sentire a lungo andare sull'intero ecosistema del pianeta come dimostra,secondo i ricercatori, l'impatto che nel corso della storia hanno avuto tutte le decisioni relative all'uso della terra.
    (Ansa)





    Un cuoco italiano vince Masterchef Israele.

    De Matteo all'ANSA: "Gli ho fatto assaggiare la cucina di mia madre". Il cuoco italiano Massimiliano Di Matteo ha vinto la finale di Masterchef di Israele. L' abruzzese, che da pochi mesi vive a Tel Aviv, ha prevalso nella finale di ieri su altri due concorrenti israeliani. Ad applaudire Di Matteo, tra il pubblico, anche la madre arrivata dall'Italia. Masterchef è una delle trasmissioni più seguite della tv israeliana.

    ''Gli ho fatto vedere - racconta all'ANSA Di Matteo abruzzese di Pescara, sposato da 13 anni con un'israeliana e da 18 mesi in Israele - e assaggiare la cucina italiana che non conoscono, quella di mia madre, di mia nonna. Quella delle tradizioni delle nostre parti''. ''Da ieri sera - sorride- e' un delirio. Per strada mi fermano, vogliono fare i selfie con me. Non me l'aspettavo proprio''. Cosi' come non si aspettava - dice - che l'avrebbero chiamato quando ha deciso di ''iscriversi al programma''. Pero' poi ammette che in un certo senso essere italiano e' stato un vantaggio: ''in Israele siamo amati tantissimo e la cucina italiana ancora di piu'. Trionfa ovunque''.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Operazione U.N.C.L.E.




    locandina


    Un film di Guy Ritchie. Con Henry Cavill, Armie Hammer, Alicia Vikander, Elizabeth Debicki, Hugh Grant.


    Un gioiello di riscrittura della storia (reale e televisiva) con il tratto del fumetto e i tagli del cinema.
    Gabriele Niola


    Durante la guerra fredda America e Russia decidono di unire le proprie "intelligenze" per un'importante operazione internazionale. Un agente a stelle strisce dovrà collaborare assieme al proprio corrispettivo sovietico, nonostante la reciproca diffidenza e le ovvie differenze di stile e prospettiva, assieme ad una ragazza che lavora come meccanica nella Germania dell'Est, per impedire a dei villain ricchi, spietati e soprattutto italiani di sconvolgere l'equilibrio geopolitico mondiale con una nuova arma di distruzione di massa.
    Che l'attuale era di remake, sequel, reboot e franchise del cinema americano non significhi un calo nelle idee lo hanno già dimostrato diversi film che, nonostante un titolo e personaggi già noti, riuscivano a tracciare archi narrativi autonomi e soprattutto avevano l'ambizione di parlare una lingua diversa dal resto del cinema. Novità a tutti gli effetti mascherate dietro nomi famosi. È il caso anche di Operazione: U.N.C.L.E., lungometraggio prontissimo per uno sfruttamento seriale (se il botteghino lo vorrà), i cui personaggi e il cui intreccio sono presi di peso la serie televisiva degli anni '60 Organizzazione U.N.C.L.E., quando, in piena guerrafredda, la televisione americana reiterava la distanza del proprio paese dal nemico sovietico (e la superiorità del proprio stile di vita) facendo collaborare un agente americano con uno dei rossi.
    Nomi e riferimenti di trama a parte non c'è niente in questo nuovo, esaltante, film di Guy Ritchie che ricordi l'originale o che da esso sia mutuato. Non c'è pausa per la creatività del regista dai tagli di montaggio più riconoscibili della scena contemporanea, non c'è pigrizia intellettuale nella sua produzione. Operazione: U.N.C.L.E. ha l'obiettivo commerciale di lavorare sull'appeal dell'ambientazione anni '60 e Ritchie la sfrutta al massimo, esagerando fino ad arrivare dalle parti dell'iperbole fumettistica (è la seconda volta dopo il suo Sherlock Holmes steampunk) ma senza sacrificare per questo la godibilità, anzi. Ritchie sembra aver capito bene come, se intrattenimento deve essere, il suo film debba essere pronto a ridere di sè assieme agli spettatori, rispettare determinati canoni senza diventare una parodia ma essere conscio della propria dimensione dolcemente fuori dal tempo, fino a farne un pregio. In questa maniera riesce a far passare nelle maglie di un racconto asciugato al massimo (sembra partire a trama già iniziata e lavora di grandi ellissi invisibili per raccontare la sua storia in maniera indiretta mostrando quasi sempre, almeno fino a prima del gran finale, le conseguenze invece dell'azione) personaggi e ambientazioni che da "d'epoca" diventano fieramente vintage: artificiali, ricostruiti, esagerati nella loro adesione al proprio stereotipo.
    Per Operazione: U.N.C.L.E. Ritchie rinuncia anche alle convenzioni che contraddistinguono il proprio cinema ma non smette di sperimentare con il montaggio, rivoltando le convenzioni dello stile "invisibile" hollywoodiano per arrivare al medesimo fine (un film che si svolge sotto i nostri occhi dando l'impressione che nessuno lo abbia assemblato, tanto appare "naturale" il suo flusso) tramite una diversa tecnica, una al ribasso, minimalista e in sottrazione, che leva scene là dove altri ne aggiungerebbero, contando di mantenere intatta la comprensibilità grazie alla precisione degli affiancamenti creati dal montaggio.
    Essenziale e rapidissimo Operazione: U.N.C.L.E. guarda retrospettivamente la contrapposizione tra America e Russia con il senso del ridicolo moderno, ridendo delle piccolezze e di quelle lotte tra agenzie governative segrete che nel cinema di spionaggio di quegli anni erano invece trattate come svolte narrative serie. Tutto è da ridere per il film, nulla è serio; tutto è una farsa come l'immaginaria costiera campana dove è ambientata buona parte del film. Tutto tranne il piacere epidermico di un cinema d'intrattenimento di massa capace di raffinare la propria forma fino all'estremo, finalmente consapevole del proprio ruolo e capace di portare a termine il compito affidatogli dagli studios con autoironia e grande personalità. Il medesimo spirito che si riflette anche nella maniera in cui sono diretti i protagonisti, mai così credibili nella propria carriera, nel proprio apparire manichini che si muovono in un mondo di finzione. Bastino l'understatement estremo dei movimenti controllati di Henry Cavill, la maniera in cui è inquadrato il fisico granitico e "immobile" di Armie Hammer o l'introduzione di un corpo sorprendente come Elizabeth Debicki nel ruolo del villain. È la seconda volta che la vediamo in un film di primo piano dopo Il grande Gatsby e di nuovo è una scoperta. Finalmente un'attrice che non si rassegna a somigliare alle altre, che pare reinventare ogni cosa che fa da capo dandogli di nuovo un senso.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    Un pub conosce tanti segreti
    quanti ne conosce una chiesa.
    (Joyce Carey)


    IL P U B


    Pub è l'abbre-
    viazione di “Public house”, un locale pubblico dove tradizional-
    mente si va a bere e si sta in compagnia in cui vengono servite bevande alcoliche, in particolare birra. Le finestre dei pub sono fatte di vetro offuscato in modo da nascondere la clientela dalla strada. Molti sono controllati direttamente dalle case produttrici di birra e quindi questa bevanda prevale su tutte le altre. Normalmente, la birra viene spillata e servita alla spina.
    Nel Regno Unito ci sono circa 60.000 pub, quasi uno in ogni città, paese e villaggio. I pub sono luoghi sociali di aggregazione. Spesso hanno nomi fantasiosi che accostano due sostantivi, tipo L'Aratro e il Bue o La Nave e la Mitra o anche irriverenti e sovversivi.. in tutto il Regno Unito ve ne sono molti che si chiamano "La Testa del Re o La Testa della Regina".

    ....storia....


    Gli abitanti del Regno Unito bevevano birra ad alta fermentazione dall'età del bronzo, ma fu solo con l'arrivo dell'Impero romano con la creazione della rete stradale, che iniziarono a nascere le prime taverne per i viaggiatori. La nascita dei pub risale all'epoca in cui i romani lasciarono le isole britanniche. Chiamate tabernae al tempo dei romani, poi ale houses nel Medio Evo, le mescite di bevande in Inghilterra acquistarono definitivamente la loro dignità nel 1393. Nel 965, re Edgar emise un decreto per il quale non poteva essercene più di uno in ogni villaggio. Nell'alto medioevo un viaggiatore, per riposarsi, poteva alloggiare nei monasteri, in seguito però la domanda di ostelli per la notte iniziò a crescere, di pari passo con la popolarità e il numero dei pellegrinaggi.
    Nel 1393 Re Riccardo II obbligò gli osti a erigere insegne al di fuori dei loro locali. La legislazione stabiliva: "Chiunque abbia intenzione di produrre birra in città, con l’intento di venderla, dovrà appendere all’esterno un’insegna, altrimenti perderà per confisca la propria birra." Sopra la porta d’entrata doveva essere esposto, come segno distintivo dell’esercizio, un bastone, un pezzo di legno o un ramo d’albero. Alcuni osti, lasciando libero corso alla loro immaginazione, intagliarono e decorarono insegne di legno, molte delle quali divennero vere e proprie opere d’arte. Questa legge fu emanata per rendere più riconoscibili i pub, al passaggio degli ispettori che dovevano giudicare la qualità della birra che veniva somministrata. Inoltre, dato che la maggior parte della popolazione era analfabeta, le insegne figurate erano utili per identificare un pub. Non c'era motivo di scrivere il nome del locale sull'insegna, e le taverne nascevano senza un nome formalmente scritto e spesso il nome derivava dalla figura che vi era sull’insegna.
    Il pub "Royal Standard of England", vicino a Beaconsfield, è tra i meglio conservati di quelli dell'epoca dei Sassoni. In questo popolo era diffusa un'usanza secondo la quale la birraia dovesse esporre un'insegna verde in cima a un palo per avvertire la gente che la birra era pronta. Si produceva sia birra forte che leggera.
    Gli osti di Londra furono ammessi ad una corporazione nel 1446, che nel 1514 divenne la Venerabile Compagnia degli Albergatori.
    La tradizionale birra ale inglese è fatta esclusivamente con il malto fermentato. L'usanza di aggiungere luppolo fu introdotta dagli olandesi all'inizio del XV secolo. Le birrerie, spesso producevano da sole la birra che vendevano e ognuna aveva una caratteristica. Dalla fine del XVII secolo iniziarono ad apparire birrifici indipendenti che divennero commerciali alla fine del secolo.
    Il XVIII secolo vide una smisurata crescita del numero di pub, dovuta essenzialmente all'introduzione del gin, portato in Inghilterra dagli olandesi dopo la Gloriosa rivoluzione del 1688. Divenne popolare dopo che il governo permise la produzione di gin senza licenza e allo stesso tempo impose dei pesanti tributi su tutti liquori importati. Data la richiesta fu coltivato molto grano di bassa qualità che non poteva essere usato per produrre birra, ma adatto a produrre gin. Nel 1740 la produzione di gin era aumentata di sei volte rispetto a quella della birra, e a causa del suo costo contenuto divenne popolare soprattutto fra i poveri. Più di metà dei 15000 pub di Londra erano diventati dei gin-shop.
    Nel 1751 il "Gin Act" obbligò le distillerie a vendere il gin esclusivamente ai venditori al dettaglio autorizzati, e si normalizzò la produzione della birra che regnò di nuovo incontrastata.

    ..i PUB irlandesi..


    Ci sono molte differenze tra un pub irlandese e uno inglese. Le facciate sono meno decorate e general-
    mente non ci sono delle insegne. Prima degli anni sessanta, le drogherie erano molto diffuse nel paese, e i pub irlandesi spesso erano “drogherie di liquori”. Questa attività di osti-droghieri nacque verso la metà del XVIII secolo, quando si diffuse una tendenza alla moderazione che obbligò i padroni dei pub a diversificare i loro affari per far fronte alla diminuzione di vendite dei liquori. Molti pub hanno conservato le caratteristiche della drogheria del XIX secolo, con il bancone e gli scaffali che occupano la maggior parte dello spazio, lasciandone poco per i clienti. A differenza dei pub inglesi, quelli irlandesi spesso prendono il nome dal proprietario. Tra i più famosi pub tradizionali di Dublino vi sono O'Donoghue's, Doheny, Nesbitt's, e Brazen Head, che si vanta di essere il più antico pub d’Irlanda, onorificenza che invece spetta al Sean's Bar ad Athlone.
    In Irlanda del Nord le “drogherie di liquori” furono obbligate a scegliere tra le due attività con la divisione dell’Irlanda nel 1922. La mancanza di un'industria del turismo ha fatto si che sopravvivessero, in più grande percentuale, i pub tradizionali. Con la fine dei disordini, il turismo ricomparve in città e alcuni pub furono riadattati negli interni allo stile di quelli inglesi degli anni cinquanta e sessanta. Tra i più tipici pub di Belfast: il National Trust's Crown Liquor Saloon, e il più antico della città, McHugh's. Al di fuori di Belfast, alcuni pub come ad esempio The House of McDonnell a Ballycastle o Grace Neill's a Donaghadee sono rappresentativi del tipico pub di campagna.

    ..curiosità storiche..



    All’inizio del XVI secolo, quando decise di porre fine al suo matrimonio, il re d’Inghilterra Enrico VIII si riunì con i rappresentanti della Chiesa in un monastero di Londra, per ottenere il loro benestare. Il risultato non fu quello auspicato: il re, come è noto, non ottenne l’autorizzazione, e finì col rompere i rapporti con la Chiesa di Roma e fondare l’anglicanesimo. Questo incontro avvenne dove oggi sorge il pub The Black Friar. Costruito nel 1875, ha pareti piene di sculture in legno, raffiguranti monaci, e vetrate gialle che, con la luce esterna, rendono gli interni dorati.

    Ye Olde Cheshire Cheese, aperto nel 1538, fu ricostruito nel 1667, dopo il grande incendio che distrusse la città di Londra. In quell’epoca, a causa delle pessime condizioni di vita delle grandi città, i londinesi erano malnutriti, e per questo la loro statura era decisamente più bassa della media attuale. Se ne ha la prova inconfutabile dai soffitti all’interno di questo antichissimo locale, le stanze da bagno sono alte appena un metro e ottanta. Un tempo il pub era frequentato in prevalenza da giornalisti e scrittori, come Charles Dickens.

    Dickens era solito frequentare il Simpson’s Tavern. Situato nel cuore finanziario di Londra, il locale, definito "eatery", lo avvicinerebbe più al cibo che alla mescita. L'apertura risale al 1757, e fu il primo locale a impiegare personale femminile, già all’inizio del XX secolo.

    Cittie of Yorke, costruito nel XVI secolo è situato nella zona "seria" della città, dove sorgono numerose scuole di legge, studi legali e palazzi legati alla giustizia. Al suo interno si trovano piccole strutture di legno per una decina di tavoli, simili a singolari confessionali, le cabine servivano agli avvocati perché potessero mantenere riservate le conversazioni che usavano intrattenere coi i loro clienti davanti a una birra.

    The Old Bank of England è stato aperto solo nel 1995. Ma la sua storia inizia nel 1888, quando fu costruito il palazzo destinato a diventare una delle sedi della Banca d'Inghilterra. Più o meno dove oggi si trova la costruzione, un tempo vi erano un barbiere e un negozio di torte. Racconta una leggenda che, nella metà del XVIII secolo, il barbiere Sweeney Todd assassinasse i clienti e li gettasse in un tunnel che arrivava fino al negozio accanto. Lì, la sua amante faceva torte ripiene con la carne delle vittime.

    (Gabry)





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    I Tormentoni dell'Estate 1975 al 1979

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    LA MUSICA DEL CUORE




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    foto:debaser.it


    L'Angelo azzurro - Umberto Balsamo

    Nel 1976 Balsamo propose a Mina la canzone L'angelo azzurro, da lui scritta insieme a Cristiano Malgioglio. Rifiutato dalla cantante cremonese, il brano divenne uno dei maggiori successi dello stesso Balsamo e venne incluso nel suo album "Malgrado tutto...l'angelo azzurro" (1977)
    L'angelo azzurro, raggiunse il 1° posto nella hit parade, rimanendovi per ben 6 settimane.




    L'Angelo azzurro

    Con la luce il tuo profilo
    ha un colore indefinito
    la tua immagine riflette
    su un discorso che non smette
    La chiarezza nei tuoi occhi
    le parole affascinanti
    che si dicono due amanti
    ma davvero siamo noi?
    Se sei tu l'angelo azzurro
    questo azzurro non mi piace
    la bellezza non mi dice
    le parole che vorrei
    quanti baci e tradimenti
    lacrimoni e pentimenti
    fan di te una donna sola
    che da sola resterà
    Con il sole e con la pioggia
    ti bagnavi sempre tu
    ero pronto ad asciugarti
    ma non ce la faccio più
    E per chiudere il discorso
    voglio dirti amore mio
    questo e' un arrivederci
    e non e' certo un addio
    Sarà facile incontrarsi
    educato salutarsi
    quell'azzurro di sicuro
    non mi incanterà mai più
    Il mio orgoglio e' ancora vivo
    e non morirà con te
    lascia stare quell'azzurro
    che non e' adatto a te
    Se sei tu l'angelo azzurro
    questo azzurro non mi piace
    la bellezza non mi dice
    le parole che vorrei
    quanti baci e tradimenti
    lacrimoni e pentimenti
    fan di te una donna sola
    che da sola resterà.



    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Olimpiadi 2024, Los Angeles candidata Usa.

    E' scelta Comitato Olimpico statunitense dopo ritiro Boston. Los Angeles e' la candidata americana ai Giochi Olimpici del 2024. E sfidera' Roma, Parigi, Amburgo e Budapest. ''Los Angeles e' il maggiore palcoscenico al mondo'' afferma il sindaco, Eric Garcetti, annunciando che la citta' e' stata scelta dal Comitato Olimpico americano e aprendo la corsa alla conquista dei Giochi. Il nodo e' ora capire se la candidatura andra' a buon fine dopo l'esperienza di Boston, che non e' mai decollata tanto da deciderne il ritiro.

    Los Angeles ha gia' ospitato i Giochi in due occasioni, e punta a riconquistarli e riportarli negli Stati Uniti dopo 28 anni di assenza. Gli Stati Uniti non ospitano Giochi Olimpici da Atlanta 1996 e le Olimpiadi invernali da Salt Lake City nel 2002. La selezione del Comitato Olimpico americano arriva dopo il via libera delle autorita' comunali a trattare i contratti. I contratti prevedono che i giochi costeranno 4,5 miliardi di dollari.

    Los Angeles e' apparsa da subito la candidata piu' papabile per il Comitato Olimpico americano dopo il ritiro di Boston e l'avvicinarsi della scadenza del 15 settembre per presentare la candidatura. La candidatura di Boston non e' decollata fin dall'inizio, con i cittadini scettici e la mancanza di un appoggio formale da parte di alcuni politici chiave, fra i quali il governatore Charlie Baker che non ha appoggiato l'iniziativa in attesa del rapporto della societa' di consulenza sull'impatto e sui costi.
    (Ansa)




    F1: futuro e sfida Ferrari-Mercedes, parte week-end Monza.
    Presidente Aci: 'fortemente impegnati per permanenza Gp Italia'. La Ferrari unica vera sfidante della Mercedes e la grande passione degli italiani per i motori.
    Storia, tradizione e brividi da alta velocità che come ogni anno tornano a Monza all'inizio di settembre per far assaporare agli appassionati le emozioni forti della Formula 1. Un appuntamento che è stato da poco messo in cassaforte anche per l'anno prossimo e che attende di conoscere il proprio destino dal 2017 in poi. E proprio su questo fronte è massimo l'impegno dell'Automobile Club d'Italia per far restare il Gp d'Italia dov'è: ''Siamo fortemente impegnati nel garantire la permanenza del Gran Premio d'Italia a Monza nel calendario della Formula 1 - ribadisce all'Ansa il presidente dell'Aci Angelo Sticchi Damiani - Il prestigio di questo impianto fanno del Gp d'Italia sul circuito brianzolo il più importante appuntamento sportivo in programma nel nostro Paese''.

    E in attesa di sapere quale sarà il suo futuro, l'Autodromo brianzolo è pronto ad assorbire l'invasione dei tanti ferraristi e non che si scateneranno sulle tribune nella speranza di vedere Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen davanti a Lewis Hamilton e Nico Rosberg. Un Gran Premio d'Italia che oltre a promettere spettacolo e gioie in Rosso dovrà far dimenticare l'amaro finale del Gp del Belgio vissuto dal pilota tedesco della scuderia di Maranello che a due giri dalla fine ha visto svanire ogni speranza di podio per lo scoppio del suo pneumatico posteriore destro. Un incidente che ha fatto esplodere una polemica sulla tenuta delle gomme tra Pirelli e Ferrari con Vettel ad accusare senza mezzi termini il fornitore unico del Mondiale di Formula 1. Episodio sul quale la Pirelli ha portato a conclusione le indagini i cui risultati saranno rivelati a Monza.
    (Ansa)




    Rugby: Italia altro ko, Brunel 'una sconfitta sconvolgente'.
    Scozia-Italia 48-7 nel penultimo test premondiale. Crollo azzurro nel penultimo test in vista dei Mondiali di rugby che si svolgeranno in Inghilterra dal 18 settembre al 31 ottobre: capitan Ghiraldini e compagni hanno perso 48-7 a Murrayfield contro la Scozia. I punti dell'Italia sono frutto di una meta di Campagnaro trasformata da Allan. Ultimo impegno premondiale sabato prossimo al Millennium Stadium di Cardiff contro il Galles, oggi vittorioso per 16-10 a Dublino contro l'Irlanda.

    "E' una sconfitta sconvolgente, soprattutto per il cambio di approccio alla gara che abbiamo avuto. Nel primo tempo abbiamo concesso moltissime punizioni da mischia ordinata, dovremo parlare con l'arbitro per capire cosa è successo e perchè non siamo mai riusciti ad abituarci al suo metro. Ma noi siamo scesi in campo senza intensità sin dall'inizio". Il ct dell'Italrugby Jacques Brunel nel dopopartita di Edimburgo, dove gli azzuri oggi hanno perso 48-7 nel penultimo dei test premondiali, appare seriamente preoccupato mentre fa l'analisi del match. "Anche nelle poche occasioni in cui abbiamo avuto il possesso del pallone lo abbiamo perso dopo una o due fasi - aggiunge il ct -: a Torino avevamo costruito molto e concretizzato poco, oggi non siamo riusciti a costruire sequenze offensive. Però sono sicuro che si sia trattato solo di una brutta giornata, veniamo da due mesi di ottimo lavoro in raduno: oggi è stata una pessima partita, ma sono convinto sia solo un passo falso, anche se deve farci riflettere in vista del Mondiale". "Complimenti alla Scozia, che si è confermata una squadra di livello - conclude Brunel -, ma oggi abbiamo fatto il possibile per farla sembrare ancora più forte di quello che è". Il capitano di giornata Leonardo Ghiraldini appare anche lui scosso dalla proporzioni della sconfitta. "Non so darmi una spiegazione, dovremo rivedere la partita, analizzarla bene - dice -. Di certo abbiamo commesso molte penalità in mischia ordinata senza capire come interpretare le direttive dell'arbitro. Prima dei Mondiali manca ancora la partita di sabato prossimo contro il Galles, dobbiamo entrare da subito nella preparazione a questa partita con un approccio positivo e ritrovare fiducia".
    (Ansa)

    (Gina)



    STRUMENTI MUSICALI




    Conga


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    La conga è uno strumento musicale della famiglia dei membranofoni usato nella musica afro-cubana.


    È un tamburo alto e stretto con la testa singola, derivato dal makuta congolese. In origine esso si ricavava da un tronco svuotato con una pelle bovina cucita o legata sopra ed era utilizzato nelle cerimonie religiose.

    Attualmente è costruito in fibra di vetro o legno e la pelle, che può essere anche di capra, di cammello, di bue, o sintetica, è messa in tensione con delle viti. Normalmente si utilizzano da due a quattro e si suona con le dita ed i palmi della mano. Assume una denominazione diversa a seconda del diametro, dal più piccolo al più grande sono:

    ricardo, 22,9 cm
    nino o requinto, 24,8 cm
    quinto, 28 cm
    conga, da 29,2 a 30,5 cm
    seguidor o tres golpes, 30 cm
    tumbadora o salidor, 33 cm
    supertumba, 35,5 cm

    La tecnica si basa sui seguenti colpi: manoteo: movimento basculante di palmo e dita; slap: la mano leggermente arcuata colpisce quasi al centro del tamburo creando un colpo secco; aperto: la mano colpisce il bordo con la base delle dita; basso: il palmo colpisce il centro della pelle;




    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    RITRATTI E VOLTI DAL PASSATO

    Dal 28 Agosto al 14 Settembre 2015



    “Ritratti e volti dal passato” è il titolo della mostra che inaugurata a Ravenna negli spazi espositivi del Pala De André il 28 agosto, a cura di Silvana Costa, aperta fino al 14 settembre a ingresso gratuito.

    Oltre sessanta dipinti, a partire dalla seconda metà XV secolo fino al XIX secolo, svelano l’operato di artisti durante un arco vastissimo di tempo, circa 400 anni, ricco di conflitti ma anche di dibattiti e cambiamenti. Un’interessantissima indagine sul “ritratto”, o meglio sulla “cultura” del ritrarre, che si è evoluta raggiungendo una sua dignità trasformandosi in un genere le cui radici risalgono agli egiziani. Non si sa se il ritratto nacque con l’intenzione di riprodurre le caratteristiche fisiche di un soggetto, ma in una documentazione di Plinio il Vecchio, risalente al I secolo d.C. emerge che nel mondo greco e in quello romano, il ritratto era una forma d’arte con le sue funzioni specifiche. Certo è che il Quattrocento e il Cinquecento, sono i secoli in cui il ritratto si sviluppa e matura verso una concezione vicina a quella moderna.
    La pregiata collezione in mostra, sessantasei opere, si occupa della pittura così detta “minore”, dove la tensione è riconoscere le influenze dei grandi maestri della pittura italiana ed europea - le opere, infatti, denunciano sempre chiari segni di un legame al periodo pittorico in cui sono state generate - ma l’interesse istintivamente si sposta sulla bellezza dei quadri e dei soggetti. Scene di vita quotidiana e ambientazioni classiche con chiari riferimenti alla mitologia, sono gli scenari in cui s’inseriscono ritratti di nobili e borghesi. Ed è in questo contesto che si riconoscono e si ritrovano anche le immagini a carattere religioso, dove la morbidezza dei volti accentuata da ambienti spogli di elementi architettonici ci riporta alla mente le opere dei maestri della pittura italiana e anche oltralpe.
    In mostra capolavori antichi come “Testa di Vecchio” di Cailot, pittore francese del XIX secolo abile e incline a una pittura intima e raffinatissima, anacronistica eppure carica di naturalismo. La barba canuta, gli occhi chiusi dell’uomo in età avanzata, riconducibile simbolicamente al tempo che passa, all’ultima stagione della vita.
    Prezioso dipinto è poi “Ritratto di giovane dama” direttamente associabile alla pittura del maestro di Vittore Ghislandi detto Fra Galgario mentre il dipinto “La disputa” è di artista chiaramente influenzato dalla pittura caravaggesca e riconducibile a quella fiamminga.
    Nella collezione anche opere che dichiarano l’omaggio ai grandi maestri: Il “Ritratto di Re Edoardo V e il Duca di York nella torre di Londra”, attribuito a pittore francese, è un tentativo di riproduzione di Paul Delaroche che produsse l’originale in dimensioni moltomaggiori. La riflessione sul “ritratto” è anche nel confronto con altri soggetti come nel caso della “Veduta costiera con veliero olandese”, opera francese del XVIII secolo della Scuola di Lacroix de Marseille, tipico soggetto richiestissimo alla fine del Settecento.

    Pregevole la sezione dedicata alla pittura italiana. Tra gli altri il Maestro Francesco Altamura, considerato il più illustre pittore dell’Ottocento pugliese, (Foggia 1826 - Napoli 1897) che produsse un vasto numero di opere e fu a Roma e poi a Firenze nel circolo artistico del Caffè Michelangelo, culla dei Macchiaioli. E Gaspare Traversi (Napoli 1722-1770) straordinario ritrattista, dipingeva scene di genere rappresentative della società borghese del tempo come autentiche indagini sociali, contrapposizione delle classi alte a quelle popolari.

    Un’altra porzione di opere racconta il soggetto religioso. In mostra capolavori come “Madonna con bambino, Santa Caterina D’Alessandria, San Giovanni Battista”, opera attribuita a Bernardino Licinio (e bottega) veneziano, (ca 1495-1549) tra i pittori più attivi e ricercati dal mercato privato della Serenissima tra il terzo e il quinto decennio del Cinquecento, in modo particolare nelle vesti di ritrattista; notevole anche il dipinto “Sposalizio mistico”, che reca sul retro l’iscrizione: “Antonio Biagio Da Firenze 1450 - Prof. G. Fiocco” da cui se ne deduce l’attribuzione a questo grande pittore per molto tempo dimenticato e attivo in Romagna a più riprese, in particolare a Faenza, dove ha lasciato ampia testimonianza delsuo lavoro. E ancora: l’influenza Raffaellesca nella Scuola Romana del XVIII secolo, di Cignani sulla Scuola emiliana del XVIII secolo, l’influenza di Rubens sulla pittura del XIX secolo, di Tiziano, ecc.
    (www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    Presto! Portatemi una brocca di sidro
    affinché possa bagnare la mia mente e dire qualcosa di saggio!
    (Aristofane)


    IL SIDRO



    Il sidro è una bevanda alcolica prodotta dalla fermentazione della spremitura di mele. Ha sapore dolciastro-amarognolo, a seconda delle modalità di produzione, e può raggiungere dai 4 ai 7 gradi alcolici. Il sidro potrebbe essere ottenuto partendo da qualsiasi varietà di mela, ed è per questo ne esistono di molto diversi. Le caratteristiche del sidro prodotto dipendono dalle peculiarità dei pomi utilizzati: a variare può essere il sapore, secco o dolce; il colore, con tutte le sfumature del giallo, fino al bronzo e all’arancione; la densità, dal momento che la bevanda può presentarsi torbida e ricca di sedimenti o chiara e trasparente. La produzione di sidro prevede che le piante di mele seguano un ciclo biennale con un solo raccolto ogni due anni.
    È una delle bevande più diffuse nei paesi dell'area celtica, dall'Irlanda alla Normandia, i maggiori produttori sono la Bretagna e le Asturie. Un tempo la produzione di sidro era diffusa anche nel Nord Italia, produzione che è andata scomparendo a causa di una norma legislativa fascista che vietava la produzione industriale di bevande "spiritose" al di sotto dei 7 gradi alcolici; tale provvedimento aveva lo scopo di incentivare la produzione vinicola. La produzione del sidro delle Asturie viene in parte esportata, soprattutto in America Latina dove è amata la Sidra Espumosa ottenuta col metodo champenoise e molto simile ai nostri spumanti a bassa gradazione alcolica. Il sidro bretone, a differenza di quello delle Asturie, viene quasi totalmente prodotto in modo artigianale, nelle famiglie e anche quello che viene venduto imbottigliato è classificato in etichetta come sidro "di fattoria".

    La parola sidro nasce nella lingua d’oil attorno al 1130-1140, ma precedentemente veniva chiamato auppegard, épégard, yébleron, sistr oppure sagarnoa o sagardoa per i marinai del Paese Basco, letteralmente "vino di mela". In Grecia il sidro era conosciuto con i nomi semitici di σικερίτης sikerítēs o σίκερα síkera, dall'ebraico שכר šēkār, passato poi al latino sīcera, da cui deriva la parola moderna sidro.

    ....storia, miti e leggende....



    Il sidro era conosciuto dagli egizi, dai bizantini, e dai greci. Producevano sidro e adoravano le mele, le donavano e le offrivano come un bene di scambio molto prezioso. Secondo alcuni studiosi, furono gli arabi che, mediante avanzati sistemi agricoli e ampliando le varietà di mele e le tecniche per produrle, ne fecero conoscere il frutto in tutto il continente. La produzione di mele si diffuse via via anche in Europa, insieme alle tecniche per produrre il sidro. Plinio in alcuni suoi scritti parla del sidro (in latino sicera) prodotto con mele e pere. Giulio Cesare amava il sidro e le leggende narrano che, scoperto il sidro in un villaggio del Kent nel corso della sua conquista della Britannia, non lo abbandonò mai più, diffondendo la cultura di questa bevanda anche tra i romani che fino a quel momento, preferivano il vino. Notizie sulla macerazione della mela, si trovano nell'abbazia di Landevennec, in Bretagna che fu fondata da san Guénolé nell’ VIII secolo. La prima menzione storica del sidro abbinato al cibo si ha in epoca carolingia, in riferimento a un pasto che Teodorico II, diede a San Colombano, nel quale furono usati sia il sidro che il vino.
    C’è chi sostiene che la prelibatezza di questa bevanda fosse già stata decantata nei “Cavalieri” di Aristofane (424 a.C.), ma è un’ipotesi che deriva da una traduzione errata. Nelle Asturie si trovano le prime tracce sul commercio di sidro nel 790 d.C, alcuni scritti, nei libri contabili di abbazie e conventi, citano scambi di questa bevanda. Nelle campagne inglesi dell’Herefordshire, terra di maggior diffusione del sidro in Gran Bretagna, fu introdotto intorno all’anno 1000 d.C. da Guglielmo il Conquistatore. Divenne così popolare che, intorno al 1200, spesso i bambini venivano battezzati a sidro invece che con acqua, perché il primo era più limpido della seconda. In Francia e in particolar modo in Normandia, la diffusione del sidro risale al Medioevo, conosciuto e apprezzato, soprattutto dai re Merovingi. Nel 1500 la popolazione di questa regione considerava la birra la bevanda del popolo, mentre il sidro era un bene raro e di lusso, riservato ai ricchi. Nel 1588, in alcuni trattati a cura del medico normanno Julien Le Paulmier studioso dell'università di Caen e medico personale di Carlo IX e di Enrico III, vengono esaltate le proprietà terapeutiche, digestive, diuretiche e antinfluenzali.
    Il sidro viene ripetutamente citato come tributo dovuto dai monasteri alle signorie dall’alto Medioevo e, all’inverso, anche come decima dovuta alla Chiesa. Compare in diversi documenti che registrano la tassazione dei prodotti circolanti sul suolo francese e spesso è citato come in uso nelle taverne inglesi del XV secolo. La più antica apparizione del sidro risale al 1588 nel trattato latino “De vino et Pomaceo Libri Duo”, scritto dal medico Le Paulmier de Grantemesnil. Nel 1800, Odolant-Desnos scrive il “Traité de la culture des pommiers et poiriers et de la fabrication du cidre et poire”; mentre nel 1844, il mercante americano John Gregg che, in “Commerce of the Prairies: or, The journal of a Santa Fé trader, 1831-1839”, parla di “sidro forte” per descrivere il gusto del “pulque”, tradizionale succo d’agave messicano.
    Bere sidro, nella cultura dei paesi di influenza celtica, è un rito collettivo e un segno di unione tra la gente, che viene rinnovato durante le feste tradizionali e popolari così come nelle sidrerie di ogni città o villaggio tutti i pomeriggi dopo il lavoro. Vi sono molti riti propiziatori popolari per il buon raccolto presso i produttori di sidro. Nelle zone del Sussex, il primo gennaio e per molti giorni di seguito, si festeggiano i meli: i contadini danno qualche soldo ai bambini che danzano intorno agli alberi cantando a squarciagola formule rimate in cui esprimono l'augurio di un raccolto abbondante. Nella Cornovaglia orientale, i contadini a Natale vanno a visitare i più bei frutteti della parrocchia e in ciascuno di essi scelgono un albero che rappresenta tutti gli altri e lo salutano con una formula di incantesimo, poi vi spruzzano del sidro perché l'anno successivo sia carico di frutti. In altri luoghi sono i proprietari terrieri e i loro contadini a compiere questa libagione e dopo aver formulato l'augurio danzano intorno all'albero.
    In Inghilterra,nel Medioevo, la bevanda comincia a essere prescritta dai medici contro molte malattie tra cui la calvizie e la peste ma pare che molte donne la usassero per rallentare l’invecchiamento. Le Paulmier, soffermandosi sulle tecniche di produzione del sidro, forse si preoccupa di migliorarne la qualità, che nel Medioevo pare sia stata scadente. Il sidro infatti viene anche citato come bevanda di mortificazione dei religiosi del tempo che volevano negarsi il vino e la birra. Nel racconto della vita di San Guenolé (V secolo), si dice che per penitenza non beveva se non “acqua della linfa degli alberi o delle mele selvatiche”. Ma ben presto la bevanda diventò così apprezzata da scorrere a fiumi sulle tavole di tutti i banchetti reali.

    ..le mele da sidro..



    Nel 1903 la Long Ashton Research Station ha suddiviso le mele da sidro in quattro grandi categorie, a seconda del grado di acidità e della percentuale di tannini:
    - dolci, “Sweet Coppin”e “Court Royal”, a bassa acidità e con scarsa concentrazione di tannini, Usate per stemperare i succhi prodotti da mele dal gusto deciso; - acide, “Crismon King” e “Brown’s Apple”, con un buon grado di acidità e pochi tannini, sono piuttosto rare; - dolciamare, “Dabinett”, “Yarlington Mill” e “Tremlett’s Bitter”, ricche di tannini e a bassa acidità, sono le più utilizzate in Inghilterra; - acidoamare,“Stoke Red”, ricche di tannini e di acidità elevata, hanno una gamma di sapori più ridotta rispetto alle dolciamare.
    L’abilità degli artigiani del sidro sta nel creare il giusto equilibrio tra la dolcezza, l’acidità e l’amarezza, mescolando mele di diversa qualità, tenendo conto del tasso alcolico che si vuole ottenere. Sono rarissimi i casi in cui si usa un’unica famiglia di mele, come accade con le “Golden Russet”.
    I sidri francesi si caratterizzano per un tasso di acidità generalmente contenuto. La classificazione basata sul periodo di maturazione del frutto, da cui deriva una diversa consistenza della polpa. Le tipologie principali sono tre:
    - precoci o tenere, maturano tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre, sono molto farinose e devono essere lavorate presto e con cura; - semidure, vengono raccolte tra metà ottobre e metà novembre, e completano la loro maturazione in magazzino per alcune settimane; - tardive o dure, vengono raccolta tra metà novembre e dicembre ma possono essere utilizzate solo se perfettamente intatte.

    Nelle tipiche sidrerie delle Asturie, dette chigres, la peculiarità del sidro è rappresentata dal mescitore, colui che è incaricato di “servire il sidro”, che nel caso della bevanda asturiana ha una carica di anidride carbonica esplosiva. Gli asturiani chiamano questo rituale descanciar: con una mano il mescitore tiene il bicchiere in basso e con l’altra, posizionata sopra la testa, fa precipitare il liquido in un bicchiere dalla forma larga. L’urto che si crea tra il liquido e il bicchiere risveglia l’anidride carbonica e regala al il sidro freschezza e aromi e profumi. Il sidro ha bisogno infatti di un soffio d’aria prima di essere consumato ed è importante dunque versarlo con questa modalità per apprezzare a tutto tondo le sua caratteristiche organolettiche.
    (www.gustosidro.it/, web)

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Sai perché si festeggia San Valentino?




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    San Valentino è la festività più amata dalle coppie di innamorati che, ogni anno, vogliono organizzare qualcosa di speciale per rendere questo giorno indimenticabile. Sicuramente però la maggior parte di noi non conosce le origini di questa festività e per questo motivo oggi ve le presenteremo.



    Ogni anno le coppie di innamorati aspettano con ansia il 14 febbraio per festeggiare il tanto atteso giorno di S. Valentino. Quando si avvicina il giorno degli innamorati, i negozi iniziano ad essere allestiti con tanti cuori e altri oggetti che richiamano il tema dell’amore. Solitamente durante questo giorno si organizza una bella cenetta romantica con il proprio partner o si fa una breve gita in montagna in tranquillità. Ci piace tanto celebrare questa festa ma vi siete mai chiesti perché si festeggia San Valentino?

    Dobbiamo ben sapere che le origini di questa festa sono molto antiche e risalgono precisamente all’epoca degli Antichi Romani. Durante questa epoca, a partire dal 44 A.C (anno dell’assassinio di Giulio Cesare), a Roma esisteva una festa che si celebrava dal 13 al 15 Febbraio. La festa, che si chiamava Lupercalia, era un rito pagano che era dedicato alla fertilità e alla salute.

    Ci sono alcuni storici che ritengono che le origini della festa di San Valentino siano queste ma ci sono altri che pensano che siano ancora più antiche però. La festa di Lupercalia originariamente è stata istituita da alcuni pastori in onore del dio Lupercus, per augurare fertilità e una buona salute alle proprie pecore. Con il passare degli anni questa festività è diventata sempre più importante nella cultura Romana e si è trasmessa nel tempo.

    Durante questa festività si facevano molte cerimonie in cui venivano sacrificati molti animali come per esempio le mucche, le pecore o i cani. Inoltre, si pensa che durante questi giorni gli uomini indossavano delle pellicce fatte con la pelle degli animali sacrificati e iniziavano a correre per la città attaccando tutte le donne che incontravano.

    Con il passare degli anni le classi superiori hanno smesso di praticare questo rito, che è rimasto legato solamente alle classi popolari. Inoltre, pare proprio che per i ricchi questa festa era diventato un motivo di vergogna e, ogni volta che si insultavano tra di loro, si auguravano a vicenda di partecipare alla festa di Supercalia. Con il passare degli anni diversi Papi hanno provato ad abolire questo rito perché veniva considerato pagano.

    Papa Gelasio I è riuscito ad abolire la festività e il 14 Febbraio ne ha istituita un’altra, di carattere cristiano, dedicata a San Valentino. Chiaramente questa festività è quella da cui deriva il giorno degli innamorati che si festeggia oggi. Pare proprio che il Papa abbia scelto quel santo perché il suo nome era molto diffuso e perché il nome Valentino significava forte e potente.

    Ci sono alcuni storici che affermano che tra la festa istituita da Papa Gelasio I e quella di oggi ci sia una connessione, ma ci sono anche altri che pensano che non abbiano nulla a che fare. Ovviamente ci sono anche altri pensieri che cercano di trovare le origini dell’attuale festa di San Valentino. Alcuni pensano che essa sia connessa alla letteratura.

    Alcuni studiosi affermano che le origini di questa festività risalgano all’autore Geoffrey Chaucer, colui che ha scritto i Racconti di Canterbury. Si pensa che per la prima volta lui abbia associato questa festività all’idea dell’amore in una poesia in onore del primo anno di fidanzamento del Re Riccardo II d’Inghilterra ed Anna di Boemia.

    Inoltre, pare proprio che la stessa concezione del giorno di San Valentino sia stata riportata anche in altre opere di altri grandi autori della letteratura come per esempio Shakespeare o Margery brewes. A partire dal diciottesimo secolo, in Gran Bretagna si è diffusa l’usanza di scambiarsi delle cartoline d’amore tra gli innamorati.

    Chiaramente questa tendenza si è diffusa molto rapidamente in America e nella maggior parte degli altri stati dell’Europa. Questa usanza si diffuse così tanto che iniziarono a nascere delle aziende che producevano queste cartoline. Con il passare del tempo il mercato di San Valentino si è allargato sempre di più fino ad oggi. Oggi durante questo giorno non si usa regalare solo le cartoline ma anche altri oggetti come dei peluche o dei cuscini a forma di cuore, dei gioielli o dei fiori.

    Quest’anno potrete festeggiare questo giorno con la consapevolezza delle origini di questa festività tanto amata dagli innamorati. Molte volte celebriamo delle festività senza conoscere la loro vera storia ma è davvero interessante poter essere a conoscenza di una festa che ormai è una parte fondamentale della nostra cultura. E tu cosa ne pensi? Sei un amante di San Valentino? Ti piace festeggiarlo?


    fonte:www.curiosone.


    (Lussy)





    salute-e-benessere


    SALUTE E BENESSERE


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    foto:tryitaly.com


    Terme DI Bognanco


    Bognanco, una valle verdissima, un angolo di Piemonte lontano da ogni forma di inquinamento, con un clima molto dolce e con sorgenti termali che l'hanno reso famosa nel mondo.


    Storia delle terme


    Si narra che la scopritrice delle acque minerali della Val Bognanco fu una ragazza, la quale, bevendo dalla sorgente, scambiò l'acqua per acquavite tanto era il suo pizzicore. La ragazza raccontò la strana vicenda al proprietario del fondo, tale Giovanni Pellanda, il quale non vi diede peso. Si confidò poi con il cappellano locale, don Fedele Tichelli, appassionato naturalista. Costui capì subito che poteva trattarsi d'acqua carica di sali ferruginosi. Don Tichelli, intuendo la possibilità di un buon affare, cercò dei soci e diede poi l'incarico al chimico Brauns di Sion di analizzare quell'acqua. Lo svizzero con una precisa relazione il 1° dicembre 1863 riconobbe la bontà del prodotto analizzato. Sei anni dopo anche l'ossolano Dottor Albasini attestò che l'acqua aveva proprietà terapeutiche. Intanto don Tichelli comprò per 40 lire austriache il campo e la fonte. Iniziò così lo sfruttamento della sorgente. L'ambiente salubre e accogliente che circondava la sorgente fece conoscere la valle alla società del tempo, oggi, dopo più di un secolo, restano immutati i pregi che un tempo richiamavano l'attenzione di tutta l'Italia e dell'Europa.



    Le terme di Bognanco offrono un centro sanitario moderno e organizzato con un equipe di medici, che collaborano nella preparazione di cure personalizzate, seguendo una precisa linea di studio per verificare statisticamente gli effetti noti delle tre acque ed eventualmente riscontrando nuove azioni, con particolare attenzione ai casi di ipertensione, malattie dermatologiche e sovrappeso.


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    foto:lh4.ggpht.com

    Vengono effettuate a tutti i pazienti visite d'inizio, controllo e fine cura. Inoltre il centro sanitario ospita medici esperti in mesoterapia, fitoterapia e manipolazioni; personale qualificato per sedute massoterapia curative ed estetica; attrezzature per fisioterapia, inalazioni, sauna, idromassaggio e, in collaborazione con la piscina termale, si organizzano corsi di acquaticità, ginnastica della terza età e riabilitazione. La presenza dello staff medico, del servizio di guardia medica notturna convenzionato e di un Dispensario Farmaceutico giornalmente rifornito, assicura un soggiorno tranquillo sia per coloro che usufruiscono delle cure termali sia per coloro che trascorrono le ferie in questa incantevole valle.



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    foto:diariodiviaggio.voloscontato.it

    Le acque minerali di Bognanco sono suddivise in tre distinti gruppi:

    Fonte Ausonia
    Acqua minerale naturale leggermente frizzante, digestiva, antiurica, acqua da tavola per eccellenza. Contiene bicarbonato - alcalino - ed è terrosa e ricca di anidride carbonica, è infine dotata di attività farmacologiche e terapeutiche.
    L'Ausonia è un'acqua mediominerale che stimola la secrezione gastrica favorendo i processi digestivi. Mantenedo integre le proprietà anche in bottiglia, è possibile, continuando a consumare l'acqua Ausonia a casa propria, godere non solo della gradevole sensazione gustativa, ma anche dei vantaggi digestivi e diuretici. Costituisce il completamento ideale alla cura con la San Lorenzo.


    Fonte San Lorenzo

    Acqua definita minerale per il residuo fisso a 180° pari a 2522 mg/l bicarbonato - alcalino - terrosa carbonica e ferruginosa, per la presenza nell'acqua di anidride carbonica e ioni bicarbonato ioni solfato e ioni magnesio.
    E' l'acqua fondamentale per la cura di Bognanco. Le sue proprietà purgative e diuretiche non sono che gli effetti manifesti di assai più complesse e benefiche attività farmacologiche. A differenza di tutte le altre acque dotate di proprietà curative di tipo analogo, la San Lorenzo è gradevole al gusto, è fresca, frizzante per l'abbondanza di anidride carbonica libera. Non determina fenomeni di intolleranza salvo che, beninteso, non si trasgredisca alle prescrizioni dei medici delle Terme.

    Fonte Gaudenziana

    L'acqua oligominerale Gaudenziana trova indicazioni nella cura delle affezioni renali e delle vie urinarie. Può perciò essere impiegata allo scopo di promuovere la diuresi come coadiuvante nei disturbi dismetabolici di origine renale. Ha inoltre un'azione antinfiammatoria sulle vie urinarie. Infine, una prolungata somministrazione di quest'acqua può avere valore profilattico verso la calcolosi renale. Mantiene inalterate anche in bottiglia le proprie caratteristiche, e un consumo costante lontano dal soggiorno termale può essere considerato come un intervento preventivo quotidiano.


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    foto:benessere.com


    Turismo naturalistico

    Bognanco fonti a 700 m.circa sul livello del mare, stazione termale, si estende da Sud verso Nord - Ovest tra pendici boschive di faggi, castagni, abeti e querce, sulla sinistra idrografica del fiume Bogna.
    Lo sviluppo verso Nord - Ovest di tutta la Val Bognanco permette generalmente una stagione estiva particolarmente mite per la costante esposizione ai raggi solari, favorendo distensive sedute di elioterapia, passeggiate ossigenanti su strade o comodi sentieri e, per gli amanti dell'alpinismo, numerose escursioni di varia difficoltà.
    E' possibile raggiungere in breve tempo la zona sovrastante il centro termale: il panoramico paese S. Lorenzo (980 m.) da cui prese il nome la fonte e sede del comune di Bognanco, la località Graniga (1113 m.), la Gomba, fino a raggiungere l'Alpe S. Bernardo a quota 1628 m., base di partenza di stupendi itinerari alpini.



    fonte:benessere.com


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    foto:mw2.google.com/mw-panoramio


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    foto:trekkingitalia.org


    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    LE NUOVE ARTI.....


    PAUL VILLINSKI



    Paul Villinski è un artista visivo professionista che ha creato in studio, grandi opere per più di tre decenni. Negli ultimi anni ha usato la farfalla come simbolo di fragilità, e la loro totale dipendenza ad habitat adeguato, come specchi della nostra umanità così effimera. "Eppure ignoriamo il nostro legame con la natura - in qualche modo fondamentale e ci siamo dimenticati che siamo animali. La nostra insistenza sul fatto di essere altamente evoluti "Homo sapiens" , ci ha portato all'illusione e all'arroganza di credere di essere immuni da tutto. Quando distruggiamo la foresta pluviale, sciogliamo i ghiacciai con l'inquinamento, cancelliamo decine di migliaia di specie, è un danno che facciamo a noi stessi. Non c'è separazione - noi siamo come le farfalle."
    "Sono attratto da umili materiali evocativi; in questo caso, lattine di birra per le strade di New York. Il mio processo di "riciclaggio" in immagini di farfalle è una meditazione fisica. Come il posarsi farfalle sulle pareti del mio studio, conducono in una esplorazione di temi. Spesso, si vogliono riunire in una certa forma, o volare via su un particolare tangenti, e io le lascio volare. Le farfalle operano simbolicamente, e io cerco di sviluppare una unità concettuale tra materiali, processi, e immagini: metamorfosi lattine di birra disseminati in voli di farfalle rispecchia un'atto di trasformazione e rinascita".



    CJ HENDRY




    Cj Hendry è un artista che produce schizzi iper-realistici su larga scala. La sua tecnica l'ha resa molto popolare tra i collezionisti in tutta l'Australia e all'estero.
    Hendry è completamente e assolutamente ossessionata da prodotti raffinati. Tutta la sua attenzione viene consumata nei dettagli. Cj rende omaggio alle menti straordinarie che creano ogni elemento. Tutti gli oggetti selezionati sono posti su un piedistallo dove la figura prescelta si trova solo al centro della scena. Ogni schizzo intraprende e richiede la stessa quantità di pazienza che un sarto impiegherebbe per progettare il vestito perfetto inogni punto. Il fatto che Cj usi inchiostro nero su qualsiasi supporto, evidenzia la sua natura ossessiva, come richiedere la precisione totale, che non consente alcun margine di errore.
    Ogni pezzo accenna verso la solitudine della natura morta. L'espansivo, uso dello spazio negativo è voluta, dando il cento per cento di attenzione dello spettatore alla figura di interesse. Cj si diverte a sperimentare con le qualità tonali del bianco e nero, e questo elimina le connotazioni emotive che si hanno con alcuni colori. Questo permette allo spettatore di concentrarsi esclusivamente sull'oggetto, ogni attenzione è concentrata sui dettagli più fini generalmente non notati ad occhio nudo.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    Nulla è più bello dei frondosi e ampi
    castagni a selve sterminate in mezzo
    a questi monti…
    Nulla è più dolce. Cascano con tonfi
    leggeri le castagne
    (G. Marradi)


    IL CASTAGNO


    Il castagno è una pianta originale della zona del Mediter-
    raneo, diffusa in Italia nelle Alpi e negli Appen-
    nini tra i 300 e i 1000 metri, costituisce una delle presenze principali dei boschi di latifoglie puri o misti.
    E' un albero ad alto fusto, fino a 30 metri, dicotiledone, con foglie larghe, lanceolate, margini seghettati e nervature prominenti. Lo sviluppo del castagno è inizialmente molto lento e raggiunge il suo splendore vegetativo intorno ai 50 anni. Può vivere oltre i mille anni.
    Il legno di castagno è di lunga durata, semi duro, poco sensibile alle variazioni di umidità e di temperatura, è molto usato per la costruzione di travi, tavoli, mobili e infissi, ha poco valore come legna da ardere ".... perchè scoppia, sfavilla, rende poco calore, e il carbone si estingue facilmente" (dal Trattato degli Alberi della Toscana). Il legno e la corteccia sono ricchi di tannino che ha azione protettiva nei confronti dei tarli e delle degenerazioni del tempo.

    "..Oltre l'esser di grandissima utilità, è il Castagno anche un albero di molta bella apparenza, ed un Castagneto ben tenuto dà un bel colpo d'occhio, ed è deliziosissimo per l'ombra amena e fresca che ci si gode..."
    (dal Trattato degli Alberi della Toscana, di Gaetano Savi)


    .....l'origine del castano....



    Il castagno ha rappresentato per lungo tempo un’importante risorsa produttiva per molti popoli dell’Asia, del Nord America e dell’Europa, quindi anche della Media Valle del Serchio. Il luogo d’origine del genere Castanea, così come l’etimologia del nome, è tutt’ora incerto. Fino a qualche anno fa si riteneva che fosse di provenienza asiatica. Secondo il De Candolle proviene dal mondo antico e avrebbe avuto origine nella regione mediterranea. Lo Zambaldi sostiene che fu portato in Italia dalla Lidia e aggiunge che gli antichi ricordano il nome di Kastanis, città del Ponto, e quello di Kastanie, villaggio della Tessaglia. L’introduzione e l’acclimazione debbono comunque risalire ad un’epoca remotissima.
    Alcune fonti fanno derivare l’albero da un ceppo originatosi nell’Era Cenozoica (65 - 3 milioni di anni fa, Periodo Terziario), espandendosi in Europa, Asia e Americhe in periodo di clima caldo del Miocene. L’ipotesi è supportata dai resti fossili di polline, foglie e frutti risalenti a 10 milioni di anni fa. Altre fonti testimoniano che il castagno era presente in Italia anche prima dell’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa.
    Sull’ indigenato della pianta nei paesi alpini, un tempo ammesso senza riserva, sono stati sollevati dubbi che sembrano fondati: l’intervento dell’uomo nella diffusione è stato determinante. Studi paleobotanici hanno dimostrato che in Italia centrale verso il 1000 a.C. si registrava una presenza di pollini di castagno pari all’8% del totale della flora arborea, che aumentò fortemente con la romanizzazione fino a raggiungere addirittura il valore del 48% all’inizio dell’era cristiana. Molte foglie fossili in strati di marne del Pliocene sono state ritrovate nella zona di Salmour in provincia di Cuneo. Nella zona adiacente il lago di Bourget in Savoia, in un’insediamento umano dell’età del ferro, sono state ritrovate castagne conservate insieme a ghiande all’interno di vasi. Nelle province di Brescia, Varese e Bergamo, in alcuni depositi glaciali, sono state trovate impronte di foglie di castagno. In Garfagnana sono state trovate foglie fossili all’interno di argille risalenti a un milione di anni fa; nella torbiera di Fociomboli sulle Alpi Apuane sono stati rinvenuti pollini fossili di epoca postglaciale.
    Nell’ultima epoca glaciale il castagno subì una notevole regressione, il successivo miglioramento del clima portò ad una nuova espansione. In epoca storica il castagno è stato, particolarmente dai Romani, portato al di fuori del proprio areale naturale, giungendo ad essere coltivato fino nella Germania settentrionale e nella Svezia meridionale. Plinio, nel XV e XVII libro della “Naturalis Historia”, scrive a proposito delle castagne descrivendone le varietà. Virgilio cita il castagno nella I e VII Egloga delle Bucoliche, e lo descrive come un albero da frutto comune e ben coltivato (prima della nascita di Cristo), le cui foglie venivano utilizzate per fare i materassi dei letti mentre le castagne erano considerate
    frutti comuni e di pregio. Tra il 35 e 45 d.C. Lucio Giunio Moderato Columella, grande agronomo e proprietario terriero latino, la cui figura di scrittore eccelle per la compiutezza delle trattazioni e l’originalità dell’insegnamento, disserta nel suo trattato “De re rustica” sulla piantagione del castagno, sull’innesto e l’uso della paleria per le viti e della semina delle castagne.
    La castanicoltura da frutto, ebbe un grande impulso nel Medioevo per volere della contessa Matilde di Canossa, come riportato in numerosi documenti. Nell'economia della montagna ha avuto un ruolo fondamentale fino a pochi decenni fa, tanto che il castagno era chiamato "albero del pane" e la castagna "pane dei poveri".

    ........castagneti.........


    Giganteschi castagni dal tronco enorme si ergono massicci e poderosi, fieri del loro testimo-
    niare, orgogliosi di aver visto secolo dopo secolo il passare della storia, contenti di aver sfamato anno dopo anno intere generazioni.
    Di rimando il montanaro li considerava oro puro perché erano la sua ricchezza ed aveva cura del castagneto come della famiglia: li potava e conosceva diverse tecniche come la scacchiatura o scacchimatura - la scacchiatura consiste nell'asportazione di germogli finalizzata al loro diradamento ed al riequilibrio dell'apparato aereo - ed esistevano veri propri maestri scacchiatori che potavano la pianta senza rovinarla, toglievano i polloni nuovi cresciuti alla base della pianta impedendone così l’indebolimento che avrebbero provocato. Teneva pulito il terreno circostante da rovi, erba o nuove piante che crescendo avrebbero potuto soffocare i castagni, ma soprattutto creava le roste, lunghi solchi scavati nel poco terriccio, paralleli alla fila del castagni, che avevano lo scopo di convogliare le acque piovane nel fossi impedendo così il formarsi di frane ma anche quello di rendere più agevole la raccolta delle castagne in quanto cadendo si fermavano nel solco invece di rotolare a valle. Nel solco si fermavano anche i cardi e le foglie cadute che marcendo durante l'inverno concimavano il suolo mantenendo sani e in buono stato i castagni. Nella tarda primavera successiva si tornava a mettere a posto le roste rifacendo qui argini, togliendo i sassi e rastrellando verso i bordi foglie e cardi non marciti. L'arte di curare il castagneto è nel DNA del montanaro perché imparata al tempi di Matilde è stata tramandata di generazione in generazione fino al nostri tempi come scuola di vita.
    Il castagno era così importante che per lui si litigava e si moriva.

    ...una favola...



    In un riccio spinoso stavano rinchiuse tre castagne: tre sorelle gemelle. Cresci e cresci, spingi e spingi, un bel giorno pac! il riccio si aprì. Le castagne, una dopo l'altra, caddero. Le due sorelle cresciute a destra e a sinistra del riccio erano belle, con la schiena ricurva, lucida e una piumetta sulla cima. Invece, l.a sorellina cresciuta in mezzo era rimasta una castagnetta da mente. La donna che faceva la raccolta non la volle. Prese le due sorelline belle e la lasciò nel bosco sola e triste. Le due sorelline belle andarono per il mondo. Una fu cotta nella padella e diventò dorata e profumata.
    La prese un bambino goloso; spalancò la bocca e ahm ! la prima castagna non ci fu più. La seconda finì nella cesta di un pasticciere. Il pasticciere la sbucciò, la fece cuocere nello zucchero, la mise ad asciugare. Era diventata dolcissima e scintillante. La comprò una bambina con una boccuccia che pareva una rosa: la fece a pezzettini piccini piccini. Poi i pezzettini piccini sparirono, a uno a uno, in quella boccuccia di rosa: e la seconda castagna non ci fu più. La terza castagna, poverina, così sola nel bosco, si lamentava coi grilli e con le talpe: Le mie sorelline hanno girato il mondo e io resto sola, nel bosco, col freddo dell'inverno, e sotto la neve a marcire. Ma non marcì. A poco a poco sentì qualche cosa di vivo che germogliava dentro il suo corpicino. Una radichetta bianca e forte cominciò a spingersi all'ingiù, a ficcarsi nella terra. Una pianticina tenera e verde cominciò a spuntare all'insù, cercando la luce del sole. Ora, la più piccina, la più modesta delle tre sorelle gemelle è diventata uno splendido castagno, pieno di ricci, di scoiattoli e di nidi.
    (Gina Vaj Pedotti)

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    SETTEMBRE


    Settembre

    Triste il giardino: fresca
    scende ai fiori La pioggia...
    silenziosa trema
    l'estate, declinando alla sua fine.
    Gocciano foglie d'oro
    giù dalla grande acacia...
    Ride attonita e smorta
    Pestate dentro il suo morente sogno;
    s'attarda tra le rose,
    pensando alla sua pace;
    lentamente socchiude.


    (Hermann Hesse)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto dal web

    È come se il destino ti desse una sola possibilità e concentrasse tutto dentro quel momento preciso, e lo facesse diventare così breve che la maggior parte di persone non se ne rende conto,
    o non è abbastanza pronta da reagire in tempo”.
    – “E tu? – ha detto lei, – te ne rendi conto di solito?”
    – “Non c’è un di solito – ho detto,
    – succede una sola volta, se succede”.
    (Andrea De Carlo)

  15. .

    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 035 (24 Agosto – 30 Agosto 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 24 Agosto 2015
    S. BARTOLOMEO AP.

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 35
    Giorni dall'inizio dell'anno: 236/129
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    A Roma il sole sorge alle 05:28 e tramonta alle 18:57 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 05:35 e tramonta alle 19:15 (ora solare)
    Luna: 14.34 (lev.)
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    L'ospite è come il pesce: dopo tre giorni puzza.
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    Aforisma del giorno:
    Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole.
    (G. Verga)









    RIFLESSIONI



    ... LACCI INVISIBILI …
    ... Sognare è la forza che fa vivere; perseguire una strada, per quanto essa sia irta e cosparsa di difficoltà, fino alla fine affrontando avversità ed insidie sempre col sorriso sulle labbra e lo stesso sguardo luminoso che ispira sorriso e allegria è tipico di chi sognando vive e non abbassa mai la guardia, non si butta mai giù. L’aveva vista crescere in quel prato vicino alla mamma che amorevolmente la accudiva. Aveva seguito ogni su passo; spesso con un laccio legato al suo collo, doveva essere leggero come un soffio e lieve come una piuma per non farle sentire la stretta del comando e l’umiliazione della sudditanza. Quel laccio era soltanto una guida per impedirle di smarrirsi in strade sconosciute e lasciare il fianco di quello che era divenuto col tempo il suo amico. In quelle lunghe passeggiate nei boschetti intorno casa, lui parlava tanto, le raccontava la sua vita, le sue gioie e dolori pur consapevole che lei non poteva rispondere con la parola degli umani, ma era perfettamente in grado di comprendere le parole e le emozioni che attraverso esse prendevano le forme. Nel paese dove vivevano tutti parlavano di quel giovane che passeggiava con la sua piccola mucca uniti da un laccio lieve come una nube, leggero come il soffio, tenero come una carezza. Quando giunse il momento in cui la sua giovane amica poteva donargli il latte, scattò ancora più forte quel legame; solo lui poteva mungerla perché lui aveva la mano delicata come quel laccio, e quel latte era il dono della sua giovane amica per tutti quei racconti che lui le faceva nelle passeggiate. La mattina appena sveglio il giovane beveva quel latte, e come per magia ad ogni sorso un brivido lo riportava a quei racconti; questa volta erano visti con gli occhi della giovane mucca e attraverso essi lui riusciva a vedere soluzioni oppure le emozioni che essa provava. In questo c’era la magia di quel sogno, al delicato laccio col quale il giovane ragazzo guidava delicatamente con rispetto ed amore la giovane amica, lei utilizzava un “laccio” altrettanto delicato per dialogare con lui, il latte, frutto del suo affetto attraverso il quale poteva comunicare e mostrare le sue emozioni. Gli anni passarono e questo magico legame aumentò, chi vedeva l’uomo andare tra i boschi con la sua mucca, sembrava scoregere tra i due un bagliore, una luce bella, attraente. Un laccio ed una strada fatta di candido latte erano il simbolo di quella immagina. Finalmente giunse il giorno. Sveglia! Risuonò una voce nella casa; la moglie lo svegliò; si vestì lentamente, felice di ciò che doveva fare da lì a poco; nella stalla lievi rumori, la mucca stava preparandosi e salutava i giovani vitellini; riapparve il “magico” laccio, uno zaino sulle spalle e iniziò il viaggio. Ottocento chilometri da fare insieme per partecipare ad una gara di mungitura. Ci sarà tempo per parlare, per dare attraverso il latte le risposte e contracambiare le emozioni. Il sogno continua dando senso e peso alla vita. Felici scomparsero all’orizzonte, legati da quel sogno comune; perché ognuno di noi è lagato con un laccio lieve ed invisibile a qualcuno con cui condividere sogni ed emozioni. Il segreto della felicità è riconosce e trovare tutti i lacci che ci lagano alle persone. Buona ricerca e… Buon risveglio … Buon Agosto amici miei … (Claudio)






    800 km con la vacca per partecipare al campionato di mungitura

    Il 20 settembre a Lenna (Bergamo) la seconda edizione del campionato mondiale; tra i concorrenti che arriveranno col proprio animale un mungitore foggiano. Dall'estero attesi indiani, olandesi, svizzeri, romeni e austriaci“.800 km con la vacca per partecipare al campionato di mungitura
    Arriverà direttamente da San Nicandro Garganico, in provincia di Foggia, dopo aver percorso con la sua vacca 800 chilometri: a poco più di 30 giorni dall'evento, un ventisettenne pugliese è a oggi il concorrente “vacca – munito” che arriverà da più lontano per partecipare alla seconda edizione del Campionato del mondo di mungitura a mano. Attraverserà l'Italia con la sua fedele mucca pur di poter mungere il proprio animale alla sfida mondiale che si disputerà il 20 settembre all'agriturismo Ferdy di Lenna, in Val Brembana, provincia di Bergamo. Perché, come ben sa ogni mungitore, la vacca riconosce il proprio padrone ed è certo meglio disposta a fornirgli latte.

    L'anno scorso presero parte concorrenti anche da India, Romania e Svizzera e da una decina di regioni italiane, Sicilia compresa. Con le vacche, per evidenti ragioni di distanza e per i problemi legati al superamento delle dogane, fornite dal comitato organizzatore.

    E l'eco mediatica del campionato fu internazionale, dall'America all'Australia. Quest'anno il parterre di concorrenti stranieri si arricchirà di mungitori olandesi e di lingua tedesca.

    Obiettivo: superare gli 8,7 litri munti in due minuti, performance di Gianmario Ghirardi di Malonno (Brescia), vincitore lo scorso anno del trofeo “Secchio d'oro – Formaggi Principi delle Orobie”. Patrocinato dal padiglione Italia di Expo 2015 e organizzato dall'associazione “San Matteo – Le Tre Signorie”, il campionato mira a valorizzare una pratica antica, quindi un'agricoltura sana e sostenibile. Vacche, mungitori e formaggi saranno i protagonisti. Quest'anno la sfida si inserirà in una due giorni di festa, dedicata alla biodiversità delle Prealpi Orobie (vacche, capre e mais autoctoni), con contorno di sapori e tradizioni.
    (bresciatoday.it)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Estate…

    Arriva l'estate

    Arriva l'estate. E' incoronata di spighe mature
    e tutta vestita d'oro; i suoi grandi occhi color
    del fiordaliso sfavillano. Diffonde intorno a sé
    lo splendore e allegria del sole.
    Dinanzi a lei tutti si presentano con fiducia, e
    i poveri specialmente la tengono per loro grande
    amica: il buon caldo allora non costa nulla!
    Quando arriva nell'aia, l'estate si siede
    su un mucchio di grano falciato e canta.
    Gli uomini la guardano e le dicono:
    «Benedetta, tu ci porti il pane! ».
    (Giuseppe Fanciulli)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Come il cavallo perse le ali

    Tanto tempo fa, in un paese molto lontano, viveva il re Lulù che aveva una figlia che desiderava un cavallo alato.
    Il papà andò da suo cugino Nepele, per chiedergli se aveva un cavallo alato.
    Nepeò le rispose di averne uno ma che doveva regalarlo a suo figlio il giorno successivo visto che era il suo compleanno. Quella sera il papà Lulù andò di nascosto nella stalla del cugino Nepele prese il cavallo alato e con lui volò verso casa.
    La mattina la figlia di Lulù vedendo il cavallo si meravigliò molto e cominciò ad accarezzarlo, poi chiese al padre se pensava che il nome Pegaso fosse adatto al cavallo e il padre rispose di sì!
    Essendo il compleanno del figlio Nepele andò nelle stalle ma non trovò il cavallo, ebbe subito il sospetto che suo cugino l'avesse rubato e quindi andò da Lulù e gli chiese se aveva visto il suo cavallo. Lui rispose di no, perché non voleva restituirlo, sapendo che la figlia si era affezionata molto a Pegaso e lui non sopportava di vederla soffrire.
    Un giorno il cavallo, stanco di stare rinchiuso, volò nella foresta vicina e lì incontrò un uccello che non aveva più le ali e che zoppicava: - Sto male! - disse - Non posso né volare, né camminare; come farò a procurarmi il cibo? Se solo potessi aiutarmi!
    Pegaso ebbe compassione di lui, lo mise in groppa e lo portò a casa sua, poi gli diede le sue ali che si rimpicciolirono e così il piccolo potè volare via ed essere libero.
    Quando la ragazza vide Pegaso senza le ali fu molto contenta perché così le piaceva di più.
    Nepele, non trovando più il suo cavallo, regalò al figlio l'uccello con le ali e, da quel giorno, i cavalli non ebbero più le ali.

    (isaefrenk)



    ATTUALITA’


    Nuova casa Ronaldo a New York ha ispirato '50 sfumature di grigio'.

    In condominio su Quinta Strada. Investimento da 18,5 mln di dlr. E' una casa con vista su New York e soprattutto il lussuoso appartamento che ha ispirato la famosa scena del 'bondage' nel film 'Cinquanta sfumature di grigio': anche il New York Post dà spazio al gossip sul nuovo acquisto immobiliare di Cristiano Ronaldo, già noto sui media europei come segnale di un possibile futuro calcistico nel soccer Usa. Secondo il giornale di New York, il calciatore portoghese, attaccante del Real Madrid e considerato uno dei più' forti al mondo, ha acquistato l'immobile al prezzo di 18 milioni e mezzo di dollari. L'appartamento e' stato di proprietà' dell'immobiliarista italiano Alessandro Proto e si trova in un condominio Trump sulla Quinta Strada con vista su Central Park. Secondo indiscrezioni, sembra che la scelta di Ronaldo di acquistare un appartamento a New York sia dovuta ad un suo desiderio di giocare in una squadra di calcio americana una volta che nel 2018 sarà' scaduto il suo contratto con il Real Madrid. Proto, tra le altre cose partner di Donald Trump, ha trovato case per Tom Cruise, Leonardo Di Caprio, Madonna, Brad Pitt e il principe William.
    (Ansa)





    Uruguay si prepara alla sua festa.

    Commissario Carambula annuncia concerti, parate, tamburi. Martedì 25 agosto si celebra la festa nazionale dell'Uruguay, in occasione dell'anniversario della dichiarazione di indipendenza della piccola Nazione sudamericana, e sarà "festa grande" anche a Expo. Lo ha annunciato il commissario del padiglione uruguaiano, Antonio Carambula, che è anche segretario esecutivo di Uruguay XXI, l'organismo ufficiale responsabile della promozione del Paese.

    "In questa giornata celebreremo il nostro orgoglio di essere uruguaiani, e per questo abbiamo pensato di invitare tutti gli uruguaiani di Milano perché si avvicinino e festeggino con noi", ha detto Carambula all'ANSA, sottolineando che per l'occasione "dopo le cerimonie protocollari, la sera faremo festa insieme a due artisti molto celebri e amati nell'Uruguay ma anche nel mondo".

    Si tratterà infatti di un concerto di Jorge Drexler, il cantautore uruguaiano che ha vinto l'Oscar per la miglior canzone originale nel 2005 - per "Al otro lado del rio", dal film "I diari della motocicletta" - accompagnato da Luciano Supervielle, tastierista e DJ del noto gruppo Bajofondo (ex Bajofondo Tango Club).

    "Drexler è l'ambasciatore del brand 'Uruguay Natural', e questo concerto rappresenta allo stesso tempo un riconoscimento del suo lavoro artistico e del ruolo che disimpegna come emissario della nostra cultura", ha spiegato Carambula, che ha promesso uno "spettacolo che sarà un momento di emozione per i compatrioti, ma anche per tutti gli altri".

    Comunque, ha aggiunto, "ore prima del concerto, dopo la cerimonia ufficiale al mattino, tutti sono invitati a sfilare lungo il Decumano insieme a una delle più note delle nostre 'cuerdas de tambores", le batterie di percussione che suonano il candombe, il ritmo originale della comunità afro-uruguaiana.

    In quanto all'impegno di Uruguay XXI nella Expo Milano 2015, Carambula lo ha definito "un grande orgoglio e una grande responsabilità", perché anche se l'organismo ha coordinato la presenza uruguaiana per le Expo di Shanghai 2010 e Yeosu nel 2012 "qui la sfida era più importante, perché per prima volta avevamo un padiglione costruito da noi e inoltre ci potevamo inserire comodamente nell'asse tematico della Expo, l'alimentazione e l'energia. Due temi che sembrano fatti apposta per l'Uruguay".

    "Il cosiddetto brand paese è quello che differenzia ogni paese, lo rende unico. E noi, con questa identità insostituibile, vogliamo festeggiare insieme alla diversità di tutte le culture e la nazioni presenti alla Expo, riaffermando il nostro impegno a favore dell'equità, la qualità della vita, con quel gusto così uruguaiano del saper conciliare tradizione e tecnologia all'avanguardia, per potere guardare il futuro senza perdere i valori del passato", sottolinea Carambula, secondo il quale "questi non sono valori nuovi, sono quelli che ci hanno segnato dai nostri inizi, e consideriamo che sia giusto celebrarli".
    (Ansa)





    Arriva dagli Usa la prima fibbia intelligente salva-bambini.

    Mamma-ingegnere risolve problema dei piccoli dimenticati in auto. Si chiama Nabi, è la prima fibbia-allarme intelligente destinata ai seggiolini per bimbi.

    Grazie a un sensore e a un sistema miniaturizzato di comunicazione Bluetooth, questo semplice elemento aggiuntivo del seggiolino può 'dialogare' con un normale smartphone avvertendo - se per distrazione - si è lasciato il piccolo passeggero legato con le cinture all'interno dell'auto. L'invenzione è di una mamma-ingegnere a Intel, è stata presentata al Ces di Las Vegas e sarà in commercio dall'inverno.

    L'allarme scatta se dalla lettura di diversi parametri (come la temperatura all'interno dell'abitacolo, il movimento del bambino e la chiusura della fibbia) viene rilevata la presenza di un piccolo passeggero a bordo. Il dispositivo è ora in fase di pre-industrializzazione e sarà a breve in commercio ad un prezzo non superiore ai 50 dollari, permettendo a chiunque utilizzi un seggiolino per bambini nella propria automobile di fare un 'upgrade' e rendere così le cinture intelligenti e a prova di distrazione. Questa importante invenzione arriva dagli Stati Uniti e si deve ad un'intraprendente ex ragazza pon pon della squadra degli Arizona Cardinals, Marcie Miller, ora ingegnere alla Intel nel settore dell'internet delle cose. Sulla spinta emotiva dei molti incidenti che accadono nel mondo a seguito della 'dimenticanza' del bambino nelle auto parcheggiate (uno di questi ha proprio riguardato un collega della Miller alla Intel) è così nato questo interessante progetto che per la sua semplicità supera l'efficacia degli altri dispositivi in vendita.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Quando c'era Marnie




    locandina


    Un film di Hiromasa Yonebayashi. Con Sara Takatsuki, Kasumi Arimura, Nanako Matsushima, Susumu Terajima, Toshie Negishi.


    Quintessenza di uno stile filosofico, emotivo e morale dai colori e dai giochi di luci e ombre che raggiungono vette stupefacenti.
    Emanuele Sacchi


    Anna soffre di asma, ma i suoi problemi sono di natura psicologica: non riesce ad accettare se stessa e ad amare la propria madre adottiva. Quest'ultima manda Anna in vacanza da dei parenti in Hokkaido, nella speranza che ritrovi salute e serenità. Inspiegabilmente attratta da un maniero che si vocifera sia infestato dai fantasmi, la ragazza vi conoscerà Marnie, una coetanea che sembra provenire da un'altra epoca.
    Solo il futuro potrà rivelare se Quando c'era Marnie sarà destinato a rappresentare il testamento dello Studio Ghibli, l'atto finale di un'epopea impareggiabile. Primo titolo (e forse ultimo) privo di ogni contributo da parte delle due anime dello studio, Takahata Isao e Miyazaki Hayao, il film rimane quintessenza di uno stile filosofico, emotivo e morale forgiato nei decenni e via via perfezionato dal punto di vista tecnico. I colori e i giochi di luci e ombre in Quando c'era Marnie raggiungono vette stupefacenti, come esige una ghost story britannica, scritta da Joan G. Robinson nel 1967 e trapiantata da Yonebayashi Hiromasa (Arrietty - Il mondo segreto sotto i pavimento) nel paesaggio naturale dell'Hokkaido.
    Come già negli ultimi capolavori dello studio, Si alza il vento e La storia della principessa splendente, i personaggi sono scossi da emozioni profonde e brutali, quando non autodistruttive. Il primo segmento di Marnie è scioccante per il verismo con cui racconta di uno stato di depressione e di incapacità di interagire con l'altro da sé; ma il secondo non è da meno, mettendo in scena un'amicizia tra le due ragazze che ha tutte le caratterisitiche della storia d'amore e che sembra indirizzare la vicenda verso un epilogo imprevedibile e spiazzante. Il prosieguo spiegherà le ragioni di un legame così profondo, ma l'impressione di un'analisi psicologica audace e senza precedenti, specie per un film di animazione, resta.
    Anna e Marnie, un tomboy e una bambina bionda di un'altra epoca, sono apparentemente opposte per aspetto e ambiente di appartenenza ma complementari come lo yin e lo yang e si attraggono inesorabilmente in un mondo che non accetta l'una per la sua singolarità e l'altra perché non appartiene al piano convenzionalmente inteso come realtà. In Marnie vivono un po' di Cenerentola e un po' della sua omonima hitchcockiana, nella sua famiglia la Belle Époque spettrale di Shining e il gotico delle sorelle Brontë; ma per quanti riferimenti cinematografici o letterari si possano cogliere Quando c'era Marnie è soprattutto Studio Ghibli, bildungsroman di una ragazzina più difficile di Chihiro e Kiki, più sola e malinconica di Kaguya. E, benché si avverta in qualche momento l'assenza della supervisione dei due maestri, segreto dell'incolmabile sarebbe quello di un mondo senza più Ghibli.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    "Non tutti possono diventare grandi artisti,
    ma il grande artista può trovarsi ovunque.".

    RATATOUILLE


    Titolo originale Ratatouille
    Lingua originale inglese
    Paese di produzione USA
    Anno 2007
    Durata 117 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Rapporto 2,39:1
    Genere animazione, commedia
    Regia Brad Bird, Jan Pinkava
    Soggetto Jan Pinkava, Jim Capobianco, Brad Bird, Emily Cook e Kathy Greenberg
    Sceneggiatura Brad Bird
    Produttore Brad Lewis
    Casa di produzione Walt Disney Pictures, Pixar Animation Studios
    Distribuzione (Italia) Buena Vista Distribution
    Art director Harley Jessup
    Animatori Pixar Animation Studios
    Fotografia Sharon Calahan, Robert Anderson
    Montaggio Darren T. Holmes
    Musiche Michael Giacchino



    Doppiatori originali

    Patton Oswalt: Rémy
    Lou Romano: Alfredo Linguini
    Janeane Garofalo: Colette Tatou
    Peter Sohn: Émile
    Brad Garrett: Auguste Gusteau
    Ian Holm: Skinner
    Brian Dennehy: Django
    Peter O'Toole: Anton Ego
    Will Arnett: Horst
    Julius Callahan: Lalo, Francois
    James Remar: Larousse
    John Ratzenberger: Mustafà
    Teddy Newton: Avv. Talon Labarthe
    Tony Fucile: Pompidou
    Jake Steinfeld: Git
    Brad Bird: Ambrister, domestico di Anton Ego
    Stéphane Roux: narratore tv

    Premi

    2008 - Premio Oscar
    Miglior film d'animazione a Brad Bird
    2008 - Golden Globe
    Miglior film d'animazione
    2008 - Premio BAFTA
    Miglior film d'animazione a Brad Bird


    TRAMA



    Il protagonista del film è un topo di nome Remy che ha un sogno impossibile, quello di diventare un rinomato cuoco in un ristorante francese a cinque stelle. Assieme allo sguattero, Linguini, percorre il proprio percorso creativo per diventare il maggiore cuoco di Parigi.
    Per tutta la vita, Remy ha mostrato un olfatto dotatissimo e il sogno più inusuale possibile per un topo: cucinare in un ristorante rinomato. Senza preoccuparsi dell'evidente difficoltà di emergere nella professione che ha maggiore paura dei topi al mondo, per non parlare degli inviti della sua famiglia ad accontentarsi del suo stile di vita (fatto di mucchi d'immondizia), le fantasie di Remy sono ricche di flambé e sauté. Ma quando le circostanze fanno arrivare Remy nel ristorante parigino reso famoso dal suo eroe culinario, Auguste Gusteau, il cui motto "chiunque può cucinare" ha ispirato Remy per tutta la vita, capisce improvvisamente che venire scoperto in una cucina può essere decisamente pericoloso se si hanno dei baffi e una coda.
    Nel momento in cui i sogni di Remy sembrano sul punto di andare in fumo, trova quello di cui ha bisogno, un amico che crede in lui: l'addetto alle pulizie del ristorante, un ragazzo timido e isolato che sta per essere licenziato. Ora, non avendo nulla da perdere, Remy e Linguini formano la più improbabile delle coppie, con il goffo corpo di Linguini che canalizza la mente creativa di Remy, mettendo Parigi completamente sottosopra e si ritrovano entrambi a vivere un'incredibile avventura fatta di svolte comiche, sviluppi emotivi e il più improbabile dei successi, che i due non avrebbero mai potuto vivere senza l'aiuto reciproco.

    ....recensione....



    La storia è quella di Remy, un ratto che vive in campagna, insieme al padre, al fratello Emil e a tutta la loro colonia, ma che, come il gabbiano Jonathan Livingston, non si accontenta di quello che ha, né di quello che è, vorrebbe di più. Lui non vuole mangiare spazzatura, né avanzi, vuole mangiare bene e per questo impara a cucinare.
    La fortuna o la sfortuna lo faranno arrivare in uno dei migliori ristoranti di Parigi, dove riesce a far diventare chef, Linguini, un semplice sguattero che di cucina non capisce nulla.
    La storia del ratto che volle farsi cuoco ha un ritmo e una verve irresistibili, che faranno ridere moltissimo i bambini ma che conquisteranno anche gli adulti con una storia intelligente, originale e creativa. La sceneggiatura è scritta benissimo, divertendo tocca temi non banali: la volontà di affermare se stessi, l’importanza della famiglia, la discriminazione femminile, l’importanza di apprezzare ciò che ci circonda, non ingoiando distrattamente tutto ciò che ci viene dato, ma gustando e assaporando lentamente. Niente è inserito forzatamente nella narrazione, non ci sono momenti morti, né personaggi o avvenimenti inutili. I personaggi sono tutti ben delineati e sfaccettati, non è scontato che l’imbranato Linguini perda la testa quando diventa famoso e rinneghi il suo burattinaio, pensando di poter fare da solo. Meraviglioso il ritratto del terribile critico Anton Ego, la sua epifania è degna di una madeleine di Proust e le sue considerazioni sul ruolo del critico fanno riflettere. A tanta cura nella creazione dei personaggi e della storia si aggiunge altrettanta perfezione tecnica. La realizzazione di Ratatouille è impressionante: la colonia di ratti che deve scappare dalla casa che sta crollando è fin troppo realistica, i movimenti, i peli della pelliccia sono realizzati con una tale precisione che sconcertano. Le scene di inseguimento nella cucina con una visuale a livello topo sono fantastiche, con un ritmo incalzante e mozzafiato.
    (Elisa Giulidori, http://filmup.leonardo.it/


    Ratatouille: piatto tradizionale provenzale a base di verdura stufata, origina-
    riamente consumato da contadini poveri, preparato prevalen-
    temente in estate con verdure fresche. Ricetta culinaria fatta di sapori ed odori che è difficile immaginare più semplici e genuini. "Ratatouille", opus n. 8 realizzata in computer grafica dalla Pixar, dice cose semplici e profonde utilizzando, però, mezzi visivi che di semplice hanno ben poco.
    La fluidità ottenuta dall'animazione digitale, attraverso i movimenti di Remy in casette di campagna, sotterranei umidi e cucine chic, raggiunge inauditi livelli adoperando determinate tecniche cinematografiche inedite fino a qualche anno fa.
    Dietro la maniacale cura del dettaglio c'è un cuore, proprio della famosa casa di produzione, difficilmente riscontrabile su pellicola, non solo di fattura animata. Temi noti, si dirà, eppure affrontati con nuove chiavi di lettura, attraverso trovate geniali, che appartengano al cinema comico dell'era muta, omaggiato con rispetto ed originalità, o direttamente all'attuale iper-tecnologico mezzo filmico.
    Sono pochi i film statunitensi che hanno fornito un quadro personale e credibile di Parigi (ma il discorso potrebbe estendersi alla gran parte delle città europee): guardando "Ratatouille", passando da citazioni colte come quelle dedicate a "Cyrano de Bergerac" (partendo dall'enorme naso di Alfredo Linguini) è impossibile non pensare a "Un americano a Parigi" di Vincente Minnelli. Sebbene i riferimenti alla capitale francese siano concentrati soprattutto nei relativamente piccoli spazi del ristorante, geniale è la carrellata che accompagna il primo impatto di Remy con la grande città, dove fulminee e taglienti annotazioni (la coppia di amanti che passano in un istante dal tentato delitto al bacio passionale) la dicono lunga sul dono della sintesi di cui è capace la Pixar.
    Eppure il film non ha paura delle pause, di fermarsi a guardare l'alba che affianca la Torre Eiffel, di mettere in dubbio la bontà del più buono degli umani o di scavare tra documenti in un legame filiale vivissimo anche se mai veramente vissuto in prima persona. Remy come Gene Kelly, quando corregge la sua prima zuppa: carrelli circolari, il valzer dell'ottimo Michael Giacchino ad accompagnare il movimento leggiadro ed elegantissimo del topolino che sa ergersi ad icona del recente cinema d'animazione.
    "Ratatouille" rischia sin dal principio, in un'idea che può dirsi semplice, ma comunque arrischiata e di non facile gestione: il profondo accostamento di un animale come il ratto ad una delle cucine mondiali più raffinate e apprezzate al mondo è folle e poteva avvenire soltanto se retta da dilaganti idee, soprattutto se pensiamo che Remy (così come la sua nutrita compagnia di amici e parenti) è tratteggiato con una tipologia animale meno cartoonesca rispetto ad un Mickey Mouse, Bianca e Bernie, Speedy Gonzales e Jerry (antagonista di Tom): non che sia sinonimo di disegno realistico, ma l'adesione con alcuni movimenti propri di quel regno animale è totale come dimostrano anche i più impercettibili movimenti del pelo dell'irresistibile Remy.
    Gli autori, il veterano Brad Bird ("Gli Incredibili") e il debuttante Jan Pinkava, non proponendo con insistenza l'ovvio parallelo tra umani e ratti, riescono ad essere altrettanto infallibili nel delineare la natura umana di una schiera di personaggi, molti dei quali possiedono una psicologia sfaccettata e talvolta imprevedibile: l'oscuro e misterioso passato di alcuni dei membri della cucina del Gusteau's (quest'ultimo, deceduto maestro di cucina, protagonista come saggio fantasmino bonario) e l'ambivalente e severissimo critico culinario Anton Ego, a cui appartiene la scena più alta dell'opera: con un'occhio a Marcel Proust, ed in particolar modo al celeberrimo passaggio della sua "Ricerca del Tempo Perduto" dedicato alla Madeleine, il salto temporale in un vecchio passato, risorto in un'anima ormai impolverata da una casa buia e quasi lugubre, apre in pochi secondi squarci di grande commozione, di Ego come nostra, improvvisamente spettatori più attivi che mai, alla ricerca del proprio struggente ricordo d'infanzia.
    (Diego Capuano, www.ondacinema.it/)

    (Gabry)





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    I Tormentoni dell'Estate 1975 al 1979

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    La musica del cuore



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    foto:michaela.it


    Ti Amo - Umberto Tozzi

    Con questa canzone Tozzi partecipò al Festivalbar 1977, vincendolo.

    La canzone, incisa anche dai Ricchi e Poveri nel loro album di cover Allegro italiano del 1992, fu tradotta in francese da Pascal Sevran e Claude Carmone ed interpretata da Dalida e poi, nel 1984, fu tradotta in inglese da Diane Warren ed incisa da Laura Branigan, la cantante statunitense che portò al n° 1 della charts USA Gloria, nel suo album Self Control. In Germania, invece, ne fece una cover Guildo Horn; un'altra cover in tedesco è stata incisa dal sudafricano Howard Carpendale.

    Negli anni 2000 il brano è stato la colonna sonora del film "Asterix", ed interpretata da Tozzi in coppia con Monica Bellucci ha venduto centinaia di migliaia di copie nel Paese transalpino.

    Il disco ottenne all'epoca un grande successo di vendita, in Italia e all'estero: certificato doppio disco di platino in Italia per le 120.000 copie vendute, venne premiato con il disco di platino in Belgio (50.000 copie) e ricevette il doppio disco di platino in Francia (500.000 copie).

    fonte: wikipedia.org




    Ti amo


    Ti amo - un soldo - ti amo
    in aria - ti amo
    Se viene testa vuol dire che basta: lasciamoci.
    Ti amo- io sono - ti amo
    in fondo un uomo
    Che non ha freddo nel cuore
    nel letto comando io.
    Ma tremo davanti al tuo seno
    Ti odio e ti amo
    E una farfalla che muore sbattendo le ali.
    L'amore che a letto si fa
    Rendimi I'altra meta
    Oggi ritorno da lei
    Primo Maggio
    su coraggio!
    lo ti amo e chiedo perdono
    Ricordi chi sono
    Apri la porta a un guerriero di carta igienica.
    E dammi il tuo vino leggero
    Che hai fatto quando non c'ero
    E le lenzuola di lino
    Dammi il sonno di un bambino.
    Che "ta" sogna cavalli e si gira
    E un po' di lavoro
    Fammi abbracciare una donna che stira cantando.
    E poi fatti un po' prendere in giro
    Prima di fare I'amore
    Vesti la rabbia di pace e sottane sulla luce.
    lo ti amo e chiedo perdono
    Ricordi chi sono
    Ti amo
    ti amo
    ti amo
    ti amo
    ti amo.
    E dammi il tuo vino leggero



    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA


    Atletica: giamaicana Fraser oro nei 100.

    Mondiali, precedute olandese Schippers e statunitense Bowie. 4/oro consecutivo Kemboi nei 3000 siepi. Ibarguen oro triplo donne. Lavillenie ancora niente oro nell'asta. La giamaicana Shelly-Ann Fraser-Pryce, pluricampionessa olimpica e mondiale, si conferma regina dei 100 metri imponendosi nella finale dei Mondiali di atletica di Pechino con il tempo di 10.76. Argento all'olandese Dafne Schippers in 10.81, bronzo all'unica statunitense in gara, Tori Bowie (10.86).

    La colombiana Caterine Ibarguen, imbattuta da 29 gare, ha prolungato la sua striscia vincente imponendosi nella finale del triplo donne dei Mondiali di Pechino, con la misura di 14.90. L'iridata, che conferma il titolo di Mosca 2013, ha perso nell'ultima volta all'Olimpiade di Londra 2012, quando fu argento dietro alla kazaka Olga Rypakova. Nella finale di Pechino l'argento è andato all'israeliana Hanna Knyazyeva-Minenko (14.78), il bronzo alla Rypakova (14.77)

    Continua la 'maledizione' mondiale per il re del salto con l'asta Renaud Lavillenie, l'uomo che ha tolto il record a Sergei Bubka e non è ancora riuscito a vincere un oro iridato nel salto con l'asta. Nella finale di Pechino si è dovuto accontentare del bronzo a pari merito con il polacco Pawel Wojciechowski, con la misura di 5.80. L'oro è andato al canadese Shawnacy Barber, l'argento al tedesco Raphael Marcel Holzdeppe.

    Quarto oro mondiale consecutivo nei 3000 siepi per il fenomenale keniano Ezekiel Kemboi, 33enne che in carriera ha vinto anche due titoli olimpici. Nella finale di Pechino 2015 si è imposto correndo in 8:11.28, dopo un'impressionante accelerazione finale. Anche l'argento e il bronzo sono andati al Kenya,grazie a Conseslus Kipruto (8:12.38) e Brimin Kiprop Kipruto (8:12.54).
    (Ansa)




    Ciclismo: Nibali espulso da Vuelta, mi scuso ma basta fango.
    Italiano cacciato per traino ammiraglia: 'succede in ogni gara'. Per quello che é successo alla Vuelta chiedo veramente a tutti le scuse pubbliche, per chiunque sia indignato o vergognato per me!!". Vincenzo Nibali, vincitore del Tour 2014, interviene sull'espulsione subita dal Giro di Spagna per essere stato trainato dall'ammiraglia dopo una caduta. "E' uno sbaglio che mi costa caro - il messaggio postato da Nibali su Facebook - una trainata di 150 metri e molti che sono pronti a gettare del fango. Ma succede in ogni gara". "Molti di voi non hanno mai corso in bici, altri sono grandi tifosi ed altri ancora si sono avvicinati negli ultimi anni - e' il messaggio di Nibali - La bici, il ciclismo è passione, amore, giornate lontano dalla famiglia con allenamenti estenuanti, sacrifici troppi che iniziano già all'età di 16 anni circa!! Quello che è successo alla Vuelta succede in ogni gara: ciò non deve dimostrare che non è sbagliato e devo restare impunito!!! La giusta punizione da scontare la dettano i giudici". L'italiano parla della sua stagione no: "Un anno andato male per mille motivi; arrivo alla Vuelta con la voglia di riscatto da una stagione infame, mi ritrovo alla prima tappa scusando l'espressione con il culo per terra, ti rialzi aiutato da un compagno sperando di non esserti fatto male, ti guardi le ferite lasciate addosso dall'asfalto rovente e cerchi la tua bici che andata distrutta , panico e caos nel gruppo, tardo a partire ...tanto... - il racconto di Nibali - Troppo, al punto che quando risalgo sulla mia bici ho un ritardo di 1:20, mi fiondo all'inseguimento senza paura, senza acqua, da solo, piano piano guadagno terreno e trovo i miei compagni che mi aspettano lungo la strada, la testa che pensa che devo andare e devo rimanere davanti in corsa per quelle persone che mi guardano, per quelle che mi amano, per mia moglie, mia figlia e per quelli che si staranno domandando come sto, vado avanti per far vedere che non mi sono fatto niente, fino a quello sbaglio che mi costa caro". E qui il centro della vicenda: "Una trainata di 150 metri di cui molti sono pronti a gettare del fango, (è rientrato per che si è attaccato) nessuno sottolinea che è caduto, è stato attaccato, è da solo all'inseguimento contro 18 corridori che spingono a tutta davanti!! no signori, nel ciclismo la corsa è corsa nessuno ti aspetta!! Nel ciclismo episodi come questi ce ne sono molti a maggior ragione dopo una caduta!! Alla fine tutto avrei pensato, una multa salata da pagare ed una penalizzazione come si usa fare per restare fuori classifica!!! Avrei accettato anche una penalità di dieci minuti!! Dopo tutto IO non sarò il primo ne l'ultimo di questa vicenda. Mi scuso ancora - la conclusione - per avervi rubato del tempo e grazie del sostegno o meno che mi date. A presto".
    (Ansa)




    IndyCar, morto il pilota britannico Justin Wilson.
    37enne colpito in testa da pezzo altra auto finita in pista contro il muro. Il pilota di Formula Indy Justin Wilson, britannico di 37 anni con un passato in F1 nel 2003 con Minardi e Jaguar, e' morto. Era rimasto in coma dopo l'incidente occorsogli due giorni fa durante una gara a Pocono, in Pennsylvania, nel campionato IndyCar.

    Il decesso, spiegano i medici, e' avvenuto a causa delle gravi ferite causate dai detriti che lo hanno colpito in seguito alla collisione. Il pilota correva con un contratto per sette gare per il team Andretti Autosport. E' stato colpito sul casco da un pezzo della vettura, sembra il musetto, di Sage Karam, finito sul muro poche centinaia di metri davanti a lui. Il pilota ex Minardi ha perso conoscenza e non avendo il controllo della vettura è finito contro il muro che delimita la pista. La sua vettura è stata poi 'alzata' con una gru e Wilson è stato trasportato in elicottero al Cedar Crest.

    In passato Wilson era stato protagonista di altri incidenti in F.Indy, nel 2011, 2012 e 2013, riportando ogni volta fratture varie. Ma poi era sempre tornato a gareggiare: "Ne ho parlato con mia moglie Julia - aveva spiegato - e abbiamo concluso che nel mio mestiere si corrono dei rischi. Ma fa parte del gioco e io ne sono consapevole".
    (Ansa)

    (Gina)



    STRUMENTI MUSICALI




    Lo Stilofono


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    Lo stilofono (Stylophone) è uno strumento musicale elettronico di ridotte dimensioni. È formato da una tastiera metallica collegata attraverso un resistore ad un piccolo oscillatore interno a bassa tensione. La tastiera è controllata da una piccola penna elettronica (detta stilo, da cui il nome) il cui contatto con i tasti genera il suono.

    Storia dello strumento
    Lo stilofono è stato creato nel 1967 da Brian Jarvis. È stato venduto (tra i vari testimonial pubblicitari dello strumento vi era anche il musicista Rolf Harris) in circa tre milioni di esemplari sotto il marchio Dubreq, soprattutto come strumento musicale giocattolo. Lo strumento è stato utilizzato da diversi gruppi musicali o da musicisti nelle loro incisioni: tra questi vi sono per esempio David Bowie, per i brani Space Oddity, After All, Slip Away e i Kraftwerk, che lo hanno utilizzato nella prima versione di Pocket Calculator per ottenere i bassi.

    Tra gli italiani che usano questo strumento vi è il gruppo italiano The Transistors (Maurizio Mansueti e Luca Cirillo) che utilizza abitualmente lo Stylophone per le proprie incisioni e negli spettacoli dal vivo e Marco Castoldi, in arte Morgan, che lo usa prettamente nei live e in alcune apparizioni televisive.


    (Lussy)





    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    ACQUA E CIBO A VENEZIA.
    STORIE DELLA LAGUNA E DELLA CITTÀ


    Dal 26 Settembre 2015 al 14 Febbraio 2016



    I fascinosi ambienti dell’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale ospitano, dal 26 settembre 2015 al 14 febbraio 2016, in concomitanza con EXPO 2015 e il suo tema portante “Nutrire il pianeta. Energia per la Vita”, una mostra ricca ed eterogenea dedicata a Venezia e alla complessa rete di sistemi di sussistenza che la città ha sviluppato nel corso dei secoli per mantenersi, crescere e prosperare. Prodotta dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, con la Fondazione di Venezia, l’esposizione – posta sotto il patrocinio dell’Ufficio sito Unesco “Venezia e la sua Laguna” e di EXPO 2015 – a cura di Donatella Calabi, con il coordinamento scientifico di Gabriella Belli e con un comitato scientifico che annovera alcuni tra i più importanti studiosi ed esperti in questo ambito, offre un quadro onnicomprensivo della vita in laguna attraverso un innovativo percorso multimediale e interattivo e un approccio multidisciplinare che si accosta al tradizionale utilizzo di carte storiche, dipinti e incisioni.
    A quasi mezzo secolo dalla celebre rassegna di Palazzo Grassi (Mostra storica della laguna veneta, 1970) la straordinaria documentazione archivistica, iconografica e testuale si arricchisce del valore aggiunto dello strumento digitale, grazie al lavoro svolto da un gruppo di giovani ricercatori dell’Università Iuav di Venezia. Alle opere esposte, oltre un centinaio, provenienti per lo più dalle principali collezioni veneziane – Archivio di Stato, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondazione Musei Civici, Fondazione Querini Stampalia, Gallerie dell’Accademia – e dall’Istituto Storico di Cultura dell’Arma del Genio di Roma, si accompagnano dunque anche “narrazioni digitali” di dipinti, videoproiezioni su modelli tridimensionali della laguna, ricostruzioni virtuali, elaborate dal Laboratorio di Fotogrammetria e Cartografia e dal Laboratorio VISU dell’Università Iuav di Venezia che “immergono” il visitatore in un’esperienza altamente suggestiva e coinvolgente. Il percorso si articola in cinque sezioni tematiche con l’obiettivo di sottolineare l’unicità di Venezia e gli sforzi costanti dei suoi cittadini per renderla la città che oggi tutti conosciamo.

    La prima sezione, La laguna si trasforma, illustra attraverso plastici tridimen-
    sionali il processo di trasfor-
    mazione morfologica e idraulica del territorio che ha endemi-
    camente condizionato la produzione alimentare, l’approvvigionamento idrico e le vie di comunicazione da e per la terraferma. Le grandi cartografie storiche presenti in questa sezione (Anzolo Emo, Disegno della laguna di Venezia, 1763) accompagnano la narrazione delle complesse modificazioni territoriali.
    Nella seconda, Acqua e cibo in laguna e in terraferma, si vuole da un lato proporre una panoramica sulla non facile produzione alimentare in territori lambiti dalle acque salse e dall’altro raccontare la vendita al minuto e i suoi protagonisti frutaroli, pistori e pescatori. Il monumentale dipinto del Tintoretto in prestito dalle Gallerie dell’Accademia (Jacopo Tintoretto, La Creazione degli animali, 1550-1553) offre inoltre un campionario delle specie presenti nell’ambiente anfibio veneziano caratterizzato da una incredibile varietà di pesci e uccelli.
    La terza sezione Banchetti, parate, giochi e feste utilizza molteplici fonti d’archivio per inquadrare il tema dell’alimentazione dal punto di vista sociale, tema come mai attuale nell’anno dell’Expo milanese. Le sagre, gli eventi mondani e le occasioni nelle quali il cibo diviene pretesto di aggregazione e di confronto sono illustrate da una serie di dipinti rappresentativi, come il Convito in Casa Nani alla Giudecca (Pietro Longhi, attr., 1775). Architettura e alimentazione pone quindi l’accento sui manufatti edilizi che fungevano da luoghi di raccolta e distribuzione delle risorse alimentari: monasteri, presidi militari, ospedali e osterie.
    I numerosi documenti proposti raccontano un articolato sistema di scambi e di regole che scandivano la vita dei veneziani e ne garantivano la prosperità (Insegna dell’arte dei Pestrineri, XVI sec). La ricostruzione virtuale della Cantina Do Spade, ancor oggi esistente nel sestiere di San Polo a Venezia, offre poi al visitatore la possibilità di vivere in soggettiva l’esperienza fedele dell’accoglienza di un cliente che avesse domandato vitto e alloggio alla storica osteria nel 1754.
    La quinta e ultima sezione, In mezzo all’acqua/senz’acqua, racconta del paradosso di una città che, per citare Marin Sanudo, “è in aqua e non ha aqua”. Il sistema dell’approvvigionamento idrico è raccontato attraverso una serie di immagini cartografiche e iconografiche che illustrano il trasporto dell’acqua dalla terraferma alla laguna (Giovanni Grevembroch, Deficienza provveduta, seconda metà del XVIII sec.). A corredo della mostra il catalogo – edito da Marsilio – vanta l’importante prefazione di Salvatore Settis, che ricorda l’intimo legame tra la città e la sua laguna “intesa come una viva cintura di mura d’acqua la cui sacralità è esplicitamente paragonata e assimilata a quella delle sacre mura della patria di una città di terra”.
    (www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    "Immagina una fiera, una grande fiera negli Stati Uniti di fine 800, creata per celebrare i quattrocento anni dalla scoperta dell’America. Immagina che a questa fiera, che si tiene a Chicago, vada moltissima gente ogni giorno, uomini e donne. I fast food ancora non esistono e la maggior parte delle persone, generalmente, si porta il pranzo da casa per poter trascorrere fuori l’intera giornata. Ma come fa una signora di classe a mangiare un dolcetto senza sporcarsi le mani e senza fare brutta figura attentando una fetta di torta?"



    I BROWNIE



    Il brownie è noto anche come chocolate brownie o Boston brownie. È una torta tagliata a piccoli quadrettini. Possono essere ricoperti con della glassa e possono contenere delle scaglie di cioccolato o nocciole o aromatizzati a vari gusti, come ad esempio vaniglia o menta.
    I principali ingredienti sono farina, zucchero, cioccolato generalmente fondente, o in abbinamento al cioccolato al latte e al cioccolato bianco, burro, uova e facoltativamente nocciole. Nella ricetta originale non è previsto il lievito. Esistono comunque molte ricette differenti per i brownie tra cui una versione bianca del brownie, chiamata blondie, preparata senza cacao, spesso con del cioccolato bianco al suo posto. La consistenza del brownie è molto particolare, qualcosa che viene definito “a metà tra una torta e un biscotto” e può essere più asciutto o più morbido e fondente a seconda degli ingredienti e delle loro quantità.

    Brownie è il folletto più famoso d'Inghilterra, alto 60 cm e ricoperto di peli scuri, nudo o rozzamente vestito. Brownie è servizievole nei lavori di casa e aiuta l’uomo in cambio di dolci e latte, ma come tutti i folletti è un po’ permaloso, ma l'origine del dolce si pensa sia statunitense e che il nome deriva dal colore scuro. Esistono varie versioni sull'origine del dolce, quella classica racconta di un cuoco sbadato che dimenticò di mettere il lievito nella torta al cioccolato che stava preparando.
    Secondo la tradizione, i brownies nascono dall’esigenza di trovare un dolce “pratico”: più semplice da mangiare rispetto a una fetta di torta e abbastanza piccolo da stare in una lunchbox. E che fosse anche pieno di gusto. A porsi il problema per prima fu la signora Bertha Palmer, filantropa e donna d’affari nonché presidentessa del Board of Lady Managers della World’s Columbian Exposition, del 1893. Le indicazioni della signora Palmer furono precise: bisognava creare un dolce con la consistenza di una torta ma più piccolo, e che fosse poco “sbricioloso”. Così, dopo molto confabulare con lo chef del Palmer House Hotel nacque il primo brownie. Che, in realtà, di “brown” aveva ben poco: nelle primissime versioni, questo dolce aveva un glassa all’albicocca e un impasto al sapore di nocciola.

    Il nome brownie è comparso per la prima volta nel Boston Cooking School Cookbook, nel 1896, dove furono descritti come piccole torte cucinate con della melassa. E' un dolce sono abbastanza “moderno” da avere una carta di identità piuttosto precisa: la prima ricetta, che compare nel 1904 sul celeberrimo ricettario American Cookery, dà tutte le indicazioni per cucinare una torta non lievitata da tagliare a quadretti.
    Solo dopo il 1920, avviene la svolta per mano di Maria Williet Howard, che modifica la ricetta aggiungendo più uova e più cioccolato, creando un brownie più ricco e morbido, quasi più simile al fudge. I brownies entrano subito in cima alla classifica degli snack e dei dolcetti più amati dagli americani per non uscirne mai più.

    (Gabry)





    SAI PERCHE'???




    Perché si festeggia il Ferragosto?




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    La festa più attesa dell'estate ha origini antiche che affondano nella storia dell'Antica Roma. E che si sono poi intrecciate con la tradizione cattolica.


    Il nome della festa di Ferragosto deriva dal latino feriae Augusti (riposo di Augusto), in onore di Ottaviano Augusto, primo imperatore romano, da cui prende il nome il mese di agosto.

    Era un periodo di riposo e di festeggiamenti istituito dall’imperatore stesso nel 18 a. C., che traeva origine dalla tradizione dei Consualia, feste che celebravano la fine dei lavori agricoli, dedicate a Conso che, nella religione romana, era il dio della terra e della fertilità.

    In tutto l’Impero si organizzavano feste e corse di cavalli, e gli animali da tiro, inutilizzati per i lavori nei campi, venivano adornati di fiori. Inoltre, era usanza che, in questi giorni, i contadini facessero gli auguri ai proprietari dei terreni, ricevendo in cambio una mancia.

    Anticamente, come festa pagana, era celebrata il 1 agosto. Ma i giorni di riposo (e di festa) erano in effetti molti di più: anche tutto il mese, con il giorno 13, in particolare, dedicato alla dea Diana.

    DA FESTA PAGANA A FESTA CATTOLICA.
    La ricorrenza fu assimilata dalla Chiesa cattolica: intorno al VII secolo, si iniziò a celebrare l’Assunzione di Maria, festività che fu fissata il 15 agosto. Il dogma dell’Assunzione (riconosciuto come tale solo nel 1950) stabilisce che la Vergine Maria sia stata assunta, cioè accolta, in cielo sia con l’anima che con il corpo.


    fonte:http://www.focus.it/


    (Lussy)





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    Salute e benessere




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    foto:portaleterme.com


    TERME DI STABIA


    Castellammare di Stabia oltre a essere una città termale è anche una città di mare, d'arte, d'archeologia e di sport. Disposta in un'incantevole posizione panoramica, si allarga ad anfiteatro davanti al mare del golfo partenopeo nel punto in cui la sua riva meridionale s'incurva per dare origine alla penisola sorrentina. Il tepore del clima, la salubrità dell'aria, la fertilità dei campi, il favoloso scenario naturale, la varietà delle sorgenti, le ampie spiagge, le magnifiche passeggiate sulle sue colline e sui suoi monti, la ricchezza del patrimonio artistico ed archeologico sono così straordinariamente amalgamati da costituire da sempre la seducente attrattiva della città.
    "Città delle acque" è famosa fin dall'antichità per la presenza di 28 sorgenti naturali di acque minerali, tutte diverse per composizione e virtù terapeutiche, che, sgorgando spontaneamente dalle pendici del Monte Faito, hanno dato vita a due stabilimenti termali.

    Storia
    Nate nel 1833 come centro climatico e termale, meta dei soggiorni della nobiltà italiana ed europea che veniva a Castellammare a "passare le acque", le Terme si sono arricchite anche di altri servizi che ne hanno allargato sensibilmente il bacino di utenza. Accogliendo pienamente il concetto di "salute globale" la struttura, oltre al Centro per la Sordità Rinogena, si è dotata anche di un Centro di Pneumologia e di un Centro di Fisioterapia in grado, sotto la guida di un' equipe sanitaria, di fornire le risposte mediche più appropriate a molte patologie respiratorie, bronchiali e riabilitative.
    Oggi le Terme di Stabia si trovano in una delicata fase di passaggio: da struttura fortemente connotata a carattere sanitario si sta gradatamente trasformando in centro termale e turistico, tornando cioè a proporsi come meta di viaggiatori che vogliono coniugare un programma di benessere con le visite alle principali località turistiche della Campania.
    In quest'ottica, le manifestazioni serali, gli intrattenimenti pomeridiani e le escursioni nei centri turistici vicini sono il valore aggiunto alla ricchezza delle 28 fonti di acque minerali ed alle terapie connesse. Oggi dunque lo stabilimento termale stabiese è tra i protagonisti della trasformazione stessa della città, che da centro industriale in crisi sta riscoprendo la sua forte vocazione turistica.
    Le Terme di Stabia hanno varcato il confine del 2000 portandosi dietro tutto un bagaglio di conoscenze che le hanno portate, nel corso degli anni, a diventare un punto di riferimento costante per il termalismo centro meridionale.



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    foto:incampania.com


    Le acque
    Le acque scaturiscono da vent'otto sorgenti, le quali, essendo di diversa composizione chimica, sono di supporto terapeutico a molte patologie. Sono cloruro-sodiche sulfuree (isotoniche, ipotoniche o ipertoniche), ferruginoso-carboniche e bicarbonato-calciche. I trattamenti terapeutici coprono tutte le necessità dall'idropinoterapia ai fanghi, alle inalazioni...
    Si curano malattie respiratorie, otorinolaringoiatriche, artroreumatiche, cutanee, ginecologiche, urinarie, gastroenteriche ed epatobiliari. Il complesso termale è attrezzato per le cure riabilitative motorie e funzionali

    Acqua bicarbonato-calcica
    si origina per attraversamento di rocce calcaree, è la tipologia di acqua minerale più diffuse in natura e può essere classificata in due grandi categorie: le bicarbonato-alcaline, nelle quali prevalgono il sodio e spesso il potassio, e le acque bicarbonato-alcalino terrose, più ricche di calcio e magnesio. All'interno di questa suddivisione nelle bicarbonate possono essere rintracciati altri elementi (solfati, cloro, ferro, bromo, iodio, ect) che, se presenti in quantità considerevoli, dotano queste acque delle caratteristiche proprie delle stesse. Le acque bicarbonate sono utilizzate prevalentemente per bibita; rientrano in questa classe molte acque da tavola a media o bassa mineralizzazione. Acque ad alta o medio-alta mineralizzazione sono utilizzate oltre che in terapie idropiniche anche con metodiche di crenoterapia esterna, compresa la preparazione di fanghi, inalatorie ed irrigatorie. In generale curano malattie dell'apparato digerente, malattie epatiche, malattie del ricambio.

    Acqua Cloruro-Sodica
    ha la stessa origine delle salso-bromo-iodica ed è un'acqua in cui prevalgono il sodio ed il cloro. In essa sono spesso presenti, in quantità significativa, i solfati; alternativamente possono essere presenti bicarbonati di sodio, di calcio, di magnesio (in questo caso l'uso prevalente è quello idropinico) o iodio (impiegate più spesso nella crenoterapia esterna). Trova indicazione, utilizzata con metodiche idropinoterapiche, sopratutto nelle patologie dell'apparato digerente, curano obesità, gastrite, piccola insufficienza epatica, diarrea. Non è indicata nella cura dell'ulcera e della colite spastica.

    Acqua solforosa
    ha una quantità di sali disciolti intorno ai 12 gr/litro. E' un'acqua che trova vastissimo impiego terapeutico; il suo elevato grado solfidrometrico la rende efficacissima nella cura delle patologie delle vie respiratorie in forma cronica e in quelle dermatologiche. Utilizzata nella cura idropinica, sotto il diretto controllo del medico idrologo, risulta efficace nelle alterazioni intestinali, nelle patologie epatiche e gastroenteriche.

    Acqua Medio Minerale
    e' l'acqua meno mineralizzata e rientra tra quelle medio minerali. Viene utilizzata per uso idropinico per il suo eccezionale potere diuretico e per gli ottimi risultati nei casi di calcolosi renale. Le qualità terapeutiche dell'acqua Acetosella sono ricordate da Plinio (I secolo a.C.) nella sua "Naturalis Historia"; già 19 secoli fa, dunque, quest'acqua si riteneva utile per la cura della calcolosi renale.

    Il centro benessere
    Il Centro Benessere delle Terme di Stabia è il piacere di una pausa rigenerante all'insegna del relax e del recupero fisico. Un rilassante ed irrinunciabile appuntamento con la salute e la bellezza.

    I Bagni Minerali ed i Fanghi del Centro, oltre a svolgere un'azione tonificante grazie alle proprietà delle acque minerali, depurano la pelle e la predispongono in maniera ottimale a tutti gli altri trattamenti di bellezza: idromassaggi, trattamenti dimagranti, estetici e antiacne. Applicazioni mirate e personalizzate, in grado anche di combattere gli inestetismi più diffusi come le impurità della pelle e di contrastare i segni del tempo.

    Il Solarium , insieme ai cicli di bagni minerali, garantisce vantaggi al benessere della pelle, e la doccia di acqua minerale affiancata alla sauna finlandese o al bagno turco libera il corpo dalle tossine.

    Preziosa alleata della pelle del viso è l'acqua minerale vaporizzata, impiegata per i vapozono e i trattamenti viso, la cui azione purificante moltiplica l'efficacia dei cicli antiage, antiacne ed antirughe.


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    foto:incampania.com

    Le cure
    Nei due stabilimenti delle Terme di Stabia si possono praticare, tutte le cure fisioterapiche, da quelle strumentali (elettroterapia, magnetoterapia, laserterapia, ecc.) a quelle manuali (massoterapia, ginnastica correttiva ecc.), tutta la gamma delle crenoterapie grazie alla varietà di acque minerali ed ogni tipo di trattamento dermatologico ed estetico grazie alle proprietà delle acque solforose.

    Assumono particolare importanza sia la cura idropinica che quella dermatologica ed estetica. La cura idropinica, che consiste nel sorseggiare le acque, permette di utilizzare 19 acque tutte diverse tra loro la cui scelta viene stabilita dal medico idrologo in base alla particolare patologia del soggetto.
    Questa terapia risulta particolarmente efficace per curare la funzionalità epatica, per le patologie renali e intestinali e

    per combattere l'obesità.
    Diverse sono le cure che si possono praticare:

    Cure Idropiniche:
    consistono nel bere a digiuno le acque minerali delle Terme. L'acqua va bevuta in bicchieri da 1/4 di litro, passeggiando e sorseggiando, nella dose di 2-8 bicchieri, impiegando per ogni bicchiere circa 15 minuti, con un intervallo di 5 minuti tra un bicchiere e l'altro.

    Cure Inalatorie:
    consistono di inalazioni di acque solforose. Praticare le cure inalatorie significa aggiungere alla efficacia delle terapie termali in genere, i benefici delle proprietà medicamentose delle acque stabiesi.

    Cure Ginecologiche:
    in campo ginecologico le acque delle Terme di Stabia trovano indicazioni nelle malattie flogistiche croniche delle vie genitali.

    Balneo-Fango-Massoterapiche:
    la Balneo-Fango-Massoterapia, rimessa in luce da recenti studi, si rivolge ai soggetti che desiderano conservare uno stato di buona funzionalità all'apparato locomotore. Se ne giovano le patologie artrosiche, le forme artritiche in fase di remissione, le rigidità post-traumatiche, gli esiti di patologie infortunistiche delle ossa e dei tessuti molli. Possono essere vantaggiosamente integrate dalla Fisiokinesiterapia

    Medicina Fisica e Riabilitativa:
    ambiente ideale per svolgere un programma di riabilitazione psico-motoria, le Terme di Stabia offrono la possibilità di curare le patologie artrosiche, reumatiche, post-traumatiche e del Sistema Nervoso Centrale e Periferico. Sotto la guida di una equipe di medici fisiatri e terapisti della riabilitazione e con moderne attrezzature elettromedicali, vengono praticate molteplici terapie. Cure Eudermiche ed Estetiche: lo zolfo, principale componente delle acque sulfuree, è alla base delle terapie estetiche e dermatologiche. I trattamenti per le malattie cutanee e vascolari, come i bagni solfurei, le cure eudermiche ed estetiche come i bagni di schiuma, i massaggi estetici, le fangature al seno ed al volto e gli idromassaggi, sono la risposta naturale per risolvere i più comuni problemi di acne e seborrea, per combattere le rughe e l'adiposità, per attenuare la cellulite e rassodare i tessuti.


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    foto:lasentinellaonline.it

    Turismo: i luoghi
    Dopo le cure, decidere come impiegare il vostro tempo libero vuol dire scegliere, oltre alle tante opportunità che offrono le Terme, il patrimonio unico di arte, storia e natura che le circondano.

    Le escursioni, alla scoperta dei dintorni della città di Castellammare di Stabia e dei suoi scavi archeologici, le visite che per voi saranno organizzate nelle più belle e famose località dei dintorni, renderanno il vostro soggiorno termale davvero completo.

    Dalle brezze marine della spiaggia e della costa, con soli sette minuti di funivia, si raggiunge la frescura del monte Faito, per unire i vantaggi di un soggiorno balneare a Castellammare di Stabia a quelli della vacanza in montagna in un ambiente ancora incontaminato, dove è possibile praticare equitazione, trekking, free climbing, per vivere il benessere a trecentosessanta gradi.

    A pochi passi dalle Terme di Stabia troverete la magia di Pompei, gli scavi di Stabia e altre rovine lasciate dal Vesuvio, l'incanto del mare di Sorrento, Positano e Amalfi, la poesia di Ravello e Capri. Itinerari di grande suggestione, che ancora oggi riescono ad affascinare e coinvolgere il visitatore con le loro bellezze naturali e con la varietà delle manifestazioni che ne fanno il centro del turismo della Campania. Per citarne solo alcune, il "Festival di musica classica" di Ravello, il "Festival del cinema" di Sorrento, i "Monumenti Porte Aperte" di Napoli e di tutta la costiera.


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    foto:decumani.com
    scavi di ercolano


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    foto:upload.wikimedia.org



    da:benessere.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    UN LIBRO..UN AUTORE

    "Un gatto per tenermi compagnia.
    Un Cappello per nascondermi.
    Un nastro per legare un sogno."

    UN GATTO, UN CAPPELLO E UN NASTRO

    di Joanne Harris



    Un gatto, un cappello e un nastro. Tre oggetti in apparenza comuni che all’occorrenza sono in grado di far scaturire una miriade di immagini e di storie. I racconti di Joanne Harris raccolti in Un gatto, un cappello e un nastro sono legati tra loro come scatole cinesi: basta aprirne una per scoprirne infinite altre, nascoste a una prima occhiata e per questo ancora più preziose. Storie popolate da personaggi profondamente umani, alle prese con difficoltà come il dolore di un lutto o lo svanire di un desiderio da tempo inseguito. Personaggi che nella fantasia e nella parola trovano non solo una via di fuga, ma anche una risorsa inesauribile di speranza e di forza di volontà. È il caso di Ngok e Maleki, due ragazzine africane che rifiutano di piegarsi a un destino di privazioni. O di Faith e Hope, anziane signore che, escluse dalla gita al mare della casa di riposo in cui vivono, si vendicano smascherando, con passione da detective, un grave sopruso. O di Maggie, che nella pasticceria troverà la dolcezza che la vita le ha negato. E ancora, ragazzini abituati a viaggiare più nella rete che nella realtà; una madre a caccia del figlio perduto fra le maglie insidiose di Twitter; un attore alla ricerca di una nuova vita e di una nuova casa che si rivelerà già occupata da una famiglia di fantasmi; un aspirante investigatore più portato all’avanspettacolo. Ancora una volta dopo Profumi, giochi e cuori infranti Joanne Harris torna alla forma, a lei più che congeniale, del racconto. Mondi lontani e vicini, atmosfere calde e coinvolgenti, personaggi ironici e incredibilmente veri.


    Cookie, la bambina biscotto


    ...recensione...



    La fatica dovuta all'organizzazione del libro è stata ampiamente ricompensata dallo stile dell'autrice che sa, anche in poche pagine, arrivare dritta al lettore permettendogli di entrare in sintonia con i personaggi e con le storie che ci racconta; era la prima volta con la Harris, quindi non avevo precedenti esperienze da cui aspettarmi uno stile piuttosto che un altro, e devo dire che è stata un'esperienza assolutamente positiva.
    Ho pensato finendo il libro che in queste pagine credo possano esserci diversi spunti estremamente interessanti per creare dei veri e propri romanzi. Alcuni esempi:


    Faith e Hope volano al sud o ancora Faith e Hope pareggiano i conti: racconti dedicati a due vecchiette in casa di riposo - Faith e Hope appunto - a cui l'autrice aveva anche già dedicato uno spazio in "Profumi, giochi e cuori infranti". Credo infatti che queste due vecchiette sarebbero in grado di fare faville in un libro tutto loro.
    E' Faith che racconta, rivolgendosi direttamente al lettore, le loro peripezie all'interno di quello che visto da fuori potrebbe sembrare un accogliente luogo di ricovero per anziani ma che, visto dall'interno, si rivela il lager in cui nessuno vorrebbe pensare di trascorrere anche un solo giorno della propria vita. Hope è cieca, una ex professoressa colta che nella coppia ha il ruolo di fare da gambe per tutte e due, mentre Faith è in carrozzina ma ci vede benissimo, quindi il suo ruolo è quello di fare da occhi per entrambe. Una coppia in cui una non può fare a meno dell'altra sia fisicamente ma soprattutto psicologicamente. Gli avvenimenti, per quanto a volte traumatici, vengono raccontati in modo allegro e coinvolgente e questo mi ha permesso più volte di sorridere.

    "Lasciate che vi spieghi. Qualche mese fa, Hope e io siamo scappate dalla casa di riposo, un viaggetto di un giorno a Londra, tutto qui, ma per il personale della Meadowbank è stato come se fossimo fuggite di prigione." "Hope è la mia più cara amica. In gioventù era professoressa di letteratura inglese, e ha ancora quel modo di fare di Cambridge, un certo tono sbrigativo, un'inclinazione del capo quasi militare, pur essendo cieca da quindici anni e non ricevendo una visita dal giorno in cui è entrata qui. Ma ha ancora tutte le rotelle in testa, di più, a dire il vero, di quante ne abbia alla nascita la maggior parte della gente, e riesce, con un aiutino da parte della mia sedia a rotelle, a conservare la dignità e l'umorismo essenziali per sopravvivere in un posto come questo."


    Ma penso anche a Giorni di pioggia, il racconto dedicato al dio della pioggia. La Harris ci racconta di come gli dei amino mescolarsi tra le persone comuni senza che queste ultime si accorgano del loro ruolo. Il Dio della pioggia ci racconta quindi, in prima persona, il trascorrere della propria vita. Vive a Manhattan, un luogo dove la vita scorre di fretta, e dove ultimamente, grazie alla sua presenza, piove ancora più del solito. Quando un giorno, per caso, incontra una ragazza che illumina lo spazio che attraversa e che attira l'attenzione di tutti, si innamora perdutamente. Lei è la dea del sole, depressa per quella pioggia insistente. Il Dio della pioggia farà quindi tutto ciò che è nelle sue possibilità per far tornare il sole provocando non pochi problemi al mondo intero.

    "Ci si aspetterebbe di dover fare domanda per essere un dio della pioggia. Quando qualcuno stava distribuendo gli attributi celesti, avrebbe dovuto fermarsi per un momento per pensare a cosa avrebbe significato per chi li avesse ricevuti: bagnarsi di pioggia, un giorno dopo l'altro, inverno ed estate, mattino e sera. Anche se, a essere giusti, non è soltanto la pioggia; vale per ogni genere di precipitazione, compresi neve, nevischio, pioggerella, acquerugiola, acquazzoni improvvisi, bruma scozzese, nebbia londinese, piogge primaverili, temporali, grandine, monsoni tropicali e naturalmente la semplice vecchia pioggia: leggera, moderata, forte, e tutte le altre possibili varianti al riguardo."


    Per non parlare poi del racconto Driade con protagonista la signora Josephine Clarke, seduta sulla "sua" panchina, con in mano il suo album da disegno e tanti ricordi nel cuore. Lei innamorata di un faggio - sì avete capito bene, un faggio, un albero - che ha saputo in un primo momento farmi ridere a crepapelle per la stranezza della scelta ma che poi ho apprezzato con l'evolversi della storia.

    "In un angolino tranquillo del Giardino Botanico, dfra un boschetto di alberi antichi e una folta siepe di agrifoglio, c'è una piccola panchina di metallo verde. Quasi invisibile contro lo sfondo della vegetazione, viene usata da poche persone, dato che non prende sole e offre solo una vista parziale dei prati. Una targa al centro recita: IN MEMORIA DI JOSEPHINE MORGAN CLARKE, 1912-1989. Dovrei saperlo - sono stata io a farla mettere - eppure la conoscevo appena, la notavo appena, tranne per quell'unico giorno piovoso di primavera quando le nostre strade si sono incrociate e siamo quasi diventate amiche"


    Per ultimo penso al racconto che forse più mi è rimasto nel cuore: Fantasmi nella macchina. Due schermi, due persone praticamente fantasmi per il resto del mondo, che attraverso internet ma grazie alla musica entrano in contatto, dolcemente, senza aspettarsi nulla l'uno dall'altro ma con la consapevolezza che l'altro c'è, nonostante tutto.

    "La maggior parte delle persone trova difficile guardarlo alla luce del giorno. Non tanto per la forma del volto, che è eccentrica, niente di più, ma per la voglia che lo sfigura, uno schiaffo in faccia da parte di un Dio arrabbiato. Alcune persone nascondono le proprie reazioni meglio di altre. Alcune lo fissano e basta, come se tentassero di compensare. Altre non lo guardano mai in modo diretto, e fissano perennemente lo sguardo su un punto appena oltre la sua testa. Alcune sono esageratamente cordiali, altre fanno di tutto per evitare di stargli vicino. Le donne e i bambini sono i peggiori: i bambini per via della paura nei loro occhi, le donne per via della loro compassione. Si è accorto che certe donne sembrano curiosamente attratte da lui e ha finito per odiare soprattutto queste. Tipi di mezza età, sovrappeso, materni, che sognano di domare un mostro. Queste sono le peggiori di tutte, pensa lui, e fa il possibile per allontanarle, amche se sono tanaci come erbacce, vedendo nella sua rudezza il germe di qualcosa pronto per la redenzione. Internet è la sua fuga. Qui nessuno ha bisogno di vederlo. Può esistere come avatar, parole sullo schermo, una voce nel buio. Qui il mondo è suo e lo può esplorare; un mondo nel quale nessuno ha una faccia, non solo lui."


    (http://libroperamico.blogspot.it/)


    Un gatto, un cappello e un nastro è un'antologia di racconti che l'autrice di Chocolat regala al lettore. In passato ci aveva incantato con un mondo sospeso, aromatizzato e alchemico e adesso la Harris ci conduce, ancora una volta, in piccoli universi compiuti, scorci di mondi che sembrano vivere oltre le brevi pagine del racconto. Ogni racconto è una perla, uno scrigno di vite. Avvertiamo con Ngok la corrente del fiume e ci commuoviamo con @MTnestgirl, seguendo con gli occhi i movimenti di personaggi che quasi ci sfuggono, rapiti dalla celerità di un libro, che come il tempo, scorre e vola via...e volti già l'ultima pagina.
    Nonostante la formula del racconto ti strappi troppo presto alle storie appena abbozzate, forse è proprio questo il fascino di Un gatto, un cappello e un nastro. La magia sta nella sospensione, in una passione fugace che resta racchiusa in qualche pagina. A volte le storie ritornano, i personaggi ci regalano un'altra cometa, in questo cielo stellato composto dalla Harris, altre volte invece ci lasciano sulla lingua un retrogusto dolce, che permane, intatto. Ogni narrazione è introdotta da una nota dell'autrice che spiega come è nata quella storia, da quali suggestioni o con quali intenti. Un piacevole alternarsi tra l'autore e i protagonisti in prima persona dei racconti.
    (http://laragazzacheannusavailibri.blogspot.it/)

    Joanne Harris


    Joanne Michèle Sylvie Harris, nata a Barnsley il 3 luglio 1964, è una scrittrice britannica. Nata da madre francese e da padre inglese nel negozio di dolciumi dei nonni, è cresciuta a cibo e folklore. La sua bisnonna era una strega e una guaritrice. Tutto ciò è stato un ingrediente essenziale per lo sviluppo dei suoi romanzi.
    Ha studiato presso la scuola media di Wakefield e si è laureata presso il St Catharine's College di Cambridge, in Lingue medievali e moderne. Dopo la laurea si è dedicata all'insegnamento di lingua e letteratura francese. Nel 1989 ha pubblicato il suo primo romanzo, Il seme del male (The Evil Seed), e nel 1999 Chocolat, che l'ha resa famosa e che è diventato un film della Miramax, diretto da Lasse Hallström con Juliette Binoche e Johnny Depp. Nel 2007 pubblica "Le scarpe rosse", il seguito di Chocolat.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    MAQUI, il mirtillo della Patagonia



    Il Maqui, nome scientifico Aristotelia chilensis, appartiene alla famiglia delle Eleocar-
    paceae, che conta 10 generi con circa 400 specie diffuse nei climi tropicali e temperati dell’Asia, Australasia, zona pacifica e Sudamerica, eccetto Africa.
    È un arbusto sempreverde dioico di 4-5 m, originario del Cile, endemico dei boschi subantartici. Cresce fino ai 2.500 m, nelle isole di Juan Fernández e in Argentina. E' una pianta eliofila e dioica dai fiori bianchi, pioniera delle zone disboscate o incendiate. Cresce in terreni umidi con abbondante humus. s. Il fusto può arrivare fino a 5 metri di altezza con una corteccia liscia; le foglie sono di colore verde brillante, variegate di giallo all’esterno, opposte e lanceolate. I fiori sonoraggruppati in grappoli e la fioritura avviene tra settembre e dicembre. I frutti sono delle bacche di colore rosso scuro o violaceo, dal sapore dolciastro, molto simili al mirtillo e maturano da dicembre a gennaio. Una pianta adulta di Maqui produce appena 10 kg di frutti ogni 7 anni, e questo nonostante sia un arbusto sempreverde, molto ramificato ed esteso. Ciò avviene a causa delle condizioni proibitive in cui si sviluppano tali frutti: temperature fredde, esposizione all'ozono, e venti violenti. Le bacche sono ricche di antocianine (cianidine e delfinidine), sostanze antiossidanti responsabili della loro colorazione purpurea e, con tutta probabilità, di molte delle proprietà medicinali che gli vengono attribuite.

    In Cile non si realizza una produzione industriale e la maggior delle bacche viene raccolta da piante selvatiche (90.000 kg all’anno). Il sapore del frutto è dolce e assomiglia al sambuco. Fu introdotta nella zona sud-est dell’ Inghilterra nel 1700 e all’inizio del ‘900 negli Stati Uniti, a Seattle, Washington nel 1952 e in California, dove la chiamano “Chilean wineberry”. Viene coltivata prima in vivaio, poi viene piantata in suoli acidi o leggermente alcalini al sole e a mezz’ombra. Può resistere a temperature minime fino -10. Si propaga per seme o per talea.

    Le sue innumerevoli qualità rendono le Bacche di Maqui il sovrano indiscusso della famiglia delle cosiddette "superbacche", sopra a goji, mirtili, cranberry, sambuco, ribes ed acai, nonchè il miglior alleato a tua disposizione per contrastare l'infiammazione cellulare, di ossa e articolazioni. Anche alle foglie sono riconosciute proprietà officinali per via degli alcaloidi. In Cile le bacche del Maqui vengono usate per preparare succhi di frutta, marmellata e gelati. Sono commercializzate sotto forma di succhi e infusi.
    E' una pianta usata abitualmente nella medicina popolare mapuche, popolo precolombino del sud del Cile. I frutti del Maqui, oltre a essere un alimento, sono l’ingrediente base di una bibita alcolica chicha, che in mapuche è chiamata teku e vengono usati per colorare il vino. Questa pianta è sacra per i mapuche e simbolizza le intenzioni pacifiche.
    Dai frutti si estrae un colorante naturale a partire delle antocianine, pigmenti rossi delle bacche. Recentemente si è scoperto che la bacca e le foglie del Maqui hanno un’importante attività antitumorale e antibatterico. Ricerche recenti hanno riscontrato una capacità antiossidante dell’infuso delle foglie.


    "Esiste un’isola montuosa al largo della costa della Patagonia cilena che preserva un tesoro. È un dono che viene direttamente dalla natura e l’isola è quella di Robinson Crusoe, celebre personaggio della letteratura ispirato alla storia di un naufrago vero, che appunto in questo isolotto soggiornò. Il tesoro è il maqui: un bacca ricchissima di polifenoli, potenti antiossidanti contro i radicali liberi e valido aiuto contro l’infiammazione cellulare.
    Stando all’atlante, l’isola in questione fa parte dell’arcipelago delle Isole Juan Fernandez: fino al 1966 si è chiamata Isla Mas a Tierra, in italiano “più verso terra”, poi in quella data il governo cileno le cambiò il nome in “Isla Robinson Crusoe” in onore del personaggio che l’ha resa celebre al mondo, mentre l’isola vicina, originariamente detta Isla Mas a Fuera, divenne “Isla Alejandro Selkirk”, dall’identità del naufrago, Alexander Selkirk.
    Selvaggia e impervia, l’Isola di Robinson Crusoe è lunga circa 20 chilometri. “Le coste, molto frastagliate e irregolari, sono per lo più alti dirupi a picco sul mare, disseminati di profonde spaccature e anguste insenature. [..]Di origine vulcanica, l’isola è caratterizzata da un continuo sovrapporsi di monti, picchi, creste e vette dalle pareti proibitive e strapiombanti, alternate a valli profondamente incise dall’erosione”.
    Così la descrive Alberto Zampetti nel suo libro “I Polifenoli del Maqui”, un volumetto edito da Sanihelp.it ...Grandi mangiatori di maqui sono gli indiani Mapuche, che abitano il Cile. I Mapuche sono gli unici indiani d'America mai sottomessi dai conquistatori europei, durante la grande colonizzazione delle Americhe. Si narra che sia stato proprio il maqui a fare di questi indiani degli instancabili e fortissimi guerrieri. Pare, infatti, che queste tribù facessero un grande uso non solo del frutto, ma anche delle foglie."

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    AGOSTO


    Un bambino al mare

    Conosco un bambino così povero
    che non ha mai veduto il mare:
    a Ferragosto lo vado a prendere,
    in treno a Ostia lo voglio portare.
    Ecco guarda gli dirò
    questo è il mare, pigliane un pò!
    Col suo secchiello, fra tanta gente,
    potrà rubarne poco o niente:
    ma con gli occhi che sbarrerà,
    il mare intero si prenderà.


    (Gianni Rodari)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Graham McGeorge

    E soprattutto,
    guardate con occhi scintillanti tutto il mondo intorno a voi,
    perché i più grandi segreti sono sempre nascosti
    nei posti più improbabili.
    Coloro che non credono nella magia non potranno mai trovarla.
    (Roald Dahl)

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