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    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 027 (29 Giugno – 05 Luglio 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 29 Giugno 2015
    SS. PIETRO E PAOLO

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    Settimana n. 27
    Giorni dall'inizio dell'anno: 180/185
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    A Roma il sole sorge alle 04:38 e tramonta alle 19:49 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 04:37 e tramonta alle 20:16 (ora solare)
    Luna: 2.34 (tram.) 17.09 (lev.)
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    Proverbio del giorno:
    Per San Piero, o paglia o fieno.
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    Aforisma del giorno:
    Crescono davvero negli uomini, fra gli uomini, l'amore sociale, il rispetto dei diritti altrui, per ogni uomo, nazione, popolo, o, al contrario, crescono gli egoismi di varie dimensioni, i nazionalismi esagerati, al posto dell'autentico amore di patria, ed anche la tendenza a dominare gli altri al di là dei propri legittimi diritti e meriti, e la tendenza a sfruttare tutto il progresso materiale e tecnico-produttivo esclusivamente allo scopo di dominare sugli altri o in favore di tale o talaltro imperialismo?
    (Giovanni Paolo II)









    RIFLESSIONI



    ... VIVA LA VITA …
    ...Il volo tardava a partire, il suono dei motori dell’aereo accompangnava quel clima di festosa attesa a bordo dell’aereo. Aria frizzante, leggera creata dai pensieri e dalle emozioni che ognuno sentiva forti nel cuore e non poteva far a meno di lasciarli uscire contagiando positivamente tutti, uniti dalla stessa unica emozione … le vacanze erano iniziate e a breve avrebbero trovato il luogo scelto per essere vissute. Chiudendo gli occhi si alternavano i ricordi dei giorni passati sul lavoro, delle discussioni e del tran tran della vita di tutti i giorni con le immagini di quei luoghi da sogno scelti per rilassarsi e divertirsi. L’aereo inizia a muoversi lentamente sulla pista, il suono del motore diventa sempre più forte; sfreccciano immagini negli oblò e un attimo dopo l’aereo si distacca da terra. Un volo veloce, durato poco forse anche perché il desiderio di tutti a bordo era arrivare alla meta il prima possibile. La porta dell’aereo si apre lasciando entrare l’aria di quel luogo; chissà forse per la gioia contagiata in quel luogo, quell’aria sembra magica, più leggera attraente. Un attimo e sono a bordo del mezzo di trasporto messo a disposizione dall’albergo. Sfreccia tra le strade illuminate da lampioni con la luce giallastra che rendono magici se possibile ancor di più quei luoghi. L’albergo in vero stile orientale con dei richiami alla cultura europea, è un vero incanto. Stanze grandi, tutte con vista mare; un enorme vetrata ed un balcone che guardano il mare talmente vicino da sentirne il suono della riscacca sulla battigia. “Tutto perfetto”, pensano mettendosi a letto e pregustando il giorno dopo sulla spiaggia con quel mare cristallino e quel sole cocente. La sveglia suona nella stanza dell’albergo. Cuore che batte forte, il mare è un incanto e la spiaggia con lettini bianchi ed ombrelloni fatti di rami di palma sono lì fermi a chiamare tutti a loro. Colazione veloce, giusto il tempo per poter andare sulla spiaggia. Bambini che giocano, famiglie anch’esse appena arrivate, gente che corre o cammina sulla battigia. Il telo sul lettino, il primo bagno in quel mare pensando a quanti altri ne avrebbe fatti in quel mare nei dieci giorni di meritata vacanza prenotati in quel posto. Ora si distende sul telo per lasciar asciugare l’acqua del mare dal suo corpo, chiude gli occhi e sente una felicità traboccante nel cuore, un solo pensiero “non potrei desiderare nulla di più in questo momento”. Pensiero soave, emozione bella cristallina. Urla, rumori sinistri, apre gli occhi, riesce a vedere una sagoma vestita di nero, che corre … poi il buio! Ho preferito raccontare un fatto di cronaca accaduto pochi giorni fa usando l’espediente della fiaba, del racconto velato. Non ci sono parole per descrivere quanto accaduto sulla spiaggia dell'Hotel Riu Imperial a Sousse in Tunisia. Sono vicino a tutte le vittime alle loro famiglie e nel mio cuore una sola speranza che questa sia l’ultima volta! Basta violenza; viva la vita!!! … Buon risveglio … Buon Giugno amici miei … (Claudio)






    Tunisia, fiori in spiaggia a Sousse per vittime strage. Ministro: "rivoluzione sociale"

    Tunisia: ministro, contro terrorismo "rivoluzione sociale". Le autorità tunisine sono alla ricerca dei complici del 24enne Seifeddine Rezgui, autore della strage di venerdì scorso al resort di Sousse. Lo ha affermato il portavoce del ministero dell'Interno tunisino Mohamed Ali Aroui. sono gia' stati sentiti il padre e tre dei suoi compagni di stanza universitari a Kairouane dove il giovane studiava. Recuperato in mare anche il telefonino dell'assaltatore. Hakim Rezgui, padre dell'uomo, dice di essere scioccato dalle azioni di suo figlio e di non sapere assolutamente "chi possa aver messo in testa queste idee al figlio".

    - Il governo tunisino ha deciso l’istituzione di una polizia turistica a difesa dei resort del paese dopo l’attentato di venerdì scorso a Sousse. Le autorità hanno annunciato voler dispiegare circa mille poliziotti armati negli hotel presenti lungo la costa del paese dando vita ad un modello di polizia turistica con il fine di prevenire pericoli ed eventuali altri attacchi. Il ministro dell’Interno tunisino, Najem Gharsalli, ha affermato sul suo profilo facebook “siamo pronti a mettere in campo mille agenti per difendere i resort”.

    - "L'attentatore dell'Hotel Riu Imperial autore della strage di Sousse, non era solo e non è arrivato dal mare, bensì con un utilitaria". Lo ha affermato questa mattina il ministro del turismo tunisino Selma Elloumi Rekik a Radio Montecarlo affermando che gli inquirenti sono al lavoro per tentare di scoprire la dinamica esatta dell'accaduto. Intanto a collaborare alle indagini anche 16 ufficiali di Scotland Yard.
    (Ansa)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Estate…

    Il papavero orgoglioso

    In mezzo al biondo grano
    spiccava da lontano.
    Il vento lo cullava...
    lui si pavoneggiava.
    La corolla scarlatta
    di seta parea fatta,
    come lieve vestina
    di gaia ballerina.
    « Del campo sono il re!
    Qual fior simile a me?

    Tu umile pianticella
    sei troppo miserella! ».
    Rispose il fiordaliso
    con tremulo sorriso:
    « È modesto il mio stelo
    ma guardo sempre il cielo.
    Il desiderio mio
    è lodare il buon Dio ».
    I Il papavero con boria
    i disse: «lo vo' la gloria! ».
    In quella. una ventata...
    La corolla è strappata.
    E ogni petalo vano
    si disperde lontano.
    Finì la breve vita:
    la superbia è punita.
    Il fior modesto, invece,
    più degna fine fece;
    un bimbo tutto in riso
    raccolse il fiordaliso;
    e sull'altar di Dio
    depose il fiore pio.
    (L. A. Carini)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Le renne in sciopero

    Non so se tutti conoscono i veri nomi delle renne di Babbo Natale, per questo prima di raccontarvi questa storia voglio elencarveli uno ad uno.
    Comet, Dancer, Dasher, Prancer, Vixen, Donder, Blitzen, e Cupid.
    In Italiano, possiamo tranquillamente chiamarle, Cometa, Ballerina, Fulmine, Donnola, Freccia, Saltarello, Donato e Cupido.
    A queste renne, un giorno di tanti anni fa, si aggiunsero delle altre renne e nella casa di Babbo Natale accadde qualcosa di molto strano.
    Dopo che Babbo Natale insieme agli elfi finì di preparare i regali, stava mettendo tutto nel grosso sacco, quando ad un
    tratto le due renne, nuove arrivate chiesero a Babbo Natale se anche loro all’ultimo avrebbero ricevuto il loro regalo:
    Babbo Natale rispose di no! Loro come regalo avrebbero avuto quello che i bambini avrebbero lasciato davanti al camino.
    Potevano essere caramelle, cioccolate o qualsiasi altra cosa, ma non potevano e non dovevano pretendere nulla di più.
    Le due renne cominciarono a dire:
    “Non è giusto: È un’ingiustizia.”
    E Babbo Natale diceva.
    “Basta, è inutile fare capricci.”
    Ma le renne non volevano sentire ragione e dissero:
    “Allora noi non andremo da nessuna parte e faremo in modo che neanche tu potrai andare”.
    Fu così che se ne andarono insieme alle altre renne che erano state plagiate da loro.
    Accanto a Babbo Natale rimase solo una renna, che, anche se era nuova arrivata, era una delle più anziane; non per niente si chiamava Saggia.
    “Come mai tu non sei andata con loro?”
    E la renna rispose:
    “Io non perdo tempo con queste sciocchezze.”
    E Babbo natale aggiunse:
    “Per fortuna ci sei tu! Ma adesso come facciamo?”
    “Seguiamole, vediamo cosa hanno intenzione di fare”: disse Saggia.
    Ed è così che si misero in cammino.
    Una volta trovate le renne videro che si erano messe tutte in fila sulla strada che doveva fare Babbo Natale per portare i suoi doni a tutti i bambini del mondo.
    Mentre Babbo Natale cercava di farle ragionare, loro facevano finta di non sentire e cantavano a squarciagola jingle bell.
    “Fermatevi! Basta, ragionate, pensate a tutti quei bambini che stanno aspettando un regalo”.
    Niente da fare: le renne continuavano a cantare.
    Babbo Natale con la renna Saggia si allontanò per trovare una soluzione e diceva alla renna:
    “Come faccio, se continuiamo così quest’anno tutti i miei bimbi rimarranno senza regalo”.
    E la renna rispose:
    “Lascia fare a me, provo a parlare io con loro: può darsi che mi ascolteranno; tu aspettami qui”.
    Dopo un’ora, la renna tornò senza aver risolto nulla; tutti quei discorsi di quanto Babbo Natale fosse stato sempre buono con loro non erano serviti a niente.
    Babbo Natale era sempre più disperato.
    “E adesso cosa faccio?
    Non è giusto, i miei bambini rimarranno senza regalo”.
    Non finì neanche di pronunciare queste parole, che iniziò a piovere ed anche in maniera abbastanza forte; e Babbo Natale sempre più arrabbiato diceva:
    “Ecco: mancava solo la pioggia.”
    Ma poi all’improvviso cominciò a sorridere:
    “Vieni Saggia, vieni che adesso ci divertiamo; ora sì che le faccio passare la voglia di scioperare”.
    Giunto di nuovo dove stavano le renne, le trovò ancora in fila a cantare jingle bell e tante altre canzoni di Natale.
    Babbo Natale disse con voce tuonante:
    “Che fate, nemmeno la pioggia vi ferma?”
    E una delle renne rispose:
    “No, di certo non sarà la pioggia a fermarci”.
    “A sì, ma voi sapete questa pioggia cosa vuol dire?”
    “Sì” rispose la renna.
    “Vuol dire che c’è un gran temporale” aggiunse un’altra renna.
    “Lo immaginavo; non lo sapete. Quando piove vuol dire che tutti i bambini del mondo stanno piangendo e le loro lacrime arrivano al cielo e quindi si forma la pioggia; forse adesso stanno piangendo tutti i bambini che quest’anno rimarranno senza regalo a causa vostra”.
    “Dici davvero?” rispose la renna più giovane del gruppo.
    “Sì, dico davvero”!
    Rispose Babbo Natale, immaginando che il suo piano stesse già funzionando.
    “Cosa?”
    Dissero le renne con aria meravigliata.
    “Su, Babbo Natale mettiamoci in cammino, altrimenti non c’è la faremo mai a consegnare tutti i regali”.
    Ed è così, che tutte le renne, insieme a Babbo Natale, andarono a prendere il sacco e si misero in viaggio cantando le canzoni di Natale; questa volta non per scioperare, ma per la felicità che provavano nel portare i doni, nel vedere che nel cielo magicamente era tornato il sereno e che quel gran temporale era già un lontano ricordo.
    Le nuove renne arrivate non ebbero mai la notorietà delle altre, ma ancora oggi viaggiano da sole per il mondo a regalare tanti sorrisi a tutti i bambini.

    Morale della favola
    Tutti dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo e non pretendere sempre di più, perché certe volte e bello anche
    donare, non solo ricevere.

    (frenkevita)



    ATTUALITA’


    I pericoli dei jeans skinny, danni ai muscoli e ai nervi.

    Allarme da medici australiani dopo il caso di una donna. I jeans super-aderenti detti skinny jeans, ora tanto di moda fra le giovani, sono pericolosi se si trascorre molto tempo accovacciate, poiché bloccano la circolazione nei polpacci con seri danni ai muscoli, gonfiore e blocchi ai nervi. Medici australiani citano il caso di una donna di 35 anni che dopo aver trascorso una giornata a pulire armadietti aiutando un’amica a traslocare e quindi passando diverse ore in posizione accovacciata, nel tornare a casa ha perso ogni forza nelle gambe, è caduta per strada senza potersi rialzare ed è stata ricoverata per quattro giorni in ospedale.

    I medici dell’ospedale di Adelaide hanno dovuto tagliare i jeans per poterla trattare. ''Abbiamo osservato con sorpresa che la paziente aveva subito danni tanto severi ai nervi e ai muscoli”, riferisce il neurologo Thomas Kimber nel descrivere il caso sul Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry, definendo la paziente come ''letteralmente una vittima della moda''. Quando è arrivata aveva un massiccio gonfiore dei polpacci. A causa della prolungata posizione accosciata si era veramente interrotta la circolazione del sangue nei muscoli dei polpacci e di conseguenza aveva sofferto la compressione di due dei nervi maggiori delle gambe e quindi forte indebolimento, scrive lo specialista. La lesione ai muscoli del polpaccio ha causato il rilascio di alcune proteine nel flusso sanguigno e la donna ha dovuto essere sottoposta a fleboclisi per eliminarle e prevenire danni ai reni. Vi sono stati casi in cui i jeans molto aderenti hanno causato lesioni ai nervi nell’inguine, ma questo è il primo caso conosciuto di danni nervosi e muscolari alle gambe sotto il ginocchio, spiega ancora Kimber. Il problema è nella natura dei jeans aderenti ma non elastici, che comprimono i muscoli e i nervi. “Certamente, se dovete accosciarvi in skinny jeans per qualsiasi ragione e avvertite fastidio o formicolio alle gambe, dovete rialzarvi e camminare per far circolare di nuovo il sangue”, è il suo consiglio. (Ansa)





    Palio Siena: morto cavallo Periclea, abbattuto dopo infortunio.

    Durante tratta inciampato negli arti posteriori animale davanti. Il cavallo Periclea, una femmina di 7 anni, è stato abbattuto dopo che l'animale si è infortunato stamani in modo serio in piazza del Campo durante una delle 4 batterie della tratta, che precede l'assegnazione dei barberi alle contrade per il Palio di Siena del 2 luglio. L'animale è inciampato negli arti posteriori del cavallo che lo precedeva.
    Trasportato alla clinica veterinaria le cure non hanno evitato complicazioni "che non hanno consentito", spiega una nota del Comune, di salvarlo.

    Assegnati i cavalli alle 10 contrade che correranno il Palio di Siena del 2 luglio. La sorte ha affidato Roba e Macos alla Civetta, Osama Bin all'Onda, Mississippi al Leocorno, Mocambo alla Tartuca, Morosita Prima alla Torre, Occolè al Nicchio, Oppio all'Oca, Quit Gold alla Selva, Quintiliano alla Pantera e Porto Alabe al Valdimontone. Tra i cavalli scelti dai capitani delle contrade prima dell'assegnazione, 4 quelli già vittoriosi in Piazza del Campo (Mississippi, Morosita Prima, Occolè e Oppio), 3 debuttanti (Roba e Macos, Osama Bin e Quintiliano) e 3 cavalli con almeno un'esperienza sul tufo (Mocambo, Quit Gold e Porto Alabe). Sono stati i contradaioli di Nicchio, Torre e Oca a esultare maggiormente al momento dell'assegnazione dei cavalli ritenuti tra i favoriti perché già vittoriosi di un Palio. A gioire anche la contrada della Selva che ha avuto in sorte un cavallo che, seppur mai vittorioso, è ritenuto con forti potenzialità dagli addetti ai lavori. Questa sera alle 19,45 in Piazza del Campo si correrà la prima prova.
    (Ansa)





    Lorenzo Jovanotti, eterno ragazzo, tra fumetti e cartoon è passione.

    Per Topolino diventa Paperotti e per il tour entra nel mondo di Ooo della serie cult Adventure Time. Lorenzo Jovanotti è uno di quelli che restano bambini anche quando crescono, continuano ad avere energia, passione e passioni giovani. Come quella per fumetti e cartoni animati. E' cresciuto a pane, Super Pippo e Goldrake e questo non è un segreto: recentemente per Topolino si è trasformato in Paperotti, il nuovo personaggio disegnato da Giorgio Cavazzano che il 17 giugno si è guadagnato la copertina del settimanale edito da Panini Comics. E per il tour si è fatto vestire da Valentino con cappa e gonna, un supereroe, quasi un Captain America. Ma lo show, che ha effetti speciali da vendere oltre alla sua carica musicale, è anche un cartone animato. Niente di casuale.

    ''Perché mi chiamo Jovanotti? Volevo un nome da personaggio dei fumetti!", aveva detto Lorenzo Cherubini da Cortona a Topolino in un'intevista rilasciata a tre giovani fan confessando di essere un grande appassionato della saga Disney: "Tra i personaggi di Topolino, se potessi scegliere durante un concerto vorrei essere Super Pippo".

    Oltre alla copertina, in cui si vede Paperotti/Jovanotti sul palco acclamato da tanti fan di Paperopoli tra cui Paperino e Paperoga, il personaggio paperizzato di Lorenzo Cherubini è anche il protagonista di quattro storie da collezione, scritte da Davide Catenacci e disegnate da Giorgio Cavazzano. In queste esilaranti avventure, in cui appare anche il personaggio di "Pianetino" ispirato al bassista Saturnino, Paperotti/Jovanotti incontra tutti i grandi protagonisti di Paperopoli, come Paperon de' Paperoni, Paperino, Paperinik, Paperoga, Gastone e Paperina.

    Nel tour invece ci sono dei video creati ad hoc da Cartoon Network : Lorenzo viene proiettato nel fantastico mondo post apocalittico di Ooo di Adventure Time dove “incontra” i due protagonisti: Finn l’avventuriero e il suo migliore amico Jake, un cane dotato di poteri magici.

    Lorenzo è un fan di Adventure Time. La pluripremiata serie creata da Pendleton Ward per i Cartoon Network Studios di Burbank e ambientata nel magico mondo di Ooo è ormai un vero e proprio fenomeno: molti artisti Urban/Street soprattutto in America le dedicano le loro opere. Il web abbonda di siti e blog dedicati alla disamina di tutte le citazioni, scelte visive e narrative presenti nei singoli episodi ed ha un folto seguito di fanatici “cosplayer” che amano vestirsi come i loro beniamini cartoon. Lo show di Cartoon Network è caratterizzato da un linguaggio e un’iconografia intrisi di citazioni della cultura pop moderna oltre che da un’estetica caratterizzata da tratti netti, colori saturi e un’estrema bidimensionalità. Si tratta di un linguaggio moderno, in continua trasformazione proprio come quello di Lorenzo che, nel corso della sua carriera, ha saputo trasformare ed evolvere il suo stile rimanendo sempre contemporaneo con canzoni, musiche e video capaci di stimolare la fantasia e di far “esplodere” emozioni e colori. Allo stesso modo, ogni puntata di Adventure Time – sempre diversa da quella precedente per tema e storia narrata - è capace di sorprendere ed incantare. Colore, fantasia, movimento ed innovazione, sono le caratteristiche che accomunano Lorenzo alla serie targata Cartoon Network.'' Abbiamo lavorato nei nostri Studios - ha detto Marcio Cortez Melendez di Turner -per creare dei contenuti visivi ad hoc per il tour dove Lorenzo è totalmente immerso nel mondo Adventure Time con la certezza che se nella terra di Ooo ci fosse un cantante, sarebbe senza dubbio Jovanotti.”
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Ted 2




    locandina


    Un film di Seth MacFarlane. Con Mark Wahlberg, Amanda Seyfried, Seth MacFarlane, Liam Neeson, Morgan Freeman


    Dotato di tempi comici e trovate impeccabili, il secondo Ted perde per strada la sua parte più seria.
    Gabriele Niola


    In crisi con sua moglie Tami-Lynn, Ted pensa bene di avere un figlio con lei, sperando che un nuovo nato possa riavvicinarli. Per farlo dovrà ricorrere all'inseminazione artificiale, dopo diverse richieste e tentativi di aggiudicarsi del seme "famoso", la scelta del donatore ricadrà sull'amico di una vita: John. Nel compilare tutta la documentazione necessaria però il governo si accorgerà di non aver mai legiferato sullo status di Ted. È un essere umano o una proprietà? Un processo lo deciderà e la casa di giocattoli Hasbro ha tutto l'interesse che la sentenza affermi che Ted è una proprietà. In quel caso infatti sarebbe una sua proprietà e potrebbe riprenderselo, aprirlo, scoprire come mai vive e infine replicarlo in serie.
    Al secondo capitolo della storia di Ted, l'orsacchiotto di peluche che prende vita per rimanere sempre insieme al suo proprietario, crescendo con lui e diventandone il migliore amico, l'asse del film muta. Non è più John il protagonista ma Ted e la sua grottesca lotta per essere riconosciuto come umano. Il pretesto della grande corsa che dopo il primo quarto di film impegna i tre protagonisti (oltre ai due amici c'è anche il più classico dei personaggi aggiunti, ovvero l'avvocato appassionato d'erba di Amanda Seyfried) è dunque la scoperta di cosa renda umano gli umani e quindi anche Ted. L'esito sarà abbastanza banale ma condito, come il resto del film, di un umorismo dai tempi e dalle trovate folgoranti.
    Seth MacFarlane ha il merito di scrivere, dirigere e interpretare (c'è lui dietro al performance capture e al doppiaggio dell'orsacchiotto) le gag più note come se fossero nuove, rinfrescando sia la tradizione più ovvia del cinema comico, le gag fisiche e di montaggio, che quella più moderna da lui affinata, fondata sul gioco con la cultura pop e le celebrità (alcune delle quali fanno qui dei cammei abbastanza stiracchiati) e sui bersagli più spinosi (in una scena molto efficace i due amici sfidano dei comici a far ridere su Charlie Hebdo, l'11 Settembre o Bill Cosby, di fatto facendo loro stessi della comicità sull'intoccabilità di simili tematiche).
    Privo della forza sentimentale e metaforica del primo film, a Ted 2 non interessa portare ancora avanti il discorso sugli adulti rimasti ragazzini portandosi effettivamente dietro l'amico immaginario cresciuto assieme a loro, ma preferisce virare sul terreno del surreale puro, cercando le sole risate e la rappresentazione dello spettatore contemporaneo. Non c'è infatti dubbio sul fatto che sia il primo che il secondo Ted siano le opere moderne che meglio mostrano, criticano e raccontano spirito, idiozia e sogni del target ad oggi prediletto dagli studios hollywoodiani. Pronti a masturbare un eroe del football ("Non so se sono all'altezza! Lui merita il meglio!") come a fermarsi durante una furiosa ricerca per ascoltare l'annuncio di chi sarà il prossimo attore ad interpretare Superman ("Jonah Hill!" - "Dannazione!") e infastiditi nel dover correggere ogni volta chi non distingue Guerre stellari da Star trek o non ha visto Rocky III, John e Ted sono l'evoluzione dei Clerks di Kevin Smith. Mentre gli impiegati in bianco e nero negli anni '90 annunciavano il punto di riferimento futuro per il cinema americano di fatto raccontando la realtà, i due amici fattoni di Seth MacFarlane santificano quel tipo di cultura e di atteggiamento verso la vita in un tripudio demenziale, una parodia della realtà che mette la lente d'ingrandimento su alcune sue caratteristiche. Privi della vitalità che una volta si sarebbe associata ad una simile canonizzazione (non muoiono appresso alle donne nè hanno pulsioni fisiche forsennate) i due uomini medi di Ted 2 mettono in scena non solo il proprio uditorio ma soprattutto il simulacro del pubblico che l'industria moderna ha in testa, quello che alla fine raggiungono e a cui si uniscono nel Comic-Con.




    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    “Alcuni stanno vendendo qualcosa che assomiglia a un lecca-lecca, avvolto in forme a spirale su un bastone. Di fronte a loro i venditori hanno vasi che sembrano scatole di gelato circolari, riempiti con un liquido denso in vari colori . E’ una morbida caramella che diventa solida. Ma non è una solita caramella ma un bastoncino coperto di strisce colorate."


    IL MACUN



    Il Macun è un dolce artigianale composto da sciroppi colorati che vengono messi in una profonda scatola acuneo su un vassoio girevole. Viene venduto per la strada, impiegando forse 90 secondi. Un lecca-lecca di origine ottomana che risale mezzo millennio fa.

    Le azioni di che crea un macuncu sono come quelle di un direttore d'orchestra - ritmico e artistico. Con la bacchetta per lo sciroppo, chiamato Macun mablağı, in una mano e un bastone di legno per lecca-lecca nell’ altra, raccoglie lo sciroppo macuncus a ciuffo, a rotazione filandolo sullo stecco e ripetendo l'operazione fino a che il cliente ha fatto la scelta. Niente di goffo, solo linee eleganti a spirale di sciroppi tonalità diversa che formano un cavatappi di fino a cinque gusti diversi.

    Gli ingredienti per Macun sono semplici: zucchero semolato, acqua, crema di tartaro, acido citrico e "aromi" - che di solito sono spezie o essenze di frutta. E, quando necessario, si usa il colorante alimentare - spesso ancora di derivazione naturale. Lo zucchero, l'acqua, la crema di acido citrico e il tartaro sono rimescolate in una pentola a fuoco basso fino a quando lo zucchero si scioglie e il composto inizia a bollire.
    Alla fine a fuoco spento vengono aggiunti e miscelati accuratamente, un aroma e un colore naturale. Il prodotto appiccicoso viene poi versato in una delle cinque sezioni del vassoio Macun. La tepsisi Macun, viene riempito con i sapori che si vuole offrire. Un Macun appena roteato, prima di essere consegnato al cliente, viene spruzzato con un mezzo limone per stringere i vortici sciropposo.

    Gli strumenti dei macuncu ambulanti sono altrettanto semplici: un vassoio, un supporto, un tira sciroppo e i bastoni per le caramelle. I vassoi Macun tepsisi sono di metallo arrotondato con vasche profonde molti pollici. I vassoi hanno sempre sei sezioni: cinque triangolari che sono i vani per lo sciroppo e una piccola ciotola al centro per ricoverare mezzo limone. In origine furono prodotte da calderai ottomani, di stagno o rame stagnato. Al giorno d'oggi, le tepsisi Macun sono quasi sempre in acciaio inox. Le bacchette del macuncu sono chiamate Macun mabla.

    "E 'più di uno sciroppo pesante che rimane sul bastone.
    I bambini lo amano.
    I venditori sono fuori dalla scuola …
    ...aspettano per dare dolci a 5 dentesimi!".
    I bambini guardano divertiti e rapiti la sua realizzazione
    in una girandola di scintillante zucchero."


    … storia …


    Il Macun è nato nel 1527 per ordine del sultano Solimano il Magnifico. Le origini di Macun sono medicinali; proprio come un amaro alle erbe. L'originale "supremo" Macun caramelle, mesir macunu , era una potente miscela di erbe digestive curative, con dello zucchero usato come conservante. Un vero e proprio elisir che fu un rimedio per tutto ciò che affliggeva.
    Secondo la storia, una leggenda e la farmacopea ottomana, Hafsa Sultan, la madre di Solimano il Magnifico fu afflitta da una misteriosa malattia, incurabile dai medici di corte, massaggiatori, cuochi e clero. Un farmacista locale creò il mesir macunu, una speciale miscela di erbe macerate in una pasta zuccherata. La medicina curò e guarì Hafsa Sultan. Da allora, sia la Regina Madre che Suleiman divennero evangelizzatori della mesir macunu, e cominciarono una tradizione; l'imperatore era così contento del risultato che creò il giorno di festa di primavera (Nowruz , l'equinozio di primavera), un il giorno per distribuire Macun ai fedeli a Istanbul. Questa tradizione e continua ancora oggi - la 474° Manisa Mesir Festival annuale ha avuto luogo nella primavera del 2014, per la preparazione di mesir macunu per il benessere dei loro sudditi. Riconosciuto da dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, il festival prevede uno stuolo di cuochi che preparano tonnellate dell'antica ricetta di 41 spezie ed erbe aromatiche. Una volta miscelato, il mesir macunu viene tagliato e avvolto un panno designato da donne, il tutto viene passano insieme a delle caramelle agli imam che li benedicono per poi gettarli alle folle, dal minareto e dalle cupole della Moschea del Sultano.

    Secondo la leggenda, questo magico intruglio è costituito da quarantuno ingredienti, al fine di guarire quarantuno disturbi . Veniva chiamato "Baume de Sultan" (Balsamo del Sultano). Vecchi libri turchi di farmacologia e libri greci su ricette alimentari, menzionano una straordinaria varietà di ingredienti, un po 'da terre lontane davvero .
    Nella città di Manisa (Magnesia) vicino a Smirne vi è la stessa celebrazione di primavera e la distribuzione del Macun, chiamato "Manisa Mesir Macun ". Nella lingua greca la parola "matzouni" significa "medicina usata come tonico" o qualsiasi tipo di infusi di erbe, anche caramelle morbide.

    Oggi si tenta di produrre l’intruglio vicino alle ricette originali, ma alcune delle spezie usate allora non sono più disponibili. Le Aziende di Manisa, che producono questa pasta speciale, dicono di lavorare ora con 35 o 38 diversi tipi di spezie originali, piuttosto che il 41. Ufuk Tanik, il capo della Manisa Mesir, spiega che "Non è possibile trovare lo stesso tipo di spezie che venivano utilizzati 500 anni fa. L'importante che vi siano 41 tipi di spezie. Abbiamo sentito di alcune persone che producono questa pasta con 60 o addirittura 80 tipi di spezie. Ma il numero 41 è simbolico per l'Islam."
    Le paste contongono spezie ed erbe aromatiche come lo zenzero, per il raffreddore; la cannella, buono per trattare la costipazione; lo zafferano, che ti dà la sensazione di appagamento; il coriandolo, che aiuta a stuzzicare l'appetito e vi è il pepe nero, perfetto per la tosse, così come cumino nero, che viene utilizzato per una varietà di malattie. Contiene anche finocchi, per tutti i problemi digestivi, e radice indiana, per il trattamento di alito cattivo. Ci sono alcuni esperti di nutrizione e dietologi che sostengono che in realtà, il vero aspetto che dà energia di pasta mesir non deriva dalla sua miscela di spezie, ma piuttosto dal miele utilizzato per farlo. Le 41 spezie sono: Cinammon, pepe nero, pimento, chiodi di garofano, cumino nero, semi di senape, semi di anice, zenzero, coriandolo, ibisco, curcuma, noce di cocco, indonesiana pepe nero, finocchio, tinevelly senna, terminalia citrino, vaniglia, pepe lungo, il cardamomo, rizoma, indiano seme cetriolo, lo zafferano, cumino, chicle, liquirizia, zulumba, scorza di limone, scorza d'arancia, muschio cardo seme, semi di lino, carruba, hindi UDI (albero agalloch), semi di ortica, pepe bianco, semi d'uva, foglie di agnocasto, rosmarino, arbusti, melissa, e fructus myrobalani.

    (Gabry)






    domina-musica


    I Tormentoni dell'Estate dal 1975 AL 1979




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    La musica del cuore


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    Reach out i'll be there - Gloria Gaynor


    Successo di Gloria Gaynor del 1975, spopolò nelle discoteche e sulle spiagge di tutta Italia, arrivando in vetta alla classifica della Hit Parade





    Reach out i'll be there

    Now if you feel that you can't go on
    Because all of your hope is gone
    And your life is filled with confusion
    And happiness is just an illusion
    And your world around is tumblin' down
    Darling, reach out, reach out
    Reach out for me
    I'll be there to love and comfort you
    I'll be there with the love that'll see you through
    Now when you're lost and about to give up
    'Cause your best just ain't good enough
    And you feel the world has grown cold
    And you're driftin' out on your own
    When you need a hand to hold
    Darling, reach out, reach out
    Reach out for me
    I'll be there to love and comfort you
    I'll be there with the love that'll see you through
    I'll be there to love and comfort you
    I'll be there with the love that'll see you through
    I can tell the way you hang your head
    You're without love, now you're afraid
    And through your tears you look around
    But there's no peace of mind to be found
    I know what you're thinking, without love now you're alone
    Baby, you reach out
    Reach out for me
    I'll be there to love and comfort you
    I'll be there with the love that'll see you through
    I'll be there to love and comfort you
    I'll be there with the love that'll see you through
    I'll be there to love and



    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    Atletica, favoloso Gatlin, 19:57 sui 200
    Il 33enne velocista americano in gran forma per il mondiale. Vola Justin Gatlin sui 200 metri, e conquista la medaglia d'oro ai campionati americani con il favoloso tempo di 19:57, il quinto di sempre nella specialità. Lo sprinter rivale storico del giamaicano Usain Bolt, re indiscusso della velocità, ha condotto una gara magnifica e si è tolto la soddisfazione, dopo aver tagliato la linea del traguardo, di indicare con il dito il tabellone luminoso con il tempo, che è anche il record assoluto dei trials e sta a testimoniare l'eccezionale stato di forma del 33enne velocista, accreditato come il maggior competitor di Bolt e imbattuto da ben due anni. Il primato americano sui 200 metri appartiene da anni invece a Michael Johnson con 19:32, mentre il record del mondo è di Bolt con 19:19. Gatlin, che non ha corso i 100 metri, avendo già ottenuto la classificazione d'ufficio ai mondiali di Pechino in programma ad agosto, in quanto vincitore della Diamonds league, ha dominato la gara, prendendone il comando quasi subito. Al secondo posto si è classificato Isiah Young, suo compagno di allenamento, con il tempo di 19:93 e terzo Wallace Speamon, 20:10.
    (Ansa)




    Tennis, al via il grande circo di Wimbledon.
    In campo Djokovic e 5 azzurri; derby tricolore fra Errani e Schiavone. Inizia questa mattina la 129/esima edizione dei Championships, sono 11 gli azzurri iscritti nei due tabelloni, ma i favoriti restano Novak Djokovic in campo maschile e Serena Williams tra le donne. Sarà il numero uno al mondo, nonché detentore del titolo, il serbo Djokovic ad inaugurare il Centrale questo pomeriggio (14:00 italiane), quando scenderà in campo contro il tedesco Philipp Kohlschreiber, mentre per Serena - all'inseguimento del Grande Slam dopo i successi a Melbourne e Parigi - l'esordio è previsto sul campo numero uno contro la russa Margarita Gasparyan. Con il ripescaggio di Luca Vanni, primo lucky loser rientrato nel tabellone principale grazie al ritiro di David Ferrer, salgono a cinque gli azzurri al via di Wimbledon. Il sorteggio peggiore è capitato a Simone Bolelli, unico italiano oggi in campo, contro il giapponese Key Nishikori, quinto favorito del seeding. Tra le ragazze spicca il derby (tricolore) della prima giornata tra Sara Errani e Francesca Schiavone. Chi vince affronterà al secondo turno la vincente della sfida tra un'altra italiana, Roberta Vinci, e la serba Aleksandra Krunic. Ultima azzurra attesa oggi all'esordio è Flavia Pennetta, contro la kazaka Zarina Diyas.
    (Ansa)




    Caso Catania: Cosentino: "Io estraneo. Pulvirenti? Un folle".
    L'amministratore delegato del club etneo al gip: "Non so nulla di combine". "Non so nulla di combine, sono estraneo a tutti i fatti che mi contestate, se lo avessi fatto sarei stato un folle e se lo ha fatto Pulvirenti è un folle lui". Lo ha detto l'amministratore delegato del Calcio Catania, Pablo Cosentino, nell'interrogatorio al gip nell'ambito dell'inchiesta 'I treni del gol' su presunte partite comprate dal club di calcio per non retrocedere in Lega Pro. "Non conosco nessuno degli altri indagati - ha aggiunto - tranne Delli Carri col quale avevo rapporti di lavoro".

    Pablo Cosentino ha lasciato il palazzo di giustizia accompagnato da suo legale l'avvocato Carmelo Peluso. Durante l'interrogatorio Cosentino ha contestato tutte le accuse: "se questo fatto fosse vero sarebbe tutto l'opposto di quello che ho sempre fatto per il Catania - ha detto - non avrei fatto una campagna acquisti a gennaio dispendiosa per potenziare la squadra, sarebbe veramente tutto contro quello che era il mio obiettivo: fare un club forte per vincere il campionato. Se avessi tentato di comprare delle partite - ha osservato - sarei stato un folle, e se Pulvirenti lo ha fatto è un folle".
    Cosentino ha ribadito al gip di essersi già dimesso da ogni incarico dal calcio Catania e che domani gli scade il contratto con la società che non rinnoverà e spera di potere tornare presto la proprio Paese. (Ansa)

    (Gina)



    MUSICAL




    La Sirenetta


    sirenetta_-_ostia_antica_-_2011


    La Sirenetta è un musical uscito a Broadway nel 10 gennaio 2008. È ispirato al celeberrimo film d'animazione Disney La sirenetta.


    Trama
    Atto I
    La storia si apre con il principe Eric, il suo consigliere Grimsby e alcuni marinai a bordo di una nave che stanno parlando di Tritone, il re del mare. Grimsby cerca di dire a Eric che deve tornare casa per adempiere al suo ruolo di principe. Tuttavia, Eric sente una bella voce e comanda di seguirla (Fathoms Below).
    Sul fondo dell'oceano, nel regno di Tritone, è in corso un concerto in onore della sconfitta di Ursula. Il compositore di corte di re Tritone, il granchio Sebastian, ha composto una canzone che eseguiranno le figlie del re (Daughters of Triton). Tuttavia, la figlia minore, Ariel, non è lì; Ariel ha dimenticato il concerto perché era a nuotare intorno alla superficie ammirando il nuovo oggetto che ha trovato, una forchetta. È affascinata dal mondo umano (The World Above). Insieme al suo miglior amico, Flounder, Ariel fa visita a Scuttle, un gabbiano, e ai suoi compagni per chiedere cosa sono gli oggetti umani che trova in superficie ma loro le rispondono sempre erroneamente (Human Stuff).
    Altrove la strega del mare Ursula sta progettando vendetta contro suo fratello, re Tritone. Spiega di essere stata bandita dal palazzo perché ha usato la magia nera e ordina ai suoi servi Flotsam e Jetsam di tenere d'occhio Ariel pensando che potrebbe essere la chiave del ritorno al potere (I Want The Good Times Back).
    Quando Ariel ritorna al regno sottomarino viene sgridata da Tritone che detesta il mondo umano. Ariel va via, sconvolta, e Tritone assegna a Sebastian il ruolo di suo badante. Ariel si trova da sola nel suo "rifugio segreto" che contiene la sua collezione di cose umane e crede che gli umani non siano malvagi (Part of Your World).
    Ariel e Flounder decidono di andare in superficie per vedere passare la nave di Eric. Grimsby dice a Eric che deve trovare una sposa per diventare re. Una tempesta colpisce all'improvviso la nave ed Eric cade in acqua. Sta per affogare quando la sirenetta lo salva. Ariel si innamora di lui e vorrebbe trovare un modo per stare con lui (Part of Your World (Reprise)).
    Ariel ritorna a casa sua ma il suo comportamento è cambiato; questo fa pensare alle sorelle che sia innamorata (She's in Love). Sulla terra Eric è determinato a trovare la donna che gli ha salvato la vita, ma l'unico indizio che ha è la voce della ragazza. Gli viene un'idea: inviterà principesse straniere a cantare sperando di sentire quella voce tanto amata.
    Tritone scopre che Ariel ha salvato un essere umano e pensa che le possa succedere la stessa cosa orribile successa anni fa alla madre (The World Above (Reprise)). Tritone e Ariel litigano e il re usa il suo magico tridente, un'arma potentissima, per distruggere gli oggetti "umani" trovati dalla figlia. Sebastian arriva e cerca di confortare Ariel dicendole che il mare è molto meglio della terra (Under the Sea). Durante la canzone di Sebastian, Ariel e Flounder scappano. Flotsam e Jetsam lo bloccano e la convincono a chiedere aiuto alla loro padrona (Sweet Child).
    Ariel va da Ursula che le propone un patto: Ariel sarà trasformata in un umana per tre giorni, durante i quali dovrà dare a Eric il bacio del vero amore. Se lo farà sarà un'umana per sempre, in caso contrario tornerà a essere una sirena e apparterrà per sempre alla strega. Come pagamento la principessa darà la sua voce che la zia rinchiuderà nella sua conchiglia magica (Poor Unfortunate Souls). Ariel firma il contratto e diventa un'umana.
    Atto II
    Sebastian e Flounder portano Ariel a riva. Scuttle e i gabbiani le insegnano a usare le gambe umane (Positoovity). Pensando che Ariel possa essere attaccata dai gabbiani Eric li scaccia. Eric porta Ariel nel suo palazzo dove la badante Carlotta e le cameriere la lavano e la vestono. Ariel è affascinata dal mondo umano e le cameriere si chiedono perché il principe abbia portato una sconosciuta a palazzo (Beyond My Wildest Dreams). Quella notte lo Chef Louis cerca di cucinare Sebastian (Les Poissons/Les Poissons (Reprise)). Più tardi Eric insegna ad Ariel a ballare (One Step Closer). Nel frattempo Ursula decide di mandare Flotsam e Jetsam a impedire a Ariel di dare il famoso bacio (I Want The Good Times Back (Reprise)).
    Eric fa fare ad Ariel un tour per la città e poi decide di fare un giretto in barca. Sebastian e alcuni animali creano un'atmosfera romantica per i due (Kiss the Girl). Prima che riescano a baciarsi Flotsam Jetsam li fanno finire in acqua (Sweet Child (Reprise)). Il secondo giorno passa e la badante dice ad Ariel del concorso di canto che si terrà quel giorno con le altre principesse. Tritone è preoccupato per la scomparsa della figlia, Sebastian è in ansia perché il tempo sta per scadere ed Eric sogna ancora di trovare la ragazza che lo ha salvato (If Only). Sebastian e Flounder dicono al re del patto fra la sirenetta e Ursula e Tritone va a cercare la figlia.
    Il concorso si svolge (The Contest) ma Eric non trova la ragazza. Ariel sceglie in quel momento di ballare per lui. Ursula appare e inonda il castello dicendo che il tempo della sirena è scaduto.
    Re Tritone arriva per fermare la sorella. Tritone accetta di prendere il posto della figlia così che Ursula prende il tridente e si proclama regina (Poor Unfortunate Souls (Reprise)). Eric prende una nave nel tentativo di fermare la strega ma lei fa venire l'alta marea facendogli sbagliar strada. Mentre è distratta, Ariel afferra la conchiglia magica, riprende la sua voce e minaccia di rompere la conchiglia. Terrorizzati, Flotsam e Jetsam nuotano verso la salvezza. La sirena rompe la conchiglia decretando così la fine della zia.
    Tritone decide di ritrasformare Ariel in un'umana (If Only (Reprise)). Ariel ed Eric si sposano e vivranno per sempre felici e contenti (Finale).

    Differenze tra musical e film

    Nel musical non c'è lo squalo che appare nel film.
    La conchiglia magica di Ursula nel film è solo una collana.
    Nel musical Ursula è la sorella di Tritone.
    Nel musical il padre di Ursula e di Tritone è Poseidone.
    Under the Sea nel musical è stata cantata dopo che Tritone ha distrutto le cose umane di Ariel.
    Nel musical Ursula usa la conchiglia per vedere tutto invece che Flotsam e Jetsam.
    Vanessa non è presente nel musical.
    Il concorso di canto non è presente nel film.
    Ariel riprende la voce solo dopo essere tornata sirena nel musical.
    Nel film Flotsam e Jetsam vengono uccisi mentre nel musical scappano.
    Nel musical per distruggere Ursula basta distruggere la sua conchiglia.

    Brani musicali

    Atto I
    Overture
    Fathoms Below: Eric,Gimsby,marinai
    Daughters Of Triton: Figlie di Tritone
    The World Above: Ariel
    Human Stuff - Scuttle,gabbiani
    I Want The Good Times Back: Ursula,Flotsam,Jetsam,Murene
    Part of Your World: Ariel
    Storm at Sea
    Part of Your World (Reprise): Ariel
    She's In Love: Figlie di Tritone,Sebastian,Flounder
    Her Voice: Eric
    The World Above (Reprise): Tritone
    Under the Sea: Sebastian,creature del mare
    Under the Sea (Reprise): Sebastian,creature del mare
    Sweet Child: Flotsam,Jetsam
    Poor Unfortunate Souls: Ursula, Ariel
    Atto II
    Positoovity - Scuttle,gabbiani
    Beyond My Wildest Dreams: Ariel,cameriere,Carlotta
    Les Poissons: Chef Louis
    Les Poissons (Reprise): Chef Louis
    One Step Closer: Eric
    I Want The Good Times Back (Reprise): Ursula,Flotsam,Jetsam
    Kiss The Girl: Sebastian,animali
    Sweet Child (Reprise): Flotsam,Jetsam
    If Only: Ariel,Eric,Sebastian,Tritone
    The Contest: Grimsby,principesse
    Poor Unfortunate Souls (Reprise): Ursula
    If Only (Reprise): Tritone,Ariel
    Finale: Eric,Ariel



    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    Un buon pranzo giova molto alla conversazione.
    Non si può pensare bene, né amare bene,
    se non si è pranzato bene"
    (Virginia Woolf, Una stanza tutta per sè)


    TIME TABLE
    A TAVOLA NEI SECOLI

    dal 24 giugno al 18 ottobre 2015


    Nutrire il pianeta: il titolo dell'Expo di Milano è stato lo spunto per la mostra ideata da Palazzo Madama.
    Il cibo ma anche quel che ruota intorno al cibo: essere seduti intorno a un tavolo significa in primo luogo famiglia, stare insieme e condividere. Stando seduti a tavola si prendono decisioni importanti, si concludono affari e si determinano destini, nascono o muoiono amori.
    Dalla tavola di Re Artù a oggi, la mostra Time Table evoca, a partire dal gioco di parole del titolo, il tempo e lo spazio della condivisione che nelle società occidentali è rappresentato dalla tavola imbandita.
    Il percorso, ricco di spunti spettacolari, è articolato in sei tavoli principali, disposti radialmente intorno a un fulcro centrale come le lancette di un grande orologio che scandisce il tempo della storia e della memoria. Su ogni tavolo si dispongono gli oggetti ideati e creati in ogni tempo da artisti e artigiani per accompagnare i riti della convivialità: dalle umili ciotole graffite del Quattrocento, alle sofisticate allegorie dipinte della maiolica rinascimentale, fino al trionfo della porcellana e al colorato design della tavola borghese del Novecento.
    Piatti, tazze, zuppiere, fiasche, bottiglie, bicchieri, ma anche gallerie di manufatti meno noti, come i rinfrescatoi e il vasellame “a sorpresa”, o quelli destinati alla “sacra mensa”, dove si celebra il rito della rigenerazione dell’anima.
    Accanto alle stoviglie, sui “tavolini di servizio” altre opere evocano aspetti della vita quotidiana di ogni tempo, momenti particolari e diversi da quelli legati al cibo: strumenti musicali, giochi di società, abiti, elementi di arredo e, sempre presente, un orologio che scandisce il flusso del tempo.
    180 opere che appartengono in gran parte alle collezioni permanenti di arte decorativa di Palazzo Madama, proposte sul filo di un nuovo racconto che porta nel museo il sapore della vita vissuta in casa, intorno al fulcro simbolico della sua socialità: la tavola. (www.palazzomadamatorino.it/)


    Una mostra, laboratori, workshop e un gioco letterario su Twitter per esplorare l'affasci-
    nante universo della tavola attraverso i secoli. E' un vero e proprio viaggio nel tempo quello che prende il via il 24 giugno a Torino, nella Sala del Senato di Palazzo Madama, dove, fino al 18 ottobre, è allestita l'esposizione 'Time Table - A Tavola dei Secoli' ispirata al tema dell'Expo 'Nutrire il Pianeta'. Un allestimento per comprendere come, nella storia, il cibo e la tavola abbiano rappresentato, e continuino a rappresentare, il momento della condivisione, della convivialità ma anche delle decisioni importanti, quelle che spesso fanno la Storia con la S maiuscola. Sei tavole imbandite disposte intorno a un fulcro centrale come le lancette di un grande orologio che scandisce il tempo della storia e della memoria.
    E su ogni tavolo gli oggetti ideati e creati da artisti e artigiani per accompagnare i riti della convivialità: dalle ciotole graffite del Quattrocento, alle sofisticate allegorie dipinte della maiolica rinascimentale, fino al trionfo della porcellana e al colorato design della tavola borghese del Novecento. Centottanta le opere presentate nell'allestimento progettato da Roberto Piana con Studio2fashion, appartenenti in gran parte alle collezioni permanenti di arte decorativa di Palazzo Madama e sistemate sugli Air Table di Lago. Il viaggio parte dalla 'Civiltà delle corti. La tavola del Medioevo' e si snoda attraverso 'L'eccellenza italiana. La tavola del Cinquecento', 'Il fascino dell'Oriente. La tavola del Seicento', 'Il lusso della porcellana. La tavola del Settecento', 'Ritorno all'ordine. La tavola dell'Ottocento', 'Colore e design. La tavola del Novecento'. Tre gallerie tematiche sono invece dedicate all'altare, con una scelta di vasi e suppellettili sacre destinate all'apparecchiatura della 'mensa del Signore', a zuppiere e rinfrescatoi, e all'arte del bere. In mostra anche i 'tavolini di servizio' con strumenti musicali, giochi di società, abiti ed elementi di arredo.
    Molti gli oggetti di Palazzo Madama mai esposti al pubblico, come lo stipo impiallacciato di ebano e avorio, il raro mandolino seicentesco, la tavola per il gioco del biribissi decorata a 'lacca povera' e un abito stile Impero restaurato per l'occasione (Ansa)




    FESTE e SAGRE





    In natura non ci sono né ricompense né punizioni:
    ci sono conseguenze.
    (Robert Green Ingersoll)


    L'INVASIONE dei FICHI d'INDIA in AUSTRALIA



    I fichi d’India sono originari delle Indie occidentali. Le coltivazioni di fichi d’India furono considerate altamente redditizie dato che sono parassitate da insetti chiamati cocciniglie (Dactylopius coccus), da cui si produceva un colorante estremamente pregiato, il rosso carminio. Uno dei principali usi del rosso carminio nei paesi del Commonwealth era di tingere di rosso le giacche dei soldati e dell’Impero Britannico. Il colorante era cosi’ prezioso da essere quotato nelle borse di Londra ed Amsterdam.

    Nel 1787, il Capitano Arthur Phillip fu posto a capo della “Prima flotta”, una epica spedizione 11 navi che portava un migliaio di forzati, uomini e donne, a costituire il primo insediamento dell’uomo bianco in Australia, nella Botany Bay. Durante il viaggio la flotta si fermò in Brasile per approvvigionarsi e il capitano carico’ a bordo alcune piante di Opunzia infestate di cocciniglia, sperando di fornire una risorsa di valore nella nuova colonia. Le piante attecchirono bene in quello che sarebbe diventato il Nuovo Galles del Sud. L’idea dell’industria della cocciniglia in Australia fu di Sir Joseph Banks, un botanico a cui si deve l’introduzione degli eucalipti in Europa e l’esplorazione dell’Africa nera.
    I fichi d’India portati in quel viaggio erano gli Opuntia vulgaris, una pianta che ancor oggi cresce lungo le coste del Nuovo Galles del Sud da cui non è avuto nessun danno.

    In Australia, il disastro fu causato da altre due specie di fico d’India, Opuntia stricta e Opuntia aurantiaca, di cui è sconosciuta la provenienza. All’inizio del XIX secolo queste piante erano coltivate nel distretto di Parramatta, molto vicino al primo insediamento della Prima Flotta. Le piante venivano utilizzate come foraggio per il bestiame. Nel 1848 la pianta fu portata nel Queensland per piantarla come albero da frutto e per farne siepi.
    L’opunzia si acclimatò e, con l’aiuto dell’uomo e dei suoi frutti saporiti, cominciò a diffondersi. Per evitare la diffusione eccessiva i frutti venivano gettati dai coloni che pensavano cosi’ di distruggerli. Quale miglior occasione per la pianta per diffondersi così lontana da qualunque parassita, malattia o predatore.
    Tra il 1900 e il 1930 l’opunzia invase oltre 25 milioni di ettari, una superficie pari quasi all’Italia, espandendosi in maniera impressionante – circa mezzo milione di ettari all’anno. La pianta formò inestricabili foreste spinose dove nessun animale si adattò a vivere. Le piante indigene sparirono. In circa 80 anni produsse una biomassa pari a 1.5 miliardi di tonnellate; le fattorie furono abbandonate, il bestiame spostato altrove. Il successo di crescita dell’opunzia era dovuto al suo particolare metabolismo, che concentra la CO2 e consente una crescita molto piu’ veloce, grazie ad alcune modifiche nel processo di fotosintesi.
    Fu costituita la “Commissione di distruzione del Fico d’India” con pieni poteri. Nel 1886 fu emanato il primo “Atto di Distruzione del Fico d’India del Commonwealth”, che obbligava i proprietari terrieri e i contandini a distruggere le piante, sotto sorveglianza di ispettori. Il tutto non servi’ a nulla, nel 1924, la crescita delle opunzie erano completamente fuori controllo e al massimo dell’espansione. Siccome la distruzione meccanica delle piante non servì a nulla, gli australiani ricorsero alla guerra chimica con una mistura di pentossido di arsenico in ebollizione sulle piante. Come misura precauzionale, per limitare la diffusione dei semi, fu emanata anche una taglia contro gli uccelli che si cibavano dei frutti, tipo emu’, corvi e gazze australi, se fossero sopravvissuti all’arsenico.

    Anche la guerra chimica non portò a risolvere il problema. La botanica australiana Jean White-Haney fu incaricata dalla Commissione di trovare un rimedio all’invasione aliena e le fu affidata la ricerca per trovare un veleno che potesse distruggere le piante; condusse circa 10.000 diversi tentativi di avvelenamento delle piante. La White-Haney dopo studi, propose allora di usare la cocciniglia Coccus indicus, per debellare le opunzie. Ci riusci’ con la specie Opuntia monacantha, che fu annientata dalla cocciniglia, ma non con le altre specie. Bisognava capire come mai la pianta non era infestante nei paesi d’origine e lo era in Australia. Bisognava trovare i suoi nemici. Circa una decina di anni piu’ tardi, si trovò il nemico dell’Opuzia, una farfallina sud americana piccola e irrilevante, la Cactoblastis cactorum. Il ciclo vitale di questo lepidottero e’ incentrato sull’opunzia: le femmine sessualmente mature rilasciano all’alba feromoni sulle piante di opunzia e attirano i maschi. Dopo l’accoppiamento e un periodo di incubazione interna, la femmina depone una novantina di uova incollandole tra loro in modo da formare una struttura che sembra una spina del fico d’india. Dopo 23-28 giorni di incubazione nascono le larve che scavando nel fusto della pianta, la consumano dall’interno protette dalle spine del loro ospite. Dopo alcune mute raggiungono dimensioni di circa due, tre centimetri, uscendo dalla pianta si lasciano cadere per terra, dove si impupano alla base. L’insetto alato nascerà e infesterà altre piante che moriranno o saranno seriamente danneggiate.
    Prima di rilasciare ben 2 milioni di uova, furono condotti diversi test per sapere se avrebbe potuto avere effetti negativi sul resto dell’ecosistema, ma la farfallina colpiva solo l’opuzia infatti dove non c’è presenza della pianta lei non vive. La farfallina in Australia risolse il grande problema tanto che nel 1925 fu introdotta anche in altri paesi dove c’era un problema analogo: Africa (Mauritius, Sant’Elena , Sud Africa, Tanzania), India e Pakistan, e i Caraibi.
    (tratto da un articolo de "L'orologiaio miope")

    (Gabry)





    TIPI DI BALLO!!!




    Rock and roll acrobatico




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    Il rock and roll acrobatico è un genere di danza sportiva molto competitiva che si originò negli Stati Uniti attorno al 1955. Tale tipologia di ballo nasce dal più famoso Lindy Hop tuttavia, a differenza di quest'ultimo, il Rock'n'Roll è coreografato; progettato per gare e competizioni si balla sia in coppia che in formazione (squadra formata dalle 4 alle 8 coppie).


    Storia
    Mentre andava sviluppandosi il genere musicale rock iniziarono quasi contemporaneamente a essere create delle danze che potessero essere ROCK%201%200001accompagnate da tale tipologia di musica. La prima di queste fu il famoso Swing (1920 circa) che si evolse poco tempo dopo nel Lindy Hop il primo ballo, che poteva essere ballato in coppia, ad avere degli elementi acrobatici. Quest'ultimo fu ulteriormente modificato attorno al 1940 in quanto vi era la necessità di ballare seguendo musiche più veloci e ritmate; e così, poco tempo dopo, fece la sua comparsa lo stile che oggi noi chiamiamo Boogie-woogie. Quando infine, attorno al 1955 appunto, la musica rock and roll riuscì a diventare famosa più di ogni altra sua concorrente, il Boogie-woogie si trasformò definitivamente e per l'ultima volta in una danza più movimentata e competitiva, l'attuale Rock'n'Roll acrobatico.

    Tecniche e Passi base
    Il passo base (o famigliarmente chiamato "Base") del Rock'n'Roll Acrobatico attualmente conta 6 tempi e presenta il classico Kick Ball Change che consiste, mentre la prima gamba sta calciando, in un trasferimento parziale del peso corporeo sulla punta del piede della seconda; viceversa il secondo calcio sarà dato dalla gamba inizialmente "portante" mentre la gamba "calciante" avrà stavolta il compito di sostenere il corpo (un sorta di "cambio" di gamba appunto come dice il nome). Ma ciò che caratterizza davvero questo ballo è appunto la particolare calciata di cui è già stato detto qualcosa: i calci devono essere dati in avanti in maniera secca e decisa, solitamente l'uomo verso l'esterno (partendo con la gamba sinistra) mentre la donna verso l'interno (partendo con la gamba destra); nel fare ciò la coscia non deve subire alcun "rinculo" verso l'alto e soprattutto nella parte finale dell'esecuzione, quando si appoggia la gamba a terra, quest'ultima non deve andare fuori asse (cioè più indietro rispetto all'altro arto).

    Per quanto riguarda la già citata base la composizione dei tempi è la seguente: 1-2 corrisponde al primo calcio, 3-4 al secondo, 5 al terzo e infine immediatamente dopo 6 al caratteristico Doppio Passo con il quale il/la ballerino/a chiude, se esegue solo la base sul posto, o avanza di un paio di centimetri verso il partner, se esegue il Passaggio (altro passo fondamentale con il quale i due ballerini si scambiano le posizioni); in quest'ultimo caso la distanza percorsa non deve essere eccessiva perché altrimenti si ha l'impressione che i componenti della coppia si girino attorno vicendevolmente. In realtà comunque i tempi dovrebbero essere 7 ma siccome tra il 5 e il 6 il tempo è così breve che si riduce ad un mezzotempo molti insegnanti e ballerini professionisti al posto di contare 5-6 e poi 7 aggiungono un "e" tra i due tempi (in pratica 5 e 6). Infine a causa dell'elevata velocità dei passi per ballare in maniera ottimale i maestri consigliano solitamente ai giovani ballerini di danzare molleggiando sulle mezzepunte, cosa che facilita e velocizza di molto il già citato Kick Ball Change.




    (Lussy)





    salute-e-benessere

    Salute e benessere



    interno-modificato

    TERME DI LIGNANO SABBIADORO


    Lignano Sabbiadoro permette di trascorrere allo stesso tempo divertenti vacanze al mare e rigeneranti soggiorni alle Terme all’insegna del relax. Situata esattamente a metà strada tra Venezia e Trieste, la penisola di Lignano Sabbiadoro si sviluppa tra l'ampio letto del fiume Tagliamento, le tiepide e sicure acque dell'Adriatico - con fondali bassi e senza pericoli anche per i bambini e i meno esperti nel nuoto - e la suggestiva laguna di Marano.
    Oltre otto chilometri di spiaggia finissima (profondità da 80 a 150 m.) fronteggiano il mare e lo separano da una rigogliosa pineta, che in gran parte ricopre ancora il territorio, dove la struttura urbanistica è stata inserita senza vanificarne le caratteristiche.

    La penisola lignanese è divisa in tre zone:

    Lignano Sabbiadoro, vivace e spensierato centro dove si trovano i principali uffici, alcuni dei migliori negozi e, naturalmente, alberghi, ville, appartamenti, campeggi, impianti sportivi, locali notturni e porti turistici.

    Lignano Pineta, zona elegante e tranquilla, con l'originale urbanistica a spirale, dove le ville e gli alberghi sono seminascosti tra il verde, in un saliscendi di dolcissime dune. Malgrado le gravi alterazioni - fattesi più clamorose in questi ultimi anni - Lignano Pineta rimane un notevole esempio di urbanistica moderna e passeggiare per le sue strade, ammirare le originali ville immerse nel verde, è ancor oggi cosa che suscita curiosità.
    In mezzo ai pini che fiancheggiano la strada che porta da Sabbiadoro a Pineta, è stata recentemente posta la graziosa piccola Chiesa votiva di S. Maria, fino a pochi anni fa sita in località Bevazzana, sul Tagliamento, poi, per impedire che le periodiche piene del fiume continuassero a danneggiarla, tagliata a pezzi e rimontata appunto a Lignano (anche per dare maggior lustro alla cittadina balneare).

    Lignano Riviera, anch'essa immersa nel verde dei pini, offre oltre ad una vacanza di tutto riposo, strutture importanti quali le Terme Marine di Lignano, il Parco Zoo Punta Verde, il campo da golf a 18 buche, ormai entrato di diritto nel circuito delle competizioni internazionali, e moderni porti turistici.
    Le Terme, situate nella parte più elegante della cittadina, e circondate dal mare, offrono alla propria clientela, oltre ai servizi tradizionali, anche programmi innovativi di trattamento nel campo dell'estetica grazie al nuovo Centro di Medicina estetica coadiuvato da uno staff di specialisti.


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    A partire dagli anni ’60 sono state sviluppate una serie di attrezzature che sfruttano le proprietà dell’acqua marina, debitamente trattata e riscaldata. Così le Terme di Lignano si sono specializzate e affermate nel trattamento dell’apparato respiratorio e di quello scheletrico-muscolare, grazie anche all’utilizzo della sabbia e delle alghe. Inoltre il centro si occupa di:

    dietoterapia attraverso trattamenti personalizzati per la cura delle obesità e magrezze (il centro ha trattato in 7 anni di attività oltre 650 casi di obesità e 10 casi di magrezze sottopeso, 205 casi di PEFS e casi di ipotiroidismo idiopatico con ottimi risultati);
    trattamenti estetici del viso e del corpo mediante trattamenti anti-age, rassodanti ed idratanti con tecniche di fisiomassaggio, linfodrenaggio ed ultrasuoni.



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    Le Terme offrono anche, grazie a personale altamente specializzato, trattamenti di Talassoterapia quali Sabbiature, Idromassaggio in acqua di mare/vasca ed Idromassaggio con ondapress in acqua di mare.
    La talassoterapia è una metodica terapeutica che sfrutta l'azione sinergica di fattori ambientali e climatici (clima marino, elioterapia) e fattori "crenoterapici" (psammatoterapia, balneoterapia con acqua di mare, etc.).
    E' una terapia che utilizza le risorse terapeutiche dell'ambiente marino nella sua totalità: il clima, la sabbia e l'acqua di mare.

    Per quanto riguarda le terapie che utilizzano l'acqua del mare il centro termale offre:

    inalazioni, aerosol, irrigazioni, nebulizzazioni con acqua di mare o di Tabiano;
    aerosol sonico;
    docce nasali micronizzate;
    esame audiometrico;
    idromassaggi in vasca con acqua di mare;
    esame impedenziometrico;
    insufflazioni endotimpaniche;
    lavaggio auricolare.


    Nell’Istituto Talassoterapico di Lignano, oltre all’acqua di mare salsoiodica, vengono utilizzate le alghe e la sabbia. Queste terapie sono molto indicate nella cura di patologie dell’apparato locomotore, respiratorio, nelle patologie e agli inestetismi cutanei, nelle patologie artroreumatiche e nelle patologie croniche delle altre vie respiratorie.


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    Tempo libero: turismo naturalistico

    Un soggiorno alle Terme di Lignano potrebbe essere una spendida occasione per visitare la suggestiva Laguna di Marano, che lambisce il versante occidentale della penisola. Essa costituisce un'area di eccezionale bellezza paesaggistica e un raro ecosistema di grande valore naturalistico e ambientale per la sua fauna ricca di specie anche rare, per la tenace vegetazione palustre e per la singolarità degli insediamenti temporanei dei pescatori, i pittoreschi "casoni" di canne palustri, nei quali si possono ancora riconoscere tracce dell'antica cultura materiale della laguna, testimonianza di modi di vita le cui origini e modelli si perdono nel tempo. La laguna conserva, nel suo arco frastagliato di isolotti e darene, le vestigia di una storia antica, ancora visibili nel pregevolissimo nucleo veneziano di Marano, tradizionale paese di pescatori che fin dagli inizi dell'Ottocento è stretto all'interno delle sue mura di fortezza. Nella Laguna di Marano, attraversata da una fitta rete di canali, si gettano alcuni fiumi di risorgiva, ricchi d'acqua e parzialmente navigabili fin dentro la pianura della Bassa Friulana caratterizzata da terreni agricoli dalle geometrie regolari e un po' monotone, da una solenne semplicità di forme e da larghi spazi e orizzonti.



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    Da: benessere.com
    foto:rete.comuni-italiani.it
    - sil-lignano.net
    - vacanze-viaggi.myblog.it
    - hotelcarla.lignano.it
    - allwebitaly.biz


    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    Le nuove....ARTI

    «Don’t be afraid, it’s only marble»

    Corinna Natalia Balloni


    Le opere di Corinna riproducono in tutto e per tutto, in maniera straordi-
    naria, gli effetti della tecnica giappo-
    nese degli origami su carta, ma sono realizzate in pregiato marmo statuario e paonazzo. Sono leggerissime, sottili tanto da sembrare carta, a tratti trasparenti, delicate e impalpabili e rappresentano le classiche icone degli origami giapponesi: il coniglio, simbolo di immortalità e sacrificio, la barca, distacco dalla realtà e delle cose terrene, il pavone, regale e puro di intenti, il colibrì, simbolo dell’amore per la vita.
    Non è soltanto semplice riproduzione di piccoli fazzoletti di carta, seppur difficile, nella spasmodica ricerca della perfezione, dell’impalpabilità, della trasparenza e dell’armonia delle forme; è anche studio della «tradizione orientale- spiega Corinna- che attribuisce un grande potere al concetto sacro degli origami. Sono legati- continua l’artista- alla religione shintoista, e affondano le loro radici nella letteratura popolare. Persino la grammatica ne rileva il carattere eccezionale: la parola stessa deriva dall'espressione O-ri, letteralmente "piegare", e Kami che, ovviamente, significa "carta"; gli oggetti riprodotti hanno in loro un significato profondo legato a doppia mandata alla pronuncia molto simile che le parole carta e dio condividono nella lingua giapponese. Sono rimasta affascinata dagli origami che hanno in loro un sacro potere, tradotto in capacità taumaturgiche non indifferenti».
    C’è poi l’idea di un qualcosa di sottile, delicato, laddove la carta degli origami risulta quasi setosa, da riportare al marmo, pietra dura e invincibile che le deve assomigliare.«Una bella sfida partita per caso- continua l’artista- con l’obiettivo di guardare sempre oltre, di non fissarci con le ovvietà; trasformare il marmo in sculture origami è a tutti gli effetti una sfida che ha dell'incredibile, dove volontà e difficoltà si intrecciano continuamente in una lotta serrata». Sembrava quasi un’operazione impossibile da riprodurre nel marmo, quella di piegare e ripiegare la carta, ma Corinna c’è riuscita e porterà a Milano, in via Montegrappa, location dell’ambito Fuori Salone, la sua “Origami evolution” . «Da secoli il marmo rappresenta il nostro paese, nelle sue opere più riconosciute e monumentali - si legge nel comunicato diffuso per Origami Evolution dai due artisti-; abbiamo il compito di raccontare storie, idee, oggetti attraverso questa difficile pietra e l'esaltazione di un "made in Italy" che da secoli ci differenzia». Marmo e soprattutto arte che ancora una volta ben rappresenta lo spirito creativo, artistico come artigiano, della nostra terra.
    (Manuela D'Angelhttp://iltirreno.gelocal.it/)

    TJALF SPARNAAY


    Uova fritte, patatine fritte, panini e bottiglie di ketchup, bambole Barbie, marmi e foglie autunnali. L'artista Tjalf Sparnaay porta questo tipo di soggetti banali nel telaio. Tjalf Sparnaay documenta non solo la realtà, ma intensifica soffiando su oggetti di uso quotidiano a proporzioni mega. Questo gli dà la possibilità di esplorare ogni dettaglio molto attentamente e sezionare strato per strato, al fine di arrivare al nocciolo del soggetto. "I miei quadri," sostiene Sparnaay, "sono destinati a permettere allo spettatore di sperimentare ancora una volta la realtà, per scoprire ancora una volta l'essenza dell'oggetto, che è diventato così comune. Voglio tornare al DNA della struttura universale in tutta la sua bellezza. Io lo chiamo "la bellezza dell'ordinario '." Il modo in cui procede Sparnaay direttamente si riferisce al XVII secolo. Nel suo colore lucida e occhio per i dettagli e la raffinatezza Vermeer lui si avvicina, mentre l'illuminazione nei suoi dipinti si riferisce al gioco di luci e ombre nel lavoro di Rembrandt. Sparnaay si basa sulla ricca tradizione seicentesca olandese ancora vita, ma lo fa in modo unico e contemporaneo. Egli è sempre alla ricerca di nuove immagini, mai dipinte. Che trova nel suo ambiente "

    EMILIO COSTANZO


    Emilio ha iniziato per gioco quello che in pochi mesi è diventata una grande attrazione su YouTube. In breve tempo ha raccolto una notevole quantità di gratta e vinci “perdenti” e, tra un cartoncino e l’altro, si è gradualmente avvicinato al mondo degli origami (l’arte di piegare la carta); ha così dato vita a curiosi oggetti di svariate dimensioni, le cui forme richiamano un fiore, un cesto, cornici, uno scooter, frutti, animali, cannoli siciliani, fino a riprodurre anche opere d’arte di fama mondiale.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    LO STRAMONIO



    Lo stramonio comune (Datura stramonium L.) è una pianta a fiore apparte-
    nente alla famiglia delle Solanacee. Come altre specie del genere Datura è una pianta altamente velenosa a causa dell'elevata concentrazione di potenti alcaloidi, presenti in tutti i distretti della pianta e principalmente nei semi.

    E' una pianta erbacea a ciclo annuale, può raggiungere anche i due metri. Lo stramonio cresce nelle regioni sub-tropicali e nei climi temperati ed è diffuso in America, Asia ed Europa. In Italia, questa specie si trova naturalizzata in tutte le regioni, dalle pianure alle zone sub-montane, dove cresce sporadica negli incolti, vicino ai ruderi e nei margini delle strade.
    Presenta una radice a fittone, fusiforme, e un fusto eretto, con biforcazioni ramose; le foglie sono semplici e alterne, di grandi dimensioni, picciolate, con lamina ovale, base asimmetrica e margine dentato-frastagliato. I fiori sono ermafroditi, lunghi fino a 10 cm e solitari, presenti nelle zone terminali e nelle ascelle dei vari rami. Il calice è di forma allungata e composto da 5 sepali a lobi saldati; da questa si sviluppa una corolla bianca, a volte con sfumature violacee, di forma tubulare, a 5 petali saldati, acuminati e pieghettati.
    La fioritura avviene tra luglio ed ottobre; i fiori rimangono chiusi durante il giorno per poi aprirsi completamente la notte, emanando un intenso e penetrante odore che attira le farfalle notturne; l'impollinazione è infatti entomofila . Il frutto è una capsula globosa, divisa in 4 logge, della grandezza di una noce ed irta di spine; al suo interno si trovano numerosi semi neri e reniformi, lunghi circa 3 mm.

    ...Storia, miti e leggende...


    La sua origine è incerta, ma le sue proprietà erano già conosciute dagli indigeni sia del Nuovo che del Vecchio Mondo.
    I nomi erba del diavolo ed erba delle streghe si riferiscono alle sue proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene, utilizzate sia a scopo terapeutico che nei rituali magico-spirituali dagli sciamani di molte tribù indiane. L'uso della Datura è estremamente pericoloso in quanto la dose attiva di alcaloidi allucinogeni è molto vicina alla dose tossica. In tempi remoti veniva spesso usata per il suicidio e l'omicidio. L'exitus avviene tramite la paralisi della muscolatura respiratoria. Data la grande adattabilità, la datura era conosciuta sia in Europa, che nelle Americhe. Gli Aztechi fin dai tempi più remoti, la utilizzavano nei riti iniziatici e in altri tipi di cerimonie religiose per indurre stati di euforia ed esaltazione. Era utilizzato in molte culture come pianta necessaria per la divinazione. Lo stregone, dopo aver ingerito foglie o semi triturati, cadeva in uno stato di trance durante il quale veniva posseduto dagli spiriti. Al risveglio, annunciava a tutta la popolazione i messaggi che gli erano stati svelati durante il sonno allucinatorio. Durante riti di iniziazione, lo stramonio era utilizzato come mezzo per ottenere visioni della vita futura dei ragazzi che passavano dalla giovinezza alla vita adulta. In alcuni riti notturni africani, lo stramonio veniva fatto ingerire a ragazze filatrici di cotone, che riuscivano poi a essere sedate solo da un battitore di tamburo che le induceva a ballare una danza liberatoria.
    Presso alcune popolazioni indiane, parti della piana venivano considerate fondamentali, mischiate ad altri ingredienti, per la preparazione di un potente afrodisiaco che veniva utilizzato per amplificare ed accelerare il piacere femminile.

    Conosciuto fin dai tempi era tra le più rinomate piante della stregoneria medioevale, veniva chiamata "erba del diavolo", "erba dei demoniaci", "erba delle streghe". I suoi semi erano utilizzati dai maghi per le proprietà narcotiche, per le visioni fantastiche che provocavano e per il presunto potere afrodisiaco, maghe e profetesse usavano bruciare la pianta per poter inalare i vapori ottenendone un effetto narcotizzante. Alcune credenze popolari narrano di come lo stramonio possa essere utilizzato per riconoscere streghe e stregoni: se venisse posta una pianta con fiore e frutto sul davanzale di una finestra, la strega che si trovasse a passar da quelle parti, non riuscirebbe più ad allontanarsi, catturata dall'odore irresistibile.
    Spesso i ciarlatani usavano questa pianta per creare effetti tossici e malessere su persone a cui, ovviamente, tentavano di vendere miracolosi e, soprattutto, costosi rimedi.
    Thomas Jefferson ( Presidente degli U.S.A.) fu testimone del fatto che all'epoca di Robespierre i francesi condannati alla ghigliottina, preparavano con lo stramonio un veleno che causava una morte rapida, evitando così di finire sul patibolo.


    Molto spesso sentiamo parlare di piante "medicinali" e piante "velenose", piante buone o cattive, secondo un vezzo, del tutto umano, di distinguere ciò che ci circonda in soggetti utili o meno a noi stessi. In realtà quando dividiamo le piante secondo queste categorie commettiamo un grosso errore di superficialità e di presunzione, fondati sull’assunzione di superiorità della nostra specie rispetto a tutto il resto dell’ambiente naturale che, al contrario, si è evoluto in genere molto prima di noi. E’ del tutto evidente che non esistono in natura piante utili o piante dannose, ma è l’uso più o meno corretto che ne viene fatto da parte dell’uomo che determina il grado di pericolosità o di utilità di una pianta.

    Della pianta vengono mangiati i semi o i fiori, talvolta utilizzati assieme alle foglie in forma di tisana.
    Gli usi della Datura stramonium nella tradizione indoeuropea, secondo quanto riportato da Pierre Derlon, erano i più vari:
    « Quando dopo lunghe ricerche e discussioni il capo si decideva finalmente per un campo di sosta adatto per i giorni seguenti, lo circondava, buttando il seme della toloche come linea di demarcazione » - rituale la divulgazione della Datura stramonium sui terreni ruderali. -« Quando era presente in una grande festa della tribù un "kaku" (saggio) di buon umore, dava nel vino un po' di semi pestati della toloche »..« Ai bambini che del terrore notturno non potevano trovar sonno e piagnucolavano senza sosta, la "guaritrice" della tribù applicava una supposta di un pezzo di foglia grande come la metà di un francobollo » - Un metodo drastico ma efficace e senza rischio, perché applicata dalla guaritrice (mai da un profano), che conosceva a fondo le particolarità individuali dei suoi pazienti e, quindi, quando applicarla e quando no. -« Agli adulti in profonda depressione, la guaritrice preparava una pozione: 12 semi di toloche schiacciati nel mortaio, bagnati con una goccia di succo di limone (o aceto) e poi coperto con un bicchiere di vino rosso una volta al giorno »…« Alle persone con il respiro sibilante (asma), la guaritrice preparava le sigarette composte metà da tabacco e metà da foglia di toloche. In un attacco bastava qualche tiro » -l'inalazione di queste sostanze rilassa la muscolatura dei bronchi, facendo cessare, così, l'attacco asmatico.

    In medicina popolare, la datura veniva usata solo contro l'asma con una preparazione da vecchia tradizione farmaceutica Lo stramonio comune (Datura stramonium L.) è una pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Solanacee. Come altre specie del genere Datura è una pianta altamente velenosa a causa dell'elevata concentrazione di potenti alcaloidi, presenti in tutti i distretti della pianta e principalmente nei semi.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    GIUGNO


    E' arrivato Giugno

    IL CIELO al mattino è terso e il sole scotta.
    NEI CAMPI il contadino miete e riempie il suo granaio. La buona terra ha premiato la sua fatica.
    Ma il suo lavoro non è finito; dovrà lavorare ancora per la monda e il trapianto del riso
    e per la sarchiatura del granoturco.
    SULLE PIANTE stride la cicala, fra le erbe
    si alza il cri-cri del grillo canterino e, la sera comincia il passaggio aereo delle lucciole
    con le loro lucine gialle. La campagna è piena d'insetti che divorano e si divorano a vicenda.
    IL FRUTTIVENDOLO ha ingombrato con
    le sue ceste di ortaggi e di frutta, anche il sentiero
    o il marciapiede. Ha messo fuori delle ciliegie,
    delle amarene e delle albicocche che fanno venire
    l'acquolina in bocca.
    IL GIARDINO è pieno di fiori e di verde.
    Ci sono rose, gerani, fiordalisi, tulipani, oleandri
    e genziane. Tutti i giorni ne fioriscono.
    A SCUOLA si attendono le vacanze, le grandi vacanz della calda Estate.
    Non si parla d'altro e non si scrive d'altro.
    Ancora pochi giorni - dice la mamma...
    Ancora pochi giorni - dice il maestro...
    Poi la pagella e, addio scuola!
    IN CITTA si parte. - Si va al mare, si va ai monti, si va in campagna e, c'è chi va a giocare
    sui prati della periferia, come Giorgio, Sandro e Pinuccio.
    I bar hanno messo i tavolini all'aperto con gli ombrelloni colorati e le sedie.
    Qualche bambino corre al bar e torna adagio adagio, succhiando un
    buon gelato di panna e limone.


    (Dal Web)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Hoang Long Ly

    Nessuno può fischiettare una sinfonia.
    Ci vuole un’intera orchestra per riprodurlo.

    (HE Luccock)

  2. .
    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Alice e la famiglia delle meraviglie

    La famiglia Allegrotti aveva un bimbo di nove anni, dopo di che non erano venuti altri figli. Fabio il loro piccolo, francamente non si era mai lamentato per essere un figlio unico, né aveva mai sentito la mancanza di un fratello. Aveva molti amici fra i compagni di scuola, frequentava i giardinetti del quartiere, giocava a calcio, si divertiva a strimpellare la chitarra, ed iniziava ad osservare incuriosito e quasi con galanteria le sue compagne di scuola.
    Marta, sua madre, era veterinaria e sempre in continuo contatto con gli animali, ed il padre, Bernardo, era macchinista e guidava treni. Avevano una bella casa con giardino ed una gatta bellissima: Penelope.
    Marta e Bernardo erano una coppia felice, ma a quarant’anni sorse in loro l’esigenza di adottare una bambina.
    Ne parlarono con Fabio, il quale all’inizio, si trovò un po’ contrariato. Ormai si era abituato ad essere senza fratelli, questa bimba, che avrebbe dovuto chiamare “sorella”, forse arrivava in un momento in cui Lui, proprio non sapeva che farne, non conoscendo appunto il valore di questo dono.
    Ci volle un po’ di tempo e, tante scartoffie da leggere e firmare, finché, finalmente, arrivò una bambina da un lontano paese dell’Est.
    La piccola per la verità si chiamava Alika, ma a loro, a prima vista, parve Alice. Bellissima, biondissima, con trecce lunghe, lentiggini ed occhi azzurri, e quello fu per sempre il suo nome.
    In pochi mesi Alice imparò la lingua e fece anche molto presto ad occupare la sua stanza invadendo anche quella di Fabio, divenuto miracolosamente paziente e comprensivo, a parte qualche tirata di treccia.
    La famiglia Allegrotti però, non era affatto una famiglia comune, infatti i tre nascondevano un bizzarro “segreto” senza che fra di sé ne fossero a conoscenza, per il semplice motivo che loro ritenevano la particolarità, una cosa normalissima ma strettamente privata.
    Marta, ad esempio conosceva il linguaggio dei pennuti, specie quello dei merli.
    Lavorava spesso con questi pennuti e la prima volta che si accorse di questa singolarità, fu nella cura prestata ad un’ala del pennuto di nome Pepe, le ci volle molto tempo per aiutarlo a guarire, ma alla fine il merlo tornò a volare come nuovo e Pepe per “riconoscenza” le ripeteva fino alla noia un motivetto imparato udendo la radio che si trovava nell’ambulatorio.
    Un giorno, però, successe qualcosa di più, Marta stanca d’ascoltare in continuazione quel motivetto esclamò ad alta voce: -Pepe, non ne posso più fa’ silenzio!-.
    Immediatamente nella stanza calò la quiete più assoluta. Il merlo pareva diventato muto, e quando in seguito Marta lo interrogò sul suo silenzio, Pepe le rispose che era stata Lei a chiederglielo.
    La donna rimase allibita per la risposta a tono, ma considerando la sua “particolarità”, si strinse nelle spalle, tenendo per sé il segreto per non essere presa per folle perfino dai membri della sua famiglia.
    Bernardo invece era un vero romantico, lui sapeva ascoltare le stelle. Mentalmente parlava con loro, e passava il dopo cena a consultarle appagato dalle loro risposte.
    Le stelle gli dicevano che il cielo era un immenso prato blu, dove loro, assieme alla luna, ascoltavano tante confessioni, conoscevano tanti segreti, avevano visto odio e amore, amore e odio, e quando il cielo si incupiva, i temporali, le bufere, si avvicinavano, loro si nascondevano dietro le nuvole gonfie d’acqua, la loro luce non si spegneva, ma rimaneva nascosta, e se il vento fosse venuto in loro aiuto, come spesso faceva, loro sarebbero apparse di nuovo in tutto il loro splendore.
    E Fabio? Beh, anche lui aveva la sua particolarità e se ne era reso conto fin da piccolissimo. Adorava sparpagliare tutti i suoi giochi nella stanza, faceva scendere dallo scaffale i pupazzi di peluche, ci giocava, prendeva pennarelli, disegnava sugli album e quando poi la stanza era diventata un bazar…, con gli occhi, in silenzio, guardando oggetto per oggetto, questi tornavano a posto da sé. La mamma non era mai riuscita a capire come facesse a rimettere perfettamente tutto a posto in così poco tempo. Entrava nella stanza, rimaneva imbambolata dal disordine, e gli diceva:
    -Fabio, la cena è pronta fra un quarto d’ora, rimetti tutto a posto!-.
    Fabio rispondeva: -certo mamma, come sempre-.
    Chiudeva di nuovo la sua porta e quando era il momento di sedersi a tavola la stanza era ordinatissima.
    Marta si limitava a dire: sei bravissimo.
    Certe volte, quando la mamma era stanca o stava poco bene, alla cucina ci pensava Fabio con il suo metodo o potere.
    Nessuno dei tre, però conosceva le straordinarie “qualità” dell’altro, fino a che non arrivò Alice che unì, ovviamente senza saperlo, questi tre poteri assieme.
    Alice non aveva mai conosciuto i suoi genitori e aveva vissuto fino a quel momento con una vecchia zia in un luogo sperduto dell’Est. Dotata di fantasia era cresciuta assieme a tanti amici immaginari, a quel poco che la natura le poteva offrire di giorno, a parte la tanta neve, e a quello che poteva trovare nelle notti stellate guardando col naso all’insù, e nelle notti di pioggia, amava aprire un piccolo spiraglio della finestra, mettere una bottiglietta di vetro e raccoglierci l’acqua piovana. La mattina la versava nelle piante che si trovavano nel soggiorno; ed era felice così.
    Certo che in casa Allegrotti era ben altra cosa, e poi con Fabio il divertimento era assicurato. Lei si era accorta quasi subito dei poteri. Infatti, si divertiva a mettere in disordine la stanza di Fabio, a fare un po’ di “lotta” con Lui e dopo, letto disfatto, disordine più assoluto, osava dirgli:
    -Dai Fabio, smuovi gli occhi che poi andiamo a tavola-.
    Fabio non si innervosiva mai, questa bambola bionda che tutti gli invidiavano, era sua sorella, e Lui col passare del tempo le voleva sempre più bene.
    La bella gatta Penelope, invece, se ne stava sempre in casa, non era abituata a stare fuori, sempre ben curata sia nella scelta del cibo che nella pulizia personale.
    Alice era una compagna impagabile. Le piaceva accarezzarla continuamente, ci parlava e ci giocava. Qualche volta involontariamente gli artigli della gatta smagliavano le calze colorate della bambina e Marta si arrabbiava, ma la sua arrabbiatura aveva breve durata.
    Ci fu un compleanno di una compagna di scuola di Alice, la quale invitò l’intera classe a festeggiare nel suo bellissimo giardino. Era il mese di Maggio, il sole era caldo e la Primavera era sbocciata in tutto il suo splendore.
    La bambina aveva disegnato su un foglio se stessa, Fabio e la gatta. Tutti e tre in cucina per la consumazione della prima colazione. Osservando il disegno le venne l’idea di andare alla festa con la gatta, anche perché non era proprio entusiasta di andarci. Non conosceva proprio bene tutte le sue compagne e a tanta confusione e baldoria non era abituata. Prima se ne stava sempre da sola, poi, con la sua nuova famiglia, con Fabio e Penelope, ma mai con tantissime amiche nel gioco e nel divertimento. Era un po’ agitata, per questo la compagnia della gatta la tranquillizzava e poi, tutti dovevano ammirarne la bellezza e infatti Penelope si ritrovò col cestino a passeggio con Alice in direzione della casa di Benedetta.
    Strada facendo Alice si sentiva un po’ agitata, non era abituata alle feste, non con tantissime persone, la troppa confusione la metteva in imbarazzo.
    Appena Alice arrivò, quello che vide superava le sue aspettative: il giardino era immenso, palloncini e giochi ovunque e una bellissima tavola era arricchita da piatti e bicchieri coloratissimi e tante bevande colorate. Non mancava proprio niente, neppure il sole alto e splendente in cielo.
    Poi…, stranamente, il tempo ben presto si rannuvolò e grosse gocce d’acqua infradiciarono la bella tovaglia di carta e tutto quelle squisitezze ben disposte all’assaggio.
    Ci fu un fuggi-fuggi di bambini urlanti che cercavano riparo all’interno della casa.
    Proprio in questo caos di schiamazzi bagnati Penelope scomparve senza che nessuno se ne accorgesse.
    La mamma di Benedetta fece del suo meglio, aiutata da altre mamme per sistemare i bambini all’interno e solo dopo un po’ di tempo Alice si chiese dove fosse finita Penelope.
    Penelope non si trovava da nessuna parte.
    Le ricerche durarono fino a tarda sera, ma tutto fu inutile, come cercare di calmare Alice la quale non si dava pace per la preoccupazione della gattina, sentendosi responsabile dell’accaduto.
    Fabio stava tutto il giorno fuori a cercarla e ormai non curava più neanche i suoi compiti. Bernardo e Marta avevano avvertito il vicinato e gli amici della scomparsa della gatta, ma questa sembrava svanita nel nulla.
    Stranamente dalla bella primavera che avevano avuto fino al giorno dell’inizio della festa, il tempo sembrava fare continue bizze, pioveva continuamente ed Alice era sempre più triste.
    In silenzio, ogni membro della famiglia provò a mettere in azione e questa volta intenzionalmente ed ognuno per proprio conto, tenendo all’oscuro l’altro, tutto il potere posseduto, per il ritrovamento della gatta e per far tornare il sorriso sul volto di Alice.
    Bernardo interrogò le stelle, Marta parlò con i suoi amici animali domandando loro dove poteva essere andata una gattina che non era mai uscita da casa e Fabio buttò all’aria il Mondo, ma nessuno ottenne risposta e intanto il tempo allungava le distanze al ritrovamento sempre più difficile.
    La pioggia nei giorni seguenti non ebbe mai nessuna interruzione e ad Alice vennero in mente i giorni uggiosi passati nella vecchia casa. Fu così che iniziò a intuire la sua bizzarra coincidenza, e scoprì in questo modo quale fosse la sua particolarità.
    Questa “rivelazione” le permise di riflettere a lungo al punto che un pomeriggio, sempre più triste, uscì spinta da una forza sconosciuta, proprio col cestino dove aveva messo Penelope per andare alla festa.
    I genitori e Fabio la guardarono impotenti, le chiesero dove andasse:
    -Vado lungo il fiume …, è molto lontano da qui, è vero, ma è un luogo dove ancora non abbiamo guardato. Raggiungetemi lì-.
    Alice corse con l’ombrello leggera come una farfalla, le sue magre gambette saltavano tra il verde dei cespugli e il sorriso comparve sul volto e le sue guance si tinsero di rosso abbandonando il consueto pallore. Smise di piovere e si affacciò il sole caldo primaverile.
    E fra quell’erba bagnata e pozze, al riparo dall’acqua sotto una grande quercia le si presentò una scena dolcissima: Penelope stava allattando tre gattini, bellissimi come lei.
    Gettò l’ombrello per terra, si avvicinò con cautela e mentre le voci amate, si facevano sempre più vicine, Lei a voce alta disse:
    -Venite a vedere…, l’ho trovata, é tornato il Sole, e…, sono felicissima, vi voglio troppo bene.-
    Finalmente il sorriso abbracciò tutta la famiglia.
    La famiglia Allegrotti imparò una lezione importante e fondamentale: il superpotere più grande, è la forza di un’intera famiglia unita, e non è una “particolarità”, ma semplicemente una costruzione fondata sulla capacità di dare e di aiutarsi volendosi bene soprattutto nelle difficoltà..

    (frenkevita)
  3. .

    Hallucigenia, bizzarra creatura vissuta 508 milioni di anni fa.

    Antenato ragni, insetti e crostacei. Il suo nome è già una presentazione: Hallucigenia. E' una creatura vissuta 508 milioni di anni fa e dall'aspetto decisamente bizzarro, progenitore di ragni, insetti e crostacei (che insieme fanno parte della classe degli artropodi). Le sue sembianze sono state ora ricostruite grazie alla scoperta di nuovi fossili in Canada, che ne rivelano dettagli finora sconosciuti. Pubblicate sulla rivista Nature, le immagini realizzate da Martin Smith, dell'università di Cambridge, mostrano un animale che sembra uscito da un film di fantascienza e che ricorda alcune delle creature dei film di Guerre Stellari: collo e corpo sottile e allungato come quello di un verme, costellato di una doppia fila di aculei e con diverse paia di zampe. I nuovi fossili hanno consentito di ricostruire com'era la testa di questo animale, cosa finora impossibile. Aveva due occhi, una bocca, molto simile a quella degli antenati degli artropodi, e denti circolari.

    Questi particolari rivelano nuove caratteristiche sull'evoluzione degli artropodi. Uniti alle analisi molecolari, inoltre, confermano l'ipotesi che artropodi e ascaridi facciano parte dello stesso gruppo di organismi, chiamati Ecdysozoa, e che possa essere esistito un loro antenato comune.


    (Ansa)
  4. .




    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 026 (22 Giugno – 28 Giugno 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 22 Giugno 2015
    S. PAOLINO DA NOLA

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 26
    Giorni dall'inizio dell'anno: 173/192
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 04:36 e tramonta alle 19:48 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 04:34 e tramonta alle 20:15 (ora solare)
    Luna: 10.23 (lev.) 23.23 (tram.)
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Scoprire un altare per ricoprirne un altro.
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Chi si adatta bene alla povertà è ricco.
    (Seneca)









    RIFLESSIONI



    ... ESTATE …
    ...Questa estate non vuole proprio decollare; non parlo solo del meteo che rende sempre più simili le nostre giornate a quelle che si viovono in sud america durante il periodo dei monsoni. Piogge improvvise e temporali preceduti e seguiti da sole caldo e temperature tipiche di questo periodo dell’anno. Gli esaminandi della maturità si concedono a questo concentrato di emozioni che rappresenta l’esame scolastico più famoso e più temuto da tutte le generazioni. Come un rituale si ripetono scene viste ogni anno da quando ho memoria. Volti stanchi per le nottate passate a studiare, sguardi smarriti di chi va alla costante ricerca nelle pieghe della memoria di nozioni o concetti che sembrano essersi smarriti in quel frullato di nozioni e di informazioni. Cuori che battono forte prima degli esami per l’emozione e poi battono ancora più forte per la felicità dell’ostacolo superato. Eppure, come accennavo all’inizio di questo mio pensiero, questa estate non riesce a partire; quella magia non si scatena. Penso ai migranti che per mare sui barconi o alle frontiere sono prigionieri di un destino a volte troppo brutto per essere vero; penso alle bellezze storiche che sono fatto oggetto di distruzione in medio oriente; penso a tutti coloro che questa crisi che non smette di colpire non potranno partire per le vacanze. Una macchina sfreccia nella strada assolata di questo primo pomeriggio estivo, musica e risate fanno da contorno a questa immagine e allora penso che l’estate prima o poi sboccerà e con essa anche quella nei cuori e nella mente di tutti … Buon risveglio … Buon Giugno amici miei … (Claudio)






    Maturità 2015, cosa fare in attesa dell'orale. Ecco 7 consigli dei prof. -Lo Speciale -

    Archiviata la prova del 'quizzone', gli studenti si preparano alla prova orale. Come affrontare al meglio i giorni dell'attesa. E' tempo di pensare all'esame orale dopo le prove scritte della maturità. Il primo vero momento in cui ci si trova a tu per tu con i professori esterni di commissione, fino a quel momento visti solo durante gli scritti, mentre giravano tra i banchi come "servizio d'ordine". Ma questi prima del colloquio non sono solo giorni di studio matto e disperatissimo: ci sono altre cose da dover fare per arrivare preparati al più temuto degli appuntamenti della maturità.

    Ecco 7 consigli di Skuola.net che è meglio seguire.

    Non rinunciare al riposo
    Nel libro "Guida all'esame di maturità - istruzioni per l'uso", la professoressa Loredana Straccamore e Mario Rusconi, ex preside e oggi vicepresidente ANP, danno un utili consigli ai maturandi per i giorni precedenti l'esame orale. Uno fra tutti, non rinunciare al riposo che serve al fisico per non debilitarsi. "Considerate che il cervello ha una capacità di attenzione e memorizzazione limitata in così poco tempo. Non ha senso trascorrere tutto il giorno prima sui libri perché sicuramente si renderà meno e non si memorizzerà molto" si legge sulla guida. E niente nottate insonni con litri di caffè accanto: non daranno alcun giovamento. Le giuste pause sono importanti per rendere di più e meglio.

    Preparare un perfetto outfit da esame
    Dare una buona impressione è molto importante all'esame orale di maturità. Il modo in cui ci si presenta è un vero e proprio "biglietto da visita" che dice molto sul maturando. Prima di tutto, se conosce la differenza tra il sostenere un esame di Stato e andare a fare festa con gli amici. "Il dress code da esame orale è chiaro: al bando infradito, pantaloni corti, minigonne e scollature generose" scrivono i due autori. Non ridursi all'ultimo momento per il look, la mattina dell'esame orale, ha anche un altro vantaggio: non rischiare di arrivare in ritardo per l'indecisione davanti all'armadio.

    Andare a guardare l'esame orale dei compagni
    Questo è un consiglio che, in generale, ogni prof dà ai suoi alunni. "Andare ad assistere agli esami orali dei compagni [...] è sicuramente utile per osservare i commissari, il loro modo di muoversi, di fare domande, capire se sono disponibili o, viceversa, se sono molto rigidi". Lasciare quindi per un attimo i libri e andare a vedere l'esame orale di maturità dei compagni di classe sarà un'esperienza formativa al pari dell'ennesimo ripasso dell'ultimo capitolo di Storia (già letto e riletto 100 volte).

    Ripetere la tesina (cronometro alla mano)
    "E' bene ricordare - scrivono Straccamore e Rusconi - "che per la presentazione della tesina si hanno 20 minuti prima che la commissione inizi con le domande". Dopo aver concluso (è tempo di finire!) la tesina maturità e averne imparato gli argomenti fondamentali, quindi, è utile preparare un discorso che si concluda in 20 minuti circa, magari accompagnati da una presentazione in PowerPoint. Questo, oltre far guadagnare al maturando una bella figura (non c'è niente di peggio di uno studente impreparato sulla sua stessa tesina!), lo metterà a riparo da spiacevoli interruzioni.

    Andare a vedere i quadri degli scritti
    C'è un altro appuntamento importante da tenere a mente in questi giorni: prima che inizino gli esami orali, infatti, le commissioni correggeranno gli scritti e pubblicheranno i voti parziali dell'esame di maturità. Dal voto si potrà capire se ci sono stati degli errori, e riguardando la prova si scoprirà dove si è sbagliato. Il voto degli scritti serve anche per fare un calcolo del punteggio da ottenere al colloquio orale per essere promossi o per arrivare al voto finale di maturità desiderato.

    Rivedere gli errori degli scritti
    Detto questo, il passaggio immediatamente successivo è quello di andare a rivedere ogni errore fatto agli scritti e scoprire lo svolgimento corretto delle prove. In questo aiuterà il web, anche se è necessario avere la pazienza di ricontrollare ogni soluzione passo passo. "Una parte dell'orale di maturità è costituita dalla correzione degli scritti: saper riconoscere e correggere i propri errori è importantissimo per dimostrare ai commissari che ci si è accorti di eventuali sbagli e che si è in grado di commentarli e discuterli con competenza, giustificando altresì la causa dell'errore commesso" - scrivono Straccamore e Rusconi.

    Ripassare velocemente
    A questo punto siamo già due terzi dell'opera: siete ben preparati sulla parte iniziale dell'esame orale, la presentazione della tesina, e conoscete ogni segreto per andare bene anche alla parte finale del colloquio, quella sulla correzione degli errori degli scritti. A questo punto, le cose appaiono più facili: dovrete solo ripassare efficacemente le materie d'esame. Tuttavia, c'è troppo poco tempo per studiare da capo, da cima a fondo, ogni argomento del programma. Cercate di avere una preparazione complessiva, di riempire le vostre lacune, usare le sintesi e le domande di verifica per focalizzare i punti fondamentali degli argomenti da ripassare (e concentratevi prevalentemente su quelli). "Anche se non si sa tutto, l'importante è saper ragionare" - scrivono gli autori della guida - "nel nuovo esame di Stato lo studente deve o dovrebbe dimostrare alcune abilità: conoscenze, abilità, competenze. Il colloquio brillante è quello in cui lo studente riesce a mescolare questi elementi".
    (Ansa)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sull’Estate…

    Il granchiolino in vacanza

    Viva viva le vacanze!
    un promosso granchiolino
    passeggiava in su e in giù
    sulla spiaggia in costumino.

    Niente scuola stamattina!
    Finalmente potrò farmi
    una bella gitarella!

    Mentre andava beatamente
    ...zac! un bimbo se lo prende
    e lo infila in un secchiello,
    poverino poverello.

    Il sole scotta,
    l'acqua manca,
    perde il granchiolino ogni speranza:
    che bruttissima vacanza!

    Ma ecco un'onda salvatrice:
    il secchiello si rovescia,
    fugge fugge il granchiolino
    dal temibile bambino.
    (Filastrocca di Vivian Lamarque)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Alice e la famiglia delle meraviglie

    La famiglia Allegrotti aveva un bimbo di nove anni, dopo di che non erano venuti altri figli. Fabio il loro piccolo, francamente non si era mai lamentato per essere un figlio unico, né aveva mai sentito la mancanza di un fratello. Aveva molti amici fra i compagni di scuola, frequentava i giardinetti del quartiere, giocava a calcio, si divertiva a strimpellare la chitarra, ed iniziava ad osservare incuriosito e quasi con galanteria le sue compagne di scuola.
    Marta, sua madre, era veterinaria e sempre in continuo contatto con gli animali, ed il padre, Bernardo, era macchinista e guidava treni. Avevano una bella casa con giardino ed una gatta bellissima: Penelope.
    Marta e Bernardo erano una coppia felice, ma a quarant’anni sorse in loro l’esigenza di adottare una bambina.
    Ne parlarono con Fabio, il quale all’inizio, si trovò un po’ contrariato. Ormai si era abituato ad essere senza fratelli, questa bimba, che avrebbe dovuto chiamare “sorella”, forse arrivava in un momento in cui Lui, proprio non sapeva che farne, non conoscendo appunto il valore di questo dono.
    Ci volle un po’ di tempo e, tante scartoffie da leggere e firmare, finché, finalmente, arrivò una bambina da un lontano paese dell’Est.
    La piccola per la verità si chiamava Alika, ma a loro, a prima vista, parve Alice. Bellissima, biondissima, con trecce lunghe, lentiggini ed occhi azzurri, e quello fu per sempre il suo nome.
    In pochi mesi Alice imparò la lingua e fece anche molto presto ad occupare la sua stanza invadendo anche quella di Fabio, divenuto miracolosamente paziente e comprensivo, a parte qualche tirata di treccia.
    La famiglia Allegrotti però, non era affatto una famiglia comune, infatti i tre nascondevano un bizzarro “segreto” senza che fra di sé ne fossero a conoscenza, per il semplice motivo che loro ritenevano la particolarità, una cosa normalissima ma strettamente privata.
    Marta, ad esempio conosceva il linguaggio dei pennuti, specie quello dei merli.
    Lavorava spesso con questi pennuti e la prima volta che si accorse di questa singolarità, fu nella cura prestata ad un’ala del pennuto di nome Pepe, le ci volle molto tempo per aiutarlo a guarire, ma alla fine il merlo tornò a volare come nuovo e Pepe per “riconoscenza” le ripeteva fino alla noia un motivetto imparato udendo la radio che si trovava nell’ambulatorio.
    Un giorno, però, successe qualcosa di più, Marta stanca d’ascoltare in continuazione quel motivetto esclamò ad alta voce: -Pepe, non ne posso più fa’ silenzio!-.
    Immediatamente nella stanza calò la quiete più assoluta. Il merlo pareva diventato muto, e quando in seguito Marta lo interrogò sul suo silenzio, Pepe le rispose che era stata Lei a chiederglielo.
    La donna rimase allibita per la risposta a tono, ma considerando la sua “particolarità”, si strinse nelle spalle, tenendo per sé il segreto per non essere presa per folle perfino dai membri della sua famiglia.
    Bernardo invece era un vero romantico, lui sapeva ascoltare le stelle. Mentalmente parlava con loro, e passava il dopo cena a consultarle appagato dalle loro risposte.
    Le stelle gli dicevano che il cielo era un immenso prato blu, dove loro, assieme alla luna, ascoltavano tante confessioni, conoscevano tanti segreti, avevano visto odio e amore, amore e odio, e quando il cielo si incupiva, i temporali, le bufere, si avvicinavano, loro si nascondevano dietro le nuvole gonfie d’acqua, la loro luce non si spegneva, ma rimaneva nascosta, e se il vento fosse venuto in loro aiuto, come spesso faceva, loro sarebbero apparse di nuovo in tutto il loro splendore.
    E Fabio? Beh, anche lui aveva la sua particolarità e se ne era reso conto fin da piccolissimo. Adorava sparpagliare tutti i suoi giochi nella stanza, faceva scendere dallo scaffale i pupazzi di peluche, ci giocava, prendeva pennarelli, disegnava sugli album e quando poi la stanza era diventata un bazar…, con gli occhi, in silenzio, guardando oggetto per oggetto, questi tornavano a posto da sé. La mamma non era mai riuscita a capire come facesse a rimettere perfettamente tutto a posto in così poco tempo. Entrava nella stanza, rimaneva imbambolata dal disordine, e gli diceva:
    -Fabio, la cena è pronta fra un quarto d’ora, rimetti tutto a posto!-.
    Fabio rispondeva: -certo mamma, come sempre-.
    Chiudeva di nuovo la sua porta e quando era il momento di sedersi a tavola la stanza era ordinatissima.
    Marta si limitava a dire: sei bravissimo.
    Certe volte, quando la mamma era stanca o stava poco bene, alla cucina ci pensava Fabio con il suo metodo o potere.
    Nessuno dei tre, però conosceva le straordinarie “qualità” dell’altro, fino a che non arrivò Alice che unì, ovviamente senza saperlo, questi tre poteri assieme.
    Alice non aveva mai conosciuto i suoi genitori e aveva vissuto fino a quel momento con una vecchia zia in un luogo sperduto dell’Est. Dotata di fantasia era cresciuta assieme a tanti amici immaginari, a quel poco che la natura le poteva offrire di giorno, a parte la tanta neve, e a quello che poteva trovare nelle notti stellate guardando col naso all’insù, e nelle notti di pioggia, amava aprire un piccolo spiraglio della finestra, mettere una bottiglietta di vetro e raccoglierci l’acqua piovana. La mattina la versava nelle piante che si trovavano nel soggiorno; ed era felice così.
    Certo che in casa Allegrotti era ben altra cosa, e poi con Fabio il divertimento era assicurato. Lei si era accorta quasi subito dei poteri. Infatti, si divertiva a mettere in disordine la stanza di Fabio, a fare un po’ di “lotta” con Lui e dopo, letto disfatto, disordine più assoluto, osava dirgli:
    -Dai Fabio, smuovi gli occhi che poi andiamo a tavola-.
    Fabio non si innervosiva mai, questa bambola bionda che tutti gli invidiavano, era sua sorella, e Lui col passare del tempo le voleva sempre più bene.
    La bella gatta Penelope, invece, se ne stava sempre in casa, non era abituata a stare fuori, sempre ben curata sia nella scelta del cibo che nella pulizia personale.
    Alice era una compagna impagabile. Le piaceva accarezzarla continuamente, ci parlava e ci giocava. Qualche volta involontariamente gli artigli della gatta smagliavano le calze colorate della bambina e Marta si arrabbiava, ma la sua arrabbiatura aveva breve durata.
    Ci fu un compleanno di una compagna di scuola di Alice, la quale invitò l’intera classe a festeggiare nel suo bellissimo giardino. Era il mese di Maggio, il sole era caldo e la Primavera era sbocciata in tutto il suo splendore.
    La bambina aveva disegnato su un foglio se stessa, Fabio e la gatta. Tutti e tre in cucina per la consumazione della prima colazione. Osservando il disegno le venne l’idea di andare alla festa con la gatta, anche perché non era proprio entusiasta di andarci. Non conosceva proprio bene tutte le sue compagne e a tanta confusione e baldoria non era abituata. Prima se ne stava sempre da sola, poi, con la sua nuova famiglia, con Fabio e Penelope, ma mai con tantissime amiche nel gioco e nel divertimento. Era un po’ agitata, per questo la compagnia della gatta la tranquillizzava e poi, tutti dovevano ammirarne la bellezza e infatti Penelope si ritrovò col cestino a passeggio con Alice in direzione della casa di Benedetta.
    Strada facendo Alice si sentiva un po’ agitata, non era abituata alle feste, non con tantissime persone, la troppa confusione la metteva in imbarazzo.
    Appena Alice arrivò, quello che vide superava le sue aspettative: il giardino era immenso, palloncini e giochi ovunque e una bellissima tavola era arricchita da piatti e bicchieri coloratissimi e tante bevande colorate. Non mancava proprio niente, neppure il sole alto e splendente in cielo.
    Poi…, stranamente, il tempo ben presto si rannuvolò e grosse gocce d’acqua infradiciarono la bella tovaglia di carta e tutto quelle squisitezze ben disposte all’assaggio.
    Ci fu un fuggi-fuggi di bambini urlanti che cercavano riparo all’interno della casa.
    Proprio in questo caos di schiamazzi bagnati Penelope scomparve senza che nessuno se ne accorgesse.
    La mamma di Benedetta fece del suo meglio, aiutata da altre mamme per sistemare i bambini all’interno e solo dopo un po’ di tempo Alice si chiese dove fosse finita Penelope.
    Penelope non si trovava da nessuna parte.
    Le ricerche durarono fino a tarda sera, ma tutto fu inutile, come cercare di calmare Alice la quale non si dava pace per la preoccupazione della gattina, sentendosi responsabile dell’accaduto.
    Fabio stava tutto il giorno fuori a cercarla e ormai non curava più neanche i suoi compiti. Bernardo e Marta avevano avvertito il vicinato e gli amici della scomparsa della gatta, ma questa sembrava svanita nel nulla.
    Stranamente dalla bella primavera che avevano avuto fino al giorno dell’inizio della festa, il tempo sembrava fare continue bizze, pioveva continuamente ed Alice era sempre più triste.
    In silenzio, ogni membro della famiglia provò a mettere in azione e questa volta intenzionalmente ed ognuno per proprio conto, tenendo all’oscuro l’altro, tutto il potere posseduto, per il ritrovamento della gatta e per far tornare il sorriso sul volto di Alice.
    Bernardo interrogò le stelle, Marta parlò con i suoi amici animali domandando loro dove poteva essere andata una gattina che non era mai uscita da casa e Fabio buttò all’aria il Mondo, ma nessuno ottenne risposta e intanto il tempo allungava le distanze al ritrovamento sempre più difficile.
    La pioggia nei giorni seguenti non ebbe mai nessuna interruzione e ad Alice vennero in mente i giorni uggiosi passati nella vecchia casa. Fu così che iniziò a intuire la sua bizzarra coincidenza, e scoprì in questo modo quale fosse la sua particolarità.
    Questa “rivelazione” le permise di riflettere a lungo al punto che un pomeriggio, sempre più triste, uscì spinta da una forza sconosciuta, proprio col cestino dove aveva messo Penelope per andare alla festa.
    I genitori e Fabio la guardarono impotenti, le chiesero dove andasse:
    -Vado lungo il fiume …, è molto lontano da qui, è vero, ma è un luogo dove ancora non abbiamo guardato. Raggiungetemi lì-.
    Alice corse con l’ombrello leggera come una farfalla, le sue magre gambette saltavano tra il verde dei cespugli e il sorriso comparve sul volto e le sue guance si tinsero di rosso abbandonando il consueto pallore. Smise di piovere e si affacciò il sole caldo primaverile.
    E fra quell’erba bagnata e pozze, al riparo dall’acqua sotto una grande quercia le si presentò una scena dolcissima: Penelope stava allattando tre gattini, bellissimi come lei.
    Gettò l’ombrello per terra, si avvicinò con cautela e mentre le voci amate, si facevano sempre più vicine, Lei a voce alta disse:
    -Venite a vedere…, l’ho trovata, é tornato il Sole, e…, sono felicissima, vi voglio troppo bene.-
    Finalmente il sorriso abbracciò tutta la famiglia.
    La famiglia Allegrotti imparò una lezione importante e fondamentale: il superpotere più grande, è la forza di un’intera famiglia unita, e non è una “particolarità”, ma semplicemente una costruzione fondata sulla capacità di dare e di aiutarsi volendosi bene soprattutto nelle difficoltà..

    (frenkevita)



    ATTUALITA’


    Tatuaggi e piercing, infezioni per un giovanissimo su 4.

    Gravi rischi anche per il fegato, ma non sono informati. Un quarto dei ragazzi che si sono sottoposti a tatuaggi e piercing ha avuto problemi di infezioni.

    Lo afferma una ricerca condotta dall'Università di Tor Vergata su 2500 studenti liceali coinvolti con questionario anonimo, ha rilevato come il 24% di essi abbia avuto complicanze infettive; solo il 17% ha firmato un consenso informato; e uno scarno 54% è sicuro della sterilità degli strumenti che sono stati utilizzati. I rischi sono molto gravi: dal virus dell'epatite B e C fino al virus dell'AIDS. Inoltre, da recenti studi scientifici, è stato rilevato come l'inoculazione nella cute di sostanze chimiche non controllate costituisca un rischio di reazioni indesiderate di tipo tossicologico o di sensibilizzazione allergica. "Se l'80% dei ragazzi ha affermato di essere a conoscenza dei rischi d'infezione, solo il 5% è informato correttamente sulle malattie che possono essere trasmesse - spiega la dottoressa Carla Di Stefano, autrice dell'indagine -.

    Eppure il 27% del campione ha dichiarato di avere almeno un piercing, il 20% sfoggia un tatuaggio e sono ancora di più gli 'aspiranti': il 20% degli intervistati ha dichiarato l'intenzione di farsi un piercing e il 32% di ornare la pelle con un tatuaggio". "Il dato scientificamente più interessante - commenta la Di Stefano - sta nei tempi di sopravvivenza del virus rilevati negli aghi e nell'inchiostro, variabile da pochi giorni nell'ambiente a quasi un mese nell'anestetico: dato ancor più preoccupante se incrociato con la scelta degli adolescenti verso locali spesso economici e non a norma di legge".

    "Per quello che riguarda tatuaggi e piercing non ci sono casistiche da procedure effettuate in studi professionali ma il rischio aumenta quando tali procedure vengono eseguite talora da principianti, in strutture con scarse condizioni igieniche e sterilità degli strumenti o con strumenti improvvisati, come corde di chitarra, graffette o aghi da cucito, ma anche nelle carceri o in situazioni non regolate come l'ambiente domestico", interviene il Professor Vincenzo Bruzzese, Presidente Nazionale del Congresso della SIGR di GastroReumatologia dove è presentata la ricerca. Dai dati dei ricercatori italiani presentati al secondo Congresso Nazionale SIGR emerge quindi la necessità di un maggiore sforzo per incoraggiare l'utilizzo di materiale monouso e la corretta sterilizzazione degli strumenti utilizzati durante queste procedure, aumentandone il monitoraggio. (Ansa)





    Quando l'Italia snobbò i Beatles.

    Il 24 giugno del 1965 la band di Liverpool arrivò a Milano per un breve tour che toccò anche Genova e Roma. Loro erano già famosissimi, ma furono accolti in maniera tiepida
    Sono passati 50 anni dalla prima e unica tournée italiana dei Beatles. Il pomeriggio del 24 giugno 1965 i quattro di Liverpool salirono sul palco allestito al centro del Velodromo Vigorelli a Milano. Suonarono per una mezz’oretta quel pomeriggio e un’altra mezz’ora la sera. Scaletta snella con 12 classici del loro repertorio live: Twist and shout, She’s a woman, I’m a loser, Can’t buy me love, Baby’s in black, I wanna be your man, A hard day’s night, Everybody’s trying to be my baby, Rock and roll music, I feel fine, Ticket to ride e Long tall Sally. Ai tempi usava così, niente a che vedere con i concerti da oltre due ore delle grandi star di oggi. La tournée proseguì a Genova (26 giugno, una esibizione pomeridiana e una serale ) e a Roma (27 e 28 giugno pomeridiano e serale).

    A Milano i Beatles suonarono complessivamente per 26 mila persone: 7 mila il pomeriggio e 19 mila la sera, ben lontani dal tutto esaurito. Queste cifre raccontano la storia di un’accoglienza piuttosto tiepida per la band che la storia consacrerà come la numero 1 di tutti i tempi. Così tiepida da sembrare incredibile: possibile che nel 1965 il fenomeno Beatles non fosse ancora esploso? La risposta è no, non è possibile. Nel 1965 siamo in piena beatlemania e basta spulciare qualche dato per avere un’idea di quello che era già successo ed era pienamente in corso in quell’estate. I Fab four avevano alle spalle già 9 45 giri da numero 1, 4 album (Please please me, With the Beatles, A hard day’s night e Beatles for sale) e un film (A hard day’s night, Tutti per uno in Italia). Esattamente 10 giorni prima del Vigorelli, il 14 giugno, i quattro (soprattutto McCartney a onor del vero) incisero negli Abbey Road Studios la versione definitiva di Yesterday.

    Da un anno e mezzo gli Stati Uniti erano ai loro piedi e dal 28 di agosto la marijuana era entrata nelle loro vite passando per la porta della suite all’ultimo piano del Delmonico Hotel su Park Avenue e 59th a New York, accompagnata per mano da Bob Dylan in visita privata. Il joint di sua maestà Dylan spingerà i 4 ad approfondire i loro studi sulla materia portandoli nella primavera del ’65 all’Lsd. Tutta questa sperimentazione chimica si rifletteva sulla loro produzione musicale: dal dicembre ’64 al dicembre ’65 i Beatles pubblicarono 3 album (Beatles for sale, Help e Rubber Soul) che segnarono un vero e proprio percorso evolutivo: alla fine di quell’anno la crisalide era diventata farfalla.

    Di tutta questa esplosione nell’Italia del 1965 era arrivatasolo una lontana eco. Dal punto di vista musicale eravamo provincia dell’impero e non avevamo ancora gli strumenti per comprendere la rivoluzione che i Beatles stavano portando nel mondo della musica. Oltre a non fare il tutto esaurito i quattro – portati nel nostro Paese da Leo Wachter – conquistarono spazi sulle riviste dell’epoca più come fenomeno di costume che come musicisti visionari e anche le poche scene di beatlemania di cui si ha notizia furono più un esercizio di emulazione di ciò che accadeva al di là delle Alpi che altro. John, Paul, George e Ringo stessi nelle numerose biografie che sono uscite in questi cinquant’anni non hanno conservato grande memoria del loro passaggio italiano. Troppo ampia la distanza con quello che accadeva loro dovunque altrove nel mondo: il 15 agosto, poco più di un mese dopo, allo Shea Stadium di New York terranno il concerto più famoso della loro storia. Un anno esatto dopo, il 29 agosto del 1966, al Candlestick Park di San Francisco decideranno di chiudere definitivamente con l’attività on the road. Il loro album successivo (1 giugno 1967) è il Sgt. Pepper’s.
    (Ansa)





    Il buco nero più attivo mai visto nella galassia.

    Staffetta di telescopi spaziali sta inviando dati. Una vera e propria 'staffetta' di telescopi spaziali e basati a Terra sta inviando immagini e dati sul buco nero più attivo mai visto nella galassia, mentre sta divorando una piccola stella vicina 'ingoiando' brandelli di materia, rende noto l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
    ''La gravità del buco nero accelera la materia a velocità vicine a quella della luce, raggiungendo temperature elevatissime'', ha detto Pietro Ubertini, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (Iaps) dell'Inaf.

    A diffondere le prime notizie sulla coppia più 'brillante' della Via Lattea sono stati dei Telegrammi Astronomici (Atel), ossia il più veloce 'passaparola' per gli astronomi di tutto il mondo. L'oggetto luminoso è formato dalla piccola stella chiamata V404 Cygni, delle dimensioni del nostro Sole, e dal buco nero GS2023+338, la cui massa è 10 volte superiore a quella del Sole. E' stata scoperta 25 anni fa dal satellite giapponese Ginga, ''ma poi si è 'spenta' ed è rimasta così per oltre 20 anni'', ha detto Ubertini.
    ''Solo la settimana scorsa - ha aggiunto - Swift ha visto un'emissione molto forte e ha dato l'allerta''.

    Lanciato nel 2004 dalla Nasa, il satellite è stato realizzato in collaborazione con Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e Consiglio britannico per le ricerche di Astronomia e Fisica delle particelle (Pparc).
    Dopo l'allerta di Swift il telescopio spaziale, Integral, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), ha dimostrato che il 'super-buco nero' è un evento davvero unico. Lo ha visto in particolare lo strumento Ibis, specializzato nel rilevare i raggi gamma e del quale è responsabile Ubertini. Adesso tutti i satelliti astronomici in orbita stanno modificando i loro programmi osservativi a brevissima scadenza per osservare l'evoluzione del buco nero.

    Da queste prime osservazioni risulta che la coppia formata dal buco e nero e dalla sua compagna è l'oggetto cosmico 50 volte più 'brillante' rispetto agli oggetti che finora detenevano il record, come la pulsar che si trova nella nebulosa del Granchio e il buco nero Cygnus X-1.
    (Ansa)




    PAROLE IN MUSICA




    Parole In Musica





    blogdicultura_07b1ae43eca61b5598850026f4f2efaa-640x330

    Gli immortali
    Jovanotti



    E hai disegnato a colori

    il mondo che hai immaginato

    te ne vai in giro a fare tentativi,

    finche non avrà combaciato

    e fai il lavoro sporco-o-o

    per non far finta di essere pulito

    hai qualche super potere

    da usare contro il nemico,

    masticando una gomma

    dal sapore di infinito

    che non finisce mai

    che non finisce mai

    non so se si è capito






    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    "E tutto per cosa?! Per quattro biglietti di banca..."

    FARGO


    Titolo originale Fargo
    Lingua originale inglese
    Paese di produzione Stati Uniti
    Anno 1996
    Durata 98 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Rapporto 1,85:1
    Genere commedia nera, drammatico, noir, thriller, poliziesco
    Regia Joel Coen
    Soggetto Joel Coen, Ethan Coen
    Sceneggiatura Joel Coen, Ethan Coen
    Produttore Ethan Coen
    Produttore esecutivo Tim Bevan, Eric Fellner
    Casa di produzione Gramercy Pictures
    Fotografia Roger Deakins
    Montaggio Joel Coen, Ethan Coen
    Effetti speciali Bruce R. Anderson, Joe Carroll, Michael Kranz
    Musiche Carter Burwell
    Scenografia Rick Heinrichs
    Costumi Mary Zophres
    Trucco John Blake, Daniel Curet

    Interpreti e personaggi

    Frances McDormand: Marge Gunderson
    William H. Macy: Jerry Lundegaard
    Steve Buscemi: Carl Showalter
    Peter Stormare: Gaear Grimsrud
    Kristin Rudrüd: Jean Lundegaard
    Harve Presnell: Wade Gustafson
    Tony Denman: Scotty Lundegaard
    Gary Houston: cliente arrabbiato
    Sally Wingert: moglie del cliente arrabbiato
    Kurt Schweickhardt: venditore d'auto
    Larissa Kokernot: prostituta
    Melissa Peterman: prostituta
    Steve Reevis: Shep Proudfoot
    Warren Keith: Reilly Diefenbach (voce)
    Bain Boehlke: Mr. Mohra
    Larry Brandenburg: Stan Grossman
    James Gaulke: poliziotto
    Cliff Rakerd: ufficiale Olson
    J. Todd Anderson: vittima nel campo
    Michelle Suzanne LeDoux: vittima in auto
    John Carroll Lynch: Norm Gunderson
    Bruce Bohne: Lou
    Steve Park: Mike Yanagita




    Riconoscimenti

    Fargo è stato proiettato in molti festival cinematografici tra cui il Pusan International Film Festival in Corea del Sud, il Karlovy Vary International Film Festival nella Repubblica Ceca, il Napoli Film Festival e soprattutto il Festival di Cannes 1996 nel quale Joel Coen si è aggiudicato il premio per il miglior regista. Alla 69ª edizione degli Oscar (1997), Fargo ha vinto due statuette, per la migliore sceneggiatura originale e per la miglior attrice protagonista (Frances McDormand). Tra gli altri numerosi premi vinti il premio BAFTA per il miglior regista e il Saturn Award per il miglior film d'azione/avventura/thriller.
    Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito all'ottantaquattresimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi. Nel 2000 l'American Film Institute l'ha inserito al novantatreesimo posto della classifica delle cento migliori commedie americane di tutti i tempi.

    1997 - Premio Oscar
    Miglior attrice protagonista a Frances McDormand
    Migliore sceneggiatura originale a Joel ed Ethan Coen

    1997 - Premio BAFTA
    Migliore regia a Joel Coen

    1996 - Festival di Cannes
    Migliore regia a Joel ed Ethan Coen

    1997 - Independent Spirit Awards
    Miglior film
    Miglior regia a Joel ed Ethan Coen
    Miglior attore protagonista a William H. Macy
    Miglior attrice protagonista a Frances McDormand
    Miglior sceneggiatura a Joel ed Ethan Coen
    Miglior fotografia a Roger Deakins



    TRAMA



    Addetto alle vendite in un salone d'automobili nel Minnesota, Jerry Lundegaard consegna una vettura nuova a due balordi, Carl Showalter e Gaear Grimsrud, ai quali ha dato un appuntamento in una caffetteria. Lui è un uomo vile, goffamente astuto e pieno di debiti, mentre loro vivacchiano alla giornata, spesso (specie Gaear, uno psicolabile), arma alla mano. Il grande progetto di Jerry è di far sequestrare da costoro la moglie Jean e poi far pagare il riscatto da Wade Gustafson, suo suocero e ricco affarista. Mentre percorrono l'autostrada i due balordi uccidono un agente della polizia stradale e due innocenti, sfortunatissimi testimoni del delitto. Per questi fatti entra in azione a notte fonda Marge Gunderson che dirige il locale posto di polizia (il marito Norm è pittore dilettante), incinta al settimo mese, una donna attenta e saggia, anche se trovare i criminali appare assai arduo.

    ..recensioni..



    Straordinaria tragicommedia dove le più svariate e raffinate componenti intellettuali si innestano su una trama di genere, Fargo gioca a opporre la normalità del bene alla normalità del male: l'una e l'altra sono rappresentate con ineffabile ironia in situazioni e dialoghi essenziali. I personaggi appaiono immersi nel torpore della vita provinciale, sia quelli che hanno trascurato di mettere l'orologio all'ora attuale, sia quelli che si illudono di incrementare il proprio destino con spunti di cinismo o atti di violenza. Tutti guardano la Tv: ladri, guardie e gente comune. E Marge, in particolare, è una donna comune di tipo non comune: la prova vivente che nella confusione odierna l'attaccamento tranquillo ai propri compiti (il marito, la famiglia che cresce, il dovere del servizio) rappresenta l'unica alternativa. [...] Vorrei concludere, profetizzando: è un film che resterà. (Tullio Kezich)


    "Fargo", o "de l'avidità". Quattro colori segnano il film dei fratelli Coen: il bianco, il rosso, il verde e il nero. Il bianco è quello della neve, neve che si trova ovunque, immacolata coltre bianca che confonde l'orizzonte: ti volti a destra e sinistra per sotterrare una valigetta piena di soldi e non vedi altro. Il rosso è il sangue: di quando ti sparano alla mascella, di quando passi nel posto sbagliato al momento sbagliato e vedi qualcosa che non dovresti, di quando trituri il cadavere del tuo socio nella macchina per tagliare la legna. Il verde non lo si vede spesso, ma è quello che vorresti vedere di più: è il colore dei soldi che ti spinge a organizzare il rapimento di tua moglie per ricattare il bastardo di tuo suocero. Il nero infine è quello della commedia che si mescola al thriller: l'ironia beffarda che intacca le circostanze, vicende paradossali che si intrecciano nella ridicola tragedia fallimentare dell'uomo.
    Nel 1994 i Coen girano "Mister Hula Hoop", prima grossa produzione dopo i consensi di pubblico e critica dei primi quattro film, che però si rivela un'opera deludente. Per il lavoro successivo decidono di tornare a casa, con una storia più consona, nei posti dove sono cresciuti e che conoscono bene. Fargo, allora, che dà l'idea di un paese americano dimenticato da dio, su a nord, centocinquanta chilometri dal confine canadese, a cavallo tra Nord Dakota e Minnesota, dove poi le vicende sono ambientate, tra le città di Breinard e Minneapolis. Jerry Lundegaard (William H. Macy), modesto venditore di automobili, assolda due malviventi, Carl (Steve Buscemi) e lo psicopatico e taciturno Gaear (Peter Stormare), per far rapire la propria moglie e chiedere il riscatto al ricco suocero Wade (Harve Presnell). Ma il sequestro si complica quando i due galantuomini cominciano a lasciarsi alle spalle una serie di inutili cadaveri, sui quali indaga la poliziotta Marge (Frances McDormand), incinta e sposata col pacifico Norm (John Carroll Lynch). Tornano molti topoi coeniani: il rapimento ("Arizona Junior", "Il grande Lebowski"), il ricatto ("L'uomo che non c'era", "A prova di spia"), la violenza ("Crocevia per la morte", "Non è un paese per vecchi"), e poi il tragicomico fallimento dei piani, le ironiche fragilità dell'uomo, l'omicidio che irrompe nella vita quotidiana, gli uomini comuni che si rendono protagonisti delle peggiori meschinità, e un'intera avvilente galleria di personaggi senza scrupoli e bugiardi. E, ovviamente, l'avidità.
    Il bianco è, come detto, il colore della neve che sommerge un paesaggio che fa da sfondo a un intreccio noir. Paesaggio solitario, quasi alienante, non-luogo che annichilisce i sentimenti. Scenario immoto e desolato, in contrasto con le persone che invece si muovono generando danni e drammi - frustrati, perdenti, arrivisti, incapaci di comunicare. Ma bianco è anche il candore, l'innocenza della maternità che diverge con il rosso della violenza, il verde dell'avidità e il nero del racconto. Marge - la cui gravidanza è emblema di femminilità - in opposizione a un universo di maschi mediocri, bugiardi, falliti, miserabili; che fa un lavoro da uomo e contrappone a questa insensata isteria maschile valori morali e principi semplici, logica e buon senso, fermezza e decisione nonostante la sua apparente fragilità (il corpo ingombrante, la nausea mattutina). Marge non è uno smaliziato detective hard-boyled e tanto meno un supereroe, ma cerca di capire il perché delle cose, prima ancora del come e del chi. Arriverà a trovare i colpevoli, ma per lei resteranno irrisolvibili i motivi di tanta atrocità. Non sa decifrare la folle natura umana, e lo ammette nel momento in cui arresta Gaear e lo rimprovera come un bambino: "There's more to life than a little bit of money, you know. And here you are. And it's a beatiful day. I just don't understand it". Per lei anche una qualunque schifosa giornata di inverno è una bella giornata, sa apprezzarla, mentre non comprende come si possa uccidere solo per "un po' di soldi". Gaear, simbolo di una condizione umana condannata all'indifferenza e alla gelida apatia, non ha parole, vuoto come il paesaggio fuori dal finestrino.

    Il solo uomo che pare sottrarsi a questa bassezza morale e al fallimento è Norm, il marito di Marge, che sembra più la donna di casa. I loro piccoli quadri di una vita domestica pulita, basata sul non-detto e fatta di semplici piaceri sono il contraltare delle vite abiette e immorali di Carl e Gaear da un lato, e di Jerry dall'altro. Ma se Marge apprezza le modeste gioie della sua vita, è anche attratta dall'evasione dalla routine, come ad esempio l'incontro con l'ex compagno di scuola Mike Yanagita (Steve Park). La digressione è spiegata dai Coen come un espediente per un ulteriore effetto di verosimiglianza, ma di fatto introduce un altro uomo, nuovamente inetto, fallito, inaffidabile, che tenta di circuire goffamente Marge, viene respinto con educazione, e si rivelerà un debole frignone e bugiardo. L'innocenza di Marge è solo relativa: intende il pericolo e la corruzione quando ci si trova di fronte.
    Secondo Aristotele, le persone prive di vergogna non sono in grado di instaurare relazioni come amore e amicizia. La vergogna è il dolore dell'aver commesso qualcosa che ci discrediti, soprattutto agli occhi di coloro che riteniamo moralmente importanti. Le persone eccellenti hanno il senso della vergogna; altri invece non la provano del tutto e non sanno riconoscere il proprio operato come sbagliato; altri, infine, sono mossi da passioni forti (rabbia, odio, avidità) che discernono, ma non riescono a controllare. Marge è un modello di eccellenza: è attenta e discreta nel rimproverare gli altri (correggere l'errore di un collega, allontanare il vecchio compagno di scuola, ammonire il marito di non essere troppo avido se non ha ricevuto il primo premio a un concorso, sparare a Gaear su una gamba e redarguirlo), non solo per il suo essere Minnesota nice, ma perché ha introiettata la misura della vergogna, rispetta gli altri, ed è quindi la sola ad avere un amore sincero e incondizionato, non utilitaristico. Chi invece non è neppure in grado di avere una conversazione è Gaear ("Would it kill you to say something?", gli chiede Carl), che si muove solo per soddisfare i propri appetiti più bassi (i soldi, il pancake, il sesso con le prostitute), e non è in grado di rispettare nessuna legge civile o etica. Jerry, infine, è la terza via indicata da Aristotele: è un subdolo bugiardo nel vendere auto ("A bold-face liar" lo definisce un cliente truffato), e non prova rimorsi; vuole evitare quella che sente come una pubblica umiliazione (la povertà) e per questo mette in moto un atto aberrante di cui distingue l'errore, ma non può fermare.
    Si nasconde dietro finti sorrisi infingardi (riflessi incondizionati) anche quando parla col figlio, ha attacchi di ira sempre più soffocati, è ridicolo quando cerca il tono giusto per comunicare la notizia del rapimento al suocero, e raggiunge il culmine del patetico mentre viene arrestato in mutande. Scotty (Tony Denman), il figlio adolescente, maschio non ancora corrotto e unico realmente in ansia per le sorti della madre (Wade è più concentrato sul prezzo del riscatto), ci permette di misurare le colpe degli adulti che lo circondano. Joel e Ethan Coen amano giocare con generi e codici narrativi, in particolare quelli del noir, che qui, come detto, si combina con la commedia. Commedia sull'evasione dalla routine, sui confini a cui può spingersi l'uomo nel cercare di cambiare la propria vita, generando invece discrasie, caos, dolore. L'umorismo nasce dall' osservazione delle azioni compiute per pura disperazione e mero interesse. La violenza diventa farsa e l' impreve-
    dibilità norma. I personaggi evadono gli schemi classici: una poliziotta di provincia incinta indaga su crimini efferati, i cattivi non sono geni del male, ma stupidi e impreparati, perché così succede nella realtà. I Coen sviscerano stereotipi regionali di una fetta di America, sineddoche della cultura americana e per esteso della condizione umana, con elementi di verosimiglianza culturale e idiomatica, e satira sociale.

    La verosimiglianza, allora. Con "Fargo" - Oscar come miglior sceneggiatura - i Coen compiono un vero esperimento di semantica. Una didascalia all'inizio presenta i fatti come realmente accaduti. Ma lo spunto di cronaca è solo parziale, il resto è pura finzione. Una sfida alla credulità dello spettatore, che si trova immerso negli stereotipi della cultura del Minnesota in modo quasi sociologico, e vede contrapporsi il realismo dei luoghi e del modo di parlare (è stato assunto un trainer per l'accento) a una storia assurda.
    Com'è possibile che tutto questo sia successo e io non ne abbia mai sentito parlare? La dicitura vuole evitare che il film venga visto come un thriller ordinario: è una sfida ai codici della verosimi-
    glianza, confonde realtà e finzione. Si sa, spesso storie realmente accadute possono sembrare più incredibili di quelle inventate, e allora la riflessione per esteso comprende la plausibilità stessa del cinema e dei media: dovrei fidarmi di quello che un regista mi fa vedere? Lo spettatore è il solo ad avere un punto di vista esterno sulla vicenda, è il solo a poter rispondere al quesito di Marge e a trarre le conclusioni sul perché ci spinga a tanto squisitamente per avidità.
    Lo humor nero smaschera le incongruenze e i contrasti del quotidiano attraverso il paradosso. Lo spargimento di sangue gratuito non è solo ironico e provocatorio, ma evidenzia lo iato tra vero e falso. La mdp è il più possibile distaccata, non cerca effetti drammatici, con la sola concessione delle geometrie di oggetti e persone in contrasto sugli sfondi bianchi. Un realistico spaccato di cultura americana viene messo in scena per setacciare la frattura tra credibile e incredibile, reportage e fiction, verità e menzogna. I criminali fanno cose "comuni": litigano per mangiare il pancake, guardano soap opera alla tv, si servono di espressioni ricorrenti, si mettono il cappello prima di uscire per ammazzare a sprangate il proprio collega, discutono sui dettagli degli orari e polemizzano sul pagamento del pedaggio. Le idiosincrasie e le peculiarità del Minnesota, fortemente influenzato dalla cultura scandinava, sono tratteggiate con minuscoli dettagli, si respirano l'aria e l'atmosfera delle stanze, anche grazie a una scenografia curatissima (di Rick Heinrichs) e alle musiche (di Carter Burwell) basate su temi popolari nordici. Gli accenti, la parlata economica, asciutta, le maniere educate e distaccate di matrice nordeuropea fanno apparire i personaggi verosimili ed evitano di farli cadere nella caricatura.

    Alla fine tutti pagano il contrappasso della propria avidità: Wade vuole consegnare i soldi di persona e muore, Jerry e Gaear vengono arrestati, Carl è ucciso da Gaear perché vuole tenersi l'auto. Solo Marge e Norm potranno continuare con le loro vite, in attesa del figlio. Il delitto non paga, ma soprattutto non ci si può fidare di nessuno: tuo marito ti fa rapire, il tuo socio ti uccide, un vecchio amico ti contatta con una scusa innocente ma ha in mente altro, e i registi di un film? Quelli, poi: ti presentano una storia come vera quando non lo è. Allora che mondo è, questo, dove non puoi credere a colleghi, parenti e amici? In che mondo viviamo se non possiamo più fidarci neanche delle immagini di un film, della parola dei registi? ( Davide De Lucca, www.ondacinema.it/)

    (Gabry)





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    I Tormentoni dell'Estate dal 1975 AL 1979



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    La musica del cuore



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    foto:i.ebayimg.com


    Drupi - Due


    Canzone vincitrice del Festivalbar 1975, titolo che diede vita all'omonimo album di Drupi.




    Due

    Sarai bella come non ma,
    sicuro, ci giuro.
    Sicuro.
    Verrai con quel passo che hai
    avanti, più avanti.
    Davanti.
    Un discorso a due
    e nessun altro
    Ormai ogni gesto che fai,
    discende la pelle
    mi prende
    Un discorso a due
    e nessun altro
    Restiamo così,
    nessuno può prenderci
    Riguarda noi due.


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    Catania, partite comprate. Pulvirenti arrestato. Malagò: 'Mai limiti al peggio'.
    Partite comprate per consentire alla squadra di evitare la retrocessione dalla B. Inchiesta su 5 gare, indagati 4 giocatori di B. Abodi: ''Nessun rischio invalidare campionato Serie B''. Nuovo colpo per il sistema-calcio. Partite comprate per restare in B. E' l'accusa di truffa e frode sportiva per la quale sono stati messi agli arresti domiciliari il presidente del Catania Antonino Pulvirenti, il suo vice Pablo Cosentino e l'ex Ds degli etnei Daniele Delli Carri. Cinque le gare del campionato di Serie B appena concluso che sarebbe state comprate per evitare la retrocessione. Sette in tutto le ordinanze di custodia cautelare notificate dalla Polizia.

    Non sono indagati né giocatori né dirigenti di altri club, ma la Procura di Catania starebbe vagliando la posizione di alcuni di loro alla luce di intercettazioni telefoniche eseguite dalla polizia di Stato e confluite nel fascicolo.

    Gli altri quattro destinatari di arresti domiciliari, emessi dal Gip di Catania, su richiesta dalla Dda, sono due procuratori sportivi e altrettanti gestori di scommesse online. Il capo della procura della Figc, Stefano Palazzi, ha aperto un procedimento sul caso Catania.

    Il presidente del Catania esprime "massima fiducia nella magistratura" e si dice "estraneo" alle accuse contestate e "certo di potere dimostrare la totale estraneità ai fatti". "Abbiamo la massima fiducia nella magistratura catanese - afferma l'avvocato del presidente Pulvirenti, il professore Giovanni Grasso - il presidente è certo di poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti. Il presidente - annuncia il legale - intende prendere delle decisioni immediate sul suo ruolo nella Società Calcio Catania spa, al fine di potersi difendere con la massima serenità e di salvaguardare gli interessi della società sportiva".

    Il n.1 della Lega di serie B, Andrea Abodi, "Assicuro che la Lega che rappresento, come è già successo nell'ambito del procedimento penale attivato dalla Procura di Cremona, non darà tregua ai responsabili di queste nefandezze, perseguendoli in sede sportiva e penale".

    "Ho letto le agenzie, non ne so niente. Ma si commenta tutto da solo - dice ì il presidente del Coni, Giovanni Malagò - E' una vergogna. E' imbarazzante. Certo, non c'è mai limite al peggio".

    "E' una manata di fango non solo sulla squadra, ma sulla città" - commenta Pippo Baudo all'Ansa, sfogando il suo "sconcerto" per la vicenda. "Mamma mia - aggiunge il presentatore - che dispiacere, che tristezza...".
    (Ansa)




    Giochi europei, due coppie vincenti per l'Italia del tiro.
    Oro Campriani-Zublasing nella carabina e Bacosi-Luchini nello skeet. BAKU - L'Italia festeggia la decima giornata ai Giochi europei con due ori di coppia, quello di Petra Zublasing e Niccolo' Campriani nella carabina 10 metri e quello di Diana Bacosi e Valerio Luchini nello skeet. Ma l'oro di Zublasing e Campriani ha un altro sapore perché i due sono una coppia anche nella vita e non solo al poligono. ''Non è da tutti poter dire d'aver vinto una medaglia d'oro con la propria fidanzata'' sorride Campriani, 28 anni, un oro conquistato a Londra 2012, laurea in ingegneria e ora diviso tra il poligono e il progetto in Ferrari. Guai però a chiamarli 'coppia d'oro': ''Non ci definiamo'', dicono all'unisono. Le coppie ''vincenti'' nello sport non mancano ma vittorie in ''famiglia'' non se ne ricordano, a parte Gianni Lonzi, oro con il 'settebello' a Roma 60 e la schermitrice Antonella Ragno (bronzo a Roma' 60 e oro a Monaco'72 nel fioretto) definiti la prima 'coppia d'oro' o gli schermidori Andrea Borella (oro a Los Angeles) e Francesca Bortolozzi (oro Barcellona 92), ma mai insieme nella stessa gara.
    ''Meno male che c'è Petra - sintetizza Campriani - In qualifica ho dato una mano io, poi in semifinale e finale, quando c'era da tirar fuori il carattere lei è stata molto molto brava. Sono partita un po' larga - aggiunge la Zublasing poi ho preso sicurezza ed è andata meglio''. Una specialità ancora sperimentale quella mista che i due azzurri gradiscono: ''A noi piace l'idea della gara a squadre, in questo caso a coppie - dice ancora il toscano - è una gara ancora sperimentale. Ma una gara a coppie è davvero una cosa particolare, non è da tutti poter dire di aver vinto una medaglia d'oro con la propria fidanzata, al di là dell'oro è stata una giornata molto particolare che ricorderemo''.
    Sul 3-1 per la Danimarca la svolta della gara con quel sorriso della Zublasing che ha avviato la rimonta: ''Non stavo tirando bene - spiega l'altoatesina - invece di fare un gesto di disappunto mi sono detta 'dai, puoi fare meglio', ed infatti sono riuscita a fare bene ed abbiamo fatto la rimonta''.
    Da Baku la coppia Zublasing- Campriani torna con tre medaglie, le due d'oro di Petra e l'argento di Niccolò con un pizzico di rammarico per quella dai 50 metri: ''Per me è l'ultima gara della stagione - dice il toscano - se avessi avuto un pochino più di energie magari sarebbe stato possibile gestire anche questo vento perché la gara ai cinquanta metri è stata veramente un incubo. Diciamo che c'è il lieto fine, possiamo dormire sonni tranquilli''. Ma chi si aspettava un bacio tra i due a fine gara è rimasto deluso: ''No, no - dice Zublasing - ormai lo conosco bene, lui è un po' timido. Già che ci prendiamo per mano è tanto. Il bacio tutti sudati non era il massimo - si schernisce Campriani - e poi certe cose devono rimanere separate''. Tempestiva a fine gara è arrivata la telefonata di complimenti del presidente del Coni, Giovanni Malagò: ''Ci ha detto che è molto orgoglioso di noi - racconta Zublasing - e che se Roma avrà le olimpiadi 2024 si batterà perché sia inserita anche questa gara''. E Campriani aggiunge: ''così se abbiamo problemi di coppia, il Coni ci metterà a disposizione terapeuti per farci vincere ma tranquilli, non ci sono problemi di questo tipo''.
    E' d'oro anche la coppia dello skeet anche se Diana Bacosi e Valerio Luchini lo sono solo in gara: ''Sentivo molto questa gara - racconta Bacosi - sapevo che Valerio doveva contare su di me, sulle mie forze. Ci siamo fatti forza l'un l'altro ed alla fine abbiamo vinto l'oro. Una gara a squadre ai Giochi? Secondo me funzionerebbe, magari con qualche piccola modifica'', dice.
    ''Ringrazio Diana per avermi aiutato a vincere questo secondo oro. E' un'emozione grande. Sono davvero felice, vuol dire che quello che sto facendo va bene''.
    (Ansa)




    Giro Svizzera: a Spilak la generale.
    Primo degli italiani Pozzovivo, al rientro dopo caduta al Giro. A Berna l'olandese Tom Dumoulin (Giant-Alpecin) ha vinto l'ultima tappa del Giro di Svizzera, una crono di 38,4 km, in 48'36"530. Lo sloveno Simon Spilak (Team Katusha), si è invece aggiudicato la corsa in 30h15'09".
    Il vincitore di tappa ha preceduto proprio Spilak di 18"; quest'ultimo si è imposto a sua volta su Geraint Thomas di soli 5" nella generale. Primo italiano Domenico Pozzovivo, al rientro in gara dopo la brutta caduta al Giro d'Italia, che ha ottenuto il 5/o posto, a 2'21" da Spilak. (Ansa)

    (Gina)



    MUSICAL




    “Pinocchio”


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    Le emozioni del musical italiano per eccellenza arrivano a Roma: torna in scena al Teatro Sistina fino al 23 maggio, “Pinocchio-il grande musical”, la storia del burattino più amato di tutti i tempi.

    Tratto dal celebre racconto di Carlo Collodi, il musical Pinocchio è un vero e proprio lavoro di gruppo, con un allestimento che vede in scena più di trenta persone ed altrettante dietro le quinte per dar vita ad una delle favole più amate della letteratura italiana. Pinocchio è uno spettacolo adatto a tutta la famiglia, un musical che diverte, commuove, sorprende con graziosi effetti speciali, trascina con balletti e canzoni che restano nel cuore. Scenografie sorprendenti, spettacolari cambi di scena, canzoni emozionanti, coloratissimi costumi ed un doppio cast di validi attori non professionisti, danno vita a due ore di magnifiche emozioni.
    Il musical presenta la storia, rivisitata in chiave moderna, con modalità diverse da quella di Collodi: Geppetto non è povero - anzi, ha una specie di mobilificio - e nemmeno tanto solo, corteggiato dalla bella Angela che alla fine diverrà la mamma di Pinocchio. E anche il Grillo Parlante, un po’ mimo, un po’ rettile, un po’ tormentone, veste di simpatia la sua saggezza.
    Si parte con un temporale che abbatte l'albero destinato a fornire il legno per la creazione di quello che Geppetto sogna come «un figlio perfetto», non conflittuale come il problematico Lucignolo. Speranza vana perché il burattino è avido di esperienze autonome fra le quali non è inclusa la scuola. L'interazione di Pinocchio coi burattini di Mangiafuoco è divertentissima e culmina con la rivolta contro il burattinaio. Ma altre prove aspettano Pinocchio: le trappole del Gatto e della Volpe hanno grande spazio e sono la rappresentazione fumettistica dell'ignoranza crudele, del raggiro, dell'arte di arrangiarsi.
    Dall'impiccagione del burattino, salvato dalla Fata Turchina, è un crescendo. Pinocchio nel paese dei Balocchi dove non troviamo giostre e pop corn, ma un'aula scolastica priva di insegnanti e una scolaresca in ricreazione permanente che si scatena nel corale «Sballo» fra danze acrobatiche e break-dance. Pinocchio, trasformato in ciuco, viene buttato in mare dal perfido proprietario del circo ed affonda nelle profondità marine, per “galleggiare” fra ninfee danzanti, sirene cantanti, bolle ed effetti di rifrazione. Poi la balena che divora il burattino, l'incontro con Geppetto nel ventre del cetaceo, il ritorno a casa, alla normalità, al paese, l'ultimo tradimento di Lucignolo e la trasformazione in bambino vero...




    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    CANOVA E I MAESTRI DEL MARMO.
    LA SCUOLA CARRARESE DELL’ERMITAGE

    Dal 13 Giugno al 04 Ottobre 2015


    Sabato 13 giugno ha aperto la mostra “Canova e i maestri del marmo. La scuola carrarese dell’Ermitage” curata da S. Androsov e M. Bertozzi. L’esposizione sarà ospitata al piano nobile di Palazzo Cucchiari, oggi sede della Fondazione Giorgio Conti, sontuosa residenza ottocentesca opera di Leandro Caselli, il progettista che ridisegnò il volto della Carrara moderna.
    La mostra, organizzata dalla Fondazione Giorgio Conti con la collaborazione del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo e del Comune di Carrara, con il patrocinio della Camera dei Deputati, del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Regione Toscana, sarà allestita in concomitanza alla presentazione dell’accurato restauro, su progetto dell’architetto Tiziano Lera, a cui è stato sottoposto il palazzo che riapre alla città le sue splendide sale.
    Per questa occasione saranno esposte 16 sculture in marmo provenienti dal Museo dell’Ermitage; 7 gessi di proprietà dell’Accademia di Belle Arti di Carrara oltre a una copia da Lorenzo Bartolini conservata presso l’istituto d’arte di Massa: si tratta di opere esemplari del gusto collezionistico dello Zar Nicola I, amante della scultura moderna ospitata al Nuovo Ermitage, legate alla Scuola Carrarese e ai suoi maggiori protagonisti.

    Alla fine del 1845 Nicola I, Zar di tutte le Russie, visita l’Italia, e lo fa in forma privata, ingrossando le fila di quel singolare pellegrinaggio artistico, chiamato “Grand Tour”, che fu insieme percorso di formazione e scoperta esotica del mondo mediterraneo. Durante il suo soggiorno romano, dove arriva il 13 dicembre, lo Zar non si limita a visitare i luoghi simbolo e i monumenti principali della città, ma si fa accompagnare anche negli atelier dei principali scultori insediati a Roma, tra i quali quelli dei carraresi Pietro Tenerani e Luigi Bienaimè.
    Nicola I guarda e agisce come un collezionista: il suo scopo è in effetti quello di acquistare o commissionare opere destinate alla sala della Scultura Moderna, che intende allestire nel Nuovo Ermitage, il primo museo imperiale di Russia, che si sta costruendo proprio di fianco al Palazzo d’Inverno. Alcune delle statue, collocate nella sala della Scultura Moderna, e nello specifico quelle legate alla cosiddetta Scuola carrarese, tornano adesso a Carrara, per essere ospitate a Palazzo Cucchiari, nella mostra “Canova e i maestri del marmo. La Scuola carrarese all’ Ermitage”.
    A segnare il percorso e i connotati della mostra ci sono in effetti sculture di un precursore come Giovanni Antonio Cybei, che fu il primo direttore dell’Accademia di Belle arti di Carrara, di Lorenzo Bartolini, che diresse l’Istituto durante il periodo napoleonico, e di Antonio Canova, che da Carrara ebbe non solo l’importante contributo di un materiale straordinario e unico al mondo ma anche alcuni allievi di eccezione.

    La mostra segnala soprattutto le diramazioni in Italia e in Europa, degli scultori che a Carrara si sono formati e che poi hanno determinato i nuovi indirizzi della scultura dopo il periodo neoclassico: a cominciare dallo stesso Lorenzo Bartolini a Firenze, Pietro Tenerani, Luigi Bienaimè e Carlo Finelli a Roma, Christian Daniel Rauch a Berlino, la genia dei Triscornia a Pietroburgo, e in certa misura, sulla scia di Benedetto Cacciatori, ancora Carlo Finelli a Milano.
    Nell’occasione tornano dunque a Carrara sculture prestigiose, apprezzate fin dal loro primo apparire e poi codificate come lo specchio di un’epoca dalla storia dell’arte, e basterà citare l’Orfeo di Antonio Canova o la Fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini, la Psiche svenuta di Pietro Tenerani, l’Amore con colombi di Luigi Bienaimè o Venere nella conchiglia di Carlo Finelli.
    Alle sculture dell’Ermitage si affiancano, sette gessi, con precisi riferimenti alle opere in mostra, conservati all’Accademia di Carrara, e una copia, fin qui sconosciuta, della Fiducia in Dio, conservata all’Istituto d’Arte di Massa, seguendo un percorso che si avvia con una scultore che fonda una scuola, dove fin da subito si formano artisti destinati loro pure a fare scuola, rilanciando l’attività delle botteghe e dei laboratori, dove si rinnova l’immanenza quotidiana della più aristocratica fra le materie dell’arte: il marmo di Carrara.
    Abbracciando un periodo che va dalla fine del Settecento alla metà del secolo successivo, la mostra si concentra in particolare sul passaggio dalla scultura neoclassica a quella verista, sottolineando dunque un cambiamento di stagione preciso, dove si determina il passaggio da uno statuto istituzionale e accademico, anche nell’indicare i modelli e lo stile di riferimento, a una committenza prestigiosa, soprattutto per qualità di gusto, oltre che per fama e disponibilità economica, in grado di avviare il marmo e la scultura a nuove fortune.
    E tutto ciò confidando non solo sul retaggio storico di una tradizione secolare, ma sulle qualità stesse della scultura, per come le statue che vengono collezionate per essere esibite al pubblico, diventavano strumenti di conoscenza estetica e di formazione di gusto, coniugando insieme l’educazione alla qualità poetica e spirituale delle immagini e il riconoscimento del valore di un materiale e delle capacità di un mestiere.
    La mostra è corredata dal catalogo edito da Pacini editore, con scritti di S. Androsov, R. Bavastro, M. Bertozzi, C. Giumelli, E. Karceva, T. Lera.
    “Canova e i maestri del marmo. La scuola carrarese all’Ermitage”.
    (www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    “Ha un nome bellissimo. Senza suffissi in “ite”, e con quella “i” finale che lo fa sembrare sempre al plurale, già dal nome disorienta un poco. E quelle pagliuzze dorate, che sembrano stelle di un planetario, ma di un planetario che possiamo tenere in mano, su quel colore blu così intenso, sembrano ammiccare; sembrano volerci raccontare qualche storia.”


    IL LAPISLAZZULO



    Il Lapislazzulo detto, meno comunemente, Lapislazzuli o Lapis Lazuli, è una pietra tra le più preziose e antiche della storia. E' un minerale del gruppo della Sodalite, meno noto con il nome di “lazurite“. E' un silicato complesso formato da alluminio e da sodio. La formula chimica base, è: 3NaAlSiO4.NaS3. La durezza varia fra 5 e 5.5; il peso specifico teorico è circa 2.40; dato che però non lo si trova mai “puro”, ma sempre frammisto ad altri minerali, il suo peso specifico può variare fra 2.38 e 2.95. Indice di rifrazione: 1,500 (monorifrangente). La cristallizzazione è nel sistema monometrico; però si parla di microcristallizzazione. Cristalli visibili di lapislazzuli sono più unici che rari.
    E’ fra le gemme più antiche; gli egizi, i caldei, gli assiro-babilonesi dei primordi della storia la andavano a cercare dove tuttora la si va a cercare; nelle impervie montagne dell’Hindukusch, nella zona del Badakschan. Le miniere conosciute si trovano in Afghanistan, Cina e Cile. Il suo valore è elevato. Il lapislazzulo non è un minerale singolo, bensì un insieme di minerali intimamente mescolati fra di loro. Negli esemplari migliori i minerali blù (l’azzurrite, sodalite, hauynite) predominano conferendo alla pietra un aspetto quasi omogeneo; le pagliuzze di pirite che brillano al suo interno, sembrano minuscole schegge d’oro. Generalmente le pietre preziose derivano da cristalli trasparenti; il lapislazzuli appartiene invece alla categoria dei minerali massivi, delle rocce, dei marmi, dei conglomerati.

    Il nome deriva dal latino e compone le parole lapis (piestra) e lazuli, genitivo del latino medioevale lazalum, derivato dall’ arabo (al-)lazward che a sua volta deriva dal persiano lāzhward (لاژورد) e che significa “azzurro” e risale al V millennio a.C.

    Da sempre è stato apprezzato per il suo bel colore, e ha accompagnato la ricchezza, il potere, il magico e la sacralità, come succede per tutte le pietre preziose. Il fatto di non essere trasparente e di avere dei noduli e delle zonature di bel colore frammiste a zone di colore insignificante, lo rende particolarmente indicato per piccole sculture, monili istoriati, bottigliette talmente arzigogolate che proprio non sembrano delle bottiglie. La cultura del lapislazzuli è parallela a quella della giada, molto legata alla storia del suo territorio, e ricca di significati per noi difficili da partecipare. E’ utilizzato nella fabbricazione di gioielleria, nell’ intaglio e nella scultura, il suo colore e la sua storia rendono a creare nel’ immaginario collettivo una pietra preziosa legata alla poetica. Il colore “giusto” è un blu molto intenso, che sembri quasi bagnato, con una tendenza al viola scuro. Le pagliuzze di pirite è bene che ci siano, ma non debbono essere troppo abbondanti; le zonature bianche lo deprezzano.

    “…somigliante al cielo sereno costellato di stelle”
    (Plinio)

    ..storia, miti e leggende..


    La storia del Lapislazzulo risale al V millennio a.C. Egizi e cinesi per procurare il prezioso minerale organizzavano lunghe carovane e raggiungevano le ricche miniere dell’Afghanistan che ancora oggi, dopo più di seimila anni di sfruttamento, forniscono il materiale del mondo.Veniva usato dagli Egizi per adornare le sepolture e dalle culture orientali a cui vi attribuivano grandi poteri metafisici. Era considerato un pezzo di cielo donato dagli dei agli uomini e per molto tempo è stato, per questa caratteristica, usato da Re e Regine che ne facevano talismani per attestare la loro superiorità, allontanare la malasorte e curare le ulcere. Secondo i Sumeri, il lapislazzuli conteneva la vera anima delle divinità, non a caso era associata alla Dea del cielo, Inanna. Credevano anche che fossero suoi i poteri di scacciare la paura ed i peccati dall'animo umano. In Egitto si riteneva che il suo blu profondo che la sua luce cosparsa di punti dorati mettesse in connessione con il divino. La polvere di Lapislazzuli veniva impiegata per tingere le stoffe destinate al Faraone.Gli antichi Romani credevano che avesse proprietà afrodisiache, mentre nel Medioevo si pensava che allontanasse la paura e l’invidia.
    La citazione di Plinio non sembra dettata da un fantasioso slancio poetico se si osserva lo stupendo masso di lapislazzulo, rappresentante il globo terrestre, che adorna la cappella di S. Ignazio di Lojola nella famosa chiesa del Gesù a Roma.
    Si tratta di un cristallo blu intenso composto da diversi minerali quali lazurite, pirite (le pagliuzze dorate) e calcite (le ombrature grigiastre).In Mesopotamia e nell’America precolombiana i lapislazzuli erano il simbolo della notte stellata. Il colore blu di questa pietra favoriva l’idea di sacralità, presso molti popoli antichi. In Oriente era ed è considerata un potente talisamano contro il malocchio: spesso è possibile vederla al collo di molti bambini e far parte dei paramenti ornamentali di elefanti e cavalli.
    Esiste la credenza che le Tavole bibliche della legge fossero incise su questa pietra e non sullo zaffiro. Era la pietra amata e ritenuta sacra da Iside e poi da Venere; i primi Cristiani la dedicarono alla Madonna. Era usanza credere che potesse proteggere dai colpi apoplettici, curare l’anemia e donare forza vitale. Il lapis era considerato la pietra dell’amicizia e si riteneva che i suoi influssi potessero garantire la fedeltà.
    Nel Buddhismo viene considerato uno dei sette tesori e equiparato alla coscienza di sé.
    Un utilizzo importante del Lapislazzulo si ebbe dal Medioevo, quando i pittori lo usarono per le loro opere. La ricchezza del materiale aveva anche un significato devozionale: nell'arte sacra ritrarre la divinità con materiali preziosi era una sorta di offerta che si faceva nei loro confronti. La polvere veniva usata per fare il colore blu oltremare. I pigmenti azzurri sono sempre stai rari e costosi. Il cui costo era paragonabile a quello dell’oro, esso veniva impiegato a tempera, ovvero in emulsione con rosso d’uovo, acqua e aceto e nella tecnica dell’affresco. Stabilissimo in ambiente alcalino, è però instabile in ambiente acido nel quale perde il colore e diventa bianco-grigio. Fu Impiegato da Giotto e Michelangelo negli affreschi della cappella Sistina a Roma e della Basilica di S. Francesco ad Assisi. Michelangelo ne usò abbondantemente sia per affrescare la Cappella Sistina ,in particolare nel Giudizio universale, che nella Cappella Paolina. In gioielleria, famosi sono le coppe e i vasi in lapislazzuli che appartennero ai Medici, famiglia regnante a Firenze nel XIV - XVIII secolo.

    I musei di tutto il mondo hanno sigilli, specialmente cilindrici, in lapislazzuli. Inoltre la polvere di lapislazzuli mantiene il bel colore blu, contrariamente alla generalità delle altre pietre che, in polvere, sono per lo più grigiastre. Per secoli i pittori hanno utilizzato la sua polvere per dipingere i cieli. I sigilli sono molto di più di un semplice ritratto; i sigilli sono un ritratto dell’anima; per questa ragione i potenti in declino dell’antica Roma, prima di suicidarsi, spezzavano i sigilli dei loro anelli. E in pittura il colore blu non serve per raffigurare volti, tranne quelli di certe divinità indiane, che scendono fra di noi solo per interferire e dirigere grandi avvenimenti storici. Si direbbe che questa pietra sia legata alla storia e alle emozioni dei popoli.

    (Gabry)





    RITI E TRADIZIONI DEGLI SPOSI!!!




    Vuoi sposarmi? Le regole per una romantica proposta di matrimonio




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    Ci sono alcune tradizioni a cui neanche la meno romantica di noi vorrebbe rinunciare. La prima è la proposta di matrimonio. Possiamo essere delle vere dure, ma non riusciamo a non commuoverci quando in un film o in un libro lui le fa la classica domanda: vuoi sposarmi?

    Certo, coltiviamo dentro di noi una sana perplessità: se due persone stanno insieme da diversi anni come è possibile che lei lo guardi con occhi colmi di stupore che significano “ma davvero tu meraviglioso uomo vuoi correre il rischio di passare tutta la vita con me”?

    La seconda irrinunciabile e romantica tradizione, strettamente legata alla prima, è naturalmente l’anello di fidanzamento. L’anello può essere nuovo o appartenere alla famiglia di lui da generazioni, ma è fondamentale per mostrare al mondo intero che siamo finalmente impegnate.

    La terza ingloba le prime due ed è molto più difficile da comprendere per i signori uomini: proposta e anello devono essere circondati da un appagante, nonché profuso a piene mani, romanticismo. Non è che lui può arrivare una sera a cena e dire: to’, visto che tanto dobbiamo sposarci mettiti l’anello.

    E’ anche vero che capire ciò che sia veramente romantico per i fidanzati del 2000 e per le donne del nuovo millennio non è facilissimo. Intanto, è stato sdoganato il trash e oggi si può fare di tutto senza provare la benché minima vergogna.

    In secondo luogo, in un mondo che ci vede tutti in costante movimento nel villaggio globale, a volte la proposta può arrivare da lontano, magari via iPhone. Infine dobbiamo tener presente che non tutti possono permettersi l’anello e che non tutte le donne stanno ad aspettare la proposta, col rischio che lui scivoli nella convivenza senza rendersene conto.

    A me personalmente è andata male su tutti i fronti: la proposta gliel’ho fatta io e tutt’ora, sebbene io lo solleciti a confermarmi che lui me l’avrebbe fatta comunque, fa finta di niente e cambia di scorso; di anello neanche l’ombra, sostanzialmente per mancanza di fondi; mia suocera non ha gradito il nostro connubio e quindi non si è offerta di compensare questo vuoto mostruoso sul mio anulare.

    Resta il romanticismo. Vediamo un po': ho avuto un meraviglioso, davvero splendido, mazzo di rose rosse a gambo lungo. Ah no, non vale: era il nostro decimo anniversario.


    (Lussy)





    salute-e-benessere


    Salute e benessere




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    MARGHERITA DI SAVOIA-TERME



    Nell'arco del Golfo di Manfredonia a 40 chilometri da Foggia, Margherita di Savoia-Terme si adagia sulla parte litoranea del Tavoliere foggiano. La città si stende su un rettilineo di oltre due chilometri che corre parallelamente tra il mare e le Saline, le più grandi e spettacolari d'Europa. Per le acque salso-bromo-iodiche le Terme sono frequentate quasi tutto l'anno da curandi che vengono da ogni parte d'Italia, dai Paesi del Mediterraneo e dagli altri Stati europei.

    Margherita di Savoia, località turistica di primaria importanza, dal nome che tradisce inequivocabilmente l'interscambio con la storia sabauda, ha le saline più grandi d’Europa; non può quindi meravigliare il fatto che, da tempo immemorabile, le proprietà terapeutiche delle acque madri, dei fanghi e dei sali estratti in loco, siano conosciute, apprezzate e applicate.

    Lo stabilimento termale

    Lo stabilimento termale di Margherita di Savoia sorge di fronte al mare, costeggiato da un'ampia spiaggia e si estende su di una superficie di circa 15.000 mq. Dispone di attrezzature medico-sanitarie in grado di rispondere alle più specifiche esigenze. Ai classici reparti per le cure inalatorie, la fango-balneo terapia, i vari tipi di massaggio, si sono aggiunti il centro di Sordità Rinogena, il centro di Broncopneumologia e Riabilitazione Respiratoria, la palestra, il reparto Ginecologico e il centro di Medicina Estetica.

    Si praticano cure di fanghi, bagni, inalazioni, nebulizzazioni con l'impiego delle cosiddette « Acque Madri », le famose « acque rosse » delle Saline. Non limpide e di leggero odore di idrogeno solforato, hanno una elevata radioattività naturale, sono ricche di iodio, bromo e soprattutto di cloro. Il tipico colore rosso deriva dalla presenza di un protozoo flagellato, la Dunaliella Salina a concentrazioni molto elevate anche se comunque sono batteriologicamente da considerarsi pure. L'efficacia di queste acque era già nota nell'antichità: si dice, infatti, che dopo la battaglia di Canne, Annibale si fosse bagnato nelle « acque rosse » di Salpi per curarsi dalle ferite. Straordinarie proprietà terapeutiche sono attribuite a speciali alghe, presenti nel Golfo di Manfredonia, che, macerandosi, lasciano in sospensione sali di iodio, bromo, zolfo ed altri minerali in una felice combinazione che non si rinviene altrove, in Italia e in Europa.

    L’utilizzo razionale delle proprietà curative delle acque dei bacini salanti va fatto risalire alla fine del Luglio 1930, circa otto anni dopo la concessione a titolo oneroso delle acque madri delle Saline da parte dello Stato. Ma l’uso empirico delle acque madri per scopi curativi si confonde con l’evoluzione stessa del paese, tanto da farne risalire l’utilizzo allo stesso Annibale (210 a C.), avendo bisogno costui di cure e riposo. Fino a prima dell’apertura dello stabilimento termale, ed anche negli anni seguenti, molti pazienti usavano, durante la stagione estiva, immergersi nei canali di scolo a fondo fangoso delle acque residuali, a densità 29/30 gradi Beaumè, senza alcun controllo medico. Nelle cure termali, invece, è previsto che si provveda a diluire con acqua di mare riscaldata le acque madri a questa gradazione, in modo tale da consentirne un uso terapeutico più razionale; ciò perché temperatura, grado di concentrazione e tempi di immersione sono diversi a seconda delle patologie sulle quali intervenire. Stesso discorso viene fatto anche per i fanghi, che vengono depositati in apposite vasche e lì amalgamati. Dal modesto impianto del 1930 si è passati poi nel 1947 ad uno in muratura, sostituito poi nel 1988 da uno ancora più moderno ed efficiente, che copre una superficie di circa 15.000 metri quadri.
    Vi sono compresi i reparti di fangobalneoterapia, ginecologia, riabilitazione della funzione motoria, ventilazione polmonare, cure inalatorie ed altri per la cura di malattie che vanno da reumatismi alle affezioni nasali (riniti), delle orecchie (otiti) e della gola (tracheiti) ed ancora: insufficienza venosa, colecisti, stipsi, piorrea alveolare, eczemi, dermatiti.

    Tutte queste indicazioni sono inoltre favorite da numerosi fattori climatici marini: l’elemento solare benefico, l’aerosol marino sulla battigia, il nuoto, nonché l’azione del moto ondoso.





    Le acque termali

    Le acque termali impiegate provengono direttamente dalle saline. L'alta concentrazione salina, il contenuto di bromo e di iodio rendono le "acque madri" particolarmente efficaci nella prevenzione e nella cura di diverse patologie ginecologiche, dermatologiche, dell'orecchio, delle vie respiratorie, dell'apparato osteoarticolare.
    Esenti da flora patogena, tanto da essere definite "batteriologicamente pure", sono ricche di una tipica microfauna e microflora che conferiscono all'acqua il caratteristico colore rossastro.
    Secondo la classificazione delle acque minerali italiane di Marfori e Messini, trattasi di acque cloruro-sodiche-forti (acque salso-bromo-iodiche come quelle di Salsomaggiore, Salice, Castrocaro, Bagno di Romagna).




    I Fanghi termali

    Il fango, caratteristica peculiare delle Terme di Margherita, matura attraverso il contatto prolungato per decenni con le "acque madri" e viene mineralizzato dalla deposizione dei sali in essa contenuti.
    Nello stabilimento termale vengono utilizzati unicamente fanghi naturali e mai riciclati, grazie alla vasta estensione delle saline che ne garantiscono una quantità praticamente inesauribile. I fanghi vengono inoltre arricchiti, sempre in modo naturale, dalle componenti organiche fornite dalle microalghe e dai piccoli crostacei contenuti nei bacini.

    Fangoterapia




    p039_1_00La fangoterapia si effettua applicando il fango sulle parti del corpo interessate. Il fango viene riscaldato ad una temperatura di 45° e poi applicato sui pazienti per circa 10-15 minuti. Questa terapia trova elettiva indicazione nella cura delle artopatie degenerative, di quelle infiammatorie non in fase acuta, come anche in altre patologie in campo ortopedico e traumatologico. I fanghi sono molto efficaci anche in campo ginecologico, applicati in sede pelvica, associati alla balneo-terapia ed alle irrigazioni vaginali.

    spiaggia



    Turismo naturalistico

    Un soggiorno alle Terme di Margherita è sicuramente un'ottima occasione per visitare le Saline che, come è già stato ricordato più volte, sono le più grandi e spettacolari d'Europa. In effetti lo spettacolo delle Saline è stupendo: montagne di sale di un bianco abbagliante, bacini di acque iridescenti e luminose sotto i raggi del sole. L'aria, fortemente iodizzata, tonifica le energie di chi la respira. Il panorama è sterminato: quattromila ettari.
    Non per niente infatti è la salina più grande d’Italia e una delle più vaste dell’intero bacino mediterraneo. Sul luogo dell’odierna salina si trovava originariamente una vasta laguna costiera, il lago Salpi. A seguito probabilmente di periodici allagamenti di acqua marina nei terreni retrodunali l’evaporazione formava estese incrostazioni di sale. Fu questo che con ogni probabilità suscitò l’interesse dell’uomo per questo luogo nel corso dei secoli. L’area vide insediamenti già nel periodo neolitico e in seguito, con la fondazione della città di Salpi, vi si succedettero i Greci e i Romani. Questi ultimi utilizzarono Salpi, nel frattempo rinominata Salapia, con la vicina Siponto anche da punto di imbarco per i cereali prodotti nel Tavoliere. Della floridezza della città rimangono oggi soltanto rovine sommerse ed un molo costruito con lastroni di pietra dell’VIII secolo avanti Cristo. I Romani utilizzarono intensamente i depositi salini e questa attività continuò a svilupparsi in tutte le epoche successive nel corso delle quali l’intero assetto territoriale della zona progressivamente si modificò in funzione delle nuove tecniche di estrazione del sale. I deflussi delle acque basati sulla pendenza naturale dei terreni furono sostituiti da vasche e in seguito da sistemi di idrovore. Nelle saline operarono già dal medioevo, nel rinascimento e nelle epoche successive progettisti famosi ed illustri. Sono ancora osservabili delle strutture fatte costruire da Ferdinando I di Borbone nella prima metà dell’ottocento che rappresentano importanti testimonianze di archeologia industriale. La raccolta manuale del sale è stata progressivamente sostituita da sistemi meccanizzati.




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    da:benessere.com
    foto:terme.qviaggi.it
    - arganowebtravel.com
    - rete.comuni-italiani.it
    - bblarosadeiventi.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    La Venezia verde

    GIETHOORN

    Nella caratteristica provincia di Overijssel, ad est dei Paesi Bassi, nel cuore della riserva naturale De Wieden, nella zona chiamata Waterreijk, sorge un villaggio unico al mondo: Giethoorn.
    Si trova nel nord-ovest della provincia di Overijssel Si trova nel comune di Steenwijkerland, a circa 5 km a sud ovest di Steenwijk. Giethoorn è un pittoresco villaggio situato in una zona del lago, con i suoi canali, le sue numerose piccole e ponti alti, le sue case vecchio stile, sia per la sua storia e gli usi e costumi caratteristici ancora in uso in questa città. La peculiarità di questo piccolo agglomerato urbano di appena 2600 abitanti è data dalla sua conformazione naturale: Giethoorn è infatti situato al centro del De Wieden, un parco naturale costellato di torbiere acquitrinose. Questo sistema di canali attraversa quasi per intero il centro storico del paese e sostituisce il sistema stradale. Chiamato per questo motivo “Venezia verde”, è percorribile soltanto a piedi, ed attraverso i ponti di legno immersi nel verde che sono ben 176 e o in barca, servendosi delle tipiche imbarcazioni che navigano lungo i canali ed i laghi. Giethoorn era un comune autonomo fino al 1973, quando entrò a far parte del Brederwiede. Giethoorn è stata a lungo la sede di una congregazione mennonita. Ancora nel 1838, il 50 per cento della popolazione era mennonita, ma 1955 solo il 20 per cento.

    I primi abitanti hanno trovato masse di corna di capre selvatiche, che probabilmente erano morti nel 1170 durante l'alluvione. Dopo questo diluvio, chiamarono il loro insediamento Geytenhorn (geit = capra), da ultimo diventando Giethoorn (dialetto capra = geit = Giet).

    Il ‘t Olde Maat Uus, una vecchia fattoria ottocentesca oggi museo della civiltà paesana, dove scoprire com’era la vita a Giethoorn in passato. Il Museo De Oude Aarde, dove sono esposti minerali e cristalli, il Museo Gloria Maris con la sua esposizione di conchiglie, l’Histomobil il museo dell’automobile e famosi mulini a vento olandesi sparsi su tutto il territorio.

    Giethoorn ha guadagnato la fama notevole dopo essere comparso in 1958 commedia "Fanfare" ed è diventata un'attrazione turistica familiare internazionale nei Paesi Bassi.

    "A Giethoorn si torna indietro nel tempo di almeno due secoli, un tuffo nel passato..."


    ..storia..



    Il villaggio di Giethoorn fu fondata da un gruppo di fuggitivi della regione mediter-
    ranea nel 1230. La prima cosa che i fuggi-
    tivi notarono all'arrivo era una grande massa di corna di capra che era stata ancora visibili dopo un'immensa alluvione distrusse l'area pochi anni prima. Quando i monaci francescani si stabilirono nella area, iniziarono a utilizzare la torba e furono scavati i canali per il trasporto. Grandi aree divennero laghi, molti di loro non più profondi di tre, quattro piedi.

    Nel XVI secolo, Giethoorn aveva una popolazione prevalentemente mennonita. Molti cognomi a Giethoorn sono di due sillabe e terminano in un silenzioso e: Doze, Haxe, Gorte, Hase, Kleine, wuite. Blaupot ten Cate (Groningen II, 220-21) fu del parere che la popolazione discendesse della congregazione dei Flagellanti. I Flagellanti erano una setta medievale, che per ascendere usavano la mortificazione della carne; nel XIV secolo marciarono in grandi gruppi attraverso l'Europa occidentale, flagellandosi i corpi, un certo numero di loro si dice che fossero diretti a Giethoorn su indicazione di un vescovo di Utrecht. Durante questo periodo la congregazione si divise in 2 congregazioni, note come il Nord e il Sud Giethoorn. La congregazione Nord apparteneva ai Hulskoopers conservatori nel corso del XVI secolo, e poi ai Danzig fiamminghi mennoniti nel corso dei secoli XVII e XVIII. Ha mantenuto stretti legami con la chiesa di Danzica. La molto più grande congragazione del Sud Giethoorn, apparteneva al ramo fiammingo ed è stato a volte indicato come la Chiesa Nuova fiamminga. Meno conservativo rispetto alla congregazione del Nord, ma sempre più conservatore di altre congregazioni olandesi. La Preghiera silenziosa è stata utilizzata fino al 1780, e nel 1811 la congregazione Sud Giethoorn ha chiesto completa libertà dal servizio militare. A volte gli anziani provenienti da Danzica a Giethoorn effettuare il battesimo e la Cena del Signore.

    La vecchia casa di riunione di Giethoorn è stata ristrutturata nel 1856 e nel 1871. La chiesa era molta attiva in paese durante la metà del XX secolo e Giethoorn è stata una delle prime congregazioni mennoniti di fondare una scuola Domenica per i bambini. Dal 1955 ci sono stati 2 scuole domenicali composte da 200 bambini. Il coro in Giethoorn è stato fondato nel 1914 ed era composto da 40 membri nel 1955. L'ultimo predicatore non stipendiato fu Harm W. Dam che ha servito la congragazione fino al 1850, Assistita dalla sig.ra K. Hovens Greve, predicatore della Zuidveen, che ha servito dal 1826 al 1851. In quell’anno il figlio di Greve AK Hovens Greve è diventato il primo parroco qualificato di South Giethoorn. E 'stato seguito da W. Jesse 1858-1862, A. van Gulik 1863-1866, JA Oosterbaan 1866-1876, JF Bakker 1877-1881, H. Koekebakker 1881-1886, A. van der Goot 1889-1892, H. Schuurmans 1894-1910, TomH Hylkema 1911-1929, MJ Kosters Gz 1929-1933, AJ van der Sluis 1936-1939, Abr. Mulder 1941-1946, e F. H. Sixma dopo il 1948.

    La congregazione Nord mantenne le vecchie pratiche del divieto e la vita semplice e l'abbigliamento e ministri stipendiati. Nel 1631 e di nuovo nel 1646 i suoi membri sono stati esentati dal servizio negli uffici governativi per pagare una tassa.
    Mantenne alcuni contatti con la congregazione conservatrice di Balk. Nel 1834 i suoi membri contavano circa 60. Possedeva una piccola sala di riunione, che è stata danneggiata nel 1825 da una piena del Zuider Zee. Gli ultimi anziani furono Hendrik Sijmens Bakker (? -1852) e Gerrit Sijmens Bos, anziano dal 1838 fino alla sua morte 14 gennaio 1875. Da allora in poi pulpito fu vacante, e gli altri membri, solo nove, si unirono alla congregazione di South Giethoorn dal 1890. La sala riunione, restaurato nel 1854, fu abbattuta nel 1894. Ne fu costruita una nuova è stata costruita nel 1871 e dedicato il giorno di Natale. Nel 1861 i membri era 468, nel 1900, 490 nel 1955 circa 365. Circa 1870 il modernismo (liberalismo) entrò in chiesa. La maggior parte dei membri della chiesa furono agricoltori nella metà del XX secolo, con aziende generalmente piccole. Oltre i contadini ci sono furono un numero maggiore di braccianti agricoli, che in passato rimanevano spesso disoccupati in inverno. La congregazione si prese cura di loro; nel 1915 spese 4000-5000 fiorini per la cura dei poveri. Il pastore Hylkema effettuò alcuni piani per fornire lavoro, ad esempio, la bonifica di campi paludosi. Dal 1950 le condizioni erano migliorate a causa dei sussidi di disoccupazione del governo. Vicino Giethoorn sono stati trovati due centri ricreativi mennoniti, "Samen Een" e "Kraggehuis", entrambi situati sul lago.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    L'UNCARIA


    L’Uncaria tomentosa è una pianta è una liana, appartenente alla famiglia delle rubiaceae che può raggiungere una altezza di 3-5 m, e presente nel Nord-Ovest della foresta tropicale dell’America, in particolare delle foreste di Colombia, Brasile e Perù. Vive nei boschi con abbondante luce, tra i 300 e gli 800 m di altitudine, principalmente in Amazzonia. Nelle foreste equatoriali l’alta densità di piante è tale da non permettere un sufficiente passaggio della luce nelle zone più basse. L’uncaria ha perciò sviluppato alla base delle foglie due o tre strutture a forma di uncino, utilizzate per aggrapparsi alle piante limitrofe e raggiungere la sommità per catturare quanta più luce possibile.

    Le foglie, opposte, intere o bifide, caduche e ricoperte di lanugine, picciolate, presentano alla base 2 o 3 protuberanze a forma di uncino utilizzate per sostenersi con altre specie nella ricerca di zone luminose. I fiori sono di colore giallo con calice e corolla imbutiforme. Una volta raggiunta la canopea, la pianta sfrutta i raggi del sole per costruire la sua potente difesa antiossidante, prima di lasciar cadere i suoi ‘artigli’ e schiudersi in una miriade di minuscoli fiori gialli meravigliosi, chiamati anche “fiore dai mille soli”.

    Uncaria tomentosa è nota in lingua italiana come unghia di gatto; il nome uncaria è nato da un nome popolare dato dai dominatori spagnoli “uña de gato” per le spine che assomigliano alle unghie a questi felini; il termine 'tomentosa', che significa 'peloso' sta ad indicare i peli lunghi sul magine inferiore della foglia

    Fu il naturalista tedesco Carl Willdenow che divulgò le qualità dell’unghia di gatto, nel 1830.
    Generalmente è stato comprovato che l’unghia di gatto ha forti poteri anti-infiammatori e cicatrizzanti. Serve inoltre per curare gastriti, ulcere, artriti, reumatismi, nevralgie. Di solito gli indigeni dell’Amazzonia mettono la corteccia dell’unghia di gatto in una pentola e fanno bollire l’acqua, ottenendo un’infusione benefica.
    Le popolazioni indio del Perù usavano la radice, corteccia e fiori, per rimettere in forza le persone e ristabilirne lo stato generale di salute. La radice e la corteccia di questa pianta contengono: alcaloidi fenolici, cicatrizzanti, antiacidi, alcaloidi ossindolici, glicosidi dell'acido quinovico, triterpeni poliidrossilati

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    GIUGNO


    E' arrivato Giugno

    IL CIELO al mattino è terso e il sole scotta.
    NEI CAMPI il contadino miete e riempie il suo granaio. La buona terra ha premiato la sua fatica.
    Ma il suo lavoro non è finito; dovrà lavorare ancora per la monda e il trapianto del riso
    e per la sarchiatura del granoturco.
    SULLE PIANTE stride la cicala, fra le erbe
    si alza il cri-cri del grillo canterino e, la sera comincia il passaggio aereo delle lucciole
    con le loro lucine gialle. La campagna è piena d'insetti che divorano e si divorano a vicenda.
    IL FRUTTIVENDOLO ha ingombrato con
    le sue ceste di ortaggi e di frutta, anche il sentiero
    o il marciapiede. Ha messo fuori delle ciliegie,
    delle amarene e delle albicocche che fanno venire
    l'acquolina in bocca.
    IL GIARDINO è pieno di fiori e di verde.
    Ci sono rose, gerani, fiordalisi, tulipani, oleandri
    e genziane. Tutti i giorni ne fioriscono.
    A SCUOLA si attendono le vacanze, le grandi vacanz della calda Estate.
    Non si parla d'altro e non si scrive d'altro.
    Ancora pochi giorni - dice la mamma...
    Ancora pochi giorni - dice il maestro...
    Poi la pagella e, addio scuola!
    IN CITTA si parte. - Si va al mare, si va ai monti, si va in campagna e, c'è chi va a giocare
    sui prati della periferia, come Giorgio, Sandro e Pinuccio.
    I bar hanno messo i tavolini all'aperto con gli ombrelloni colorati e le sedie.
    Qualche bambino corre al bar e torna adagio adagio, succhiando un
    buon gelato di panna e limone.


    (Dal Web)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Aimin Wang


    Bisogna insegnare agli uomini
    avendo l'aria di non insegnare affatto,
    proponendo loro cose che non sanno
    come se le avessero soltanto dimenticate.
    (Alexander Pope)

  5. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 025 (15 Giugno – 21 Giugno 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 15 Giugno 2015
    S. GERMANA , S. VITO

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    Settimana n. 25
    Giorni dall'inizio dell'anno: 166/199
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    A Roma il sole sorge alle 04:35 e tramonta alle 19:46 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 04:33 e tramonta alle 20:13 (ora solare)
    Luna: 3.51 (lev.) 18.33 (tram.)
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    Proverbio del giorno:
    Quando piove il giorno di San Vito il prodotto dell'uva va sempre fallito.
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    Aforisma del giorno:
    Io vi supplico, mie care figliole, per l'amore di Dio, non temete Dio perché egli non vuole farvi male alcuno; amatelo assai perché vi vuole fare gran bene. Camminate semplicemente con sicurezza delle vostre risoluzioni, e rigettate le riflessioni di spirito che fate sopra i vostri mali come crudeli tentazioni. (S. Pio da Pietrelcina)









    RIFLESSIONI



    ... ESAMI …
    ... La notte lascia strascichi. Dalla tapparella una flebile scia si insinua nella stanza ancora buia, scoprendo oggetti e ogni cosa in essa contenuta. Ha perso il conto di quante volte si è girato e rigirato sul letto; i pensieri sono molti in quella mente, ma la cosa che più lo scuote e non fa ragionare in modo lucido è quella strana sensazione che da giorni, e proprio in quella notte insonne, lo attanaglia. Sembra come se ci si stia avviando verso la fine di qualcosa, come se si fosse alla fine di un lungo corridoio dove non si vede cosa c’è avanti. Si gira ancora una volta cercando di evitare quel bagliore che trapela dalla tapparella per cercare gli ultimi attimi di riposo prima che la sveglia suoni. Che strano, tornano alla mente mille immagini degli anni fino ad allora trascorsi, volti, luoghi, emozioni si mescolano creando una miscela che fa battere fortissimo il cuore. Un pensiero forte, si solleva sul letto, si siede su di esso, fuori i primi suoni di una città che si sveglia, i primi portoncini delle abitazioni che si chiudono, passi che calpestano i marciapiedi, motori delle automobili che si accendono. Seduto sul letto un istinto, aprire un libro, cercare alla rinfusa risposte a cose non preventivabili; desiste e poggia di nuovo la testa sul cuscino cercando una pace dentro che non riesce in quella notte a trovare. Attimi volano e il suono della sveglia interrompe il silenzio della casa. Mamma lo chiama, lui risponde dopo poco. Gesti usuali fatti da tanti anni, si veste, fa colazione, si prepara ad uscire. Apre la porta della sua abitazione, la mamma gli da un bacio grande, lui sorride; la luce del giorno entra prepotente nella casa; passi veloci si incammina verso la scuola, verso il futuro. Oggi farà la prima prova degli esami di maturità, il corridoio lo ha percorso tutto, davanti a lui il futuro. In bocca al lupo a tutti i maturandi! Siate fieri di ciò che siete e soprattutto siate certi di ciò che sarete … Buon risveglio … Buon Giugno amici miei … (Claudio)






    Il tempo degli esami

    I libri aperti sopra il marmo bianco
    d'una cucina, intrisa di memorie,
    che ripuliva col suo fare stanco
    mia madre sul finire della sera.
    E mi svegliava all'alba, senza scampo,
    l'aroma del caffè nella cucina
    e quell'odore fresco di lavanda
    dei panni appesi sopra uno stendino.
    Nell'aria estiva un canto di cicale
    e l'eco di quei versi del passato
    che rileggevo sopra un davanzale
    all'ombra di meriggi soleggiati.

    Il tempo degli esami era arrivato
    per me ch'esorcizzavo la paura
    fumando sigarette di nascosto,
    nell'ora in cui s'attenua la calura.
    Ma un vento ricuciva le speranze,
    quel grappolo di sogni mai sopiti,
    d'un padre, sempre schivo d'apparenze,
    che riponeva in me traguardi arditi.

    Ed io tornavo alle sudate carte,
    pesanti come l'ombre della sera,
    e rimettevo in gioco la mia parte
    in quei silenzi tormentati e brevi.
    (Salvatore Masullo)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sulla Primavera …

    Alba di primavera

    Stanotte s'è messa in cammino
    la primavera nell'aria.
    D'intorno, sul capo le svaria
    un velo di stelle turchino.
    Il suo profumo è un sospiro
    diffuso sui freschi giardini.
    La terra non ha più confini,
    il mare non ha più respiro.
    L'alba sorride con gli occhi
    dalle lunghe ciglia del cielo.
    Vibra negli orti ogni stelo
    come se una mano lo tocchi.
    Le strade hanno tenui tremori
    di verde lungo i fossati.
    Gli alberi si sono svegliati
    con bianche ghirlande di fiori.
    (Giuseppe Villaroel)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Tutti a cena alla tana della talpina

    C’era una volta una piccola trattoria che si chiamava “La Tana della Talpina” ed era frequentata da strani personaggi. Fra gli avventori si annoverava il famoso Topolino che si dava un sacco di arie perché era l’idolo indiscusso dei più piccoli. Topolino, che era sempre circondato da bambini adoranti che gli chiedevano l’autografo, si presentava alla Tana della Talpina tutte le sere alle 20 con una puntualità che spaccava il secondo e ordinava un piatto di formaggi con confetture miste. Più tardi lo raggiungeva Eta Beta, il suo amico proveniente dal futuro, che essendo perennemente squattrinato, si faceva offrire la cena. La spesa per Topolino, che non era certo famoso per la sua generosità, era comunque contenuta perché la cena di Eta Beta era piuttosto frugale, consistendo in cinque palline di naftalina accompagnate con acqua distillata d’annata.
    Dopo circa mezz’ora si presentava Carletto, il camaleonte verde divoratore di sofficini, che si muoveva tutto traballante, essendo sempre in overdose da crema al formaggio. In realtà lui non era interessato a mangiare perché quando arrivava si era già rimpinzato del suo cibo preferito ma, essendo decisamente logorroico, aveva bisogno di una platea di strani personaggi cui raccontare le sue storie senza capo né coda. Raccontava di aver viaggiato per tutta l’Europa con lo zaino in spalla e di essere pieno di spasimanti e di amici ma, in realtà, il suo vizio di parlare troppo senza ascoltare mai gli aveva alienato tutte le amicizie e solo gli avventori della Tana della Talpina riuscivano a sopportarlo facendo finta di essere interessati ai suoi sproloqui sulla politica, sulle camaleontesse e su presunti detrattori del sofficino al formaggio. La categoria di individui che odiava di più e su cui si concentravano gran parte delle sue invettive era quella dei salutisti che propugnavano insalate e semini come panacea di tutti i mali.
    Certe sere al tavolo di Carletto si univa Filippo, un orsetto della nanna con il pelo marrone che era molto stressato perché l’avevano affidato ad una dormigliona tremenda che lo costringeva a ritmi di lavoro stressantissimi. In genere ordinava una camomilla e sorseggiandola pensava all’orsetta della sua vita, Margherita, che sognava di sposare quando si fosse liberato dalla sua padrona sempre in pigiama.
    Filippo, contrariamente a Topolino, odiava i bambini perché una volta era stato preso dal nipotino della sua padrona che gli aveva ciucciato il medaglione rosso che teneva sempre al collo come pegno del suo amore per Margherita.
    Il gruppo degli sciroccati era composto anche da Chopper, una renna parlante con velleità da pirata, che litigava puntualmente con tutti e aveva sempre da lamentarsi sul livello del locale che, a suo dire, proponeva ogni sera i soliti piatti.
    Di fronte alle lamentele di Chopper la cuoca, che era un donnone sulla sessantina con un bel paio di baffi neri sui quali spalmava un rossetto rosso fuoco, cominciava a dare in escandescenza e sparava invettive su tutti invitandoli a cambiare ristorante se non erano soddisfatti della sua cucina. Ma in realtà Teresa, così si chiamava la cuoca, sapeva che la sera successiva si sarebbero ripresentati tutti perché la Tana della Talpina, più che una trattoria, era una famiglia dove chiunque era accettato con i suoi pregi e le sue stranezze.
    Topolino, Eta Beta, Carletto, Filippo e Chopper si sarebbero sentiti persi senza Teresa e la sua Trattoria che oramai era diventata la loro seconda casa.

    (Barbara La Mastra)



    ATTUALITA’


    Missione Rosetta, il lander Philae si è 'svegliato'.

    Di nuovo al lavoro per raccontare segreti delle comete. Si è risvegliato il lander Philae e nella notte ha inviato alla sonda Rosetta i primi dati che permetteranno di scoprire i segreti delle comete e di saperne di più sia sull'origine di questi fossili cosmici, sua sulla nascita del Sistema Solare.

    Dalla posizione scomoda nella quale si era ritrovato il 12 novembre scorso, quando la sonda Rosetta lo aveva rilasciato sulla superficie della cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko, Philae sta ricevendo adesso luce e calore sufficienti per tornare funzionare. Il suo atterraggio avventuroso aveva segnato uno dei momenti più emozionanti di questa missione senza precedenti dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), alla quale l'Italia contribuisce in modo importante dal punto di vista scientifico e industriale. Il 12 novembre Philae aveva sorpreso tutti rimbalzando per tre volte sulla superficie della cometa, per finire in una sorta di crepaccio e in una posizione imprevista, che lasciava esposta alla luce solare solo una piccola parte dei pannelli necessari per alimentare le batterie e portare avanti la seconda fase della sua missione. Così, una volta esaurita l'energia iniziale delle batterie, il 14 novembre il lander si è addormentato, cadendo in uno stato di ibernazione. Da allora non si è ancora saputo se il trapano italiano di Philae sia riuscito a perforare la superficie della cometa. Forse adesso sarà possibile avere la risposta.

    Philae si è svegliato soltanto nella notte scorsa, grazie alla temperatura più alta che c'è adesso sulla cometa (meno 36 gradi, contro i meno 45 necessari a Philae per funzionare) e alla maggiore quantità di luce solare. Il suo primo contatto, dopo i ripetuti tentativi di comunicare fatti a partire dal 12 marzo, è durato 85 secondi ed è avvenuto alle 22:28 di ieri. Il lander ha inviato alla Rosetta più di 300 pacchetti di dati, che verranno processati e analizzati dal gruppo internazionale che segue la missione. "Possiamo confermare che l'avventura di Pihlae continua!", ha detto il presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana, Roberto Battiston. "Il risveglio del lander - ha aggiunto - è una notizia straordinaria che, oltre a farci sognare, ci riempie d'orgoglio per l'affidabilità delle tecnologie utilizzate, molte di marca italiana".

    Philae è quindi pronto per affrontare la seconda parte della sua missione, che promette di essere ancora più avvincente della prima per le informazioni che potrà dare su oggetti primitivi come le comete.

    E' ottimista il responsabile delle operazioni di Philae per l'agenzia spaziale tedesca Dlr, Stephan Ulamec: ''il lander adesso è pronto per le operazioni ha una temperatura di funzionamento di meno 35 gradi Celsius e ha a disposizione 24 Watt". Da un primo esame è emerso con chiarezza che Philae doveva essersi svegliato da un po', perché in quei pochi secondi ha inviato osservazioni databili ad almeno 1,5 giorni cometari. I pacchetti di dati attesi adesso dal team internazionale sono comunque più di 8,000.

    L'Italia ha un ruolo di primo piano nell'intera missione Rosetta, con l'Asim le universita' Parthenope di Napoli e quella di Padova, il Politecnico di Milano, Istituto Nazioniale di Astrofisica (Inaf) e Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Importante la partecipazione dell'industria, con le aziende del gruppo Finmeccanica Thales Alenia Space, Telespazio e Selex ES. Sono italiani i due ricercatori alla guida della missione, Paolo Ferri e Andrea Accomazzo. (Ansa)





    50 anni Yesterday e Satisfaction, capolavori per caso.

    Genesi di due brani immortali, entrambi nati nel sonno. "La musica del caso". Il titolo di un romanzo di Paul Auster sintetizza bene la vicenda, per molti aspetti incredibile, della genesi di "Yesterday" e "Satisfaction", due dei massimi capolavori della musica popolare. Nel romanzo di Auster, il caso decide dell'esistenza del protagonista che perde la libertà a causa di un'epica partita di poker che volge a suo sfavore per un'impercettibile ma evidentemente decisiva mutazione di condizioni psicologiche del giovane truffatore che giocava al posto suo, nella storia di "Yesterday" e "Satisfaction" il caso ha voluto che due dei brani simbolo dei Beatles e dei Rolling Stones nascessero nel sonno, in condizioni di involontarietà. Gli specialisti sapranno distinguere tra il sonno naturale (almeno così sembra) di Paul McCartney e quello indotto di Keith Richards ma resta il fatto che sia l'uno che l'altro al mattino dopo non sapevano di aver scritto un capolavoro. McCartney si è svegliato con la melodia di "Yesterday" così chiara in testa da essere convinto che fosse un pezzo scritto da altri. Richards, da leggendario fattone, non ricordava nulla: neanche di aver tenuto acceso (riecco il caso, che in casi come questi può anche chiamarsi fortuna) il registratore dove aveva inciso il riff che ha cambiato la storia. Fatto sta che il destino delle due canzoni, simili solo nel fatto di essere immortali, non è stato neanche stato deciso dai suoi autori. "Yesterday" ha avuto la sua stesura orchestrale, senza gli altri tre Beatles, grazie al genio del "quinto componente", George Martin che ha avuto l'intuizione dell'arrangiamento orchestrale (intuizione applicata in modo più sofisticato anche a "Eleanor Rigby" con il celeberrimo sestetto d'archi), "Satisfaction" ha avuto la sua stesura definitiva a insaputa di Richards che avrebbe voluto un arrangiamento di fiati alla Otis Redding (ma la versione incisa dal grande soul man è meno efficace dell'originale). A decidere di pubblicarla con l'arrangiamento "proto Garage" con la chitarra con l'effetto "fuzz" è stato Andrew Loog Oldham, il geniale produttore dei primi Stones, l'uomo che (tra i tanti meriti) ha convinto Jagger e compagni a scrivere brani originali, attività molto più remunerativa di quanto non fosse la loro idea originale, cioè suonare cover di blues e rhythm and blues. Volendo si può anche considerare il frutto del caso anche il fatto che i due brani siano stati pubblicati a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, nell'anno di grazia 1965. Ma questo attiene anche alla legge dei grandi numeri, visto che era già cominciata l'età dell'oro del rock e la scena si stava popolando di personaggi destinati alla leggenda.

    Leggere le hit parade dell'epoca, scorrere gli elenchi degli album e dei singoli pubblicati in quell'irripetibile stagione, è semplicemente tanto impressionante quanto emozionante, perché sono un elenco di capolavori. Ciò che colpisce è la rapidità con cui le band, primi tra i tutti i Beatles, si evolvevano, assecondate dal progresso tecnologico e dall'evoluzione di una società dove il giovane era una nuova categoria sociologica e il rock la colonna sonora perfetta per le emozioni e i sogni di una buona parte del mondo. E viene da sorridere pensando che "Satisfaction" sia un inno all'insoddisfazione giovanile che ancora oggi viene cantato da Mick Jagger, senza discussione uno degli uomini dal destino più felice dell'ultimo secolo. A luglio compirà 72 anni ma il pubblico continua a impazzire quando sul palco Keith Richards spara il riff di chitarra e Mick balla e canta "I Can't Get No...". Ma tanto lo sanno tutti: c'è un solo Mick Jagger.
    (Ansa)





    Mtv Awards:, Mengoni mattatore vince 3 categorie.

    Circa 10 mila i giovanissimi al Parco delle Cascine a Firenze. A migliaia hanno sfidato le cattive previsioni atmosferiche e fin dalla tarda mattinata hanno iniziato a sciamare nel parco delle Cascine di Firenze, decisi a non perdersi lo show, programmato per la sera, dei loro idoli pop: J Ax, Max Pezzali, Marco Mengoni, Fedez, Malika Ayane, Lorenzo Fragola, Francesca Michielin, i protagonisti dell'edizione 2015 dell' Mtv Awards. Il temporale pomeridiano non ha però scoraggiato nè spinto alla fuga la legione di giovanissimi accampati. Alla fine i ragazzi l'hanno avuta vinta sul meteo: in serata le nubi si sono diradate in tempo per l'inizio della festa, che ha avuto un applaudito anticipo con il preparty delle 20, protagonisti i vincitori dell'ultima edizione di Amici, i The Kolors. E così, circa un'ora dopo, una bomba gigante di stelle filanti rosse ha aperto le danze sul prato per oltre 10mila ragazzi scatenati (numero cresciuto durante il live fino a toccare quota 15 mila, anzi anche ben oltre, secondo gli organizzatori). Nella fin qui inedita veste di presentatore, il giovane rapper Emis Killa, tatuaggi (quasi) occultati da una brillante camicia bianca, ha affidato l'attacco dello show al duo formato da J-Ax e Il Cile: Maria Salvador, l'ultimo singolo di J Ax, il brano eseguito dai due cantanti. Quindi è stata la volta di Lorenzo Fragola con Fuori c'è il sole, e, a ruota, del suo 'talent scout', Fedez, che ha portato la sua Un amore eternit dura.

    Grandi applausi anche per Sopravviverai, l'ultimo singolo del 'veterano' anni 90 Max Pezzali, e l'ultimo successo di Malika Ayane, Senza fare sul serio. Mattatore della serata, in ogni caso, è stato Marco Mengoni, vincitore in ben tre categorie della kermesse: Superman, Artist Saga, Best performance, quest'ultima votata direttamente su twitter nel corso della serata. Tra gli altri vincitori, Lorenzo Fragola per New artist, Alessandra Amoroso per Wonderwoman, mentre, nella categoria 'Miglior video' si è affermato Tiziano Ferro con 'Senza scappare più'. Best Mtv show è risultato 'Mario', la miniserie di Maccio Capatonda; Best Italian Icon J-Ax. Passando da una bomba pop a un ritmo rap, non è mancato il tempo di far salire sul palco anche tanti ospiti 'non musicali', come Pif, Chef Rubio, l'allenatore di basket Gianmarco Pozzecco, il comico Enrico Brignano, e molti altri. A chiudere la serata, una cover: la fortunata 'Se telefonando', la grande Mina reinterpretata da Nek e vincitrice all'ultimo Sanremo. Un pezzo, ha svelato oggi il cantante, scelto per l'Ariston da sua moglie, dopo averlo ascoltato su Youtube: "Non sapevo decidermi su cosa portare - ha raccontato Nek - fluttuavo tra gli anni '60, '70, '80. Mia moglie mi avvicina il cellulare collegato a Youtube all'orecchio e mi dice: 'senti questa'. Io le rispondo: 'capisco che tu creda tanto in me ma io che faccio Mina, ma dai...' Dopo però lei mi ha convinto; e la storia si sa com'e' andata".
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Jurassic World




    locandina


    Un film di Colin Trevorrow. Con Chris Pratt, Vincent D'Onofrio, Bryce Dallas Howard, Judy Greer, Nick Robinson.


    Un sequel insperato che si riallaccia all'originale: suspense garantita e 3D all'altezza del compito.
    Emanuele Sacchi


    Sono trascorsi 22 anni dagli eventi di Jurassic Park e dall'incidente occorso allora, durante i quali a Isla Nublar, al largo di Costarica, si è sviluppato il progetto di John Hammond. Il parco dei divertimenti con i dinosauri come attrazioni è ora una realtà che attira orde di visitatori, ma il management della Masrani Corporation non si accontenta. Consapevole che il suo pubblico chiede sempre di più, il CEO Simon Masrani finanzia un progetto che prevede la generazione, attraverso incroci genetici, di una nuova specie di dinosauro, mai esistita prima. Il suo nome è Indominus rex, la sua caratteristica principale quella di unire la ferocia delle lucertole carnivore e un'intelligenza molto più sviluppata. Ma qualcosa sfugge al controllo dei gestori del parco e Indominus rex diventa una minaccia letale per i 20 mila visitatori di Jurassic World.
    Le porte del parco si spalancano e provano a realizzare il sogno incompiuto di 22 anni prima, oltre a cercare di rivitalizzare un franchise dato per disperso nella babele di blockbuster odierni. Assumendosi diversi rischi: dopo tutto questo tempo saranno ancora cool i dinosauri? Faranno ancora paura?
    Lo sforzo profuso da Amblin Entertainment e Legendary Pictures in termini di marketing è massiccio e fa leva sull'incrollabile fascinazione dei più piccoli per le lucertole giganti. Ma il semi-carneade Colin Trevorrow prova a ragionare su più livelli: se da un lato si rivolge ai ragazzini e alla realizzazione dei loro sogni - inutile negare l'effetto disneyano-horror della sequenza del mosasauro che divora lo squalo - dall'altro prova a imbastire una metafora sullo scontro generazionale tra verità e finzione, analogico e digitale, natura ed esperimenti genetici. Con la paradossale, ma non inconsueta, predilezione per la purezza del passato, in un film tecnologicamente spinto a velocità folle verso il futuro, con un 3D abbondante e una CGI invasiva, benché competente. Al di là della semplicità allegorica e del fatto che il saccheggio nei confronti del Godzilla di Edwards e dello scontro da kaiju eiga tra lucertolone e M.U.T.O. pare evidente, la competizione per ristabilire chi sia il predatore alfa e chi sia in cima alla catena alimentare convince e guida un epilogo trascinante. Che ha l'ulteriore merito di avvalersi di un elemento "dormiente" del plot, trasformato in risolutivo deus ex machina.
    Il risultato, tutt'altro che ovvio, accontenta piccoli fan (irresistibile l'attrazione delle girosfere), animalisti, evoluzionisti e semplici nostalgici. Merito anche di buone scelte di casting, tali da correggere storture o manchevolezze di uno script talvolta troppo elementare: la coppia Chris Pratt-Bryce Howard funziona, con il primo sempre più candidato (dopo Guardiani della Galassia e The LEGO Movie) al ruolo di nuovo Harrison Ford, adattato alla consapevolezza dei propri limiti e al cinismo post-tutto della contemporaneità. Meno bene Irrfan Khan (Vita di Pi), mix di stereotipi sul mecenate vittima delle sue stesse ambizioni, e Vincent D'Onofrio (Full Metal Jacket), fuori giri sin dalla prima apparizione nei panni di un villain che pare un cliché vivente - ovviamente militare e scriteriatamente guerrafondaio - più antico degli stessi dinosauri. Nonostante l'abbandono della direzione da parte di Spielberg, a progetto ancora in uno stato embrionale, Colin Trevorrow risolve una impasse complicata, confermando le ottime impressioni lasciate dall'incursione nella sci-fi di Safety Not Guaranteed e cancellando (anche a livello di plot) il ricordo del secondo e del terzo episodio della serie, deludentissime prosecuzioni del capostipite.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    "Sono oltre 6 milioni di anni
    che scavo il mio posto nel pianeta Terra"

    COLORADO


    Il Colorado (‘Aha Kwahwat in mojave) è un fiume collocato nel sudovest degli Stati Uniti e nel nordovest del Messico. Con i suoi 2700 km.. il Colorado è il sesto fiume dell'America del Nord, il quinto per ampiezza di bacino (660.000 kmq.), il primo, e di gran lunga, per la quantità dei materiali trasportati (2 parti di sedimento per 100 parti d'acqua). Si è calcolato che questi ricoprirebbero ogni anno un'estensione di 145 kmq. per una profondità di 1 m., ciò che corrisponde a una denudazione media, nello stesso periodo, di 142 tonnellate di materiale per kmq. nell'intero bacino. La portata media del fiume è piccola (800 mc. al secondo; minima 200, massima 1500), attese l'aridità delle regioni attraversate dal fiume e la conseguente forte evaporazione. Il periodo delle piene va da aprile a giugno. Dove il letto è serrato fra strette e alte ripe rocciose, le oscillazioni di livello toccano valori assai alti (10 e talora 15 metri), mentre la zona presso la foce si copre di sottile limo fertilizzante, che ha meritato al fiume, in questo tratto, il nome di Nilo d'America. La forte marea e le barre di foce creano serie difficoltà alla penetrazione dal mare; il Colorado è tuttavia risalito da piccole e medie imbarcazioni fino alla confluenza con il Virgin River, ma la navigazione non è agevole, e per una parte dell'anno addirittura impossibile oltre Needles Cal. Solo un tratto del Grand River, nello Stato del Colorado, è risalito da ferrovie.
    Il fiume nasce sulle Montagne Rocciose, a circa tremila metri di altezza, e sfocia nel Golfo della California dopo un percorso lungo 2.339 chilometri che bagna Utah, Arizona, Nevada e California, prima di passare in Messico. Le sue acque servono oltre trenta milioni di persone, e il 80% viene utilizzato per irrigare 3,5 milioni di acri di terra coltivabile.Il massiccio prelievo delle sue acque per l’irrigazione nella Imperial Valley, ed usi civili, ne ha prosciugato il basso corso a tal punto che il fiume certi anni non riesce a raggiungere il mare.
    La sorgente del Colorado è il lago La Poudre Pass, nel Rocky Mountain National Park, appena ad ovest della Continental Divide. ScenÈ considerato dai più come risultante della riunione del Grand River, che scende dal Front Range, con il Green River, formatosi nelle Rocciose meridionali. Quest'ultimo taglia la catena dei monti Uinta e attraversa l'Utah rinchiuso in gole selvagge (Desolation, Labyrinth), per confluire nel primo dopo un corso di oltre un migliaio di km.
    Continuando a tenere una direzione NE.-SO., il Colorado si affonda, poco oltre la regione di Paria, in tutta una serie di lunghi e imponenti cañones, inframezzati da cascate, con i quali ha inciso la potente pila di terreni sedimentarî sollevati, che costituiscono l'altipiano omonimo. Alcuni di questi (Marble, Virgin, Boulder, Black) hanno ormai una larga rinomanza per la grandiosità delle proporzioni (Marble Canyon: 100 km. di lunghezza, con profondità che toccano i 1200 m.), la varietà delle forme, l'incanto dei colori, ma tutti li vince l'ormai famoso Grand Canyon del Colorado, lungo il quale il fiume serpeggia per oltre 250 km., dalla confluenza del Little Colorado ai Grand Wash Cliffs. il fiume volge verso S. e attraverso steppe e desolate solitudini scende con pendio lene al Golfo di California, dove depone e distende l'enorme massa dei suoi depositi. La bassa valle del Colorado è caratterizzata da un'estrema irregolarità nel decorso del fiume, che ha cambiato più volte e seguita a cambiare il suo letto, abbandonando tronchi di valle, divagando in ampî meandri, stagnando in lagune, alterando rapidamente le condizioni topografiche dei distretti che attraversa. In tempi geologici recenti la depressione segnata dal lago Salton delle lagune Macuato e Volcanes, faceva parte del Golfo di California, che si spingeva oltre 300 km. a N. dell'attuale linea di spiaggia. Il basso corso del fiume, che segna il confine tra la Bassa California e Sonora, è praticamente un ruscello o un letto secco dovuto all'utilizzo del fiume per l’irrigazione della Imperial Valley. Prima della metà del XX secolo il delta del fiume creava un ricco estuario paludoso che si è ora prosciugato, ma ciò nonostante rimane un’importante risorsa ecologica.

    ..storia..


    L’opinione di molti geologi è che prima della formazione del golfo della California, circa 7-8 milioni di anni fa, il Colorado sfociasse sulla costa della California. A causa dei sedimenti trasportati dal fiume, gli scienziati ritengono che il massiccio canyon sottomarino di Monterey nella omonima baia sia ciò che rimane dell'antica foce di questo fiume. Il canyon si è spostato a nord dalla sua posizione originaria, che si trovava approssimativamente nel luogo in cui ora sorge la città di Santa Barbara, fino alla sua attuale collocazione a causa dell'azione della Faglia di Sant'Andrea.

    Il fiume Colorado è sopravvissuto per millenni, scavando il Grand Canyon e alimentando diverse civiltà. La sua storia è la storia del West e corrodendo le rocce ha disegnato il Grand Canyon, il monumento naturale negli Stati Uniti. Il suo bacino è stato abitato per almeno 8.000 anni, per ultimi dagli indiani navajo. Con i primi esploratori spagnoli, e la storia è cambiata. Nel 1846 diventò parte degli Stati Uniti e nel 1869 John Wesley Powell percorse le sue rapide per conto del governo, allo scopo di stabilire se esistevano abbastanza risorse idriche per colonizzare il West. Il suo verdetto era stato negativo, ma nonostante tutto lo si usò a tale scopo. Così il bacino del Colorado diventò il mezzo per la conquista del deserto, si costruirono canali chiamato che portano la sua acqua a decine di chilometri di distanza.
    I contadini dell’Arizona coltivano il cotone fin dall’epoca della Guerra Civile, e nel 2013 hanno piantato 161.000 acri con questo seme. Ma questa pianta ha bisogno sei volte di più all’irrigazione della lattuga, e il 60% in più del grano. Così l’acqua del Colorado continua ad essere pompata, anche se la siccità provocata dal riscaldamento globale lo colpisce ormai da quindici anni. Le acque delle sue riserve sono scese al punto che fra un decina di anni bisognerà scegliere se alimentare i centri abitati, oppure irrigare i campi. Un giorno il rubinetto si chiuderà, e le rapide in fondo al Grand Canyon diventeranno solo un ricordo custodito dalle leggende indiane.
    Gli indigeni lo chiamavano cavil o "fiume" per antonomasia. La prima scoperta di questo fiume è dovuta al navigatore spagnolo Ferdinando de Alarcón che, risalita la costa messicana della Sonora, trovò nell'agosto del 1540 la foce di questo. Assai più a monte ritrovò il fiume pochi mesi più tardi García Lope de Cárdenas che, distaccato dalla spedizione di Francisco Vázquez de Coronado inoltratasi nell'odierno Arizona, incontrava gli orridi cañones ove il Colorado si nasconde. Il fiume su esplorato da altri spagnoli nei secoli XVI e XVII, ma solo nel 1700, il padre E. F. Chino (Kino), estendendo la sua prima rete delle missioni, si trovò a riscoprire il fiume dove si immette il Gila. Le suespedizioni, negli anni 1701 e 1702, permisero il primo tracciamento cartografico dell'ultimo tratto di fiume. Nel 1775 il capitano Juan Bautista Anza risalì dalla foce fino al 35° di lat. Per una conoscenza completa del corso fluviale si dovrà attendere il XIX secolo e l'occupazione della regione da parte degli Stati Uniti. Nel 1850 Joes e Newberry diede la prima descrizione scientifica del Grand Canyon; nel 1857-58 il luogotenente Yves diresse l' esplorazione sistematica del fiume, per arrivare al colonnello J. W. Powell del corpo geologico degli Stati Uniti.

    ...una legge per il fiume...


    Lo spartiacque del fiume Colorado unisce e definisce l’Ovest degli Stati Uniti. All’alba del XX secolo, la vasta regione del fiume Colorado era quasi interamente intatta. Piccoli progetti di deviazione erano stati sviluppati da ditte private per le operazioni di irrigazione e minerarie. Tuttavia nel 1905, durante le piene stagionali il fiume imperversò rumoreggiando in tutto il sudovest distruggendo ogni cosa al passaggio. Sotto la minaccia costante di inondazioni che si profilavano nel tratto inferiore del Colorado si sviluppò l’esigenza di opere di contenimento permanente delle esondazioni, con la costruzione di un serbatoio di irrigazione e di una diga sul fiume. I primi anni del 1900 trascorsero nella ricerca di località che avrebbero potuto sostenere una popolazione in crescita con un approvvigionamento idrico costante. Nel 1917 fu fondata la League of the Southwest (Lega del sudovest) per promuovere lo sviluppo dell’area fluviale. Dopo diversi anni di trattative, nel 1922 fu firmato il Colorado River Compact (Patto del fiume Colorado) che distribuiva l’acqua del fiume tra sette stati. Tuttavia gli stati non si trovarono d’accordo sulle modalità di distribuzione delle acque del bacino del fiume Colorado; il Segretario al commercio Herbert Hoover suggerì quindi di suddividere il bacino in una metà superiore e una inferiore, riservando a ciascun bacino il diritto di sviluppare e utilizzare 75 milioni di piedi-acro di acqua fluviale (circa 3000 m3 /sec) nell’arco di dieci anni. Questo patto prevedeva l’allocazione di acqua per lo sviluppo futuro del bacino superiore e consentiva la pianificazione e lo sviluppo del bacino inferiore. Wyoming, Utah, Colorado e New Mexico sarebbero stati compresi nel bacino superiore, mentre quello inferiore avrebbe abbracciato Nevada, Arizona e California. La Legge fu ratificata in seguito nel 1944, per riservare al Messico 1,5 milioni di piedi-acro di acqua (circa 600 m3 /sec) all’anno. Dopo la firma del patto nel 1922, i progetti idrici poterono essere avviati in tutta la regione occidentale. Sedici progetti, comprendenti dighe, acquedotti e canali furono realizzati lungo il fiume Colorado e i suoi affluenti creando otto serbatoi principali per la fornitura idrica necessaria ai firmatari del Patto. Con il passare del tempo, la popolazione si è sviluppata in tutta la regione del sudovest rendendo la penuria d’acqua una spaventosa realtà. L’acqua non basta per tutti. Di conseguenza, la mancanza di acqua è all’origine della maggioranza delle controversie e dei problemi relativi all’applicazione del Patto e alla Legge del fiume. È una situazione che collega le problematiche passate e presenti del fiume Colorado e sarà oggetto di preoccupazioni anche in futuro. Altre problematiche, quali quelle ambientali e relative ai diritti all’acqua delle popolazioni tribali si sono aggiunte nel tempo. È certo che in futuro emergeranno situazioni problematiche per l’attuale regime e gestione del fiume Colorado.

    ...John Wesley Powell...


    Il maggiore John Wesley Powell, veterano della guerra civile, mutilato di un braccio, era professore di geologia nello stato dell’Illinois. Perse un braccio nella battaglia di Shiloh, ma non per questo fu dissuaso dal condurre una spedizione geografica per la documentazione delle ultime regioni inesplorate degli Stati Uniti occidentali. Nel 1869, con un esiguo sostegno finanziario, Powell riunì un gruppo di dieci uomini al fine di esplorare il fiume Colorado in tutta la sua lunghezza (quasi 1000 miglia o 1610 km), compreso il Grand Canyon. Privi di qualsiasi informazione contestuale, i dieci uomini partirono alla volta del Green River, Wyoming il 24 maggio ove trascorsero i tre mesi successivi. Senza mappe, attrezzature moderne o idee in merito a quanto li attendeva, questi uomini si prefissero di mappare l’ultima area ancora inesplorata degli Stati Uniti d’America. Provarono gravi privazioni compresa la perdita di barche e provviste, l’esposizione alle intemperie e ad alcune delle acque più turbolente mai viste. Nel 1871 fece seguito un secondo viaggio. Il risultato di entrambe le spedizioni fu il capolavoro di Powell The Exploration of the Colorado River and its Canyons, a compilation of journal entries. Il racconto del primo viaggio rese celebre Powell. Il secondo viaggio ricevette pertanto un sostegno finanziario più sostanzioso. Questa gloriosa spedizione avrebbe alterato per sempre la visione del West degli Stati Uniti.

    ...miti e leggende...



    Le acque del fiume secondo le tribù indiane conducevano alla terra promessa, e le sue divinità andavano placate offrendo frutta, tabacco e granoturco.
    La tribù degli Hopi credeva che il fiume scorresse in profondità fino all’oltretomba, e i suoi componenti si tramandano da secoli una leggenda che spiega la loro discendenza dalla tribù dei serpenti: l’indiano Tiyo decise di scoprire dove finiva la grande acqua e si chiuse dentro un tronco cavo, lasciandosi trasportare fino al mondo dell’aldilà. Qui Tiyo incontrò gli uomini serpente e ne sposò una vergine, portandola con sé al villaggio e generando figli-serpente. Gli abitanti, terrorizzati, cacciarono via i figli-serpente e la loro madre attirando su di se l’ira degli dei e una devastante siccità. La leggenda vuole che gli Hopi si siano salvati dalla morte solo riammettendo i serpenti, che da allora sono l’elemento più importante della tradizionale danza della pioggia Hopi.

    Un cavallo selvaggio correva per evitare la cattura ed alla fine del percorso si è trovato sullo strapiombo sopra il fiume Colorado e per non farsi catturare ha preferito precipitare da quell'altezza ove si trova il punto del cavallo morto, Monument Valley dopo Kayenta.

    (Gabry)





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    foto:blog.viaggisubito.com


    Le canzoni dell'estate degli anni 75/79



    summermusic0708_header
    foto:music.9msn.com.au



    La musica del cuore



    claudiamo-1381850877-15175


    Claudia Mori - Buonasera Dottore


    Buonasera dottore è un 45 giri interpretato da Claudia Mori, che ebbe un grande successo nell'estate del 1975

    Si tratta di un duetto per voce solista femminile e voce recitante maschile. Il testo, scritto da Paolo Limiti e di carattere malizioso, riproduce la telefonata tra una donna e il suo amante sposato. Quest’ultimo, per non farsi smascherare dalla moglie, risponde alle sue frasi passionali dandole del lei, chiamandola con l’allocutivo dottore e cercando di parlare il meno possibile.

    La musica, di Shel Shapiro, è di carattere malinconico e baroccamente arrangiata e diretta da Detto Mariano con l’ausilio di coro e una sezione di archi. La parte della voce maschile viene attribuita a Franco Morgan (talvolta ad Alberto Lupo) La canzone era stata proposta a Mina senza che venisse da lei accettata, sicché la scelta dell'interprete cadde sulla Mori.

    La copertina del singolo, riprende la solista in posa sensuale e generosamente truccata.

    Lo schema dialogato della canzone feuilleton, particolarmente in auge a metà degli anni settanta, ricorda altri brani dell’epoca, come Parole parole di Mina e Piange il telefono di Domenico Modugno. Come parecchi di questi brani del periodo, la canzone ebbe un successo notevole, piazzandosi al primo posto delle classifiche di vendita. Sull'onda del lusinghiero successo raggiunto, anche l’anno successivo Claudia Mori propose un altro duetto, Come una Cenerentola eseguito con l’aiuto della voce recitata di Marcello Mastroianni; tuttavia questo 45 giri non ripeté i risultati di vendita del precedente.

    Nel 1986, Mina decise, nonostante la precedente rinuncia, di cantare una cover di Buonasera dottore, eseguendo la canzone un’ottava più in basso, affidandosi ad arrangiamenti più sobri e includendola nell’album Sì, buana. Nel 2002, una parodia del pezzo fu proposta da Fiorello e Luciana Littizzetto. Il brano divenne successivamente anche uno dei motivi conduttori della famosa serie televisiva Tutti pazzi per amore.



    fonte: wikipedia.org






    Buonasera Dottore

    Lei: Ciao, sono io
    Lui: Buonasera dottore
    Lei: amore mio
    Lei: Ciao, sono io
    Lui: Buonasera dottore
    Lei: amore mio
    Lui: Sì, mi dica
    Lei: Non resistevo più,
    pensavo a te
    Lui: Ah, bene
    direi che è importante.
    Lei: Quando verrai
    Lui: Mah, adesso non so
    dipende...
    Lei:non parlare se lì c'è lei
    lascia parlare me
    dì sì o no.
    Lui: Certo.
    Lei: Vieni appena puoi
    anche tardi, se tu vuoi
    io intanto non dormirei
    quanto mi manchi non sai.
    Mi ami o no
    Lui: Ci può giurare dottore.
    Io di più
    Lui: Non credo
    Lei: Ma lei adesso dov'è
    vicino a te
    Lui: Sì, senz'altro.
    Lei: Ho sciolto i capelli giù
    e ho il profumo che mi hai dato tu.
    Lei: Vieni almeno per un pò
    non ho sonno
    non mi sveglierai
    dì quello che vuoi però
    stasera non dirmi di no.
    Lui: D'accordo dottore.
    Se è proprio necessario, vengo.
    Lei: Adesso chiudo, non vorrei
    fare insospettire lei.
    Amore io sono qui
    e potrei anche morire.
    Lui: No, no, stia tranquillo.
    Adesso faccio un salto da lei.
    Buonasera dottore


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    MotoGp: Catalogna; vince ancora Lorenzo, Rossi secondo.
    In prima fila anche Vinales e Lorenzo, quarto Marquez. Jorge Lorenzo su Yamaha cala il poker e vince anche il Gp di Catalogna, quarto successo di fila, Secondo Valentino Rossi, anche lui su Yamaha, e terzo Dani Pedrosa (Honda). Fuori la Suzuki di Espargarò partito in pole. Fuori gara nel secondo giro Marc Marquez (Honda) che ha sbagliato una staccata e per evitare di tamponare Lorenzo è finito nella sabbia del tracciato catalano. Quarta posizione per Andrea Iannone (Ducati), mentre è caduto Andrea Dovizioso (Ducati) nel corso del quarto giro. Solo una Suzuki al traguardo. Dopo i bei risultati in prova, Aleix Espargarò è caduto, mentre Maverick Vinales ha concluso con il sesto posto. Nona posizione per Danilo Petrucci con la Ducati, mentre Alex De Angelis (Art Aprilia) approfitta delle molte cadute e conquista il primo punto mondiale in questa stagione con il 15/o posto.

    Rossi sempre in testa a Mondiale, ma Lorenzo a 1 punto - La quarta vittoria di fila di Jorge Lorenzo non permette allo spagnolo della Yamaha di balzare in testa alla classifica del Mondiale di MotoGp. Valentino Rossi, oggi 2/o, mantiene infatti la leadership ma solo per un punto: 138 contro 137. Terzo in classifica è Andrea Iannone con 94 punti, poi Andrea Dovizioso, quarto con 83 punti, mentre Marquez sembra ormai fuori dalla lotta per la difesa del suo titolo. Il pilota della Honda è quinto con solo 69 punti.

    Zarco vince in Moto2 - Il francese Johann Zarco (Kalex) ha vinto la settima gara della stagione 2015, il Gp della Catalogna, imponendosi su Alex Rins (Kalex) e sul campione del mondo della categoria in carica, Esteve Rabat (Kalex). Per Zarco si tratta della seconda vittoria nella stagione dopo quella ottenuta in Argentina. Il migliore tra i piloti italiani nella Moto2 è stato Franco Morbidelli (Kalex), ottavo. Il pilota del Team Italtrans è però al centro di una verifica da parte della Direzione di Gara per un contatto che ha causato la caduta del pilota Axel Pons. A punti anche Lorenzo Baldassarri (Kalex), decimo e Simone Corsi (Kalex) che ha chiuso in tredicesima posizione. Dopo la vittoria del Montmelò, Johann Zarco è sempre più leader della classifica iridata della Moto2 con 134 punti, mentre Esteve Rabat è lontano 40 punti a quota 94. Terzo in classifica è l'inglese Sam Lowes (quarto in gara) con 80 punti. Il migliore tra gli italiani nel mondiale Moto2 è Franco Morbidelli che occupa la settima posizione con 62 punti.

    Kent vince in Moto3, Bastianini secondo - L'inglese Danny Kent (Honda) ha ottenuto la quarta vittoria stagionale aggiudicandosi il GP della Catalogna classe Moto3. Ha provato sino all'ultimo a insidiare Kent, Enea Bastianini (Honda), che ha chiuso alle spalle dell'inglese staccato di soli 35 millesimi di secondo. Sul podio finisce anche Efren Vazquez (Honda), mentre Niccolò Antonelli (Honda) ha terminato la corsa in quarta posizione a soli 87 millesimi di secondo dallo spagnolo davanti a lui. Gara incolore di Romano Fenati (KTM) che non è mai riuscito a inserirsi nella lotta per la vittoria nonostante avesse agganciato in partenza il gruppo dei primi. Fenati ha chiuso il GP della Catalogna in ottava posizione. Una caduta, invece, ha rovinato la gara di Francesco Bagnaia che comunque è riuscito a finire la corsa in 20ma posizione. A punti, invece, ha chiuso la gara Andrea Locatelli (Honda) con il 12mo posto finale, mentre Alessandro Tonici (Mahindra) è rimasto a bocca asciutta avendo passato la bandiera a scacchi in 17/a posizione. Con la vittoria nel GP della Catalogna, Danny Kent rafforza la sua leadership salendo a 149 punti, mentre Enea Bastianini è secondo a quota 98 punti. Terza posizione per il portoghese Miguel Oliveira (quinto in gara) con 77 punti, mentre Romano Fenati è quinto con 75 punti.
    (Ansa)




    Europei Tuffi: tris Cagnotto, oro nel trampolino 3 metri.
    Per l'azzurra è 17/o titolo continentale, terzo di fila a Rostock. Tania Cagnotto ha vinto la medaglia d'oro anche nel trampolino dei tre metri ai campionati europei di tuffi in corso a Rostock (Germania) e si è qualificato per i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Per l'azzurra, portacolori delle Fiamme Gialle, e' la sua diciassettesima medaglia d'oro agli Europei, la terza in questa edizione dopo quelle nel trampolino da un metro e nel sincro tre metri con Francesca Dellapè, oggi classificatasi quarta.
    (Ansa)




    Wta: primo titolo per la Giorgi.
    La 23enne marchigiana ha battuto la svizzera Bencic a Den Bosch. Camila Giorgi, numero 35 del mondo, ha vinto il suo primo titolo Wta battendo 7-5, 6-3, in un'ora e 24', la 18enne svizzera Belinda Bencic, n. 33, nella finale del torneo di Den Bosch-Rosmalen. Unica azzurra in lizza nel TopShelf Open (torneo Wta International con montepremi di quasi 230mila dollari, sui campi in erba di s'Hertogenbosch, in Olanda), la 23enne marchigiana era alla quarta finale in carriera, la seconda del 2015 dopo quella ad aprile a Katowice, persa contro la slovacca Schmiedlova. (Ansa)

    (Gina)



    MUSICAL




    Peter Pan


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    Peter Pan, il musical è uno spettacolo musicale tratto dal romanzo Peter Pan di James Matthew Barrie.
    Frutto della collaborazione tra ATI II Sistina e Teatro Delle Erbe - Officine Smeraldo, il musical è una produzione totalmente italiana con un cast di 25 artisti. Si distingue per l'utilizzo di ricercati effetti speciali per simulare il volo di Peter Pan e per l'utilizzo di tecnologie laser per il personaggio di Trilly, nonché per le scenografie dipinte e le animazioni digitali.
    Le musiche dell'opera sono tratte dall'album Sono solo canzonette di Edoardo Bennato, e riarrangiate in versione musical dallo stesso cantautore.
    La locandina dello spettacolo è un lavoro del famoso cartellonista Silvano Campeggi, detto Nano.


    L'8 dicembre 2006 l'opera debutta al Teatro Augusteo di Napoli. Di grande impatto visivo e coinvolgimento, nella stagione teatrale 2006-07 è stato lo spettacolo più visto in assoluto in Italia con 135.141 spettatori.



    PETER PAN IL MUSICAL

    musiche di Edoardo Bennato
    con Manuel Frattini
    supervisione artistica di Arturo Brachetti
    musiche di Edoardo Bennato
    coreografie di Gilliam Bruce
    scenografie di Valeria Ambrosio e Materico
    costumi di Marco Viesta
    regia di Maurizio Colombi
    e con Claudio Castrogiovanni, Alice Mistroni
    e la partecipazione di Riccardo Peroni
    ATI Il Sistina in collaborazione con Teatro Delle Erbe e Officine Smeraldo

    È stato lo spettacolo più visto in Italia nella stagione 2006/2007, con i suoi 114 giornidi torunée, 98 repliche e 11 teatri tutti sold out: di grande resized_Peter-Pan-@-Sunway-Lagoon-Peter-Pan-and-Wendyimpatto visivo e sonoro, ricco di effetti speciali, immerso in un’atmosfera incantata, sarà il grande musical Peter Pan ad aprire la nuova programmazione del Teatro Verdi di Pordenone.
    A interpretare il “ragazzo che non voleva crescere” ritroveremo Manuel Frattini che, dopo essere stato protagonista del musical "Pinocchio", ha deciso di non abbandonare il mondo delle fiabe, affrontando un personaggio molto vicino a quello che gli ha portato fortuna. La supervisione dello show è affidata a un altro "folletto" dello spettacolo: il trasformista Arturo Brachetti. E le musiche sono di Edoardo Bennato, che nel 1980 dedicò a Peter Pan il fortunato concept-album "Sono solo canzonette".
    Ingredienti di successo per uno spettacolo per tutta la famiglia, caratterizzato da una magia di luci e colori, dal mitico volo di Peter Pan fino all’Isola che non c’è, dai duelli tra i Ragazzi Sperduti e i Pirati di Capitan Uncino, lo sbarco della nave pirata e il personaggio di Trilly realizzato con l’ausilio di tecnologie laser.
    Uno show concepito come una favola, un cartone animato, con le scenografie dipinte che ricordano la Londra di Mary Poppins…Un grigiore dipinto che ben raffigura la Tower Bridge e l’atmosfera iniziale e metaforica che vede gli adulti, borghesi cittadini del Regno Unito, contrapporsi al menestrello cantastorie che incanta i bambini con il fascino delle favole; ma è un grigiore che dura pochi minuti, lasciando presto il posto a un tripudio di colori, a scene ed effetti speciali sorprendenti (Manuel Frattini volerà!), a una colonna sonora emozionante, a un grande cast formato da trenta artisti, tra attori, cantanti, ballerini e acrobati. Due ore dal ritmo trascinante per lasciarsi andare con questo custode dei sogni dei bambini e della loro voglia di non crescere mai per non essere abbandonati a se stessi.

    Peter Pan il Musical 2008-2009:
    Grande interesse ha suscitato su Dietro Le Quinte la mia recensione con foto a Peter Pan il Musical, nuova versione.
    Segno evidente che lo spettacolo piace e continua a piacere.
    Per questo, vi regalo ancora un pò di foto (di Silvia Arosio, citare il nome e linkare il sito).
    Complimenti al musical campione di incasso!



    ELENCO BRANI
    Primo Tempo:
    "Ma che sarà" - (tutti)
    "Frottole" - Tutti
    "Fantasia" - Wendy (Marta Rossi), John (Daniele Carta Mantiglia), Michael (Nikolas Lucchini), Mrs.Darling (Valentina Corrao)
    "L'Isola Che Non C'è" - Peter Pan (Massimiliano Pironti), Wendy (Marta Rossi)
    "Sono Solo Canzonette" - Peter Pan (Massimiliano Pironti), Wendy (Marta Rossi), John (Daniele Carta Mantiglia), Michael (Nikolas Lucchini)
    "Il Rock di Capitan Uncino" - Capitan Uncino (Nicolas Tenerani) e i Pirati
    "Dopo il Liceo Che Potevo Far" - Spugna (Ugo Conti)

    Secondo Tempo:
    "In Fila Per Tre" - Bambini Sperduti
    "Viva La Mamma" - Wendy (Marta Rossi)
    "Le Ragazze Fanno Grandi Sogni" - Wendy (Marta Rossi)
    "Attento Ragazzino" - Giglio Tigrato (Loredana Fadda)
    "Ogni Favola è Un Gioco" - Wendy (Marta Rossi)
    "Quando Sarai Grande" - Peter Pan (Massimiliano Pironti), Wendy (Marta Rossi)
    "Trilly (La Fata)" - Peter Pan (Massimiliano Pironti)
    "Che Paura" - Capitan Uncino (Nicolas Tenerani)
    "Nel Covo dei Pirati" - Wendy (Marta Rossi), Capitan Uncino (Nicolas Tenerani) Spugna (Ugo Conti) e i Pirati
    "Ogni Favola è Un Gioco" - Tutti


    Si è affermato come spettacolo più visto nelle due scorse stagioni teatrali con oltre 370.000 presenze*; si è aggiudicato il premio "Biglietto d'oro AGIS" e il "Premio Gassman per la miglior Regia"; ora ritorna, per la terza stagione, Peter Pan il Musical, capolavoro nato dalla penna di J.M.Barrie. Una produzione totalmente italiana di Teatro Delle Erbe Produzioni che vede sul palco un rinnovato cast di 25 artisti, per l'innovativa regia di Maurizio Colombi. Produttore esecutivo Fabrizio Carbon.

    Il Peter Pan in scena è un tripudio di effervescente entusiasmo che cattura grandi e piccini. Uno spettacolo che regala momenti di pura emozione quando, alla storia dell'eterno ragazzo protagonista di avventure e duelli con Capitan Uncino e i suoi pirati, si aggiunge che le musiche sono affidate al genio e all'energia di Edoardo Bennato che ha ri-arrangiato in versione musical lo storico concept-album "Sono Solo Canzonette" e composto ad hoc, per l'occasione, il nuovo singolo "Che paura che fa Capitan Uncino".

    "Ogni favola è un gioco..." e in questi tempi in cui si avverte il bisogno di favole, la freschezza del nuovo Peter Pan, Massimiliano Pironti, coinvolge, appassiona ed accompagna gli spettatori, di tutte le età, fino alla magica Isolachenoncè per una serata in cui è d'obbligo sognare. A capo della ciurma dei pirati Nicolas Tenerani veste i panni di Capitan Uncino, con al fianco il fedele Spugna per la partecipazione straordinaria di Ugo Conti, mentre la dolce Wendy, interpretata da Marta Rossi, si prende cura dei suoi fratellini Michael e John Darling.

    Le coreografie di grande impatto e di sorprendente energia affidate a Chiara Valli e Gillian Bruce, l'eleganza delle scene e dei costumi si accoppiano alla suggestione dei filmati d'animazione, degli effetti tridimensionali, della fata Trilly evocata dal raggio verde di un laser per rendere lo spettacolo volutamente stile cartoon - come afferma il regista Maurizio Colombi.

    D'autore anche la locandina dello spettacolo, disegnata da Silvano Campeggi, detto "Nano", pittore e cartellonista che ha creato per le maggiori case cinematografiche americane più di 3000 manifesti, tra cui "Via col Vento", "Un Americano a Parigi", "Cantando sotto la pioggia", "West Side Story".

    Peter Pan Il Musical viene realizzato anche grazie alla collaborazione con il Great Ormond Street Hospital, che detiene i diritti dell'immortale capolavoro di J.M. Barrie e che li ha concessi al Teatro delle Erbe per la rappresentazione italiana. Una collaborazione che si sviluppa anche attraverso il sostegno solidale da parte del musical.



    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    Paperon de' Paperoni,
    lo zio avaro e i suoi segreti


    dal 13 giugno al 27 settembre 2015



    Avarissimo, self-made duck, papero più ricco del mondo, in quasi settant'anni di onorata carriera Paperon de' Paperoni è diventato uno dei personaggi più amati del fantastico universo Disney. Dal 13 giugno al 27 settembre WOW Spazio Fumetto - Museo del Fumetto di Milano, gli dedica una mostra per raccontare la sua straordinaria storia, personale ed editoriale, con un insolito e avvincente viaggio tra i segreti più segreti del suo deposito.

    La mostra 'Zio Paperone e i segreti del deposito', nata da un'idea di Ferdinando Zanzottera e realizzata da WOW Spazio Fumetto, in collaborazione con il settimanale Topolino, con il Patrocinio della Scuola di Architettura Civile del Politecnico di Milano, propone un percorso a tappe che accompagna il visitatore alla scoperta di questo fantastico personaggio e di tutto il suo mondo.

    Si inizia quindi con una sezione dedicata al grande disegnatore americano Carl Barks, creatore del personaggio, che lo disegnò per la prima volta nel 1947 per una storia intitolata "Il Natale di Paperino su Monte Orso". Chiaramente ispirato a Ebenezer Scrooge, l'odioso e avarissimo protagonista de Il canto di Natale di Charles Dickens, Paperone (in originale Uncle Scrooge) conquistò subito il cuore dei lettori diventando sempre più protagonista a fianco di Paperino, Qui Quo e Qua e di tutti gli altri paperi Disney.

    Grazie a tavole originali e albi rari provenienti dall'archivio della Fondazione Franco Fossati (come il numero 677 di Topolino Giornale che nel febbraio 1948 ce lo mostra nella sua prima apparizione italiana) e la riproduzione delle pagine delle storie più amate si possono scoprire i lati più affascinanti e divertenti del suo carattere: eccolo dunque impegnato a seguire decine di lucrosi affari, tirare sul prezzo d'acquisto di qualche nuova azienda, respingere gli assalti dei visitatori troppo insistenti a suon di pedate meccaniche o ad allagare Paperopoli di lacrime quando scopre di aver guadagnato un nichelino in meno! Una sezione della mostra è poi dedicata alla sua straordinaria famiglia, una vera e propria dinastia di Paperi di cui abbiamo imparato ad amare molti esponenti, dal nipote Paperino ai nipotini Qui, Quo e Qua, da Gastone a Nonna Papera, fino a Paperoga: ma quale grado di parentela li lega uno all'altro? Grazie a un'installazione multimediale interattiva realizzata appositamente per la mostra da GlobalMedia si potranno scoprire tutti i legami di parentela della grande dinastia dei paperi ricostruita dal disegnatore americano Don Rosa nel 1993 grazie ad anni di studi genealogici e fumettologici e a una fitta corrispondenza con Carl Barks. Ovviamente molto spazio sarà dedicato anche ai nemici di sempre, che da anni cercano di assaltare la fortuna del ricco Zione: dalla Banda Bassotti alla strega Amelia che vuole impossessarsi della mitica Numero Uno, la prima monetina guadagnata da Paperone. Amelia, creata nel 1961 da Carl Barks, non vive a Paperopoli, bensì alle pendici del Vesuvio. E per rendere ancora più evidente la sua italianità, per meglio rappresentare il fascino di questa strega affascinante e pericolosa Barks si ispirò a un'altra eccellenza nostrana, la splendida attrice Sophia Loren.

    E poi, naturalmente il deposito: Quanto è grande? Quali sistemi di sicurezza lo proteggono dagli assalti della Banda Bassotti e della fattucchiera Amelia? Se esistesse veramente come sarebbe fatto l'edificio per contenere davvero i 9 fantasticatilioni, 4 biliongilioni, 6 centifrugalilioni, 8700 dollari e 16 cents che Zio Paperone dichiara di possedere?
    (Mauro Cortesi, Ansa)




    FESTE e SAGRE





    BEATRICE DELLA SCALA E IL TEATRO



    Non è il luogo a prendere il nome del tempio italiano della musica, è il celebre teatro ha aver assunto quel nome per il fatto di affacciarsi su una piazza dedicata ad una principessa poco nota.
    Dove ora, nel cuore di Milano, svettano il Teatro della Scala e la sede comunale Palazzo Marino, fino al XVIII secolo si trovava la chiesa di Santa Maria alla Scala, che fu demolita appositamente, il 5 agosto 1776, per lasciare spazio alla costruzione del teatro inaugurato nel 1778.
    Di Beatrice Della Scala, la nobile veronese che tutti chiamavano Regina, non è nota l’esatta data di nascita. Unica fanciulla di quattro fratelli, il padre Mastino II, signore di Verona, e la madre, Taddea da Carrara, la fecero educare con tutti i crismi, non facendole mancare nulla. Finché, nel 1350, giunse il momento di trovarle marito. Il partito giusto lo indicò l’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti. La scelta ricadde su uno dei suoi tre nipoti: Bernabò. Un giovanotto irascibile, eccentrico e bellicoso. Ma anche ambizioso. Desideroso di aumentare la gloria della Biscia milanese. Le nozze vennero celebrate nella città di Sant’Ambrogio tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. E furono sontuose e partecipatissime. Sistemato il nipote, Giovanni passò a miglior vita e Bernabò si trovò a condividere lo scettro con il fratello Galeazzo II.
    Salita sul trono, Beatrice seppe dare da subito prova della pasta di cui era fatta. Le cronache la descrivono come bellissima, magnanima, devota. Qualità “banali”, che ricorrono fino alla nausea nelle descrizioni delle nobildonne medievali. A differenza delle sue contemporanee, però, la scaligera sovrana aveva una marcia in più: sapeva comandare senza delegare a uomo alcuno, occupandosi personalmente delle incombenze politiche, finanziarie e persino belliche. Amministrava personalmente i propri possedimenti strategici sul lago di Garda, dove arrivò a scontrarsi con alcuni parenti. Fu lei la prima a spostare il centro politico ed amministrativo dalla Riviera da Maderno a Salò, che fece fortificare. Gestiva come una sindachessa i numerosi borghi di cui era proprietaria (Urago d’Oglio, Pumenego, Fiorano, Calcio e Galegnano) e, su delega del marito, amministrò per quasi dieci anni la città di Reggio Emilia. Non solo: quando Brescia si ribellò al potere visconteo, essendo lei una Della Scala, famiglia che da sempre rivendicava diritti sulla città della Leonessa, non esitò a marciare alla testa di migliaia di cavalieri per sedare la rivolta.
    Per la nuova chiesa di Santa Maria, che fece erigere a sue spese nel centro di Milano, i fedeli ambrosiani ne furono così ammirati e grati che la parrocchia prese preso il nome di Santa Maria Della Scala. Oggi quella chiesa non esiste più. Ma il toponimo è rimasto. E ha dato il nome al Teatro alla Scala, che sui ruderi dell’edificio è stato edificato, alla fine del Settecento.
    Se, ripercorrendo le gesta di Beatrice, ci si stupisce per l’originalità della sua vita pubblica, allo stesso modo si rimane meravigliati dai suoi comportamenti privati. Nonostante tutti gli impegni, riuscì a trovare il tempo per dare al marito ben 15 figli, dieci femmine e cinque maschi. E col marito condusse con successo trattative matrimoniali per accasarli tutti con i rampolli e le rampolle delle più importanti casate d’Italia e d’Europa.
    Per tutta la vita tollerò gli innumerevoli, spudorati tradimenti del consorte. Senza battere ciglio. Bernabò era un donnaiolo impenitente. Amava circondarsi di belle donne e i nomi delle sue numerose amanti sono arrivati fino a noi. Donnina de’ Porri, Giovannola Montebretto, Beltramola de’ Grassi. Beatrice non era stupida. Ma non gli rinfacciò mai nulla. Forse perché sapeva chi aveva sposato. E sapeva anche che, per quanto il marito fornicasse di qua e di là, per quanti marmocchi bastardi potesse seminare per il contado, lei era l’unica donna che amava sul serio. Da pari a pari. La sola in grado di spegnere la sua ira quando si arrabbiava, di muoverlo a clemenza quando minacciava atroci punizioni o di dargli buoni consigli quando c’erano da prendere decisioni capitali per lo Stato. Pare che fosse persino riuscita a intuire che l’altro ramo della famiglia stesse tramando nell’ombra per usurpare il trono. Cosa che di fatto avvenne, nel maggio 1385, quando Gian Galeazzo, nipote di Bernabò, fece arrestare zio e cugini dopo aver teso loro un tranello, imprigionandoli fino alla fine dei loro giorni. Prima del tradimento fatale, Beatrice apparve in sogno a uno dei suoi figli, Ludovico, avvertendolo di stare in guardia. Ma, come Cassandra, non venne creduta.
    Morì nel 1384. Sconvolto per la dipartita della sua compagna di vita, Bernabò ordinò che tutti i suoi sudditi vestissero il lutto per due anni, pena atroci punizioni. L’epitaffio in onore della sua amata rende l’idea dell’affetto e della considerazione che il signore di Milano aveva per sua moglie, definita “Splendore d’Italia”, “Regina dei Liguri”, “nota nel mondo per la sua bellezza, per il suo decoro, la sua pudicizia e la munificenza nei confronti di tutti, nobili e popolani”. Per custodire le sue spoglie, Bernabò aveva commissionato una splendida arca di marmo bianco al migliore scultore sulla piazza: Bonino da Campione. Avrebbe dovuto essere collocata accanto al suo gigantesco sepolcro sormontato da un altrettanto titanica statua equestre. Così, pensava Bernabò, lui e Beatrice sarebbero potuti restare vicini per l’eternità, nella chiesa di San Giovanni in Conca. In effetti i due monumenti, oggi, sono affiancati, al Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco. Le vere tombe di Beatrice e Bernabò, però, sono altrove. Una vicina all’altra, ma nascoste, ben lontano dagli occhi del mondo, nell’oscurità di un angolo remoto della Chiesa di Sant’Alessandro.
    Fine indegna per il potente signore. Fine ancor più ingiusta per la sua Regina.
    (http://lastoriaviva.it/, web)

    (Gabry)





    RITI E TRADIZIONI DEGLI SPOSI!!!




    Damigella d’onore, qual è il suo ruolo?




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    Quella della damigella d’onore è un’ usanza anglosassone che, anche noi italiani, abbiamo deciso di adottare. La presenza di questa figura è importante non solo durante la giornata del matrimonio ma anche nel corso di tutti i preparativi.

    La damigella d’onore, normalmente è la migliore amica della sposa, ma spesso viene scelta anche una sorella, una cugina o comunque una parente stretta della quale la futura moglie possa fidarsi ciecamente. In Italia si tende ancora a confondere il ruolo della damigella d’onore con quella dei testimoni di nozze. Durante l’organizzazione del matrimonio e del ricevimento, l’aiuto della damigella d’onore sarà preziosissimo. Questa infatti accompagnerà la sposa durante gli innumerevoli appuntamenti per quanto riguarda scelta dell’abito o dei fiori, ma potrà anche divertirsi organizzando un perfetto addio al nubilato.

    Innanzitutto la damigella d’onore può essere una sola, oppure si può decidere di delegare questo compito a più amiche o parenti fino ad un massimo di otto. Vi riportiamo qui di seguito le regole di bon ton inglesi in merito al loro incarico: Se queste saranno meno di tre apriranno il corteo nuziale ed entrano in fila una per una. Se saranno di numero pari procederanno a coppia verso l’altare aprendo la navata alla sposa, in caso di rito religioso. Se saranno di numero dispari una da sola aprirà il corteo prima della sposa e le altre la seguiranno sempre in coppia.

    www.sposalicious.com/


    (Lussy)





    salute-e-benessere


    Salute e benessere


    98-55


    Le terme della provincia di Rieti




    Rieti, capoluogo della provincia detta "Sabina" perche' abbraccia, quasi per intero, il territorio anticamente abitato dal popolo dei Sabini, e' ubicata nel centro geografico d'Italia (Umbilicus Italiae).
    II territorio è prevalentemente montuoso, su tutto domina il massiccio del Terminillo, con alternanza di conche e contrade pianeggianti: la «conca» di Leonessa, la grande «piana» alluvionale di Rieti e la «piana» carsica di S. Vittorino, ai margini settentrionali della quale si collocano i tre laghetti di Paterno, di Mezzo e di Cotilia. Il clima in tutta la provincia di Rieti è di tipo appenninico, fresco, ben ventilato e temperato da brezze costanti anche d'estate, che rendono il territorio delizioso per la villeggiatura.

    In questo contesto ambientale si trovano tre località termali: le Terme di Cotilia, di Cottorella e di Antrodoco, che offrono tranquillità ed interessanti escursioni nei dintorni per vitare reperti archeologici e monumenti.




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    Terme di Cotilia

    Le Terme di Cotilia si trovano in una frazione di uno dei gioielli della provincia di Rieti: il Comune di Castel Sant'Angelo.
    Castel Sant'Angelo si trova nella Valle del Velino, che viene considerata una delle valli più suggestive dell'Appennino per le sue caratteristiche naturali, ma soprattutto per l'enorme presenza di sorgenti e acque sia di superficie, sia sotterranee.

    Lungo la "via del sale" - l'odierna Salaria - sorgeva l'antica città preromana di Cotilia, il più famoso "vico di Reate", presso il lago sacro di Paterno, ammirato da Seneca e cantato dal Tasso.
    Le copiose sorgenti di acque acidule, solforose e ferrate attrassero i Romani, che vi stabilirono un vero e proprio centro turistico-termale, come testimoniano i resti delle ville degli imperatori Tito e Vespasiano e gli scritti di Varrone, Macrobio, Dionisio, Festo, Seneca, Vitruvio, Celso, Plinio, Catone, Tito Livio e Virgilio. Qui fu martirizzato San Vittorino, fatto appendere a testa in giù, sulle sorgenti solfuree, dall'imperatore Nerva: dal Santo deriva il nome della valle circondaria. Con le invasioni barbariche la località decadde e tale decadenza è durata a lungo. Solo da pochi anni (1981), difatti, si è ripreso lo sfruttamento razionale delle fonti con ingenti opere di trasformazione che hanno condotto alla costruzione dell'attuale stabilimento termale.


    cotilia


    Le acque termali prendono il nome proprio dall'antichissima città di Cotilia e sgorgano da due fonti (Vecchi e Nuovi Bagni), le quali non differiscono dal punto di vista chimico e formano, per la loro grande portata, due pittoreschi laghetti.
    La classificazione, desunta dalle analisi eseguite dai professori Talenti e Borgioli, è di acqua minerale naturale solfidrica-carbonica, bicarbonato-solfato-alcalino-terrosa, fredda.
    Tra le cure praticate: fanghi, bagni sulfurei, massaggi, inalazioni sulfuree caldo-umide a getto diretto, aerosol, nebulizzazioni sulfuree, ventilazione polmonare, insufflazioni endotubariche, cure idropiniche, irrigazioni vaginali sulfuree.
    Le acque delle Terme di Cotilia sono particolarmente indicate per le malattie degli apparati respiratorio, circolatorio, gastroenterico, genitale femminile, muscolare e scheletrico; per le affezioni cutanee, le miti e la sordità rinogena, le allergie e le intossicazioni.
    Di recente è stato inaugurato un reparto di fisiokinesiterapia, le cui prestazioni comprendono: tecniche di riabilitazione funzionale e neuromotoria, massoterapia, terapia fisica, termoterapia (ginnastica vascolare, crioterapia, radarterapia, ultrasuonoterapia, applicazioni di raggi infrarossi e ultravioletti).
    Altri trattamenti complementari sono praticati nel centro per agopuntura e nel centro estetico.



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    Terme di Cottorella

    Situate alle pendici del Monte Belvedere, le Terme di Cottorella sono un'oasi di pace e serenità.
    Note già agli antichi romani, le acque di questa storica fonte furono apprezzate dall'imperatore Vespasiano, da papa Gregorio IX e dal Bramante, che con la loro presenza contribuirono ad accreditarne le qualità terapeutiche.
    I frati del vicino convento di Sant'Antonio al Monte da tempo immemorabile rifornivano di barili di Acqua Cottorella l'ospedale romano di Fatebenefratelli, per la cura di malattie urologiche.
    Le moderne tecniche di analisi hanno poi confermato l'effettiva validità terapeutica delle Fonti Cottorella, tanto che nel 1926 il Ministero dell'Interno autorizzò l'imbottigliamento "dell'Acqua Cottorella digestiva, antiurica di rara purezza". Queste acque appartengono al gruppo delle acque oligominerali bicarbonato-alcalino-terrose, particolarmente adatte alle diete povere di sodio per la loro elevata capacità diuretica e il basso contenuto di sodio, oltre ad essere impiegate nella cura di patologie urologiche, epatiche, gastroenteriche e dismetaboliche.

    cottorella

    I dintorni della fonte sono molto belli e si prestano a numerose passeggiate: al Lago di Piediluco, al Monte Belvedere e alla Villa San Mauro, da cui si gode il panorama di tutta la conca reatina. Rieti è una città vivace e interessante: conserva ancora oggi molti monumenti dell'epoca medievale, fra cui le mura e gli edifici vescovili, il campanile romanico del Duomo, alcuni edifici romanico-gotici e di epoca rinascimentale, come il Palazzo della Prefettura, la chiesa di Sant'Antonio e il Palazzo Vecchiarelli. Nei dintorni sono raggiungibili i santuari francescani di Poggio Bustone, Greccio, Fontecolombo, La Foresta, l'abbazia di Farfa, e i laghi di Turano, del Salto, Lungo e di Ripa Sottile. Inoltre per chi ama lo sport vissuto a contatto con la natura, il Monte Terminillo è molto apprezzato sia per sport invernali sia per un soggiorno estivo.




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    Terme di Antrodoco

    Il territorio di Antrodoco è da sempre stato ricco di sorgenti di acque sulfuree. Le antiche terme sorgevano ai confini degli attuali territori dei Comuni di Borgo Velino e di Antrodoco. Proprio in quel luogo, in occasione dei lavori per la costruzione della ferrovia Rieti – L’Aquila (circa 1865), furono trovati importanti reperti archeologici, che purtroppo non sono stati valorizzati o quantomeno conservati.

    Nel 1621 Salvatore Massonio scrive “Breve et utile discorso di Salvatore Massonio delle facoltà et dell’uso dell’acque dell’antico bagno di Antredoco”. Oltre all’attuale area termale, infatti, gli antichi romani utilizzavano anche l'area originale delle terme (zona Canapine). L’acqua sulfurea sgorgava dalle pendici del Monte Cotischio (l’attuale Monte Giano), ed inoltre erano visibili altre sorgenti nei territori limitrofi. In questa zona i bagnanti utilizzavano per le proprie cure pozze naturali riservate agli uomini e alle donne.
    Le qualità terapeutiche delle acque sulfuree di Antrodoco furono poi note anche in tutto il Regno di Napoli.
    Nel 1865, si ritenne opportuno realizzare uno stabilimento termale con una struttura organizzativa più moderna. Fu costruito l’attuale edificio storico, munito di vasche da bagno, locali per le cure e un ampio parco dove poter sostare sotto l’ombra degli alberi.


    da:benessere.com
    foto:scrivimi.net
    - sorgentitermali.it
    . lazioterme.files.wordpress.com




    antrodocoborgovelino1


    "La stazione di Antrodoco"

    La stazione di Antrodoco si trova nel centro della cittadina e il trenino che vi parte attraversa in primo luogo la valle del Velino, lungo il fiume omonimo ed in seguito altre valli e panorami mozzafiato tanto che ormai è diventata una vera e propria meta turistica. Le piccole gallerie con la volta in pietra ne sono una peculiarità. Inoltre si tratta di uno delle rare stazioni ferroviarie della Sabina che per la maggior parte è percorsa solamente da pullman di linea.


    cottorella



    Di lì agli anni ’70 Antrodoco visse i sui anni d’oro grazie alle Terme che richiamavano talmente tante persone da far triplicare la popolazione in alta stagione.
    Purtroppo ai primi anni ’80 , per una cattiva gestione, le terme chiudono: soltanto di recente è stato presentato, con grande gioia degli abitanti, un progetto per il restauro delle strutture per una loro rimessa in funzione.

    Rieti è una città vivace e interessante: conserva ancora oggi molti monumenti dell’epoca medievale, fra cui le mura e gli edifici vescovili, il campanile romanico del Duomo, alcuni edifici romanico-gotici e di epoca rinascimentale, come il Palazzo della Prefettura, la chiesa di Sant’Antonio e il Palazzo Vecchiarelli. Nei dintorni sono raggiungibili i santuari francescani di Poggio Bustone, Greccio, Fontecolombo, La Foresta, l’abbazia di Farfa, e i laghi di Turano, del Salto, Lungo e di Ripa Sottile. Inoltre per chi ama lo sport vissuto a contatto con la natura, il Monte Terminillo è molto apprezzato sia per sport invernali sia per un soggiorno estivo.


    piazza


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    Le Terme di Cotilia


    Le Terme di Cotilia si trovano in una frazione di uno dei gioielli della provincia di Rieti: il comune di Castel Sant’Angelo, che si trova nella valle del Velino, considerata come una delle valli più suggestive dell’Appennino per le sue caratteristiche naturali, ma soprattutto per l’enorme presenza di sorgenti e acque sia di superficie, sia sotterranee.

    Un grande fascino, tra storia e leggenda, s’intreccia intorno a queste terme dalle quali sgorgano, in grande abbondanza, acque che un tempo si ritenevano sacre. Oggi la medicina ufficiale riconosce le proprietà terapeutiche dell’acqua di Cotilia, impiegata nella prevenzione e nella cura di molteplici patologie nell’ambito di una moderna e attrezzata struttura termale.

    L’area che circonda il Complesso Termale di Cotilia è caratterizzata dall’abbondanza di acque termali che sgorgano dalle due fonti di Vecchi e Nuovi Bagni. Tre laghetti, numerose sorgenti e piccoli ruscelli formano un bacino idrico illimitato, noto per le caratteristiche chimico-fisiche delle sue acque sulfuree.

    Le terme già in epoca pre-romana erano meta di pellegrinaggi di fedeli che si recavano a consultare l’Oracolo del grande Santuario di Cotilia. Col tempo Cotilia perse il suo carattere di centro religioso, affermandosi come uno dei centri termali preferiti dalla nobiltà romana. Conobbe il suo periodo di massimo splendore durante la dinastia degli imperatori Flavi che eressero nella zona splendide ville e un lussuoso complesso termale. Con le invasioni barbariche la località decadde fino a pochi anni fa, quando si è ripreso lo sfruttamento razionale delle fonti, con ingenti opere di trasformazione.

    Oggi un moderno e attrezzato Centro Termale accoglie gli ospiti, offrendo molteplici cure e applicazioni: fanghi, bagni, idromassaggi, inalazioni, aerosol, humage, nebulizzazioni, irrigazioni ginecologiche, massaggi, docce nasali, cure idropiniche, insufflazioni endotimpaniche, pressoterapia, docce micronizzate, ventiloterapia, riabilitazione motoria e respiratoria. Altri trattamenti complementari sono praticati nel centro per agopuntura e nel centro estetico.


    Straordinariamente ricco di falde idriche, il territorio della
    provincia di Rieti è costellato di corsi d’acqua, laghi e sorgenti
    di grande portata; celebre è quella del Peschiera, che
    alimenta il principale acquedotto della Capitale.
    Un attrezzato Centro Termale, a 15 Km da Rieti, sfrutta le
    proprietà di tre sorgenti (Vecchi Bagni, Nuovi Bagni e Fonte
    del Chiosco), che naturalmente alimentano varie pozze
    e laghi. Le acque di queste sorgenti, a grande portata (300
    l/sec), sono di tipo solfureo-carbonico-bicarbonato-solfatoalcalino-
    terroso e fredde; dai laghi in cui si raccolgono, viene
    estratto fango naturale che viene avviato a maturazione
    in apposite vasche di decantazione.

    Vari sono i settori di
    impiego dei mezzi termali di Cotilia, nella maggior parte dei
    casi in convenzione con il S.S.N.:
    -Cure inalatorie
    -Fangobalneoterapia
    -Tecniche riabilitative
    -Balneoterapia carbo-gassosa
    -Balneoterapia dermatologica
    -Cure idropiniche



    da: lazioterme.it
    da:lazioterme.wordpress.com
    foto:stazionidelmondo.it
    - sorgentitermali.it/
    - ilgiornaledirieti.it/
    - mw2.google.com

    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    La scomparsa degli animali è un fatto di una gravità senza precedenti.
    Il loro carnefice ha invaso il paesaggio; non c’è posto che per lui.
    L’orrore di vedere un uomo là dove si poteva contemplare un cavallo!
    (EM Cioran)


    LA GRANDE GUERRA DEGLI EMU'



    Dopo la prima guerra mondiale un grande numero di ex-soldati australiani e veterani britannici iniziò a coltivare in aree spesso marginali dell' Australia Occidentale. Con l'arrivo della Grande depressione nel 1929, molti agricoltori furono incoraggiati ad incrementare le loro coltivazioni di grano con la promessa di assistenza sotto forma di sussidi statali. Nonostante le raccomandazioni e le promesse di sussidi, il prezzo del grano continuò a scendere e nell'ottobre del 1932 la situazione si aggravò, con i coltivatori che si preparavano a mietere il raccolto stagionale e al contempo minacciavano il rifiuto di vendere il grano già falciato.
    Tutto questo fu aggravato con l'arrivo di quasi 20 000 emù che migrano regolarmente dopo la loro stagione riproduttiva, diretti dalle regioni più interne a quelle costiere. Le vaste aree bonificate e le forniture aggiuntive di acqua nell'Australia Occidentale, portarono gli emù a individuare le terre coltivate come loro habitat, così iniziarono a fare incursione nei terreni agricoli. Gli emù consumavano e danneggiavano i raccolti, danneggiavano le recinzioni praticando fori che permettevano ai conigli di entrare e causare altri danni.
    Gli agricoltori si lamentarono e una delegazione di ex-soldati incontrò il Ministro della difesa, Sir George Pearce. Avendo servito nella prima guerra mondiale, i soldati richiesero il dispiega-
    mento delle mitragliatrici contro gli uccelli. Il ministro accettò prontamente, tuttavia vi erano delle condizioni: le armi sarebbero state usate esclusivamente da personale militare e il trasporto delle truppe sarebbe stato finanziato dal governo dell'Australia Occidentale mentre le munizioni, vitto e alloggio sarebbero stati pagati dai coltivatori. Il dispiegamento delle truppe avrebbe permesso a queste di esercitarsi usando gli uccelli come bersaglio anche se si ritiene che fossero soprattutto interessati all'operazione di propaganda.
    Il ministro laburista della difesa nel biennio 1932-1934, che ordinò l'eliminazione della popolazione degli emù da parte dell'esercito. A seguito di questo episodio, a Sir George Pearce venne assegnato da parte del senatore James Dunn, scissionista ed ex-collega di partito, l'appellativo di "ministro della guerra degli emù".
    La guerra doveva iniziare nell'ottobre del 1932, ma fu ritardata a causa di un periodo piovoso che provocò lo sparpagliamento degli emù su un'area maggiore.Le precipitazioni terminarono il 2 novembre 1932 fu a questo punto che le truppe vennero dispiegate con l'ordine di assistere gli agricoltori e inoltre, stando al resoconto di un giornale, di ottenere 100 pelli di emù in modo che le loro piume potessero essere utilizzate per realizzare cappelli per la Australian Light Horse. Fu condotta sotto il comando di G.P.W Meredith, al comando di una coppia di mitraglieri armati con due fucili automatici Lewis e 10 000 cartucce.
    Marciarono verso il distretto di Campion, dove 50 emù erano stati avvistati, ma questi si dileguarono diventando bersagli difficili. Nonostante questo furono uccisi un certo numero di uccelli.
    Il 4 novembre Meredith attuò un'imboscata nei pressi di una diga, dove 1000 emù furono visti dirigersi. Questa volta i mitraglieri attesero fino a che gli uccelli non si trovarono a tiro. Le armi però si incepparono dopo l'uccisione di dodici emù e il resto si sparpagliò prima che altri potessero essere abbattuti. Non furono più avvistati altri emù quel giorno.
    Nei giorni seguenti Meredith decise di muoversi ulteriormente a sud, provò a montare una mitragliatrice su un automezzo, mossa che si rivelò inefficace, dato che il veicolo era incapace di raggiungere gli emù e la corsa era così difficile da non permettere al mitragliere di sparare un solo colpo. Fino all'8 novembre, sei giorni dopo il primo abbattimento, erano stati sparati 2500 colpi, ma il numero di uccelli uccisi pur restando incerta, sembra fossero una cinquantina. Un rapporto ufficiale di Meredith dichiarò che si erano subito perdite umane.
    L'ornitologo Dominic Serventy commentò: « I sogni dei mitraglieri di sparare raffiche su fitte masse di emù furono presto dissolti. Il comando emù ha evidentemente ordinato l'uso di tecniche di guerriglia, e il suo ampio e disorganizzato esercito si è immediatamente diviso in un innumerevole numero di piccole unità rendendo l'uso dell'equipaggiamento militare inefficace. Un esercito umiliato viene costretto quindi a ritirarsi dal campo di battaglia dopo quasi un mese.»
    L'8 novembre l'operazione venne discussa dai membri della Camera dei rappresentanti. Pearce congedò il personale militare dall'incarico. Dopo il ritiro delle truppe, il maggiore Meredith comparò gli emù con gli Zulu e commentò la stupefacente agilità degli emù, persino quando gravemente feriti: « Se avessimo una divisione militare con la resistenza ai proiettili di questi uccelli saremmo capaci di confrontarci con ogni esercito del mondo... Possono affrontare le pallottole con la robustezza di un carro armato. Sono come degli Zulu che non possono essere arrestati nemmeno dai proiettili a espansione.»
    Gli attacchi delle coltivazioni da parte degli emù ripresero. Gli agricoltori chiesero ancora una volta sostegno. James Mitchell, primo ministro dell'Australia Occidentale, prestò forte supporto al rinnovo dell'assistenza militare.
    Agendo sulla base delle richieste e del rapporto del comandante di base, il 12 novembre il ministro della difesa approvò l'impiego delle forze armate. Ma Meredith fu costretto a tornare sul campo in prima persona a causa di un'apparente mancanza di mitraglieri competenti. Il 13 novembre 1932, le forze armate ottennero successo durante i primi due giorni di caccia, con l'uccisione di circa 40 emù. Ma già dal terzo giorno, si notò che anche questa volta sarebbe sta un insuccesso. Meredith fu richiamato il 10 dicembre e nei suoi rapporti dichiarò un totale di 986 uccisioni con l'uso di 9860 proiettili, esattamente 10 colpi sparati per ogni uccisione confermata. L'ufficiale sostenne inoltre che 2 500 uccelli feriti morirono successivamente a causa dei danni subiti.

    A dispetto dei problemi sorti con l'eliminazione della fauna selvatica, gli agricoltori della regione occidentale richiesero ulteriormente assistenza militare nel 1934, 1943 e 1948, ottenendo solamente il rifiuto da parte del governo. Continuò invece il sistema a ricompense statali, istituito nel 1923.
    Agli inizi di dicembre del 1932 la notizia della guerra degli emù si diffuse, raggiungendo la Gran Bretagna. Alcuni conservazionisti definirono l'operazione di contenimento della fauna selvatica come "lo sterminio della rara specie degli emù". Dominic Serventy, un celebre ornitologo australiano, descrisse il fatto come "un tentativo di distruzione di massa della popolazione degli uccelli".


    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    Quanti coccodrilli, che fingono di lamentarsi per divorare
    chi si lascia commuovere dal loro lamento!
    (François de La Rochefoucauld, Massime, 1678)

    IL COCCODRILLO



    I coccodrilli sono un ordine di rettili diapsidi. A causa della forte armatura squamosa di cui sono dotati questi animali hanno anche il nome di Loricati dal latino "corazza".
    Il coccodrillo è un rettile di grande mole e dall'aspetto preistorico. Ed ha origini molto antiche che, nostante l’evoluzione per l’adattamento, sopravvive fin dal cretaceo. "I coccodrilli, molto simili a quelli odierni, erano i concorrenti principali dei teropodi nel Cretaceo. Tuttavia sembra che nella maggior parte dei depositi Mesozoici i coccodrilli fossero meno abbondanti rispetto a quelli presenti nel successivo Cenozoico, dominato dai mammiferi. Essi erano inoltre di taglia piccola: pochi esemplari raggiungevano la grandezza degli alligatori americani o dei coccodrilli del Nilo. È possibile che i teropodi stessero mangiando i coccodrilli. Persino oggi, i grandi felini ogni tanto uccidono un coccodrillo di grandezza notevole. Un tirannosauro avrebbe potuto inseguirne uno nell'acqua per poi inghiottirlo intero. Può darsi che gli attacchi costanti avevano soppresso le popolazioni dei coccodrilli, favorendo in tal modo le specie più piccole e difficili da catturare." (Gregory Scott Paul)

    Sono presenti in tutte le aree equatoriali e tropicali del pianeta, vivono lungo il corso dei fiumi e nei laghi, nelle zone paludose ma, alcune specie si spingono in mare per lunghi tratti. Vi sono vari specie: il coccodrillo vive in Africa e nell'Asia meridionale; il gaviale in India, l'alligatore in America e in Cina, il caimano in Brasile e Sud America.

    Il corpo è allungato e ricoperto di squame, solitamente di colore scuro sul dorso e chiaro sul ventre. La testa è triangolare, dotata di narici all'estremità della mascella e occhi sporgenti. La lunga coda è appiattita verticalmente e perciò adatta al nuoto. Le zampe sono relativamente corte, robuste e palmate. La lunghezza è molto varia: dal metro dell'osteolemo (Osteolaemus tetraspis) ai 6,5/7 metri e più del coccodrillo marino (Crocodylus porosus); il peso va dai 20 fino ai 1000 kg. I coccodrilli sono animali molto veloci sulle brevi distanze, anche fuori dall'acqua. Dal momento che si nutrono trattenendo e trascinando le loro prede costringendole tra i denti hanno sviluppato una elevata forza mandibolare. Paradossalmente i muscoli che consentono al coccodrillo di riaprire la bocca sono piuttosto deboli. I coccodrilli sono i rettili con più sviluppate capacità vocali, producono suoni che vanno da tranquilli sibili a spaventosi ruggiti e muggiti, solitamente durante la stagione degli accoppiamenti. Sulla terraferma i coccodrilli si muovono strisciando sull'addome, ma possono anche correre e camminare come i mammiferi, stando sulle quattro zampe.
    Sono predatori attivi, tendono a vivere raggruppati senza strutture sociali come il branco. Un modello sociale che molte volte viene sovvertito radical-
    mente: gli esemplari adulti tendono a difendere in modo aggressivo i loro areali di caccia da altri adulti e dai giovani, che cadono spesso vittime di predazione cannibalica. Cacciano prede di dimensioni variabili, principalmente pesci o piccoli vertebrati come il gaviale, ma quando raggiungono il pieno sviluppo i coccodrilli attaccano con successo anche animali molto grandi come i bovini. Lento, silenzioso e insidioso, vive nei fiumi o presso gli estuari, le paludi o le lagune. Il suo metodo di caccia è infallibile: adocchiato il bersaglio, scatta fulmineo fuori dall'acqua e con un movimento rapido, dopo aver afferrato la preda, abbassa la mascella superiore per inabissarsi nuovamente. Possono digiunare per lunghi periodi di tempo fino a sei mesi. Benchè sia dotato di una discreta fila di denti, non mastica il cibo per cui, dopo un pasto abbondante è ridotto in una sorta di torpore. In conseguenza di ciò ha imparato che la carne putrida è senz'altro meglio digeribile per cui si nutre facilmente di carogne svolgendo una funzione di spazzino molto importante per l'ecosistema.
    Sono in grado di muoversi per tratti prolungati sulla terra, con andatura sostenuta, sollevandosi sulle zampe, il cosiddetto "galoppo del coccodrillo”. Essendo eterotermi, i coccodrilli si devono riscaldare trascorrendo una parte della alcune specie di coccodrilli interagiscono con alcuni tipi di uccelli, come il piviere, che ripuliscono la bocca da parassiti e residui alimentari.
    Per nidificare preferiscono terreni umidi e ombreggiati, dove possono scavare facilmente il nido e ricoprirlo di materia vegetale che grazie al calore generato dalla decomposizione mantiene una temperatura costante.

    ..storia, miti e leggende..



    Una notissima frase è divenuta un modo di dire: "versare lacrime di coccodrillo", la si dice, dopo averne combinata una e essere travolto dalle conseguenze inattese più o meno gravi del previsto. Tale modo di dire trae origine dall'abitudine dei coccodrilli femmina di trasportare le uova in caso di pericolo tenendole tra le proprie fauci, abitudine in passato erroneamente interpretata come prova del loro cannibalismo. Inoltre a contribuire alla nascita della leggenda è stata la naturale eiezione di lacrime che si produce in loro quando muovono le mascelle. Eiezione lacrimatoria che ha in realtà lo scopo di lubrificare la cosiddetta "terza palpebra" caratteristica del coccodrillo. Il coccodrillo è protetto da una solida corazza, il suo mezzo di difesa, ma problematica per la sopravvivenza dell’animale, perché non permette la traspirazione della pelle. Per eliminare i sali accumulati con l’alimentazione, questi rettili sono costretti a versare abbondanti lacrime dagli occhi.

    "La caratteristica di appartenere sia al regno della terra che a quello dell'acqua ne fa il simbolo delle contraddizioni fondamentali. Si agita nella melma da cui trae origine una vegetazione ricca e lussureggiante: per questo lo si considera simbolo di fecondità. Ma poi, per quel suo modo particolare di uccidere, furtivo e all'improvviso, rappresenta la malvagità. Signore dei misteri della vita e della morte, è anche signore delle conoscenze occulte, simbolo della luce che alternativamente si eclissa e abbaglia. E' soprattutto nell'Antico Egitto che questo animale è un potente simbolo: Sobek, figlio di Neith.[..] In India è la cavalcatura del mantra Vam, qualche volta di Varuna, Signore delle acque.
    La bandiera del coccodrillo, in Cambogia, è utilizzata durante i riti funebri. Anche in numerosi altri paesi asiatici è collegato al regno dei morti poichè svolge il ruolo di psicopompo.
    Forse da questa antica memoria deriva il gergo giornalistico: coccodrillo è detto il necrologio di persone illustri preparato quando sono ancora in vita e tenuto pronto nel cassetto. Sempre in Cambogia le leggende lo associano al fulgore delle pietre preziose. Produttore del lampo è anche simbolo di luce e di pioggia. Nella simbologia cinese è l'inventore del tamburo e del canto e svolge una funzione importante nel ritmo e nell'armonia del mondo; "Lu Tong", drago di terra, rappresenta la forza e la nobiltà.
    Nell'America Centrale precolombiana è simbolo di fertilità e ricchezza; secondo i sacerdoti portava fortuna potere e figli in abbondanza. Nell'oroscopo azteco, come rappresentante dell'inizio, della vita, è il primo elemento: è simbolo della prosperità e conferisce valore a colui che nasce sotto il suo segno. Secondo il mito di questo popolo, infatti, la terra nacque da un coccodrillo che viveva nel mare originario.
    Nella versione Maya della genesi, Il Grande Coccodrillo originario porta la terra sul dorso, racchiusa in una conchiglia. Divinità ctonia, appare spesso come sostituto del Grande Giaguaro, signore dei mondi sotterranei. Sempre presso i Maya è simbolo di abbondanza e, come il Giaguaro presso gli Aztechi, veglia alle estremità della quattro strade, i punti cardinali. In certi miti dell'antico Messico è, con il rospo, simbolo della Terra. In Melanesia il coccodrillo è l'antenato, il fondatore dell'ultima classe sociale.
    Secondo i mitologi questo animale ha soprattutto una valenza negativa: è il Divoratore che sorge all'alba dalle tenebre acquitrinose per inghiottire gli esseri viventi; è il mostro primordiale per eccellenza che erompe dal caos primitivo. Simile al drago della mitologia, evoca le forze occulte sepolte nell'inconscio, o, secondo i demonologi, il demonio. Forse in questo senso vanno interpretate le spoglie di animali impagliati appesi nelle chiese medioevali.
    Nella tradizione cristiana corrisponde al Leviatano, un enorme animale marino menzionato nel Vecchio testamento come nemico di Dio e, in tal senso, alcuni psicoanalisti lo leggono come l'atteggiamento cupo e aggressivo dell'inconscio collettivo.
    Nella vicenda biblica di Giobbe è citato, in una descrizione terrificante, come "serpente fuggiasco", facendo riferimento all'Egitto. Nella tarda antichità era associato al serpente d'acqua che, facendosi inghiottire dal coccodrillo, ne dilaniava le viscere per uscirne. Il serpente passa così da immagine negativa a simbolo di redenzione, con la sua discesa al limbo, la morte e la rinascita. Simbolo fallico, è talvolta associato al mito dell'araba fenice che muore per poi risorgere.
    A questo animale sono attribuite molte leggende; è assimililabile anche all'Ouroborus, il serpente che si mangia la coda. Per i cristiani era una figura demoniaca tranne che per San Pacomio che attraversò il Nilo sul suo dorso. E' considerato negativamente anche nei Bestiari medioevali: "immagine dell'ipocrita, dell'avaro e del libertino". Come il coccodrillo vive di notte nelle acque limacciose, così l'uomo vizioso conduce segretamente una vita sfrenata.
    Nel Medioevo, per le sue grossi fauci, richiamava all'antro infernale.
    Nella nostra cultura c'è un modo di dire che chiama in causa il nostro "mostro": lacrime di coccodrillo si dice del pentimento di chi, dopo aver fatto del male, se ne rammarica vanamente, forse perché, secondo un detto popolare, questo farebbe l'animale dopo aver divorato, nella più spietata freddezza, un essere umano."(Laura Ottonello)

    ..il dio SOBEK..



    Gli egiziani credevano che le acque del Nilo, a cui era dovuta la fertilità del terreno e la prosperità del paese, fossero originate dal sudore del dio-coccodrillo. L'animale, aveva il suo habitat nel fiume Nilo, nei grandi canali e nei vari specchi d'acqua, costituiva una continua minaccia per l'uomo. Il coccodrillo doveva pertanto essere placato per mezzo di offerte e di preghiere; i suoi attacchi erano scongiurati attraverso il culto che aveva lo scopo di renderlo benevolo nei confronti dell'uomo. Fu Shedet, capoluogo del Fayyum, il centro principale del suo culto, ed in questa città così come in altre località votate al culto di Sobek, si mantenevano uno o più coccodrilli sacri, i quali vivevano nei pressi di un piccolo lago artificiale, situato nei pressi del tempio della divinità. Lo storico greco Erodoto scrive che gli Egiziani di Tebe e del Fayyum " ritengono in modo particolare che i coccodrilli siano sacri. Sia l'una che l'altra delle popolazioni tra tutti i coccodrilli ne nutre uno, istruito a essere domestico; gli mettono agli orecchi pendenti di pietre fuse e d'oro, intorno alle zampe anteriori gli mettono braccialetti; gli danno in pasto determinati alimenti e vittime; mentre sono in vita li trattano con cura; quando muoiono, dopo averli imbalsamati, li seppelliscono in urne sacre.”
    Divenne il signore delle acque e dei pesci e regnava sovrano dove terra ed acqua si uniscono; dotato di una vitalità non comune, rappresentava l'energia dell'acqua. Ma è anche l’archetipo del Divoratore: insaziabile, freddo e sanguinario, divorava inesorabilmente tempo e spazio, nonchè le anime che non sanno giustificare le proprie azioni. Lo temevano, ma si servivano anche della sua forza.
    Amenemhet III e altri faraoni, fecero costruire edifici sacri e dedicati molti in suo onore. Sobek, associato ad altre importanti divinità, divenne ricchissimo di attributi e di titoli. Grazie alla sua identificazione col dio sole Ra, nella forma Sobek-Ra, il dio coccodrillo venne poi ritenuto una divinità primordiale e creatrice, grazie alla quale viveva tutto l'Egitto. In qualità di dio delle acque, si riteneva che Sobek svolgesse un ruolo fondamentale nelle vicende dell'irrigazione e nel controllo delle acque, fondamentali per l'economia egiziana. Se l'acqua abbondante o quantomeno sufficiente era considerata un suo dono, i periodi in cui essa era scarsa erano fatti risalire alla sua collera nei confronti degli uomini. Oltre Sobek-Ra sono molte le funzioni che la tradizione gli attribuisce nelle vicende divine: Sobek-Osiride aiuta Iside a ripescare i pezzi del cadavere smembrato dello sposo, Sobek-Seth regna sulle terre desertiche. Sterminatore dei nemici di Osiride, insieme ad Haroeris, dio solare guerriero, è nemico delle forze del male. Ai due dei è dedicato un tempio dallo schema insolito. Vicino al villaggio di Kom Ombo vi è questo tempio doppio, ottenuto cioè affiancando due strutture. La parte sinistra è consacrata al dio Sparviero Haroeris, (ennesima personificazione del Sole-Horus), mentre la parte destra è consacrata a Sobek. Citato anche nel Libro dei Morti, Sobek assiste alla nascita di Horus e aiuta a sconfiggere Seth, dio del tuono e della tempesta. In una lunga descrizione riportata da Erodoto si legge che in certe zone dell'Egitto il coccodrillo è venerato, adornato d'oro e sepolto in recinti sacri; in altre è trattato da nemico. anche se, perlopiù era divinizzato. La capitale del Faiyum - attuale Medinet - fu addirittura chiamata Coccodrillopoli.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    GIUGNO


    E' arrivato Giugno

    IL CIELO al mattino è terso e il sole scotta.
    NEI CAMPI il contadino miete e riempie il suo granaio. La buona terra ha premiato la sua fatica.
    Ma il suo lavoro non è finito; dovrà lavorare ancora per la monda e il trapianto del riso
    e per la sarchiatura del granoturco.
    SULLE PIANTE stride la cicala, fra le erbe
    si alza il cri-cri del grillo canterino e, la sera comincia il passaggio aereo delle lucciole
    con le loro lucine gialle. La campagna è piena d'insetti che divorano e si divorano a vicenda.
    IL FRUTTIVENDOLO ha ingombrato con
    le sue ceste di ortaggi e di frutta, anche il sentiero
    o il marciapiede. Ha messo fuori delle ciliegie,
    delle amarene e delle albicocche che fanno venire
    l'acquolina in bocca.
    IL GIARDINO è pieno di fiori e di verde.
    Ci sono rose, gerani, fiordalisi, tulipani, oleandri
    e genziane. Tutti i giorni ne fioriscono.
    A SCUOLA si attendono le vacanze, le grandi vacanz della calda Estate.
    Non si parla d'altro e non si scrive d'altro.
    Ancora pochi giorni - dice la mamma...
    Ancora pochi giorni - dice il maestro...
    Poi la pagella e, addio scuola!
    IN CITTA si parte. - Si va al mare, si va ai monti, si va in campagna e, c'è chi va a giocare
    sui prati della periferia, come Giorgio, Sandro e Pinuccio.
    I bar hanno messo i tavolini all'aperto con gli ombrelloni colorati e le sedie.
    Qualche bambino corre al bar e torna adagio adagio, succhiando un
    buon gelato di panna e limone.


    (Dal Web)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Sally Kamille

    La vita è come quei cieli incerti, d'inverno:
    da una parte è tutto nero e minaccia pioggia,
    dall'altra occhieggia il sereno.
    Dipende da dove guardi...
    (Eleonora Della Gatta ©)

  6. .

    Il giorno è arrivato ... la nostra Isola Felice



    si veste a festa ...

    Oggi una nostra amica festeggia il compleanno ...



    TANTI TANTI AUGURI CRIIIIII ...



    BUON COMPLEANNO!!!!

    La torta ...



    Lo champagne ...



    I fuochi d'artificio ...



    ... Cri ma soprattutto l'augurio che ogni giorno della tua vita sia degno di essere festeggiato insieme alle persone a te care ... Grazie di Cri di far parte della nostra famiglia dell'Isola Felice ...
    (Claudio)

  7. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 023 (01 Giugno – 07 Giugno 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 1 Giugno 2015
    S. GIUSTINO MARTIRE

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    Settimana n. 22
    Giorni dall'inizio dell'anno: 145/220
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    A Roma il sole sorge alle 04:38 e tramonta alle 19:38 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 04:37 e tramonta alle 20:04 (ora solare)
    Luna: 3.58 (tram.) 18.24 (lev.)
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    Proverbio del giorno:
    Giugno umido e caldo, contadino baldo.
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Il vero amore non ha mai conosciuto misura.
    (Properzio)









    RIFLESSIONI



    ... AHMAD …
    ... Ahmad, ha 98 anni. I suoi occhi hanno visto la Guerra, hanno visto eccidi e brutalità. Ahmad sguardo di chi ha visto la vita passare attraverso le sue rughe; un bastone su cui poggia il peso dei suoi anni, un cuore che batte forte e fiero sfidando il deserto prima ed il mare dopo; un’anima che rende tutto leggero perché lascia che i sogni non restino solo desideri, ma che si concretizzino fino a divenire realtà. Messaggio bellissimo per tutti coloro che credono e vivono inseguendo sogni senza mai abbassare la testa, senza mai farsi vincere dallo sconforto e delle continue asperità che la vita ci fa vivere. Ahmad è sbarcato in Italia dopo un viaggio di 13 giorni su un barcone; fiero del suo sogno, riunirsi alla figlia in Germania per concludere con essa la sua esistenza terrena, ha sfidato disagi e difficoltà di quel viaggio riuscendo a tenere alta la determinazione a coronare il suo sogno. Non c’è al riguardo spazio per considerazioni sul continuo arrivare di persone che fuggono dai loro paesi natali, dalle loro case alla ricerca di un Eldorado che spesso si dimostra più duro e difficile di quanto potessero immaginare; per un attimo non parlo del grande disastro di vite umane causate da questo vero e proprio esodo disperato. Ogni diamante si ammira per le sfaccettature, per la bellezza che esse mostrano ogni volta le si guardi; oggi Ahmad ci mostra una sfaccettatura, quella fatta di storie di vita che si nascondono dietro questo desiderio di fuggire dalla propria patria. Oggi questo uomo vicino ai 100 anni, dimostra che l’amore, la voglia di inseguire un desiderio sono più forti di ogni catena, sono più forti dell’età, dei disagi di un viaggio proibitivo perfino per i giovani. Oggi non parliamo della scorrettezza di questo traffico di vite umane, delle purtroppo ricorrenti morti che hanno disseminato il mediterraneo di incolpevoli vittime; oggi parliamo di sogni, oggi parliamo del “volere e potere”. Domani spero si parlerà di soluzione pacifica del problema dei migranti, si parlì di Ahmad felice tra le braccia delle figlie. Oggi lasciate che si parli di sogni, di realizzazione di essi. … Buon risveglio … Buon Giugno amici miei … (Claudio)






    Augusta, sbarcato profugo siriano ultranovantenne. Sta bene dopo otto giorni in mare

    L'uomo era su un peschereccio intercettato dalla guardia costiera con 234 persone a bordo. E' arrivato con la famiglia e appena sbarcato si è messo a giocare con i nipotini. Ci sarebbe anche un profugo siriano ultranovantenne tra i 234 migranti salvati ieri dalla guardia costiera al largo di Augusta. L'uomo ha raggiunto la Sicilia insieme alla famiglia dopo otto giorni di viaggio e non 13, in mare dall'Egitto. Sarebbe in buone condizioni di salute, al punto che dopo lo sbarco non ha rinunciato a giocare con i nipotini e gli altri bambini che avevano attraversato il canale di Sicilia. Per una sorta di paradosso, è stato assistito sul posto dagli operatori dell'organizzazione umanitaria Save the Children. A dare notizia sui social network dello sbarco dell'anziano è stata Chiara Montaldo, coordinatrice di Medici senza frontiere Sicilia: "Ad Augusta è arrivato Ahmad. 98 anni. Scappato dalla Siria, salpato dall'Egitto. 13 giorni in mare. Tanto coraggio o troppa paura", ha scritto su Twitter il medico raccogliendo le prime informazioni sull'uomo. L'uomo è ora ospite di un centro di accoglienza in provincia di Siracusa. I 234 migranti erano stati recuperati nella serata di mercoledì dalla nave Dattilo della guardia costiera, mentre navigavano su un peschereccio in precarie condizioni a circa 125 miglia al largo di Augusta. A bordo dell'imbarcazione c'erano 187 uomini, 38 donne e 9 bambini. L'avvistamento del barcone, da parte di un velivolo Atlantic appartenente al 41° Stormo con equipaggio misto Aeronautica e Marina militare, è stato segnalato al centro nazionale di soccorso della guardia costiera a Roma che ha immediatamente dirottato due unità mercantili e inviato sul posto la nave Dattilo.
    (palermo.repubblica.it)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sulla Primavera …

    Gioia

    Mi svegliano al mattino
    canti d'uccelli e mormorii di fronde.
    Spalanco i vetri al sole: ed ecco il vento
    entra col sole, e intorno si diffonde
    la fragranza dell'orto e del giardino.
    Oh buon sole, o buon vento,
    alberi, uccelli e fiori, io vi saluto.
    Ringrazio Dio del bene che mi date,
    ringrazio Dio che il bel tempo è venuto,
    Ma Tu, ma Tu, Signore,
    ricordati i miei piccoli fratelli
    nati e vissuti nelle case tetre,
    dove non giunge il canto degli uccelli,
    dove non vive, senza sole, un fiore.
    Vorrei che, d'improvviso,
    s'aprissero le strade intorno a loro,
    e sorgessero boschi e collinette
    e bei prati ondeggianti e campi d'oro,
    per insegnare a loro il mio sorriso.
    (Milly Dandolo)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Il bambino e l'airone

    C'era una volta un bell'airone che dedicava tutte le sue giornate alla cura dei suoi piccoli.
    Ogni giorno si svegliava di primo mattino, andava a prendere delle piccole larve per farli mangiare e dei rametti per coprirli e tenerli al caldo; dopo aver preso tutto il necessario tornava nel nido e portava tutti i vermetti e i rametti ai suoi piccoli. Un bambino di nome Cemal era solito giocare con i suoi amici al di fuori della sua capanna.
    Un giorno vide l'albero in cui vi era il nido dell'airone e disse: ”Bene ora lo colpirò in pieno con un sasso così gli uccellini cadranno e moriranno!”.
    Non appena Mamma Airone tornò dal suo solito viaggio vide Cemal pronto a lanciare il sasso, allora volò da lui in tutta fretta e cinguettò: ”Ti prego non lo fare! Farò tutto ciò che vuoi ma lascia stare i miei piccoli!”.
    Cemal sentendo quelle parole non ebbe nessuna esitazione e in un secondo lanciò il sasso colpendo il nido, facendolo cadere e uccidendo i piccoli aironi. Mentre Cemal festeggiava il risultato della sua azione con i suoi amici Mamma Airone volò via disperata, piangendo. Qualche giorno dopo arrivò nel villaggio di Cemal una tremenda pantera nera con zanne affilate che cominciò a depredare tutte le capanne e ad uccidere gli abitanti del villaggio.
    Quando la pantera arrivò alla capanna di Cemal, il bambino scoppiò a piangere dicendo: ”Ti prego pantera! Non far del male alla mia famiglia, prendi tutto ciò che vuoi ma non mangiare i miei fratelli!”.
    A quelle parole la pantera guardò Cemal e disse: ”Mi spiace ma non posso, questa è la mia natura, io sono una pantera, sono nata per correre e cacciare..”.
    Dopo aver detto questo la pantera uccise tutti i fratelli di Cemal mangiandoli in un sol boccone. Mentre la pantera era sul punto di mangiare anche Cemal, lui disse: ”Chiedo perdono per aver ucciso quei piccoli aironi! Sono davvero pentito e prometto che non farò più del male a nessuno!”.
    Nell'udir quelle parole la pantera richiuse le sue grandi fauci e se ne andò via tra i meandri della savana. Cemal era davvero pentito e aveva imparato la lezione: non fare del male alle creature della terra altrimenti il male che farai ti verrà restituito nello stesso modo in cui tu l'hai procurato.
    Così decise di recarsi da Mamma Airone, porgerle le scuse per la cattiva azione che aveva fatto e aiutò il volatile nella costruzione del nido che avrebbe ospitato i piccoli che Mamma Airone avrebbe dato alla luce da una nuova nidiata.

    (Ivan Maurici)



    ATTUALITA’


    Meteo: Ponte e tutta settimana con sole, caldo da mercoledì.

    Anticiclone Azzorre domina scena,temperature pure sopra 30 gradi. Con l'arrivo di giugno si avvia una lunga fase estiva, con temperature che da mercoledì potranno anche superare i 30 gradi nei picchi massimi. Sono le previsioni dei meteorologi del Centro Epson Meteo. Durante tutto il ponte del 2 giugno - sottolineano gli esperti - l'Anticiclone delle Azzorre occuperà gran parte del Mediterraneo, garantendo anche sulla nostra Penisola prevalenza di bel tempo e temperature in lieve crescita, con valori in generale nella norma o leggermente sopra. Solo al Nord, sull'Appennino e all'estremo Sud ci sarà un po' più di nuvolosità, a tratti accompagnata da isolati rovesci anche temporaleschi. Da metà settimana l'ulteriore rinforzo dell'alta pressione determinerà giornate con tempo ancora più stabile e soleggiato e un sensibile aumento del caldo, con punte massime che da mercoledì potranno avvicinarsi e superare i 30 gradi.

    Le temperature in tutta Italia si stabilizzeranno per molti giorni su valori tipicamente estivi - conclude Centro Epson Meteo - di qualche grado oltre le medie stagionali. Già da domani si inizierà ad avvertire un aumento di temperature che via via di intensificherà nei prossimi giorni. (Ansa)





    Scontro tra due aerei a air show a Tortoreto in Abruzzo, muore un pilota.

    Scontro tra due velivoli impegnati in un volo acrobatico, prima dell'esibizione delle Frecce Tricolori. Uno scontro in volo tra due aerei durante un'esibizione acrobatica e la domenica di festa finisce in tragedia. Sui cieli di Tortoreto, nel Teramano, un pilota è morto, un altro è sopravvissuto, illeso, riuscendo ad ammarare a pochi metri dalla riva, salvato poi da alcuni bagnanti. Ma, come raccontano i testimoni, poteva essere una strage: sul litorale di Tortoreto e, a poca distanza, su quello di Alba Adriatica, c'era folla. Tutti in attesa di assistere all'esibizione clou della giornata, quella delle Frecce Tricolori. Show subito annullato dopo il tragico incidente. Gli spettatori di Tortoreto si sono accorti subito dello scontro, in molti lo hanno fotografato e filmato. Ad Alba Adriatica invece hanno appreso solo dopo quanto accaduto, attraverso il passa parola. Dopo le 17, dai megafoni è arrivato solo un annuncio che la manifestazione era stata annullata.

    L'incidente di volo intorno alle 16,30. In cielo, dopo l' esercitazione dimostrativa dell'elicottero della Polizia, è toccato al numero del team QBR, 'Quei Bravi Ragazzi', squadra sportiva dilettantistica che si era esercitata spesso, e anche venerdì scorso, sulla superficie dell'aeroclub di Sassuolo (Modena), come fa sapere il presidente Gianluca Vincenzi. Nella squadra, secondo il sito ufficiale www.qbrteam.it, Marco Ricci, Dimitri Paolacci, Ignazio Ingenito, Luigi Wilmo Franceschetti e Marco Grilli (riserva). A morire è stato Marco Ricci, 47 anni, di Siena. Da terra lo seguiva il figlio di 16 anni, anche lui appassionato di volo. Ricci con il figlio sarebbe partito ieri a bordo del velivolo dalla pista senese di Mensanello, già tristemente nota per l' incidente aereo del settembre scorso in cui perse la vita il proprietario della pista stessa, nonché amico di Marco Ricci. Il pilota morto era titolare di un bar e di una trattoria in città, a poca distanza da piazza del Campo. Sugli spalti delle autorità è stata resa nota anche la presenza della madre di Ricci. Illeso il suo collega Franceschetti. "Mi è entrato dentro", ha detto il 43enne di Brescia ai bagnanti, che lo hanno soccorso dopo l'ammaraggio proprio quasi sulla riva a Tortoreto.

    I due piloti stavano eseguendo una figura detta 'volo a specchio', quando cioè un mezzo è in assetto normale e uno in assetto rovesciato. Poi l'impatto. Il mezzo di Ricci ha riportato la rottura di un'ala e il pilota è precipitato a picco, di muso, finendo sotto lo specchio d'acqua. Il suo corpo è stato recuperato dopo circa tre ore. L'operazione è stata resa difficoltosa per il fatto che il velivolo era adagiato sul fondale, a circa 4 metri di profondità, ma capovolto. Alcuni palloni gonfiabili hanno aiutato a sollevare di poco il mezzo per consentire il recupero, operato dai sommozzatori dei Vigili del Fuoco di Teramo e la Guardia costiera e Capitaneria di Porto di Giulianova. Il corpo per l'autopsia, che verrà eseguita da Antonio Tombolini, di Macerata, è stato trasferito all'ospedale di Giulianova. Il sostituto procuratore di Teramo, Stefano Giovagnoni, ha aperto un'inchiesta e per il pilota superstite si ipotizza l'omicidio colposo. Altra inchiesta è stata aperta dall'Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo (Ansv). Per quanto riguarda i velivoli, ha detto l'Ansv, si tratta di 2 aerei autocostruiti. In particolare Van's RV7-RV8 di progettazione americana, informa l'Aereo Club d'Italia. Sulla pagina Facebook del team messaggi attoniti e sconcertati di amici e fan dei componenti del gruppo. Intanto gli spettatori raccontano: "ieri prove perfette", dice Armando Foschi di Pescara. "Una foto tragica", dice un'insegnante di Teramo, Paola Lanciaprima, che ha impresso l'attimo dell'impatto nel suo telefonino e poi "una forte puzza di nafta. Ho la pelle d'oca".
    (Ansa)





    Maturità 2015: Dante sale e Pirandello scende, ecco il totoesame.

    Alighieri è in seconda posizione, tra gli autori papabili per il 18% degli studenti. Rimane al primo posto Pirandello sul quale scommette il 28% dei maturandi, anche se perde punti rispetto al totoesame di marzo. Il Sommo Poeta è in risalita di ben 5 punti rispetto allo scorso marzo guadagnandosi la seconda posizione tra gli autori papabili per la prima prova di maturità 2015. Il primo posto spetta a Pirandello, che comunque scende di due punti. L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 resta in prima posizione tra le ricorrenze che potrebbero essere inserite dal Miur tra i saggi e i temi, anche se scende di due punti rispetto alle previsioni che i maturandi hanno fatto un paio di mesi fa. L’Isis cede il primato dei temi di attualità all’Expo 2015, in risalita di ben 13 punti.

    A poco più di due settimane dalla maturità, questo sembra essere il totoesame definitivo dei maturandi e almeno 3 su 5 ne discutono anche con gli insegnanti. Le indiscrezioni sulle tracce della prima prova iniziano a circolare, ma quanto peso danno loro i ragazzi? Il 58% le segue senza farci troppo affidamento, solo per l’8% sono veritiere. I dati di un’indagine di Skuola.net su circa 1000 maturandi.

    Quali autori potrebbero uscire all’analisi del testo? Per il 28% dei maturandi 2015, Pirandello è in pole position perdendo però qualche punto rispetto al totoesame di marzo. Punti che invece acquista Dante che sale in seconda posizione diventando il più probabile per il 18% dei ragazzi tra i quali c’è una percentuale più alta della media di liceali. Al terzo posto tra gli autori papabili c’è Ungaretti, sul quale scommette il 15% degli studenti che gli permette di risalire di 3 punti. Al quarto posto, il 9% mette Italo Svevo, quotato in ribasso di ben 8 punti, mentre in quinta posizione troviamo Eugenio Montale che rimane stabile all’8%. Stabile anche Umberto Saba che lo segue al sesto posto con il7% di maturandi che scommette di trovare il suo nome in prima prova. In ultima posizione il 3% dei ragazzi mette Cesare Pavese, in ribasso di due punti rispetto al totoesame di un paio di mesi fa.

    E per quanto riguarda temi e saggi? Non è raro che il Ministero dell’Istruzione sfrutti anniversari e temi di attualità per creare le tracce della prima prova. Ecco perché tra le ricorrenze che potrebbero spuntare nella prima prova scritta del prossimo 17 giugno, i maturandi mettono in prima posizione l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 con il 70% di scommesse, due punti in più rispetto all’ultimo totoesame. Al secondo posto troviamo di nuovo Dante, stavolta perché quest’anno ricorre il 750° anniversario dalla sua nascita. I maturandi puntano su di lui con il 50% di scommesse, 9 punti in più rispetto a un paio di mesi fa. Al terzo posto fa la sua entrata il 70° anniversario della Liberazione, assente nel primo totoesame. Tra i temi di attualità su cui il Miur vorrebbe provare i maturandi, con il 70% di scommesse si guadagna il primo posto l’Expo 2015 che scavalca l’Isis, primo tra i temi papabili nel totoesame di marzo. Il tema del terrorismo, soprattutto di matrice islamica, resta comunque sul podio in seconda posizione, mentre al terzo posto guadagna punti il tema dell’immigrazione con il 37% di scommesse. Questo salire e scendere può essere causato dalle recenti celebrazioni delle ricorrenze del 750° anniversario di Dante, del centenario italiano della Prima Guerra Mondiale e del settantesimo dalla Liberazione, oltre che dall’apertura dell’Esposizione Internazionale 2015 di Milano o i tragici naufragi del canale di Sicilia. Il rumore mediatico che ne è seguito può aver influenzato gli studenti portando in alto questi temi rispetto agli altri, su cui è assente (o per il momento meno forte) l’attenzione dei media. Gli studenti fanno il loro totoesame anche grazie all’aiuto dei loro insegnanti. 3 su 5 ne parlano con loro, dato che si compone da un 38% di chi lo fa ogni tanto e da un 22% che invece interrompe spesso le lezioni per parlarne.

    Tra questi c’è una percentuale più alta della media di maturandi del professionale mentre a non spendere mai una parola con i suoi prof è comunque il 40% degli studenti, tra i quali c’è una percentuale più alta della media di liceali. Tracce della prima prova online prima del tempo: quanto peso si dà alle indiscrezioni sul web? “Non è vero ma ci credo” per il 58% dei maturandi che dà alle indiscrezioni un peso medio: le segue, ma non ci fa troppo affidamento. Non ci crede per niente 1 maturando su 3 mentre a dargli un attenzione elevata è solo l’8% dei casi.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Louisiana (The Other Side)




    locandina


    Un film di Roberto Minervini. Con Mark Kelley, Lisa Allen, James Lee Miller Titolo originale Louisiana (The Other Side). Documentario,


    Un film che affronta con empatia e dolcezza le esistenze dei personaggi descritte nel loro quotidiano.
    Marzia Gandolfi


    C'è un confine invisibile in America, oltre il quale abita una comunità miserabile e indigente, dimenticata da dio e dalle istituzioni. Veterani di guerra che sognano una donna presidente che si prenda finalmente cura di loro, soldati sempre in guerra che si armano per la 'rivoluzione', paramilitari 'patriottici' che scongiurano fantasmi, adolescenti che cercano in un pallone l'intenzione del gioco e in una bambola quella del domani, future madri alla deriva lungo il palo della lap dance, madri stordite dal piacere delle metanfetamine, nonni ubriachi di Jim Beam e lacrime, nonne immemori nella country music. Davanti ai (loro) volti arresi e dentro le foreste pluviali, resiste Mark, 'angelo sterminatore' e solidale che 'sintetizza' la vita e produce la via più breve per raggiungere il paradiso.
    Dopo l'immersione documentaria dentro il Texas rurale di Stop the Pounding Heart, Roberto Minervini procede la sua ricerca etno-antropologica appena drammatizzata. Se il genere è dato (Robert Flaherty, Jean Rouch, etc), a colpire ogni volta è l'empatia, la dolcezza e il mistero del suo sguardo. Perché Minervini non racconta né mistifica le esistenze dei suoi 'personaggi', limitandosi a descriverle nel loro quotidiano, abbracciandone il presente, eludendo qualsiasi giudizio. La sceneggiatura discreta e la finzione liminale in Louisiana scivolano sui volti increspati, sui corpi bucati e sulla natura sempre intorno. A comporre il film è il montaggio, a ispirare Minervini le persone su cui indugia come Dreyer, lasciando allo spettatore il tempo di sentire e di comprendere. Il suo cinema è una linea tirata tra materia e spirito, tra alto e basso, tra purezza e corruzione, dove è sempre la luce a penetrare le cose, ad accarezzare i contorni degli uomini e delle donne, a conferire una densità inedita alla materia, a trasfondere alla natura la fosforescenza e al mondo un'aura magica.
    Negativo estetico di Stop the Pounding Heart, romanzo di formazione pastorale immerso nel panteismo malickiano, Louisiana è un film in overdose che confronta l'innocenza con la violenza. Se ieri era lo splendore di un'adolescenza austera contro l'ortodossia amish, oggi è l'altra faccia del sogno americano, quella che non compare mai nei discorsi dei politici, quella lasciata indietro, a terra e in roulotte fatiscenti a farsi di crack e dolore, quella solidale anche nella miseria, quella disabile alla vita perché non ne ha una da vivere. Diviso idealmente in due, Louisiana debutta su due soggetti, soldati in disarmo armati dentro un bosco e un uomo in panne senza panni ai margini dello stesso bosco, che svolge separatamente e confluisce verso un medesimo epilogo. Epilogo che 'abbandona' un uomo bruciato e una carcassa di automobile arsa. Alla maniera di Stop the Pounding Heart, che al mondo indolente delle capre opponeva quello eccitato dei tori da rodeo, Louisiana mette di fronte alla realtà allucinata di Mark, e della sua comunità, i compagni d'armi e di birra delle milizie antigovernative, due facce di un medesimo desiderio di esaltazione nel cuore della cultura degli stati del sud. La vocazione marginale del cinema di Minervini ancora una volta registra una calma precaria, rimanda la rottura e intuisce i luoghi geografici e quelli dell'anima in cui i fondamentalismi germogliano ed eccedono, producendo l'illusione di sentirsi uguali tra gli uguali. Figure di uno stallo nella democrazia americana, le sue persone incarnano l'incertezza emotiva ed esistenziale di un'America lontana, troppo lontana da quella "audacia della speranza" di cui predicava Obama, bersaglio nel film di proiettili e invettive. Sul fondo dell'America e in fondo a Louisiana si muore disgraziati coi propri demoni e si spara invasati contro i propri demoni.




    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    " ..oceano sterminato di dune rosse intercalate da bacini salati di un
    bianco abbacinante … inoltrarsi nel vuoto … i tramonti …
    ... le notti sotto le stelle
    i paesaggi che non sembrano di questo mondo...
    Così appare al viaggiatore il deserto di Rub al-Khali,
    nel bel mezzo del Nulla."



    Il deserto Rubʿ al-Khālī



    Il Rubʿ al-Khālī (الربع الخالي), ossia "Il quarto vuoto", inteso come "quarta parte", è il secondo più grande deserto di sabbia del mondo. Ricopre il terzo più meridionale della Penisola araba, «la regione vuota» di circa 650.000 km2, di cui occupa gran parte della sezione sud-orientale. Delimitata a Nord dagli Emirati Arabi Uniti, a Est dai rilievi litorali del Oman, a SudOvest dalle catene montuose dello Yemen e del Hadramaut, a Ovet dal Gebel Tuwayq, è un vastissimo bacino dal fondo piatto, tabulare, leggermente inclinato verso Nord dove si affaccia alla Costa dei Pirati. Il paesaggio predominante è quello del deserto sabbioso. E' chiamato anche ad-Dahnā’ «deserto» e ar-Rimāl «deserto sabbioso». Le oasi sono molto poche ed ancora ampiamente inesplorato e praticamente disabitato. Persino i Beduini ne sfiorano solo le zone marginali.Vi vivono rare tribù di beduini; la flora è rappresentata da cespugli sparsi e ha una fauna capace di affrontare condizioni climatiche fra le più spietate della terra, con escursioni termiche da -10 a +55/60 gradi centigradi. Possono passare anni senza che cada una goccia di pioggia. Mentre le tempeste di sabbia sono frequenti.Vi si trovano aracnidi, roditori e piante appartenenti alla famiglia delle succulente.

    Il primo esploratore occidentale di cui si ha notizia che abbia attraversato il Rub' al-Khālī fu Bertram Thomas. Nel 1931 si è avventurato nel “Quarto vuoto”. Successivamente fu esplorata da St John Philby e da Wilfred Thesiger che descrisse le innumerevoli peripezie dell'attraversamento nel libro Sabbie arabe. L'unico esploratore che sia realmente stato in grado di attraversalo in solitaria è l'italiano Max Calderan.
    Ha dune più alte della Torre Eiffel, oltre 330 metri. La desertifi-
    cazione è progredita nel corso dei millenni. Prima che questa rendesse così difficoltose le rotte che lo attraver-
    savano, le carovane del commercio dell'incenso passavano in età preislamica attraverso distese oggi impercorribili, fino alla fine del III secolo d. C. circa. La città perduta di Ubar , in arabo Wabar, dipendeva da questo commercio.
    In età più recenti, le due rotte carovaniere erano quelle "del Hijāz", parallela al Mar Rosso, e quella più impervia "dell'Iraq". La prima metteva in collegamento lo Yemen al Mar Mediterraneo mentre la seconda l'Oman alla Mesopotamia.

    Ubar raggiunta e descritta anche da Thesinger, è stata identificata come la città leggendaria, esistita sin dal 3000 a. C,. soprannomina da Lawrence d’Arabia "Atlantide del deserto". Il Corano racconta che fu costruita da un re come specchio del Paradiso, ma presto cadde nella corruzione. Per questo Dio la annullò coprendola di sabbia. Per secoli molti la cercarono, la città vantava ricchezze di ogni genere, ma di cui è scomparsa ogni traccia, tranne alcuni indizi accanto al pozzo Ash Shisa e tracce di vie carovaniere identificare tramite foto satellitari.

    L’orice araba (oryx leucoryx).è un’antilope bianca, che è un simbolo del Rub’ al-Khali e è un’immagine ricorrente della poesia araba classica, si è estinta da tempo nel suo ambiente di origine sotto le fucilate dei cacciatori e la concorrenza sleale di cammelli e capre, distruttori bulimici della vegetazione desertica. Quarant’anni fa, i sauditi hanno permesso che gli ultimi esemplari di orice bianca fossero trasferiti in California nel tentativo di evitarne l’estinzione. Adesso si tenterà il rimpatrio delle orici di decima generazione dall’esilio dorato di San Diego al Rub’ al-Khali degli avi.

    (Gabry)







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    La musica del cuore


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    Musica anni 30/ 40 /50


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    Caterina Valente


    Caterina Valente (Parigi, 14 gennaio 1931) è una cantante, attrice e showgirl italiana.

    Costituisce nel Novecento il tipico esempio di artista cosmopolita: nata a Parigi da genitori italiani, sposata in prime nozze con un tedesco ed in seconde con un inglese, premi internazionali, pubblico in ogni continente, più di 1.500 brani musicali incisi in dodici lingue diverse (per questo entra nel Guinness dei primati) di cui almeno sei parlate correntemente, e più di 18 milioni di dischi venduti in ogni parte del globo.


    Proveniente da una famiglia italiana di artisti viaggianti originari di Valvori, in provincia di Frosinone (il padre Giuseppe era un noto fisarmonicista, la madre Maria una commediante musicale polistrumentista e ballerina), muove i primi passi in teatro sin da bambina insieme ai tre fratelli (uno di loro, Silvio Francesco, continuerà anche da adulto a lavorare nello spettacolo).

    Dopo la guerra, durante la quale la famiglia Valente era stata costretta a spostarsi più volte, torna a Parigi dove comincia a esibirsi in alcuni club come cantante jazz, accompagnandosi con la chitarra che suona ormai da professionista. È in questo periodo che incontra un ancora sconosciuto Gilbert Bécaud, anch'egli desideroso di sfondare come cantante. In seguito, da personaggi entrambi affermati, avranno modo di ritrovarsi più volte per collaborazioni e duetti musicali. Nel 1948 parte per un tour in Scandinavia.

    Nel 1952 conosce e sposa il giocoliere berlinese Erik Van Aro (nome d'arte di Gerd Eric Horst Scholz), che per diversi anni sarà il suo impresario. Dalla loro unione nasce Eric Van Aro, che da adulto intraprenderà la carriera di cantante. Nel 1953 viene chiamata dal famoso artista Grock a far parte del suo circo mobile. Qui viene notata da Walo Linder, dirigente della Radio Svizzera, che la fa partecipare ad alcune trasmissioni radiofoniche mandate in onda da Zurigo.

    Il primo disco ed il cinema

    Il 1954 è anche l'anno del suo primo disco, Istanbul, registrato per l'etichetta Brunswick con l'orchestra di Kurt Edelhagen. Lo stesso direttore la porterà alla seconda edizione del Festival del Jazz di Francoforte e nel 1955 al Salon du Jazz di Parigi, dove si comincia a parlare di lei sulla stampa, e dove alcuni giornalisti la salutano come una vera e propria rivelazione. I primi successi discografici risalgono al 1954 quando Caterina firma un contratto con la Polydor Records.

    Il primo singolo è O mama o mama o mamajo, al quale fanno seguito Malagueña e The breeze and I, composti dal celebre musicista cubano Ernesto Lecuona e arrangiati da Werner Müller. La sua versione di Malagueña, malgrado cantata in tedesco, riuscirà ad arrivare nelle classifiche statunitensi come pure The breeze and I (cantata in inglese) che ci rimane per 14 settimane, mentre Ganz Paris träumt von der Liebe, cover tedesca di I Love Paris di Cole Porter, arriva in prima posizione in Germania per cinque settimane vendendo 500 000 copie solo in Germania. Sempre nel 1954 appare nel film Donne da vendere ("Mannequins für Rio") di Kurt Neumann con Johanna Matz, Scott Brady ed Ingrid Stenn.

    Al 1955 risale la prima apparizione alla TV statunitense, nel programma The Colgate Comedy Hour trasmesso dalla NBC ed è la protagonista del film Liebe, Tanz und 1000 Schlager di Paul Martin (regista) con Peter Alexander e Rudolf Platte. Nel 1956 è protagonista del film Bonjour Kathrin di Karl Anton con Alexander e Silvio Francesco, registra il singolo Ev'ry Time We Say Goodbye con Chet Baker e riceve il primo disco d'oro per quattro milioni di dischi singoli venduti.

    Nel 1957 va in scena con “Bonsoir Kathrin” per la televisione tedesca. Arrivano poi altri film, tra cui Casinò de Paris del 1957 di André Hunebelle interpretato al fianco di Gilbert Bécaud e Vittorio De Sica. In questo film, i numeri musicali da lei interpretati dovettero essere girati tre volte, rispettivamente in tedesco, francese e italiano, per ciascuna delle versioni del film. Nel 1958 nasce suo figlio Eric Philippe Bruno a Mannheim ed è la protagonista del film Und abends in die Scala di Erik Ode con Gerhard Riedmann e Ruth Stephan.

    Nel 1959 firma un nuovo contratto discografico con la Decca, che imprime al repertorio di Caterina un carattere più internazionale, facendole incidere canzoni in ben nove lingue, con pubblicazioni diversificate a seconda del mercato (ben 25 paesi) a cui i dischi sono destinati. Nello stesso anno viene a Roma invitata da Mario Riva che la lancia ne Il Musichiere, e i suoi dischi entrano anche nelle classifiche italiane. Tra i suoi maggiori successi Till, un melodico che in seguito diverrà uno standard e Personalità, brano ritmico che arriva primo nella classifica italiana e viene poi reinterpretato anche da Mina e da Adriano Celentano.

    Intanto Caterina si fa strada anche negli Stati Uniti dove partecipa a importanti varietà televisivi, come ospite di entertainers del calibro di Perry Como (dodici volte dal 1961), Dean Martin, Bing Crosby e Danny Kaye. Nel 1961 vince il festival di Wiesbaden con la canzone Kommt ein Schiff nach Amsterdam. Vince il premio BRAVO Otto come cantante donna negli anni 1960, 1961, 1962 e 1963.

    Il Sudamerica

    Dal 1959 in poi si fa paladina dei nuovi ritmi provenienti dall'America Latina: dal calypso al samba, dal cha cha cha alla bossa nova, Caterina sarà fra i primi a interpretare in Europa le firme più prestigiose della nuova ondata musicale, a partire dalla famosa colonna sonora di Orfeo negro e non mancherà di incidere decine di brani con celebri orchestre di musica latinoamericana quali quella di Edmundo Ros.


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    La televisione

    Molti sono i programmi televisivi italiani ai quali viene chiamata a partecipare, sia come ospite che come conduttrice. Nel 1961 un suo spettacolo di varietà intitolato Bonsoir Caterina di 6 puntate inaugura il neonato secondo canale televisivo della RAI. Al quale fanno seguito Nata per la musica (9 puntate), andato in onda nel 1962, Bentornata Caterina (3 puntate) 1969 per la regia di Vito Molinari e l'orchestra di Gianni Ferrio, Studio Uno, Un'ora con Caterina Valente. In quest'ultimo si lancia in spericolati virtuosismi vocali duettando con Mina e con il Quartetto Cetra.

    Questi show sono l'occasione per presentare al pubblico italiano altri brani che diventano immediatamente dei successi, quali Ciao, Precipitevolissimevolmente, Stanotte come ogni notte, Nessuno al mondo, Twistin' the twist, quest'ultima eseguita assieme al fratello Silvio Francesco, cantante, attore e pluristrumentista che spesso sarà al suo fianco negli spettacoli. Nel 1964 conduce insieme a Carol Burnett, Dome DeLuise e Bob Newhart il varietà The Entertainers (22 puntate) per il canale americano CBS.

    Riceve il premio FAME AWARD come miglior cantante della televisione americana. Nel 1966 viene premiata con la Golden Camera. Nel 1968 viene insignita con la Croce al merito di I classe dell'Ordine al merito di Germania. Lo show televisivo Caterina from Heidelberg trasmesso dalla CBS in USA nel 1969 viene visto da più di 50 milioni di spettatori americani.

    Gli anni Settanta e Ottanta


    Nel 1971 divorzia da Erik, ma i due restano amici oltre che soci in affari. L'anno successivo Caterina sposa Roy Budd, pianista britannico, dal quale avrà nel 1974 il secondogenito Alexander. Proseguono intanto le tournée in vari paesi del mondo: Russia, Giappone, Cile, Sudafrica, Messico e naturalmente Stati Uniti, dove duetta con artisti quali Ella Fitzgerald, Buddy Rich, Louis Armstrong, Chet Baker, e si esibisce con le orchestre di Count Basie, Tommy Dorsey, Woody Herman.

    Nel 1980 divorzia anche dal secondo marito. Viene nominata ambasciatrice di un'associazione benefica per l'infanzia e nel 1986 festeggia i suoi 50 anni di carriera con un concerto alla TV tedesca Bravo Catrin con Alexander e Paul Anka visto da 16 milioni di spettatori della Repubblica federale partecipa ad un tour in Germania, Austria e Svizzera con la Count Basie Orchestra condotta da Thad Jones. Negli anni 1990, 1995 e 2005 vince il Bambi (premio). Negli anni novanta le apparizioni in pubblico si fanno più rare, ma Caterina continua ad incidere dischi, uno dei quali A briglia sciolta (1989), inciso in Italia, diviene il CD di Caterina più venduto in assoluto.

    L'ultimo CD, dal titolo girltalk viene registrato nel 2001 con la collaborazione dell'arpista Catherine Michel e gli arrangiamenti di Gianni Ferrio per la Nagel Heyer. Tra i brani dell'album viene inclusa la canzone Papa n'a pas voulu, la prima che Caterina cantò in pubblico, nel 1936. Nel 2002 vince l'Echo Award. È presente nella Lista degli artisti musicali italiani per stime di vendita con 18 milioni di copie stimate.


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    Il ritiro

    Ritiratasi a vita privata, oggi si divide tra la sua residenza di Lugano e gli Stati Uniti.




    fonte: wikipedia.org
    foto:wikipedia.org
    - birikina.it
    - ecx.images-amazon.com








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    CRONACA SPORTIVA

    Harriette Thompson entra nei record, a 92 anni al traguardo in una maratona.
    Sopravvissuta a un cancro, è la più anziana del mondo a compiere l'impresa. Ce l'ha fatta Harriette Thompson: a 92 anni compiuti da 65 giorni e' la donna piu' anziana a completare una maratona e per questo entra nei libri dei record. Ma non solo: Harriette, che e' sopravvissuta ad un cancro, con questa sua impresa si fa testimonial di una campagna di sensibilizzazione per la cura della Leucemia e del Linfoma incarnando simbolicamente lo spirito proprio della 'lotta'.

    Con la 'Rock 'n' Roll Marathon' di San Diego, In California, oggi la 92enne residente a Charlotte, in North Carolina, diventa la donna maratoneta piu' anziana ad aver completato un percorso di 26,2 miglia. Lo ha fatto in sette ore, 24 minuti e 36 secondi -e anche questo e' un record-, alternando il ritmo, ma mai fermandosi, con accanto il figlio 56enne Brenny.

    Del resto 'non fermarsi' sembra la massima all'insegna della quale Harriette ha vissuto la sua lunga vita: pianista concertista, madre di cinque figli, ha cominciato a correre che era gia' settantenne e non si e' fermata più. Ogni anno prende parte alla maratona e ogni anno dice che non sa se lo rifara'. Cosi' ha segnato il suo record, battendo l'altra 92enne, Gladys Burrill, che fino ad ora deteneva questo primato dopo aver completato la maratona di Honolulu nel 2010. E ha anche raccolto in tutto circa 200mila dollari per la causa che rappresenta.

    All'inizio -racconta ai molti media corsi ad intervistarla - credeva che avrebbe soltanto camminato e nemmeno per l'intero percorso. E che sarebbe stato sufficiente, pur di dare una mano con quella importante campagna di sensibilizzazione e di raccolta fondi organizzata dalla chiesa che frequentava. Invece, una volta sul circuito, gli altri correvano ed ha cominciato a correre anche lei: era nata una stella. "Non credo che sarei ancora in vita oggi se non facessi questo - ha detto - io aiuto loro (l'associazione benefica ndr) e in un certo senso loro aiutano me".

    E dire che proprio quest'anno le premesse non lasciavano intravedere nulla di buono: intanto ha potuto allenarsi meno del solito nei mesi che hanno portato alla gara che hanno coinciso con l'aggravarsi del le condizioni di salute del marito, anche lui ultranovantenne sposato 67 anni fa che e' morto lo scorso gennaio perdendo la sua di battaglia col cancro. Nonostante le circostanze Harrietta ha voluto pero' esserci anche per questa maratona, la sua 17esima: "E' anche una questione personale, credo davvero che sia importante".
    (Ansa)




    Motogp: Lorenzo domina al Mugello, secondo Iannone. Rossi strappa il podio: "Stagione ancora lunga".
    Terza vittoria consecutiva per lo spagnolo. Dovizioso si ritira, cade Marquez. Jorge Lorenzo su Yamaha domina il Gran premio d'Italia al Mugello, e conquista la terza vittoria consecutiva. Il maiorchino rosicchia punti in classifica a Valentino Rossi che in rimonta strappa un podio importante dietro alla Ducati di Andrea Iannone. Sfortunato Andrea Dovizioso, costretto al ritiro. Cade Marc Marquez e scivola così al quinto posto in classifica, restando lontano dal giro mondiale

    Per Lorenzo della Yamaha dunque si tratta della terza vittoria stagionale consecutiva dopo quelle di Jerez e Le Mans: quella del Mugello è la sua 36/a in MotoGP, la numero 56 considerando anche 125 e 250. Il pilota di Palma de Maiorca ha tagliato il traguardo rifilando oltre 6 secondi a Iannone (Ducati), con Valentino Rossi in scia.

    Il bel week end della Ducati e di Iannone che aveva ottenuto anche la pole position nelle qualifiche del GP d'Italia è stato rovinato dal ritiro al termine del 14/o giro di Andrea Dovizioso a quanto pare per motivi tecnici. Il pilota romagnolo era secondo alle spalle di Lorenzo quando ha dovuto scegliere di rientrare ai box. Nono al traguardo ha chiuso la gara di casa Danilo Petrucci (Ducati), mentre Marco Meandri (Aprilia) ha terminato la gara in diciottesima e ultima posizione per le molte cadute e ritiri.

    A terra è finito anche Marc Marquez. Il campione del mondo è scivolato alla curva Poggio Secco nel 17/o giro perdendo le sue chance di salire sul podio. Tra i ritirati, anche Alex De Angelis (ART Aprilia) che ha dovuto lasciare la corsa per problemi di chattering.

    Con la vittoria del Mugello, Lorenzo si porta ancora più vicino a Rossi. Ora il distacco tra i due è di soli 6 punti, con Valentino a quota 118 e il suo compagno di squadra a 112.

    "Sicuramente per questi risultati avrei firmato prima dell'inizio del campionato - ha detto Rossi - ma oggi in gara è stata durissima. Riuscire ad arrivare sul podio è molto buono. Queste sono le prime sei gare di un campionato lunghissimo dove ci sono tante piste belle. La prossima è Barcellona sulla quale dovremo cercare di essere più competitivi".

    Guardano da vicino la lotta a due peri il titolo i piloti Ducati Andrea Dovizioso e Andrea Iannone, rispettivamente terzo a 83 punti e quarto con 81 punti. Quinto è Marquez con 69 punti.
    (Ansa)




    Giro: Contador trionfo a Milano, Aru applausi e rimpianti.
    Alberto Contador trionfa senza sorprese in corso Sempione a Milano e si annette definitivamente la seconda maglia rosa di una carriera caratterizzata da più luci che ombre. La terza 'camiseta' rosa gliela tolse il Tas di Losanna per il caso di Clenbuterolo. E' una vittoria sotto molti aspetti annunciata, quella dello spagnolo, ma non per questo meno facile. Anzi. Fino a ieri, i rivali più agguerriti, Aru - applauditissimo - e Landa, rispettivamente secondo e terzo sul podio milanese (con Visconti in maglia azzurra di leader del Gpm e Nizzolo con quella rossa di detentore della classifica a punti), hanno provato a detronizzarlo, con un'azione di forza sullo sterrato del Colle delle Finestre. Sul crinale della 'Cima Coppi', nell'unico giorno di autentica crisi, il 'Pistolero' è arrivato a pezzi, ma non ha mollato, come del resto non si era lasciato andare lo stesso Aru in altre tappe drammatiche, come quella del Mortirolo con l'arrivo sull'Aprica. Contador è il 'conquistador' della corsa rosa fra le più dure degli ultimi anni, un corridore per ogni stagione, completo, esperto, forte, bravo e capace a gestire anche le situazioni più complicate. Lo spagnolo, alla vigilia della stagione, ha annunciato di voler puntare alla doppietta Giro-Tour e ha già percorso metà del proprio cammino.

    Il bello (o il brutto, dipenderà da tante cose), come egli stesso ha ammesso dopo avere alzato il trofeo di Rcs-La Gazzetta dello Sport, deve ancora venire. Il Tour, infatti, è un'altra cosa. Contador ha vinto senza strafare, ma anche senza gestire con avarizia la corsa, alla Indurain. E' vero che non ha vinto alcuna tappa, come nel 2008, ma gli fa da contraltare l'impresa sul Mortirolo - dove ha dribblato gli avversari come birilli, sorpassandoli a doppia velocità, come Pantani nella tappa a Oropa - quando i due inseguitori dell'Astana hanno provato a metterlo alle corde, in seguito a una spaccatura del gruppo. Contador non si è risparmiato quando c'era da spendere energie e non ha fatto salti mortali per giungere per sul traguardo davanti a tutti. E' stato un attento ragioniere, ma non ha gareggiato con la calcolatrice in mano, mentre gli avversari si eliminavano a vicenda. Qualche scelta sbagliata dell'Astana lo ha favorito e, quando Aru si è svegliato, era ormai troppo tardi. Le scorribande di Landa nelle salite più difficili sono rimaste imprese fine a se stesse. Forse, la squadra kazaka avrebbe potuto gestire meglio le proprie risorse. La vittoria di Contador è sacrosanta, ma il trionfatore morale della corsa può essere considerato Fabio Aru, per il quale il pubblico si è spellato le mani anche oggi a Milano. Il 'Tamburino sardo' ha vinto due tappe mitiche e ha visto assottigliare il proprio ritardo dalla maglia rosa, che è riuscito a indossare. Il futuro è suo. Sono mancati all'appello altri due possibili protagonisti come il colombiano Uran e l'australiano Porte: il primo non era in forma, il secondo non è pervenuto nemmeno nella lughissima crono (ah, se fosse stata meno lunga di una ventina di km, magari il ritardo di Aru poteva essere più contenuto), ovvero sul terreno preferito. L'australiano non si è dimostrato all'altezza di una corsa così impegnativa. L'ultima tappa disputata oggi ha incoronato il belga Keisse, al termine di un uno contro uno con l'australiano Durbridge. Non c'è stata la volatona finale, ma cambia poco. A esultare, alla fine, è stato solo Contador. Senza 'se' e senza 'ma'.(Ansa)

    (Gina)



    BALLIAMO!!!




    Boogie Woogie


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    Il boogie-woogie è uno stile musicale derivato dal blues per pianoforte, diventato molto popolare a partire dagli anni trenta e anni quaranta, ma che vede le proprie origini in tempi molto precedenti, e che fu successivamente esteso dal piano a formazioni di tre pianoforti, alla chitarra, alle big band, alle formazioni di musica country e western ed avvolte a formazioni gospel. Come il blues, il boogie-woogie descrive tradizionalmente una vasta gamma di emozioni, ed è principalmente legato ad un genere di ballo. Le parole dei primi brani di successo come "Pinetop's Boogie Woogie", erano spesso le istruzioni per eseguire il ballo:

    Storia
    All'inizio del Novecento i pianisti neri nel Texas hanno cominciato a sviluppare una forma più veloce e ritmata del blues. Lo scopo era d'intrattenere la gente nei juke joints dei bar dove, alla sera, ci si divertiva e si ballava. Questi locali si trovavano negli accampamenti dei lavoratori ad esempio nei pressi dei cantieri delle linee ferroviarie. Spesso persino sui treni c'era un pianista. Un brano caratteristico è Honky Tonk Train Blues (1927). Il compositore Meade Lux Lewis imita con le sonorità un treno a vapore. A quei tempi questo nuovo tipo di musica fu designata con svariati nomi: fast blues, rolling blues, the dozen, shuffle ecc. fino alla famosa registrazione "Pinetop's Boogie Woogie". In questa composizione, che risale al 1928, Clarence Smith spiegava come ballare il boogie woogie.

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    Un motivo forse per cui il boogie woogie rimase una musica esclusivamente per piano (fino a che non divenne sbiadito e commerciale) va ricercato nelle condizioni ambientali dalle quali prese le mosse. Anche il ragtime era per piano, ma il fatto stesso che fosse una musica ‘composta’ (potevano cioè circolare spartiti su larga scala), gli consentiva di essere eseguito da qualsiasi numero di strumenti, e in tutti gli ambienti. Ci volle invece più tempo prima che venissero pubblicati spartiti di boogie, e questo perché si trattava di una musica ancora largamente improvvisata.

    La parola indicava dunque un modo di ballare, e grazie a Smith (che non saprà mai niente, perché morì poco dopo, venticinquenne, colpito da una proiettile vagante in una sparatoria) questo genere musicale prese il nome di Boogie Woogie.

    Nel 1938 alla Carnegie Hall di New York suonarono artisti del calibro di Benny Goodman (ormai all’apice del successo), Ted Wilson, Gene Krupa, Lionel Hampton, Count Basie, Lester Young, Cootie Williams e altri nomi leggendari del jazz. Il New York Times definì l’evento come qualcosa di straordinario. Sul palco, in un clima elettrizzante, si esibivano insieme, in un grande concerto, gli esponenti più importanti del jazz nero e bianco, ciascuno con il proprio stile inconfondibile e una carica tale da suscitare nel pubblico manifestazioni di entusiasmo che si ripeteranno soltanto in occasione dei grandi concerti rock.

    Qualche tempo dopo, ma sempre nel 1938, Albert Ammons, Pete Johnson e Meade Lux Lewis, tre pianisti neri, vennero scoperti da un bianco: John Hammond. Per la prima volta nella storia della musica, questo stile è presentato ad un pubblico bianco nella famosa Carnegie Hall di New York e da quel giorno è iniziato un vero e proprio boom frenetico. Boom che ha inserito questo nuovo stile musicale ai primi posti di tutte le vendite discografiche e che ha sancito il sorpasso del boogie sulla musica jazz. Questo stile di musica, infatti, non fu soltanto patrimonio dei neri, ma influenzò anche molti musicisti bianchi, primo fra tutti Glenn Miller. Il genere boogie-woogie ha finito così per essere suonato e ballato in tutti gli USA grazie a lui proprio mentre gli Stati Uniti si preparavano ad entrare nel secondo conflitto mondiale. Furono proprio i soldati americani a portare il boogie woogie in Europa. Il dipartimento della guerra aveva chiesto agli artisti più famosi di incidere gratuitamente una serie di 78 giri noti come V disc (dove V stava per vittoria), allo scopo di tenere alto il morale delle truppe al fronte. Al termine della guerra dischi e matrici sarebbero stati distrutti.

    Anche Miller partecipò all'operazione e la sua musica conquistò ben presto anche Italiani e Francesi. Nel 1942 entrò nell'esercito per suonare per le truppe americane al fronte, ma nel 1944 l'aereo sul quale viaggiava con l'orchestra precipitò nella Manica creandone il mito e segnando la fine del boogie.

    Gli europei avevano conosciuto il jazz (anche se in una versione addolcita) soprattutto grazie a lui e, a guerra finita, quando le matrici dei V disc furono messe al macero continuarono ad interessarsi a questo genere musicale. Forse il successo di questa danza in Europa rappresentò una sorta di reazione ai mali della guerra, ma fu anche il simbolo dell'influenza economica e culturale che da quel momento gli Stati Uniti avrebbero esercitato sugli Europei.

    Dal 1991 la World Rock'n'Roll Confederation organizza i campionati mondiali di boogie woogie.

    Stile musicale
    È caratterizzato da un accompagnamento di basso eseguito con la mano sinistra, il cosiddetto basso ostinato, e da trilli ed abbellimenti eseguiti con la destra. Qualche volta è denominato eight to the bar (eight sta per la suddivisione della battuta in otto note del basso). Le due forme di basso più suonate con la mano sinistra sono il rolling bass e il walking bass.

    Origini del termine boogie-woogie
    Per i più le origini di questo termine sono misteriose. L'Oxford English Dictionary afferma invece che consiste nella ripetizione di Boogie, termine usato a partire dal 1913 per indicare i rent party, feste di intrattenimento non ufficiali, in occasione delle quali veniva ingaggiato un pianista. Si può scrivere con lo spazio o con la lineetta. L'origine del boogie-woogie per pianoforte è incerta; sicuramente fu influenzata dal genere Honky tonk, diffusosi nel sud degli Stati Uniti. I musicisti W.C. Handy e Jelly Roll Morton riferirono di aver sentito pianisti interpretare brani con questo stile ancora prima del 1910. Secondo Clarence Williams, questo stile fu inventato dal pianista texano George W. Thomas. Il Boogie Woogie è un genere di andamento rapido e con un accompagnamento ostinato del basso.



    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    IL CIBO DI CARTA


    dal 10 giugno al 20 settembre



    Le figurine Liebig, i pupazzi della Mucca Carolina, i manifesti di film come 'La grande abbuffata', una grande mostra allestita a Milano negli spazi della Galleria del Gruppo Credito Valtellinese raccontera' il cibo attraverso le rappresentazioni diffuse grazie a pubblicita', etichette, figurine, gadget, menu', riviste, libri, nonche' documenti di trasporto, bandi, carte intestate o scatole e manifesti di cinema. Quindi, ancora un'elaborazione del tema dell'Expo 2015 (nutrire il pianeta), questa volta nel segno della quotidianita' e capace di muovere i ricordi piu' personali entrando, come un fiume di curiosita', nella vita di piu' di una generazione.

    Non manca pero' l'analisi di questo fenomeno culturale anche nel corso di secoli remoti. Intitolata 'Cibo di carta', la rassegna presentera' infatti oltre 500 pezzi, in parte inediti e mai prima visti, selezionati (dopo una lunga ricerca) per illustrare le storie del cibo e del costume in Italia dal '400 ad oggi, offrendo un vero e proprio atlante iconografico nazionale della storia dell'alimentazione, tuttora mancante. Ma anche una parallela storia dell'illustrazione, che spazia da autori da riscoprire a firme invece celebri come quelle di Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Antonio Rubino, Achille Beltrame, Golia, Gino Boccasile, Leo Longanesi, Benito Jacovitti, Walter Molino, Tanino Liberatore. A realizzare questa complessa ricerca e analisi, e' stato Andrea Tomasetig, libraio antiquario milanese, fin dall'inizio l'ideatore e curatore della mostra, che ha riunito il meglio di quattro importanti collezioni private.
    Prima fra tutte, la straordinaria raccolta di Michele Rapisarda, composta da oltre 12.000 carte illustrate italiane a stampa di uso quotidiano dal '600 al '900 (bandi, buoni premio, calmieri, carte da involto, cartoline, cataloghi, figurine, licenze, locandine, riviste, ecc.), in ampia parte imperniata sull'alimentazione, che documenta con un repertorio iconografico rarissimo. La affianchera' una selezione di libri, manoscritti (molti inediti) e curiosita' su carta provenienti dall'importante biblioteca gastronomica di Giorgio Grillo e Linda Pagnotta, composta di oltre mille opere, che coprono con autorevolezza l'intero percorso della gastronomia italiana dal XV secolo a oggi, dal Platina ai futuristi, fino alle edizioni del secondo Novecento e contemporanee. Una terza sezione presentera' invece alcuni degli incredibili materiali pubblicitari che facevano seguito alla messa in onda di Carosello: gadget, giochi, libri, albi, confezioni dei prodotti, pupazzi gonfiabili provenienti dalla collezione di Carlo Tranchina.

    La quarta sezione sara' infine dedicata al cinema italiano dalla seconda guerra mondiale al 2000: manifesti, locandine e foto-buste, sorprendenti per l'originalita' delle citazioni culinario-cinefile. Alle pareti della Galleria sfilera' poi un'autentica cornucopia di divertenti e insolite immagini sul cibo, che rimandano a un'Italia sia popolare sia borghese, dal neorealismo ai giorni nostri. C'e' tutto: il cinema d'autore e la commedia all'italiana. L'insieme proviene dalla collezione Enrico Minisini. In parallelo alla mostra si svolgera' anche un programma di diverse iniziative collaterali, dalle visite guidate ai laboratori didattici, dalla proiezione di film in tema alla lettura scenica di testi d'autore, fino a convegni e tavole rotonde su temi specifici. L'esposizione realizzata da Tomasetig (con l'importante contributo della Fondazione Galleria Credito Valtellinese) rientra nel progetto culturale gia' avviato in passato con una serie di piccole mostre tematiche sul cibo di carta, tutte con il prezioso contributo dello storico della gastronomia Alberto Capatti. Progetto che potrebbe avere un ulteriore e ambizioso sviluppo, vale a dire la creazione di un Museo dell'Alimentazione, che in Italia ancora manca.
    (Nicoletta Castagni, ANSA)




    FESTE e SAGRE





    La poca prudenza degli uomini comincia una cosa che,
    per sapere allora di buono,
    non si accorge del veleno che vi è sotto.
    (Niccolò Machiavelli, Il Principe, 1513)



    LOCUSTA


    Nel I secolo d. C. Roma era una città pericolosa in cui vivere: omicidi sono all’ordine del giorno. In questo clima di violenza, per quasi un ventennio, una donna uccide alla luce del sole con il tacito assenso dell’aristocrazia e delle più alte cariche pubbliche. Si chiama Locusta. Locusta nasce orfana nella Gallia romana, non si sa quando, dove o con quale nome reale. Allevata da dei contadini, emarginata dai coetanei a causa del suo essere sprovvista di genitori reali, passa le giornate nei boschi annoverando e assaggiando piante, bacche, funghi e frutti di ogni tipo, da cui il suo soprannome. Viene morsa e avvelenata da ogni genere di animale e pianta possibile, tanto da venire recuperata un paio di volte in fin di vita. Sopravvive sempre, spesso curandosi da sola con impacchi, unguenti e intrugli autoconfezionati, per cui si fa una fama di immortale. Per alcuni, di strega. Appena è più grande diventa ragazza di bottega dell’erborista. Per qualche anno va tutto bene, poi la gente inizia a notare che a differenza di tutte le altre fattorie, gli incidenti campestri in quella dei suoi tutori sono rarissimi. Le talpe e i cinghiali non gli mangiano l’orto, le volpi non attaccano il pollaio, i lupi lasciano stare le pecore.Si trasferì adolescente a Roma probabilmente durante il governo di Claudi A diciotto anni la botteghina di Locusta era una minuscola casetta sul colle Palatino. In facciata promette prodotti per la cura del corpo e rimedi per la salute. Sottobanco fornisce rimedi definitivi, vendeva veleni ed elisir di ogni tipo; aveva una buona conoscenza sulla farmacologia ed era molto popolare come un’avvelenatrice professionista. Il suo elemento naturale è l’arsenico e i suoi derivati, ma funghi velenosi, cicuta, gisquiamo e piante tossiche sono dominati con una tale maestria da rendere ogni decesso impeccabile. Un veleno di Locusta è invisibile, inodore, facilmente solubile, irrintracciabile e può agire subito come dopo 48 ore. Può essere doloroso o indolore, letale o inabilitante. Bastava chiedere.. e presto in città, la sua fama e il suo patrimonio crescono: parenti impazienti di accaparrarsi una cospicua eredità, uomini politici senza scrupoli, benestanti matrone desiderose di liberarsi dei propri mariti e persino dei membri della famiglia reale si avvalgono della sua mano. Più volte arrestata e condannata a morte, la donna riuscì sempre a salvarsi grazie al provvidenziale intervento dei suoi protettori. Tra questi vi era anche l’imperatrice Agrippina, quarta moglie di Claudio: assetata di potere, nel 54 la sovrana fece uscire di prigione la famigerata Locusta e le affida il delicato compito di togliere di mezzo il marito, così da garantire la successine del figlio Nerone. L’Imperatrice ebbe a incontrarsi segretamente con Locusta, dopo che un’amica le disse dell’esistenza di tale donna, per discutere il modo con cui uccidere Claudio. La donna, non batté ciglio, oramai, non aveva più niente da perdere. Il giorno dopo consegnò una scatola piena di polvere bianca all’Imperatrice. Le garantì che sarebbe stato sufficiente metterne una piccola dose nel cibo della persona che voleva uccidere, e che quest’ultima sarebbe spirata nell’arco di mezza giornata. Sapendo che la vittima era molto amante dei funghi, preparò un miscuglio simile ai miceti, ma mortale. Così l'imperatore ingerì il veleno per ben due volte. Infatti, come se non fosse abbastanza, Locusta le somministrò anche della coloquintide, un’erba, che accelera gli effetti del veleno, e impregnò con la stessa la piuma con la quale l'imperatore era solito farsi venire lo stimolo del vomito quando aveva mangiato troppo. Il 12 ottobre 54, dopo aver fatto bere molto vino al marito, Agrippina personalmente gli servì il piatto coi funghi. Mentre mangiavano, incoraggiò Claudio a testare quello più grande. Fiducioso si avventò su di esso. Dopo sei ore dall’ingestione iniziò ad agonizzare, andando in coma e morendo poco dopo. Per tutto il tempo Agrippina non smise un attimo di preoccuparsi del marito, interessandosi alle motivazioni dell’agonia di Claudio.

    Tornata alla sua attività di avvelenatrice per conto privati, Locusta viene di nuovo arrestata. E’ il giovane Nerone, questa volta a farla scagionare, assoldandola per eliminare un pericoloso pretendente alla corona, il fratellastro quattordicenne Britannico. Nell’anno 55, durante un banchetto, Britannico ingerisce una bevanda in cui Locusta ha aggiunto uno dei suoi filtri; eppure, il giovane principe non muore: la miscela letale non funzionò. Magnanimo Nerone le concesse un’altra possibilità. Locusta questa volta fa centro: mentre è a cena, Britannico beve un bicchiere di vino miscelato con acqua avvelenata e, colto da convulsioni, spira all’istante. Il suo corpo, fu bruciato e sotterrato a Campo di Marte, senza pompa magna e senza dissimulare la fretta di quell’azione. Dione e Tacito diranno nei loro scritti che “in quel momento una pioggia violenta cadde evidenziando la furia degli dei”.

    Dopo la morte fatta passare per un fatale attacco di epilessia, Nerone la riempie di regali, come scrive lo storico Sventonio ricordando che ”in premio per l’opera compiuta, concesse a Locusta l’impunità, dei vasti poderi e persino dei discepoli”. Accolta a corte, alla donna viene concesso di aprire una vera e propria scuola, nella quale insegnare come distinguere le erbe mortali e miscelare gli ingredienti per preparare una pozione. I veleni, prima di essere messi in commercio, vengono sperimentati su animale, schiavi e criminali. Questa macabra scuola, che forma silenziosi professionisti molto richiesti dalla classe dirigente, gode dell’incondizionato favore di Nerone. Tacito dirà che “l'imperatore era così affezionato a lei, che per paura di perderla, metterà vicino alla sua casa degli uomini che la sorveglieranno affinché non le succeda niente”. Quando però il sovrano si suicida nel 68, Locusta cade in disgrazia: arrestata per ordine di Galda, successore di Nerone, che l’accusò di 400 omicidi, venne condannata a morte. Nessuno, questa volta, accorre in suo soccorso. Il 9 gennaio del 69, durante la celebrazione degli Agonalia (festa dedicata agi dei), la celebre Locusta vie pubblicamente giustiziata.

    (Gabry)





    RITI E TRADIZIONI DEGLI SPOSI!!!




    Anniversari di nozze, ogni anno per tradizione




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    L’anniversario di matrimonio viene festeggiato ogni anno anche se i più conosciuti e famosi sono di sicuro il venticinquesimo e cinquantesimo al raggiungimento dei quali la coppia di coniugi organizza spesso anche un bel ricevimento per amici e parenti.

    Una volta ai cinquant’anni di matrimonio, anche per le condizioni di vita e la longevità vi si arrivava di meno, ora è meno raro.

    Ogni anno il giorno dell’anniversario si può festeggiare e a seconda di quanti anni di matrimonio sono passati le nozze si chiamano in un modo e richiedono, per chi desidera rispettare la tradizione, un regalo particolare.


    Ovviamente questi regali hanno una lunga storia e vengono dal nostro passato, per cui c’è chi ha elaborato una nuova lista con oggetti che fanno più parte del quotidiano e potrebbero essere più ben accetti. Inoltre al ogni anno è anche abbinato un colore in particolare.


    1° anno di matrimonio, nozze di carta (o cotone),

    5° anno di matrimonio, nozze di seta,

    10° anno di matrimonio, nozze di stagno,

    15° anno di matrimonio, nozze di porcellana,

    20° anno di matrimonio, nozze di cristallo,

    25° anno di matrimonio, nozze d’argento

    30° anno di matrimonio, nozze di perle,

    35° anno di matrimonio, nozze di zaffiro,

    40° anno di matrimonio, nozze di smeraldo,

    45° anno di matrimonio, nozze di rubino,

    50° anno di matrimonio, nozze di oro,

    55° anno di matrimonio, nozze di avorio

    60° anno di matrimonio, nozze di diamante.


    Questi sono i più comuni e festeggiati anniversari di nozze. Certo nessno impedisce di festeggiare tutti gli anni, anzi l’idea è bella e molto romantica, però con il passare del tempo i traguardi si allungano e ampliano.

    Oltre al nome dell’anniversario in sé ci sono regali e colori che vengono abbinati a quete date e traguardi importanti, con festeggiamenti, cerimonie e spesso i voti matrimoniali che vengono consolidati dagli sposi e magari anche un nuovo viaggio di nozze.


    fonte:http://www.sposalicious.com/


    (Lussy)







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    Salute e benessere





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    TERME DI RAPOLLA


    In una regione tanto privilegiata dalla natura come la Basilicata, non mancano sorgenti termali con acque e fanghi adatti a ridare benessere e tonicità a qualsiasi persona.
    Le Terme di Rampolla, trovandosi in una delle zone più suggestive e incontaminate della Lucania, offrono ai loro visitatori un soggiorno di pace e tranquillità.

    Rampolla, sita alle pendici del Vulture, un vulcano spento (1326 m) nel cui cratere si sono formati i due laghi di Monticchio, vanta un’origine medievale e un glorioso passato di fortezza normanna, oltre che dintorni di grande interesse naturalistico ed evidenze architettoniche di pregio. Più recente, invece, la storia delle sue terme, scoperte solo all’inizio del XIX secolo e subito apprezzate per le proprietà terapeutiche delle acque che vi sgorgano.
    Lo stabilimento termale originario nacque dunque per iniziativa di un imprenditore, che nel 1961 scommise sulla risorsa naturale e vinse. Oggi le terme, profondamente rinnovate, sono una magnifica realtà che attira turismo e lavoro. Nel 1996, con il cambio di gestione della Società delle Terme, è stata avviata una completa ristrutturazione degli stabilimenti termali.

    Oltre al centro di estetica e a una palestra per la rieducazione motoria e respiratoria, nel centro termale sono presenti tutte quelle strutture di appoggio che fanno di una località termale anche un luogo di piacevole soggiorno: campi da tennis, piscina, palestra, bar, e un parco, a ridosso del complesso, di circa 800 ettari. Manifestazioni artistiche, culturali, turistiche, sportive e religiose si susseguono in tutta la zona, soprattutto nel mese di Agosto.


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    Le acque termali

    Sotto l’abitato di Rapolla scorre un fiume invisibile e silenzioso, che seguendo percorsi oscuri e segreti si arricchisce di sali minerali e caratteristiche utili per benefiche cure termali. Alla fine del loro itinerario nascosto, le sorgenti sgorgano in contrada “Orto del Lago”. Più precisamente le acque termali sgorgano da tre sorgenti:

    fonte n. 1: acqua minerale salsa, bicarbonato alcalina; portata 8 l/min.
    fonte n. 2-3: acqua minerale solfato-alcalina; portata 20 l/min.

    Dalla raccolta e commistione delle acque termali delle due sorgenti, si perviene alle seguenti caratteristiche chimico-fisiche: l’acqua è incolore, ha un sapore acidulo-frizzante e aspetto limpido. Sono classificate come “Acqua minerale salso-solfato-bicarbonato-alcalina”.

    Le acque di Rapolla sono particolarmente indicate nelle malattie delle vie respiratorie, nelle malattie del ricambio, in malattie reumatiche e dermatologiche; infatti vengono impiegate in trattamenti idropinici (particolarmente efficaci nei casi di gotta e diabete), in massaggi, bagni ozonizzati, radar, aerosol, ultrasuoni, nebulizzazioni, elettroterapie, docce nasali, fanghi, bagni terapeutici e bagni di annettamento. Tra le altre indicazioni figurano anche le malattie dismetaboliche, le distonie neurovegetative e le malattie del sistema nervoso periferico e i postumi di malattie articolari. Presso al Centro di Cosmesi Termale, annesso alle terme, si eseguono trattamenti estetici per la cura e la prevenzione della cellulite, cure specifiche per il benessere della pelle e contro l'invecchiamento precoce, oltre che massaggi curativi, estetici e rilassanti e programma dietetici personalizzati.


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    I fanghi

    I fanghi sono idonei per la cura di manifestazioni fibrositiche, malattie del sistema nervoso periferico quali: sciatica, mialgie, malattie periarticolari, osteoartrosi poliarticolare, spondiloartrosi, nodi di Heberden, reumatismo uricemico, nevralgie, radicolalgie e nevriti secondarie a osteoartrosi, gotta articolare, artropatie dismetaboliche del reumatismo, reumatismo muscolare, miositi. I fanghi sono utilizzati anche per terapia cosmetica.
    Si applicano trattamenti di fangoterapia.



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    Tempo libero

    Rapolla


    Il soggiorno a Rapolla si arricchisce della possibilità di esplorare una delle zone più suggestive e incontaminate della Lucania. Si propone un’escursione sul Vulture si trova nel punto più a nord della quinta dorsale che attraversa la Basilicata. Vulcano spento, ha un terreno molto fertile, connotato in gran parte da boschi come quello di Monticchio con i due laghi omonimi a 660 metri sul livello del mare e che in origine erano due crateri, separati da una stretta lingua di terra. Protetti da una cortina verdissima e fittissima di faggi, querce, castagni, ontani, frassini, aceri e tigli, costituiscono forse la nota più pittoresca del singolare paesaggio del Vulture. Anche le acque e i boschi sono ricchi di fauna di ogni specie. Ma la rarità del Vulture è la Bramea europea, farfalla notturna che si ritrova soltanto in Asia. Per proteggerla, la Forestale ha creato una Riserva naturale di 200 ettari, primo esempio in Italia (1971) di area protetta per tutelare un insetto. La sua presenza qui è legata al Fraxinus oxycarpa, antichissima pianta di origine balcano-asiatica.





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    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    La notte è un pozzo nero
    dove intingo inchiostro per le mie poesie.
    (Jim Morrison)


    L'INCHIOSTRO



    Gli inchiostri, per la scrittura, furono preparati fin dalla più remota antichità. Dalle incisioni rupestri in avanti, l’uomo è stato in grado non solo di evolversi dalle incisioni a vere propri "quadri" dipinti. Le prime misture d'inchiostro, risalgono a 5 mila anni fa, e furono sviluppate dagli Egizi e i Cinesi, quasi in contemporanea.
    Gli Egizi utilizzavano due inchiostri primordiali: uno nero a base di nerofumo e gelatine e, l’altro rosso, composto da estratti vegetali e solfuri o ossidi. A T‛ien Chŭ, che visse sotto l'impero di Huang Ti (III millennio a. C.), i Cinesi crearono l' “inchiostro di china”, di colore nero, fu l’unico utilizzato da loro agli inizi.
    I Romani lo chiamavano Atramentum e i latini Encaustum e Melanion. Fabbricare inchiostri era una vera e propria arte. . Gli antichi, non sfruttarono la reazione che porta alla formazione del pigmento, per prepararlo, ma ne erano comunque a conoscenza. Nella Naturalis Historia, Plinio il Vecchio (23 d.C. – 79 d.C.) scrisse come distinguere il verderame dalla copparosa , con la quale veniva spesso adulterato.

    “ …La frode può essere scoperta con una foglia di papiro che sia stata posta in un infuso di galle di quercia: a contatto con del verderame adulterato, diventa immediatamente nera …”.

    La prima ricetta per una amalgama perfetta risale alla descrizione di Vitruvio, scrittore romano vissuto nel I sec. a.C.: al nerofumo di pece veniva mescolato un legante, ad esempio la gomma arabica, un olio o la colla di pesce. Si trovano delle decorazioni con inchiostri colorati di quel tempo, probabilmente veniva sostituito il nerofumo con altri elementi, ad esempio la conchiglie dei murici per ottenere il rosso porpora. Per stendere l’inchiostro venivano utilizzate delle canne di palude appuntite, i calami. Per conservarlo, veniva essiccato ma era pronto all’uso in qualsiasi momento: bastava un po’ d’acqua per diluirlo e renderlo utilizzabile.
    Con gli anni, oltre agli inchiostri di nerofumo, sono comparsi anche gli inchiostri metallogallici, frutto della reazione chimica tra il tannino estratto dalle scorze di frutta o dalle noci di galla e un sale metallico. Filone di Bisanzio, nel suo trattato Veteres Mathematici, del sec. III a. C., descrive un inchiostro simpatico, che si può considerare precursore dell'inchiostro ferro-gallico oggi in uso: si trattava di un estratto di noci di galla, incolore; lo scritto veniva immerso in una soluzione di sale di ferro e diveniva quasi nero.
    La prima testimonianza certa dell’inchiostro ferro-gallico si trova nell'opera o di Marziano Minneo Felice Capella De Nuptiis Philologiae et Mercurii et de septem Artibus liberalibus libri novem (Le nozze di Filologia e Mercurio e le sette Arti liberali ), costituito da nove libri. Nel 420 d.C. vengono citate una miscela di galle e gomma arabica; anche alltre ricette che si sono conservate hanno tutte negli ingredienti base: galle, solfato ferroso (copparosa), acqua e gomma arabica. Nei tempi antichi, la composizione era data dalla copparosa che veniva estratta facendo evaporare l’acqua dai terreni ferrosi. Più tardi, alla fine del XVI secolo, venne prodotta aggiungendo l’acido solforico ai chiodi di ferro. Per l’acqua, storicamente venne utilizzata, con ogni probabilità, acqua piovana. La gomma arabica, una gomma naturale estratta dagli alberi di acacia ed utilizzata, in alcuni cibi, come stabilizzante, conserva la qualità dell’inchiostro in tre modi differenti: -Mantiene in sospensione il complesso con il ferro (il pigmento); -Ispessisce l’inchiostro facendo sì che non fluisca troppo velocemente dalla penna; -Riduce la velocità con la quale l’inchiostro viene assorbito dalla carta, conferendo un tratto migliore e più duraturo.

    Nel Medioevo furono i monaci a interessarsi della fabbricazione degl'inchiostri da scrivere. Dal ricco Ricettario del sec. XV si può dedurre che l'inchiostro ferro-gallico era, allora, quasi universalmente conosciuto. Venivano usati, di solito, due tipi di inchiostri neri: il nerofumo (una sospensione ottenuta con carbone, acqua e gomma arabica) e l’inchiostro ferro-gallico (ottenuto dalle galle di quercia). Il nerofumo è stato impiegato sin dal 2500 a.C., mentre l’inchiostro ferro-gallico a partire dal terzo secolo e fu utilizzato da personaggi del calibro di Leonardo da Vinci, Johann Sebastian Bach, Rembrandt van Rijn e Vincent van Gogh. Scoperte recenti hanno evidenziato la presenza di tracce di inchiostro ferro-gallico sia nei rotoli del Mar Morto sia nel Vangelo perduto di Giuda. Molte miniature medioevali di San Giovanni di Pathmos testimoniano quale fosse, all’epoca, l’importanza dell’inchiostro, dal momento che raffigurano il diavolo mentre tenta di rubarlo al Santo.

    A partire dal sec. XVIII le ricerche si svolgono su basi prettamente scientifiche. Dal 1200 in poi le formule utilizzate si sono moltiplicate. Con la nascita della stampa a caratteri mobili , è nata una vera e propria industria ma, è dal 1800 che si è iniziato ad utilizzare sostanze chimiche al posto di quelle naturali. Con gli anni si sono prodotte molte varietà di inchiostro, sempre più colorate e creative, fino ad arrivare ad utilizzare la polvere di metalli preziosi come l’oro e l’argento. I composti presenti erano spesso chimici e tossici ma erano stabili, scorrevoli, asciugavano in fretta e senza sbavature. Si ebbero molti studi per la creazione di nuovi preparati; J. J. Berzelius nel 1832 presentò un composto di vanadato ammonico ed estratto di noce di galla, che però sbiadiva subito alla luce; più fortunato fu F. J. Runge che nel 1847, facendo agire cromato di potassio su estratto di legno di campeggio, ottenne un inchiostro nero neutro; finalmente nel 1856 A. Leonhardi brevettava il suo inchiostro alizarina, che a differenza dei precedenti, era un liquido limpido che si poteva filtrare e nel quale erano contenuti contemporaneamente, ma non combinati, gli acidi tannico e gallico, il sale di ferro, un acido (cloridrico, ecc.) che doveva impedire la combinazione e il colorante alizarina: la combinazione fra solfato di ferro e acido gallico, con formazione del composto ferro-gallico che rendeva lo scritto nero, avveniva poi sulla carta, in presenza dei reagenti contenuti nell'aria quale l'ammoniaca. Venivano conservati in boccette di cristallo finissimo e altri materiali preziosi finché non si sono diffusi i calamai portatili.

    Gli inchiostri da scrivere, a seconda della loro composizione e del loro uso, si possono classificare in: inchiostri a base ferro-gallica, inchiostri a base di campeggio e inchiostri colorati tu avente la caratteristica di essere fissi e copiativi; inchiostri indelebili; inchiostri da disegno; inchiostri simpatici. Gli inchiostri fissi e i copiativi vengono fabbricati con le stesse materie prime: soltanto che i secondi erano più concentrati e addizionati di glicerina, zucchero, ecc., per aumentarne la forza copiativa. Ottimo era il tannino fornito dall noce di galla, un'escrescenza su foglie di quercia o di sommacco nelle galle cinesi). Le migliori noci di galla sono quelle di Aleppo. Le proporzioni dell'acido libero, nell'inchiostro ferro-gallico, devono essere attentamente studiate: un eccesso d'acido intaccherebbe troppo le penne d'acciaio, senza alcun vantaggio; la mancanza di acido provocherebbe dei precipitati per formazione del composto ferro-gallico insolubile. Anche la cosiddetta stagionatura ha un importanzafondamentale per la preparazione d'un buon inchiostro: prima di aggiungere al liquido base il colorante, è necessario lasciarlo fermo per alcuni mesi, decantandolo, per separarlo dal deposito formatosi in seguito al distacco delle impurezze contenute nelle materie prime. Un ottimo inchiostro ferro-gallico deve scorrere bene dalla penna e non essere attaccaticcio.

    .. Le galle ..


    Una galla, conosciuta anche come cecidio, è una malformazione a carattere escrescente che si forma sulle foglie, sui rami, sul tronco e sulle radici dei vegetali e dovuta a funghi , batteri, insetti o acari parassiti. L’agente che ne determina la formazione, spesso un cipinide, deposita un uovo nel tessuto vegetale giovane e la galla cresce tutt’intorno alla larva, che si nutre e sviluppa all’interno di tale escrescenza protettiva. Si pensa che lo sviluppo della galla sia controllato dalle secrezioni della larva: saliva e sostanze escrete. Potrebbe essere definito un "tumore" della pianta stessa. In genere è semplice riconoscere il tipo di parassita in quanto ognuno di essi produce una galla differente in quanto ciascun parassita utilizza un agente diverso per indurre la formazione della galla. Particolarmente diffusa sul territorio italiano è la galla della quercia, provocata dall'imenottero Andricus quercuscalicis. La galla del colletto non è una vera e propria galla in quanto non indotta da agenti esterni ma costituita da una proliferazione di cellule vegetali. Le galle vengono adoperate per produrre inchiostri definiti ferro-gallici. I tannini, di cui le galle sono ricchissime, vengon fatti reagire con del solfato ferroso. Il complesso di Ferro (II) prodotto si adopera come inchiostro. La galla di Aleppo è particolarmente ricca di acido tannico e di acido gallico; la galla di Bassora (conosciuta anche come la galla di Sodoma) contiene il 26% di acido tannico e l’1,6% di acido gallico; mentre la galla di ghianda di quercia contiene il 45-50% di acido tannico. Tutte e tre contengono un’elevata concentrazione di acido gallotannico. Questi tre tipi di galla si possono trovare, facilmente, in tutta Europa, ma si può utilizzare, allo scopo, qualunque cosa contenga tannini: del tè ad esempio.

    ...un racconto...



    Il giovane lama riuscì comunque a leggere tutte le filastrocche … e perse completamente le abitudini del suo gruppo. Fu considerato un po’ strano e fu lentamente isolato. La sua scelta lo cambiò profondamente e lo rese un solitario felice. Ma una domenica, durante una festa, il giovane lama senza accorgersi di avere alle spalle il vecchio lama che da giorni lo pedinava, sputò con tranquillità per terra. Inchiostro blu uscì dalla sua bocca! E una filastrocca cantò ad alta voce: “Meglio leggere da solo che far finta di essere loro!” – Sei un mago! Sei un pericolo per la nostra comunità! Sputi inchiostro! L’inchiostro è veleno! - gridò il vecchio lama.

    - Non è veleno! E’ inchiostro! – rispose il giovane lama.

    - Sarai processato, e condannato all’esilio se non cambierai idea!

    - Io non cambierò idea! Preferisco sputare inchiostro che saliva!

    E così il giovane lama fu esiliato dalla sua comunità

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    Sarò anch'io come il lentischio,
    che solo per gli umili
    che ne conoscono il segreto nasconde
    nelle sue radici la potenza del fuoco,
    e nel frutto selvatico l'olio per la lampada e per gli unguenti".
    (Grazia Deledda)


    IL LENTISCO



    Il lentisco (Pistacia lentiscus) è un piccolo albero sempreverde che può arrivare a 6 metri e dalla folta chioma con andamento arrotondato. L’intera pianta emana un forte odore resinoso. Si riconosce dal fogliame coriaceo, lucido e glabro, costituito da foglie alterne, con picciolo alato, composte da 2-5 coppie di foglioline a margine intero. Il lentisco è una specie dioica, con fiori femminili e maschili separati su piante differenti. In entrambi i sessi i fiori sono piccoli, poco appariscenti, rossastri, raccolti in infiorescenze a pannocchia di forma cilindrica, portati all’ascella delle foglie dei rametti dell’anno precedente. I frutti sono drupe che si presentano come piccoli granelli rosso-porpora, quasi neri a maturità, e contengono una piccola mandorla commestibile come quella del pistacchio. La fioritura ha luogo in primavera, da aprile a maggio. I frutti rossi sono ben visibili in piena estate e in autunno e maturano in inverno.
    La corteccia è grigio cinerina, il legno di colore roseo. È una pianta eliofila, termofila e xerofila che vive dal livello del mare fino a 600 metri.
    Tipico componente della macchia mediterranea, il lentisco è diffuso in tutte le coste del Mediterraneo, in Portogallo e nelle Isole Canarie. In Italia è presente nelle regioni costiere bagnate dal Mar Tirreno e dall'Adriatico ed ha particolare frequenza in quelle più meridionali e nelle isole.

    Il lentisco ha notevole importanza ecologica per la rapidità con cui ripristina un buon grado di copertura vegetale del suolo denudato. E’ considerata una specie miglioratrice nel terreno. E' una specie eliofila, resistente alla siccità, all'azione del pascolamento e agli incendi, per via della notevole capacità di emettere nuovi polloni subito dopo il passaggio del fuoco. E' in grado di vivere in condizioni ambientali estremamente difficili; resiste bene ai venti e, in prossimità del mare, assume un caratteristico portamento "pettinato".

    Si pensa che il nome lentisco abbia origini tarde, probabilmente risalenti al XVII-XVIII secolo: tale nome richiamerebbe infatti l'uso di collante per lenti e vetri ottici per i primi strumenti introdotti con tale funzione. Precedentemente, la pianta è ricordata infatti con il nome di Sondro.

    La resina che produce ancora oggi è apprezzata per le sue proprietà balsamiche, per aromatizzare vini e liquori, e nella preparazione di vernici; in passato veniva masticata per rinforzare le gengive, profumare l'alito e mantenere i denti bianchi. La parola “mastice”, attualmente nome generico di sostanza adesiva, deriva dal greco “mastìche”, che indicava specificamente la resina chiara prodotta dal lentisco. Le sue gocce tonde o irregolari, un pochino giallastre con una spolverata bianca in superficie, hanno profumo gradevole, sapore dolce e piacevole. La resina si può estrarre praticando incisioni sul fusto e sui rami in piena estate e raccogliendola dopo che si è rappresa all'aria. Si sottopone a lavaggio per eliminare le impurità e si conserva dopo essiccazione in contenitori di legno.
    Si usa come aroma per liquori e dolci, gomma da masticare, nella cosmetica e nella farmacologia oltre ad essere una colla naturale. A Chio, che è il luogo di produzione della resina di maggior pregio, è prodotto un liquore aromatico derivato dalla resina, con funzioni digestive: il "Mastika".

    Fino al XX secolo, in Sardegna l'olio di lentisco è stato il grasso alimentare vegetale succedaneo dell'olio d'oliva e dell'olio di olivastro. L'olio di lentisco era apprezzato per le sue spiccate proprietà aromatiche, ma si trattava di un alimento destinato alle mense dei poveri, a cui si faceva largo uso nei periodi di carestia e in occasioni di scarso raccolto dagli olivi e dagli olivastri. La tradizione dell'olio di lentisco come grasso alimentare si è persa nella metà del XX secolo quando si è avuta una maggiore diffusione prima dell'olio d'oliva e poi degli oli di semi. In seguito l'olio di lentisco ha avuto rare utilizzazioni sporadiche come prodotto di nicchia o per scopi folcloristici.
    Le drupe di lentisco hanno un ruolo importante sotto l'aspetto aromatico gastronomico. Apicio, per esempio, suggeriva di usarle per condire le erbe di campo.

    Il legname è apprezzato per lavori di intarsio grazie al colore rosso venato. In passato veniva usato per produrre carbone vegetale e ancora oggi è apprezzato per alimentare i forni a legna delle pizzerie in quanto la sua combustione permette di raggiungere in tempi rapidi alte temperature. Le foglie, ricche di tannini venivano usate per la concia delle pelli.

    ..storia, miti e leggende..



    Il lentisco è stato utilizzato dall'uomo fin dall'antichità. La resina ottenuta dall'incisione della corteccia, solidifica a contatto con l'aria formano delle essudazioni aromatiche, di colore giallo-chiaro, che costituiscono il cosiddetto mastice di Chio, dal nome dell'isola greca dove la sua produzione era molta abbondante.
    Nell’antica Grecia questa pianta era consacrata a Britomarti o Dictymna, che usava per adornarsi così come facevano le vergini elleniche; per questo motivo la pianta ha continuato ad evocare i simboli della Purezza e della Verginità.
    Secondo la leggenda si trattava di una figlia di Zeus e Carme, ninfa della dea Artemide, amata da Minosse che per averla, la rincorse per nove mesi attraverso le montagne e le valli dell’Isola di Creta. Il giorno che si accorse che stava per essere raggiunta, Britomarti saltò nel mare dall’alto di una scogliera; salvata dalle reti di alcuni pescatori, venne chiamata Dittinna, ossia “Fanciulla della Rete”.
    Il lentisco era usato sin dall’antichità per le molteplici qualità terapeutiche ed come “…diuretico e per arrestare il flusso del ventre, mentre il decotto cura le ulcere serpiginose. Lo si impiastra anche sulle ulcere sierose e contro il fuoco sacro e funziona da collutorio per le gengive. …” (Gaio Plinio Secondo, Naturalis historia , XXIV, 28). Erano apprezzate le sue molteplici proprietà anche da Dioscoride, Ippocrate e Galeno.
    I piccoli frutti in epoca romana erano conservati sotto sale e impiegati per aromatizzare le carni, mentre in epoche più recenti, in tutto il Mediterraneo, erano spremuti per ottenere olio per le tavole dei poveri e per alimentare le lampade.
    La preziosa resina del lentisco, la "mastica" era uno zucchero elastico tipico dell’antichità che veniva raccolta solo sull’isola di Chios, perchè solo lì la si produceva copiosa. Per i greci questa resina era una gomma da masticare medica, rimedio di ulcere e di molti disturbi dello stomaco. Per i cristiani la mastica di Chios è la rappresentazione delle lacrime di Sant’Isidoro, martire esule sull’isola e qui decapitato.
    I rametti più teneri venivano utilizzati come deodoranti e antisudoriferi per la sudorazione eccessiva dei piedi, si mettevano sul fondo delle scarpe. Il decotto di foglie fresche profumava l'acqua e diminuiva l'eccessiva sudorazione di tutto il corpo. Veniva usato anche come antidoto alle punture della malmignatta sarda.
    I primi a sfruttare commercialmente il mastice di Chios, furono i Giustiniani, famiglia borghese di Genova che creò un veroe proprio monopolio che riforniva molti paesi del Mediterraneo: Cipro, Rodi, Costantinopoli, Alessandria, porti della Grecia e della Siria. La vendita era curata da veri e propri agenti che lavoravano al servizio dei Giustiniani. I quali, quando c'era sovra produzione, a volte, per proteggere il prezzo del mastice, bruciavano le eccedenze.
    I ladri di resina venivano puniti severamente, Kyriakus Pitsiccoli, scrittore Genovese dell'epoca, riporta un proverbio
    "se desiderate vivere a Chios, proteggete il mastice e non rubatelo mai"

    La figlia del Sultano Medjit.
    Una giovane fanciulla, dai nobili natali, si innamorò perdutamente di un giovane incontrato nei pressi di un arbusto dal profumo intenso. Non conosceva il nome del giovane, ma il suo amore era immenso. Ogni giorno, uscendo da palazzo correva al luogo del primo incontro, ove il lentisco, con il suo profumo, coronava il sogno dei due giovani innamorati.
    Un brutto giorno, la fanciulla arrivata al lentisco, non trovò nessuno. Attese inutilmente per lunghe ore, ma il giovane non ritornò. Per giorni la fanciulla sperò e si distrusse dal dolore, ma a nulla valsero le lacrime. Il sultano messo a conoscenza del fatto, cercò di consolare la figlia, ma tutti i tentativi andarono a vuoto. La sua adorata figlia rischiava di morire dal dolore.
    Fu allora che il sultano ordinò di piantare in tutta l’isola, arbusti di lentisco. Si diceva che il giovane si era perduto durante una spedizione in terre vicine, il profumo intenso lo avrebbe guidato nuovamente verso il sultanato, ridando all’amata figlia la voglia di vivere.


    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    GIUGNO


    E' arrivato Giugno

    IL CIELO al mattino è terso e il sole scotta.
    NEI CAMPI il contadino miete e riempie il suo granaio. La buona terra ha premiato la sua fatica.
    Ma il suo lavoro non è finito; dovrà lavorare ancora per la monda e il trapianto del riso
    e per la sarchiatura del granoturco.
    SULLE PIANTE stride la cicala, fra le erbe
    si alza il cri-cri del grillo canterino e, la sera comincia il passaggio aereo delle lucciole
    con le loro lucine gialle. La campagna è piena d'insetti che divorano e si divorano a vicenda.
    IL FRUTTIVENDOLO ha ingombrato con
    le sue ceste di ortaggi e di frutta, anche il sentiero
    o il marciapiede. Ha messo fuori delle ciliegie,
    delle amarene e delle albicocche che fanno venire
    l'acquolina in bocca.
    IL GIARDINO è pieno di fiori e di verde.
    Ci sono rose, gerani, fiordalisi, tulipani, oleandri
    e genziane. Tutti i giorni ne fioriscono.
    A SCUOLA si attendono le vacanze, le grandi vacanz della calda Estate.
    Non si parla d'altro e non si scrive d'altro.
    Ancora pochi giorni - dice la mamma...
    Ancora pochi giorni - dice il maestro...
    Poi la pagella e, addio scuola!
    IN CITTA si parte. - Si va al mare, si va ai monti, si va in campagna e, c'è chi va a giocare
    sui prati della periferia, come Giorgio, Sandro e Pinuccio.
    I bar hanno messo i tavolini all'aperto con gli ombrelloni colorati e le sedie.
    Qualche bambino corre al bar e torna adagio adagio, succhiando un
    buon gelato di panna e limone.


    (Dal Web)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto inviato il 28 Aprile 2015 ore 18:39 da Nikcola, JUZAPHOTO

    Non disperiamo, anche il tramonto ha il suo splendore e la sua bellezza,
    senza però dimenticare che,
    quando gli sguardi si incontrano in un orizzonte pieno di fuoco,
    le ombre sulla terra si fanno sempre più lunghe e scure.
    (Umberto Galimberti, Le cose dell'amore, 2004)

  8. .




    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 022 (25 Maggio – 31 Maggio 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 25 Maggio 2015
    S. BEDA CONF. , S. URBANO

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    Settimana n. 22
    Giorni dall'inizio dell'anno: 145/220
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    A Roma il sole sorge alle 04:42 e tramonta alle 19:32 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 04:42 e tramonta alle 19:57 (ora solare)
    Luna: 0.22 (tram.) 11.37 (lev.)
    Luna: primo quarto alle ore 18.21.
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Per sant' Urbano il frumento è fatto grano.
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?
    (Gesù)









    RIFLESSIONI



    ... GUERRA …
    ... Da un lato del mondo, un uomo seduto sulla roccia con i piedi nel vuoto,in cima ad un’alta montagna, scruta l’immensa valle che si distende sotto i suoi piedi. Senso di pace, sensazione di poter estendere da quella vista il suo spirito come a permeare le cose per sentirsi parte del mondo e dentro ogni angolo di esso. In una parte diametralmente opposta, la stessa scena. Un uomo seduto sul ciglio di uno strapiombo osserva il mondo sotto di se; senso di potere, di controllo su tutto e tutti. Desiderio di dominio di essere al di sopra degli altri. Il primo sente nei capelli il vento, ne assapora ogni singolo brivido che esso provoca al contatto del vento sulla sua pelle; egli è vita e vive amando la vita. L’altro sente il vento, non bada ai brividi, percepisce attraverso il vento i pensieri degli altri, li fa suoi, li usa per avere il controllo. Egli ama la SUA vita nulla di più. Immagini queste nate nella mia mente dal Centenario (24 Maggio 1915) dell’inizio per l’Italia della Prima Guerra Mondiale. Il totale delle perdite causate dal conflitto si può stimare a più di 37 milioni, contando più di 16 milioni di morti e più di 20 milioni di feriti e mutilati, sia militari che civili, cifra che fa della "Grande Guerra" uno dei più sanguinosi conflitti della storia umana. Quella è la descrizione di Wikipedia; numeri impressionanti, agghiaccianti che avrebbero dovuto far riflettere l’essere umano affinchè la parola guerra sparisse dai pensieri, dal vocabolario e dai desideri. Dalla “Grande Guerra” l’uomo però ha dimostrato di non aver compreso la lezione terribile di quel conflitto; bomba atomica, terrorismo, guerre di religione o per motivi economici o politici hanno contraddistinto e contraddistinguono la realtà. Azzeramento di una razza, azzeramento ideologico di altri pensieri, uso della religione per motivare eccidi di massa o di bellezze archeologiche rappresentanti altre religioni o culture. Oggi la guerra è raccontata in diretta tv, ne abbiamo fatta talmente abitudine alla guerra ed alle violenze, che viene trattata come fosse un episodio di cronaca. Il pericolo più grande oggi è che si faccia involontaria abitudine al questa parola. Torno all’immagine iniziale; seguiamo quell’uomo sul monte, riprendiamo a sentire il vento tra i capelli, i brividi sulla pelle e la gioia di vivere; mentre siamo su quel monte diciamo a voce alta a quei trentasettemilioni di morti della Grande Guerra che essi non sono morti invano, anzi essi da oggi saranno l’esempio ed il monito da seguire. Basta Guerra … Amiamo la Vita quale essa sia, problematica o meno, agiata o meno agiata, è il solo bene che ci rende tutti uguali. Essa è la sola cosa che ci rende parte di quel vento che ci emoziona … Buon risveglio … Buon Maggio amici miei … (Claudio)






    Se

    Se riesci a non perdere la testa
    quando tutti intorno a te la perdono
    e ti mettono sotto accusa

    Se riesci ad avere fiducia in te stesso
    quando tutti dubitano di te,
    ma tenere nel giusto conto il loro dubitare.

    Se riesci ad aspettare,
    senza stancarti di aspettare,
    o essendo calunniato,
    a non rispondere alle calunnie,
    o essendo odiato,
    a non abbandonarti all'odio,
    pur non mostrandoti troppo buono,
    né parlando troppo da saggio.

    Se riesci a sognare
    senza fare dei sogni i tuoi padroni.

    Se riesci a pensare
    senza fare dei tuoi pensieri il tuo fine.

    Se riesci, incontrando il trionfo e la rovina,
    a trattare questi due impostori allo stesso modo.

    Se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto
    distorte da furfanti che ne fanno trappole per sciocchi,
    o vedere le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
    e umiliarti, e ricostruirle con i tuoi attrezzi ormai logori.

    Se riesci a far un solo fagotto delle tue vittorie,
    e rischiarle in un sol colpo, a testa o croce,
    e perdere, e ricominciare da dove iniziasti,
    senza dire mai una parola su quello che hai perduto.

    Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi,
    a sorreggerti anche dopo molto tempo che non li senti più,
    ed a resistere anche quando ormai in te non c'è più niente,
    tranne la tua volontà che ripete: resisti.

    Se riesci a parlare con la canaglia
    senza perdere la tua onestà,
    o a passeggiare con i Re
    senza perdere il senso comune.

    Se tanto nemici che amici non possono ferirti.
    Se tutti gli uomini per te contano,
    ma nessuno troppo.

    Se riesci a riempire l'inesorabile minuto,
    con un momento fatto di sessanta secondi,
    tua è la Terra, e tutto ciò che è in essa.
    E quel che più conta:
    sarai un uomo, figlio mio.
    (Rudyard Kipling)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sulla Primavera …

    Primavera classica

    Da i verdi umidi margini
    la violetta odora,
    il mandorlo s’infiora,
    trillan gli augelli a vol.

    Fresco ed azzurro l’aere
    Sorride in tutti i seni:
    io chiedo a’ tuoi sereni
    occhi un più caro sol.

    Che importa a me de gli aliti
    Di mammola non tocca?
    Ne la tua dolce bocca
    Freme un più vivo fior.

    Che importa a me del garrulo
    Di fronde e augei concento?
    Oh che divino accento
    Ha su’ tuoi labbri amor!

    Auliscan pur le rosee
    Chikome de gli arboscelli:
    l’onda de’ tuoi capelli,
    cara, disciogli tu.

    M’asconda ella gl’inanimi
    Fiori del giovin anno:
    essi ritorneranno.
    Tu non ritorni più.
    (Giosué Carducci)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Il piccolo fiume

    C’era una volta, non tanto tempo fa, un piccolo fiume di nome Bèr che scorreva allegro dalla montagna di cristallo fino alla grande pianura. Bèr era un fiume svelto e luccicante, amico degli uomini e dei bambini che d’estate andavano a fare il bagno nelle sue acque fresche. Bèr era molto amico anche dei contadini ai quali dava volentieri un po’ della sua acqua per irrigare i campi e per innaffiare gli orti.
    Un giorno nella pianura arrivarono degli uomini cattivi e prepotenti che cominciarono a buttare nell’acqua del fiume ogni schifezza possibile e immaginabile: detersivi, plastica, acido, vernice, cemento, mobili, frigoriferi e biciclette.
    Bèr non riusciva più a respirare. I bambini non potevano più andare a giocare sulle rive, figuriamoci poi fare il bagno! I pesci che da tempo vivevano nelle sue acque cominciarono a morire. La frutta, la verdura e tutti i prodotti dei campi irrigati con quell’acqua sporca facevano venire il mal di pancia a chi li mangiava. Insomma per Bèr attraversare la pianura era diventato un vero incubo. Piangeva sempre ma nessuno poteva vedere le sue lacrime in mezzo all’acqua e nessuno poteva sentire i suoi lamenti perché tutti dovevano stare chiusi in casa dalla gran puzza che c’era.
    I contadini, preoccupati, si erano rivolti alle autorità, spiegando che se non si fossero presi subito dei provvedimenti in poco tempo non ci sarebbe stato più niente da mangiare e neanche da bere. “Per irrigare i campi stiamo usando l’acqua del rubinetto, quella che serve per bere e per lavarsi, ma non può durare per sempre, prima o poi finirà anche quella e allora come faremo? Mangeremo la plastica? Berremo la vernice?”. Ma quelli niente, non volevano proprio capire.
    Pian piano i contadini abbandonarono i campi e tutto intorno a Bèr gli uomini prepotenti costruirono dei palazzi altissimi con dei garage enormi per metterci le auto. Durante un autunno particolarmente piovoso le acque di Bèr si erano ingrossate a tal punto da rompere gli argini e inondare tutta la pianura. L’acqua puzzolente invadeva le strade, i negozi e le cantine dei palazzi. Le auto galleggiavano nelle strade e nei garage. La gente scivolava, cadeva in quella melma scura e non riusciva più a pulirsi. Ma ciò che più preoccupava le autorità era il crollo della strada che impediva ai camion che portavano il cibo di arrivare nella pianura. E intanto continuava a piovere.
    Dopo tanti giorni di pioggia Bèr cominciava a sentirsi meglio, più pulito. Quando finalmente un pallido sole era apparso in cielo, le sue acque riflettevano la luce facendolo brillare tutto. Appena le acque si ritirarono un po’, i bambini andarono subito vicino agli argini a giocare mentre i loro genitori stavano ancora cercando di pulire le strade dal fango. Quando gli uomini arrivarono con i camion per buttare nel fiume tutta la sporcizia che avevano raccolto nelle strade i bambini cominciarono a urlare: “Eh no! Adesso basta! Lasciatelo stare!”.
    Attirate dalle urla dei bambini, tutte le persone della pianura si avvicinarono al fiume per vedere cosa stesse succedendo. Bèr scorreva più lucente che mai, era uno spettacolo.
    Gli uomini restarono incantati a guardarlo per un po’, poi decisero che non lo avrebbero riempito di schifezze un’altra volta, anzi non l’avrebbero fatto mai più. “Lo ripuliremo per bene e chiunque oserà buttare ancora immondizia nell’acqua sarà arrestato!”- Disse il sindaco. Ora Bèr scorre felice nella pianura vicino alle case dei bambini e forse, con un po’ di pazienza, qualche pesce deciderà di fidarsi ancora degli uomini e tornerà a sguazzare nelle sue acque.

    (Medina Lariana e Gabriele Gesiotto)



    ATTUALITA’


    Cannes 2015, Palma ad Audiard per Dheepan. Italia senza premi.

    Vincent Lindon miglior attore, migliore attrice ex aequo Rooney Mara e Emmanuelle Bercot. Jacques Audiard per Dheepan vince la Palma d'Oro del 68/o Festival di Cannes. L'Italia resta a bocca asciutta: il Palmares del Festival di Cannes 2015 non contempla alcun premio per il nostro cinema, nonostante i tre film in concorso: Il racconto dei racconti - Tale of tales di Matteo Garrone, Mia madre di Nanni Moretti e Youth - La giovinezza di Paolo Sorrentino.

    Solo poche parole per liquidare la sconfitta dell'Italia al Festival di Cannes stasera da parte dei fratelli Coen: "non avevamo premi per tutti" dicono Ethan e Joel Coen, presidenti di giuria, mentre una parola favorevole per Mia madre di Nanni Moretti, arriva dall'attrice Rossy de Palma; "mi ha molto impressionato l'interpretazione di Giulia Lazzarini''.

    "Cannes è un grande Festival anche quando gli italiani non vincono. Un dovere essere qui: Francia e Italia sono insieme il cinema europeo". E' il tweet fatto dal ministro Dario Franceschini alla fine della cerimonia di premiazione del festival dove i tre registi italiani in concorso, Nanni Moretti, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, non hanno ottenuto alcun premio.

    Grand Prix a Laszlo Nemes - L'ungherese Laszlo Nemes per Il figlio di Saul vince il Grand Prix speciale della giuria del 68/o Festival di Cannes.
    Migliore regia a Hou Hsiao-Xsien - Il regista cinese Hou Hsiao-Xsien per The assassin, vince il premio per la migliore regia del 68/o Festival di Cannes.
    Miglior attore è Vincent Lindon - Vincent Lindon per la Loi du marchè vince il premio per la migliore interpretazione maschile del 68/o Festival di Cannes.

    Premio della Giuria a The Lobster - The Lobster del regista greco Yorgos Lanthimos vince il premio della Giuria del 68/a Festival di Cannes.

    Migliore attrice ex aequo Mara e Bercot - Rooney Mara per Carol e Emmanuel Bercot per Mon Roi, ex aequo il premio per la migliore interpretazione femminile del 68/o Festival di Cannes.

    Migliore sceneggiatura a Franco per Chronic - Michel Franco per Chronic vince il premio per la migliore sceneggiatura del 68/o Festival di Cannes. E' anche il regista del film.

    Camera d'or a La tierra y la sombra di Acevedo - La Tierra y la sombra del colombiano Cesar Augusto Acevedo vince la Camera d'Or del 68/o Festival di Cannes per l'opera prima. (Ansa)





    Eurovision: vince la Svezia, Italia 3/a con Il Volo.

    A Vienna primo lo svedese Mans Zelmerlow, seconda la russa Polina Gagarina. La Svezia ha vinto sabato sera la 60/a edizione dell'Eurovision Song Contest, alla StadtHalle di Vienna: Mans Zelmerlow, tra i favoriti della vigilia, ha trionfato sulle note di 'Heroes'. Al secondo posto la Russia, con la biondissima Polina Gagarina ('A million voices'). L'Italia deve accontentarsi del terzo gradino del podio conquistato dal Volo: il trio composto da Ignazio Boschetto, Piero Barone e Gianluca Ginoble ha proposto Grande amore, il brano vincitore dell'ultimo Festival di Sanremo.

    Il bel Mans Zelmerlow ha preso il largo già a metà gara, aggiudicandosi la vittoria con ben 365 voti. Alle sue spalle è stato testa a testa tra la russa Gagarina, che ha raccolto 303 preferenze, e il trio del Volo, ambasciatore del pop lirico nel mondo, che ne ha avute alla fine 292. La Svezia eredita lo scettro dell'Austria, che aveva vinto la scorsa edizione con la drag queen barbuta Conchita Wurst, e si aggiudica il diritto di ospitare l'Eurovision 2016. In Italia la serata è andata in onda in diretta su Rai2. Circa 200 milioni i telespettatori collegati in tutti i Paesi.
    (Ansa)





    India: caldo killer, bilancio sale ad almeno 500 morti.

    Altri 165 decessi ieri in Andhra Pradesh e Telengana. L'ondata di caldo secco che ha colpito l'India del nord e del sud est ha causato altre 165 morti ieri portando in bilancio totale a circa 500 vittime. Lo riferisce il Times of India. La morsa della calura, con punte di oltre 47 gradi, continua a perseverare negli stati sud orientali dell'Andhra Pradesh e Telangana dove si registrano la maggior parte dei decessi. Ma anche in altre parti dell'India settentrionale la colonnina di mercurio ha toccato nuovi record come in Uttar Pradesh e in Orissa. I meteorologi indiani prevedono altri tre giorni di tempo stabile senza diminuzioni significanti delle massime. Disagi anche nella capitale New Delhi dove decine di pazienti sono finiti in ospedale per collassi causati dall'esposizione prolungata al sole. Secondo i medici il caldo estremo innesca una 'combustione interna" delle cellule che provoca lo spegnimento del cervello.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Youth - La giovinezza




    locandina


    Un film di Paolo Sorrentino. Con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda. [/color][/size][/font]


    Sorrentino torna a trovare la profondità, la leggerezza ma anche la concentrazione che permettono al film di levitare.
    Giancarlo Zappoli


    Fred e Mick sono due amici da moltissimo tempo e ora, ottantenni, stanno trascorrendo un periodo di vacanza in un hotel nelle Alpi svizzere. Fred, compositore e direttore d'orchestra famoso, non ha alcuna intenzione di tornare a dirigere un'orchestra anche se a chiederglielo fosse la regina Elisabetta d'Inghilterra. Mick, regista di altrettanta notorietà e fama, sta invece lavorando al suo nuovo e presumibilmente ultimo film per il quale vuole come protagonista la vecchia amica e star internazionale Brenda Morel. Entrambi hanno una forte consapevolezza del tempo che sta passando in modo inesorabile.
    Paolo Sorrentino era atteso al varco con questo film che arriva dopo l'Oscar de La grande bellezza e la sua estetica così personale tanto da aver diviso critica e pubblico in estimatori e detrattori molto decisi. Per di più il regista tornava in competizione a Cannes dove solo due anni fa la giuria non aveva degnato del benché minimo riconoscimento il film ricoperto successivamente da molteplici allori. Il rischio maggiore però, che era più che lecito paventare da parte di chi amava il suo cinema ma non era impazzito di gioia dinanzi al suo ultimo lavoro, era quello di ritrovare un Sorrentino ormai divenuto manierista di se stesso. Il trailer del film seminava più di un indizio in tal senso ma, fortunatamente, i trailer non sono i film. Perché il Sorrentino regista è tornato a confrontarsi con il Sorrentino sceneggiatore. Se entrambi avevano deciso di convivere senza intralciare il lavoro dell'altro dando così luogo a ridondanze e compiacimenti oltremisura, in questa occasione l'uno non ha concesso all'altro (e viceversa) più di quanto fosse giusto concedergli. Ne è nato così un film compatto a cui non nuocciono neppure le molteplici sottolineature del finale. Perché questa volta il modello di Sorrentino torna ad essere se stesso, senza più o meno consci confronti con i maestri che, anche quando citati, vengono metabolizzati nel suo universo creativo. Non mancano anche qui personaggi più o meno misteriosi che appaiono e scompaiono e a cui ora è comunque lo spettatore a poter assegnare la valenza simbolica che preferisce. Perché Fred e Mick sono persone che sono state personaggi nella loro vita ma che su questo schermo tornano a presentarsi come persone. Con le loro angosce, con le loro attese, con i loro segreti e, soprattutto, con la consapevolezza di una memoria destinata a perdersi nel tempo come le lacrime del Roy Batty bladerunneriano.
    Sorrentino non ne fa due vecchie glorie più o meno coscienti delle proprie attuali forze fisiche e intellettuali ma offre loro anche i ruoli di genitori che conoscono luci ed ombre di un'arte altrettanto difficile: quella che i figli pretendono che venga esercitata nei loro confronti, non importa in quale età essi si trovino. In tutto ciò, ci si può chiedere, che ruolo viene assegnato alla giovinezza del titolo? Quello di specchio riflettente (e deformante al contempo) di passioni, desideri, fragilità. Su tutto questo e su molto altro ancora Sorrentino torna a trovare la profondità, la leggerezza ma anche la concentrazione che permettono al film di levitare. Chi lo vedrà capirà il senso del verbo.




    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    Si può deviare un fiume dal suo corso,
    non farlo risalire alla sorgente.
    (Georges Braque)


    HUANG HE, IL FIUME GIALLO


    Il Fiume Giallo è chiamato "la culla della civiltà cinese", perché scorreva nella regione più prospera della storia cinese. Tuttavia, dati i frequenti alluvioni devastanti e cambiamenti di rotta prodotti dal continuo innalzamento del suo letto, si è anche guadagnato i nomi poco invidiabili Sorrow della Cina e Flagello dei Figli di Han.
    Lungo 4.845 km, lo Huang He ha un bacino di 770.000 km2, sproporzionato alla lunghezza, ma bisogna tener conto che attraversa regioni aride, dove il bacino si restringe moltissimo. Lo Huang He si apre la strada fra alte terre e montagne e ha un corso molto tortuoso.
    Le sue sorgenti sono sulle pendici nordorientali dei Monti Kunlun, al margine del Tibet, non molto lontano dall'alto corso del Fiume Azzurro. Pochi chilometri dopo le sorgenti, il fiume forma due laghi e scorre per qualche centinaio di chilometri in direzione est e sud-est, aggirando i Monti Anyemaqen. Qui piega di colpo a nord-ovest, quasi ripercorrendo a ritroso la distanza coperta nel primo tratto. Sempre incassato fra le montagne, compie poi una nuova curva in direzione est, riceve il primo affluente importante (Huang Shui) e, dopo la città di Lanzhou, piega a nord e nord-est.
    Costeggiata a lungo la Grande Muraglia, con cui quasi intreccia il suo corso, il Fiume Giallo la supera decisamente e si inoltra a nord, lungo il fianco occidentale dell'arido altopiano di Ordos, dove si carica del löss. Per aggirarlo, si spinge verso la Mongolia e il Gobi, in un'area desertica in cui solo le sue acque, con quelle di pochi fiumi stagionali e di qualche oasi, consentono la sopravvivenza degli insediamenti umani, compresa qualche grande città, come Baotou.
    Ripassa la Grande Muraglia e raggiunge i Monti Qinling. Poco prima riceve, in successione, i tre principali affluenti: Fenho da sinistra, Luo e Wei He da destra. Per incunearsi tra i Qinling e le colline dello Shanxi, il fiume compie una netta svolta verso est, arrivando a sboccare finalmente nel Bassopiano Cinese, nei pressi di Luoyang. Qui il Fiume Giallo diventa navigabile, ma solo per piccole imbarcazioni. Superata la città di Zhengzhou, infine, il corso volge a nord-est e attraversa lo Shandong, con un letto largo e non più tortuoso, anche perché è stato regolarizzato. La foce è un vastissimo delta paludoso che si allunga nel Golfo di Bo Hai.
    Le province di Hebei e Henan derivano il loro nome dal fiume Giallo. I loro nomi significano rispettivamente "nord del fiume" e "sud del fiume".
    Il Fiume Giallo deve il nome al fatto che attraversa un altopiano formato da un materiale finissimo ‒ quasi polvere ‒ giallastro, detto löss; il fiume erode il löss e lo trasporta a valle in quantità enormi, colorandosi di giallo.
    In tutto il basso corso, l'alveo del Fiume Giallo è pensile, soprelevato fino a 10 m, a causa del limo che si è depositato sul suo fondo. Possenti argini fin dall'antichità hanno tentato di impedire gli straripamenti provocati dalle piene estive: ma il Fiume li ha rotti almeno 300 volte, cambiando spesso letto e direzione; solo un secolo e mezzo fa, la foce del fiume era alcune centinaia di chilometri più a sud, non lontano da quella del Fiume Azzurro.
    Le piene del Fiume Giallo hanno provocato distruzioni, ma hanno anche depositato sui terreni allagati il limo: la pianura da Zhengzhou è stata 'costruita' dal Fiume Giallo. Il limo è fertilissimo e i terreni così ricchi hanno attratto popolazioni fin dall'antichità; e la necessità di un'organizzarsi, per difendersi dalle piene o per gestire i canali di irrigazione in una regione poco piovosa, ha portato alla nascita di uno Stato. Si dice che la Cina è nata intorno ai suoi fiumi: e tra questi di certo c'è il Fiume Giallo.

    Il Yu Gong o Tribute di Yu, che risale al periodo degli Stati Combattenti, cita il Fiume Giallo come " un personaggio che è venuto". La prima apparizione del nome 黃河 è nel libro di Han, scritto durante la dinastia Han occidentali.
    Uno dei suoi più grandi nomi è stato il "fiume nero" in Mongolia, in quel tratto l'acqua del fiume è pulita prima, di entrare nel Loess; il nome attuale tra mongoli interni è Ȟatan Gol. In Mongolia si chiama semplicemente il SAR Mörön.
    In Qinghai, il nome tibetano del fiume è "Fiume del Pavone".

    ..storia..


    Prima della creazione delle dighe moderne, il fiume era estrema-
    mente instabile, provo-
    cando numerose inondazioni definite più letali disastri naturali mai registrati. Negli anni, il fiume ha cambiato il suo corso 26 volte, con nove gravi inondazioni storiche.
    La causa dei grandi allagamenti è la grande quantità di un tipo di terreno chiamato loess, sciolto nell'acqua, che si deposita sul fondo innalzando lo scorrere delle acque. Alla fine, l'enorme quantità di acqua che scorre verso il mare, inonda la pianura della Cina settentrionale per trovare un nuovo corso. La Cina, nel tentativo di fermare le alluvioni, ha costruito dighe sempre più alte lungo le sponde provocando inondazione molto gravi dato che quando l'acqua di un fiume rompe la diga, il volume dell'acqua scaricata è maggiore.
    Mappe storiche, riguardanti il periodo primaverile e autunnale durante la dinastia Chin mostrano che il Fiume Giallo ha avuto un corso più a nord rispetto al suo corso attuale. Quando il fiume attraversava Luoyang, scorreva lungo il confine tra Shanxi ed Henan province, per poi proseguire lungo il confine tra Hebei e Shandong prima di sfociare nel Golfo Bohai a Tianjin oggi. Il fiume smise di percorrere questa via nel 602 a.C. cambiando il corso a sud della penisola di Shandong. Il sabotaggio in dighe, canali e bacini diventò una tattica militare, durante il periodo degli Stati Combattenti. Una grande inondazione si verificò durante la dinastia Xin, e un altra è stata registrato nel 70 d.C.
    Nel 923, Tuan Ning ruppe gli argini, inondando 1.000 chilometri quadrati, nel tentativo fallito di proteggere il capitale. Una cosa analoga succese nel 1020 si inondarono le parti inferiori del fiume per proteggere le pianure centrali di Khitai.
    L'abitudine di rompere le barriere si verificò più volte: nel 1034 la città di Henglong divise il corso del fiume in tre, causando un diluvio tra le regioni di Dezhou e Bozhou. La dinastia Song lavorò invano per cinque anni, cercando di ripristinare il ciclo precedente - con più di 35.000 dipendenti, 100.000 reclute, e 220.000 tonnellate di legno e bambù in un solo anno - prima di abbandonare il progetto nel 1041.
    Un'altra alluvione accadde nel 1324, che fece riprendere il corso del fiume a sud di Shandong.
    L'alluvione del 1642 fu causata dal tentativo, del governatore Ming Kaifeng, di utilizzare il fiume per distruggere i moti dei contadini ribelli, che vivevano nelle vicinanze. Ordinò ai suoi uomini si rompere gli argini, ma al contrario distrusse la sua città. La città fu quasi abbandonato fino alla sua ricostruzione, durante il mandato dell'imperatore Kangxi.
    Nel 1851, 1853, o 1855, il fiume tornò a percorrere il suo corso a nord, e l'inondazione causò la ribellione Nien.
    Il Fiume Giallo ha adottato il suo corso attuale dopo l'alluvione del 1897.
    Il 9 giugno 1938, durante la seconda guerra sino-giapponese, nazionalisti di truppe di Chiang Kai-shek sfondarono gli argini vicino al villaggio di Huayuankou in Henan. Lo scopo dell'operazione era di impedire l'avanzata delle truppe giapponesi, seguendo la strategia di "utilizzare l'acqua per sostituire i soldati." L'alluvione inondò un'area di 54 mila chilometri quadrati con migliaia e migliaia di vittime civili cinesi, insieme a un numero imprecisato di soldati giapponesi. L'inondazione impedì all'esercito giapponese di prendere la città di Zhengzhou, ma non impedì di raggiungere il loro obiettivo, catturare Wuhan, capitale provvisoria della Cina al momento.

    ..miti e leggende..


    Si ritiene che la civiltà cinese abbia origine nel bacino del fiume giallo. I cinesi si riferiscono al fiume come "il fiume Madre" e "la culla della civiltà cinese". A volte il Fiume Giallo è poetica-
    mente chiamato il "Muddy Flow". L'idioma cinese "quando il Fiume Giallo scorre chiaro" viene utilizzato per fare riferimento a un evento che non accadrà mai, ed è simile all'espressione inglese "quando i maiali volano".

    Nei tempi antichi, si credeva che il Fiume Giallo nascesse nel cielo come la continuazione della Via Lattea. Una leggenda cinese, racconta che Zhang Qian fu incaricato di trovare la fonte del Fiume Giallo. Dopo aver navigato il fiume per molti giorni, vide una ragazza che tesseva e una mandria di mucche. Chiese alla ragazza dove si trovava, lei gli diede la sua navetta con le istruzioni per tessere. Quando tornò, l'astrologo Yen Chun P'ing riconobbe la navetta di tessitura della ragazza, e inoltre, disse che al momento in cui Zhang ricevette la navetta, vide una stella errante che si interponeva tra la ragazza e le vacche.
    Il controllo delle inondazioni risale intorno al 2200 a.C., quando fu costruito un vasto sistema di dighe, canali di bonifica e serbatoi, contenenti l'acqua in eccesso dalla neve sciolta e consentendo la coltivazione permanente della pianura centrale. La costruzione di questi sistemi precede le testimonianze scritte, quindi la documentazione è circondato da leggende. Si racconta che un leggendario imperatore Yu il Grande, avrebbe coordinato la costruzione di argini. Dopo questa impresa, sarebbe stato sollevato al rango di divinità. La leggenda è perpetrata nella cultura cinese in seguito a un proverbio locale: "Non siamo di pesce grazie a Yu."



    NON È SOLO UN FIUME MA UN DRAGONE. Un pò tigre, un pò leone e un pò serpente, come vuole la tradizione cinese. Si chiama Fiume Giallo, Huang He in cinese. La coda è sul tetto del mondo, sull'altopiano tibetano, da dove sorge. Le fauci invece sono rivolte verso il mar Giallo dove si trova la foce. La sua schiena si inarca attraversando le terre arse del deserto e quelle steppose della Mongolia Interna. Poi taglia gli altopiani argillosi delle terre di loess. Compie una corsa estenuante attraverso città pulsanti, dighe che ne bloccano il corso, campi terrazzati e impianti industriali. Le sue acque scavano valli profonde e si caricano di fango, fango giallo appunto, da cui prende il nome. Fame e sete, lui dispone. Come il limo per il Nilo è ricco di sedimenti. Irriga e disperde humus prezioso sui campi. Non solo: offre da bere a 155 milioni di persone. Lungo 4.850 chilometri, è l'ottavo al mondo. Per i cinesi è "Madre della Cina" e infatti lungo il suo corso è nata la civiltà degli han, l'etnia maggioritaria. Lungo le sue rive sorsero regni, fiorirono imperi, cavalcarono orde di eserciti invasori. Testimonianza è l'esercito di terracotta ritrovato alle porte di Van. Ma per i cinesi il Fiume Giallo è anche la "Disperazione della Cina". Le sue frequenti e catastrofiche inondazioni sono un flagello. Diceva già più di quattromila anni fa il mitico imperatore Yu il Grande: "Tenere a bada il Fiume Giallo vuol dire controllare la Cina".
    (Aldo Pavan- tratto da FIUME GIALLO, L'anima della Cina)


    (Gabry)






    La musica del cuore

    Musica anni 30/40/50


    Nino Taranto



    Nino Taranto (Napoli, 28 agosto 1907 – Napoli, 23 febbraio 1986) è stato un attore, comico e cantante italiano.


    Il teatro

    Esordì tredicenne al Teatro Centrale di Napoli, interpretando quelle che sarebbero diventate le sue specialità: la "canzone in giacca" drammatica e quella da "dicitore" in abito da sera, rivelando le straordinarie doti di caratterista che l'avrebbero reso, per oltre mezzo secolo, uno degli interpreti più amati dal pubblico italiano. Nel 1927 entrò nella compagnia di sceneggiate Cafiero-Fumo e nel 1928 si avvicinò con successo alla sceneggiatura; invitato in tournée negli Stati Uniti, ne tornò con "una pianola a nastro e mille dollari" impiegati per finanziare la sua prima compagnia di varietà, che durò solo quindici giorni e finì nel disastro totale.

    Nel 1933 venne scoperto da Anna Fougez, che lo fece debuttare nella grande rivista, alla quale si sarebbe dedicato fino al secondo dopoguerra, accanto a Wanda Osiris e poi a Titina De Filippo, dando vita a straordinarie macchiette, tra le quali l'indimenticabile Ciccio Formaggio, ritagliato perfettamente su di lui dal duo Cioffi e Pisano: un ometto iellato, tradito e bistrattato dalla fidanzata, la quale per ennesimo gratuito dispetto gli sforbicia la tesa del cappello. Proprio quella paglietta tagliuzzata divenne uno dei simboli della sua comicità ed ispirò alcuni fortunati spettacoli di rivista come Mazza, Pezza e Pizzo e Quagliarulo se ne va, oltre al popolare film Il barone Carlo Mazza di Guido Brignone (1948).

    Si dedicò anche alla prosa costituendo una propria compagnia solo nel 1955 e mettendo in scena, oltre a farse e commedie leggere, i testi dell'amico e maestro Raffaele Viviani, di cui propose fra l'altro L'ultimo scugnizzo (1956) e Don Giacinto (1961), che valorizzarono al meglio la sua intensa espressività. Negli ultimi anni sarebbe tornato con successo al teatro dialettale, soprattutto al fianco di Luisa Conte e del fratello Carlo; suo nipote Corrado è anch'egli attore.

    Il cinema

    Nino Taranto con Ugo D'Alessio e Totò in Totòtruffa 62 di Camillo Mastrocinque (1961)
    Esordì al cinema nel 1938 con Nonna Felicita di Mattoli ma fu stabilmente attivo dal dopoguerra interpretando un centinaio di pellicole, a cominciare da I pompieri di Viggiù sempre di Mattoli (1949), strepitosa carrellata del teatro di rivista. Interprete versatile, ugualmente a suo agio con la paglietta tagliuzzata del macchiettista, con gli abiti dimessi dello sfortunato professore di Anni facili di Luigi Zampa (1953), per cui si aggiudicò un Nastro d'Argento, con i ruoli brillanti di Accadde al commissariato di Giorgio Simonelli (1954), con la commedia di costume di Mariti in città di Luigi Comencini (1957) e con le calibrate prove drammatiche di Italia piccola di Mario Soldati (1957).

    Egli riuscì però ad esprimere appieno la propria vis comica solo al fianco del grande Totò, di cui fu spalla affidabile e devota: dalla complicità di Tototruffa 62 di Camillo Mastrocinque (1961) alla parodia di Totò contro Maciste (1962) di Fernando Cerchio, fino al travolgente Il monaco di Monza di Sergio Corbucci (1963). Dalla metà degli anni sessanta fino al 1971 (anno in cui girò il suo ultimo film), Taranto prese parte, come caratterista d'eccezione, a ben diciannove musicarelli, al fianco di nomi importanti della musica leggera, come Gianni Morandi e Albano Carrisi.

    La radio


    Nino Taranto fu anche uno dei comici in assoluto più presenti alla radio, dove accentuò, più che l'eleganza che lo contraddistingueva sul palcoscenico, la voce duttile e la gioiosa caratterizzazione napoletana. Negli anni cinquanta partecipò a molti dei più popolari varietà radiofonici del momento (Rosso e nero, 1951; Chicchirichì, 1953; L'occhio magico, 1954; Fermo posta, 1956) e condusse Il fiore all'occhiello (1958).

    Interpretò inoltre numerose riviste imperniate sulle gag del "napoletano a New York", come La ninotarantella di Nelli e Mangini (1954, regia di Meloni), Biancaneve e i sette Nini di Verde (1955, diretta da Mantoni) e Chi sarà sarà ancora di Verde (1958, regia di Jurgens); oltre che riviste di tema vario, tra cui Caviale e lenticchie di Scarnicci e Tarabusi (1957), Tarantella di fuoco di Compagnone e Zefferi (1958) e la "fantascientifica" La bellissima époque di Dino Verde (1960), autore tra i più congeniali all'artista.

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    Fu protagonista anche di varie commedie, fra cui Mettiamo le carte in tavola di Giuffré e Ghirelli (1956, regia di Mantoni), Bello di papà di Marotta e Randone (1960, allestita da Giandomenico Giagni) e L'imbroglione onesto del prediletto Viviani (1961, regia di Vittorio Viviani). Graditissimi al pubblico radiofonico, inoltre, i vari "one man show" che presentavano i suoi maggiori successi, da Mostra personale (1958, regia di Giagni) ad Il mio spettacolo: Nino Taranto di Francesco Luzi (1961, regia di Marco Lami), a Paglietta a tre punte (1963).

    Anche gli anni settanta lo videro impegnato in un'intensa attività radiofonica: ospite fisso di molte edizioni del celebre programma Gran varietà, nel 1976 interpretò, per il ciclo Una commedia in trenta minuti, le pièce Piccolo caffè di Bernard, Il signor di Pourceaugnac di Molière e Socrate immaginario di Ferdinando Galiani, tutte dirette da Gennaro Magliulo. Nel 1977 fu tra i conduttori di Un altro giorno e presentò la rassegna di poeti e musicisti partenopei Pagine napoletane, mentre nel 1980 partecipò a La bella bionda di Imbriani (regia di Carlo Di Stefano) e nell'81 tornò ai microfoni per presentare Lezione di farsa, itinerario radiofonico sulla fortuna e sfortuna della comicità plebea diretto da Magliulo.

    La televisione

    Negli anni sessanta accrebbe la sua popolarità con numerose partecipazioni televisive, come il varietà Lui e lei con Delia Scala (1956), seguito da Lui, lei e gli altri (1956), entrambi firmati da Marchesi e Metz, e l'edizione 1964-65 di Canzonissima dal titolo Napoli contro tutti, ma senza abbandonare la radio. Nel 1962 condusse Il cronotrotter, mentre nel 1968 fu l'interprete della rubrica di canzoni e poesie napoletane Cinque rose per Nanninella. Grande successo ebbe la sua partecipazione al varietà televisivo Io, Agata e tu (1970), diretto da Romolo Siena, in cui affiancava con incontenibile verve il cantante Nino Ferrer e la giovanissima Raffaella Carrà; in questo programma ebbe modo di riportare al successo una canzone del suo repertorio macchiettistico, Agata.

    Nel 1974 fu ospite di una puntata del celebre varietà Milleluci, per la regia di Antonello Falqui, dove ripropose, insieme a Mina e Raffaella Carrà, le sue più famose macchiette. Nel giugno 1983, la Rai trasmise al sabato sera un ciclo di tre commedie dirette da Gaetano Di Maio, rappresentate al Teatro Sannazzaro di Napoli, delle quali fu cointerprete insieme a Luisa Conte: Morte di Carnevale, Nu bambeniello e tre San Giuseppe, Arezzo 29. Negli anni successivi le repliche televisive sono state riproposte sia dalla stessa Rai, sia da emittenti private napoletane.
    fonte: wikipedia.org
    foto:repubblica.it
    - fondazione3m.it
    video:youtube.com








    balilcol




    1946: Dove sta Zazà?


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    F1 Monaco, vince Rosberg davanti a Vettel.
    Solo terzo Hamilton dopo un pit stop assolutamente folle. Il tedesco Nico Rosberg, su Mercedes, ha vinto il Gran Premio di Monaco, sesta prova del mondiale di Formula 1, conquistando il suo terzo successo di fila a Montecarlo. Secondo posto sul podio per la Ferrari di Sebastian Vettel, terzo l'altra Mercedes di Lewis Hamilton. Sesto Kimi Raikkonen con la seconda Ferrari. Il quarto posto è andato al russo della Red Bull Daniil Kvyat, mentre il compagno di squadra Daniel Ricciardo ha chiuso quinto. A punti sono andati anche Sergio Perez con la Force India, settimo, Jenson Button (McLaren), ottavo, Felipe Nasr sulla Sauber, nono, e infine, decimo, Carlos Sainz jr (Toro Rosso).

    La svolta del Gp c'è stata con l'ngresso della safety car al 64/o giro, per un incidente al giovane olandese della Toro Rosso, Max Verstappen. Nel tentativo di superare la Lotus di Romain Grosjean, Verstappen l'ha tamponata e ha perso il controllo della sua monoposto, finendo con violenza contro una barriera di protezione. Per sfruttare l'occasione, Hamilton è andato ai box per cambiare le gomme, ma all'uscita si è trovato terzo alle spalle di Rosberg e Vettel.

    Vettel "finale a sorpresa, ottimo risultato"
    "E' stato un finale a sorpresa, noi eravamo lì quando dovevamo esserci. E' stato comunque un ottimo risultato". Così Sebastian Vettel al termine del Gp di Monaco, che lo ha visto secondo alle spalle di Rosberg. "Durante la corsa avevo cercato di fare pressione sul tedesco ma non ci sono riuscito. Poi è entrata la safety e Hamilton si è ritrovato terzo. Nico è ripartito benissimo, io ho cercato di tenere la posizione e per fortuna ci sono riuscito".

    Hamilton "il mio pit stop? Errore da analizzare"
    "Perché il pit stop? Io mi fido del team, se vengo richiamato rientro. Non è stata la scelta giusta, è un errore che dovremo analizzare a fondo. La squadra ha però funzionato benissimo per tutta la stagione, insieme si vince e si perde. Bravi Nico e Sebastian". Più che deluso, ma senza polemica, Lewis Hamilton spiega così la decisione che gli ha fatto perdere un gp di Monaco che fino al 68/o giro aveva dominato. "E' accaduto tutto troppo in fretta - ha detto ancora l'inglese della Mercedes in conferenza stampa -. Era stata una bella corsa fino a quel momento e comunque ho preso buoni punti per il campionato. La vittoria a Montecarlo? Ci riprovo l'anno prossimo".

    Mercedes chiede scusa a Hamilton per pit stop
    Messaggi di scuse su twitter della scuderia Mercedes per Lewis Hamilton, "costretto" a fare un pit stop durante l'ingresso della safety car. La mossa del muretto ha fatto perdere la leadership all'inglese, che si è ritrovato terzo e ha visto vincere il compagno di squadra Rosberg. "Ci scusiamo con Lewis per l'errore, che dovremo analizzare".

    Arrivabene,'noi soddisfatti,loro un pò arroganti
    E' soddisfatto il Team Principal della Ferrari Maurizio Arrivabene per il secondo posto di Sebastian Vettel al Gp di Monaco e anche per il modo in cui è arrivato. Intervenuto ai microfoni di Sky Sport, Arrivabene ha sottolineato che "c'è soddisfazione per questo podio di Vettel. L'abbiamo sentito di nuovo parlare in italiano, sintomo del fatto che per lui un po' di soddisfazione c'è. Lui è molto contento. Certo, noi abbiamo avuto un po' di fortuna, bisogna essere sinceri, però la fortuna la si cerca anche, nel senso che loro sono stati, secondo me, un po' arroganti, pensando di fare un cambio e poi passarci alla grande". "Vettel - ha aggiunto il Team Principal della Rossa - ha guidato "veramente da fenomeno e siamo andati lì noi. Sono contento. Noi pensavamo che facessero un po' di cinema quando sono usciti, quindi siamo stati calmi. Di nuovo Inaki non ha sbagliato assolutamente strategia. Certo loro sono più forti di noi, sono intelligenti, questa volta noi siamo stati più furbi". Arrivabene infine ha rimarcato "lo spirito di squadra" della Ferrari: "peccato per Kimi, però siamo tutti uniti. Quando possiamo, come avevo detto, ci siamo".
    (Ansa)




    Roland Garros, Pennetta e Giorgi, esordio vincente.
    Avanti i big. Esordio oggi per Fognini, Bolelli, Vanni, Errani e Vinci. Esordio vincente per Flavia Pennetta e Camila Giorgi, le due italiane - delle sei in lizza - in campo nella prima giornata del Roland Garros, che ha visto i big, da Federer alla Halep, avanzare senza sorprese al secondo turno. La 33enne brindisina, numero 28 del tennis mondiale, ha battuto per 6-3 5-7 6-1 la polacca Magda Linette, numero 100. In vantaggio per 5-3 nel secondo set e al servizio, Flavia si è fatta rimontare dall'avversaria, che con quattro game di fila si è aggiudicata la frazione. L'azzurra ha poi però riconquistato il controllo, andando a vincere in due ore esatte. Prossima avversaria, la slovacca Magdalena Rybarikova, n. 58, che ha superato per 0-6 7-5 6-3 l'australiana Olivia Rogowska.

    La Giorgi, numero 37 del ranking, si è imposta per 7-5 6-3, in un'ora e 29', sulla tedesca Tatjana Maria, n. 75. Partita di slancio, la 23enne marchigiana si è fatta agganciare sul 5-5 ma ha poi accelerato vincendo il primo set e restando sempre in vantaggio fino alla conclusione del match. Nel secondo turno Camila affronterà la spagnola Garbine Muguruza, n. 21, che ha sconfitto per 6-2 7-5 la croata Petra Martic.

    Tutto liscio per i big all'esordio (nel torneo parigino, secondo Slam della stagione e unico sulla terra rossa, non c'è 'bye' al primo turno per i grossi calibri).

    Tra questi, lo svizzero Roger Federer, numero 2 mondiale, ha regolato per 6-3 6-3 6-4 il colombiano Alejandro Falla; il giapponese Kei Nishikori, n. 5, si è imposto per 6-3 7-5 6-1 sul francese Paul-Henri Mathieu; lo svizzero Stanislas Wawrinka, n. 9, ha battuto per 6-3 6-2 6-3 il turco Marsel Ilhan.

    In campo femminile, 7-5 6-4 della romena Simona Halep, n. 3, alla russa Evgeniya Rodina; 4-6 6-2 6-0 della serba Ana Ivanovic, n. 7, alla kazakha Yaroslava Shvedova; 6-4 6-2 della russa Ekaterina Makarova, n. 9, alla statunitense Louise Chirico.

    Oggi debuttano tre dei sei italiani in lizza alla Porte d'Auteuil: il primo del ranking, Fabio Fognini, n. 29, se la vedrà con il giapponese Tatsuma Ito, n. 108. Simone Bolelli, n. 59, affrontera' il belga Steve Darcis, n. 78; mentre Luca Vanni, n. 103 e proveniente dalle qualificazioni, per la prima volta in tabellone in uno Slam, sarà opposto all'australiano Bernard Tomic, n. 26.

    Martedì toccherà invece ad Andreas Seppi (contro lo statunitense John Isner), Paolo Lorenzi (per lui il lussemburghese Gilles Muller) e Andrea Arnaboldi (contro l'australiano James Duchworth).

    Tra le donne, scendono in campo altre due delle sei italiane al via: Sara Errani, con il numero 17 prima azzurra del ranking, trova la statunitense Alison Riske, n. 47; mentre per Roberta Vinci, n. 42, c'è la francese Alizé Cornet, n. 29. Il giorno seguente debutteranno Karin Knapp (contro la danese Caroline Wozniacki) e Francesca Schiavone (contro la cinese Qiang Wang).
    (Ansa)




    30 anni fa l'Heysel, quando la Coppa fu tragedia e dolore.
    Il 29 maggio 1985 39 tifosi della Juventus morirono prima della finale di Coppa Campioni col Liverpool. TORINO - Alla gioia e alla trepidazione del popolo bianconero per la finale di Berlino si mescola il ricordo più brutto e doloroso: la tragedia dell'Heysel con le sue 39 vittime innocenti di cui proprio in questi giorni ricorre il trentennale. Tifosi juventini - 32 erano italiani - andati a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni bianconera e che invece trovarono una morte orribile nel settore Z dello stadio, travolti dalla furia degli hooligans inglesi ubriachi, schiacciati contro le balaustre o precipitati dalle gradinate, poco prima che iniziasse la finale Juve-Liverpool. Morti, però, anche per l'inadeguatezza dell'Heysel e dei servizi di sicurezza ed ordine pubblico.
    Un ricordo ancora oggi terribile per i parenti delle vittime, per i sopravvissuti, per chi aveva seguito le cariche degli hooligans, il caos e la disperazione dei tifosi che cercavano scampo dagli altri settori dell'Heysel o in tv. Una 'Coppa maledetta' che la Juve aveva inseguito per 30 anni, sfuggita già due volte, nel '73 a Belgrado, dieci anni dopo ad Atene. Un trofeo che oggi molti protagonisti dell'epoca non sentono come un trofeo conquistato, ricordando che in pratica furono obbligati a giocare. Ma ci sono anche tifosi juventini che, al contrario, la considerano un premio alla memoria delle 39 vittime, allineate nelle stanze dello stadio mentre sul campo si consumava la partita più surreale nella storia del calcio europeo, vinta dalla Juventus con un calcio di rigore segnato da Platini. Una partita giocata con un intero spicchio dell'Heysel, senza più tifosi, transennato davanti alle macerie ed alle cose perse dai tifosi nella calca.
    "Non sapevamo cosa era davvero successo, avevamo avuto notizie di un morto, forse due, ma non potevamo immaginare una tragedia così grande", avrebbero detto poi i giocatori bianconeri.
    I neo campioni d'Europa avevano festeggiato sotto la curva dell'Heysel subito dopo il 90', ma il giorno dopo, al rientro a Torino, quando le notizie sulle tragedia erano diventate ufficiali e chiare nella loro drammaticità, ogni traccia di gioia era scomparsa dai loro volti. Sergio Brio, scendendo sulla scaletta dell'aereo, stringeva la Coppa, ma senza esultare.
    All'Heysel il club bianconero aveva consegnato al delegato Uefa Gunther Schneider la nota ufficiale spiegando perché aveva detto sì alla richiesta di giocare comunque: "La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l'animo pieno di angoscia, la decisione dell'Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico".
    Il presidente di allora, Giampiero Boniperti, non ha mai voluto riparlare di quella finale così dolorosa. Neppure per l'attuale massimo dirigente bianconero, Andrea Agnelli, è facile tornare sull'argomento: "Ho sempre fatto fatica a sentire mia quella Coppa - ha detto in occasione del venticinquennale del'Heysel - anche se i giocatori mi hanno sempre detto che fu partita vera". E Marco Tardelli, in un'intervista alla Rai, qualche anno fa ha spiegato e chiesto scusa: "Era impossibile rifiutarsi di giocare, ma non dovevamo andare a festeggiare, l'abbiamo fatto e sinceramente chiedo scusa".
    Le vittime dell'Heysel saranno ricordate a Bruxelles con una cerimonia pubblica e a Torino in una messa alla Chiesa della Gran Madre di Dio, alle 19,30. "La giornata del 29 maggio - sottolinea la società bianconera - sarà dedicata al ricordo da parte di tutti i tesserati Juventus. Per troppi anni quelle 39 vittime - rimarca sul sito ufficiale - sono state oggetto di scherno finalizzato unicamente ad attaccare i colori bianconeri: un'azione vile che non dovrebbe trovare cittadinanza in nessuno stadio ed in nessun dibattito sportivo. Questo anniversario dovrà essere utile anche alla riflessione per evitare che simili comportamenti si ripetano".(Ansa)

    (Gina)



    BALLIAMO!!!




    Milonga





    La milonga è un genere musicale folkloristico della regione del Rio de la Plata, tipico dell'Argentina e dell'Uruguay. Imparentato con il candombe, il tango e la habanera.


    Introduzione
    La milonga è una danza popolare di origine uruguaiano che deriva dalla più comune Habanera, importata dall'America Meridionale agli inizi del XIX secolo, alla quale è stata sostituita il ritmo di 6/8 con uno più semplice e lineare di 2/4. Un ritmo quest'ultimo che si addice molto di più ad una danza da sala rispetto all'habanera anche se, per la loro somiglianza, spesso la milonga veniva chiamata anche l'habanera dei poveri.

    Negli anni a venire però, il tango tolse molta popolarità alla Milonga che venne presto confusa con il tango stesso, da questo deriva la definizione di tango-milonga, cioè un tipo di tango con un adattamento leggermente più veloce e dal ritmo molto più marcato.

    Di questo genere in particolare è interprete uno fra i maggiori ballerini argentini, Rubén Celiberti.

    Origini
    Nacque nei primi anni del XIX secolo nelle case da ballo frequentate da gente povera o comunque non benestante. Per estensione, era usato anche per indicare le donne che lavoravano in queste case da ballo.

    Il vocabolo milonga può significare parola, confusione, litigio. L'origine precisa è incerta e discussa. Si sa, tuttavia, che possiede elementi della musica africana nella sua struttura ritmica e influenze di danze creole ed europee importate nella regione di Buenos Aires attraverso diverse vie, principalmente dal Perú, Spagna, Brasile e Cuba. Succedeva in quell'epoca il fenomeno che si conosce come “de ida y vuelta” (di andata e ritorno) perché i generi viaggiavano dall'America all'Europa e viceversa acquisendo trasformazioni e adattamenti in ogni regione specifica.

    Ha somiglianza con altri ritmi come la chamarrita, il choro, il candombe e la habanera. Si presume che abbia apportato elementi al tango, che dopo prese la forma originale della milonga propriamente come sottogenere.

    La milonga Rosista si considera una delle più vecchie:



    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    L’arte di Francesco.
    Capolavori d’arte e terre d’Asia dal XIII al XV secolo

    dal 31 marzo all' 11 ottobre 2015



    Organizzata dalla Galleria dell’ Accademia, in collabo-
    razione con l’Ordine dei Frati Minori, e ideata scientifi-
    camente con la Commissio Sinica (Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani, Pontificia Università Antonianum di Roma), la mostra si propone di documentare ai massimi livelli qualitativi la produzione artistica di diretta matrice francescana (pittura, scultura, arti suntuarie) dal Duecento al Quattrocento e, nel contempo, di porre in evidenza la straordinaria attività evangelizzatrice dei francescani in Asia, dalla Terra Santa alla Cina, rievocandola anche con oggetti di eccezionale importanza storica e incomparabile suggestione. Tra questi, il corno ritenuto tradizionalmente quello donato al Santo dal Sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil nel 1219 a Damietta (Egitto) in occasione del loro incontro e conservato in Assisi nella Cappella delle reliquie della basilica di San Francesco.
    Occorre sottolineare che i capolavori d’arte sono presentati in mostra non soltanto dal punto di vista della loro iconografia francescana, ma in primo luogo per il fatto di essere il frutto della committenza dei frati francescani, per il tramite delle loro più prestigiose fondazioni chiesastiche e conventuali, nonché per opera di privati cittadini particolarmente devoti del Serafico e dei suoi più diretti seguaci, quali ad esempio, Santa Chiara, San Bonaventura, Sant’Antonio da Padova, San Bernardino. Per la pittura riveste un’importanza fondamentale l’opera di Giunta di Capitino, il primo pittore ufficiale dell’Ordine francescano, la cui influenza si estese nella prima metà del Duecento in vaste aree dell’Italia centrale e fino in Emilia. Il grandissimo artista, il primo pittore ‘nazionale’ della storia dell’arte italiana, ricoprì il ruolo d’interprete della spiritualità francescana che poi sarà assolto da altre due altissime personalità, Cimabue e Giotto. Di particolare interesse si rivela la sezione che ospita alcune fra le più antiche immagini devozionali del santo di Assisi, che tramandano gli episodi più famosi della sua agiografia. Oltre alle celebri tavole cuspidate di Pisa (Museo Nazionale di San Matteo) – oggi riferita dai più a Giunta – e di Firenze (sull’altare della Cappella Bardi in Santa Croce) – attribuita a Coppo di Marcovaldo – sarà presente in mostra quella analoga del Museo Civico di Pistoia e il San Francesco con due storie della sua vita e due miracoli post mortem attribuito a Gilio di Pietro (Orte, Museo Diocesano), restaurata appositamente per l’esposizione.
    Tra gli artisti presenti in mostra figurano anche il Maestro di San Francesco e il Maestro dei Crocifissi francescani, due protagonisti di primo piano della pittura su tavola e in affresco nel corso del XIII secolo. Il vasto pubblico della Galleria fiorentina godrà di una vasta campionatura delle diverse tecniche artistiche e delle tipologie morfologiche: dalle piccole tavole per la devozione privata ai dossali destinati agli altari delle maggiori chiese dell’Ordine, fino ai grandiosi complessi d’altare. Un grande affresco staccato dalla chiesa di San Francesco a Udine di cultura tardogotica introdurrà il visitatore alla straordinaria vicenda umana del Beato Odorico da Pordenone (1286–1331), che intraprese intorno al 1314 un viaggio incredibile, sostenuto dal fervore missionario che lo porterà prima in Asia Minore, per incontrare poi i Mongoli della dinastia Yuan (1279-1368) negli anni 1323-28, e in India. Rientrato in patria dopo un viaggio rocambolesco Odorico riferì al Papa lo stato delle missioni in Oriente in una dettagliata Relatio. La vicenda di Odorico da Pordenone fu solo una delle ultime dell’epopea francescana in Asia orientale, generata dall’impulso stesso dell’azione di Francesco e iniziata nel 1245 con Giovanni da Pian del Carpine, culminata con Giovanni da Montecorvino, consacrato nel 1313 primo vescovo di Khanbaliq (Pechino). Epistolae et relationes, principalmente provenienti dalla Biblioteca Apostolica Vaticana ed esposte nella mostra, riveleranno i segni ancora visibili di quelle missioni guidate da francescani di alto rango, in gran numero legati pontifici “ad Tartaros” per rimediare alla separazione delle chiese orientali, per offrire “al re e al popolo tartaro” i benefici spirituali della dottrina cristiana, per frenare le ulteriori aggressioni mongole ai danni delle cristianità e tentare di contenere con un’alleanza l’irruenza mussulmana in Terra Santa. Altrettanto significativo ed essenziale è il nucleo di attestazioni (documenti d’archivio e reperti archeologici), proveniente dal Museo della Custodia di Terra Santa (Gerusalemme) e dal Museo della Basilica dell’Annunciazione di Nazareth, che illustra il contesto artistico in cui si trovarono ad operare i Francescani. E proprio la ricchezza e varietà delle tradizioni religiose dell’Asia oltre la Terra Santa, e sino alla Cina – fra tutte le comunità cristiane siro-orientali o nestoriane e il buddhismo – sono documentate in mostra da un nucleo di Croci nestoriane in bronzo fuso, risalenti al periodo della dinastia Yuan (1272-1368), appartenenti alla prestigiosa raccolta dello University Museum and Art Gallery di Hong Kong, legate alla coeva presenza francescana in Cina.
    Tornando ai capolavori d’arte ispirati dall’impulso di Francesco specialmente in ambito italiano, nel corso della prima metà del Trecento si colloca l’attività di uno dei più grandi pittori dell’epoca, il Maestro di Figline, che quasi certamente fu un membro dell’Ordine francescano, uno dei seguaci più alti e originali della cultura giottesca, largamente attivo non solo su tavola e in affresco, ma anche nella decorazione di vetrate dipinte.
    Anche in piena epoca rinascimentale la committenza dell’Ordine francescano produrrà effetti di rilevanza straordinaria, avvalendosi dei massimi artisti del tempo, quali Carlo Crivelli, Antoniazzo Romano e Bartolomeo della Gatta. Non meno importante e ricco di capolavori si presenta il versante della scultura di origine francescana, che annovera personalità del calibro di Nicola Pisano, Nino Pisano, Domenico di Niccolò dei Cori e Andrea Della Robbia. Vertici di preziosità assoluta sono raggiunti poi nel campo delle cosiddette arti minori, con alcuni eccezionali vetri dipinti e graffiti e una selezione di manoscritti miniati di eccezionale importanza.
    La mostra si ricollega strettamente alla vasta e celebre raccolta di pittura antica della Galleria dell’Accademia, di cui fa parte il ciclo composto da una lunetta e da ventidue formelle quadrilobate raffiguranti le storie parallele di Cristo e di San Francesco, l’alter Christus, opera di Taddeo Gaddi, provenienti dalla sacrestia della basilica francescana di Santa Croce a Firenze. L’esposizione presenterà inoltre una delle due formelle conservate nella Alte Pinakothek di Monaco di Baviera, segnatamente quella con la Prova del fuoco davanti al sultano, che sarà riunita per la prima volta al complesso di provenienza. La mostra, come il catalogo edito da Giunti, è a cura di Angelo Tartuferi, Direttore della Galleria dell’Accademia, e di Francesco D’Arelli, Direttore scientifico della Commissio Sinica ed è promossa da: il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con il Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Toscana, la Ex – Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, la Galleria dell’Accademia, Firenze Musei, insieme all’Ordine dei Frati Minori, la Custodia di Terra Santa, la Commissio Sinica della Pontificia Università Antonianum.
    (Renzo De Simone, www.beniculturali.it)




    FESTE e SAGRE





    "Torte! A tutti piacciono le torte, le torte hanno gli strati."
    (Ciuchino, dal film Shrek)


    LA STORIA DELLO STRUDEL


    Lo strudel (dal tedesco Strudel = vortice) è un dolce a pasta arrotolata o ripiena che può essere dolce o salata, ma nella sua versione più conosciuta è dolce a base di mele, pinoli, uvetta e cannella. E' originario delle aree dell'Impero Bizantino. Fu dal 1526 che il sultano Solimano avrebbe diffuso la ricetta nell'area, sconfiggendo gli Ungheresi e iniziando i quasi duecento anni di dominazione ottomana. L’evoluzione del “baclava” in strudel avvenne con l’introduzione tra gli ingredienti delle mele, quasi del tutto assenti in Turchia, ma molto popolari nell’area magiara. Con la conquista dell’Ungheria da parte dell’Austria (1699) lo strudel fece il suo ingresso trionfale a Vienna per arrivare poi nelle Tre Venezie. In Italia tradizionalmente viene preparato nei territori un tempo compresi nell'Impero, principalmente Alto Adige, Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia.
    Ogni luogo ha poi la sua ricetta: con la pasta frolla, con pasta da strudel o con pasta sfoglia. Ne esistono diverse versioni con altra frutta: pere, albicocche, frutti di bosco; nella formula salata, ad esempio con verdure, crauti e salumi.

    La versione dolce dello strudel sembra risalire al VIII secolo a.C.; un dolce destinato alla corte dell’imperatore assiro venne descritto in un testo di cucina mesopotamico come una composizione a strati di noci tritate, miele e sottili sfoglie di pane non lievitato. Dolci simili si trovavano anche nella antica tradizione greca, come una torta di noci detta "gastris" citata nel Deipnosophistae nel III secolo a.C., e nella cucina Bizantina, poi ereditata da Ottomani e Turchi, come il güllaç, un dolce di sfoglia bagnata nel latte e servito con noci e melagrana. Il güllaç vie descritto da un medico turande, Y inshan Zhenyao, che viveva alla corte mongola nel 1330 d.C. Probabilmente non è solo merito dei mercanti Arabi e dei viaggiatori che, lungo la Via della Seta, portavano tra Asia ed Europa Orientale merci, conoscenze e tradizioni, ma è anche all’etnia turanide che questo dolce si è diffuso dalla Mesopotamia di Assurbanipal fino alla Turchia.

    Col passare delle epoche, ha assunto forme e nomi diversi a secondo il luogo, si perfezionò nelle cucine di corte del Topkapi ed assunse il nome di "baklava", che sembra significhi “arrotolato su se stesso” nella lingua mongolo/turca, o “noci/semi” se di origine araba. Nella sua forma attuale l’antico dolce di origine assira consiste in una serie di strati di pasta fillo e frutta secca, tagliati a losanghe o arrotolati a piccoli sigari, cotti in forno e imbevuti di sciroppo.
    Gli ingredienti base sono sempre acqua, farina e un poco di grasso, come la pasta matta - come spiega Artusi: "si chiama matta non perché sia capace di qualche pazzia, ma per la semplicità colla quale si presta a far la parte di stival".

    Con le guerre ottomano-asburgiche tra il XVI ed il XIX secolo, le truppe turche incontrarono l’Europa Orientale.I continui contatti tra le due culture portarono inevitabilmente anche conseguenze positive nello scambio gastronomico.
    Gli Ungheresi trasformarono il dolce turco in una versione arrotolata con ripieno, da bocconcino grande come un dito diventò un unico grosso dolce; esclusero i sciroppi e cominciarono a sperimentare sfoglie sottili e farciture differenti con i loro prodotti locali, che comprendevano le noci, ma anche mele, castagne, semi di papavero, prugne, amarene, albicocche, uva passa e formaggina. Da qui nacquero molti dolci tipici ungheresi come i beigli e le rétes, il vero e proprio “strudel ungherese”, ma anche specialità salate a base di zucca, rape o cavoli.
    Con il ritorno dell’Ungheria sotto l’Impero Austriaco, il dolce venne conosciuto anche a Vienna, dove fu denominato strudel ovvero “vortice” e fu preparato, secondo il gusto dell’Impertore, con una sfoglia molto sottile. Ben presto lo strudel entrò ufficialmente a far parte della tradizione gastronomica austriaca, con le molte varianti locali: l’Apfelstrudel viennese con mele e uvetta, il Topfenstrudel di Osttirol e Carinzia che aggiunge alla farcia del viennese panna e formaggio, lo strudel tirolese alle ciliegie, quello styriano con uva e mandorle, quello di Ebensee farcito di pane ammollato nella panna acida, uova e uva passa…
    (tratto liberamente da un articolo "Da Assurbanipal a Maria Teresa d’Austria: il lungo viaggio dello strudel" di Annalena De Bortoli, www.mtchallenge.it/)

    (Gabry)





    RITI E TRADIZIONI DEGLI SPOSI!!!




    Il salto della scopa, una tradizione dei matrimoni afro-americani




    Saltare la scopa è una tradizione molto diffusa nei matrimoni afro-americani. Compiere questo gesto significa per gli sposi spazzare letteramente via il vecchio e festeggiare il nuovo. Nacque ai tempi della schiavitù quando uomini e donne inventarono questo semplice rito per unirsi in matrimonio.

    Se desiderate far vostra questa tradizione oggi vi spieghiamo in breve di cosa si tratta. I momenti più appropriati per compiere questo gesto sono alla fine della cerimonia oppure durante il ricevimento. Gli ospiti, generalmente, si riuniscono intorno agli sposi per celebrare il momento e tra questi viene scelto un narratore che possa illustrare la storia di questa tradizione e perché gli sposi abbiano deciso di farla loro.

    Mentre in narratore racconta la storia, gli sposi dovranno spazzare metaforicamente il vecchio che li circonda ed essere pronti ad accogliere il nuovo (compiendo il gesto di spazzare per terra). Successivamente gli ospiti contano fino a 3 e gli sposi poi saltano insieme sulla scopa.


    (Lussy)






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    Salute e benessere




    TERME DI RAFFAELLO


    Un tuffo nel benessere ma anche nella Storia: tra le acque della fonte “La Valle” venivano a rilassarsi e a curarsi Cavalieri e Dame di Corte dell’epoca del Rinascimento e, tra loro, anche il pittore Raffaello, dal quale prende il nome l’attuale stabilimento termale. L’ambiente circostante basterebbe da solo a curare l’anima oltre il corpo: le Terme di Raffaello si trovano infatti a Petriano, una cittadina che sorge su un colle sul versante destro del fiume Apsa, immersa tra verdi colline, in un contesto naturale integro e salubre. E ad appena dieci chilometri c’è Urbino, la “città ideale del Rinascimento”, che conserva alcune delle più belle testimonianze artistiche ed architettoniche del nostro Paese.

    Un po’ di storia...


    Le proprietà curative delle acque che sgorgano dalla fonte “La Valle” sono note fin dal XV e XVI secolo e sembra che, oltre ai cavalieri della corte Feltresca, tra i suoi estimatori ci fosse anche il pittore Raffaello Sanzio. Tanti e tali erano i benefici dei quali godevano i suoi frequentatori, che la fama della sorgente crebbe negli anni anche in mancanza di qualsiasi supporto medico-scientifico che ne attestasse le proprietà. Solo nel 1800, il Prof. Angelo Agrestini studiò e indicò l’efficacia curativa dell’acqua che da lui prese il nome di “Agrestiniana”, poco prima che tra le colline di Petriano nascesse il primo stabilimento termale “dell’acqua Agreste”che avrebbe poi mutato il nome in omaggio al suo ospite più illustre.



    L’acqua termale

    L’acqua Agrestiniana, alla base di tutti i trattamenti offerti dalle Terme di Raffaello, è considerata unica al mondo per le sue proprietà terapeutiche, grazie ad una elevatissima concentrazione di minerali e per la percentuale sulfurea che è tra le più alte d’Italia.

    Le acque sgorgano dalla terra ad una temperatura di 14 gradi con una concentrazione d’idrogeno solforato pari a 108 milligrammi per litro, utile per aumentare le difese dell’organismo, per riprodurre anticorpi in grado di fronteggiare diverse patologie organiche e con qualità antinfiammatorie, favorendo la rigenerazione e la crescita delle cellule della pelle e delle mucose. Oltre che curativo, l’effetto delle acque è anche rilassante, analgesico e sedativo grazie al solfato unito al calcio bicarbonato e al magnesio.
    Le caratteristiche dell’acqua la rendono particolarmente consigliata per coloro che soffrono di affezioni, siano esse croniche o episodiche, come raffreddori, bronchiti, enfisema polmonare, sinusiti, tonsilliti, faringiti e laringiti e forme di sordità dell’orecchio dovute ad infiammazioni.
    L’alta presenza, oltre che di solfato bicarbonato anche di altri minerali come il sodio, il magnesio, l’anidride carbonica e il potassio rendono l’acqua Agrestiniana in grado anche di eliminare le sostanze tossiche, di produrre energia, di ridurre lo zucchero in eccesso nel sangue e contribuire al buon funzionamento dell’intestino.


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    Lo stabilimento termale

    Le Terme di Raffaello, aperte tutto l’anno, sono state completamente ristrutturate nel 2000 e comprendono, oltre alle classiche cure termali, anche un Centro Benessere con Palestra, un reparto di Medicina Estetico-Termale e, dal settembre 2005, una grande piscina coperta di Acqua Termale, con un ampio lucernario e percorsi rivitalizzanti, particolarmente utili per le flebopatie e i problemi circolatori degli arti inferiori. Tra i trattamenti praticati nelle Terme ci sono le cure inalatorie, indicate per tutte le forme di infiammazione delle vie respiratorie, il trattamento della sordità rinogena, la fangoterapia, praticata con fango maturato in acqua termale, per artrosi, artriti e postumi di traumi, la balneoterapia per il trattamento di artrosi, disfunzioni circolatorie, celluliti, esiti di traumi, lussazioni, allergie, psoriasi e la massoterapia, complementare a fanghi e bagni, per artrosi, reumatismi, postumi traumatici e malattie dell’apparato nervoso e di quello circolatorio. All’interno delle Terme, inoltre, è in funzione un programma di riabilitazione motoria, particolarmente indicata per chi pratica attività sportiva, che unita al riequilibrio dell’intero organismo dovuta alle cure termali, consente un ottimo recupero funzionale. Il Centro Benessere Termale, nel complesso, offre diverse opportunità per restituire bellezza e salute al viso e al corpo con fanghi termali, peeling al sale termale, docce termali, idromassaggi e massaggi agli olii essenziali, sedute sotto lampade a infrarossi che aiutano l’assorbimento dei principi attivi dell’acqua termale. Tra le novità introdotte, oltre alla piscina termale coperta, vi è un ciclo di cura dei postumi di flebopatie di tipo cronico e un programma di attivazione vascolare.


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    FANGOBALNEOTERAPIA
    Il fango utilizzato alle Terme di Raffaello ha subito un lungo processo di maturazione ed è ricco di preziosi “oligoelementi”; viene applicato a 44-45°C sulle articolazioni per uno spessore di circa 3-5 cm. Alla seduta di fangoterapia seguono una doccia di annettamento ed un bagno effettuabile in vasca singola con o senza l’idromassaggio o nelle piscine termali a temperatura differenziata.
    Al termine della seduta fango-balneoterapica il paziente viene fatto stendere su un lettino per la reazione, con l’accensione di apposite lampade a raggi infrarossi (brevetto Riccione Terme).
    I raggi infrarossi per la loro specifica lunghezza d’onda, annoverano tra le loro proprietà un effetto miorilassante e decontratturante. La capacità che l’infrarosso ha di sviluppare calore è alla base dell’azione antinfiammatoria e rigenerante ottenuta con le nostre lampade sulla cute e sull’apparato osteo-articolare al termine della seduta fangobalneoterapica.
    È obbligatorio un ecg recente (max 90 gg antecedenti la data della visita).


    DIAGNOSI IN CONVENZIONE

    • Osteoartrosi ed altre forme degenerative
    • Reumatismi extra-articolari
    • Artrite reumatoide in fase di quiescenza
    • Artrosi
    • Cervicalgie di origine reumatica
    • Discopatia senza erniazione
    • Esiti di interventi per ernia discale
    • Esiti di reumatismo articolare
    • Osteoartrosi
    • Periartrite scapolo-omerale
    • Fibromialgia

    Il ciclo comprende:
    • Visita medica d’ammissione
    • 12 fanghi + bagni terapeutici

    Turismo nei dintorni

    L’impianto urbano di Petriano, ove si trovano le Terme di Raffaello, è una struttura medioevale fortificata, la cui storia è intimamente legata a quella della vicina Urbino. Ad appena 10 chilometri c’è infatti quella che è stata definita la “città ideale del Rinascimento”, gioiello di architettura ma anche custode di tanti capolavori dell’arte: accanto al Palazzo Ducale, vi è infatti la Galleria Nazionale delle Marche che ospita dipinti, tra gli altri, di Raffaello, Piero della Francesca e Tiziano. Da vedere, inoltre, le diverse Chiese dai portali gotici e il Duomo neoclassico.
    A 28 chilometri da Petriano, affacciata sul mare, c’è invece Pesaro, la città natale di Gioacchino Rossini, al quale è dedicato il “Rossini Opera Festival”, l’appuntamento più importante di una ricca stagione di eventi artistici, culturali e folkloristici. Da vedere le Chiese di S. Domenico e S. Agostino, il S. Giovanni Battista di Gerolamo Genga e il Palazzo Ducale. Poco distante dalla città, meritano una visita i castelli di Novilara e Candelora.
    Per gli appassionati di trekking o più in generale per chi ama vivere all’aria aperta, le colline di Montefeltro, sui quali sorge Petriano, offrono diversi percorsi ed itinerari che possono essere interrotti da una sosta nelle numerose trattorie dei dintorni, ove gustare i caratteristici cappelletti, i ravioli, gli gnocchi e soprattutto i funghi, qui particolarmente rinomati per il loro aroma.



    da: benessere.com




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    Luogo di cure e di riposo del famoso pittore rinascimentale

    Le terme di Raffaello ci ricordano - già dal nome - come fossero luogo frequentato da Raffaello, il famosissimo pittore Rinascimentale, appassionato utilizzatore del’Acqua Agreste (come allora si chiamava la stazione termale).

    Le acque sgorgano dalla Fonte La Valle, che fuoriesce dalla terra alla temperatura di 14° gradi, a composizione sulfurea. Petriano - la cittadina che ospita le Terme di Raffaello - sorge su un colle, sulla riva destra del fiume Apsa, in un contesto naturale ancora incontaminato.

    A soli 10 chilometri si trova Urbino la”città ideale del Rinascimento” dove, accanto allo splendido Palazzo Ducale, è da visitare la Galleria Nazionale delle Marche che ospita dipinti di Raffaello, Tiziano e Piero della Francesca. A meno di 30 chilometri c’è anche Pesaro, sul mare, la città di Gioacchino Rossini, a cui è dedicato un importante festival ogni estate, e i vicini castelli di Novilara e Candelora.



    da:network.ok.it
    foto:girlpower.it
    - termespa.it
    - turismo.marche.it
    - termediraffaello.it
    - images.virgilio.it





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    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    « Mamma diceva sempre:
    "La vita è uguale a una scatola di cioccolatini...
    ...non sai mai quello che ti capita!"


    FORREST GUMP

    Titolo originale Forrest Gump
    Lingua originale Inglese
    Paese di produzione USA
    Anno 1994
    Durata 136 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Rapporto 2,35:1
    Genere commedia, drammatico
    Regia Robert Zemeckis
    Soggetto Winston Groom (romanzo)
    Sceneggiatura Eric Roth
    Produttore Wendy Finerman, Steve Tisch, Steve Starkey
    Casa di produzione Paramount Pictures
    Fotografia Don Burgess
    Montaggio Arthur Schmidt
    Effetti speciali Allen Hall
    Musiche Alan Silvestri
    Tema musicale Forrest Gump Theme o The Feather Theme
    Scenografia Rick Carter, Nancy Haigh
    Costumi Joanna Johnston
    Trucco Daniel Strepeke, Hallie D'Amore, Judith Cory

    Interpreti e personaggi

    Tom Hanks: Forrest Gump
    Robin Wright: Jenny Curran
    Gary Sinise: Tenente Dan Taylor
    Sally Field: signora Gump
    Mykelti Williamson: Benjamin Beauford "Bubba" Blue
    Haley Joel Osment: Forrest Gump, Jr.
    Michael Conner Humphreys: Forrest da bambino
    Hanna R. Hall: Jenny da bambina
    Mary Ellen Trainor: babysitter di Jenny
    Geoffrey Blake: Wesley
    Sonny Shroyer: coach Paul "Bear" Briant
    Sam Anderson: preside Hancock
    Afemo Omilami: sergente istruttore
    Marlena Smalls: signora Blue, madre di Bubba
    Siobhan Fallon: Dorothy Harris, autista dell'autobus
    Tiffany Salerno: Carla
    Marla Sucharetza: Lenore
    Michael Jace: membro delle pantere nere
    Michael Burgess: Cleveland
    Dick Cavett: sé stesso

    Riconoscimenti

    1995 - Premio Oscar
    Miglior film a Wendy Finerman, Steve Starkey e Steve Tisch
    Migliore regia a Robert Zemeckis
    Miglior attore protagonista a Tom Hanks
    Migliore sceneggiatura non originale a Eric Roth
    Miglior montaggio a Arthur Schmidt
    Migliori effetti speciali a Ken Ralston, George Murphy, Stephen Rosenbaum e Allen Hall

    1995 - Golden Globe
    Miglior film drammatico
    Migliore regia a Robert Zemeckis
    Miglior attore in un film drammatico a Tom Hanks

    1995 - Premio BAFTA
    Migliori effetti speciali a Ken Ralston, George Murphy, Stephen Rosenbaum e Allen Hall



    Liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Winston Groom del 1986, il film narra l'intensa vita di Forrest Gump, un uomo dotato di uno sviluppo cognitivo inferiore alla norma, nato negli Stati Uniti d'America a metà degli anni quaranta e, grazie a una serie di coincidenze favorevoli, diretto testimone di importanti avvenimenti della storia americana. Il film spazia su circa trent'anni di storia degli Stati Uniti: Forrest, seduto su una panchina, comincia a raccontare la propria storia, che inizia quando egli stesso era un bambino, mentre si conclude approssimativamente nel 1982. Durante questi anni Forrest conoscerà importanti personaggi della seconda metà del XX secolo come Elvis Presley, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, John Lennon, George Wallace e Richard Nixon, stabilirà un nuovo clima di pace tra Stati Uniti e Cina, diventerà una stella del football e parlerà della guerra del Vietnam a un raduno hippy, senza tuttavia rendersi realmente conto di quanto tutto questo fosse straordinario.

    Il nome Forrest, come spiegato a inizio film, è stato dato dalla mamma in onore a Nathan Bedford Forrest, eroe della guerra di secessione e ritenuto il fondatore del Ku Klux Klan. La madre spiega a Forrest che il suo nome deve ricordargli che "qualche volta facciamo tutti delle cose che, ecco, che non hanno tanto senso" (come racconta Forrest).

    "Lo so che non mi crede se glielo dico,
    ma io corro come il vento che soffia!
    E da quel giorno, se andavo da qualche parte, io ci andavo correndo!"


    TRAMA


    Forrest Gump è un ragazzo dal basso coefficiente di intelligenza. Tutti lo escludono o maltrattano e poi ha una malformazione alle gambe. Ma quando si libera dei sostegni meccanici diventa un corridore, poi un campione di baseball. Prima ha incontrato Elvis e, muovendosi maldestramente, gli ha ispirato certi passi. Forrest, in attesa alla fermata di Savannah, racconta la sua storia a coloro che uno dopo l'altro si siedono vicino a lui in attesa dell'autobus. È stato in Vietnam diventando un eroe, ha stretto la mano a tre presidenti, Kennedy, Johnson e Nixon, ha assistito ai movimenti studenteschi, ha casualmente fatto esplodere il Watergate, ha suggerito le parole di Image a John Lennon e per tutta la vita è stato innamorato di una ragazza conosciuta fin da bambino. Certo, soffrirà come tutti: vedrà la morte di sua madre, del suo grande amico e della ragazza, che rappresenta il rovescio della sua medaglia; inquieta, corrotta, irresponsabile, superficiale, dannosa, ma, si scoprirà, madre del figlio di Forrest. Alla fine rimane col suo bambino. Nella prima sequenza del film una piuma volteggia nell'aria e va a posarsi su un piede di Forrest, e nell'ultima il vento se la riporta via: Forrest Gump è ormai diventato grande. La piuma è il privilegio dell'ingenuità, in sostanza la grazia. Nulla di nuovo o sconvolgente, semplicemente un resoconto intelligente e ironico, pieno di tutti i luoghi comuni e di (volute) ingenuità sui peccati, mortali e veniali, dell'America. La parabola è quella dell'uomo puro che fa grandi cose suo malgrado, senza cercarle. Quando racconta la guerra in Vietnam dice: "Eravamo sempre in cerca di un tale di nome Charly". Straordinaria la metafora della corsa. Forrest è stato un campione e correre gli è naturale come respirare. Attraversa l'America dall'Atlantico al Pacifico, più volte. Diventa una leggenda, dietro di lui la schiera dei seguaci che corrono si ingrossa sempre più. A un certo punto Forrest, con barba lunghissima, si ferma fra le suggestive rocce del Colorado. Tutti aspettano ansiosi la sua decisione, foriera di chissà quali altissimi significati. Forrest dice: "Sono un po' stanchino". Dunque è tutto molto semplice e naturale. "Dietro" non c'è altro.

    Quel giorno, non so proprio perché decisi di andare a correre un po', perciò corsi fino alla fine della strada, e una volta lì pensai di correre fino la fine della città, e una volta lì pensai di correre attraverso la contea di Greenbow. Poi mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale correre attraverso il bellissimo stato dell' Alabama, e cosi feci. Corsi attraverso tutta l'Alabama, e non so perché continuai ad andare. Corsi fino all'oceano e, una volta lì mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale girarmi e continuare a correre. Quando arrivai a un altro oceano, mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui, tanto vale girarmi di nuovo e continuare a correre; quando ero stanco dormivo, quando avevo fame mangiavo, quando dovevo fare... insomma, la facevo!


    ...recensioni...


    La vita è uguale a una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti capita. Che piaccia o no, Forrest Gump è una pietra miliare della cinema-
    tografia americana ed il giovane Forrest è uno dei più classici anti eroi per eccellenza, uno di quei personaggi che Hollywood ama a tal punto da premiare con una pioggia di Oscar la pellicola girata da Robert Zemeckis.
    L'intero film è un magistrale resoconto storico di trenta e più anni di storia degli Stati Uniti di America visti con gli occhi di un bambino con un quoziente intellettivo troppo basso per essere ammesso nelle normali scuole, onesto e puro di cuore, incapace di provare sentimenti di odio e fortunato nell'essere sfruttato dalle persone giuste e nell'aver trovato i pochi giusti amici. Grazie a un montaggio da Oscar, ad una colonna sonora formidabile ed a una ottima scenografia il giovane Forrest (Oscar meritatissimo per Tom Hanks) partecipa, diventandone spesso protagonista involontario, a numerosi eventi chiave della storia recente americana, ritrovandosi a tu per tu con presidenti, politici, grandi personaggi, partecipando alla guerra in Vietnam, diventando suo malgrado icona sportiva prima in uno stadio di football universitario e poi nelle palestre americane e cinesi di ping pong, ritrovandosi a far dichiarazione commosse in una gigantesca manifestazine pacifista o a dover affrontar le tristi tematiche della droga e dell'AIDS. Forrest corre in un'America in cerca di idee ed icone, Forrest salva gli amici perchè è giusto farlo, senza pensare a motivi o senza riuscire a provare paura, Forrest diventa suo malgrado multimilionario ma passa il tempo a fare -gratis- il giardiniere e diventa famoso quando decide di correre da un oceano all'altro per diversi anni, diventando suo malgrado anche questa volta simbolo di un modo di protestare, saggio e filosofo senza saper di esserlo.
    Il personaggio interpretato da Tom Hanks è come la piuma che più volte compare nella narrazione: si fa sospingere docilmente dalla corrente senza mai opporsi, ingenuamente ignorante delle difficoltà che gli si prospettano innanzi ma anche in grado di costruirsi da solo una vita normale a dispetto di un quoziente intellettivo di 75, inferiore agli standard previsti. Film bellissimo ed emozionante, che fu premiato con 6 Oscar meritati su tredici candidature nel 1995. Robert Zemeckis con l'espediente narrativo del giovane Forrest che in attesa del proprio autobus racconta spezzoni della sua vita ad illustri sconosciuti riesce ad amalgamare in maniera perfetta le varie scene della vita del protagonista.
    Eccezionale Tom Hanks, ottima anche la performance di Gary Sinise, il cui ruolo del veterano tenente Dan Taylor gli valse la nomination agli Oscar 1995 come miglior attore non protagonista.
    (Pubblicato da Fabrizio Reale, http://cinemarecensionilab.blogspot.it/)


    E' incredibile come tante persone travisino il messaggio di questo film leggendoci l'ennesima apologia a stelle strisce del sogno americano, tutta retorica e buonismo. Ahivoi, poveri stupidi (stupido è chi lo stupido fa) quanto siete lontani dalla realtà. Zemeckis in realtà si diverte a distruggere tutti i miti della società americana, dagli eroi di guerra a quelli dello sport, dall'esercito alla religione ai "guru" mitizzati e inseguiti dalla gente... tutte figure incarnate nel modo più stupido possibile nel corso della storia della vita di Forrest Gump, raccontata su una panchina dallo stesso in modo ingenuo e divertente a dei perfetti estranei che restano rapiti dall'incredibile "favola" dello stupido Forrest... stupido si, ma pieno di umanità e gentilezza nonostante la crudeltà e la stupidità (quella vera) di un mondo tutta immagine e niente sostanza... nel corso degli anni riesce a rimanere pieno di amore e speranza verso sua madre e la sua Jenny o verso i suoi amici "Tenente duuuuun" o "Bubba". Forrest Gump è il soldato perfetto, dice il suo istruttore "Diventerai generale un giorno!"... Forrest Gump riesce a laurearsi nonostante la sua stupidità perchè bravo nel Football... riceve una medaglia al valore senza capirla e senza nemmeno volerla (la regala a Jenny subito dopo infatti)... conosce tutti i presidenti e miti della musica come Lennon e come Elvis ed è anche lui una celebrità in quanto "giocatore di ping pong" (per meglio combattere i comunisti ah ah ah)... diventa un "guru" adorato dai suoi adepti solo perchè gli andava di correre senza un motivo... diventa milionario sulla tragedia dell'uragano Carmen che spazza via tutta la concorrenza devastando le barche rivali dei pescatori di gamberi... insomma se non riuscite a vedere la critica di Zemeckis alla società americana e alla STUPIDITA' delle proprie icone e dei proprio idoli, dovete essere proprio ciechi... Forrest Gump è un portavoce innocente, inconsapevole della cattiveria altrui, che sia il padre pedofilo di Jenny o i favori sessuali della madre per farlo curare e studiare in modo adeguato... un narratore ingenuo che per primo non capisce ciò che racconta, ma ne è soltanto il protagonista mosso dalla semplice bontà che gli altri non riescono a capire. Un film magico, un capolavoro diretto da un mostro del cinema come Zemeckis, interpretato da un Tom Hanks in stato di grazia attorniato da attori e attrici bravissimi... dalla dolcissima e bellissima Robin Wright (Jenny) al bravissimo Gary Sinise (Tenente Dun) e anche tutti gli altri che compaiono anche soltanto per qualche minuto, tutti in parte e diretti con perfezione certosina dal regista. Bella la colonna sonora con pezzi famosi anni 60/70/80 e anche le musiche delicate del film composte dal sempre in forma Alan Silvestri (Predator, Ritorno al futuro). Chi non ha capito questo film e lo disprezza, è esattamente come quel personaggio meschino che si alza dalla panchina deridendo Forrest accusandolo di raccontare panzane...
    (Enrico, Torino 6 Ottobre 2014- http://filmup.leonardo.it/)


    Sei morta un sabato mattina. E ti ho fatto mettere qui, sotto il nostro albero. E ho preso la casa di tuo padre e l'ho fatta abbattere. Mamma diceva sempre che morire fa parte della vita. Magari non fosse così. Il piccolo Forrest se la cava benissimo, sì. Presto ricomincerà la scuola. Gli preparo colazione, pranzo e cena, ogni giorno. Sto molto attento: lui si pettina i capelli e si lava i denti ogni giorno. Gli insegno a giocare a ping-pong. Okay, ora... Forrest, tocca a te. È molto bravo. Peschiamo tanto. Ogni sera leggiamo un libro. Com'è intelligente, Jenny! Saresti fiera di lui. Io lo sono. Sai, ti... ti ha scritto una lettera. Dice che non posso leggerla. Non devo farlo, perciò la... la lascio qui per te. Jenny... Non lo so se mamma aveva ragione, o se... se ce l'ha il Tenente Dan... non lo so... se abbiamo ognuno il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza... ma io... io credo... Può darsi le due cose. Forse le due cose càpitano nello stesso momento. Mi manchi tanto, Jenny! Se hai bisogno di qualcosa non sarò molto lontano. (Forrest Gump) [riflettendo sulla tomba di Jenny]


    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    I FUNGHI

    “Lascia che il cibo sia la tua medicina”
    (Ippocrate)


    MAITAKE


    La Grifola frondosa (Grifos frondosus) è un fungo non molto diffuso che cresce sotto gli alberi di castagno ed appartiene alla famiglia delle Meripila-
    ceae. In Giappone e nel mondo è anche conosciuto col nome di "Maitake".
    Maitake è il suo nome giapponese e significa “fungo che danza”, probabilmente in riferimento al corpo fruttifero, costituito da cappelli bruno-grigiastri, a forma di ventaglio e sovrapposti, che, come una nuvola di farfalle, sembra danzare quando è mosso dal vento. In Giappone è da sempre considerato il re dei funghi, tanto che in epoca feudale, i ricchi signori erano disposti a pagarlo a peso d’argento a chi lo trovava in foresta, pur di possedere un fungo tanto benefico e prezioso.
    I corpi fruttiferi crescono sovrapponendosi e formando un gruppo. I gambi di Maitake si fondono tra loro alla base di alberi di faggio, quercia o altri ceppi: la leggenda racconta che il fungo predilige quei tronchi di alberi ove un fulmine ha creato una fenditura. Questo fungo è molto apprezzato per il suo ottimo gusto.

    REISHI


    Il Ganoderma lucidum, conosciuto come Reishi, è un fungo dall’aspetto luce e laccato, è un fungo che cresce in zone umide che nasce nel legno in decomposizione di alberi di quercia e castagno in Cina e Giappone. Contrariamente ad altri funghi medicinali, non è considerato commestibile per il sapore amaro e la consistenza legnosa ed è quindi solitamente utilizzato nella medicina popolare sotto forma di tisana.
    Il primo utilizzo documentato del Reishi risale a oltre 4.000 anni fa e nella cultura cinese e giapponese è associato con la regalità, la salute e la longevità. Nel più antico erbario della Cina, il Shen Nung Pen T’sao Ching, questo fungo è considerato un’erba di categoria superiore: “Se vuoi stare bene o rinforzare il tuo organismo, se vuoi vivere a lungo senza invecchiare mai, usa questo medicamento!”. In questo antico trattato si afferma anche che le erbe di categoria superiore possono essere assunte nella quantità desiderata e senza limiti. E nessun effetto collaterale è infatti
    mai stato osservato o documentato in seguito. Il Reishi ha un’aura di fungo miracoloso anche tra i Giapponesi, dove viene chiamato sedile delle scimmie, a causa della sua struttura rigida e legnosa.
    La leggenda racconta che fosse parte della povera dieta del mitico Sennin, il Saggio delle Foreste, che viveva da eremita nei boschi ed era noto per la lunghissima vita e la straordinaria resistenza.
    Per millenni è stato considerato come “erba divina”, “erba della potenza spirituale”, “fungo miracoloso”, “fungo dell’immortalità” o “elisir di lunga vita” ed è stato venerato come erba celestiale dalle proprietà eccezionali.
    Per questo gli imperatori cinesi lo assumevano sotto forma di decotto ed è stato preferito al popolare Gingseng da numerosi erboristi orientali.

    SHIITAKE


    Lentinula edodes (Berk.) Pegler 1976 è un fungo basidiomicete di origine asiatica. È più comunemente conosciuto con il nome di shiitake. Lo Shiitake (Lentinula edodes) è un fungo profumato molto apprezzato e consumato anche come alimento. In Oriente, secondo le credenze più antiche, è un prezioso rimedio in grado di “corroborare l’energia vitale”.

    In Giappone e in Cina le popolazioni si sono fin dall’antichità avvalse delle doti di questo un fungo. Il suo nome deriva dall’unione di due parole giapponesi; shii, che indica un albero simile alla quercia, e take, fungo; il fungo spontaneamente su queste piante. Viene chiamato “fungo della foresta” ed è il secondo fungo più famoso e utilizzato al mondo: in Cina la sua coltivazione è addirittura antecedente a quella del riso.
    Una leggenda cinese narra che fu un tagliatore di legna a coltivarlo per primo volendo verificare se la sua ascia funzionasse correttamente, il boscaiolo la lanciò contro un ceppo d’albero, su cui già cresceva lo Shiitake. Proprio su quel taglio inferto nella pianta, pochi giorni dopo, il fungo cominciò a svilupparsi: in concreto aveva scoperto il metodo di coltivazione, che anche oggi si mette in pratica, colpendo ripetutamente tronchi di legno, per creare aperture in cui le spore del fungo possono germinare

    CATERPILLAR


    Il Cordyceps sinensis è un piccolo ascomicete, che parassita l’intera larva di un lepidottero, l’Hepialus armoricanus
    Il corpo fruttifero arancio-rosso, a forma di dava o bastone, si erige al di fuori della carcassa mummificata della pupa, che a volte può essere interrata anche in profondità. Il gambo è liscio e di un arancione più pallido.
    Il Cordyceps è un fungo molto raro, è originario delle montagne himalayane, cresce sopra i 3000 m e lo si può trovare fino a 5000 in di altezza.

    Furono, più di mille anni fa, dei pastori tibetani a scoprire per primi questo fungo sugli altopiani del Tibet. Pensavano che fosse un’erba e notarono che quando i loro animali se ne nutrivano diventavano più vitali, vivaci e attivi. Provandolo poi sull’uomo il fungo mostrava i medesimi effetti. I ricercatori tibetani tre il XV e il XVIII secolo si sono occupati di un particolare fungo, il Cordyceps sinensis, oggi noto anche come “Caterpillar”. E’ citato per la prima volta nella letteratura cinese nel 620 d.C., durante la dinastia Tang. I documenti descrivono un organismo strano, che vive in Tibet ed è in grado di trasformarsi da animale a pianta "insetto d’inverno e pianta in estate." In natura infatti, il Cordyceps parassita nella stagione invernale alcune specie di lave di insetti da cui trae nutrimento per il suo sviluppo estivo.
    Il Cordyceps veniva un tempo anche utilizzato negli avvelenamenti da oppio e per curare chi dipendeva da questa droga.
    In Europa e in Giappone il Cordyceps è conosciuto già dalla prima metà del 1700; fu menzionato
    per la prima volta a un incontro scientifico, tenutosi a Parigi nel 1726.
    Nella forma selvatica è così raro da avere un costo elevatissimo; un tempo infatti era accessibile solo alla nobiltà e alla famiglia dell’imperatore cinese. Ai tempi della dinastia Ch’in, verso il 200 a.C., l’imperatore pare che pagasse un’oncia d’oro ogni tre giorni per avere il prezioso fungo, che si sapeva donasse calma all’animo e vigore al corpo. Nelle cucine reali 5 g di Cordyceps venivano inseriti nello stomaco di un’anatra che poi, una volta ben cotta, era servita nel corso dei giorni successivi. Si racconta anche la leggendaria bellezza cinese Yang Kuefei, che pare assumesse regolarmente il Cordyceps, perché considerato «fonte di giovinezza».

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    MAGGIO


    Maggio

    E viene il tempo
    che gli uccelli si sposano:
    l'usignolo, l'allodola
    il passero e lo scricciolo
    il pettirosso e il merlo.
    Canti e canti
    s'intrecciano nel cielo
    e gli alberi
    si vestono di fiori
    e volano le api
    in sciami d'oro.
    Quando scende la sera
    i gatti
    neri bianchi rossi e grigi
    fanno il concerto
    della primavera.


    (E. Borchers)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    Namib Desert dunes (BBC Nature)

    E poi, il nulla.
    Forse solo… il rumore del silenzio,
    come quello che sentono gli uccelli quando volano in alto
    sopra la terra respirando l’aria pura e fresca della libertà.
    (Fannie Flagg)



    Edited by gheagabry1 - 9/9/2018, 12:37
  9. .




    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 021 (18 Maggio – 24 Maggio 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 18 Maggio 2015
    S. GIOVANNI I PAPA

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 21
    Giorni dall'inizio dell'anno: 138/227
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 04:47 e tramonta alle 19:25 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 04:49 e tramonta alle 19:50 (ora solare)
    Luna: 5.12 (lev.) 19.46 (tram.)
    Luna nuova alle ore 05.16.
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Marzo tinge, april dipinge, maggio fa le belle donne, e giugno fa le brutte carogne.
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Non è per nulla facile far entrare una donna nel suo quarantesimo anno di vita.
    Ed è ancora più difficile farcela uscire.
    (André Roussin)









    RIFLESSIONI



    ... DESTINI…
    ... Uno scrigno chiamato memoria; in esso pensieri, emozioni e ricordi trovano degno riparo e prezioso rifugio. Aprire quello scrigno è facile ed al tempo stesso complicato. Meccanismo impercettibile a volte involontario fa si che esso si apra e spalanchi sul cielo dell’anima lampi come stelle comete che illuminano e colorano quel cielo. Nessun atto voluto dal desiderio potrà mai riuscire ad aprire quello scrigno, non un atto di volontà ma un qualcosa che forzi quelle cerniere che lo chiudono affinchè esso si apra. Leggo oggi un articolo e …. “clck”… immagini, ricordi e indimenticabili emozioni riaffiorano alla mia mente. Era il 10 giugno del 1981, una macchina correva lungo la strada che costeggia il lago di Bracciano. Quattro ragazzi contenti viaggiano alla volta di un palazzetto dove giocare una gara valevole per il campionato italiano. Felici ascoltano la radio musica dell’epoca e finestrini aperti a far entrare quell’aria fresca col sole che filtrava tra i rami del boschetto sulle rive del lago. Immagine bucolica, la radio interrompe la musica, notiziario straordinario; cala il silenzio nella macchina. Un bambino la notte precedente era caduto in un pozzo artesiano non segnalato e ora si lottava contro il tempo per salvarlo. Vermicino, una località vicino Roma, il bambino aveva 6 anni e si chiamava Alfredino Rampi. Flash dallo scrigno, ricordi, la lunga giornata interrotta da comunicati che raccontavano l’intervento sul posto di speleologi ed esperti alla ricerca della soluzione per trovare il modo per salvare da quella situazione quel bambino. La lunga ed ininterrotta diretta della Tv italiana; le chiacchiere acide su quella mamma che pur in preda al dolore, era ripresa seduta su una sedia con un ghiacciolo ai bordi di quel pozzo. Mentalità frutto di chiacchiere che avrebbero voluto vedere quella donna neppure in tv ma distrutta dal dolore che a loro avviso in quelle immagini non traspariva. Il presidente Pertini che si recò sul posto per assicurarsi ed rassicurare che si stava facendo tutto lo sforzo possibile. Dopo quasi tre giorni di tentativi falliti di salvataggio, Alfredino morì dentro il pozzo, ad una profondità di 60 metri. Cosa ha fatto aprire lo scrigno? Ho letto che sabato scorso è morto il fratello di Alfredo Rampi, aveva 36 anni era ad una festa per l’addio al celibato di un suo amico e un arresto cardiaco lo ha ucciso. Chissà se la nostra vita è destinata a percorrere un sentiero, chissà se poi certe famiglie nascono con un destino e una sorte già scritta. Certo quella della famiglia Rampi è la storia di una famiglia con un destino non certo facile … Buon risveglio … Buon Maggio amici miei … (Claudio)






    Roma, muore a 36 anni il fratello di Alfredino Rampi

    Stroncato da un arresto cardiaco. Il malore mentre festeggiava in discoteca, sabato scorso, l'addio al celibato di un amico. Inutili i soccorsi al Sant'Eugenio. E' morto a 36 anni stroncato da un arresto cardiaco Riccardo Rampi, il fratello di Alfredino il bambino di 6 anni che perse la vita nel 1981 dopo essere caduto in un pozzo artesiano a Vermicino, vicino Frascati.

    L'uomo ha avuto un malore mentre festeggiava in discoteca, sabato scorso a Roma, l'addio al celibato di un amico. E' successo tutto in pochi minuti: Riccardo, cardiopatico, stava ballando in pista quando si è accasciato a terra e ha perso conoscenza. Gli amici hanno subito chiamato il 118 ma all'ospedale Sant'Eugenio i tentativi di rianimarlo sono stati inutili: per Riccardo Rampi non c'è stato nulla da fare. Dai primi esami dell'autopsia eseguita al Policlinico Gemelli risulta che Riccardo Rampi è stato stroncato da un infarto. Sul posto sono intervenuti anche i carabinieri della compagnia Eur, diretti dal capitano Antonino Piccione. Nelle tasche della vittima i militari avrebbero trovato della cocaina, ora saranno gli esami tossicologici a chiarire se ne abbia fatto uso durante la serata prima di accusare il malore.

    Una nuova tragedia per la famiglia Rampi. Riccardo era un impiegato e lascia due figli. Insieme a sua madre, gestiva l'associazione onlus dedicata al fratelloAlfredino, morto il 10 giugno del 1981: il bimbo di 6 anni era in campagna vicino a Roma e i genitori, vedendo che alle 20 non era rincasato, cominciarono a cercarlo e avvisarono le forze dell'ordine. Era caduto in un pozzo artesiano dove si calarono vigili del fuoco, speleologi, volontari: tutto inutile. Le complesse operazioni di soccorso furono riprese dalla tv in una lunga e struggente diretta. E sul posto arrivò anche l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini.
    (roma.repubblica.it/)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sulla Primavera …

    Il prato echeggiante

    Ecco il Sole che sorge
    e fa giocondi i cieli;
    campane liete suonano, .
    salutan Primavera;
    l'allodola ed il tordo,
    uccelli della macchia,
    levan più fondo il canto
    alla sonante squilla,
    mentre noi giochiamo
    sull'Echeggiante Prato.
    Il vecchio John, canuto,
    ride e spazza gli affanni
    ai piedi di una quercia
    con i vecchi compagni.
    Ridono ai nostri scherzi,
    e poi ci dicono:
    "Questi eran pure i giochi'
    che si faceva noi
    quand'eravamo giovani
    sull'Echeggiante Prato".
    Finché i piccoli, stanchi,
    non si diverton più;
    ecco il sole declina
    e i trastulli hanno fine.
    Stretti intorno alle madri
    le sorelle e i fratelli,
    come uccelli nel nido,
    sono pronti al riposo,
    non più giochi sul Prato
    che s'abbuia man mano.
    (William Blake)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Elenir e la Polvere di Stelle

    La storia che sto per raccontare, accadde molto tempo fa, quando le foreste erano sparse ovunque e nessuno osava distruggerle.
    A quel tempo, le fate erano molto diffuse e per tutto il giorno vagavano tra fiori, alberi e animali indisturbate. Un giorno, mentre una nube di fatine luccicanti colorò tutte le cose (perché un tempo i colori svanivano con la notte ed il giorno dopo tutto era in bianco e nero), la Fata Blunessa, si imbatté in un fiore nuovo, appena germogliato, che conteneva una graziosa fatina, con grandissimi occhi color nocciola e morbidi capelli color genziana, la pelle color oro ed il naso all’insù. La piccola guardò stupita la sua mamma, poi ebbe un fremito e le ali d’argento si stesero incominciando a battere lievemente nell’aria. Mano nella mano, madre e figlia volarono nel cuore del bosco, dove il popolo delle fate era solito a riunirsi per fare colazione.
    La piccola fatina fu sballottata di mano in mano e questo non le piacque, così, non essendo ancora capace di parlare, per liberarsi da loro, emise un fascio di luce che accecò persino una famiglia di bruchi che passava di lì per caso. Quando smise di brillare come una stella, il Regina delle Fate si avvicinò a lei e le disse “Tu ti chiamerai Elenir, Fata della luce”.
    I giorni trascorsero lieti, Elenir giocava con fatine della sua età. La sua migliore amica si chiamava Milles e con loro due giocava sempre Tocili, un simpatico maschietto che non si tirava mai indietro di fronte alle avventure.
    Passato un altro anno, una delle fate più anziane radunò tutte le giovani fatine sotto l’Albero Saggio e le portò dalla Regina Mitribel, che donò loro una piccola bacchettina color argento, perché imparassero l’arte di colorare il Mondo. Non era facile apprendere le magie, ma Elenir si impegnava davvero molto per essere la prima della classe.
    Una giorno, la Regina chiamò a sè Elenir, Milles e Tocili per presentare loro lo gnomo Momozu, che era venuto a cercare aiuto perchè
    “So che voi avete uno spiccato gusto per l’avventura ed avete imparato in fretta ad usare i vostri poteri, perciò mi affido a voi per questo particolare incarico” disse la Regina “Momozu è il capo di una miniera di gnomi ed ha bisogno di qualcuno che ripristini i colori dei cristalli per poterli distinguere. Pensate di potercela fare?”
    La risposta fu piena di entusiasmo: Elenir ed i suoi amici avevano l’occasione di mettere a prova le loro capacità ed esplorare il mondo oltre i confini del loro bosco.
    Momozu li condusse al suo villaggio, i cui tutto era in bianco e nero. In effetti, quel posto sembrava un po’ tetro, ma Elenir si diede da fare e con i suoi amici colorò tutto l’ambiente. Persino gli gnomi tirarono un respiro di sollievo: l’aria sembrava più fresca e profumata e gli uccellini ebbero di nuovo voglia di cantare a squarcia gola.
    “Sulla montagna sopra di noi, c’è un ghiacciaio perenne e di sera le prime stelle fanno cadere dal cielo una polvere dorata che brilla per giorni e giorni, ma non si può trasportarne molta, perché è molto pesante. Per diversi anni ne abbiamo sparsa per la miniera e per i prati, che si illuminavano come piccoli cieli stellati. Purtroppo, da diverso tempo il ghiacciaio è abitato da uno stregone malvagio, che ci impedisce di prendere la nostra polvere dorata e nessuna fata vuole più vivere con noi, perché la Natura sta morendo” raccontò Momozu.
    “Andremo noi a recuperare la polvere!” scattò in piedi Elenir.
    “Che cosa?!” chiesero Milles e Tocili, stupiti per l’affermazione dell’amica.
    “Andremo su quel monte a sconfiggere l’ombra e riprenderemo la polvere di stelle, che è tanto preziosa per questo posto. Siamo o non siamo fate di primavera? La nostra luce e la nostra polvere riusciranno a sconfiggere le tenebre!”
    Si misero così in volo ed incominciarono la salita lungo il pendio della montagna. Nella giornata di sole, una brezza frizzantina anticipò l’annuvolamento del cielo e, quando i tre amici erano giunti a metà della strada, incominciò a nevicare. Una vera e propria tormenta si abbattè su di loro, che si rifugiarono nell’incavo di una roccia. Il vento presela forma di una faccia brutta e minacciosa.
    “Lasciate la montagna, oh voi servitori della luce, perché qui non c’è spazio alcuno per voi!”
    “No! Mai!” rispose Tocili gridando.
    “Chi sei?” domandò Elenir, un po’ spaventata.
    “Sono Komolus, Signore delle Tenebre! Non potete fare niente contro di me! Abbandonate la montagna se non volete perdere la vita!” e detto questo si dileguò.
    I tre amici non si fecero intimorire: arrivarono in punta alla montagna e si guardarono bene attorno. L’aria era pesante, avvolta dal fumo di nubi nere, ed i loro piedi affondavano nella neve che sembrava volesse arrestarli di passo in passo.
    Entrarono in una caverna fredda e buia che aveva stalattiti di ghiaccio che pendevano dal soffitto. Con molto coraggio i tre amici avanzarono nell’esplorazione giungendo in una sala che conteneva una poltrona imponente adornata da corna e pellicce. “Ma bene, vedo che gli avvisi non funzionano” cominciò a parlare Komolus, pacatamente.
    “Tu hai privato gli gnomi e le fate della Polvere di Stelle!” accusò Tocili puntando il dito contro di lui.
    “E non solo! Ho fatto morire i fiori e presto ne risentiranno anche le piante! Il mio dominio si estenderà poco alla volta finchè non dominerò il Mondo con la mia perfidia. Le fate e gli gnomi non contano nulla per me, sono soltanto un impiccio in più” spiegò il malvagio.
    “Non te lo permetteremo! La vita e la luce sono fondamentali per il nostro pianeta, e tu non ce le porterai via!” urlò Elenir, lanciandosi verso di lui. Due mostri nascosti nell’oscurità saltarono verso di lei, ma invano, così Komolus si prese un pugno in un occhio. La fatina virò e tornò indietro, evitando gli attacchi dei mostri ed uscendo dalla grotta. Lei ed i suoi amici sprangarono la porta facendovi crescere dei rampicanti, che si insinuarono fino a dove Komolus si stava lamentando per il suo occhio, imprigionando tutti i malvagi per semrpe. Elenir trasferì un po’ della sua luce a queste piante, così mille fiori sbocciarono dentro la caverna oscura, brillando intensamente di luce d’oro, lacerando gli occhi dei cattivi abituati all’oscurità. Komolus non resistette a tale splendore ed esplose, così come esplose la punta della montagna, riversando in aria la polvere dorata che le fatine stavano cercando.
    La polvere dorata si sparse in tutto il Mondo e da quel giorno i colori non svanirono più, ma sbiadirono solo un po’, facilitando così il lavoro del popolo delle fate, che dovevano solo più donare loro brillantezza. Elenir ed i suoi amici furono premiati per questo, la Regina Mitribel come ricompensa insegnò loro come si fabbricavano le bacchette magiche, cosa che non era mai stata concessa a nessuno.

    (Sara Quero)



    ATTUALITA’


    Omicidio stradale: ok commissione Senato a ddl.

    Pene più severe contro "pirati" e revoca patente fino a 30 anni. E' stato approvato dalla commissione Giustizia del Senato il ddl sull'omicidio stradale: prevista una pena massima di 12 anni nel caso in cui si procura la morte guidando in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di droghe. Previsto anche il ritiro della patente fino a 30 anni.

    Il ddl è stato praticamente votato all'unanimità dai componenti della commissione. Forza Italia ha votato contro la revoca della patente fino ad un massimo di 30 anni in quanto ritiene eccessiva tale sanzione. Il testo, secondo il relatore Giuseppe Cucca (Pd) molto probabilmente arriverà in aula nella prima decade di giugno. (Ansa)





    Civita di Bagnoregio, il "paese che muore".

    A un paio d'ore d'auto da Roma il borgo che sorge su una roccia di tufo che si assottiglia. È conosciuto come il "paese che muore", ma l'epiteto non deve scoraggiare i visitatori: Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, è annoverato fra i borghi più belli d'Italia ed è un gioiello appollaiato su una roccia di tufo assottigliata per effetto dell'erosione inesorabile di pioggia, vento e di due torrentelli che scorrono nelle valli sottostanti. Il centro sovrasta un'ampia conca fra le colline e sembra sospeso nel vuoto, in un clima di totale e a tratti inquietante isolamento con il territorio circostante.

    Unica e suggestiva, Civita di Bagnoregio dista un paio d'ore circa d'auto da Roma o da Firenze ed è una meta che val la pena raggiungere per trascorrere una giornata all'insegna di suggestive passeggiate ma anche dei sapori della Tuscia. Camminare è indispensabile: una volta giunti al belvedere di Bagnoregio, per la frazione di Civita si prosegue attraversando un ponte pedonale in cemento armato, di 300 metri, che è l'unica via per raggiungerla.

    La meta può sembrare all'inizio incredibilmente lontana, anche perché l'ultimo tratto del percorso è in decisa salita, ma un altro spettacolo del paesaggio si apre anche alle proprie spalle se si ha l'ardire di voltarsi. Intorno c'è l'enorme conca di tufo, che sembra sgretolarsi al proprio passaggio, con le tipiche forme dei calanchi argillosi causati dalla progressiva erosione, tra l'altro proposti nel 2005 come sito di interesse comunitario. Abitata solo da poche famiglie, la frazione è rosicchiata lentamente da madre natura: di qui la definizione del "paese che muore".

    Nel borgo si entra attraverso la porta ovest, dov'è conservato qualche tratto della cinta muraria. L'entrata è maestosa e conduce in una dimensione dove il tempo sembra essersi fermato a secoli fa: nel Medioevo la porta era detta di Santa Maria, per la presenza della chiesa omonima, ma è nota anche come Porta Cava. In parte ricavata dal tufo in età etrusca, fu riadattata in età medioevale e nei secoli XVI e XVII. Nella piazza, perno del borgo, svetta la chiesa romanica di San Donato, sorta probabilmente sui resti di un tempio pagano e rimaneggiata nel XVI secolo. Custodisce un crocifisso ligneo del '400, di scuola fiamminga, che viene trasportato durante la processione del Cristo morto. La leggenda popolare narra che durante l'epidemia di peste del 1499 il Crocifisso ha parlato a una pia donna che si recava ogni giorno al suo cospetto per pregare e dopo la cui morte la pestilenza è cessata. Sulla piazza si affacciano anche il Palazzo Vescovile, un mulino del XVI secolo e la casa natale di San Bonaventura.

    Dai vicoli che si dipanano si intravedono case basse con balconcini e scalette esterne dette profferli, tipiche dell'architettura viterbese del medioevo. Al termine della via principale si può sostare presso la rupe orientale di Civita per ammirare lo stupendo scenario dei ponticelli, enormi muraglioni naturali in argilla, ultima traccia di un processo erosivo iniziato migliaia di anni fa e non ancora cessato.

    Tra gli eventi di cui Civita è protagonista c'è il secolare Palio della Tonna durante il quale le contrade si sfidano a dorso di un asino. Il palio, che prende il nome dalla forma della piazza in cui si svolge la gara, attira ogni anno numerosi visitatori ed è un valido pretesto per vestire a festa la piazza. Si svolge la prima domenica di giugno e la seconda di settembre nella piazzetta di San Donato.

    Una gita a Civita di Bagnoregio è anche un'occasione per assaggiare alcuni prodotti tipici della Tuscia. L'Antico Frantoio ad esempio (tel. 0761/948429 - 328/6137339) è una rinomata bruschetteria e vanta un olio pregiatissimo con cui condisce decine di altri piatti. Oltre a salumi e carni suine, altra specialità della zona è proprio l'olio. Cucina viterbese anche all'Hostaria del Ponte, con un menu che spazia dai piciarelli al cinghiale, tartufo e funghi porcini. Sul sito del Comune un elenco completo di trattorie, agriturismo e centri ricettivi.
    (Ansa)





    Italia sale a settimo posto in Europa per acque balneabili.

    Meglio di Spagna e Portogallo. Cipro in top classifica Aea. Acque balneabili sempre più pulite in Europa, dove l'83% di spiagge, laghi e fiumi risulta di qualità eccellente e il 95% in regola. A scattare la fotografia e' l'Agenzia europea dell'ambiente (Aea) sulla base dei dati del 2014 di Unione europea, Svizzera e Albania.

    L'Italia si colloca al settimo posto (era all'ottavo nei due anni precedenti) nella classifica del top ten della qualita' guidata da Cipro, Lussemburgo e Malta. Seguono Grecia, Croazia e Germania, mentre ultima è l'Albania.

    Cipro, Lussemburgo, Malta, Grecia, Croazia, Germania e Italia sono sopra la media Ue del 95% dei siti in regola, mentre Spagna e Portogallo figurano rispettivamente al decimo e undicesimo posto. Ancora più giù si trovano Francia (18/ma), Slovenia (21/ma), Svizzera (24/ma) e Albania, in fondo alla classifica insieme alla Romania.

    "È evidente che la sicurezza e la pulizia delle acque di balneazione sono importanti per la salute. Le acque di balneazione continuano a migliorare e questa è un'ottima notizia", ha commentato il commissario europeo all'ambiente, Karmenu Vella, che invita tutti gli europei a ricordare quanto l'Unione europea abbia contribuito in questo senso. In Italia il 96,6% di tutte le spiagge balneabili rispetta gli standard obbligatori di qualità, con un aumento dei siti al top (4377 nel 2014 contro 4309 nel 2013) e un calo di quelli insufficienti (105 contro 135), che si concentrano fra Abruzzo, Campania, Calabria e Marche. Nel caso di laghi e fiumi, il 91,4% risultano in regola, con una crescita dell'eccellenza (555 contro 497). Sei i siti chiusi l'anno scorso, tutti in Lombardia.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Il racconto dei racconti - Tale of Tales




    locandina


    Un film di Matteo Garrone. Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher.



    Un caleidoscopio di immagini potenti ed evocative, nonché una riflessione profondissima sulla natura dell'amore.
    Paola Casella

    1600. Una regina non riesce più a sorridere, consumata dal desiderio di quel figlio che non arriva. Due anziane sorelle fanno leva su un equivoco per attirare le attenzioni di un re erotomane sempre affamato di carne fresca. Un sovrano organizza un torneo per dare in sposa la figlia contando sul fatto che nessuno dei pretendenti supererà la prova da lui ideata, così la figlia non lascerà il suo fianco e i confini angusti del loro castello.
    Matteo Garrone attinge a piene mani, e con grande libertà creativa, a tre racconti de "Lo cunto de li cunti", la raccolta di fiabe più antica d'Europa, scritta fra il 1500 e il 1600 in lingua napoletana da Giambattista Basile. Il risultato è un caleidoscopio di immagini potenti ed evocative, ma anche un carnevale di umani sentimenti, pulsioni e crudeltà, nonché una riflessione profondissima sulla natura dell'amore, che può (dovrebbe) essere dono e che invece, per quelle fiere che sono (ancora) gli esseri umani, è spesso soprattutto cupidigia.
    Ognuna delle vicende singolarmente narrate contiene qualcosa di ognuna delle altre: un doppio, un riflesso, una citazione, uno scambio di sguardi. La brama con cui la regina vuole per sé (e solo per sé) un figlio annulla il sacrificio del marito e soffoca il desiderio di essere amato (per sé) del nuovo nato, che una volta cresciuto incontra il suo "gemello" più povero ma infinitamente più libero. La lascivia insaziabile del re erotomane, archetipo predongiovannesco, è una sfida inesauribile alla morte e alla decadenza del corpo, così ben incarnata (perché di carne, pelle e sangue sempre si parla ne Il racconto dei racconti) dalle due anziane sorelle impegnate in una corsa a ritroso nel tempo che finirà per dividerle, "separando ciò che è inseparabile": come l'unione fra i due "gemelli" dell'episodio precedente, come il legame fra un padre immeritevole e una figlia degna di ereditare un regno nell'episodio successivo.
    La struttura circolare della narrazione è, a tutti gli effetti, olistica (anche perché guidata da figure femminili), il che è particolarmente sorprendente perché i tre episodi sono stati girati separatamente, e non c'è stato tempo, né denaro, per effettuare il consueto lavoro di rifinitura cui Garrone è abituato. Ma la tessitura dell'arazzo era già insita nella scrittura (degli sceneggiatori Edoardo Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, oltre allo stesso Garrone, ma ancora prima di Basile) e nell'immaginario cinematografico e pittorico del regista, che ripropone temi a lui cari - la trasformazione del corpo, la passione accecante, l'inganno - attraverso la codifica narrativa archetipale della fiaba e la crittografia visiva del genere fantasy, usato ad altezza autoriale senza dimenticare il pop delle sue origini e dei suoi intenti.
    Garrone attinge a Fellini (La strada, Casanova) come al grottesco cortigiano dei dipinti di Goya, a M. Night Syamalan The Village, Lady in the Water) come al Mario Bava de La maschera del demonio, allo strazio romantico del Pinocchio di Comencini come alla comicità "medievale" de L'armata Brancaleone. E tiene in equilibrio il (suo) mondo (perché "l'equilibrio del modo deve essere mantenuto") come un funambolo sul filo, non a caso l'immagine che chiude Il racconto dei racconti: quello è Garrone, sospeso sull'abisso - del ridicolo, del cattivo gusto, del melodramma, della farsa involontaria - intento ad evitare il fuoco che lo minaccia da vicino. Perché la materia di cui è fatto Il racconto dei racconti, in Basile prima ancora che in Garrone, è supremamente incandescente e richiede atti "di coraggio e sacrificio" per essere narrata come una fiaba accessibile, che non si può possedere solo per sé.
    Nell'immaginario visivo de Il racconto de i racconti c'è anche il Garrone precedente: il respiro ansimante delle creature selvagge, siano esse uomini o la loro trasformazione animale; i labirinti della mente; il tentativo di addomesticare l'altrui libertà; la solitudine come destino inevitabile; l'arroganza dei tanti "re" che "non ascoltano nessuno".
    Anche l'uso delle musiche è Garrone, pur nella sua radicale differenza con, ad esempio, Gomorra, in cui sonoro era ambientale: perché anche se ne Il racconto dei racconti l'accompagnamento musicale (di Alexandre Desplat) è quasi incessante, nei momenti più importanti (e più crudeli) si arrende al silenzio assoluto, all'isolamento (anche acustico) totale dell'abbandono.
    Nell'universo de Il racconto dei racconti eros e thanatos sono ossessioni supremamente vitali, le bestie si riconoscono all'odore e gli uomini (e le donne) diventano mostri tutti allo stesso modo. Garrone scortica gli esseri umani per rivelarne l'intima fragilità e leva loro la pelle perché è l'unico modo di chiamare in superficie quella pietas che ci permette di accettare la vita, anche nella sua suprema crudeltà.




    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    "Sembra uscita da una storia di fantasia.
    Da uno di quei racconti in cui all'improvviso spuntano fuori
    creature sorprendenti in paesaggi quasi fatati."


    L'ISOLA DI AOGASHIMA


    L’isola si è formata da resti vulcanici di ben quattro caldere sottomarine, una di queste affiorata in superficie è andata a formare una grande caldera chiamata Ikenosawa 池之沢 con un diametro di 1,5 km e un cono minore chiamata Maruyama 丸山. Il punto più alto dell’isola con un’altezza di 423m è chiamato Otonbu 大凸部. Sembra un posto da favola, perfetto per allontanarsi dalle noie della vita quotidiana e isolarsi felicemente dal genere umano, se solo non fosse che il vulcano che si trova sotto l'isola di Aogashima è attivo, e il suo ultimo evento eruttivo, esteso nell'arco di quattro anni, risale solo a poco più di 200 anni fa.La popolazione locale, nell'arco di parecchi secoli, non sembra mai aver superato le 300-400 unità.
    Per raggiungere Aogashima ci sono solo due opzioni, o tramite elicottero o via mare partendo dall'isola di Hachijojima. Ma l'isola possiede un unico porto al cui molo, Sanbo, agibile soltanto durante le fasi di bassa marea ed in condizioni meteorologiche clementi. Il clima è nel complesso molto differente da quello di Tokyo, l'influenza della corrente Kuroshio, infatti, lo rende più caldo ed umido rispetto al centro della capitale.Possono attraccare soltanto navi di piccole dimensioni,. Le condizioni di attracco al porto sono ancora più difficili quando l'isola viene colpita da una tempesta tropicale, rimanendo totalmente isolata dal mondo esterno ad eccezione di un collegamento radio e satellitare. Durante il periodo delle tempeste, c'è il 50% di possibilità che l'unica barca che raggiunge ogni giorno Aogashima non riesca nemmeno a lasciare il porto per le cattive condizioni del mare.

    Come siano arrivati i primi abitanti sull’isola è tuttora un mistero. La maggior parte dei suoi abitanti storici sono stati giapponesi. Una leggenda sosteneva che fosse vietato l’ingresso sull'isola alle donne poichè la presenza di sesso maschile e femminile sullo stesso suolo avrebbe scatenato le ire degli dei. Le prime testimonianze scritte risalgono al XV secolo e sono per lo più racconti di naufragi quindi probabilmente i primi colonizzatori potrebbero essere marinai, i quali hanno fatto delle coste la loro casa.
    Grazie a i sui abitanti, durante il periodo Edo, fu possibile registrare le eruzioni del 1652 e del 1670-1680.Nel 1781, uno sciame sismico scatenò la prima vera eruzione; successivamente, una grande fuoriuscita di lava nel 1783 costrinse gli abitanti ad evacuare l'isola, ma le case vennero nuovamente ricostruite qualche mese dopo ignorando completamente che l'intera Aogashima si stava preparando per la futura enorme eruzione che avrebbe ucciso buona metà della popolazione locale. Durante l'evento vulcanico del 1785, l'eruzione fu innescata da un terremoto che fece aumentare la pressione del vapore accumulato all'interno della caldera Ikenosawa, la più grande delle due.Le eruzioni avvenute hanno causato disastri e distrutto le case dell’isola costringendo gli abitanti alla fuga, abbandonando tutto e cercando rifugio nell’isola più vicina, Hachijojima. Purtroppo la metà dei residenti non fece in tempo a salvarsi e più di un centinaio di persone morirono. I sopravvissuti furono costretti a intraprendere la loro nuova vita su Hachijojima e vi rimasero per circa 40 anni. Ma nessuno riuscì a dimenticarsi della propria casa: uno di questi aveva il nome di Jirodayu Sasaki. Dopo 18 anni di pianificamenti riuscì con successo a guidare una spedizione e a riabitare su Aogashima nell’anno 1835.Una storia travagliata che l'ha trasformata in un luogo incontaminato con una densità di popolazione incredibilmente bassa. I suoi abitanti vivono per lo più di caccia e di pesca, ed i ragazzi frequentano l'unica scuola presente sull'isola.
    A partire dal 1940 appartiene alla giurisdizione della sottoprefettura di Hachijo, ma alcuni documenti sembrano attestare che fosse già conosciuta nel primo periodo Edo.

    Un must tra i pochi turisti è la cottura di un uovo nel forno, che sfrutta il vapore originato dal vulcano. Che viene anche usato per produrre il sale hingya, specialità dell’isola, ottenuto scaldando l’acqua di mare con il vapore dei soffioni boraciferi.

    (Gabry)





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    La musica del cuore


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    Musica anni 30/40/50


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    Sergio Bruni


    Sergio Bruni, nome d'arte di Guglielmo Chianese (Villaricca, 15 settembre 1921 – Roma, 22 giugno 2003), è stato un cantautore, chitarrista e compositore italiano.


    A nove anni s'iscrisse a una scuola serale di musica e a undici diventò suonatore di clarinetto nella banda del paese, realizzando così la sua prima esperienza da musicista. Nel 1938, a diciassette anni, si trasferì con la famiglia al limitrofo Chiaiano, cominciò a lavorare come operaio. Nel settembre del 1943, mentre si trovava a casa in licenza di convalescenza, proveniente dal novantunesimo reggimento fanteria di stanza a Torino dove cantò per la prima volta davanti ad un pubblico di militari, ebbe notizia che a Napoli la gente stava insorgendo contro le truppe tedesche e formò con una decina di giovani della sua età un gruppo di volontari.

    Si procurarono delle armi e il 29 settembre, con l'aiuto di un capitano d'artiglieria, riuscirono a sminare il ponte di Chiaiano, minato dai tedeschi. Sulla via del ritorno s'imbatterono in una pattuglia tedesca e, in uno scontro a fuoco, rimase gravemente ferito alla gamba destra e segnato per sempre da una menomazione nel camminare. Trasportato avventurosamente in ospedale su di un carretto, si salvò la vita per miracolo. Quando fu dimesso dall'ospedale, spinto e aiutato dai suoi amici di Chiaiano, cominciò a frequentare la scuola di canto tenuta dal maestro Gaetano Lama e dal cantante Vittorio Parisi, diventandone subito il vanto.

    Dopo pochi mesi, il 14 maggio 1944, presentato proprio da Vittorio Parisi, esordì ufficialmente davanti al pubblico del Teatro Reale di Napoli. Ottenne un grande successo, ma il giorno dopo l'impresario rifiutò di farlo cantare per non disturbare i suoi "artisti scritturati". Il cantante, che non aveva altri lavori, visse momenti difficili e cominciò a frequentare la Galleria in cerca di qualche piccola scrittura che non arrivò quasi mai.

    Ma l'anno dopo entrò nel mondo della canzone dalla porta principale, vincendo un concorso per voci nuove bandito dalla RAI. La fase finale si svolse il 21 ottobre al Teatro delle Palme di Napoli e Bruni ottenne un vero trionfo, classificandosi primo con 298 voti contro i 43 del secondo classificato. La vittoria gli fruttò un premio di 3000 lire e un contratto con Radio Napoli. Cominciò così lunghe prove di dizione e di canto sotto la guida del maestro Gino Campese, che dirigeva allora l'orchestra stabile di Radio Napoli, cantando poi in seguitissime trasmissioni radiofoniche. Lo stesso maestro Campese gli suggerì il nome d'arte Sergio Bruni per evitare confusione con un altro cantante radiofonico che si chiamava Vittorio Chianese.

    Il 1948 fu per Sergio Bruni un anno cruciale per la sua vita e la sua carriera di cantante. Il 14 febbraio si sposò con Maria Cerulli, con la quale mise al mondo quattro figlie. Nello stesso anno incise per La voce del padrone, che restò la sua casa discografica per un ventennio, il suo primo disco. Nel 1949, interpretò la canzone Damme 'sta rosa, parolata da Giuseppe Casillo e musicata dal maestro Luigi Vinci, edita a Napoli dalla casa di musica Gennarelli. Sempre nel 1949, scritturato dalla Casa Editrice La Canzonetta, partecipò alla sua prima Piedigrotta, ottenendo un clamoroso successo con la canzone Vocca 'e rose e presentandovi in seguito altri numerosi motivi, come Surriento d'e nnammurate (1950), Chiesetta nella valle (1951) A rossa (1952), O rammariello (1952), A luciana (1953), Chitarrella chitarrè (1953), Vienetenne a Positano (1955) e Piscaturella (1956).

    In questi anni Sergio Bruni incominciò ad imporre il suo stile interpretativo sempre più personale e inconfondibile che gli procurò un grande consenso popolare che lo accompagnò per tutta la sua carriera. Dal 1952 partecipò a dodici Festival della canzone napoletana, portando al successo canzoni amate e cantate ancora oggi, come Sciummo (1952), O ritratto 'e Nanninella (1955), Suonno a Marechiaro (1958) e Vieneme 'nzuonno (1959). Poi, con "Serenata 'e piscatore" (di Nello Franzese e Rino Solimando) cantata anche da Giorgio Consolini, vince il 3º premio alla Piedigrotta-RaiTv del 1958.

    Sì classificò primo nel 1962 con Marechiaro marechiaro e nel 1966 con Bella e avrebbe vinto anche il festival del 1960 con Serenata a Margellina, ma si ritirò clamorosamente all'ultimo momento, rifiutandosi di partecipare alla serata finale per una diatriba con Claudio Villa e gli organizzatori. Nel 1960, al culmine della sua carriera, partecipò per la prima volta al Festival di Sanremo con Il mare ed È mezzanotte. Sempre nel 1960, incise con l'editore Acampora Sfaticatella, canzone d'amore musicata da Raffaele Vincenti e parolata da Giuseppe Casillo. In seguito si ritirò nella sua villa di Napoli e stipendiò per anni il suo pianista di allora, Gianni Aterrano, per concentrarsi quasi esclusivamente sul repertorio classico della canzone napoletana.

    Diminuì drasticamente le sue esibizioni e abbandonò gradualmente tanti suoi successi. Tra le tante canzoni antiche che interpretò, si ricordano Fenesta vascia, La serenata di Pulcinella, attribuita a Cimarosa e La rumba degli scugnizzi di Raffaele Viviani. Ma Sergio Bruni aveva già scritto la musica di canzoni di grande successo, come Palcoscenico (1956) e Na bruna (1971). Decisiva fu la collaborazione con il poeta Salvatore Palomba: un sodalizio da cui nacquero, tra l'altro, Carmela (1976), divenuto un classico della canzone napoletana, e l'album Levate 'a maschera Pulecenella (1975), divenuto nell'ottobre del 1976 anche uno spettacolo televisivo e teatrale.

    Nel 1980 nacque Amaro è 'o bene, altro grande successo del duo Palomba - Bruni, incluso nel disco Una voce una città, contenente, tra l'altro, il testo di Eduardo De Filippo È asciuto pazzo 'o patrone, musicato da Bruni. Tra il 1980 ed il 1990, Bruni realizzò un'antologia della canzone napoletana contenente le canzoni, da lui più amate, nate dal 1500 in poi, ed alcune di sua composizione. Il lavoro venne pubblicato nel 1984 in un'edizione in cofanetto con quattro dischi a 33 giri, contenenti quaranta canzoni, e un libro curato da Roberto De Simone e autoprodotto da Bruni. Nel 1991 la Casa Editrice Ferdinando Bideri ripubblicò in formato CD e MC il primo cofanetto e vi aggiunse un secondo cofanetto con oltre quaranta canzoni. Nello stesso anno, Bruni realizzò uno spettacolo televisivo basato su questo lavoro discografico.

    Nel marzo del 2000, per motivi di salute e opportunità, Bruni lasciò la sua villa di Napoli e si trasferì a Roma, città d'abitazione di due delle sue quattro figlie. Il 15 settembre del 2001, in onore del suo ottantesimo compleanno, Villaricca organizzò un Bruni Day dedicato al suo cittadino, al quale partecipò anche Nino D'Angelo, il quale nel dicembre 2008 pubblicherà un CD in suo onore intitolato D'Angelo canta Bruni. Nello stesso anno Bruni incise l'ultima canzone, cantandola in coppia con il cantautore Lino Blandizzi, dal titolo Ma dov'è, la quale uscì nell'album Blandizzi incontra Sergio Bruni. Sergio Bruni si spense per una crisi respiratoria all'ospedale Santo Spirito di Roma il 22 giugno 2003.

    In memoria di Sergio Bruni

    Dopo la scomparsa di Sergio Bruni, nel 2003, per mantenerne intatta la memoria, il Comune e la Pro Loco di Villaricca istituiscono il Premio Villaricca-Sergio Bruni, rivolto ai ragazzi delle scuole medie di Napoli e Provincia, con l'obbiettivo di stimolare l'interesse per la lingua, la poesia e la Canzone napoletana. il 4 novembre 2009 viene presentato lo spettacolo Omaggio a Sergio Bruni, manifestazione legata al Premio, ove partecipano vari artisti per commemorare la figura di Bruni. Tra gli artisti che partecipano alla manifestazione vi sono Mirna Doris, Mario Trevi, Raiz, Mimmo Angrisano ed Adriana Bruni.

    Il 15 settembre 2011, in occasione del 90º anniversario della nascita dell'artista, è stata presentata, nel foyer del Teatro San Carlo, la manifestazione Sergio Bruni a 90 anni dalla nascita, dove è stato presentato il libro Mio padre Sergio Bruni, la voce di Napoli, scritto dalla figlia Bruna Chianese, e dove sono intervenuti Enzo Avitabile, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, l'assessore alla Cultura e Turismo Antonella Di Nocera, il direttore dell'Archivio Storico della Canzone Napoletana Paquito Del Bosco ed il giornalista e critico musicale Federico Vacalebre. Il 21 ottobre 2013 a dieci anni dalla sua morte, Sergio Bruni, sarà ricordato con l'atteso spettacolo di Nino D'angelo Memento/Momento per Sergio Bruni al Teatro Real San Carlo di Napoli.


    fonte: wikipedia.org
    foto: inventati.org




    balilcol





    Damme 'sta rosa


    (Ivana)





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    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    Calcioscommesse: il business della 'Ndrangheta. Quote e squadre su pizzini. Sotto inchiesta anche Salernitana. Lotito: "Vado avanti come un treno".
    Maxiretata e 50 arresti, nel caos Lega pro e Dilettanti. Oltre 70 indagati, coinvolte più di 30 squadre. Ci sono almeno altre cinque partite che sarebbero state combinate e su cui gli inquirenti di Catanzaro che hanno concluso ieri la prima fase dell'inchiesta sul calcioscommesse stanno indagando. Gare che riguarderebbero almeno 3 squadre, tra cui la Salernitana del presidente Lotito, promossa direttamente in serie B dopo aver vinto il girone C di Lega Pro.

    Alcuni "pizzini" con quote, nomi di squadre e modalità di giocate sono stati trovati dalla polizia nel corso delle perquisizioni effettuate contestualmente all'esecuzione dei 50 fermi disposti dalla Dda di Catanzaro per il calcioscommesse. In uno, ad accompagnare la giocata da fare, c'è scritto: "Se ci beccano ci arrestano".

    "Non ho niente da dire, parlo con i fatti: vado avanti come un treno sulla strada del lavoro e dei risultati, e' evidente che sto cogliendo nel segno. Tutto queste bugie non mi interessano, rispondo alla mia coscienza". Cosi' Claudio Lotito al telefono con l'Ansa sulle inchieste sul calcio: "La Salernitana? I pizzini? Ma non scherziamo...".

    "Ora basta con il fatto che personaggi di discutibile approccio governino il calcio a tutti i livelli. Faccio un appello alla Federazione, alla Lega, al Coni, restituiamo il calcio alle famiglie", ha detto il premier Matteo Renzi a Rtl soffermandosi sul calcioscommesse definendo lo scandalo sulla Lega Pro "imbarazzante" e definendosi "disgustato".

    "Pur condividendo grandissima parte delle dichiarazioni di Renzi, è un errore esprimere un giudizio generalizzato, il calcio non è tutto uguale": così il presidente della Lega di B Andrea Abodi sulle riflessioni del Premier. "Bisogna avere la capacità di leggere i fatti e interpretare nel giusto modo comportamenti e linguaggi in cui non mi riconosco, personalmente e come Lega".

    Il business della 'Ndrangheta su combine e promozioni. Una nuova violenta bufera scuote l'Italia del pallone stavolta in Lega Pro e Serie D con sospetti sulla Serie B. E c'è odore di mafia. La Polizia ha eseguito decine di fermi in tutta Italia nell'ambito dell'inchiesta denominata 'Dirty Soccer' : coinvolti calciatori, dirigenti e presidenti di club. L'inchiesta è coordinata dalla Dda di Catanzaro e e dallo Sco di Roma. L'accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Sono 50 i fermi, oltre 70 gli indagati. Oltre 30 le squadre coinvolte.
    I poliziotti del Servizio centrale operativo e della squadra mobile di Catanzaro stanno operando nelle province di Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Bari, Napoli, Milano, Salerno, Avellino, Benevento, L'Aquila, Ascoli, Monza, Vicenza, Rimini, Forlì, Ravenna, Cesena, Livorno, Pisa, Genova e Savona.

    Ad alcuni indagati vengono contestate le aggravanti mafiose e transnazionali. L'inchiesta ha preso il via grazie alle intercettazioni di Pietro Iannazzo, ritenuto elemento di vertice dell'omonima cosca che opera a Lamezia Terme, arrestato giovedì scorso in una operazione della polizia contro la 'ndrina. Quella degli Iannazzo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, è una cosca "d'elite della mafia imprenditrice" dedita agli affari, ma anche capace di scatenare una guerra con altre consorterie per mantenere il proprio predominio sul territorio. Nel corso dell'operazione condotta la settimana scorsa da squadra mobile di Catanzaro, Sco, Dia e Guardia di finanza, sono state una quarantina le persone arrestate, tra le quali alcuni imprenditori. E' stato captando alcune conversazioni di Pietro Iannazzo nel corso di quella indagine che gli investigatori hanno saputo delle combine su varie partite dei campionati di Lega Pro e Cnd per alterare i risultati al fine di ottenere vincite cospicue con le scommesse.

    Pm, due gruppi criminali finanziati estero - "Due gruppi criminali organizzati, tra loro distinti, ma aventi un trait d'union soggettivo, dediti ad architettare frodi sportive, 'combinando' incontri di calcio del campionato dilettantistico e dei tornei professionistici". E' quanto ha portato alla luce l'inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro e condotta da squadra mobile e Sco secondo quanto scrive il pm titolare delle indagini, Elio Romano, nel decreto di fermo eseguito oggi nei confronti di 50 persone. Un'organizzazione, prosegue il pm, "alimentata anche dal denaro che proviene dai 'signori' delle scommesse e cioè personaggi, di cui alcuni ancora non identificati, che vivono in Asia (Kazakistan), nell'est d'Europa (Serbia e Slovenia) ed in Russia e che, comunque, in Italia hanno la loro longa manus nel gruppo criminale. Attraverso la mediazione di dirigenti sportivi disonesti e avventurieri in cerca di facili profitti, i finanziatori stranieri irrorano le casse delle organizzazioni criminali oggetto d'indagine fornendo denaro ai criminali 'nostrani', che lo usano in primis per 'corrompere' i calciatori in modo da avere partite combinate su cui scommettere e realizzare ingenti guadagni, sempre senza l'alea propria della scommessa (fatti salvi i casi in cui - per una sorta di perfida nemesi del Dio del Calcio - la combine 'salta', con tutte le conseguenze del caso, generando poi ulteriore attività criminale - a base violenta stavolta - come emerge dai capi di imputazione dedicati alle estorsioni e al sequestro di persona a scopo di estorsione)". L'inchiesta, scrive ancora il pm, ha permesso di far emergere "la parte marcia del mondo del 'pallone' della LND e della Lega PRO, che è poi quello più visceralmente legato alla 'provincia' italiana".

    Fermato allenatore Barletta - L'allenatore del Barletta (Lega Pro), Ninni Corda, è stato fermato nell'ambito della inchiesta sul calcioscommesse della Procura di Catanzaro. Corda, 40enne originario di Nuoro, è arrivato sulla panchina barlettana a metà del girone di ritorno. Su nove partite, giocate dalla squadra che Corda ha allenato, tre, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbero quelle incriminate (Barletta-Catanzaro, 1-1; Aversa-Barletta, 0-1; Barletta-Vigor Lamezia, 3-3).

    Calcioscommesse: in Puglia 7 partite truccate e 12 indagati
    Due perquisizioni e un arresto a Genova -Tocca anche Genova l'inchiesta 'Dirty soccer' della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Agenti della squadra mobile genovese hanno perquisito l'abitazione di Giuseppe Perpignano, imprenditore di 49 anni, attualmente presidente del Barletta Calcio ed ex presidente del Bogliasco e poi del "Rapallo Bogliasco" società di serie D e Massimiliano Solidoro, 42 anni, ex giocatore dilettante e collaboratore tecnico del Savona. I due sono accusati di frode sportiva. La squadra mobile ha arrestato anche un calciatore ghanese del Santarcangelo, club della provincia di Rimini del Girone B di Lega Pro. Il calciatore si trovava a Genova per motivi personali e qui è stato fermato.

    Boss cosca aveva rapporti con presidenti - Pietro Iannazzo, il presunto boss dell'omonima cosca intratteneva rapporti con presidenti di società di calcio per alterare i risultati. E' quanto emerso dall'inchiesta "Dirty soccer" condotta dalla polizia di Stato e coordinata dalla Dda di Catanzaro. E' proprio intercettando alcuni colloqui di Iannazzo che gli investigatori hanno ricostruito il giro di calcioscommesse.

    'Ndrangheta dietro combine, aggravante mafia - La 'ndrangheta dietro alcune delle presunte combine di partite dei campionati di Lega Pro e Cnd venute alla luce con l'inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro e condotta dalla squadra mobile e dallo Sco di Roma. Ad alcuni indagati vengono contestate le aggravanti mafiose e transnazionali. L'inchiesta ha preso il via grazie alle intercettazioni di Pietro Iannazzo, ritenuto elemento di vertice dell'omonima cosca che opera a Lamezia Terme, arrestato giovedì scorso in una operazione della polizia contro la 'ndrina. Quella degli Iannazzo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, è una cosca "d'elite della mafia imprenditrice" dedita agli affari, ma anche capace di scatenare una guerra con altre consorterie per mantenere il proprio predominio sul territorio. Nel corso dell'operazione condotta la settimana scorsa da squadra mobile di Catanzaro, Sco, Dia e Guardia di finanza, sono state una quarantina le persone arrestate, tra le quali alcuni imprenditori. E' stato captando alcune conversazioni di Pietro Iannazzo nel corso di quella indagini che gli investigatori hanno saputo delle combine su varie partite dei campionati di Lega Pro e Cnd per alterare i risultati al fine di ottenere vincite cospicue con le scommesse.
    (Ansa)




    Giro: 11/a tappa; nell'autodromo di Imola vince Zakarin.
    Lo spagnolo Alberto Contador ha conservato la maglia rosa per il sesto giorno consecutivo. Il russo Ilnur Zakarin (Team Katusha) ha vinto per distacco, grazie a una fuga partita a 23 chilometri dall'arrivo, l'11/a tappa del 98/o Giro d'Italia di ciclismo, da Forlì a Imola, lunga 153 chilometri. Lo spagnolo Alberto Contador ha conservato la maglia rosa per il sesto giorno consecutivo.

    Zakarin, che ha ricoperto i 153 chilometri dell'11/a tappa - che ha portato i corridori da Forlì a Imola - ha preceduto sul traguardo di 53", il colombiano Carlos Alberto Betancur (Ag2r La mondiale), secondo; Franco Pellizotti (Androni giocattoli-Sidermec), terzo; lo spagnolo Benat Elorriaga Intxausti (Movistar), quarto; Diego Rosa (Astana), quinto. La maglia rosa di Contador ha tagliato il traguardo con un ritardo di 1'02" dal vincitore.
    (Ansa)




    F1: Hamilton altri 3 anni con Mercedes.
    Campione mondo rinnova contratto con scuderia tedesca. Lewis Hamiton e la Mercedes ancora insieme: il pilota britannico campione del mondo in carica ha infatti rinnovato il contratto con la scuderia tedesca per tre anni. Lo ha annunciato la stessa Mercedes alla vigilia del Gp di Monaco di F1. In Mercedes dal 2014, Hamilton ha finora vinto 15 delle 43 gare disputate, totalizzando altri 11 podi, e guida il Mondiale di quest'anno con 20 punti di vantaggio sul compagno di squadra, il tedesco Nico Rosberg.(Ansa)

    (Gina)



    MUSICAL




    Raffaello e la Leggenda della Fornarina


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    Platania_D'Amore Fornarina e RaffaelloDopo un’anteprima di qualche anno fa al Teatro Argentina è tornato, in veste completamente rinnovata, presentato da Musica in scena, lo spettacolo sul più celebre pittore di Urbino e sulla sua amata modella: Raffaello e la Leggenda della Fornarina.
    Il debutto è avvenuto il primo maggio scorso al Salone Margherita di Roma: la location, in pieno centro storico, ad un passo da Piazza di Spagna, non è casuale, visto che ci si vuole rivolgere non solo al pubblico della Capitale ma anche, dati i protagonisti e l’ambientazione della storia (Roma, in particolare la Trastevere del Cinquecento e dell’Ottocento) ad un pubblico di turisti che magari, proprio dopo le visite a musei, Chiese e palazzi, vogliano svagarsi o proseguire un immaginario percorso di conoscenza dell’artista che nella Città Eterna ha lasciato segni importantissimi della sua GruppoArte. Proprio la tela “La Fornarina” (di attribuzione peraltro complessa) si trova a Roma, presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica a Palazzo Barberini. In previsione di turisti stranieri, perciò, lo spettacolo si avvale dell’uso di sopratitoli che spiegano le situazioni, senza l’invasività di una traduzione letterale per ogni momento.
    Il regista e coreografo Marcello Sindici si affida, senza cedere a nomi di facile richiamo popolare, ad un cast di numeri uno del teatro musicale italiano (con alcune incursioni di diversa provenienza); come già scritto in altre occasioni, evviva le scelte che puntano esclusivamente sulla forza del talento: Brunella Platania (La Fornarina), Enrico D’Amore (Raffaello), Mino Caprio (Shoping), Simone Sibillano (Agostino e Tommaso Chigi), Valentina Gullace (Lucrezia), Lorenzo Tognocchi (Mario) sono i protagonisti dell’intreccio principale, quelli intorno ai quali gira tutta la storia; e ancora ci sono Andrea Rizzoli (Giacinto Luzi) e Daniele Derogatis (il Chiodo). Nel ruolo di Imperia, in partecipazione straordinaria troviamo Luciana Turina.
    La storia è a metà tra la realtà e l’immaginazione. Spesso ci si rifà alle famose Vite di Giorgio Vasari (prima edizione 1550, seconda edizione integrata 1568), ma la parte più emozionale risiede proprio in quello che è avvolto nel mistero o che lascia il posto all’invenzione.
    Un giornalista moderno, Shoping, scrittore fallito, amante dell’alcol, ha deciso di scrivere una storia sensazionale, scandalosa, ma al tempo stesso vuole raccontare la verità: “Storia e leggenda, realtà e fantasia popolare si intrecciano in un groviglio inestricabile”, spiega.
    D'Amore_Platania Raffaello e FornarinaQuella di cui si sta occupando è la misteriosa morte di Raffaello, avvenuta a 37 anni, in casa della sua modella e amante, la Fornarina, la notte di Venerdì Santo del 1520. La donna sarà sospettata di omicidio e si rifugerà presso il convento di Santa Apollonia. A questa linea temporale se ne intreccia una seconda, quella del 1870. Stessi luoghi, stessa casa, ma i protagonisti sono Lucrezia Luzi (una discendente della Fornarina) e Mario (un pittore spiantato). Tra i due, come nel passato, un Chigi: se prima si trattava del ricco banchiere e mecenate Agostino, ora c’è il dongiovanni Tommaso. Mario e Lucrezia sono una sorta di reincarnazione dei primi amanti, una seconda chance data a Margherita Luzi (o Luti) – questo il vero nome della Fornarina – per riscattarsi.
    In un suggestivo processo subito nell’aldilà e presieduto dal suo ex amante Agostino Chigi, infatti, la Fornarina è condannata a vagare “randagia finché non giunga il giorno del riscatto”; solo un atto di sincero amore compiuto da una donna della sua casata la libererà e le farà capire il significato del vero amore, senza che ciò possa comunque alleviare il suo dolore. Lucrezia, gli spettatori lo scopriranno presto, è la predestinata, colei che scioglierà la prigionia dell’anima di Margherita.
    Dunque lo spettacolo è costruito sul continuo intreccio tra il lavoro febbrile del giornalista, sempre più appassionato alla storia che prende corpo nella sua mente, fatta di fantasie e ricerche, ed il contatto, anche fisico, con i personaggi così come gli si presentano uscendo dalla sua penna… Ma sono solo sue fantasie o c’è dell’altro? Giancarlo Acquisti, l’autore delle musiche e del libretto (coautore delle liriche insieme ad Alessandro Acquisti), sembra voler lasciare la risposta agli spettatori.
    La regia e le coreografie di Sindici valorizzano le potenzialità della storia creando suggestivi quadri in cui le epoche corrono parallele oppure si intrecciano, si toccano. La Fornarina entra più volte nello spazio scenico di Shoping, un angolo adibito a studio in proscenio, sul lato sinistro rispetto al pubblico. A sua volta il giornalista entra nello spazio dei personaggi che descrive.
    Diverse sono le scene divise esclusivamente dall’immaginazione: epoche diverse che si succedono o si alternano come in un montaggio cinematografico sapientemente orchestrato dalla regia. L’assenza di una divisione fisica è necessaria e funzionale all’idea di continuità: bisogna crederci. Bravissimo Sindici, perché riesce a rendere tutto credibile. Anche piccoli particolari, come le margherite tenute in mano da Mario e dal balletto, nella canzone dedicata a Lucrezia, servono a richiamare la vicinanza tra le due donne (il riferimento è al nome della Fornarina, Margherita, appunto).
    Lo spettacolo vive di atmosfere sospese, a tratti inquietanti – popolate dalle anime dell’aldilà – a tratti oniriche, a tratti traboccanti di vitalità popolare grazie anche alle sempre ben contestualizzate e coinvolgenti coreografie di Sindici.
    Contributo fondamentale poi l’efficace disegno luci che evoca luoghi, giudizi sui personaggi, stati d’animo, situazioni. Da ricordare, a questo proposito, anche la scena della rissa: sprazzi di luce bianca che potenziano l’effetto rallenty impresso fisicamente dal cast. Come non citare poi il quadro in cui Margherita e Lucrezia (con Raffaello e Mario) si trovano ognuna nel proprio spazio fino a quando le due donne, separate dai 3 secoli che intercorrono tra loro, si attirano, si cercano, perché vivono l’una nell’altra; Lucrezia canta “amo quel qualcuno che c’è in me” riferendosi alla Fornarina, poi le due si scambiano, mentre Mario e Raffaello continuano a dipingerne i ritratti, inconsapevoli della sostituzione.Un momento vincente anche a livello musicale, con un brano a quattro voci particolarmente toccante.
    Brunella Platania_FornarinaTutte le musiche del resto, forti anche di questi numerosi pezzi a più voci, catturano al primo ascolto la sensibilità degli spettatori, come il brano di punta, “Amore che”, cantato da Raffaello prima e da Margherita poi, con una fantastica reprise durante la quale scroscia l’applauso a scena aperta per lei, Brunella Platania. E da lei non si può non partire parlando degli artisti di questo spettacolo. Una presenza scenica che non si può guadagnare, ci si nasce e lei ce l’ha. Grande padrona del palco, una vera leonessa dalle mille sfumature espressive, con una forza vocale al servizio dei sentimenti che esprime, la Platania ammalia tutti, fa scintille, commuove nei panni di Fornarina così sola, tormentata, in balia di un giudizio probabilmente ingiusto che segna il suo destino ultraterreno, ma è prepotentemente convincente anche quando deve esternare il lato Platania_DAmore-Fornarina-e-Raffaello-200x300più popolare e romanesco di Margherita.
    Enrico D'Amore_RaffaelloEnrico D’Amore è un intenso Raffaello, accompagnato da una voce precisa, tenorile, calda, ma anche da una impostazione fisica molto in linea col personaggio da interpretare. Un pittore considerato dai contemporanei quasi un principe, ma qui triste, bruciato dal rimorso di non aver vissuto a pieno, strappato troppo presto alla vita; un uomo che si chiede se veramente lo abbia vissuto, il tempo dell’amore. D’Amore riesce a rendere vivo, distante nel tempo ma allo stesso modo presente, quel rimpianto ultraterreno.
    Simone Sibillano è Agostino Chigi prima, ed il suo discendente ottocentesco Tommaso poi. Due interpretazioni diversissime per due personaggi all’opposto. Il primo duro, quasi diabolico nella sua intransigente condanna, il secondo uno sbruffone romano, pieno di donne che gli muoiono dietro. E proprio questi due personaggi così differenti, confermano e sottolineano ancora una volta la versatilità di questo artista: Sibillano comunica anche con una semplicissima entrata in scena, sa giocare con l’ironia ed una vasta gamma di espressioni in un brano molto divertente insieme al cast femminile, stupisce con il romanesco, fa commuovere nel pezzo dove rivela il suo vero animo ed il suo amore per Lucrezia, che non lo ricambia… Tra l’altro, la canzone sembra essere un omaggio, nella concezione del testo, a “Roma nun fa’ la stupida stasera”.
    Simone Sibillano_Tommaso Chigi
    Valentina Gullace_LucreziaValentina Gullace, dopo due anni come Inga in Frankenstein Junior, torna nuovamente in un ruolo più spirituale, quello di Lucrezia, e colpisce nuovamente il bersaglio, forte anche delle doti di ballerina. Voce angelica, la sua è una interpretazione che restituisce grazia ed una piacevole leggerezza. Da menzionare uno dei sui pezzi clou, quello della prigionia, preceduto da una parte a 4 voci di grande impatto, con le due coppie in scena; visivamente (sia a livello scenografico, sia per la dislocazione degli interpreti), il quadro musicale sembra quasi richiamare la raffaellesca “Liberazione di Pietro dal carcere”, nella stanza di Eliodoro (Musei Vaticani).
    Tognocchi_Gullace Mario e LucreziaLorenzo Tognocchi conferma le sue qualità vocali; il suo modo di interpretare Mario sembra partire tutto da una grande gioia interiore, esternata dallo sguardo.
    Mino Caprio_ShopingMino Caprio è un grande mattatore: su lui si regge tutta la struttura narrativa. L’attore, forte della sua consolidata carriera, tiene il pubblico con il fiato sospeso, guida nel mondo irreale, incalza, canta, sogna, non molla. Caprio usa vari registri, anche quello da giornalista TG, per raggiungere la comunicazione voluta.
    Luciana Turina, in partecipazione straordinaria, molto apprezzata dal pubblico, regala il sapore più schiettamente popolare nelle scene di gruppo, alla locanda, che culminano con una esibizione dove è attorniata da piume di struzzo rese vorticose dal movimento del cast danzante.Luciana Turina_Imperia
    In conclusione Raffaello e la leggenda della Fornarina, è uno spettacolo che punta alle emozioni con interpreti di prim’ordine, che così, tutti insieme in una volta sola, è un peccato lasciarsi scappare; ma a parte questi aspetti, un’altra cosa è importante: se anche un solo spettatore, sulla scia delle emozioni provate o per semplice curiosità, tornando a casa aprirà un libro d’arte, consulterà un sito, entrerà in un museo o in un luogo d’Arte, per approfondire il discorso su Raffaello e sulla Fornarina, in una società dove la Storia dell’Arte viene bistrattata e quasi eliminata perfino dalla scuole, in un momento storico durante il quale non si capisce che dalla cultura e dalla conoscenza e coscienza del bello partono anche l’educazione, il rispetto, la gentilezza e la formazione personale, allora questo musical avrà raggiunto anche un altro importantissimo obiettivo!
    Forte, preciso ed energico il corpo di ballo: Serena Mastrosimone (assistente alle coreografie), Rosy Messina, Beatrice Zancanaro, Marco Angeletti (assistente alle coreografie), Francesco Consiglio, Danny Zazzini.
    Ensemble: Arianna Milani, Giorgia Bellomo, Giada Lombardo, Lorenzo Pelle, Massimiliano Lombardi, Nico Di Crescenzo.
    Dottori e Guardie: Pierluigi Sorteni, Danilo Turnaturi, Matteo Canesin. Eleganti i costumi di Simonetta Gregori. Per ora ridotta (rispetto all’anteprima), ma di classe la scenografia di Gianluca Amodio. Imponenti le orchestrazioni (registrate) di Giancarlo Acquisti, Roberto Tucciarelli, Giovanni Maria Lori. Assistente alla regia: Gino Matrunola.





    fonte:http://www.rivistamusical.com/


    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    Arte e Follia
    Antonio Ligabue, Pietro Ghizzardi


    dal 16 maggio al 30 ottobre 2015


    Dal 16 maggio al 30 ottobre 2015 presso la Galleria Centro Steccata di Parma verrà presentata la mostra: “Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi tra genio e follia”. Con questa mostra la galleria intende offrire una diversa chiave di lettura del mondo pittorico, scultoreo e umano di due geniali artisti riconosciuti a livello internazionale: Antonio Ligabue con i suoi animali domestici e feroci e Pietro Ghizzardi con i suoi ritratti prevalentemente femminili. In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Antonio Ligabue (1899-1965) la galleria vuole dedicare particolare attenzione alla sua produzione scultorea e grafica presentando trentaquattro sculture realizzate tra il 1935 e il 1958 e venti incisioni (puntesecche) realizzate tra gli anni ‘50 e ’60. Questa importante raccolta di bronzi, nota come “Il Bestiario di Ligabue scultore” può essere oggi mostrata al pubblico grazie alla paziente ricerca di Ennio Lodi, fondatore nel 1960 della Galleria Centro Steccata di Parma oggi diretta dalla figlia Patrizia Lodi, che fu tra i primi estimatori dell’artista. Egli con intuito anticipatore, privilegiò l’opera plastica di Ligabue che andò raccogliendo con entusiasmo e dedizione, spesso salvando le crete da inevitabile distruzione per la fragilità della materia con le quali erano state modellate: l’artista era solito realizzare le sculture con l’argilla del Po senza preoccuparsi della necessaria cottura.
    Durante gli anni ’50 e ‘60 Ennio Lodi, grazie alla collaborazione di Ligabue, riuscì a riunire trentacinque sculture con soggetti diversi curando da editore le tirature in bronzo di esemplari numerati e limitati che pubblicò nel volume “Il Bestiario di Ligabue scultore” con testo critico di Mario De Micheli nel 1972. La maggior parte delle sculture vennero realizzate in sette o nove esemplari, altre in dieci, dodici, quattordici esemplari e solo due in ventitré esemplari. Grazie a questo appassionato lavoro è possibile oggi offrire a tutti i cultori dell’arte la visione dello straordinario corpus pressoché completo dell’opera scultorea di Ligabue. La critica riconosce che l’esperienza scultorea dell’artista inizi probabilmente intorno agli anni ‘20 mentre quella pittorica sia sicuramente successiva all’incontro con Marino Mazzacurati avvenuto nel 1928. Per quanto riguarda l’opera grafica di Ligabue - come dice Marzio Dall’Acqua - l’artista nelle incisioni immette l’esistenza con pochi tratti con calligrafismi degni di un disegnatore giapponese, con rigori costruttivi da classico, in uno sperimentare il linguaggio con la libera inventiva di un maestro delle avanguardie. Dal 1958 al 1962 Ligabue realizzò una nutrita serie di puntesecche su rame o zinco che egli amava firmare direttamente su lastra; i soggetti a lui cari sono cani, autoritratti, animali selvaggi, domestici e da pascolo. Le puntesecche sono intrise di umori, spigolosità e forti eccitazioni che rispecchiano lo stato d’animo, l’emotività profonda dell’artista e la sua capacità di immedesimarsi nei soggetti. Ligabue dimostra la sua notevole padronanza tecnica, la sicurezza del suo segno, non conosce pentimenti o esitazioni, certo come è dell’anatomia dell’animale, attento alla fisicità che sa tradurre con magico realismo. Le sculture rappresentano in prevalenza animali, soggetti tanto amati da Ligabue, dotati di grande forza plastica e straordinaria capacità espressiva che rispetto a quelli dipinti risultano più realistici e immediati; in pittura, in scultura e nelle incisioni Ligabue rappresenta gli stessi animali: leoni, tigri, jene, leopardi, lupi, cervi, scimmie, tori, buoi, cani, gatti; animali esotici e animali domestici. Anticipando il trentennale della morte di Pietro Ghizzardi (1906-1986) la galleria presenta una cinquantina di dipinti dell’artista realizzati tra gli anni ’50 e gli anni ’70 pubblicando un volume monografico con testi di Mario De Micheli, Renato Barilli e Marzio Dall’Acqua. Nella pittura di Ghizzardi le figure femminili, i volti di donne comuni e i corpi seminudi sono icone imprescindibili: immagini di donne sognate o viste, contadine, prostitute, ma anche volti di attrici prelevate da manifesti cinematografici e dai rotocalchi per attaccarli nei suoi collage.


    Questo tema erotico - scrive Mario De Micheli - si arricchisce con le immagini dei santi, dei personaggi della storia, di figure più o meno leggendarie filtrate da un’invenzione povera, che viene riscattata dal suo segno e dalla sua passione. L’artista usava carbone, fuliggine e colori naturali prodotti con modesta alchimia domestica, misture di bacche colorate, terre ed erbe, al di fuori di qualsiasi sapere codificato e dall’empirico folklore popolare, reinventandosi un supporto pittorico: il cartone. Questi fogli di cartone molto spesso altro non erano che scatole usate per contenere grossi chiodi in ferro da cantiere che l’artista stesso recuperava e rimodellava per farli tornare alla dimensione originale imbibendoli di acqua; con la tenuta e l’assorbimento di tinte lievi ma persistenti, egli potenziava e rafforzava le opere con i pastelli a cera usati in grandi campiture con gesto da falciatore. Come scrive Marzio Dall’Acqua - ne sortiva una tecnica affabulatoria, che adattava il corpo al dipingere; spesso infatti Ghizzardi si metteva a quattro zampe e, posto il cartone sul pavimento, procedeva alla stesura dei colori dopo aver delimitato lo spazio del supporto disegnando una nera cornice a racchiudere l’invenzione, che era per lui sempre “potente”, in qualche modo sorprendente, come scaturita da un’interiorità segreta, come esterna al suo io cosciente. Come scrive Renato Barilli - queste figure femminili che costituiscono almeno i due terzi dei suoi soggetti, sono in genere signore di età matura, la maggior parte di queste donne è conforme o vicina a una presenza sempre immanente all’attenzione di Ghizzardi, quella della madre, propiziatrice, protettrice ma anche severa custode. Considerando la maggior parte delle sue opere, proprio come le vediamo in questa esauriente rassegna, si direbbe quasi che Ghizzardi abbia scelto e praticato piuttosto un rapporto con le persone secondo le buone modalità di un fotografo. Ma è davvero giusto parlare di un atteggiamento da fotografo, a proposito del nostro artista? A ben vedere, egli ha sempre rinunciato al mantenimento di una distanza di sicurezza, anzi Ghizzardi ha sempre voluto accorciare quella distanza, giungere a un corpo a corpo con le persone, fin quasi a toccarle. Semmai, egli si è comportato come il tecnico chiamato a darci, non tanto una fotografia, quanto piuttosto una radiografia che esige un contatto diretto con lo schermo. Soprattutto i volti sono costretti ad appiattirsi sulla superficie, fino ad allargare i loro tratti, a costellarsi di righe, di pieghe, di sinuosità, da cui discendono deformazioni di specie espressionista, quasi che si volesse costringere il soggetto ad arretrare nel proprio codice genetico, a ritrovare qualche stadio di sviluppo anteriore. Altro che foto, il Nostro dalle sue figure vuole ricavare delle sindoni, avvolgendole in stringenti sudari. La sua opera - continua Renato Barilli - se in una categoria deve essere ristretta, appartiene indubbiamente all’Art Brut, naturalmente non nell’accezione dell’arte dei folli o degli alienati, ma di coloro che al margine di ogni cultura si sono dovuti reinventare un linguaggio proprio per recuperare dignità per se stessi e le loro opere. Anche per quanto riguarda Pietro Ghizzardi il fondatore della galleria Ennio Lodi negli anni ‘60 fu il primo tra i galleristi ad interessarsi al suo lavoro comprendendo e apprezzando la forza espressiva di quelle figure così drammaticamente umane, promuovendo mostre personali e un catalogo monografico con testo di Mario De Micheli nel 1975. L’anello di congiunzione tra Ligabue e Ghizzardi è l’essere entrambi artisti autodidatti, fuori dagli schemi accademici dell’arte del Novecento, artisti selvaggi e primitivi, diseredati ed emarginati, dotati di una “folle genialità”, attraverso la quale hanno saputo elevarsi umanamente e artisticamente lasciando nelle loro opere significativa testimonianza del loro vissuto. Entrambi hanno concepito la loro arte come un importante e indispensabile strumento per fissare passioni travolgenti e inquietudini della mente; dalle loro opere esala il profumo della vita vera, cruda e reale, rendendoli così straordinariamente contemporanei e attuali. L’esperienza artistica dei due Maestri padani si intreccia con le sofferenze e le difficoltà della vita quotidiana: l’arte diventa esigenza necessaria per inserirsi nel tessuto sociale e raggiungere un riconoscimento umano e intellettuale. (www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    Madre degli déi immortali onorata dagli déi, nutrice di tutti,
    vieni qui, dea regolatrice, signora, alle preghiere a te rivolte,
    avendo aggiogato i leoni uccisori di tori al carro veloce nella corsa,
    tu che tieni lo scettro del cielo glorioso, santa, dai molti nomi,
    tu che hai il trono al centro del cosmo, per cui tu stessa
    possiedi la terra fornendo ai mortali dolci alimenti.
    Da te è stata generata la stirpe degli immortali e dei mortali,
    da te sono dominati i fiumi e sempre tutto il mare,
    sei detta Estia; te chiamano datrice di felicità,
    poiché ai mortali elargisci in dono beni d'ogni specie,
    vieni al rito, o signora, tu che ti rallegri dei timpani,
    che tutto domi, Frigia, salvatrice, sposa di Crono,
    figlia di Cielo, antica nutrice di vita, amante della follia:
    vieni gioiosa, rallegrandoti delle azioni pie.
    (Da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli)

    R E A


    Nella mitologia greca, Rea (in greco antico Ῥέα) è una titanide, figlia di Urano e di Gea, sorella e moglie di Crono e madre di Ade, Demetra, Era, Estia, Poseidone e Zeus.
    Rea è raffigurata spesso su un carro tirato da due leoni ed è associata a Cibele, dalla quale non è sempre distinguibile.
    Nella mitologia romana, Rea è Magna Mater deorum Idaea e identificata con Opi.
    Secondo la mitologia greca, Rea, per alleviare il dolore durante il travaglio per il parto di Zeus, conficcò le dita nel terreno, e dai buchi praticati nacquero degli esseri chiamati Dattili, cinque maschi e altrettante femmine, che la aiutarono a partorire. In seguito i maschi si dedicarono all'arte metallurgica mentre le femmine si occuparono dell'arte tessile. Sposò suo fratello Crono che, per evitare di perdere il potere così come era capitato a suo padre Urano (spodestato da Crono stesso), divorò i figli via via che Rea li partoriva, a partire da Estia quindi Demetra, Era, Ade e Poseidone. Rea furiosa, mise al mondo Zeus, il suo terzo figlio maschio, sul Monte Liceo, in Arcadia o secondo altre versioni a Creta, e dopo aver tuffato Zeus nel fiume Neda lo affidò alla madre Terra. I suoi vagiti vennero coperti dai Cureti battendo le loro armi sugli scudi, perché Crono non potesse udirli nemmeno da lontano. A Crono invece era stata recapitata una pietra avvolta in fasce al posto di suo figlio Zeus.Secondo un mito dell'Arcadia, Rea riuscì ad ingannare Crono anche per il neonato Poseidone che nascose tra un branco di cavalli e al suo posto offrì a Crono in pasto un puledro. Rea affidò poi alle cure delle Telchine il bambino e per lui esse forgiarono il tridente.
    Quando Rea, prevedendo i guai che la lussuria di Zeus avrebbe provocato, gli proibì di sposarsi, egli, infuriato, minacciò di usarle violenza. E benché Rea si trasformasse in un minaccioso serpente, Zeus non si lasciò ammansire, e si trasformò a sua volta in un serpente maschio, si unì a Rea in un nodo indissolubile e fece quanto aveva minacciato di fare. Allorché i Titani, per ordine di Era, si impadronirono di Dioniso figlio di Zeus, la nonna Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita. In seguito Rea lo accolse e lo guarì dalla follia, lo purificò per i molti delitti commessi e gl'insegnò i riti estatici che poi il dio diffuse per il mondo.

    Era la personificazione delle forze della natura, dea della terra e degli animali, veniva rappresentata accompagnata da sacerdoti (coribanti), da leoni e da altri animali selvaggi.
    Rea aveva molti santuari in tutta la parte occidentale della Asia minore, in particolare sul monte Ida ed a Pessinonte, dove vi era un famoso oracolo. Il suo culto si diffuse in gran parte nella Grecia continentale in cui si dava ai propri santuari il nome di metroon (Olimpia, Atene, il Pireo, ecc.). Resti di un suo tempio furono rilevati presso Cnosso; in Arcadia, sul monte Taumasio, era sacra a Rea una grotta accessibile soltanto alle sue sacerdotesse; a Cos e a Mileto era offerto a Rea un sacrificio, un tempio era dedicato a Crono e a Rea in Atene, e in onore delle due divinità si celebrava la festa delle Cronie nell'Attica il giorno 12 del mese Ecatombeone (luglio)
    A Roma, questo culto fu introdotto, nel 204 a.C. da "I libri Sibillini", i Romani fecero venire da Pessinonte, in Asia Minore, la Pietra Nera che rappresentava Cibele, la madre degli Dei. Per riceverla, costruirono un tempio sul Palatino e si commemorò ogni anno quest'evento con la festa di "megalesia", accompagnata da giochi megalesiani , dal 4 al10 aprile. La grande festa annuale di Cibele comprendeva cerimonie simboliche dove si rappresentava la storia degli amori della dea, il dolore, la mutilazione, la morte ed il resurrezione di Atys; processioni di sacerdoti (coribanti), che camminavano con la statua in legno della dea; corse, danze, ecc., tutto ciò evocando l'agonia della morte della vegetazione e, quindi, il suo grande risveglio. Gli strumenti del culto erano il coltello incoronato, il corno, il flauto di Frigia, i cembali, le castagnette, il timpano. Le rappresentazioni dell'immagine di Cibele sono numerose, soprattutto nell' Asia minore. All'origine, un semplice meteorite simbolizzava la dea: tale era la pietra nera di Pessinonte. Poco a poco, sotto l'influenza dello antropomorfismo greco, si rappresentò Cibele sotto le caratteristiche di una donna seduta che tiene un leone sulle proprie ginocchia, o affiancata da due leoni.

    “La parola “IN ” oggi ha molti significati.
    Pochi sanno che nell’antichità era associabile alla dea ESTIA,
    cioè a colei che rende sacro il lavoro dell’analista.”

    E S T I A



    Estia, nella mitologia greca, era la dea della casa e del focolare. Era una delle divinità dell'antica Grecia, meno conosciute, tuttavia era tenuta in grande onore, veniva invocata e riceveva la prima offerta nei sacrifici effettuati nell'ambiente domestico.
    Esiodo la indica come figlia primogenita di Crono e di Rea, la più anziana della prima generazione degli dèi dell'Olimpo. Apparteneva al ristretto gruppo delle dodici maggiori divinità dell'Olimpo. Essa sacrificò il suo trono sull'Olimpo quando Dioniso divenne dio, infatti venne chiamata anche "ultima dea".
    Insieme alla sua equivalente divinità romana, Vesta, non era nota per i miti e le rappresentazioni che la riguardavano, e fu raramente rappresentata da pittori e scultori con sembianze umane, in quanto non aveva un aspetto esteriore caratteristico: la sua importanza stava nei rituali simboleggiati dal fuoco.
    Fece voto di castità, non perché non fosse bella; infatti sia Poseidone che Apollo chiesero la sua mano a Zeus, che però, data la decisione della sorella di restare vergine ed evitando così un possibile concorrente al trono, respinse le loro proposte. Dopo un banchetto Priapo, ubriaco, tentò di farle violenza, ma un asino, col suo raglio, svegliò la dea che dormiva e gli altri dèi, che lo costrinsero alla fuga. Come sorella maggiore della prima generazione degli dèi dell'Olimpo e zia nubile della seconda generazione, Estia aveva la posizione di un' anziana onorata. Si teneva al di sopra o al di fuori degli intrighi e delle rivalità della sua divina parentela ed evitava di farsi coinvolgere dalle passioni del momento. Omero narra che Estia riuscì a resistere alle seduzioni e alle persuasioni di Afrodite.
    Estia era la maggiore delle tre dee vergini. A differenza di Atemide e Atena, non si avventurò nel mondo a esplorare luoghi selvaggi o a fondare città come Atena. Rimase nella casa o nel tempio, racchiusa all'interno del focolare.
    L'anonima Estia sembra avere poco in comune con Artemide, dalla vivace intraprendenza, o con un'intelligente Atena dall'armatura dorata. Eppure le tre dee vergini, per quanto fossero diverse, tutte e tre erano “complete” in "se stesse'. Nessuna di Ioro fu vittima di divinità maschili o di mortali. Ciascuna aveva la capacità di concentrarsi su quanto la interessava, senza lasciarsi distrarre dal bisogno altrui o dal proprio bisogno degli altri.

    Il Suo simbolo era il cerchio e la sua presenza era avvertita nella fiamma viva posta nel focolare rotondo al centro della casa e nel braciere circolare nel tempio di ogni divinità. Talvolta viene raffigurata assieme ad Ermes, ma mentre quest'ultimo aveva il compito di proteggere dal male e di propiziare una buona sorte, Estia santificava la casa.
    La sua prima raffigurazione è stata una pietra, denominata erma, dalla forma di una colonna.
    Il sacro fuoco di Estia ardeva sul focolare domestico e nei templi. La dea e il fuoco erano una sola cosa e univano le famiglie l'una all' altra, le città-stato alle colonie. Estia era l'anello di congiunzione spirituale fra tutti loro.
    Ogni città, nell'edificio principale, aveva un braciere comune, il pritaneo, dove ardeva il fuoco sacro di Estia, che non doveva spegnersi mai. Poiché le città erano considerate un allargamento del nucleo familiare, era adorata anche come protettrice di tutte le città greche. Nelle famiglie, il fuoco di Estia provvedeva a riscaldare la casa e a cuocere i cibi.
    Il neonato diventava membro della famiglia cinque giorni dopo la nascita, con un rito (anfidromie) in cui il padre lo portava in braccio girando attorno al focolare. Perché una casa diventasse un focolare, era necessaria la sua presenza. La novella sposa portava il fuoco preso dal braciere della famiglia di origine nella sua nuova casa, che solo così veniva consacrata. I coloni che lasciavano la Grecia, ogni volta che si accingevano a fondare una nuova sede, Estia li seguiva come fuoco sacro, collegando la vecchia residenza con la nuova, forse come simbolo di continuità e di interdipendenza, di coscienza condivisa e d'identità comune. Un rito che sopravvive anche nelle Olimpiadi moderne.
    « Per lungo tempo credetti stoltamente che ci fossero statue di Vesta, ma poi appresi che sotto la curva cupola non ci sono affatto statue. Un fuoco sempre vivo si cela in quel tempio e Vesta non ha nessun'effigie, come non ne ha neppure il fuoco. »
    Estia è l'archetipo della concentrazione sul mondo interno. È il 'punto fermo' , il punto di riferimento che consente a una donna di rimanere ben salda in mezzo al caos del mondo esterno, al disordine o alla consueta agitazione della vita quotidiana. Il focolare di Estia, di forma circolare, con il fuoco sacro al centro, ha là stessa forma del mandala, un'immagine usata nella meditazione come simbolo di completezza e di totalità.

    (Gabry)





    RITI E TRADIZIONI DEGLI SPOSI!!!




    Chi accompagna la sposa all’altare?




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    Le spose si fanno accompagnare all’altare del proprio padre. A volte sono uno zio, un fratello o un amico di famiglia a prendere il posto della figura paterna, perché non c’è. Altre volte lo sposo attende la promessa sposa davanti alla chiesa per poi percorrere insieme a lei la navata centrale.

    Può essere una scelta dovuta non a cause di forza maggiore, ma alla volontà dei due fidanzati di conlcudere insieme un percorso iniziato molto tempo prima, specie se la coppia convive già da tempo.

    Per molti naturalmente è improponibile rinunciare alla tradizione o magari la famiglia della sposa oppone così tanta resistenza, da far desistere i futuri coniugi da un qualsiasi loro progetto.

    Sono però convinta che ogni coppia debba poter cominciare il proprio matrimonio con uno stato d’animo che sia il più sereno possibile. Credo che la scelta spetti principalmente alla sposa e che stia proprio a lei farla serenamente ovvero non per accontentare il fidanzato, il papà o la mamma, ma neanche per ripicca nei confronti di qualcuno.

    Purtroppo a volte ci si mette anche il parentame a complicare le cose. Certo, lo capiamo, tutti vogliono essere parte di questa grande festa che sono le nozze, ma tutti anche spesso dimenticano che sono lì per partecipare a questo evento e non per esserne i protagonisti indiscussi.

    Quando mi sono sposata sono stati tanti i motivi per cui io e il mio futuro marito siamo entrati insieme in chiesa. Il principale, però, è che per noi era naturale muoverci insieme verso l’altare come lo era stato, d’altronde, negli ultimi due anni compiere tante scelte importanti a favore del nostro rapporto.

    E’ probabile che in questo genere di scelta contino anche l’età della sposa e naturalmente il rapporto che ha con il proprio padre. Voi che ne pensate? Nei matrimoni a cui avete partecipato, chi ha accompagnato la sposa all’altare? Voi come vi comporterete? Ne avete già parlato con i vostri genitori?


    (Lussy)





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    Salute e benessere




    Panoramica


    LE TERME DI STIGLIANO


    Conosciute e venerate dagli etruschi, molto frequentate dagli antichi romani, grazie anche alla vicinanza con la Capitale dell’Impero, le terme di Stigliano hanno conosciuto nei secoli diversi periodi di decadenza ma hanno sempre riacquisito popolarità per la loro caratteristica di combinare le alte proprietà curative con la suggestione di un rigoglioso e suggestivo contesto naturale.



    Un po’ di storia


    Furono gli etruschi la prima popolazione a scoprire le proprietà benefiche delle acque di Stigliano, venerandole come sacre: la creazione e lo sfruttamento di un impianto termale è provato dal ritrovamento di materiali archeologici e ceramici risalenti al VI-V secolo a.c.. In epoca romana, furono assai frequentate, indicate con il nome di “Thermae Stygiane” a sottolineare le loro proprietà “magiche” (il paragone era con le acque delle magica palude Stygia, poi cantata da Dante nella Divina Commedia). Nel primo secolo d.c., Plinio racconta come i soldati romani di ritorno dall’Egitto fossero costretti a passare da Stigliano a purificarsi prima di fare il loro trionfale ingresso nella Capitale. Sotto l’imperatore Tiberio, quindi, le terme giunsero all’apice della loro popolarità, grazie anche alla strada costruita appositamente per facilitarne l’accesso, le cui tracce sono ancora visibili nelle vicinanze.
    Dall’epoca romana, le notizie relative ai Bagni di Stigliano emergono solo nel medioevo: secondo un documento le terme, unitamente al locale castello furono lasciate dal Conte d’Anguillara Pandolfo III ai suoi figli nel 1321; la successiva testimonianza, datata 1493, attribuisce la proprietà al principe Virginio Orsini e a tale periodo risalgono anche degli scritti che descrivono le proprietà benefiche delle acque, relativamente alla loro efficacia per le malattie erpetiche, per i reumatismi e per i dolori sifilitici, oltre che per l’effetto coagulante nella cura delle ossa e delle piaghe. Un ulteriore salto temporale nelle notizie relative alle terme di Stigliano porta al 1700 quando sotto la proprietà dei principi Altieri viene inaugurato l’albergo di villeggiatura e i bagni tornano ad essere frequentati come luogo di cura.
    Guerre, invasioni, saccheggi e cambi di proprietà impongono diverse interruzioni alla attività delle terme che torneranno in auge più volte, tra le altre nel 1851 e nel 1934, quando la concessione per lo sfruttamento fu rilasciata con Decreto Ministeriale alla Società Anonima Italiana Acque e Terme e poi ancora nel 1952, quando la concessione è stata trasferita alla società denominata “Terme di Stigliano”.



    terme



    Le acque

    Le fonti termali di Stigliano, la cui acqua è di natura salso-iodico-sulfurea, sono diverse, con una temperatura che varia dai 36 ai 58 gradi centigradi. Legate al fenomeno vulcanico sabatino, esse vengono utilizzate prevalentemente per bagni, fanghi (preparati artigianalmente mescolando le acque all’argilla silicea del luogo), docce, inalazioni ed aerosol, con benefici nei casi di affezioni reumatiche, malattie della pelle e dell’apparato respiratorio e nell’obesità. Un’altra acqua, denominata “Fonte di Bellezza” (39°) di natura bicarbonato-solfato-calcica, risulta molto efficace per le cure estetiche della pelle. Una particolarità dell’impianto è rappresentata dalla presenza delle “stufe”, ovvero di grotte nelle quali è possibile sfruttare le proprietà benefiche delle acque termali sotto forma di vapore che si alza da sorgenti di acque ad altissime temperature.



    terme

    Tipo di acque minerali:
    Acqua salso-iodico-solfurea

    Indicazioni terapeutiche:

    Malattie otorinolaringoiatriche e delle vie respiratorie
    Malattie del ricambio
    Malattie reumatiche
    Malattie dermatologiche



    Lo stabilimento termale

    Lo Spa termale di Stigliano è denominato da sempre “Il Bagnarello” ed è stato concepito per un utilizzo giornaliero, lo stesso che veniva praticato nell’antichità prima dagli etruschi e poi dai romani. Sotto la struttura, vi è ancora oggi la grotta sudatoria, risalente alla Roma imperiale dove è possibile sentire l’acqua sgorgare direttamente dalla fonte. La piscina è alimentata esclusivamente da acqua termale ed è dotata di un percorso flebologico, di nuoto controcorrente, di una isola centrale per idromassaggio termale e di vari getti d’acqua a pressione per il massaggio e la stimolazione circolatoria. Il “Bagnarello” è una struttura a sé, con un parcheggio ed un’entrata separati dalla zona alberghiera, con singoli accessi sia alla piscina che allo Spa termale. Vicinissima alla struttura, vi è il Grand Hotel delle Terme, costruito nel ‘700 su resti di templi romani.



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    Turismo nei dintorni

    Le Terme di Stigliano si trovano nelle immediate vicinanze di Canale Monterano, il cui territorio comprende le rovine della città, oggi disabitata, di Monterano con i resti di un castello, di una chiesa ed un acquedotto romano ad arcate. Sempre nei dintorni si può visitare l’Eremo di Montevirginio e il parco secolare di Palazzo Patrizi a Castel Giuliano (contenente uno dei maggiori roseti privati italiani). Poco distante c’è il Lago di Bracciano, dominato dall’omonimo Castello, la cui costruzione è iniziata nella seconda metà del ‘400 e che è oggi sede di un Museo aperto al pubblico. Nella altrettanto vicina Oriolo Romano, da non perdere una visita a Palazzo Altieri, all’interno della quale vi è raccolta una collezione di quadri ad olio che raffigurano in ordine cronologico tutti i Papi, da San Pietro fino a Giovanni Paolo II.
    Le risorse naturali del luogo favoriscono un turismo fatto di escursioni, passeggiate a piedi o a cavallo. Ma a trenta minuti di automobili vi sono ambite mete turistiche come Cerveteri, Tarquinia e soprattutto Roma.




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    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    “Mangiare bere uomo donna. Cibo e sesso.
    Desideri fondamentali dell’uomo. Non se ne può fare a meno.”
    (proverbio cinese)


    MANGIARE BERE UOMO DONNA



    Titolo originale yǐn shí nán nǚ
    Paese di produzione Taiwan, USA
    Anno 1994
    Durata 123 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere commedia, drammatico
    Regia Ang Lee
    Soggetto Ang Lee, James Schamus e Hui-Ling Wang
    Sceneggiatura Ang Lee, James Schamus e Hui-Ling Wang
    Fotografia Jong Lin
    Montaggio Tim Squyres
    Musiche Mader
    Scenografia Fu-Hsiung Lee

    Interpreti e personaggi

    Sihung Lung: Chu
    Yu-Wen Wang: Jia-Ning
    Chien-lien Wu: Jia-Chien
    Kuei-Mei Yang: Jia-Jen
    Doppiatori italiani
    Giulio Platone: Chu

    Premi

    National Board of Review Awards 1994: miglior film straniero
    Kansas City Film Critics Circle Awards 1995: miglior film straniero


    TRAMA


    Talpei, il più celebre cuoco di Formosa, Maestro Chu, ha tre figlie. La maggiore, Jia-Jen, che insegna chimica, nonostante siano passati nove anni, è ancora innamorata dell'ex fidanzato Li Kai, anche se un collega, insegnante di ginnastica, Ming-Dao, comincia ad interessarla. Cristiana battista, è turbata da anonime lettere d'amore. La seconda, Jia-Chien, una donna in carriera in una compagnia aerea, ha la sorpresa di vedere giungere dall'Europa, come nuovo superiore, proprio Li-Kai, ma non ne fa cenno alla sorella, con la quale i rapporti non sono idillici, come del resto con il padre, che l'ha allontanata dagli amati fornelli. Ha saltuari ma appassionati incontri con l'ex fidanzato Raymond, ed ha anche investito i risparmi in un appartamento con l'ex fidanzato che si rivelerà una truffa. La minore, Jia-Ning, che studia e lavora in un fast-food, finisce per soppiantare l'amica Rachel nel cuore del fidanzato che costei trascura, Guo Lun. Chu vive per la cucina, sia nei raffinati pranzi domenicali con le figlie, che nel ristorante gestito dall'amico Wen. Prepara gustose merendine scolastiche per la piccola Shan-Shan, figlia di Jin-Rong. La madre di quest'ultima, signora Liang, di ritorno dagli Stati Uniti, non disdegnerebbe un legame col celebre cuoco, che stordisce con le sue chiacchiere. Improvvisamente Wen ha un malore e viene ricoverato in ospedale, dove Jia-Chen sorprende il padre nel reparto cardiologia e si preoccupa a sproposito. Viene a sapere da Li-Kaj che Jia-Jen si è inventata la storia d'amore con lui. Jia-Ning, che aspetta un figlio da Guo-Lun, va a vivere con lui. Jia-Jen, chiaritasi con Jia-Chien, sposa Ming-Dao e anche lei lascia la casa paterna, dove resta la seconda, che ha, dopo aver sfiorato l'amore con Lin-Kai ed essersi resa conto dell'egoismo di Raymond, rinunciando ad un incarico ad Amsterdam per restare vicino al padre che ha sposato Jin-Rong ed aspetta un erede.

    ...recensioni...


    Dettagli. Strette inqua-
    drature. Branchie. Viscere. Gesti sapienti condotti da sapienti mani. Sono quelle del Maestro Chu, cuoco straordinario, capace di tramutare ogni pietanza in un tripudio di colori e combinazioni di sapori. Vedovo, padre di tre figlie, tutte con vite sentimentali complicate, per le quali, ogni rigorosa domenica, prepara deliziosi banchetti. Banchetti che nel tempo diventano riti che stancamente si rinnovano a tavola. Una tavola diventa il luogo del sapore e del confonto, della comunicazione e della frattura. L’acqua bolle, l’olio frigge, il brodo è quasi pronto. Coltelli, taglieri, penne, piume, carpe, carni, ripieni, farina, guantiere fumanti, zuppe di melone, germogli di piselli in salsa d’anatra, anatra laccata, costolette agrodolci, ravioli di granchio imbandiscono una tavola in cui si moltiplicano portate su portate, che diventano sintomo di un amore che cerca e trova la via del gusto per esprimersi.
    La macchina da presa segue con attenzione i movimenti di Chu che precisi prendono posto in una tradizionale cucina cinese. Una cucina di casa che diviene specchio pronfondo, intimo e domestico, della cucina di un importante ristorante di Taipei, quello per cui ha lavorato tanti anni e che lo ha reso celebre nel mondo della ristorazione cinese gourmet.
    Nonostante il suo senso del gusto lo stia abbandonando, il cibo continua ad essere la sua lingua, soprattutto tra le mura di casa. Chu tra le pietanze cerca di sciogliere l’incomunicabilità tra sé e le tormentate figlie e nel cibo tramanda loro la propria cultura, passione e tradizione. Chu comunica attraverso il cibo. I sentimenti non vengono espressi con le parole, ma con i gesti, con l’esaltazione dei sensi, con le abbondanti pietanze segno inequivocabile di un abbondante bisogno di amare.
    Il titolo proviene infatti da un antico proverbio cinese che descrive le necessità della vita. “Mangiare bere uomo donna. Cibo e sesso. Desideri fondamentali dell’uomo. Non se ne può fare a meno.”
    Mentre Maestro Chu cucina, la vita, che sembra scorrere uguale e monotona da tempo, per sè e per le sue figlie, sterza e lo sorprende. L’amore diverrà la portata principale. Il piatto inatteso che tutto sconvolge e che tutto risveglia, papille gustative comprese.(Sara De Bellis)


    Mangiare bere uomo donna è il terzo lungometraggio di Ang Lee e il secondo passato sui nostri schermi dopo il pluripremiato Banchetto di nozze 1992. Sceneggiatore prima che regista, il taiwanese Lee sembra non smettere mai di ricordarcelo, e per un’altra volta ci offre un film dalla forte struttura narrativa e dalla accuratissima costruzione dei dialoghi. Certo la commedia si presta particolarmente bene ad essere tessuta, tramata e parlata, e Lee si dimostra a proprio agio nei territori che al genere sono più consoni. E va a scegliersi, come microcosmo da cui snodare tutto il resto, un ambito veramente inesauribile: la famiglia, con tutte le implicazioni in essa insite, dall’incontro-scontro tra generazioni alla delicata definizione dei ruoli interni. In questo senso Mangiare bere uomo donna è un film su tutto. Parla di tutto. Anche di cibo e bevande, certamente. E di sesso. Solo che per tutto il film non si mangia granché, si beve poco, e di sesso ce n’è pochissimo, almeno in una certa accezione del termine.
    Il cibo scandisce ritualmente l’andamento del film, ma solo come elemento centrale di un rito interrotto. Allo spettatore come ai personaggi Lee offre soltanto i preliminari, ossia l’elaborata preparazione delle vivande. E per questo che l’analogia portante di questo film non vuol essere tanto quella che lega il mangiare al vivere bensì quella secondo cui la vita sarebbe un eterno preparare, un eterno cucinare. I cibi sono lì, davanti ai nostri occhi, soltanto per essere allestiti, trasformati (di un’intensità quasi religiosa sono i momenti che seguono i passaggi dall’animale vivo - il pollo, le rane, i pesci - all’animale imbandito e decorato, una sorta di rito di passaggio della catena esistenziale), da gustare con lo sguardo e con la parola: ecco passare in rassegna prelibatezze dai nomi fantasiosi ed evocativi, cibi fritti saltati stufati bolliti dorati caramellati che soddisfano sinesteticamente ogni percezione, tranne quella gustativa.
    E soddisfano anche il senso dell’udito, perché è anche nel nome che si concentra l’essenza di un piatto, e anche la sua magia: quando Maestro Chu viene chiamato d’urgenza al ristorante per rimediare allo scempio delle pinne di pescecane spappolate, ecco che si mette in pratica l’abracadabra, e il Maestro entra in azione. Con lo sguardo fisso sul calderone di poltiglia marronastra Chu si fa signore delle parole, una via di mezzo tra il Prospero shakespeariano (ma poco greenawayano) e il Topolino apprendista stregone, e pronuncia il suo incantesimo, che consiste essenzialmente in un semplice cambio di nome: non più pinne di pescecane, ma fantasia di ali di drago!
    (...) Il titolo del film non è semplicemente una citazione da uno dei dialoghi, ma una vera e propria dichiarazione programmatica. I quattro segmenti che lo compongono sono segmenti autonomi, ognuno un nucleo generatore di storie e narratività. Ma ciascuno di essi non può considerarsi autoconcluso, né può vivere solo di forza propria. Il loro significato e la loro ragion d’essere emergono solo nella combinazione e nel continuo spostamento, proprio come accade per le pedine di un gioco di ruolo. Da questo punto di vista Mangiare bere uomo donna vive proprio all’interno di queste giustapposizioni, di questi movimenti di persone e oggetti. E la maestria di Lee sta proprio in questo, nel non limitarsi cioè al semplice esercizio di stile, ma nell’individuare nel gioco delle parti un’autentica sincerità d’ispirazione. Non a caso i quattro elementi principali non sono degli enti astratti ma proprio le componenti necessarie e fondamentali su cui si costruisce la concretezza stessa della vita. C’è un cuore che pulsa dietro le esercitazioni del regista, il film è un organismo vivente che tende a un respiro e a una dinamicità della conduzione del racconto e della ripresa che non è mai freddezza. La sequenza movimentata e vertiginosa dell’arrivo di Maestro Chu nelle cucine del ristorante, con la m.d.p. che insegue, precede, spinge e invita il personaggio a raggiungere il suo posto nel gioco già “imbandito” che senza di lui non può cominciare, è emblematica a riguardo. Lo stesso si può dire per tutte le altre sequenze relative alla preparazione dei cibi, che già dai titoli di testa si sottopongono all’obiettivo prima di tutto come oggetti di una continua manipolazione. Ovvero, come ingredienti. Ma sono ingredienti veri, cibi innumerevoli (più di cento portate, ha assicurato il regista) e autentici (preparati sul set da uno staff di grandi cuochi cinesi) che si offrono al nostro sguardo e al nostro appetito con genuino realismo.
    Dice ancora Lee a proposito del suo film: «Nel fare Mangiare bere uomo donna l’ho preparato per il pubblico proprio come ogni cuoco preparerebbe un gran pasto; e se qualche volta gli ingredienti possono sembrare in conflitto tra di loro, questo avviene solo momentaneamente cercando di far crescere sempre più il gusto dello spettatore e di tenere sempre viva la sua sorpresa, fino a che il cibo come insieme non si mescoli in una armoniosa creazione». Fare un film come cucinare, dunque. E cucinare come vivere. Anche se, come lo stesso Chu sottolinea a un certo punto, non è mai la stessa cosa, perché nella vita – e nel cinema! – non sempre si riescono a trovare tutti gli ingredienti al momento giusto. Mentre in cucina sì. Almeno nella cucina di Maestro Chu.
    (Alessandra Di Luzio, Cineforum n. 340 - 12/1994)

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    "..nell'ombra di un giardino c'è il limone
    coi rami polverosi,
    e limoni d'un giallo impallidito
    nello specchio dell'acqua della fonte.."
    (Antonio Machado)


    IL LIMONE



    Il limone è un albero da frutto che appartenente al genere Citrus e alla famiglia delle Rutaceae. Secondo alcuni studi genetici, il limone è un antico ibrido, probabilmente tra il pomelo e il cedro, ma da secoli è una specie autonoma. E' una pianta sempreverde. Il termine generico probabilmente deriva da una lingua pre-indoeuropea, in greco 'citron' e in latino 'citrus', per indicare il cedro, agrume di origine indiana introdotto in Persia e poi in Grecia da Alessandro Magno. Il termine specifico deriva probabilmente da un vocabolo arabo o persiano ('limúm') di provenienza orientale, introdotto in Occidente dagli arabi e dai crociati insieme alla pianta; dal greco 2limonum" = prato, luogo erboso, perchè quando il frutto è acerbo ha il color verde, simile a quello dei prati.
    Il limone viene coltivato in tutto il mondo nella fascia subtropicale, dove il clima è sufficientemente caldo ed umido ed è un importante prodotto di esportazione per molti paesi al di fuori dell'Unione Europea nel periodo "fuori stagione".
    L'albero del limone è alto fino a 6 metri, ha la corteccia scura ed i rami sono normalmente spinosi. Le foglie sono alterne, rossastre da giovani e poi verde scuro sopra e più chiare sotto; il picciolo è leggermente alato.
    I fiori, dolcemente profumati, possono essere solitari o in coppie, all'ascella delle foglie; in condizioni climatiche favorevoli sono prodotti praticamente tutto l'anno. Il bordo dei petali è violetto. I frutti sono ovali oppure oblunghi. Normalmente la buccia è gialla, può essere da molto ruvida a liscia, più o meno foderata all'interno con una massa bianca spugnosa detta albedo.
    Ci sono varietà variegate di verde o di bianco: ricca di olii essenziali, può essere più o meno sottile: la polpa è divisa in otto-dieci spicchi; generalmente è molto aspra e succosa: molte varietà sono prive di semi. La fioritura avviene in primavera, con la produzione del frutto invernale, e in settembre, da cui derivano i cosiddetti verdelli che maturano nell'estate seguente. In clima favorevole, il limone fiorisce e fruttifica due volte l'anno. La fioritura dura almeno due mesi e il frutto maturo può attendere altri due mesi sull'albero prima di venir colto, il che favorisce una raccolta sistematica. La fioritura primaverile produce i frutti migliori, la cui raccolta dura poi tutto l'inverno, da novembre ad aprile o maggio.
    I limoni sono coltivati in tutto il mondo in innumerevoli varietà che probabilmente neanche i botanici riescono a registrare correntemente. Le differenze tra di esse sono infatti riscontrabili prevalentemente nell'aspetto esteriore, mentre rimangono praticamente invariate sia le loro qualità alimentari. Quasi ignote le varietà del limone rosso e del limone dolce che danno frutti sempre agri, ma nel contempo abbastanza dolci da poter essere mangiati come frutta fresca.

    Anche in farmacologia il limone è molto apprezzato e le sue parti utilizzate sono il succo e la scorza. Il suo uso come farmaco era consolidato quando ancora non si sapeva nulla delle vitamine. Innanzi tutto ne veniva apprezzato il succo quale antiemorragico, disinfettante, ipoglicemizzanti (tende a far diminuire il glucosio nel sangue).
    In Sicilia, dove esiste da sempre il problema dell'acqua potabile, era in voga l'uso di immettere nelle riserve d'acqua vari limoni tagliati a metà. La gente sapeva per esperienza che i limoni disinfettano l'acqua e la ricerca moderna ha dato ragione. L'elevata concentrazione di vitamina C contenuta nel limone rende questo frutto di notevole importanza per la tutela della salute. Il limone rappresenta il 71% del fabbisogno giornaliero di vitamina C per una persona adulta, ed il 7% del fabbisogno di potassio, l'1% di calcio ed il 9% di magnesio.

    "La Media dona i suoi aspri succhi
    E il sapore persistente del frutto salubre
    Del quale non c'è più efficace rimedo..
    ..E' questo un albero di aspetto assai simile all'alloro e se non diffondesse all'intorno un aroma diverso sarebbe un alloro; nessun vento gli strappa le foglie; ha fiori molto tenaci..."
    (Virgilio, 60 a.C.)

    ..storia..

    Le diverse ipotesi che si fanno al proposito, concordano nell’individuare la zona sui contrafforti dell’Himalaya, da qui emigrò nella Media e nella Mesopotamia in quel vasto territorio compreso fra il Tigri e l’Eufrate fino a comprendere anche l’India.Il suo nome scientifico Citrus Medica o Agrume della Media (antico nome della Persia) ricorda il suo luogo d'origine: l'attuale Iran. La presenza del limone nella valle dell’Indo é databile già al 2500 a.C., anno in cui un pendente a forma di questo agrume é stato ritrovato durante gli scavi archeologici condotti nella suddetta valle.
    La descrizione delle sue proprietà si può ritrovare nei testi antichi di medicina indiani del terzo millennio a.C. dove viene denominato frutto purificatore dell'alito. Dall'India il limone si diffuse in Cina e nell'Asia Sudoccidentale. La coltivazione si propagò in Mesopotamia e da quelle regioni il popolo ebraico la importò fino in Palestina.
    Alcune affermano che i primi luoghi in cui sia cresciuto siano la Cina, dove veniva coltivato già prima della Dinastia Song (960-1279 d.C.), la regione indiana dell'Assam e il nord della Birmania. Gli antichi Egizi lo utilizzavano per imbalsamare le mummie e spesso lo riponevano nelle tombe. I Greci lo utilizzavano a scopo ornamentale e usavano coltivare gli alberi di limone vicino agli ulivi per preservare questi ultimi da attacchi parassitari. Le prime descrizioni del limone a scopo terapeutico risalgono alle opere di Teofrasto, allievo di Aristotele, che viene considerato il fondatore della fitoterapia.Lo consideravano simbolo di fecondità e lo usavano durante le cerimonie nuziali. I Romani scoprirono il limone grazie alle numerose comunicazioni marittime verso l’India, attraverso il Mar Rosso, nel I secolo dopo Cristo. A testimone sono le raffigurazioni di limoni presenti in alcuni mosaici a Cartagine e affreschi a Pompei, ma secondo altri studiosi è possibile che gli autori avessero semplicemente importato gli agrumi o visti nei loro paesi di origine. Plinio il Vecchio parlò del limone nella sua “Naturalis Historia” e ne parlava, tra l'altro, come di un antidoto verso diversi veleni; forse per questo si ritiene che anche Nerone ne fosse un assiduo consumatore, ossessionato come era dal timore di un suo possibile avvelenamento.Viene ricordato nelle fonti letterarie di Virgilio, che nelle sue "Georgiche" parla della "mela dei Medi", nome con cui i Romani indicavano il limone, che usavano anche come un potente anti-veleno. Dai Romani il limone soltanto in un secondo momento venne apprezzato, probabilmente a causa del suo sapore acre ed acido; poi fu considerato un frutto ricercato e prezioso, la cui coltivazione, comunque, scomparve con il crollo del relativo impero.
    Tolkowsky (1938) ritiene di ravvisare un frutto rassomigliante al limone negli antichi testi in Sàncristo; veniva indicato col nome di "Jambila" o "Jambira" usato anche per indicare il cedro.
    Gli Arabi impian-
    tarono nuova-
    mente il limone nelle varie regioni del bacino del Mediter-
    raneo. Lo scoprirono grazie alle espansioni della Mezzaluna verso Oriente, da qui poi il limone seguì il percorso di questo popolo fino in Occidente. Un antico testo, "Nabatean Agriculture" scritto nel 903 da Ibn el- Wahshiyah ma, pervenutoci in frammenti cita il limone che viene chiamato "hasia". Gli arabi conobbero anche le qualità medicinali del limone. Si deve ad un medico arabo, Ibn Jamiya, la pubblicazione di un Trattato sul limone nel quale, oltre ad una serie dettagliata di informazioni , si parla della limonata e delle qualità medicamentose. Veniva, già all’epoca, usato come disinfettante nelle infenzioni da mal di gola in sostituzione dell’aceto. Una notizia curiosa, derivante dalla superstizione, cita un altro arabo, Ibn al-Awwâm vissuto nella seconda metà del XII sec, il quale affermò che le piante di limone amano il sangue delle capre e quello di altri animali e non disdegnano quello umano.
    In Europa la prima coltivazione di limoni arrivò in Sicilia, dopo il X secolo e più tardi a Genova nella metà del XV secolo). I limoni compaiono nelle Azzorre nello stesso periodo, nel 1493, ad opera Cristoforo Colombo, che portò i semi del limone fino all'isola di Hispaniola.
    Ci sono anche alcune pagine di un cronista crociato, Jacques de Bitry, il quale elenca diverse varietà di poma citrina, fra le quali i limones. Un altro documento storico, la Historia hierosolimitana, parla della presenza di frutti dal sapore sgradevole e acido, ma il cui succo é ottimo per il condimento del pesce e della carne e come stimolante dell’appetito (Sunt proeterea aliae arbores fructus acidos, pontici videlicet saporis, ex se procreantes, quos appellant limones).
    Nel Rinasci-
    mento, il limone era abba-
    stanza conosciuto ed apprezzato, usato in medicina, in cucina e perfino nella compo-
    sizione di versi poetici, ma, più frequentemente in pittura. Il limone é una specie molto sensibile alle basse temperature e nel Rinascimento, per ovviare sorsero le cosiddette "limoniere". Queste ultime erano dei locali chiusi e non riscaldati ma riparati da ampie vetrate dove gli alberi di limone venivano piantate in vaso, adattandosi così ad una vita artificiosa e facendo da ornamento come nelle ville medicee, quelle di Bòboli, quelle Vaticane, ecc.. In Francia, non è da escludere che la costruzione di queste serre sia stata incoraggiata dalle due regine italiane, Caterina e Maria de' Medici. Le serre più belle furono costruite a Versailles per volere di Luigi XIV;si racconta che, durante una campagna militare, il re scrisse al ministro Colbert per avere notizie sulla salute delle piante che decoravano la Galleria degli Specchi e i saloni delle feste, diffondendo il loro delicato profumo. In questo periodo si sviluppò notevolmente l’industria di estrazione delle essenze.Il prete gesuita Baptista Ferrarius, pubblicò nel 1646, un interessante opera sugli agrumi, composta da quattro libri, in cui il terzo tratta del limone con altri frutti come le lime e le limette. Da questo momento si svolgerà un ruolo primario nell’ambito dell’economia delle moltissime aziende che baseranno i loro proventi sulla coltura, lavorazione ed esportazione del limone. Per la prima volta, viene utilizzata l’acqua di colonia, il cui procedimento fu inventato da un calabrese, Paolo Feminis, emigrato in Germania nel 1690.

    In seguito alla scoperta dell’America ad opera di Cristoforo Colombo la coltivazione del Limone e degli altri agrumi venne introdotta nel nuovo mondo dagli Spagnoli e dai missionari, pare infatti che fu proprio Colombo, nel 1493, a piantare i primi alberi di limone nell'isola di Haiti. La coltivazione intensiva degli agrumi si diffuse in Florida e in California, dove nel XIX secolo vennero generate delle qualità particolarmente resistenti al clima diverso da quello “mediterraneo”.

    Nei tempi più antichi, fu fatta molta confusione fra limone, lima e limetta. I trattati di agrumicoltura più antichi, come il Traité du Citrus (1811) di Gallesio, o il El cultivo de los agrios (1960) di Gonzales-Sicilia, riportano chiaramente tale confusione, in quanto attestano che il limone era "della grossezza di una ciliegia però molto acida". Più tardi gli studi condotti dal Laufer affermano che per primi furono due autori arabi a parlare del limone, da essi definito "limunak", come di un frutto pari alla grossezza di una mela e non di una ciliegia come affermato prima.


    " ..Pendono a un ramo, un con dorata spoglia,
    L'altro con verde, il novo e 'l pomo antico.."
    (Torquato Tasso)


    ...miti, leggende e curiosità ...


    Secondo antiche leggende, Gea la dea Terra per onorare le nozze tra Era e Zeus produsse degli alberi dai Pomi d’oro, emblema di fecondità e amore. Giove, nel timore di un loro possibile furto li trasportò in un'isola del grande Oceano, nel magico giardino delle Ninfe Esperidi, Aretusa, Egle ed Espere, ai confini del mondo, ai piedi del cielo retto dal padre Atlante ,nel giardino dove cresceva l'albero dai “pomi d'oro”, custodito dal drago Ladone, figlio di Tifone e Echidna. Da cui il solare frutto degli agrumi prese nome Esperidio. Eracle, l'Ercole dei Romani, per volere di Euristeo dal quale avrebbe ottenuto l'immortalità, nella sua XI fatica ebbe come compito quello di rubare i preziosi pomi. Il mito, nella versione di Apollodoro, racconta che Eracle, consapevole del desiderio del padre delle Esperidi di cogliere i pomi, gli giocò un inganno, offrendosi al suo posto come reggitore del cielo: Atlante rubò i pomi, ma una volta compiuto il furto, Eracle, con la scusa di prendere un cuscino da porre sulle spalle, lo richiamò a reggere il celeste fardello. Atlante ingenuamente acconsentì, posò i pomi per terra e recuperò l'ingente volta, mentre il vigoroso eroe afferrò i pomi e li consegnò ad Euristeo.Un'altra versione del mito vuole a custode dei frutti dorati, per volere di Era, un serpente a cento teste, figlio di Forco e Ceta. Il mito narra che, per cogliere i frutti, Eracle uccise il serpente, provocando la disperazione di Era. Questa, per omaggiare la creatura cui era tanto affezionata, decise di trasformarla in costellazione: la costellazione del Serpente. I pomi vennero restituiti da Euristeo alla moglie di Zeus e le Esperidi, afflitte per aver perduto i frutti di cui erano custodi, si trasformarono ciascuna in un albero, comunemente noti come emblema di tristezza: pioppo nero, salice e olmo.
    Le leggende raccontano di frutti dalle proprietà divine contro il veleno. I condannati a morte per salvarsi dai morsi velenosi di terribili aspidi, lo consumavano in segreto. Virgilio narra della magica mela della Media che salvava dagli avvelenamenti di matrigne malvagie. Per le sue proprietà antireumatiche e antisettiche era considerato un frutto sacro nei paesi arabi e veniva impiegato come antidoto contro i veleni e … per tenere lontano i demoni. Alessandro Magno era solito consumare questo frutto durante le sue campagne di guerra nelle terre persiane, da qui l'appellativo di "mela persiana".
    Gli Ebrei lo citano nel Levitico dove viene chiamato albero della purezza o albero della vita per il suo essere sempre splendidamente verde.

    In Francia i limoni rappresentarono, fino al XVIII secolo, il tradizionale dono che gli scolari portavano ai loro maestri nell'ultimo giorno dell'anno scolastico, che coincideva con la festa di San Dionigi. Per popoli del Nord, gli agrumi hanno sempre rappresentato una delle attrattive del Mezzogiorno caldo e assolato , la terra dove nascono i limoni, tanto che i frutti furono scelti per decorare il nordico Albero di Natale.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    MAGGIO


    Maggio

    E viene il tempo
    che gli uccelli si sposano:
    l'usignolo, l'allodola
    il passero e lo scricciolo
    il pettirosso e il merlo.
    Canti e canti
    s'intrecciano nel cielo
    e gli alberi
    si vestono di fiori
    e volano le api
    in sciami d'oro.
    Quando scende la sera
    i gatti
    neri bianchi rossi e grigi
    fanno il concerto
    della primavera.


    (E. Borchers)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Frank van Haalen

    Quello che gli uomini chiamano l’ombra del corpo
    non è l’ombra del corpo, ma è il corpo dell’anima.
    (Oscar Wilde)

  10. .




    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 020 (11 Maggio – 17 Maggio 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 11 Maggio 2015
    S. FABIO MARTIRE

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    Settimana n. 20
    Giorni dall'inizio dell'anno: 131/234
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 04:54 e tramonta alle 19:18 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 04:57 e tramonta alle 19:42 (ora solare)
    Luna: 0.44 (lev.) 11.40 (tram.)
    Luna: ultimo quarto alle ore 11.37.
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Se maggio è rugginoso, l'uomo è uggioso.
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    Aforisma del giorno:
    E' miseria della nostra condizione che spesso ciò che si presenta
    alla nostra immaginazione come la cosa più vera, non vi si presenti
    come la più utile per la nostra vita. (M. de Montaigne)









    RIFLESSIONI



    ... MAREAMICO…
    ... Oggi in questo a volte caldissimo maggio; l’estate che si avvicina, è inevitabile pensare al mare. Il mare immensa distesa di pensieri riversati da ognuno che si ferma dinanzi ad esso. Sguardi persi nel suo infinito distendersi, cullati del suono delicato e ripetitivo della risacca. Pensieri che volano mentre scrutiamo, attratti dai riflessi del sole, ogni singola increspatura alla ricerca della meraviglia, dell’imprevisto che in esso si cela. Il mare come trasparente spechio nel quale navi scivolano lasciando dietro di esse scie bianche come segni di un pennello fatti da un pittore ispirato. Il mare, i suoi colori, tutti quei pensieri che in esso sono versati da menti assorte alla ricerca di un perché. Mare che crea onde che come le emozioni cambiano il normale scorrere delle cose; onde cavalcate da uomini su colorati surf come fossero i problemi che la quotidianità propone. Mare illuminato da fari, che fermi, immobili segnano nella notte la scura distesa d’acqua con una traccia che indica la strada disegnandola. Fari che sopportano a volte la forza delle onde, come impavidi erori che, fermi nelle loro determinazioni, sfidano tutto e tutti pur di mantenere ruolo e posizione. Infine mare come forziere nel quale tante vite finiscono; sono quelle di tanti disperati che fuggono da un inferno in terra per finire inconsapevolmente in inferni peggiori oppure smettere quella loro esistenza proprio in quella inifinita distesa. Il mare, amico, li prende e li custodisce teneramente in quell’abbraccio fatto di amore, protezione e dei tanti desideri, sogni e speranze che quel mare ha ascoltato dai tanti che lo hanno scrutato, ed in esso sono finite e si nascondono. Mare come amico, forziere, compagno nei pensieri, nei viaggi con la mente o sulle navi; mare come specchio nel quale imparare a comprendere il perché di questa nostra esistenza … Buon risveglio … Buon Maggio amici miei … (Claudio)






    L'uomo e il mare

    Sempre il mare, uomo libero, amerai!
    perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
    nell'infinito svolgersi dell'onda
    l'anima tua, e un abisso è il tuo spirito
    non meno amaro. Godi nel tuffarti
    in seno alla tua immagine; l'abbracci
    con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore
    si distrae dal tuo suono al suon di questo
    selvaggio ed indomabile lamento.
    Discreti e tenebrosi ambedue siete:
    uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
    dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
    mare, le tue più intime ricchezze,
    tanto gelosi siete d'ogni vostro
    segreto. Ma da secoli infiniti
    senza rimorso né pietà lottate
    fra voi, talmente grande è il vostro amore
    per la strage e la morte, o lottatori
    eterni, o implacabili fratelli!
    (Charles Baudelaire)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sulla Primavera …

    Fiori dai cento colori

    Sono scesa in giardino
    con il mio cestino
    per cogliere fiori
    dai cento colori.
    Ne colgo uno blù!
    Non ricordo più
    il nome preciso,
    ma forse è un narciso.
    Poi prendo giacinto
    che sembra dipinto,
    la gialla giunchiglia,
    una meraviglia!
    E infine una viola,
    che stava da sola,
    dal capo chinato,
    tra il fosso ed il prato.
    (K. Jackson)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    Il topolino bianco

    In una foresta abitava una famiglia di topolini. C’era la mamma Tipa, il padre Tipo, e sette fratellini. Era una famiglia di topini grigi, ma il più piccolo dei fratellini, che si chiamava Tipino, aveva il pelo bianco. Questo era una cosa veramente brutta per la famiglia dei topini. Quando andavano alla ricerca di semi nel prato, il colore bianco di Tipino si vedeva da molto lontano e la grande Aquila, scopriva subito i topini. La famiglia era riuscita a fuggire, ma Tipino non poteva più cercare il cibo insieme ai suoi fratellini e rimaneva chiuso nella tana. I fratellini lo prendevano in giro per questo e la mamma Tipa doveva consolare il povero Tipino che piangeva.
    Un giorno Tipino prese coraggio è uscì dalla tana di notte al buio, quando la grande Aquila dorme. Aprì la porta e piano piano uscì fuori senza far rumore. Nessuno si accorse di niente. Tipino corse nel prato felice. Finalmente non correva pericolo. C’era la luna piena e riusciva anche a trovare del cibo. Ma il povero Tipino non sapeva che la notte è il regno della terribile Civetta, che con i suoi grandi occhioni riusciva a scoprire anche i più piccoli topolini anche di notte. Figurarsi Tipino con il suo pelo bianco! La Civetta scese in picchiata verso Tipino che mangiava i semini. Il piccolo topino aveva imparato ad essere attento e sentì il rumore delle ali della Civetta in tempo e corse nella sua tana, chiudendo la porta. La famiglia si svegliò e chiese a Topino cosa fosse successo. Topino piangeva e raccontò della Civetta. La mamma lo rimproverò perché era uscito senza avvisarla, ma poi cercò di consolarlo per il grande spavento.
    I mesi passavano e per Tipino diventava sempre più noioso rimanere chiuso nella tana, con gli scherzi degli altri fratellini. Ma arrivò l’inverno e un bel giorno nevicò fitto fitto. Tutto il paesaggio era cambiato. Non c’era più il verde del prato, il rosso e il giallo dei fiori, il marrone della terra: c’era solo bianco. Ovunque! La famiglia uscì come al suo solito per cercare i semini, ma questa volta il grigio del loro pelo si vedeva benissimo sulla neve bianca. La grande Aquila attaccò la famiglia dei topini che incominciò a correre verso la tana gridando a più non posso. Tipino si affacciò alla finestra e vide la famiglia in pericolo. Senza pensarci due volte uscì dalla tana e corse incontro alla famiglia in fuga. Con sua grande sorpresa si accorse che il suo pelo era dello stesso colore della neve. Era finalmente diventato invisibile agli occhi della grande Aquila. Sua sorella Tipa era rimasta indietro e stava per essere raggiunta dalla Grande Aquila. Tipino corse a più non posso e nascose sua sorella sotto di sé. L’Aquila vide sparire il topolino senza capire cosa fosse successo e salì in alto per vedere meglio. A quel punto Tipino e Tipa corsero più in fretta che potevano fino alla tana dove li aspettava il resto della famiglia. La paura fa diventare anche i piedini più piccoli molto veloci!
    Tutti festeggiarono Tipino e i suoi fratelli smisero di prenderlo in giro e anzi lo elogiavano per il suo grande coraggio. Per quell’inverno e per tutti quelli a venire Tipino con il suo pelo bianco usciva a procurare il cibo e la famiglia rimaneva nella tana. L’estate Tipino rimaneva in casa e i fratellini cercavano i semini e così nessuno correva pericoli e vissero felici per tanti anni nella foresta.

    (Vito Foschi)



    ATTUALITA’


    Liguria regina Bandiere blu 2015, in Italia 280 spiagge al top.

    Fee assegna riconoscimento a 147 Comuni e 66 approdi turistici. Liguria regina delle Bandiere blu per l'estate 2015: su 23 località - tre in più dell'anno scorso - potrà sventolare il vessillo assegnato dalla Fee (Foundation for environmental education) in base a determinati criteri guida dallo spirito 'verde'. Sono 147 in totale i comuni rivieraschi, per 280 spiagge complessivamente (pari a circa il 7% del totale di quelle premiate a livello internazionale), e 66 gli approdi turistici in Italia che hanno ottenuto le Bandiere Blu 2015. Seconda sul podio la Toscana con 18 località e terza le Marche con 17.

    In Campania si arriva a 14 bandiere grazie anche a un nuovo ingresso; stesso discorso per la Puglia che arriva ad 11. L'Emilia Romagna rimane a quota 9, l'Abruzzo perde due 'pezzi' e arriva ad 8; anche il Veneto ne prende 8 (con un nuovo ingresso) così come il Lazio, la Sardegna (2 nuovi acquisti). La Sicilia scende a 5 bandiere avendone (ne perde due e ne conquista una); la Calabria 4, il Molise 3, il Friuli Venezia Giulia ne conferma 2, la Basilicata 1.

    Quest'anno c'è un incremento per i laghi: 1 bandiera per la Lombardia, 2 per il Piemonte che ne riconquista una e 5 per il Trentino Alto Adige. I criteri guida per l'assegnazione delle Bandiere Blu vanno ''dall'assoluta validità delle acque di balneazione'' (devono avere una qualità 'eccellente') all'efficienza della depurazione, dalla raccolta differenziata alle aree pedonali, piste ciclabili e spazi verdi, fino alla dotazione di tutti i servizi sulle spiagge.

    Trend in crescita quello delle località Bandiera Blu, rispetto all'anno scorso. Ci sono sette comuni in più (11 nuovi ingressi e quattro uscite). A conquistare il vessillo sono: Capaccio (Campania); Terracina (Lazio); Borghetto S.Spirito, Taggia, S.Margherita Ligure (Liguria); Cannobio (Piemonte); Castellaneta (Puglia), Castelsardo, Sorso (Sardegna), Tusa (Sicilia), Rosolina (Veneto). Mentre lo perdono: Silvi (Abruzzo), Rocca S. Giovanni (Abruzzo), Ragusa, Marsala (Sicilia).

    ''Anche per il 2015 possiamo annunciare con soddisfazione un aumento di Bandiere Blu, un incremento costante che dimostra, nonostante le ridotte risorse economiche, la volontà di tanti comuni di non mettere al secondo posto l'attenzione per l'ambiente'', afferma Claudio Mazza, presidente della Fee Italia.

    Punti cardine per ottenere la Bandiera Blu sono qualità delle acque 'eccellenti', gestione del territorio, educazione ambientale, promozione di un turismo sostenibile. Nella fase di valutazione, portata avanti dalla Giuria nazionale, hanno dato il loro contributo vari enti (dal ministero dei Beni culturali a quello delle Politiche agricole, dagli assessorati regionali al Turismo al Comando generale delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera, fino all'Ispra e ai sindacati balneari).

    ''Bandiera Blu è simbolo di quell'impegno profuso dalle amministrazioni comunali a favore di una conduzione sostenibile del territorio; un fine che la Guardia Costiera condivide e persegue con professionalità ed impegno'', osserva l'Ammiraglio Felicio Angrisano, Comandante Generale delle Capitanerie di Porto. Le Bandiere Blu sono per i comuni un punto di forza: secondo una ricerca interuniversitaria realizzata dagli atenei di Urbino e di Perugia infatti ''per il 94% dei comuni ci sono vantaggi per il rafforzamento dell'immagine'' e ''l'88% ha riscontrato un aumento di soddisfazione da parte dei turisti''. (Ansa)





    E' ufficiale, le news sbarcano su Facebook.

    Lancia Instant Articles con 9 testate fra cui Nyt e Guardian. Dopo le indiscrezioni del Wall Street Journal, Facebook lancia "Instant Articles" sulla sua applicazione per iPhone: in accordo con 9 realtà editoriali - New York Times, National Geographic, BuzzFeed, NBC, The Atlantic, The Guardian, BBC News, Spiegel e Bild - il social network pubblicherà i loro articoli direttamente sulla sua piattaforma e gli utenti potranno accedervi senza lasciare la bacheca. In cambio per gli editori c'è visibilità ma soprattutto una bella fetta di ricavi pubblicitari.
    'Instant Articles', scrive Facebook annunciando la novità in un post ufficiale, permetterà di caricare le notizie (con foto, video, mappe e altri contenuti interattivi) 10 volte più velocemente rispetto allo standard degli articoli cui si accede online da dispositivi mobili.
    Le testate che per ora hanno stretto l'accordo "manterranno il pieno controllo dei contenuti pubblicati e dei loro modelli di business", precisa Chris Cox, chief product del social network. Gli editori potranno sia vendere direttamente pubblicità e incorporarla nei loro articoli, mantenendo così interamente i ricavi derivanti, sia potranno delegare a Facebook la vendita di inserzioni. In questo caso il social network manterrà una fetta degli introiti. Le compagnie media potranno inoltre tracciare dati e traffico sui loro contenuti attraverso strumenti di analisi come comScore e altri. "Stiamo iniziando con solo pochi editori mentre scopriamo di più su come le persone interagiscono con questi articoli. Abbiamo in programma di lavorare a stretto contatto con i nostri partner editoriali per raccogliere feedback e apportare miglioramenti con l'obiettivo di utilizzarli con ulteriori editori di tutto il mondo nei prossimi mesi": lo dice all'ANSA un portavoce di Facebook.
    (Ansa)





    Walkman, il robot umanoide che usa il trapano e impara a guidare.

    Parteciperà a gara mondialei. E' altro 1 metro e 85 centimetri, pesa un quintale, ha mani morbide che sanno afferrare e usare il trapano e sta imparando a guidare: si chiama Walkman, è un robot umanoide ed è stato costruito in Italia dall'Istituto Italiano di Tecnoligia (Iit). Rappresenterà l'Europa nella più importante competizione mondiale di automi, la Darpa Robotics Challenge (Drc), organizzata dal Dipartimento per la Difesa degli Stati Uniti il 5 e 6 giugno a Pomona, vicino Los Angeles.

    Obietto della competizione è definire gli standard tecnologici dei robot da impiegare in situazioni di disastro naturale o causato dall'uomo. Una sfida nella quale Walkman si troverà ad affrontare 25 concorrenti provenienti da Stati Uniti, Giappone, Sud Corea, Hong Kong e Cina. I tre vincitori si divideranno il premio, che ammonta a 3,5 milioni di dollari.

    Walkman si prepara quindi a partire da Genova, dove è stato allestito in tempo record in collaborazione con il centro di ricerca "E. Piaggio" di Pisa, nell'ambito di un progetto europeo.
    L'esame che lo aspetta negli Usa è tutt'altro che semplice. I robot in gara dovranno infatti dimostrare di saper camminare e operare in autonomia, salire scale e superare altri ostacoli, aprire porte e girare valvole, manovrare utensili di lavoro, guidare un veicolo. In più occasioni le comunicazioni fra ricercatori e robot verranno interrotte per rendere ancora più realistica la simulazione di una situazione di emergenza.

    "Siamo molto orgogliosi di potere partecipare alla Drc con un progetto costruito interamente in Italia e in rappresentanza dell'Europa'', osserva il direttore scientifico dell'Iit, Roberto Cingolani. E il responsabile del progetto, Nikolaos Tsagarakis, guarda già oltre: dopo la gara, dice ''ci confronteremo con altri scenari definiti insieme agli enti di Protezione civile''.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Messi - Storia di un campione




    locandina


    Un film di Álex De la Iglesia. Con Marc Balaguer, Juan Carlos Lo Sasso, Francesc Pagès, Víctor Alcaraz, Julia Azar.


    Il campione argentino celebrato nei racconti altrui, dall'infanzia difficile ai trionfi del presente.
    Emanuele Sacchi


    Tra i racconti di chi gli è stato vicino, schegge del passato e ricostruzioni ad hoc, scorre la vita di Lionel Messi, dalla lotta contro i deficit fisici che hanno rischiato di bloccare la sua carriera, all'arrivo a Barcellona che cambierà la sua vita, fino a renderlo uno dei più grandi calciatori di sempre.
    Confrontarsi con un mito dello sport vivente, anzi nel pieno della propria carriera, è operazione insolita oltre che temeraria. Materiale per Alex De La Iglesia, spericolato e spiazzante, che in Messi tuttavia pare quasi nascondersi all'ombra della "Pulce", occultando il suo stile in favore delle gesta del Diez. Compito reso ancor più arduo dalla natura irriducibile di anti-personaggio del nostro. Il regista sceglie l'approccio ibrido, mescolando parti di documentario girate al tempo presente, in cui Messi non compare ma è solo raccontato, immagini di repertorio e sezioni ricostruite in maniera fittizia, con attori professionisti (4 diversi per il ruolo di Messi). De La Iglesia sceglie la linea difensiva totale, nel bene e nel male, la favola del campione più forte di una costituzione gracile, più forte delle timidezze e, per una volta, serio e semplice, non incline a trasgressioni: una storia troppo bella per essere raccontata dando spazio ai detrattori, rigorosamente tenuti fuoricampo.
    Il paragone con Diego Armando Maradona, straordinariamente simile a Messi da un punto di vista tecnico e polarmente opposto da quello caratteriale, è inevitabile e non manca neppure la presenza del pibe de oro, ma la questione Coppa del Mondo mancata e le accuse di scarsa argentinità sono liquidate senza tanti complimenti dai commensali del ristorante in cui si svolge buona parte di Messi. Ai tavoli siedono icone come Cruyff, Menotti, Mascherano, Iniesta e altri, uniti (da un astuto montaggio che li fa apparire come contigui) alle figure più importanti dell'infanzia del campione.
    Non mancano i capolavori indimenticabili, tra cui i gol segnati contro Getafe e Saragozza, complicati da un montaggio frenetico che vuole enfatizzare il momento ma in parte nasconde la bellezza del gesto. In generale De La Iglesia pare più interessato alla chiacchiera che scorre tra un bicchiere di vino e l'altro o alla sua ricostruzione con attori di stralci della vita di Messi (approccio antitetico al documentario su Zidane, in cui a "parlare" erano i piedi di Zizou e il rock dei Mogwai) che alle prodezze del nostro, benché il paragone con i rari ma preziosi estratti di repertorio finisca per risultare ingeneroso. D'altronde il fatto che un dribbling compiuto a nove anni dal piccolo prodigio emozioni più del girato di un regista professionista giustifica l'operazione quasi agiografica che gli è stata dedicata.
    Che rimane (e va ribadito) assai impegnativa e dalle aspettative enormi, ma che De La Iglesia non sembra aver condotto al meglio, limitandosi al "dovuto" e rinunciando a sfondare il muro invisibile che nasconde i pensieri della Pulce. Di cui difficilmente si dimentica l'espressione dopo la finale di Brasile 2014, una postura sì cinematografica, che vale più di mille gesti attoriali e di altrettante parole, come quelle che scorrono nel documentario di De La Iglesia.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    La natura non ha fretta, eppure tutto si realizza.
    (Lao Tzu)

    IL LAGO PERDUTO, LOST LAKE

    Lost Lake si trova in Oregon, è un lago poco profondo appena fuori l'autostrada che scompare una volta l'anno durante i mesi estivi, e poi riappare durante le stagioni più umide. Lost Lake probabilmente si è formato circa 3.000 anni fa, quando la lava che scorreva da una bocca vulcanica aveva bloccato un canale del fiume creando un lago. La maggior parte dell'anno appare come uno stagno normale, ma con l'inizio dell'inverno un misterioso buco "risucchia" tutta l'acqua al di fuori di esso lasciando un paesaggio arido che per secoli ha lasciato gli scienziati sconcertati. I geologi sostengono che un paesaggio vulcanico della zona sia responsabile del rapido drenaggio del lago, una sorta di tunnel di lava indurita che fa drenare l'acqua nelle cavità sotterranee. Nel letto del lago, sul lato nord, si trova un grande buco di origini geologiche. La voragine è il residuo di un tubo o tunnel di lava, una galleria scavata in tempi passati da una colata di lava fluida, raffreddatasi solo nel suo strato più esterno. L'erosione o una piccola eruzione potrebbero aver fatto collassare parte di questa crosta, facilitando la formazione del foro. Ma quello che ha messo in difficoltà i ricercatori è dove esattamente tutta questa acqua va a finire. McHugh, portavoce della Foresta Nazionale di Willamette, sostiene che acqua andrebbe ad alimentare la falda acquifera della vicine cascate. Ma non è mai stata confermato, l'acqua probabilmente filtra nel sottosuolo poroso e ricarica la falda acquifera. Fori di scarico sono stati trovati a Fish Lake, a poche miglia da Lost Lake vicino allo svincolo della US Highway 20 e State Highway. Durante il tardo autunno, complice l'aumento delle precipitazioni, l'acqua inizia a cadere nel buco e continua a farlo durante l'inverno: "Si riempie in inverno, quando l'ingresso supera il tasso di scarico, e poi va a secco ed è un prato.." Così il lago rimane pieno. D'estate, invece, Lost Lake si prosciuga completamente, fino a trasformarsi in un grande prato.

    ..i tunnel di lava..


    Un tunnel di lava (o tubo di lava) è un tipo di grotta formate da rocce laviche. A differenza degli altri tipi di grotta, l'acqua e la fratturazione non sono più fattori ed agenti determinanti nella sua genesi, ma la causa della formazione è la lava. I tubi di lava sono grotte estremamente particolari, perché sono la forma fossile di ciò che fu un'eruzione di lava molto fluida. Le lave fluide, sono lave che vengono eruttate ad una temperatura oscillante tra i mille ed i milleduecento gradi Celsius, da vulcani con caratteristiche geologicamente ben definite.
    I fiumi di lava che vengono sprigionati da vulcani creano uno o più tubi, grazie ad un fenomeno di "roofing" ossia la costruzione della volta del tunnel dovuta al raffreddamento e quindi consolidamento della porzione esterna della colata lavica, formante in tal modo una parete solida rocciosa che mantiene all'interno del tubo una temperatura elevata tale da garantire lo stato fluido della lava che prosegue il suo scorrimento, fluendo verso valle. Alla conclusione dell'evento effusivo, il tubo si svuota e lentamente avviene il raffreddamento definitivo. Rimane, così, una galleria vuota, che risulta percorribile dagli speleologi. La maggior parte dei tubi di lava possiede uno sviluppo suborizzontale, ma non sono rari i casi, come per la grotta dei tre livelli sull'Etna, in cui la morfologia è caratterizzata da pozzi. Famosi sono i tubi delle isole Hawaii, dell'isola della Réunion, e del sopracitato Etna, le uniche in Italia.

    (Gabry)





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    La musica del cuore


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    Musica anni 30/ 40 /50





    MARTINO%20GRANDE


    Miranda Martino


    Miranda Martino (Moggio Udinese, 26 ottobre 1933) è una cantante e attrice italiana


    Nata a Moggio Udinese il 26 ottobre 1933, debutta nel 1955 al concorso voci nuove indetto dalla RAI per selezionare i partecipanti al successivo Festival di Sanremo 1956: raggiunge l'ultima selezione che coinvolgeva 12 artisti, ma non riesce ad entrare fra i 6 interpreti prescelti per il Festival.

    La Martino ottiene comunque un contratto discografico ed inizia quindi a prendere parte a varie trasmissioni radiofoniche e televisive.


    Nel 1957 partecipa infatti per la prima volta al Festival di Napoli, dove tornerà nei due anni successivi.

    Il debutto al Festival di Sanremo avviene nel 1959, col brano La vita mi ha dato solo te.

    Nello stesso anno ottiene un grande successo con il brano Stasera tornerò, sigla del programma RAI La donna che lavora.

    Nei primi anni sessanta è una delle cantanti italiane più popolari, grazie anche alle partecipazioni alle più importanti manifestazioni musicali del periodo: ritorna a Sanremo nel 1960 e 1961, ed è inoltre in gara al Cantagiro 1962 ed a varie edizioni di Canzonissima.


    Nel 1963 inizia la carriera teatrale di Miranda, che nel corso del decennio reciterà al fianco di attori quali Erminio Macario, Nino Taranto, non abbandonando comunque il mondo della canzone. Particolare consenso ottengono infatti i due album incisi rispettivamente nel 1963 e 1965, in cui reinterpreta celebri motivi della canzone napoletana con gli arrangiamenti di Ennio Morricone; parteciperà inoltre a numerose trasmissioni televisive.


    I trionfi, di Michele Galdieri, con Carlo Dapporto, Miranda Martino, Gianni Musy, Genny Folchi, Ivy Holzer, Maria Grazia Audino, Maurizio Merli, Giuseppe Anatrelli, musiche di Mario Bertolazzi, regia di Michele Galdieri, stagione teatrale 1964 1965.
    A partire dagli anni settanta si dedica quasi esclusivamente a recital e rappresentazioni teatrali, attività che prosegue tuttora.

    Nel 1972 è Cin Ci La per il Teatro Verdi (Trieste) con Sergio Tedesco e Sandro Massimini con la regia di Gino Landi nel Teatro Stabile Politeama Rossetti.

    Nel 2000 ottiene un enorme successo come protagonista della commedia con musiche "Da Piedigrotta a Mahagonny" del commediografo e regista Mario Moretti con il Dramma Italiano di Fiume, diretto da Sandro Damiani - l'unico teatro stabile di lingua italiana fuori dai confini nazionali.

    Nel 2004 interpreta "Il mare non bagna più Napoli", scritto e diretto da Arnolfo Petri, liberamente ispirato al romanzo di Anna Maria Ortese.

    Nel 2005 recita nella commedia musicale Tegole e fregole: i gatti di Roma in scena al Teatro Salone Margerita di Roma e nel 2006 al Teatro Greco di Roma, con Riccardo Garrone e Federica Vari (Regia Marco Lapi).

    Il 5 ottobre 2008 ha partecipato al memorial di Pino Rucher (chitarrista Rai) a 12 anni dalla sua morte. La manifestazione è stata patrocinata dal Comune di Manfredonia e dalla Provincia di Foggia.

    Miranda Martino è stata sposata dapprima con il giornalista Ivano Davoli e poi con l'attore e doppiatore Gino Lavagetto, da cui ha avuto il figlio Fiodor. È stata la prima cantante italiana a posare nuda, negli anni sessanta e settanta, e per questo motivo fu bandita dai programmi Rai.

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    fonte: wikipedia.org
    foto:musicalstore.it
    - wikipedia.org




    balilcol





    Giorgio -1958


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    Doppio Djokovic-Totti, spettacolo al Foro Italico.
    Calciatori Roma e giocatori torneo assieme per evento benefico. Due numeri uno, la stessa voglia di divertirsi per una buona causa. Novak Djokovic e Francesco Totti hanno dato spettacolo al Parco del Foro Italico per l'evento benefico organizzato dalla fondazione giallorossa 'Roma Cares' il cui ricavato sarà devoluto in favore di progetti di charity destinati a bambini disagiati. Il tennista serbo e il capitano della Roma hanno formato un inedito doppio sul campo in terra rossa dello Stadio Pietrangeli strappando applausi e battendo la coppia formata dalla danese Wozniacki e dall'altro romanista Florenzi. "Io non devo fare niente, fa tutto Francesco. Non sbaglia una palla" ha scherzato Nole in campo durante l'esibizione, riservando poi una battuta anche a Florenzi: "Hai giocato le qualificazioni qui agli Internazionali?". Prima delle 'fatiche' del n.10 giallorosso e del n.1 dell'Atp era andata in scena la vittoria di De Rossi (in coppia con Juan Monaco) su Nainggolan (in squadra con l'azzurra Flavia Pennetta), mentre Cole si è ritrovato in campo al fianco di Garcia. Non il tecnico della Roma - che in serata tornerà dalla Francia per guidare domattina gli allenamenti della squadra a Trigoria - bensì la tennista Caroline, n.30 del circuito Wta. Il calciatore inglese e la giocatrice di Lione hanno avuto la meglio sul duo Paredes-Vanni. L'evento si è quindi concluso con una sfida tutta targata Roma, con Totti e De Rossi da una parte della rete, e Florenzi e Nainggolan dall'altra.
    (Ansa)




    Tennis, Open Bnl: fuori Sara Errani, Nadal agli ottavi.
    Ivanovic cade nel match di esordio contro la russa Gavrilova. Halep elimina Riske e vola agli ottavi. Avanti Murray. Fuori al secondo turno Sara Errani agli Internazionali Bnl d'Italia. La 28enne romagnola, con il numero 15 prima italiana del tennis mondiale, è stata battuta con un doppio 6-4, in un'ora e 34', dalla statunitense Christina McHale, numero 65. Nel match di esordio la Errani, finalista l'anno scorso contro Serena Williams (fu costretta al ritiro da un infortunio), aveva superato la slovacca Daniela Hantuchova. Se avesse eliminato la McHale, che ha compiuto 23 anni lunedì scorso, avrebbe affrontato di nuovo, negli ottavi di finale, la statunitense numero 1 del mondo. Uscite di scena al primo turno Francesca Schiavone, Roberta Vinci, Nastassja Burnett, Flavia Pennetta e Camila Giorgi, delle azzurre in lizza al Foro Italico resta in gara solo Karin Knapp, numero 51 del ranking, che per il secondo turno affronta stasera, nell'ultimo match sul campo centrale, la ceca Petra Kvitova, numero 4.

    Sorpresa agli Internazionali Bnl d'Italia. La 27enne serba Ana Ivanovic, numero 7 del tennis mondiale, è stata eliminata nel match di esordio dalla russa Daria Gavrilova, più giovane di sei anni e 71 gradini più in basso nel ranking. La Gavrilova, proveniente dalle qualificazioni, ha battuto la ex numero 1 del mondo, che attraversa peraltro un periodo di risultati deludenti, per 5-7 7-6 (2) 7-6 (6), al termine di un match di tre ore e 4' equilibrato e appassionante. Esordio vincente per Simona Halep agli Internazionali Bnl d'Italia. La 23enne romena, numero 2 del tennis mondiale e seconda testa di serie al Foro Italico, ha battuto per 6-3 6-0, in un'ora e 1', la statunitense Alison Riske, numero 45. Negli ottavi di finale la Halep troverà la vincente tra la statunitense Venus Williams e l'ucraina Elina Svitolina, che ieri ha eliminato Flavia Pennetta.

    Chardy ko, Murray agli ottavi - Esordio vincente per Andy Murray agli Internazionali Bnl d'Italia. Il 27enne scozzese, numero 3 del tennis mondiale, ha battuto per 6-4 6-3, in un'ora e 24', il francese Jeremy Chardy, numero 38. Murray è apparso in buone condizioni fisiche, anche se aveva sciolto solo ieri sera la riserva sulla sua partecipazione al torneo romano. In conferenza stampa aveva spiegato che, dopo la vittoria domenica nel torneo di Madrid, si sentiva stanco e che avrebbe deciso solo in serata. Negli ottavi di finale il campione di Dunblane affronterà il vincente tra il francese Jo-Wilfried Tsonga e il belga David Goffin, che ha eliminato ieri l'azzurro Andrea Arnaboldi

    Per Nadal esordio ok - E' un esordio senza patemi quello di Rafa Nadal agli Internazionali Bnl d'Italia. Lo spagnolo, che ha vinto sette edizioni del torneo che si disputa sulla terra rossa del Foro Italico, ha superato il turco Marsel Ilhan (n.87 del ranking) per 6-2, 6-0, in un'ora e 14' di di gioco. Il maiorchino, n.7 del mondo, affronterà agli ottavi lo statunitense John Isner (n.17 Atp) che oggi ha superato l'argentino Leonardo Mayer, con il punteggio di 7-6(6), 6-4.
    (Ansa)




    Giro: ecco la 5/a tappa, all'Abetone primo arrivo in salita.
    Corsa rosa entra nel vivo: arrivano le chance per gli scalatori. La 5/a tappa, in programma da La Spezia all'Abetone (Pistoia), per un totale di 152 chilometri, proporrà il primo arrivo in salita del Giro. La frazione è abbastanza breve, con due salite dalle pendenze non particolarmente elevate. La prima parte è sostanzialmente pianeggiante fin dopo Aulla, dove la strada comincerà a salire verso la Foce Carpinelli (Gpm), per poi ridiscendere e superare la breve salita di Barga e portarsi ai piedi della salita finale di 17,3 chilometri, al 5,4 per cento. I primi 4,5 chilometri presentano pendenze di poco superiori al 2 per cento, poi gli 8 km più ripidi, attorno al 7 per cento, quindi la strada spianerà leggermente (5 per cento) fino all'arrivo, tutto su una strada larga e ben pavimentata. Il rettilineo finale è lungo 100 metri e tutto in salita, al 5 per cento (fondo in asfalto della larghezza di 5,5 metri). Due i traguardi volanti del giorno: il primo al chilometro 97,1, a Barga; il secondo dopo 114,6 chilometri, a Bagni di Lucca. Due i Gran premi della montagna della giornata: il primo (3/a categoria) è posto al km 57,6, sulla Foce Carpinelli, a quota 839 metri d'altezza; il secondo dopo 152 chilometri (2/a categoria), all'arrivo dell'Abetone, a 1.386 metri d'altezza. La partenza della tappa verrà data dalla Provinciale 331, alle 13,05, dopo il ritrovo in piazza Bayreuth, a La Spezia; l'arrivo è programmato in piazzale Europa, all'Abetone, fra le 17 e le 17,30. (Ansa)

    (Gina)



    BALLIAMO!!!




    Bachata


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    La bachata (pronuncia [ba'ʧata]) è un genere musicale latino-americano originario della Repubblica Dominicana che ha dato origine al relativo ballo di coppia.

    La musica presenta un suono dolce e melodico. I testi delle canzoni trattano sempre il tema dell'amore in tutte le sue sfumature, a volte in termini idilliaci e a volte in termini drammatici.


    Origini
    Alle sue origini, intorno agli anni 40 del secolo scorso, era diffusa solamente nelle classi sociali più povere della Repubblica Dominicana. I testi delle canzoni esprimevano situazioni difficili che si vivevano in quel contesto sociale. Questo ha fatto sì che la bachata venisse definita come "música de amargue" ("musica da amarezza" in spagnolo) proprio per via della tristezza dei temi trattati.

    La borghesia disprezzava questo genere musicale, non solo perché espressione delle classi povere, ma anche perché le movenze tipiche del ballo venivano viste come oscene e volgari. La bachata delle origini, infatti, non presentava molte figure come nell'interpretazione moderna; era un ballo in cui l'uomo e la donna, per tutta la durata del brano, restavano abbracciati dondolandosi ed effettuando un provocatorio movimento d'anca sul quarto battito musicale.

    Per circa 40 anni, il genere rimase confinato nella classe sociale più bassa della Repubblica Dominicana: veniva ballato nelle campagne, nei quartieri poveri e in locali malfamati frequentati da prostitute.

    Evoluzione
    A partire dagli anni Ottanta, la bachata subì un processo di rivalutazione grazie ai mezzi di comunicazione e agli sforzi di molti compositori.

    Il primo compositore a rilanciare questo genere fu Luis Segura, che nel 1982 ebbe un gran successo con la canzone Pena por ti, grazie alla quale la bachata cominciò ad esordire sulle prime stazioni radiofoniche e a diffondersi in tutte le classi sociali, anche quelle più alte che fino ad allora si erano mostrate riluttanti.

    Il contributo maggiore alla sua diffusione popolare venne dato da Radio Guarachita, un'emittente che trasmetteva quasi esclusivamente canzoni di questo genere.

    Nel frattempo nacquero diversi compositori di ottimo livello, i quali, introducendo strumenti musicali tecnologicamente più avanzati, diedero vita ad una bachata più moderna, denominata neobachata, che si preparava alla sua ascesa internazionale.

    Tra i compositori più importanti che hanno dato vita a questo processo sonno Luis Días, Víctor Víctor e Juan Luis Guerra, che nel 1990, grazie all'enorme successo dell'album Bachata rosa, portò finalmente la bachata al di fuori dei confini dominicani.

    In Italia, la bachata ha riscosso un notevole successo a partire dalla fine degli anni Novanta. Ma il contributo maggiore alla sua diffusione è stato dato dalla canzone Obsesión del gruppo Aventura.

    Tuttora questo genere e il relativo ballo sono sempre più diffusi e, insieme alla salsa e al merengue, hanno dato vita a corsi, stage e serate dedicate.

    Caratteristiche musicali
    La musica viene suonata in 4/4 (tempo quaternario semplice), quindi ha una battuta costituita da 4 battiti uguali (ma con diverso accento) ciascuno di durata ¼ della battuta. La velocità è di 30-40 battute al minuto. La frase musicale (o periodo) è composta da due battute, quindi 8 battiti.

    La bachata ha 2 battiti forti (1 e 5) e 2 battiti deboli (3 e 6), (pausa per il ballerino, non per la musica al 4 e 8). Si può ballare in battere (o frase, o tempo) marcando col piede destro i tempi forti (1 oppure 5), oppure ballare in levare (o controtempo) marcando i tempi deboli (2 oppure 6).
    Solitamente, si fa riferimento alla prima battuta e si inizia a ballare, o sul tempo 1 o sul 2, perché per l'orecchio è più facile percepire i suoni forti (non sempre è facile distinguere l'1 dal 5, e il 2 dal tempo 6), e permette di seguire esattamente la musica. Nulla vieta di partire dal 5 o dal tempo 6, sempre in modo corretto perché alla stessa velocità della musica, ma non più in frase perché si parte da metà del periodo, che è di 8 tempi.

    Il ritmo prevede ua sincope sul quarto battito (e sull'ottavo). Il ritmo può essere variato con il contrattempo, tecnica che sostituisce una pausa agli accenti forti, ed emette il suono su un tempo debole (senza prolugamento sui tempi forti successivi).

    La caratteristica peculiare della bachata è l'uso della chitarra (elettrica o acustica) amplificata, il cui suono è pizzicato con "chorus" . L'uso di arpeggi per gli accordi sta alla base di gran parte delle melodie.

    La bachata ha anche dato origine in tempi recenti a generi "fusion", come la sensuale bachatango, un genere che mescola il ritmo della bachata con gli strumenti del tango, e il bachatón, che si mescola con il genere reggaetón.

    Interpretazioni del ballo
    Attualmente esistono due scuole di pensiero sull'interpretazione moderna di questo ballo:

    la prima, prettamente dominicana, prevede una danza più fedele alle origini, con pochissime figure e un movimento quasi sempre sul posto;
    la seconda, tipicamente europea, prevede una danza ricca di figure, spesso importate dalla salsa o dal merengue, inserendo anche le figure della beguine, che rende il ballo molto coreografico e più fruibile dal punto di vista commerciale.



    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    Museo delle carrozze
    e la collezione dei finimenti


    dal 29 aprile al 28 dicembre 2015



    Mariella Utili, Soprintendente del Polo Museale Regionale della Campania, lo scorso 29 aprile ha inaugurato la nuova sezione relativa alla Collezione dei Finimenti del Museo delle Carrozze di Villa Pignatelli in Napoli, che così compie un altro importante passo nella valorizzazione del complesso, già dimora di famiglie aristocratiche ( Acton, Rothschild, Aragona Pignatelli). Villa Pignatelli a giugno 2014 aveva aperto al pubblico l’ala principale riservata alla collezione di oltre trenta straordinari esemplari di carrozze delle più prestigiose fabbriche dell’Ottocento.
    Il Museo, intitolato al marchese Mario d’Alessandro di Civitanova, che donò nel 1961 il primo e più cospicuo nucleo- al quale si sono aggiunte le carrozze di donazioni Dusmet, Spennati, Leonetti di Santo Janni e De Felice – è situato nella parte nord-est del parco della villa, negli ambienti già in origine adibiti a stalle e ricovero per le carrozze della famiglia Pignatelli e ampliati, per accogliere la vasta collezione, con una grande sala a pianta rettangolare.
    L’elegante progetto di allestimento museale, affidato allo studio di architettura e restauro Giusti-Lo Gatto, è il risultato di un approfondito studio preliminare della consistente e variegata collezione, e ne valorizza la ricchezza ed il grande pregio. Alla necessità di riassegnare agli spazi degradati e chiusi al pubblico la loro originaria destinazione, andava collegata l’esigenza di realizzare una corretta veste espositiva articolando il percorso museale secondo criteri tipologici per guidare i visitatori nella comprensione e lettura del patrimonio esposto.
    Nella grande sala, con il suo accentuato sviluppo longitudinale in grado di consentire la visione d’insieme, sono esposte le carrozze. Vi troviamo i prestigiosi Hunting Break di Crespi e Ferrari, i Coupè di Bottazzi e Logati, e poi i Phaeton, i Break, i Coach di Mühlbacher, Morel, Laurie & Marner. Proseguendo il percorso di visita, oltre la piccola sala della scuderia con il rivestimento maiolicato e le originarie mangiatoie in ghisa, in ampie sale voltate sono esposti i calessi Rally Car marcati Ferretti, lo Stanhope Gig, la Domatrice ed i Military dei carrozzieri italiani Bottazzi, Trinci e Calore.
    La nuova sezione relativa alla collezione dei finimenti raccoglie circa 500 pezzi tra morsi, fruste, bardature, imboccature, finimenti, ed oggetti di vario tipo a completamento delle carrozze e per la cura del cavallo.
    La dimensione ridotta e la definizione di dettaglio dei reperti, inducono ad una lettura ravvicinata e dunque ad un differente criterio espositivo fino allo studio dei più adatti supporti e delle teche, capaci di valorizzarne la fattura ed il pregio. La scelta dei materiali, dei colori e delle finiture dei supporti allestitivi, in coerenza con le caratteristiche del sito, è improntata a criteri di compatibilità tra gli spazi architettonici ed i manufatti esposti, privilegiando elementi dal disegno semplice e lineare.
    L’aspetto della comunicazione e della didattica è tema centrale nell’ideazione del nuovo museo. Se gli aspetti costruttivi, di utilizzo e fruizione del mezzo di trasporto ‘carrozza’, risultavano essere familiari e consueti per le generazioni precedenti, con l’evoluzione dei mezzi di trasporto, tale conoscenza è venuta del tutto a mancare.
    L’allestimento secondo moderni criteri museografici concorre a ridurre la cesura con il passato, e addolcire fratture di difficile ricomposizione. Ne fa prova il libro-catalogo curato con grande passione e significativo risultato dalla Direttrice del Museo Denise Maria Pagano che, nel lavoro di ricerca, da vera e tenace studiosa, ha rintracciato collezionisti e specialisti come il valente esperto in fruste e frustini Lorenzo Gatti. E aggiungo, con sacrificio di ogni modestia, anche la collezione e la biblioteca di Teresa e Ivo Baldisseri hanno avuto la loro parte di merito, sebbene nemmeno io mi sia trattenuto dal consegnare esperienze maturate nella passione del collezionismo e nel mondo degli Attacchi. Ora, di fronte alla magnifica riuscita del nuovo Museo di Villa Pignatelli, non lo nascondo, siamo al contempo orgogliosi ed intimiditi dal grande onore ricevuto nel far parte della selezionata squadra di quanti vi hanno concorso. Approfitto di questo spazio per manifestare alla Direttrice Denise Maria Pagano ed alla sua Vice Rosanna Naclerio, della quale ricordo l’esaustivo glossario riportato nel libro-catalogo, l’immensa gratitudine di cui siamo debitori.
    Nella visita al Museo, postazioni multimediali dislocate lungo il percorso mediante schermate progressive forniscono in italiano ed inglese informazioni di dettaglio e curiosità. Un’installazione ludica con giochi interattivi permette ai più piccoli di assemblare una carrozza nelle sue principali parti costitutive o di vestire il cocchiere con l’abbigliamento adeguato o ancora di collocare i giusti finimenti sul cavallo.(Ivo Baldisseri, www.carrozzecavalli.net/)




    FESTE e SAGRE





    Ciò che molto vale, costa molto,
    giacché anche fra i metalli il più prezioso
    è il più pesante e quel che più tarda a fondere.
    (Baltasar Gracián y Morales)

    L'ORO


    L'oro è un elemento chimico, il cui numero atomico è 79. Il suo simbolo è Au (dal latino "aurum"). È un metallo di transizione tenero, pesante, duttile, malleabile di colore giallo, che può assumere anche una colorazione diversa a seconda delle sue leghe: rossa, violetta e nera quando è finemente suddiviso o in soluzione colloidale, mentre appare verde se ridotto a una lamina finissima. L'oro non viene intaccato né dall'aria né dalla maggior parte dei reagenti chimici. E’ inattaccabile dalla maggior parte dei composti chimici, reagisce in pratica solo con l'acqua regia e con lo ione cianuro in presenza di ossigeno o perossido di idrogeno. Con il mercurio forma un amalgama, ma non forma un composto chimico. Da sempre la sua elevata inerzia chimica ne ha fatto un materiale ideale per il conio di monete e per la produzione di ornamenti e gioielli.Si trova allo stato nativo sotto forma di pepite, grani e pagliuzze nelle rocce e nei depositi alluvionali, spesso accompagnato da una frazione di argento (compresa tra l'8% e il 10%), sotto forma di electron (oro e argento naturale). Al crescere del tenore di argento, il colore del metallo diviene più bianco e la sua densità diminuisce. È un eccellente conduttore di elettricità, il migliore tra i metalli dopo l'argento e il rame ma, a differenza di questi ultimi, è poco suscettibile ai fenomeni di ossidazione, perciò viene utilizzato per contatti o conduttori di dimensioni microscopiche (in ragione della sua malleabilità).L'oro si lega con molti altri metalli: le leghe col rame sono rossastre, con il ferro verdi, con l'alluminio violacee, col platino bianche, col bismuto e l'argento nerastre.

    ...storia, miti e leggende...



    L'oro è noto e molto apprez-
    zato dagli umani fin dalla preistoria. Molto probabil-
    mente è stato il primo metallo usato dalla specie umana ancora prima del rame, per la manifattura di ornamenti, gioielli e rituali. L uomo iniziò a estrarre l’oro circa 6000 anni fa, nelle regioni in cui sorsero le prime civiltà, nell’ Africa settentrionale, in Mesopotamia, nella valle dell Indo e nel Mediterraneo orientale. Le proprietà fisiche, la lucentezza, la facilità di lavorazione, la virtuale indistruttibilità, hanno conferito all’oro un ruolo speciale nella storia dell’umanità. I più antichi oggetti d’oro conosciuti sono egiziani risalenti circa al 5.000 a.C. L'oro è citato nei testi egizi (geroglifico nwb/nbw) a partire dal faraone Den, I dinastia egizia, intorno al 3000 a.C. In epoca più tarda (XIV secolo a.C.) nel cuneiforme accadico tipico delle lettere di Tell el-Amarna, il re assiro Ashur-uballit I e il re Tushratta di Mitanni sostenevano che in Egitto l'oro fosse "comune come la polvere". L'Egitto e la Nubia avevano risorse tali da collocarli tra i produttori d'oro più importanti delle civiltà della storia antica. Nel culto degli Egizi il corpo di Ra, il dio del sole, era formato d’oro fuso, ovvero ciò che sulla terra rappresenta più da vicino il disco del sole infuocato nel cielo. Si calcola che negli anni che vanno dal 4000 a.C. al 500 d.C. in Egitto, Etiopia e Nubia (significa oro nell’antico idioma egizio) furono estratte circa 3.500 tonnellate d’oro. L'oro, specialmente nel periodo di formazione dello stato egizio, ebbe sia un ruolo politico sia economico: fu uno degli elementi all'origine della divinizzazione del faraone e della nascita delle città. Le civiltà che raggiunsero un alta maestria nella lavorazione, furono quella etrusca e quella romana.
    L'oro viene spesso citato nell'Antico Testamento. Nella Bibbia, l’Eden è un giardino bagnato da un fiume che si divide in quattro rami: “Il primo...bagna il paese di Avila, dove c’è l’oro; l’oro di questo paese è puro.”
    Sulla montagna Yahwé dona all’oro un ruolo importante. Quando ordina a Mosé di costruire l’Arca, gli dice: “Tu la ricoprirai d’oro puro, e decorerai il suo bordo con una modanatura d’oro. Fonderai per l’arca quattro anelli d’oro…farai anche dei listelli di legno d’acacia, che rivestirai d’oro…creerai anche una tavola propiziatoria d’oro puro, di due cubiti e mezzo di lunghezza e di un cubito e mezzo di larghezza. Modellerai col martello due angeli d’oro alle estremità della tavola…” Viene spontaneo chiedersi dove gli Ebrei avrebbero trovato tanto metallo. Ma Yahwé lo suggerisce a Mosé: “Dici ai figli d’Israele di donare per me un contributo…in oro…Tutti coloro dai venti anni in su dovranno versare il contributo per Yahwé…”. In seguito gli Ebrei adoreranno il vitello d’oro.
    Davide porta a Gerusalemme le rotelle d’oro che ha conquistato al re di Coba, e consacra a Yahwé l’oro di tutte le nazioni che ha soggiogato. Salomone riveste d’oro fino l’interno e l’esterno del Tempio.
    Nel Cantico dei Cantici il nome del metallo diviene quasi un motivo musicale. “Amico mio, noi ti doneremo collane d’oro…il mio amato si distingue fra mille: il suo capo è d’oro puro…le sue gambe sono colonne di marmo su basi d’oro…”.
    Secondo il Vangelo secondo Matteo, l'oro fu uno dei doni portati dai Magi al Bambino Gesù. Per i cristiani l'oro simboleggia la regalità di Gesù. Nel Buddhismo è uno dei sette tesori e viene equiparato alla fede o alla retta convinzione.
    La parte sudorientale del Mar Nero è famosa per le miniere d'oro, sfruttate fin dai tempi di Mida. Le prime monete d'oro vennero coniate dal re Creso, sovrano della Lidia, nell'Asia Minore occidentale, dal 560 a.C. al 546 a.C.; in particolare l'oro della Lidia proveniva dalle miniere e dalla sabbia del fiume Pattolo (Pactolus).

    Nel Medioevo, lo scopo principale degli alchimisti era di produrre l'oro da altre sostanze, come il ferro o il piombo. Il simbolo alchemico dell'oro era un cerchio con un punto nel centro, che è anche il simbolo astrologico, il simbolo geroglifico e il pittogramma cinese del sole (日). In particolare con il termine sole obrizzo gli alchemici indicavano l'oro puro ridotto in polvere.

    Nell'Antico Egitto o nella Roma imperiale, l'oro veniva estratto con mezzi non molto diversi tra loro: picconi di pietra o di bronzo, e sempre da schiavi di stato, in quanto le miniere o i giacimenti alluvionali erano generalmente monopolio statale. In alcuni casi, come in Sudan, l'oro poteva essere estratto da cercatori liberi, che dovevano allo Stato Egizio una certa quota delle quantità ricavate. Anche lo Stato romano affittò a privati appezzamenti sul fiume Po, dove si trovava oro alluvionale, ma le quantità erano talmente scarse che nessun imprenditore riuscì mai ad arricchirsi. Il "vero" oro, lo Stato romano lo estraeva nelle miniere spagnole. Quando i Romani trovarono oro nella Transpadana, il governo disattivò le miniere in virtù di un antico decreto del senato inteso a risparmiare tutte le miniere d'Italia, sfruttando quelle straniere. Al tempo di Polibio (II sec. a.C.) presso Aquileia, l'oro era così abbondante che folle di gens libera provenivano da tutta Italia, ma furono cacciate dalle popolazioni locali (i taurisci). Questo permise a Roma d'intervenire, anche perché in due mesi il metallo perse un buon terzo del suo valore in tutta la penisola italiana.
    Generalmente l'oro veniva estratto in tre modi: col lavaggio della sabbia; scavando dei pozzi; con la frantumazione di costoni montuosi. La condizione dei minatori era spaventosa: gli schiavi dovevano lavorare nelle miniere fino a morirne. Qui infatti venivano mandati i ribelli, i detenuti, i condannati ai lavori forzati, i cristiani o le eccedenze di manodopera rispetto ai lavori agricoli, artigianali, domestici. Plinio il Vecchio racconta che chi lavorava nelle miniere spagnole non vedeva la luce del sole per mesi interi.
    La coniazione della famosa moneta chiamata "aureo" inizia solo con Cesare, nel 49 a.C.: prima di allor,a lo si usava esclusivamente come ornamento, sia femminile che maschile. Con l'oro i romani tramavano anche tessuti e tappeti, decoravano mobili, pareti interne, soffitti, vasellame. Sotto Tiberio il vasellame d'oro massiccio da tavola venne vietato a tutti tranne che all'imperatore, ma con Aureliano (III sec. d.C.) se ne restituì quest'uso sfarzoso ai ricchi.


    Vi furono un gran numero di miti dell’oro divulgatosi nel corso della storia.

    Il Vello d'oro. Il Mar Nero è racchiuso tra l’Europa sud-orientale e l’Asia. Il collegamento con l’Egeo ed il Mediterraneo avviene a sud-ovest attraverso il Bosforo, il Mar di Marmara (l’antica Propontide) e lo stretto dei Dardanelli (l’Ellesponto) che segna il confine naturale fra Europa ed Asia. A quel tempo il Mar Nero 5 era chiamato PòntosAxèinos, “mare inospitale” a causa della sua difficile navigabilità; furono i colonizzatori greci intorno al VII secolo a.C. a cambiarne il nome in Pòntos Euxèinos, quindi “ospitale”, forse quando si resero conto che le temibili Simplegadi – le leggendarie rocce vaganti che schiacciavano le navi avventuratesi nel Bosforo – erano semplicemente due scogli affioranti da evitare accuratamente. Giasone era figlio del re di Iolcos (oggi Volos nel golfo di Pegase in Tessaglia). Poiché il trono paterno era stato usurpato dallo zio Pelia, il giovane ne chiese la restituzione. Questa gli fu accordata a condizione che si impossessasse del vello di un ariete sacro che si trovava nella Colchide (l’attuale Georgia nel Caucaso) sull’estrema costa orientale del Mar Nero. Arrivato finalmente nella Colchide dopo mille peripezie, Giasone supera anche le prove finali con l’aiuto delle arti magiche di Medea, la figlia del re di quelle terre lontane.
    Allora come oggi in Georgia 18 l’oro si trova nello Svaneti – la desolata regione le cui montagne ne fanno l’area abitata più alta d’Europa – dove viene raccolto stendendo delle pelli di pecora lungo le acque più basse del fiume Inguri, come per secoli prima avevano fatto gli invasori tatari, iraniani, turchi e russi.

    L'Eldorado. secondo antichissime leggende tribali, in questo Eden situato al di là del mondo conosciuto, gli esseri umani vivevano in pace godendosi la vita senza necessità materiali, in una sorta di età dell’oro molto prima che gli avidi conquistadores spagnoli lo facessero diventare l’Eldorado, la città mai scoperta, simbolo di abbondanza e ricchezza.
    La verità è che un’antica tradizione locale aveva tramandato il ricordo di un enorme meteorite che, precipitando dal cielo, aveva aperto un gran cratere nel terreno dove le acque si erano andate raccogliendo, formando così un lago. Quando il meteorite era caduto facendo tremare il suolo nell’impatto, gli indigeni credettero che un dio fosse sceso dall’alto e avesse stabilito la propria dimora sul fondo del lago. Forse era per emulare quella discesa infuocata che ogni nuovo capotribù si ricopriva il corpo di una sostanza vischiosa, si cospargeva di polvere d’oro e poi faceva le abluzioni rituali nelle acque sacre in maniera da acquisire una parte del potere divino, mentre tutti i partecipanti alla cerimonia lanciavano nel lago grandi quantità di monili e preziosi di ogni tipo. I Muisca erano abilissimi artigiani della lavorazione dell’oro. Essi cucivano nei loro poncho – i tipici mantelli andini senza maniche indossati dalla testa ed ottenuti intessendo il soffice vello dei lama – più di diecimila pezzi d’oro. Durante le cerimonie i sacerdoti vestivano tuniche fatte con strisce di lamina intrecciate come un tessuto.

    Il Toson d’Oro. Verso la metà del XV secolo Il mito del vello d’oro si trasferisce in centro Europa e continua ad infiammare la fantasia dell’umanità anche se perde la sua connotazione con il metallo e gli dei dell’Olimpo per trasformarsi in autorità suprema amministrata dagli uomini più potenti nella storia. Tutto cominciò con un matrimonio principesco celebrato a Bruges nel 1430, all’epoca del suo massimo splendore. Il duca di Borgogna Filippo III il Buono (1396-1467), il 7 gennaio 1430 si unì in matrimonio con l’Infanta Isabella del Portogallo. 29 A novembre di quello stesso anno, il duca, per celebrare sia il fausto matrimonio sia la lieta circostanza che la sposa – ormai più che trentenne – di lì a poco avrebbe dato alla luce l’agognato successore. istituì l’Ordine cavalleresco del Toson d’Oro. 30 I cavalieri insigniti avevano parecchie incombenze, tutte nell’ambito della diffusione e difesa della fede cattolica, impegnandosi solennemente ad essere paladini della chiesa di Roma. Il Toson d’Oro presto divenne il più alto Ordine cavalleresco cui un ristretto numero di principi e regnanti potesse aspirare.

    (Gabry)





    RITI E TRADIZIONI DEGLI SPOSI!!!




    Matrimonio nell’antico Egitto




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    A differenza delle tradizioni vigenti nell’antica Roma, nell’antico Egitto i giovani potevano trovare una persona da sposare senza che la famiglia facesse da tramite, nonostante il matrimonio fosse obbligatorio. Le donne egiziane si sposavano all’età di 13 anni, mentre gli uomini all’età di 15 anni.

    Non è possibile sapere con certezza se l’unione nuziale veniva consacrata da una celebrazione di tipo religioso o da un atto di carattere ufficiale. Tra le informazioni di cui oggi siamo venuti a conoscenza, apprendiamo che la sposa veniva consegnata al marito insieme ad una dote più o meno generosa. Quest’ultimo, era tenuto ad offrire dei doni prima del matrimonio.


    Il matrimonio nell’Antico Egitto era monogamico, ma nonostante tutto, si potevano avere una o più concubine, a volte con il consenso della moglie, qualora non si avessero figli, soprattutto dal momento che per gli egiziani non avere figli era considerato un disonore.

    Si poteva celebrare il matrimonio fra consanguinei, come ad esempio tra zio e nipote, fra cugini e anche tra fratellastri di madre diversa, mentre non si hanno prove di matrimoni tra veri fratelli, tranne che nel caso dei faraoni.

    Per costituire il vincolo del matrimonio, non era necessaria la suggellazione da parte di un sacerdote o lo scambiarsi vicendevole degli anelli. Era sufficiente il consenso dei due sposi di vivere nella stessa casa. La donna, nonostante si sposasse, manteneva il possesso dei suoi beni esprimere liberamente la propria volontà nel disporre di essi. Il marito era tenuto a mantenere la moglie, che aveva un ruolo di rilievo all’interno della casa. In seguito, il matrimonio venne legalizzato da un contratto, che garantiva alla moglie l’eredità del patrimonio dopo la morte del marito.

    L’adulterio veniva punito severamente: era la donna ad avere la peggio, dal momento che poteva essere condannata al rogo o alla lapidazione, mentre anche il marito veniva punito in certi casi. La sua punizione però, non gli costava la vita. Poteva, infatti, risolvere la situazione pagando un indennizzo alla moglie che poteva chiedere il divorzio.


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    (Lussy)





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    Salute e benessere



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    LE TERME DI ACIREALE



    Un’aura mitica circonda le Terme di Acireale, che nel Medioevo si credeva fossero generate dal sangue della patrona della cittadina siciliana, la martire Santa Venera, che le aveva dotate di poteri ultraterreni. In realtà, le proprietà terapeutiche delle sorgenti di acqua sulfurea proveniente dall’Etna erano conosciute fin dall’antichità e furono sfruttate già dai Greci. La loro popolarità, da allora, non è mai venuta meno, trovando nel tempo illustri estimatori tra i quali il compositore tedesco Richard Wagner, il Re Umberto I e la Regina Margherita fino al clinico napoletano Antonio Cardarelli.

    Un po’ di storia

    I primi a riconoscere le proprietà terapeutiche delle acque sulfuree che provengono dal vulcano Etna nella contrada Reitana furono i Greci che edificarono anche le prime costruzioni termali denominandole Xiphonie.
    Di queste ultime vi sono rimaste solo alcuni segni, al contrario dell’impianto termale edificato dai romani a S. Venera al Pozzo che rappresenta oggi una delle attrattive di maggiore interesse archeologico della zona. Nel Medioevo, più precisamente nel II secolo d.c., si diffuse la credenza che il sangue di S. Venera, la patrona di Acireale, con il suo martirio avesse dotato le acque di poteri ultraterreni. Bisognerà però attendere il 19° secolo perché le terme fossero dotate di attrezzature adeguate per ospitare i suoi frequentatori: lo stabilimento di S. Venera (dotato anche di un parco e di un suntuoso albergo, il “Gran Hotel des Bains”) fu edificato a spese del Barone Agostino Pennini di Floristella che lo volle con una splendida facciata di stile neoclassico e fece di Acireale uno dei centri termali più rinomati della Sicilia. Negli anni, quindi, si sono succedute più modifiche strutturali fino al 1987, quando è entrato in funzione il più moderno ed attrezzato Complesso Termale di S. Caterina.


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    L’acqua termale

    La mescolanza delle acque sulfuree dell’Etna con l’acqua marina sotterranea danno origine ad un’acqua classificabile come sulfureo-salsobromoidica leggermente radioattiva che sgorga ad una temperatura di 22 gradi centigradi. Il fango che viene utilizzato nelle terme, di tipo vegeto-minerale, è ottenuto facendo macerare per tre anni l’argilla vulcanica nell’acqua sulfurea che viene arricchita dalla microflora che si trova in superficie.
    Le caratteristiche dell’acqua la rendono particolarmente consigliata per la cura di malattie otorinolaringoliatriche, dermatologiche, reumatiche ed osteoartrosi, ginecologiche e dell'apparato respiratorio.



    Lo stabilimento termale


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    Le Terme di Acireale sono dotate di un Centro di Benessere e di Medicina Idrologica, Fisica e Riabilitativa. La terapia con fanghi (indicata per la cura della osteoartrosi, reumatismi extra articolari, le nevralgie, le mialgie, le artropatie pratiche gottose e gli esiti di fratture) prevede prestazioni con fango e bagno sulfureo, l’idromassaggio sulfureo, il massaggio manuale e la visita specialistica ortopedica.

    Le prestazioni del reparto inalatorio includono: inalazione, humage, nebulizzazione, aerosol, lavaggio nasale, nebbia, lavaggio auricolare, insufflazione endotimpatica (indicata per la cura della sordità rinogena), l’esame audiometrico, l’esame impedenzometrico e la visita specialistica otorino.
    Nei reparti pneumologico e angiologico, oltre alle relative visite specialistiche, vengono praticate la rieducazione respiratoria con ventilazione e la rieducazione respiratoria con ginnastica, il bagno e l’idromassaggio sulfureo e l’esame Doppler.
    Il reparto di dermocosmesi è attrezzato per la cura di patologie specifiche e per trattamenti eudermici e il reparto di fisiokinesiterapia per l’attività fisica e riabilitativa, particolarmente utile per le forme reumatiche degenerative.
    Lo stabilimento è dotato di un grande parco dal quale si può godere di una splendida veduta panoramica che va da Taormina ad Acitrezza, includendo l’Etna, le borgate marinare e, naturalmente, l’antica e bellissima Acireale. Sempre nel parco, provvisto di una piscina e di terrazze solarium per la elioterapia, si possono praticare attività motorie e di rilassamento. Durante l’estate, quindi, vengono offerte presso lo stabilimento diverse proposte culturali che comprendono concerti di musica sinfonica, spettacoli di teatro e di cabaret e proiezioni cinematografiche.




    Turismo nei dintorni


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    chiesa di S. Sebastiano


    Basterebbe la sola città di Acireale, con le sue attrattive storiche e culturali, a soddisfare l’interesse degli ospiti delle Terme.
    L’etimologia del nome va fatta risalire alla leggenda dell’amore impossibile del pastorello Aci per la ninfa Galatea.
    Secondo altri storici, il nome ha origine dal greco Akus che vuol dire “penetrante”, con riferimento alla bassa temperatura di un fiume che scorreva nei pressi della città e che scomparve in seguito alle ripetute colate di lava dall’Etna. Durante il periodo romano, quindi, la città prese il nome di Aquilia e dopo la ricostruzione che seguì il terremoto del 1169 si chiamò Aquilia Nuova.
    Essa si trovava comunque in una posizione diversa da quella attuale, perché l’antica città fu distrutta per volontà del re Roberto di Napoli, costringendo gli abitanti a rifugiarsi in una vicina altura ove ha origine l’attuale centro abitato, ribattezzato nel 1642 da Filippo IV “città regia”, che rappresenta quindi la vera etimologia di Acireale. Le sventure della città, però, non finirono qui perché mezzo secolo dopo, nel 1693, fu nuovamente distrutta da un terremoto, per rinascere nell’assetto con il quale sarebbe più o meno sopravvissuta ai giorni nostri.
    Tra le maggiori attrazioni della città vi è il Duomo del XIV secolo di stile romanico-gotico, al cui interno vi è la cappella di S. Venera, la patrona della città, con una statua in argento della santa. Vi sono poi la Basilica dei SS. Pietro e Paolo, edificata nel 1600 e la Chiesa di S. Sebastiano (XVII secolo) con una facciata di stile barocco. Da vedere anche il Palazzo Comunale (1659) e il Palazzo Modò, con le sue mensole figurate. Ad Acireale si svolge quello che è considerato il più bel carnevale di Sicilia, le cui origini risalgono alla fine del XVI° secolo.
    A breve distanza dalla città, vi sono alcune delle più belle località della costa orientale siciliana, da Taormina a Catania (della cui provincia fa parte), da Noto a Siracusa fino, naturalmente, all’Etna.


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    panorama





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    da:benesere.com
    foto:catania.livesicilia.it
    - images.corrieredelmezzogiorno.corriere.it
    - palermoweb.com
    - viaggioerisparmio.com
    - ioviaggiblog.it
    - yallayalla.it




    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    «Io divenivo, senza enfasi alcuna, il centro stesso dell'universo..
    ...l'albero della vita...
    Una rivelazione che non poteva rivelare nulla che già non sapessi, e tuttavia rivelazione».
    (Cesare Brandi)


    I VENTI DEL SAHARA


    Il ghibli è un vento caldo e secco tipico della Libia, che soffia da sud o sudest. Proviene dal deserto del Sahara, traspor-
    tando polvere e sabbia, soffiando dall'entro-
    terra verso le coste della Libia. Il ghibli può soffiare in ogni periodo dell'anno, ma è più frequente in primavera e ad inizio estate. Ghibli è il nome locale del vento di scirocco. Localmente il termine ghibli assume numerosi varianti, quali gebli, gibleh, gibli, kibli.
    Lo Scirocco (dall'arabo shurhùq, vento di mezzogiorno) è un vento caldo proveniente da Sud-Est. Tale direzione è indicata simbolicamente nella rosa dei venti. Lo Scirocco prende il nome dalla Siria, la direzione da cui spira il vento, prendendo come punto di riferimento l'Isola di Zante nel Mar Ionio. Lo stesso vento assume il nome di Jugo in Croazia e Ghibli in Libia. Lo Scirocco che giunge sulle coste francesi contiene più umidità ed assume il nome di Marin.

    Il Simun o Simùn è un vento forte, secco e polveroso che soffia nel Sahara, in Algeria, in Palestina, in Giordania, in Siria e nel deserto arabo. È anche conosciuto come Samiel, Simoun, Simoon o Simum (più raramente come 'Samun, dall'arcaico Samün, passando per il termine francese Simoun).
    La sua temperatura è molto elevata (generalmente al di sopra di 40 °C, ma può superare anche i 54 °C) e la sua umidità può scendere sotto il 10%. Il vento si muove in cicloni in forma circolare sollevando nuvole di polvere e sabbia e modificando la forma delle dune; per questo motivo il Simun produce su uomini e animali un senso di soffocamento. Questa particolarità gli è valsa l'appellativo di "vento velenoso", che è appunto il significato della parola Simun. L'elevata temperatura di questo vento lo rende estremamente pericoloso, in quanto può facilmente provocare colpi di calore. Generalmente il Simun soffia da metà giugno a metà agosto, anche se il mese di picco è solitamente luglio. Il Simun venne descritto da Erodoto come un vento rosso che soffia nel Sahara, e che uccide e seppellisce ogni cosa che incontra.

    L'Harmattan è un vento secco e polveroso che soffia a nordest e ovest, dal Sahara al Golfo di Guinea, tra novembre e marzo. È considerato un disastro naturale. Passando sul deserto, raccoglie fini particelle di polvere. Quando soffia forte, può spingere la polvere e la sabbia addirittura fino al Sud America. In alcuni paesi dell'Africa Occidentale, il grande quantitativo di polveri nell'aria può limitare severamente la visibilità e oscurare il sole per diversi giorni, risultando paragonabile alla nebbia fitta. L'effetto delle polveri e delle sabbie rimescolate da questi venti è noto come Harmattan haze. Nel Niger, la gente attribuisce all'Harmattan la capacità di rendere uomini e animali sempre più irritabili, ma oltre a questa brutta reputazione, l'Harmattan può talvolta risultare fresco, portando sollievo dal calore opprimente. A motivo di ciò, l'Harmattan si è guadagnato anche il soprannome di Il Dottore.

    Il khamsin, o camsin, è uno dei venti caratteristici del deserto del Sahara. Soffia da sud-sudest portando caldo e sabbia in tutta la zona orientale del Nordafrica e sulla penisola araba; pur non essendo un vento ciclico (stagionale come ad esempio i monsoni), compare per lunghi periodi di tempo tra il tardo inverno e l'inizio estate (tra aprile e giugno la frequenza più alta). Il nome khamsin deriva dall'arabo خمسين (khamsīn) e significa 50 (cinquanta), che è il numero di giorni consecutivi in cui il vento, secondo la tradizione, spirerebbe con una certa costanza.

    "il vento del deserto ha odore d'eternità"


    Un nomade del deserto mi ha insegnato il linguaggio del ghibli



    Adhou, il vento, è il primo compagno del nomade. Porta nelle mani invisibili le nubi e l’acqua che cade, sottile, sottile. La sua vita disperata e raminga ha come sola compagna la sua voce. Tutti i tuareg fin da piccoli imparano a conoscerlo e a chiamarlo con molti nomi; e il vento risponde e questo è il loro primo gioco. È bello impararne il linguaggio e imitarne il sibilo soffiando nelle mani tenute a conchiglia. La sabbia, la prima cosa che il tuareg tocca, su cui impara a scrivere perché nessun tuareg è analfabeta. La madre e la nonna gli insegnano a scrivere i caratteri tifinar , simili a quelli scolpiti nel lontano Nord nei tofet cartaginesi. E il vento li cancella e la loro lavagna immensa è pronta per ricominciare.[..]
    Un tuareg a Nord di Agadez mi ha insegnato a leggere il linguaggio il vento: su un pianoro a strane chiazze bianche e screpolate, fondo salino di un antico mare, si alzava una collina tronca dove secondo le leggende vivono gli avvoltoi dal collare bianco. La sabbia impalpabile tra le pietre nere, un tempo globi incandescenti di lava, volteggiava come piccoli pianeti persi nello spazio. Quello era il vento del mattino: ne basta un soffio leggero per creare tra i sassi cascate di sabbia e dissolvere in un turbine le creste delle dune. Restavano piccole onde simmetriche: la firma del vento del mattino. Più tardi, il sole già alto, lievi folate a zig-zag creavano invece lunghe file ondulate. A sera tra le falesie diventa impetuosa corrente, piega le rocce come alberi. E la notte, la notte «il mormorio lo senti?», mi ha chiesto il tuareg, «si confonde con il respiro degli spiriti giovani addormentati. Ma attento, ci sono anche i venti dei vecchi geni malvagi, escono dai crepacci con gli scorpioni e le vipere e tutto il deserto ne vive». Lasciano i segni sulla sabbia ma solo fino all’alba, quando un altro vento dispettoso li cancellerà.[..]
    Il vento del deserto è forte, capace di inghiottire eserciti interi: quello di Cambise, il re dei re persiano in marcia verso l’oasi del dio Amon; e quello di Rommel con i carri di ferro e gli aerei, accecato come gli antichi guerrieri e i loro cavalli.
    [..]Non conosci il deserto fino a quando non hai provato il khamsin : in arabo vuol dire cinquanta. Perché soffia ininterrottamente per cinquanta giorni. Corre e si sbriglia per i mille chilometri di dune del gran Teneré, lo fermano a Nord i picchi azzurri dell’Air, rifugio di briganti e di folli di Allah.[..] la difficile «gioia della solitudine», suggerisce i segreti del sublime. Piacevano a Lamartine «le colline deserte di sabbia senza fine che si tingono d’oro ai raggi del sole la sera, dove il vento solleva nuvole di polvere infuocata… il luogo dei miei sogni e io vi verrei ogni giorno». Piaceva a Loti che il vento lo ascoltò nel deserto di Tih, il deserto degli amaleciti abitato dai più selvaggi e intrattabili tra i beduini: dalle solitudini immense e piatte come il mare, popolato di miraggi.[..]
    A Tamanrasset, nel Sud dell’Algeria, su una montagna c’è ancora l’ultimo rifugio del marabutto bianco che parlava ai tuareg di un dio misterioso, crocifisso e risorto. Raccontano una leggenda che parla degli spiriti che vivono nel vento e di una donna che cercava legna in un greto di Itharentidjarnin e vide nascere un turbine violento, fatto di cerchi quasi perfetti di polvere, sempre più alti e veloci. Si mosse dapprima dolcemente esitando sulla direzione da prendere, poi si diresse verso mezzogiorno sibilando allegramente. La donna, incantata, lanciò sonori you-you di gioia. Il vento le si avvicinò e la ricoprì di polvere d’oro per ringraziarla di essere felice. Perché i kel es souf , gli spiriti del vento, stavano sposandosi tra loro. Ma poco dopo nello stesso luogo il fenomeno si ripetè e la donna di nuovo lanciò grida di gioia sperando nella ricompensa. Ma stavolta il vento la afferrò sollevandola a grande altezza e poi la lasciò cadere sfracellandola. «Era il corteo funebre di un vento, ti puniamo per esserti presa gioco di noi». La donna raccontò la sua sventura e morì.
    (20/07/2012, Domenico Quirico)

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    Una delle cose più affascinanti nei fiori
    è il loro meraviglioso riserbo.
    (Henry David Thoreau)


    LE TILLANDSIE



    Il genere Tillandsia appartiene alla famiglia delle Brome-
    liaceae, il più noto è l'Ananas, e comprende circa 450 specie di piante molto diverse tra loro. Per lo più si tratta di piante epifite come le orchidee. Sono piante originarie dell'America meridionale, ma l'habitat delle Tillandsie si stende dal sud degli Stati Uniti alla Patagonia. Si Possono trovare sulle nude vette delle Ande, nei paramos o la Puna, nascoste tra il fogliame delle foreste pluviali e ancora sulle dune sabbiose o nei giardini delle ville intorno a Buenos Airesdal Messico fino all'Argentina.
    Le foglie sono estremamente diverse tra loro a seconda della specie: spinose o senza spine, alle volte pubescenti oppure a scaglie, lineari o lanceolate fino a filiformi. Hanno forme e funzioni diverse in accordo con le esigenze di ogni organismo vegetale. In alcune specie le foglie si dispongono a rosetta per allargamento delle loro basi formando una sorta di coppa nella quale in natura raccolgono l'acqua piovana. In questa riserva di acqua, si accumulano residui vegetali e animali che con la decomposizione vengono in parte digeriti; in un certo modo si possono definire piante carnivore anche se in maniera molto molto limitata.
    I fiori si formano all'ascella di brattee, molto spesso variamente colorate, e si riuniscono a formare un infiorescenza in forma e dimensioni diverse a seconda della specie. I fiori sfioriscono presto, ma mantengono le brattee colorate per parecchie settimane. Il frutto è una capsula lineare che contiene tre semi alati.

    Le possibilità di adattamento che la natura offre sono innumerevoli e certe creature sanno sfruttarle nei modi più inconsueti. Le Tillandsie si nutrono di aria. Queste piante disdegnano la terra e scelgono di vivere liberamente dove capita, sui rami degli alberi, sui fili della luce, sulle rocce o sui muri e le ringhiere delle case. Una particolarità che permette di vivere come piante epifite è la presenza di particolari peli (tricomi) a forma di squame che riescono a trattenere l'umidità dell'aria ed incanalare sia l'acqua che gli elementi nutrivi in essa disciolti, ai tessuti. In pratica funzionano come delle vere e proprie pompe di nutrimento. Inoltre riescono a procurarsi il nutrimento necessario alla loro sopravvivenza grazie alla presenza di batteri azotofissatori che si trovano sulla pianta e che garantiscono alla pianta una buona scorta di azoto. Questi microrganismi trascorrono l'intero ciclo vitale sulle foglie. Alcune specie, come la Tillandsia Selleriana, si procurano l'azoto stabilendo un rapporto simbiotico con le formiche. La pianta offre agli insetti il suo pseudobulbo come rifugio e viene ricambiata da questi con il rilascio di scarti organici ricchi di azoto.

    Le Tillandsie, erano note ai Maya che le utilizzavano per ornare case e templi, ma sembra cche siano rimaste sconosciute ai naturalisti europei fino al 1623, anno in cui il botanico e medico svizzero Gaspar Bouhin ne descrisse una specie nel suo Pinax Theatri Botanici, un catalogo con oltre 6000 nuove specie botaniche sino allora sconosciute nel vecchio mondo, ed erano descritte anche le tillandsie. Il francese, Charles Plumier esplorando le Antille tra il 1689 e 1697 iniziò a catalogare le piante e a dargli un nome, fu il primo catalogo per le tillandsie. Nel 1737 un Olandese, Gorge Clifford, fece lo stesso e nel medesimo anno presso “Hortus Cliffordtiamus” fu descritta una pianta cui è attribuito il nome del genere Tillandsia con il nome della specie “utricolata” Nel 1753 Linneo pubblicò “specie plantorum” dove vengono descritte 14 bromeliaceae. La storia racconta di un botanico, di nome Elias, che durante un viaggio botanico in Lapponia, nella traversata marina, è sorpreso da una gran tempesta con il conseguente naufragio. Finito il lavoro e dovendo imbarcarsi per il ritorno, si rifiutò categoricamente di salire sul battello che lo avrebbe riportato in continente, la traversata via mare sarebbe stata di 300 km, preferì fare 2000 km a piedi. Resta nella memoria come "l’uomo contrario all’acqua, l’amico della terra ferma". Il suo nome era Elias tillands. Ma i primi europei a rimanere meravigliati alla vista di un albero che presentava foglie di colori e forme totalmente diverse, che nella realtà si trattava di un albero coperto di tillandsie di differenti specie, furono gli uomini sbarcati insieme a Cristoforo Colombo sull'isola che i nativi chiamavano Guanahani. Piante parassite, così vengono considerate, tuttora, dagli indigeni, che Colombo descrisse "curiosi vegetali che condividono con altri l'apparato radicale." L'assorbimento di acqua e sali minerali attraverso le squame che tappezzano le foglie fu descritto dal fisiologo vegetale tedesco Carl Mez in un articolo pubblicato nel 1904.
    I ricercatori del Dipartimento "G. Ciamician" dell'Università di Bologna in collaborazione con il professore Luigi Birghigna dell'Università di Firenze hanno ottenuto interessanti risultati nella ricerca, ancora in corso, sulla capacità delle Tillandsie di assorbire gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), creati dai processi di incompleta combustione di benzina e gasolio. Gli IPA sono pericolosi agenti inquinanti prodotti principalmente dal traffico, dal riscaldamento domestico e dalla attività industriale. Le Tillandsie, data la loro vita aerea, sono immuni all'inquinamento terrestre e possono svolgere bene la funzione di biorivelatore di inquinanti atmosferici.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    MAGGIO


    Maggio

    E viene il tempo
    che gli uccelli si sposano:
    l'usignolo, l'allodola
    il passero e lo scricciolo
    il pettirosso e il merlo.
    Canti e canti
    s'intrecciano nel cielo
    e gli alberi
    si vestono di fiori
    e volano le api
    in sciami d'oro.
    Quando scende la sera
    i gatti
    neri bianchi rossi e grigi
    fanno il concerto
    della primavera.


    (E. Borchers)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Luca Benini, www.juzaphoto.com/

    Spesso alzo la testa e guardo mio fratello,
    l’Oceano, con amicizia: esso raggiunge l’infinito,
    ma so che anche lui cozza dappertutto contro i propri limiti;
    ed ecco il perché, senza dubbio, di questo tumulto, di questo fracasso.
    (Romain Gary)

  11. .
    Ciao Tiffany ben venuta!!!
  12. .
    Andrea ... ovviamente sono contento del tuo arrivo sul forum!!! Ti conosco bene e so che l'Isola Felice con te ha fatto aggiunto un VERO AMICO ai tanti che già la popolano ... Grazie per essere arrivato e grazie in anticipo per tutto ciò che farai per noi e con noi ...
  13. .





    BUONGIORNO GIORNO ... BUONA SETTIMANA ISOLA FELICE …


    Edizione Giornale Anno 6° SETTIMANA 019 (04 Maggio – 10 Maggio 2015)






    BUONGIORNO GIORNO … BUON LUNEDI’ ISOLA FELICE …


    Lunedì, 4 Maggio 2015
    S. SILVANO, S. NEREO

    -------------------------------------------------
    Settimana n. 19
    Giorni dall'inizio dell'anno: 124/241
    -------------------------------------------------
    A Roma il sole sorge alle 05:03 e tramonta alle 19:11 (ora solare)
    A Milano il sole sorge alle 05:06 e tramonta alle 19:33 (ora solare)
    Luna: 5.23 (tram.) 19.35 (lev.)
    Luna piena alle ore 04.45.
    --------------------------------------------------
    Proverbio del giorno:
    Maggio ortolano, molta paglia e poco grano.
    --------------------------------------------------
    Aforisma del giorno:
    Città senza signor, senza governo /
    cede qual mole suol senza sostegno
    (G. B. Marino).









    RIFLESSIONI



    ...MAGGIO, IL MARE…
    ... Arriva maggio … eccolo e con esso le belle giornate, il sole che scalda e le prime timide passeggiate verso il mare. Strade affollate di macchine in coda per arrivare sul lido più vicino. Sembra esplodere la “febbre” della tintarella, delle spiagge ed ombrelloni. Ricordo da bambino quel persistente profumo di crema solare, quelle pelli bianche esposte al sole al primo tentativo. Ridevo sempre nel vedere in quei primi tentativi di esposizione al sole nel vedere le stesse persone casualmente incontrate la mattina di quella domenica nel piazzale dello stabilimento balneare, bianche come lenzuoli, la sera dopo quella giornata tra sole e tuffi nell’acqua gelida quelle stesse persone erano luminose come lampade al neon con la pelle scottatta e arrossata come mai si poteva immaginare. Erano i tempi dei bar in riva al mare con i jukebox presi d’assalto e i 45 giri che diffondevano sulla spiaggia le melodie che sarebbero diventati dei veri tormentoni per tutta la stagione. I tempi delle pance tenute per non mostrare gli stravizi a tavola dell’inverno. Oggi sia a causa della totale assenza della prerogativa di ogni stagione, sia per la diffusione delle lampade solari, molti arrivano in spiaggia la prima volta già scuri di quel sole artificiale delle lampade. I jukebox sono diventati pezzi di antiquariato, e ognuno ha il proprio ipod, o riproduttore mp3 con annesse cuffiette. Cambiano le premesse, gli approcci forse, ma la “febbre” da prima uscita al mare, quella è intatta e persiste ai tempi ed ai suoi cambiamenti di moda e del meteo. Maggio è anche il mese della festa della Mamma … di questo non parlo, tengo il pensiero, le emozioni i ricordi e le lacrime per me dando a lei che non è più fisicamente al mio fianco, un bacio grande quanto l’amore che provo e proverò sempre per lei … col cuore gonfio di un amore infinito ed il desiderio di sentire la sua voce fortissimo sempre fortissimo! … Buon risveglio … Buon Maggio amici miei … (Claudio)






    Febbre del mare

    Devo tornare sul mare, solitario sotto il cielo,
    e chiedo solo un'alta nave e una stella per guidarla,
    colpi di timone, canti del vento,
    sbuffi della vela bianca,
    e bigia foschìa sul volto del mare
    e un bigio romper dell'alba.
    Devo tornare sul mare, ché la chiamata
    della marea irruente è una chiara
    selvaggia chiamata imperiosa;
    e io chiedo soltanto un giorno di vento
    con volanti nuvole bianche,
    pien di spruzzi e di spuma e di strillanti gabbiani.
    Devo tornare sul mare, alla vita
    di zingaro vagabondo; alla via
    delle balene e degli uccelli marini,
    dove il vento è una lama tagliente;
    e io chiedo solo un'allegra canzone
    da un compagno ridente e un buon sonno
    e un bel sogno
    quando la lunga giocata è finita.
    (JOHN MANSFIELD)




    CAREZZE AL RISVEGLIO


    ... POESIE E FIABE AL RISVEGLIO…
    ... L’esperimento fatto da più di un anno mi è piaciuto e credo sia piaciuto a molti. Per cui continuerò ad alleggerire questo mio spazio di riflessione utilizzando il metodo più antico del mondo, le fiabe e le poesia. Credo sia giusto provare a tornare alle vecchie care abitudini di questa mia “rubrica” cercando di regalare un sorriso ed una carezza a chi avrà la pazienza di leggere ciò che scrivo e propongo. Così da oggi inizieremo un viaggio nella poesia; da quelle dell’antichità a quelle più recenti. La poesia è sempre stato il modo con cui il cuore e l’anima hanno cercato di comunicare; la veste visibile delle emozioni. Credo quindi che ogni mattina leggere una poesia ed una favola, soprattutto in questo periodo estivo, sia una bella spinta per tutti ad iniziare con una carezza la giornata … Buon risveglio e buona giornata a tutti … .
    (Claudio)





    POESIE A TEMA

    Poesie e racconti sulla Primavera …

    Primavera

    Conosco una città
    dove la primavera arriva
    e se ne va
    senza trovare un albero
    da rinverdire,
    un ramo da far fiorire
    di rosa o di lillà:
    Per quelle strade murate
    come prigioni
    la poveretta s'aggira
    con le migliori intenzioni:
    appende un po' di verde
    ai fili dei tram,
    ai lampioni,
    sparge dei fiori
    davanti ai portoni
    (e dopo un momentino
    se li riprende il netturbino).
    Altro da fare
    non le rimane,
    per settimane e settimane,
    che dirigere il traffico
    delle rondini,in alto,
    dove la gente
    non le vede e non le sente.
    Di verde in quella città
    (e dirvi il suo nome non posso)
    ci sono soltanto i semafori
    quando non segnano rosso.
    (Gianni Rodari)




    FAVOLE PER LA NINNA NANNA …

    La volpe e il lupo

    Intorno alla metà agosto, nei giorni precedenti la festività di S. Rocco, il bosco tra Ripacandida, Forenza e Ginestra è attraversato da carri che trasportano vari animali, soprattutto maiali. Secondo una tradizione che si perde indietro nel tempo, a Ripacandida, piccolo borgo insediato sulla sommità di una collina, il giorno di S. Rocco ha luogo una grande fiera. Nella notte, si festeggia con rudimentali fuochi d’artificio, sullo sfondo di campi rigati dalle stoppie che bruciano. Da tutto il circondario arriva gente per la compravendita dei vari animali. Ma l’attrazione principale sono i maiali, acquistati generalmente uno per famiglia, che sono fatti crescere, all’ingrasso, in angusti caselli e, infine, macellati alle soglie dell’inverno. Il lupo e la volpe, che in quel bosco sono gli animali dominanti, vedono passare quei carri trasportare una serie di animali, la maggior parte dei quali, appunto, tozzi, rosei e senza pelo. Carri che vanno verso il paese carichi, e che tornano indietro scarichi. Incuriositi seguono i carri, fino al limite del bosco, che è separato dal paese soltanto da una stretta vallata.
    In quel tempo, l’asino o la mula sono il principale mezzo per muovere persone e cose, la corrente elettrica è stata scoperta, ma non è ancora una risorsa utilizzabile in quei luoghi, e gli inverni sono freddi e nevosi. La legna del bosco scalda le case, quasi sempre solo l’ampio locale in ingresso, che è dominato dalla cucina in muratura, con annesso focolare, fuochi per le pentole e forno per il pane e le focacce. Il calore del focolare e della cucina non arriva nelle stanze da letto. I carboni ancora appena ardenti sono trasferiti dal focolare in appositi ‘scaldini’, per riscaldare, se non le stanze, almeno i letti. Le famiglie sono numerose e gli spazi sono limitati. Questo significa poche stanze, ciascuna con tanti letti. Oppure, nel caso di famiglie molto povere, un'unica grande sala con locali separati da tendoni. In cucina, di solito in un sottoscala, è ricavato lo spazio per il pollaio e la conigliera. Il sottotetto ospita un’altra piccola stanza e la piccionaia. L’angusto spazio per il maiale, il casello, è all’esterno, come la stalla per l’asino o per la mula. La casa è concepita per uomini e animali, in modo che la famiglia abbia risorse essenziali per mantenersi in autonomia. Il latte, altra importante risorsa alimentare, viene venduto porta a porta, al mattino, trasportato in bidoni metallici e distribuito mediante contenitori metallici che ne misurano la quantità.
    A quell’estate, un’estate torrida, segue il più rigido e nevoso inverno che il lupo e la volpe, e non solo loro, ricordino. Un inverno interminabile, che non concede cibo a chi non sia in letargo. I due animali, di giorno in giorno sempre più deboli, si ritrovano, quasi senza accorgersene e spinti dall’istinto di sopravvivenza, al limite del bosco. Di fronte c’è Ripacandida, il paese del traffico di quegli strani animali color rosa. Il lupo e la volpe si guardano l’un l’altro e, con passo lento e strascicato, senza neanche un cenno d’intesa, si avviano giù verso la valle.
    Giunti in paese, nevica fitto. Nel silenzio del tardo pomeriggio, le strade sono deserte. Rasentando i muri, il lupo e la volpe si trovano davanti a un imponente portone di legno. Alla base del portone, un buco circolare nel legno permetterebbe di guardare dentro il locale. Ma i due animali, prima ancora di realizzare l’idea di guardare attraverso il buco, sentono nell’aria, proveniente da quel buco, caldo odore di cibo. Passa meno di un istante tra il guardare all’interno del locale, una cantina, ed entrarvi, con una certa difficoltà, perché il buco è abbastanza stretto. Ma loro due sono estremamente magri. Ed ecco cosa sono diventati tutti quegli strani animali dalla grande pancia e dalle gambe corte! Salsicce, soppressate, salami, trippa, prosciutti. E, ancora, sugli scaffali, quanti formaggi, di ogni tipo e forma! Il lupo e la volpe sono disorientati. Non sanno neanche con quale cibo cominciare. Sanno solo che, ora, possono nutrirsi, finalmente. E cominciano a mangiare, passando da un cibo all’altro, con frenesia.
    A un certo punto, la volpe guarda la pancia del lupo che diventa sempre più grande, a vista d’occhio. Poi guarda la sua pancia, e quindi il buco da dove sono entrati. Si avvicina al buco e fa una prova per capire se sarebbe riuscita a uscire. Ci sarebbe riuscita, seppure a fatica. Decide allora di non mangiare altro, ma di portare con sé del cibo da consumare fuori dalla cantina. Lei sì, si sente proprio furba, altro che il lupo! ‘Quello stupido animale – dice a se stessa la volpe – continua a mangiare senza sosta e senza pensare a null’altro. Voglio proprio vedere come farà ad uscire dal quel buco nel portone.'
    Neanche il tempo di terminare la frase e una porta interna alla cantina, cigolando, si apre. Un omone grosso e un po’ impacciato si fa avanti. Il padrone della cantina. L’uomo fa un saltello indietro, sorpreso dal vedere prima il disordine generale, poi i due animali. Il lupo e la volpe, a loro volta, fissano l’uomo, pronti a scappare. L’uomo incrocia gli sguardi, prima verso il lupo, poi verso la volpe, quindi si guarda intorno. Trova un bastone, lo prende e comincia a inseguirli, ansimando e con poca agilità. La volpe si dirige immediatamente verso il buco del portone e riesce a uscire e a mettersi in salvo. Il povero lupo, dopo esser sfuggito all’omone correndo lungo i muri della cantina, esausto e appesantito dal cibo ingerito, tenta anch’egli di uscire attraverso il buco. Ma ha mangiato troppo e la pancia, strapiena di cibo, è troppo grande e non gli permette di uscire. E allora, ‘titingh’ e titanghe, titingh’ e titanghe, titingh’ e titanghe’,1 sul lupo si abbattono i colpi di bastone del padrone della cantina.
    Malridotto, pieno di lividi e con qualche osso incrinato, il lupo, subìta la dura lezione, è lasciato libero di uscire. Zoppicando, si dirige lentamente verso il bosco. Dopo un breve tratto di strada, viene avvicinato dalla volpe, che gli dice, con voce sofferente: ‘Caro mio, ce la siamo vista brutta! Quante botte!’
    ‘Eh sì – risponde il lupo con la voce strozzata per il dolore – guarda come sono ridotto, non sto sulle zampe. Ma tu dov’eri?’
    ‘Non mi avrai visto. Quell’uomo, dopo aver picchiato te, ha picchiato anche me.’ A quel punto, la volpe prende una forma di ricotta, che aveva portato con sé uscendo dalla cantina, la estrae dal cestello che la contiene, e se la appoggia sulla testa.
    ‘Guarda – dice al lupo – tu avrai le ossa rotte, ma io ho la testa spaccata, e il cervello è uscito fuori.’
    ‘O povera volpe, chissà come starai male!’ ‘Male, male, molto male, – conferma la volpe – sono paralizzata talmente da non riuscire quasi neanche a muovermi. E dobbiamo rientrare nel bosco. La strada è lunga e innevata.’ Dopo una breve pausa, la volpe aggiunge:
    ‘Caro amico lupo, non potresti portarmi su di te?’
    Il lupo, pur sofferente e zoppicante, comprende che la volpe sta molto peggio di lui. E allora, se la carica addosso e comincia, con molta fatica, a dirigersi verso il bosco. La volpe, soddisfatta di se stessa e della sua furbizia, comincia a ripetere un lamentoso e ambiguo ritornello:
    ‘E lu stuort’ porta lu dritt’, e lu stuort’ porta lu dritt’, e lu stuort’ porta lu dritt’.’ Dopo non molta strada, però, inavvertitamente un pezzo di ricotta cade dalla testa della volpe e finisce sulla neve, proprio davanti al lupo. Dapprima sorpreso, il lupo realizza quasi immediatamente che non si tratta di cervello, ma di ricotta. Capito l’inganno, prima che la volpe ripeta ancora una volta il perfido ritornello, il lupo scaraventa giù la volpe e, con le ultime forze rimaste, la riempie di botte.

    (Favola popolare trascritta da Diego Franciotta)



    ATTUALITA’


    Terremoto: 6 maggio 1976, la terra trema in Friuli. Poi la ripresa fu un 'modello'.

    Serracchiani: quei valori sono un tesoro da ricordare ancora oggi. Il 6 maggio 1976, 39 anni fa, in Friuli la terra trema: alle 21.00 un terremoto di magnitudo 6,4 della scala Richter e intensità pari al IX-X grado della scala Mercalli colpisce un'area di 5.700 chilometri quadrati. Cinquantanove tragici secondi, la durata della scossa principale. La zona a nord di Udine è la più colpita. I danni sono immensi, stimati in 4.500 miliardi delle vecchie lire, 989 le vittime, circa 3.000 i feriti.

    Il patrimonio di valori della ricostruzione dopo il sisma del 1976, ovvero lo slancio, la caparbietà, la capacità d'intervento e l'etica, tutti elementi del 'modello Friuli' di ricostruzione sociale ed economica, sono l'attuale tesoro a cui attingere in periodi di crisi e ripartenza, sottolinea la presidente della Regione Debora Serracchiani. Per Serracchiani, i principi che hanno guidato la rinascita del Friuli "vanno ritrovati e gelosamente conservati".

    Oggi l'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste dà il via a una serie di eventi per ricordare il terremoto del Friuli e diffondere buone pratiche di sicurezza e riduzione dei rischi naturali. Si tratta di un "fronte sul quale l'Ogs è attivo da anni, nell'ambito di iniziative finanziate dalla Protezione Civile Nazionale e dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca", afferma la presidente Maria Cristina Pedicchio. Il primo appuntamento dedicato alla memoria e mirato alla consapevolezza è una videolezione, disponibile sul sito dell'Istituto (www.inogs.it).
    I sismologi dell'Ogs ricostruiscono la storia del terremoto e illustrano le strategie da adottare per ridurre i rischi e non essere impreparati nei confronti di un terremoto futuro. Si prosegue venerdì 8 e sabato 9 maggio con visite guidate per le scuole nella sala sismica del Centro Ricerche Sismologiche dell'Ogs e laboratori e conferenze all'Istituto Bearzi di Udine, che in occasione dell'anniversario del terremoto ha organizzato 'le giornate dell'emergenza' per sensibilizzare studenti e studentesse sui temi della sicurezza e della prevenzione dei rischi legati alle calamità naturali. "Il terremoto che nel 1976 ha colpito il Friuli Venezia Giulia ha rappresentato una chiave di volta per la sismologia in Italia e per la gestione del territorio. Dopo il terremoto del Friuli è nata, infatti, la Protezione Civile ed è iniziata la raccolta sistematica dei dati, prima a livello regionale e poi nazionale, e gli esperti di scienze della terra hanno cominciato a fare rete per studiare in maniera globale il fenomeno terremoto", commenta Dario Slejko, sismologo dell'Ogs operativo 39 anni fa, quando il terremoto ha fatto tremare il cuore della regione.

    È stata proprio la stazione dell'Ogs di Trieste a localizzare principalmente le scosse. Il primo strumento per lo studio dei terremoti fu installato nel capoluogo giuliano nel 1906 e può essere considerato il primo tassello della rete sismometrica inaugurata poi dall'istituto il 6 maggio 1977, un anno dopo il terremoto, per seguire la sequenza sismica ancora in corso e documentare la sismicità regionale. "Il Centro di Ricerche Sismologiche (Crs) dell'Ogs è figlio del terremoto", commenta Marco Mucciarelli, direttore del Crs. "Oggi dispone di una rete per il monitoraggio sismico dell'Italia nord-orientale, consente di individuare le aree sismicamente attive di Fvg, Veneto e provincia di Trento e fornisce un sistema di allarme sismico a supporto alla Protezione Civile regionale. Il sistema automatico di allerta oggi funziona in tempi impensabili 39 anni fa: è in grado infatti di fornire dopo poche decine di secondi dall'evento sismico la localizzazione e la magnitudo alla sala operativa della Protezione Civile e tutto questo dà maggiore efficacia ai soccorsi". (Ansa)





    Il 6 maggio 'No diet day' contro l'ossessione del peso.

    Giornata Internazionale nata nel 1992 ideata da ex anoressica. Almeno per un giorno anche i più fanatici delle diete e della forma fisica dovrebbero prendersi una pausa, e chiedersi se vale la pena di fare tutti quei sacrifici, magari davanti a una bella cena abbondante. A questo scopo ormai quasi 25 anni fa è nato l''International No Diet Day' che il 6 maggio ricorda al mondo che forse è meglio avere un approccio più tranquillo nei confronti del proprio corpo.

    Ad avere l'idea della giornata, nel 1992, è stata Mary Evans Young, fondatrice dell'associazione 'Diet Breakers' e ex anoressica. ''Ho deciso di passare all'azione - racconta in uno dei suoi libri - dopo aver visto un programma televisivo in cui delle donne si sottoponevamo a interventi chirurgici per ridurre il peso, e dopo aver saputo che una ragazza di 15 anni si era suicidata perché la prendevano in giro perché grassa''.

    La prima edizione della giornata è stata un pic nic ad Hyde Park, poi spostato a casa della Evans per la pioggia, ma già dall'anno successivo la giornata è stata celebrata anche in Usa, Canada e Australia, tanto che alcune associazioni statunitensi chiesero a Evans di spostare la data dal 5 al 6 maggio per evitare sopvrapposizioni con i festeggiamenti per il 'cinco de Mayo'. Gli obiettivi dichiarati della giornata sono l'accettazione del proprio peso, la sensibilizzazione sulle discriminazioni a cui va incontro chi è sovrappeso, la consapevolezza della grande probabilità che le diete falliscano.

    ''La giornata - spiega ad esempio il National Center for Eating Disorders canadese sul proprio sito - è ina grande opportunità per incoraggiare gli individui ad avere stili di vita salutari senza l'ossessione per le taglie o il peso''. L'ossessione per la dieta, ricorda l'organizzazione canadese che ogni anno dedica una campagna specifica alla giornata, può essere pericolosa, se si pensa ad esempio che il 30% delle bambine tra 10 e 14 anni è stata a dieta pur avendo un peso normale. Molto meglio focalizzarsi sui comportamenti salutari che sempre più ricerche suggeriscono. In questo campo gli ultimi due studi sono stati pubblicati in questi giorni. Nel primo, pubblicato da Diabetologia, si è visto che basta bere una bibita zuccherata in meno al giorno per diminuire di un terzo il rischio di diabete. Un'altra ricerca, pubblicata dal Journal of the American Society of Nephrology, ha invece dimostrato che per chi fa un lavoro sedentario alzarsi per due minuti ogni ora diminuisce di un terzo il rischio di morte.
    (Ansa)





    Biennale di Venezia, ecco come sarà.

    Dal 9 maggio 'All the World's Futures' con 136 artisti provenienti da 53 Paesi. In un'epoca satura d'ansie, di crisi non solo economica, l'arzilla 'signora' del contemporaneo, con i suoi 120 anni di vita, fa sentire la sua 'voce', da' vita al 'Parlamento delle forme', per tornare a osservare, come dice il presidente della Biennale, Paolo Baratta, "il rapporto tra l'arte e lo sviluppo della realta' umana, sociale, politica, nell'incalzare delle forze e dei fenomeni esterni".
    Dal 9 maggio, dopo tre giorni di vernice, dal 6 all'8, aprira' al pubblico "All the World's Futures", la 56. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, diretta da Okwui Enwezor.
    A dare sostanza alla coralita' multidisciplinare delle arti, alla loro 'responsabilita'' rispetto alla societa' civile, sono stati chiamati 136 artisti, dei quali 89 presenti per la prima volta, provenienti da 53 Paesi.
    Tra gli invitati, quattro italiani - oltre a Mauri, Pino Pascali, Monica Bonvicini e Rosa Barba - piu' una rivista, o sul fronte internazionale nomi come Baselitz, Boltanski, Dumas, Holler, Nauman, solo per citarne alcuni. A loro il compito, attraverso performance, installazioni, dipinti, disegni, video, sculture o opere grafiche, di porre interrogativi, suggerire risposte, insinuare dubbi.
    (Ansa)




    ANDIAMO AL CINEMA!!!!




    Le streghe son tornate




    locandina


    Un film di Álex De la Iglesia. Con Carmen Maura, Hugo Silva, Mario Casas, Carolina Bang, Terele Pavez.


    La potenza della commedia usata per aggredire i sessi e rivelarne le debolezze tramite l'esagerazione.
    Gabriele Niola


    Josè non è mai stato un gran lavoratore e da quando la moglie lo ha lasciato può vedere solo ogni tanto il figlio piccolo, così decide di portarlo con sè in una rapina al termine della quale, dopo un lungo inseguimento in auto, i due assieme al complice, l'autista del taxi che hanno sequestrato e un ostaggio finiranno in un paese di streghe nel tentativo di espatriare in Francia.
    Le streghe in questione sono interessate al bambino piccolo, perfetto per un rituale che progettano da tempo e meditano di mangiare gli altri uomini in un grande banchetto, se non fosse che la più giovane di loro si è invaghita di Josè.
    Zugarramurdi è un luogo esistente, un paese della regione basca noto per uno dei più clamorosi casi di "stregoneria" registrati e aspramente repressi da parte dell'Inquisizione spagnola, in cui Alex de la Iglesia si diverte ad ambientare il suo film di streghe, deviando dalle regole del genere, come spesso accade al regista spagnolo, per divertirsi con una trama che finisce per assumere le consuete proporzioni apocalittiche.
    Scritto assieme al solito straordinario Jorge Guerricaechevarria (spalla da cui non si può prescindere per qualsiasi valutazione sul cinema di de la Iglesia) Las brujas de Zugarramurdi non fa mai mistero di usare le streghe per parlare di donne con il tono iperbolico, cattivo e spietato che il regista applica a qualsiasi argomento e dalle cui esagerazioni riesce ad estrarre le più oneste verità. Le donne sono streghe, tutte. Lo sono quelle vere, che nel film irretiscono i protagonisti e pianificano l'annichilimento del maschio, ma lo sono anche quelle che non hanno alcun potere magico, come si intuisce dalla maniera in cui i protagonisti parlano di loro. Usando infatti come un'arma il terrore degli uomini nei confronti di fidanzate e mogli, de la Iglesia e Guerricaechevarria si tengono in un miracoloso equilibrio, capace di condannare e scherzare pesantemente su entrambi i sessi (tanto vili e scemi gli uomini quanto oppressive le donne), di fatto evitando la trappola della misoginia.
    Dopo i più cauti e modesti Oxford murders o La chispa de la vida e più in linea con il fortissimo Ballata dell'odio e dell'amore Alex de la Iglesia torna a girare un film in cui ambisce a godere e far godere, unendo tutto ciò che provoca piacere a lui e agli spettatori. Il thriller, l'azione, l'umorismo, i corpi, il sesso, il sangue, il mangiare, l'amare, il piangere e il correre, l'obiettivo del regista sembra di nuovo (e finalmente) essere quello di riuscire a comprendere nella stessa immagine tutto ciò che suscita sensazioni piacevoli e di farlo con una tecnica filmica magistrale, seria più di quella di qualsiasi altra commedia, capace di trovare sempre il tempo o il luogo per dire qualcosa di audace con le ambientazioni e le immagini.
    Se infatti da una parte Las brujas de Zugarramurdi può sembrare il massimo del disimpegno godereccio, dall'altra è evidente che senza sottolinearlo mai il film incastri nei dettagli segmenti potentissimi come la folgorante apertura in cui viene rapinato un negozio ComproOro (il simbolo stesso della crisi economica di questi anni) da un uomo armato di fucile a pompa, vestito e truccato da Gesù Cristo, accompagnato dal figlio di meno di 10 anni. Nessuno oggi in Europa è in grado di usare in questa maniera i generi cinematografici più commerciali che ci siano (azione, horror e commedia) per urlare con tale chiarezza la propria visione del presente.
    Peccato allora che anche questo film soffra della consueta difficoltà del duo di autori nel chiudere le proprie parabole, indugiando in un finale molto lungo, esagerato e privo della concretezza del resto del film.



    (Lussy)





    ... CURIOSANDO E RACCONTANDO …



    " Ritengo che il signor Mellish sia un traditore del suo Paese
    perché le sue idee sono diverse da quelle del presidente e di tutti i benpensanti.
    Le diversità di opinioni sono sì tollerate, ma non se sono troppo diverse,
    se no si diventa cattivi e sovversivi.
    (Miss America)


    Il dittatore dello stato libero di Bananas


    Titolo originale Bananas
    Paese di produzione USA
    Anno 1971
    Durata 82 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere commedia
    Regia Woody Allen
    Soggetto Woody Allen, Mickey Rose
    Sceneggiatura Woody Allen, Mickey Rose
    Produttore Jack Grossberg
    Fotografia Andrew M. Costikyan
    Montaggio Ron Kalish Ralph Rosenblum
    Musiche Marvin Hamlisch
    Scenografia Herbert F. Mulligan

    Interpreti e personaggi

    Woody Allen: Fielding Mellish
    Louise Lasser: Nancy
    Carlos Montalbán: Generale Emilio M. Vargas
    Natividad Abascal: Yolanda
    Jacobo Morales: Castrado
    Miguel Suarez: Luis
    Dorthi Fox: Hoover
    David Ortiz: Sanchez
    Howard Cosell: se stesso
    Sylvester Stallone: bullo in metropolitana
    Dick Callinan: Il fumatore in chiesa


    TRAMA



    Fielding Mellish, giovane collaudatore industriale, per consolarsi di una delusione sentimenfale, la sua fidanzata Nancy, lo ha lasciato giudicandolo un debole, lascia New York per raggiungere lo Stato di Bananas, una repubblichetta sudamericana afflitta da ricorrenti dittature e frequenti rivoluzioni. Il dittatore di turno, Vargas, tenta di approfittare della presenza dell'americano per ucciderlo e far ricadere la colpa sui ribelli, in modo da ottenere l'aiuto degli Stati Uniti nella sua repressione. Fortunatamente per Mellish, il diabolico piano di Vargas va a monte: i rivoluzionari, guidati dal barbuto Castrado, conquistano poco dopo il potere. Castrado, nominato presidente, instaura però una dittatura per nulla diversa dalla precedente, per cui viene a sua volta eliminato. Poiché Bananas ha urgente bisogno di finanziamenti, i capi rivoluzionari nominano presidente Mellish. In questa veste, camuffato, fa ritorno negli Stati Uniti per raccogliere aiuti a favore del nuovo Stato libero. Scoperta la sua vera identità, viene arrestato, processato e infine rimesso in libertà: conclude la sua avventura tra le braccia di Nancy, la quale, innamoratasi di lui nei panni di Presidente di Bananas, accetta - conosciuta la sua vera identità - di diventare sua moglie.

    l film è incentrato su un uomo mediocre e ignorante, il collaudatore industriale Fielding Mellish che, interpretato da Woody Allen, cerca di impressionare Nancy, un' attivista sociale di cui è innamorato. Decide dunque di visitare lo stato di Bananas, San Marcos nella versione originale, per dimostrare il suo sostegno alla popolazione locale ma, quasi ucciso dal dittatore fascista locale, viene salvato dai rivoluzionari e si trova in debito nei loro confronti. Mellish diventa così un rivoluzionario e, cercando approvvigionamenti per le truppe, entra in un ristorante dove, in perfetto stile newyorchese, ordina migliaia di tramezzini. Quando la rivoluzione riesce il dittatore similcastrista impazzisce e obbliga i ribelli a nominare Mellish nuovo presidente. Tornando negli Stati Uniti per ottenere aiuto finanziario incontra la sua ex-fidanzata e viene scoperto. In una classica scena ambientata in un tribunale Mellish cerca di difendersi da una serie di testimonianze. Viene infine liberato dal giudice a condizione che non si trasferisca mai nelle sue vicinanze.

    ...recensioni...



    Le più famose scene comiche di questo film presentano Woody Allen che, codardamente, tenta di difendere un'anziana signora da alcuni ceffi in metropolitana, acquista riviste pornografiche in un grande magazzino di fronte a un vasto pubblico, tenta di imparare le tecniche di guerriglia e, infine, è costretto a fronteggiare un processo assurdo.
    È degna di essere ricordata la scena in cui Fielding torna negli Stati Uniti da presidente di Bananas, accolto da un rappresentante del dipartimento di stato e da Mr. Hernandez, l'interprete ufficiale. Dopo le prime formalità diventa ovvio che Fielding parla un perfetto inglese e l'interprete viene conseguentemente cacciato via da due uomini armati con retini da farfalle. Nel finale del film un falso programma della rete televisiva americana ABC mostra un omicidio in diretta a Bananas, mentre il giornalista grida "È tutto finito per El Presidente!"


    Da un soggetto di Allen e Mickey Rose, un film sconnesso ma divertente, ricco di trovate brillanti e di riferimenti cinematografici (da "La corazzata Potemkin" a "Tempi moderni"). Nella particina del teppista in metropolitana, Sylvester Stallone al suo esordio.
    Il primo Woody è come il primo amore...non si scorda mai! Impossibile resistere alla tentazione di vedere e rivedere questa intelligente parodia delle lotte di potere. Fielding Mellish è un omino da niente, stupido ed ignorante. Lavora come collaudatore in una grande azienda ma tutto cambia quando s'innamora di una " ragazza moderna", che lo coinvolge in picchetti e lotte politiche. Sedotto e abbandonato, si ritrova in uno sperduto stato dell'America del Sud, a guidare i ribelli di Castrado, contro la dittatura di Emilio Molina Vargas. In un turbinare di eventi, finisce alla ribalta della cronaca: prima dittatore, poi terrorista, imputato, ed infine, idolo della folla! Nel 1971, la produzione di Allen diverte senza risparmio. Il suo personaggio non ancora nevroticizzato, inanella suo malgrado gags classiche ed inedite, regalando al cinema alcuni fra i più bei dialoghi non-sense; fra tutti la spiegazione del perchè Lucy ( una candida Louise Lasser) lo vuole lasciare. Ma è impossibile parlare di una scena senza citare le innumerevoli perle di comicità: dall'editto di Castrado al potere ("da oggi i sedicenni avranno sedici anni", e "la lingua ufficiale sarà lo svedese"), alla seduta di analisi, passando per l'approvvigionamento delle truppe (una "colonna infame" che recapita a domicilio migliaia di sandwiches e cariole di cavolo condito) all'invito a cena "con-conto". Quello che sembra un film di poche pretese, è invece un ottimo prodotto, originalissimo nella sceneggiatura, e raffinato nella colonna sonora, perfettamente calibrata per ogni singola scena (l'incontro amoroso con la guerrigliera, al suono della marcia trionfale, è incredibile). La farsa è così spinta, da rendere perfettamente comuni le scene d'inizio e chiusura del film: servizi televisivi, con tanto di cronisti e pubblico, per l'assassinio del presidente di Bananas e la prima notte di nozze degli sposini Mellish.
    Imperdibile poi la scena del sogno: Fielding crocefisso che non trova parcheggio, in una cornice di monaci che si picchiano. Delirio allo stato puro!(maggie)


    "Il dittatore dello stato libero di Bananas" è uno dei primi film (il terzo, per la precisione) di Woody Allen. Oltre alla forte comicità che porta risate a non finire, si possono trovare pochi significati secondari, più che altro una convinta satira nei confronti della stampa e della situazione Stati Uniti-Cuba.
    Ma questa carenza non è per niente penalizzante; specie per il primo periodo del regista, si sa, quello che conta sono le risate che, vi assicuro, certo non mancano!
    Le scene memorabili sono tantissime, dall'acquisto delle riviste pornografiche allo scontro coi bulli in metropolitana (uno dei due è un giovanissimo Sylvester Stallone), dal rifornimento di provviste per i ribelli al ricevimento da parte delle autorità americane all'aeroporto, passando per lo splendido sogno di Fielding e un'altra infinità di gag minori.
    Alcuni dialoghi poi, sono totalmente e genialmente folli: le motivazioni della rottura con Lucy, i nuovi regolamenti imposti da Castrado e gli interrogatori del processo.
    Non è da sottovalutare la colonna sonora, abilmente sfruttata in ogni singola scena.
    "Il dittatore dello stato libero di Bananas" è un classico della comicità alleniana, obbligatorio per tutti i suoi fan.
    (Maurizio Macchi, www.pellicolascaduta.it/)

    (Gabry)





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    La musica del cuore

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    Musica anni 30/ 40 /50







    Murolo


    Roberto Murolo



    « Lasciate cantare sempre e soprattutto il cuore,
    perché è lui che ne ha bisogno più di noi per vivere »


    (Roberto Murolo)


    Roberto Murolo (Napoli, 19 gennaio 1912 – Napoli, 13 marzo 2003) è stato un cantautore, chitarrista e attore italiano.

    Roberto Murolo nasce a Napoli il 19 gennaio 1912 (anche se la nascita viene registrata quattro giorni più tardi, il 23), penultimo dei sette figli di Lia Cavalli e del poeta Ernesto Murolo (a sua volta probabile figlio illegittimo di Eduardo Scarpetta e dunque fratellastro di Eduardo, Peppino e Titina De Filippo).

    Tra i maggiori protagonisti insieme a Sergio Bruni e Renato Carosone della scena musicale napoletana, nel periodo che va dal secondo dopoguerra al 1960, trascorre la sua infanzia in un salotto frequentato da Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Libero Bovio e Raffaele Viviani.

    Le sue grandi passioni giovanili sono la musica e lo sport. In quest'ultimo campo si distingue come tuffatore, vincendo il campionato italiano di tuffi alti nel 1937. Murolo ha sempre attribuito alla lunga pratica degli sport acquatici la sua notevole capienza polmonare.

    Studia chitarra e nel 1933, a Ischia, in una delle prime esibizioni accompagna Vittorio De Sica che canta E palumme. Nel 1935 entra come impiegato nella compagnia del gas, dove resterà per tre anni, e grazie alla sua passione per il nuoto, vince addirittura i campionati nazionali universitari, venendo premiato dal Duce in piazza Venezia. L'anno successivo inizia a cantare nel gruppo vocale Mida Quartet, ispirato agli americani Mills Brothers, con un repertorio di canzonette ritmate, tra avanspettacolo e cabaret. Alla voce di Murolo spetta il trombone, Enzo Diacova e Alberto Arcamone imitano le trombe, Amilcare Imperatrice il contrabbasso. Il Mida Quartet trascorre all'estero otto anni, dal 1938 al 1946, sbarcando il lunario tra teatri e locali in Germania, Bulgaria, Grecia, Ungheria e Spagna, proponendo un repertorio internazionale e di canzoni italiane. Nei primi decenni della sua carriera, utilizzò nei concerti una preziosa chitarra artigianale, costruita nel 1838 dalla liuteria Guadagnini, al tempo operante in piazza San Carlo a Torino.

    Tornato in patria dopo la fine della guerra, Murolo inizia la carriera da solista in campo concertistico e in quello discografico nel 1948, esibendosi al Tragara Club di Capri. La sua voce da sussurro, seducente e intonata, valorizzata dall'uso del microfono, e il suo stile da chansonnier d'altri tempi incontrano subito il favore del pubblico. Canta Munasterio 'e Santa Chiara (Galdieri-Barberis, 1945), Tammurriata nera (Nicolardi-E. A. Mario, 1944), Scalinatella (Cioffi-Bonagura, 1948) e altri successi napoletani vecchi e nuovi, che raccoglierà in una fortunata antologia.

    La radio diffonde in tutta Italia la sua voce attraverso i primi 78 giri della Telefunken-Durium, e inizia anche l'attività cinematografica: appare in Catene (1949), con la regia di Raffaello Matarazzo, insieme ad Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. Nello stesso anno lavora nel film Paolo e Francesca e l'anno dopo in Tormento, sempre di Matarazzo, ma anche in altre pellicole dove compare solo come cantante. E ancora in Menzogna (1952) e Saluti e baci (1953), dove figura accanto a Nilla Pizzi, Yves Montand, Giorgio Consolini e Gino Latilla.

    Il 26 ottobre 1954 viene arrestato a Fermo con l'accusa di corruzione di minore. Condannato in primo grado a 3 anni e 8 mesi di reclusione, resta in carcere fino al processo d'appello, svoltosi a porte chiuse il 25 marzo 1955, che gli ridurrà la pena a 11 mesi con il beneficio della condizionale, determinandone l'immediata scarcerazione. Murolo, che si è sempre proclamato innocente, uscirà sconvolto e amareggiato, in un primo momento anche pensando addirittura di non cantare mai più. Fortunatamente riesce a dimenticare la brutta vicenda, avvedendosi che il pubblico è sempre pronto ad applaudirlo e che l'affetto dei suoi veri amici non ha avuto il minimo cedimento.

    A partire dal 1956 Murolo studia a fondo il repertorio partenopeo dal 1200 ai giorni nostri, con il contributo del chitarrista Eduardo Caliendo, pubblicando poi Napoletana. Antologia cronologica della canzone partenopea (1963). Ma scrive anche canzoni in proprio: con il musicista Nino Oliviero firma O ciucciariello (1951) e con il musicista Renato Forlani Torna a vucà (1958), Sarrà... chi sà! (1959), vincitrice del Festival di Napoli, eseguita da Fausto Cigliano e Teddy Reno, e Scriveme (1966).

    roberto-murolo

    Dopo la pubblicazione della sua antologia, incide a partire dal 1969 quattro album monografici intitolati I grandi della canzone napoletana, dedicati ai poeti Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo, Libero Bovio ed E. A. Mario. A metà degli anni settanta interrompe l'attività discografica, ma non quella concertistica.

    In età avanzata torna alla ribalta con l'album 'Na voce, 'na chitarra (1990), in cui interpreta canzoni di altri autori, tra cui Spassiunatamente di Paolo Conte, Lazzari felici di Pino Daniele, Senza fine di Gino Paoli, e anche duetti: Caruso con Lucio Dalla al pianoforte, la divertente Ammore scumbinato in coppia con l'amico Renzo Arbore, oltre a Sta musica con Consiglia Licciardi e L'ammore ca' nun vene, due testi firmati da Enzo Gragnaniello.

    Gianni Cesarini ne racconta la vita in Roberto Murolo - La storia di una voce. La voce di una storia (Flavio Pagano Editore 1990) e in occasione del suo ottantesimo compleanno esce Ottantavoglia di cantare (1992). Nel disco compaiono i duetti Don Raffaè, con Fabrizio De André - che aveva interpretato La nova gelosia nel suo album Le nuvole (1990) dopo averne ascoltato la versione di Murolo - e Cu' mme, con Mia Martini su testo di Enzo Gragnaniello, dove il timbro baritonale di Murolo si fa insolitamente più profondo. Nel disco interpreta anche Cercanno 'nzuonno, ancora con Gragnaniello, Na tazzulella 'e cafè con Renzo Arbore e Basta 'na notte con Peppino Di Capri.

    Nel 1993 il trio Murolo, Martini e Gragnaniello incide l'album L'italia è bbella, titolo della canzone di Carlo Faiello con cui Murolo si esibisce quell'anno al Festival di Sanremo.

    Murolo e De André si esibiscono insieme al concertone del Primo maggio 1993 in piazza San Giovanni, a Roma. In seguito l'artista pubblica Tu si' 'na cosa grande (1994), tributo a Domenico Modugno, accompagnato dai migliori esponenti della musica napoletana del momento: Lina Sastri, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Pietra Montecorvino, Eugenio Bennato, Enzo Avitabile, Enzo Gragnaniello e Tony Esposito, su arrangiamenti di Adriano Pennino; incide poi nell'album Anema e core (1995) i brani Dicitencello vuje (Fusco-Falvo, 1930) e Anema e core (Manlio-D'Esposito, 1950) con la cantante Amália Rodrigues, la grande interprete del fado portoghese con la quale aveva già cantato nel marzo del 1974, al Teatro Politeama di Napoli.

    Il 26 gennaio 1995 viene nominato, dal Presidente Oscar Luigi Scalfaro, grande ufficiale della repubblica per i suoi meriti artistici; a questa onorificenza si aggiunge, il 23 gennaio 2002, la nomina a Cavaliere di gran croce, conferita dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Da tutti definito maestro della canzone napoletana, ha una lunga discografia dove il capitolo più recente è Ho sognato di cantare (2002), undici canzoni d'amore realizzate con autori e musicisti della sua città - Enzo Gragnaniello, Daniele Sepe, Gigi De Rienzo e lo scrittore-attore Peppe Lanzetta - anticipato dal singolo Mbriacame scritto da Mimmo Di Francia, l'autore di Champagne e di vari successi napoletani, tra cui Ammore scumbinato. Mbriacame e' prodotto da Nando Coppeto e arrangiato da Umberto Cimino.

    Nel marzo 2002, durante il Festival di Sanremo, Murolo riceve il premio alla carriera, riconoscimento assegnato nel 2000 a Tony Renis e nel 2001 a Domenico Modugno, alla memoria. In occasione del suo novantesimo compleanno RaiSat Album gli dedica lo special Roberto Murolo Day - Ho sognato di cantare, ideato e condotto da Renzo Arbore, per la regia di Alessandra Rinaldi.

    Muore alle ore 23:45 del 13 marzo 2003 a Napoli, nella sua casa di Via Cimarosa 25, al Vomero, che, a tutt'oggi, continua ad essere sede della Fondazione Roberto Murolo.


    fonte: wikipedia.org
    foto:users.libero.it
    - tarantelluccia.it
    - isaventuri.it




    balilcol






    Scalinatella


    (Ivana)





    RUBRICHE






    (Redazione)





    L’ISOLA NELLO SPORT


    CRONACA SPORTIVA

    Champions League: la Juventus piega il Real Madrid 2-1. Allegri: "A 90' dalla finale".
    Ancelotti: "Al ritorno servirà pazienza". Allegri esalta #euroJuve: "A 90' dalla Finale". Ma J.Rodriguez prepara già la corrida: 'Dovremo scendere in campo per 'ucciderli'. Notte da campioni per la Juventus che ha battuto 2-1 il Real Madrid nell'andata di semifinale di Champions League. "I tanti piccoli passi fatti insieme hanno portato la nostra #euroJuve fin qua: a 90' dalla Finale!".

    Massimiliano Allegri esprime così, su Twitter, la soddisfazione per la vittoria con il Real Madrid nell'andata delle semifinali di Champions League. "Grazie ai ragazzi e a tutti voi!", 'cinguetta' il tecnico bianconero nel cuore della notte. "Per raggiungere la finale adesso serve un capolavoro a Madrid – aveva sottolineato ieri Massimiliano Allegri -. Troveremo un Real aggressivo, bisognerà fare gol, altrimenti difficilmente usciremo dal Bernabeu con la finale in tasca". E se Ancelotti predica pazienza in vista del ritorno, James Rodriguez lancia la 'corrida'. "Dobbiamo avere fiducia, i nostri tifosi devono sostenerci nel ritorno. Il Bernabeu dovrà bruciare d'entusiasmo e dovremo vincere a tutti i costi, per conquistare la finale di Champions. La Juventus ha avuto un po' di fortuna, ma dobbiamo metterci tutto alle spalle e pensare al ritorno. Mercoledì dovremo 'ucciderli'. Saremo nel nostro stadio, con la nostra gente, che dovrà trascinarci". La stampa spagnola crede nella rimonta del Real Madrid allo stadio Santiago Bernabeu dopo la sconfitta 2-1 della squadra di Carlo Ancelotti ieri a Torino contro la Juventus. ''Ora - scrive l'edizione di As online - il Madrid è obbligato a rimontare al Bernabeu. Dopo il brutto avvio è arrivato il gol della speranza di Cristiano Ronaldo''. Secondo il quotidiano sportivo spagnolo l'arma vincente della Juventus sono stati il maggior numero si chilometri percorsi dai suoi giocatori: ''Tevez e compagni in 90 minuti sono arrivati a quota 114,6 km contro i 106,9 del Real Madrid. Una differenza di 7,7 km che ha pesato sull'andamento della partita''. Per l'altro quotidiano sportivo spagnolo Marca, quello di Cristiano Ronaldo ''e' un gol che vale oro'' e che tiene per il Real Madrid la strada aperta verso la finalissima di Champions League a Berlino. Marca punta il dito poi contro la brutta prestazione di Sergio Ramos che con i suoi errori ha prestato il fianco ai bianconeri. Il generalista El Pais rende merito alla Juventus: ''la squadra bianconera ha messo sotto il Madrid tranne che nella parte finale del primo tempo. Il ritorno per le merengues non sarà una passeggiata'

    L'IMPRESA BIANCONERA - La Juventus batte il Real Madrid, nella semifinale d'andata della Champions league, grazie alle reti di Morata e Tevez, su rigore. Cristiano Ronaldo aveva firmato il momentaneo 1-1, risultato sul quale si era chiuso il primo tempo. Sempre nella prima frazione di gioco, i 'blancos' hanno colpito una traversa. (LE PAGELLE). Il ritorno si disputerà mercoledì prossimo, 13 maggio, nel Santiago Bernabeu.
    (Ansa)




    F1, Montezemolo pilota: 'ero Nerone e correvo di nascosto'.
    Ex n.1 Ferrari a Sky: 'esageravo e difficilmente finivo le gare'. "Accadeva tutto di nascosto da mio padre. Il mio nome da pilota era Nerone, per rimanere anonimo''. In una intervista che andrà in onda domani alle 19.30 su Sky Sport F1 HD e su Sky Sport 1 HD per uno speciale su Luca Cordero di Montezemolo, l'ex presidente della Ferrari racconta i suoi trascorsi da pilota, quando, ancora bambino, riesce a guidare in campagna un trattore a cingoli. Da studente nell'anno della maturità classica si scopre poi pilota velocissimo in pista al volante di una Fiat 500 per poi approdare negli anni '70 ai Rally.

    ''Ero un pilota di quelli che non avrei mai voluto avere da Direttore Sportivo - assicura Montezemolo rispondendo alle domande di Guido Meda sul palcoscenico dell'Auditorium della Musica di Roma - Esageravo e difficilmente finivo le gare". Al patron della Formula 1 Bernie Ecclestone è poi affidato un ricordo dei primi approcci di Montezemolo al mondo della Formula 1: "Luca - racconta Ecclestone intervistato da Sky - arrivò che era un totale neofita e non poteva prendere una sola decisione senza correre fuori dalla stanza e telefonare al signor Ferrari per sapere fin dove poteva spingersi e cosa doveva fare o non fare. Questo era Luca. Io l'ho conosciuto fin dai sui primi passi. Ma poi ne ha fatta di strada. Diciamo che è cresciuto fino ad assumere la posizione che ha tenuto per così tanto tempo. Ormai era la Ferrari di Luca, che agli occhi del mondo è riuscito nell'impresa difficilissima di prendere il posto che era del signor Ferrari. Ecco cos'è Luca".
    (Ansa)




    Bolt assente, ma tante stelle al Golden Gala 2015.
    Lavillenie la star, Gatlin cerca il tris nel 100 metri. Il re della velocità Usain Bolt non sarà al via, ma anche senza lo sprinter giamaicano (che dà forfait per il secondo anno consecutivo) sarà comunque una parata di stelle al Golden Gala Pietro Mennea. Alla 35a edizione del meeting internazionale di atletica in programma il 4 giugno allo stadio Olimpico di Roma sono annunciati, al momento, 18 medagliati olimpici di Londra 2012 e 27 atleti saliti sul podio dei Mondiali di Mosca 2013: tra questi i big più attesi sono l'olimpionico e primatista mondiale di salto con l'asta Renault Lavillenie, lo sprinter statunitense Justin Gatlin alla ricerca del terzo successo consecutivo nei 100m, Chrtistophe Lemaitre alla partenza dei 200m e, nel salto triplo, l'iridato e recordman mondiale indoor Teddy Tamgho. Attesa per le azzurre Alessia Trost, che nel salto in alto se la vedrà con Blanka Vlasic, Libania Grenot (400m) e Federica Del Buono (1500 m). Per la prima volta il Golden Gala sarà preceduto dalla RunFest, in programma dal 2 al 4 giugno allo Stadio dei Marmi: tre giornate di attività (aperte a tutti) dedicate al mondo del running. (Ansa)

    (Gina)



    STRUMENTI MUSICALI!!!




    Sarangi


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    Il sarangi o saranghi è lo strumento principale della musica etnica indiana, sia colta sia popolare appartenente alla famiglia del cordofoni.

    La storia
    La leggenda vuole che il sarangi nasca in tempi antichi (attorno al XVI secolo), quando un "hakim" (medico) vagabondo, stanco si sdraia sotto un albero nella foresta per riposare e viene svegliato da un suono lontano, che scopre provenire dal vento che soffia sulla pelle di una scimmia morta e appesa tra i rami dell'albero. Ispirato da questo evento costruisce il primo sarangi. Pare che compaia ufficialmente alla corte di Mohammad Shah II (1719 - 1748), nella musica epica del classico chant khyal.

    Lo strumento
    sarangiIl sarangi è un antico parente del violino europeo e come esso è estremamente espressivo e difficile da suonare. Il suo nome significherebbe centinaia di colori, a indicare la gamma, la profondità e l'acutezza del suo suono. Lo strumento esprime, secondo Sir Yehudi Menuhin, "i sentimenti e i pensieri dell'animo indiano". Ha un ruolo importante nella musica del Nord dell'India, del Rajasthan, dell'Uttar Pradesh, del Pakistan e dell'Afghanistan, Nepal.
    Il sarangi è una cassa di legno piatta, ricavata da un singolo pezzo di legno, solitamente cedro, con tre corde di budello (do-sol-do) e un'ordinata tavola laterale con più di 40 corde di risonanza in acciaio assicurate a chiavi laterali. Il corpo ha una tavola armonica di pelle e ponti in osso o avorio.
    Lo strumento si tiene verticalmente sulle gambe e appoggiato al collo e le corde vengono bloccate non con i polpastrelli, ma con le unghie. La polvere di talco è usata sulle mani per facilitare lo scivolamento sullo strumento.
    Esistono numerose varietà di sarangi, un'intera famiglia di strumenti, con lo stesso nome, struttura simile, in tutta l'area del Nord dell'India, del Pakistan e dell'Afghanistan.


    fonte:wikipedia


    (Lussy)



    … TRA CURIOSITA’ E CULTURA …



    ARTS & FOODS. RITUALI DAL 1851

    Dal 10 Aprile al 01 Novembre 2015


    La multiforme relazione fra le arti e il cibo sarà ripercorsa e analizzata nel Padiglione Arts & Foods l’unica Area tematica di Expo Milano 2015 realizzata in città ospitata al Palazzo della Triennale dal 9 Aprile fino al 1 Novembre 2015.
    Allestita negli spazi interni ed esterni della Triennale – 7.000 metri quadrati circa tra edificio e giardino – Arts & Foods metterà a fuoco la pluralità di linguaggi visuali e plastici, oggettuali e ambientali che dal 1851, anno della prima Expo a Londra, fino ad oggi hanno ruotato intorno al cibo, alla nutrizione e al convivio. Una panoramica mondiale sugli intrecci estetici e progettuali che hanno riguardato i riti del nutrirsi e una mostra internazionale che farà ricorso a differenti media così da offrire un attraversamento temporale, dallo storico al contemporaneo, di tutti i livelli di espressività, creatività e comunicazione espressi in tutte le aree culturali.
    Con una prospettiva stratificata e plurisensoriale Arts & Foods, a cura di Germano Celant e con l’allestimento dello Studio Italo Rota, cercherà di documentare gli sviluppi e le soluzioni adottate per relazionarsi al cibo, dagli strumenti di cucina alla tavola imbandita e al picnic, dalle articolazioni pubbliche di bar e ristoranti ai mutamenti avvenuti in rapporto al viaggio per strada, in aereo e nello spazio, dalla progettazione e presentazione di edifici dedicati ai suoi rituali e alla sua produzione. Il tutto apparirà intrecciato alle testimonianze di artisti, scrittori, film makers, grafici, musicisti, fotografi, architetti e designers che, dall’Impressionismo e dal Divisionismo alle Avanguardie storiche, dalla Pop Art alle ricerche più attuali, hanno contribuito allo sviluppo della visione e del consumo del cibo.
    Una raccolta e un viaggio nel tempo che rifletterà creativa-
    mente il tema dell’Esposi-
    zione Universale di Milano, “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, attraverso centinaia e centinaia di opere, oggetti e documenti provenienti da musei, istituzioni pubbliche e private, collezionisti e artisti da tutto il mondo.
    "Arts & Foods coinvolge tutti i media e linguaggi: dalla pittura alla scultura, dal video all’installazione, dalla fotografia alla pubblicità, dal design all’architettura, dal cinema alla musica e alla letteratura. – ha dichiarato Germano Celant, curatore del Padiglione e dell’ottava edizione Triennale Design Museum - Si articola con un andamento cronologico che copre il periodo dal 1851 – data della prima Expo a Londra e dell’avvio della modernità – all’attualità, attraverso la creazione di ambienti dedicati ai luoghi e agli spazi del convivo, sia in ambito privato sia nella sfera pubblica – dalla sala da pranzo alla cucina, dal bar al cibo da viaggio – in cui arredi, oggetti, elettrodomestici e opere d’arte creano una narrazione di forte impatto visivo e suggestione sensoriale.(www.arte.it)




    FESTE e SAGRE





    STRANI MUSEI


    «I Frutti artificiali si fanno con polvere d’alabastro sciolta nella cera e nel mili e nella gomma damar i quali restano duri come pietre bianchissimi nel spacarli cioé facendoli in due ed inalterabili anche al calore. Scoperta del 5 marzo 1858 in un sogno nella stessa notte (…) così che spero poco per volta ritrovare il metodo d’imitarli che riescirano inconoscibili dai veri. Francesco Garnier»


    MUSEO DELLA FRUTTA



    Inaugurato il 12 febbraio 2007, il Museo della frutta «Francesco Garnier Valletti» presenta la collezione di mille e più «frutti artificiali plastici» modellati a fine Ottocento da Francesco Garnier Valletti di proprietà della Sezione operativa di Torino dell’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante di via Ormea 47, di cui ripercorre la vicenda dalla sua costituzione nel 1871 ad oggi, valorizzandone il prezioso patrimonio storico-scientifico.
    Cuore e centro del Museo è la straordinaria collezione pomologica, costituita da centinaia di varietà di mele, pere, pesche, albicocche, susine, uve, offrendo anche l’opportunità di conoscere la vita e l’opera di Francesco Garnier Valletti, (Giaveno 1808 - Torino 1889), geniale ed eccentrica figura di artigiano, artista, scienziato.
    La collezione di 1021 “frutti artificiali plastici” opera di Francesco Garnier Valletti viene acquisita dalla Regia Stazione di Chimica Agraria nel 1927 ad opera del suo direttore, Francesco Scurti, che per questo si è fatto assegnare dal Ministero per l’Agricoltura uno stanziamento speciale di 22.000 lire, prezzo richiesto dal suo proprietario, il prof. Natale Riva, assistenza alla Cattedra Ambulante di Agricoltura di Alessandria.
    Per accoglierla degnamente, Scurti fa costruire cinque armadi vetrati, gli stessi in cui oggi i frutti si trovano esposti e in cui vengono collocati gli esemplari di 39 varietà di albicocche, 9 di fichi, 286 di mele (di cui 2 incomplete), 490 di pere (di cui 4 incomplete), 67 di pesche, 6 di pesche noci, 20 di prugne, 44 di uva, 50 di patate e un esemplare ciascuno di rapa, di barbabietola, di carota, di pastinaca, di melograno e di mela cotogna.
    Negli anni seguenti la collezione pomologica è accresciuta con altri frutti e ortaggi, determinando la necessità di procedere all’acquisto di ulteriori armadi vetrati. Tra il 1932 e il 1935 la Stazione acquisisce, dunque, altri 323 modelli di frutti e ortaggi: altre mele, pere, pesche, uva, susine, fragole, ciliegie, arance, mandarini e limoni, barbabietole da foraggio, funghi e modelli “di putrefazione” di mele.
    Ad oggi essa comprende nel suo complesso 1381 modelli di varietà di frutti e ortaggi, di cui 1100 sono esposti, mentre gli esemplari di minor qualità e interesse, sia dal punto di vista scientifico sia da quello estetico, sono conservati nel deposito appositamente creato all’interno del Palazzo e consultabili su richiesta.
    Comples-
    sivamente la collezione originaria del 1927 è pervenuta a noi nella sua quasi interezza a dimo-
    strazione non solo della validità della formula del loro autore, ma anche della cura con cui essi sono stati conservati nel tempo.
    Fanno eccezione le uve, la cui fattura è di grande qualità estetica, ma non di pari resistenza, tanto che non sono più di 24 i grappoli ancora esistenti.
    I nuclei più consistenti di frutti esposti sono costituiti dalle pere (501 varietà, di cui 494 opera di Garnier Valletti), dalle mele (295, 286 delle quali della collezione originaria), dalle pesche (98, di cui 67 di Garnier Valletti), dalle susine (70, ma solo 20 fanno parte del nucleo acquisito nel 1927), dalle albicocche (56, 44 delle quali rientrano fra quelle di Garnier Valletti), dalle patate (50) e un esemplare per qualità di rapa, di barbabietola, di carota, di pastinaca, di melograno, e di mela cotogna. Le collezioni di funghi e di ciliegie non sono opera di Garnier Valletti, ma provengono dal laboratorio Ravagli di Torino.

    Nel Museo sono ricostruite, inoltre, le vicende della Stazione di Chimica Agraria, e soprattutto si dà testimonianza della svolta che, tra Ottocento e Novecento, ha trasformato la produzione ortofrutticola da artigianale a industriale, introducendo nuovi metodi non solo di coltivazione, ma di conservazione, distribuzione e consumo.
    La conservazione mediante il freddo, uno dei settori di punta della ricerca della Stazione negli anni Venti, che dava una risposta ai nuovi e crescenti bisogni della società, è ben evidenziata dalla presenza nel museo del primo impianto italiano di refrigerazione sperimentale.

    Francesco Garnier Valletti



    Estrosa, solitaria, geniale figura di artigiano, artista, ma anche scienziato è stato l’ultimo ineguagliato modellatore e riproduttore di frutti artificiali. spese la sua vita nella ricerca della perfezione nell’imitazione dei frutti, con l’intento, non solo e non tanto, di catturare e riprodurre in forme durature la fragile bellezza dell’effimero, ma volendo soprattutto essere, con la sua opera, di ausilio alla scienza agronomica. Garnier Valletti eseguiva un disegno dal vero a grandezza naturale e lo colorava meticolosamente, corredandolo di informazioni e appunti di carattere botanico e agronomico.
    Poneva quindi il frutto in una cassetta di legno riempita di cenere umida, coprendolo di gesso per ricavarne lo stampo, composto di due parti congiungibili fra loro, nel quale colava infine l’impasto resinoso.
    Una volta ottenuto il modello, lo lisciava sino a raggiungere il grado di levigatezza desiderato, innestando al suo interno un filo metallico a forma di gancio, utile per appendere il frutto durante la coloritura che, in ultimo, accorciava e ricopriva con la cera per imitare il picciolo.
    All’estremità opposta del picciolo collocava i sepali e gli organi fiorali, utilizzando fili, stoffa, carta, stoppa e, a volte, persino quelli veri, prelevati dai frutti e fatti essiccare.
    Il suo perfezionismo si spingeva al punto che, prima di sigillare definitivamente il modello, aggiungeva miscela sino ad eguagliarne il peso originale. Collocava, poi, all’interno un foglietto che riportava il suo nome e cognome e l’anno d’esecuzione (abitudine mutuata dai tassidermisti dell’epoca).
    Dopo aver steso su tutto il frutto un primo strato di biacca, levigava la superficie in modo da togliere qualsiasi imperfezione, spalmando poi via via strati alternati di pece greca, (cioè colofonia), resina dammar e ancora biacca. Solo allora s’accingeva a stendere il colore e, in ultimo “dava la pelle”, con vernice opaca oppure lucida, a seconda del tipo di frutto da imitare.
    In ultimo, con artifici diversi, riproduceva macchie, lenticelle, rugginosità e irregolarità tipiche di ciascuna varietà. Garnier Valletti eseguiva un disegno dal vero a grandezza naturale e lo colorava meticolosamente, corredandolo di informazioni e appunti di carattere botanico e agronomico.
    Poneva quindi il frutto in una cassetta di legno riempita di cenere umida, coprendolo di gesso per ricavarne lo stampo, composto di due parti congiungibili fra loro, nel quale colava infine l’impasto resinoso.
    Una volta ottenuto il modello, lo lisciava sino a raggiungere il grado di levigatezza desiderato, innestando al suo interno un filo metallico a forma di gancio, utile per appendere il frutto durante la coloritura che, in ultimo, accorciava e ricopriva con la cera per imitare il picciolo.
    All’estremità opposta del picciolo collocava i sepali e gli organi fiorali, utilizzando fili, stoffa, carta, stoppa e, a volte, persino quelli veri, prelevati dai frutti e fatti essiccare.
    Il suo perfezionismo si spingeva al punto che, prima di sigillare definitivamente il modello, aggiungeva miscela sino ad eguagliarne il peso originale. Collocava, poi, all’interno un foglietto che riportava il suo nome e cognome e l’anno d’esecuzione (abitudine mutuata dai tassidermisti dell’epoca).
    Dopo aver steso su tutto il frutto un primo strato di biacca, levigava la superficie in modo da togliere qualsiasi imperfezione, spalmando poi via via strati alternati di pece greca, (cioè colofonia), resina dammar e ancora biacca. Solo allora s’accingeva a stendere il colore e, in ultimo “dava la pelle”, con vernice opaca oppure lucida, a seconda del tipo di frutto da imitare.
    In ultimo, con artifici diversi, riproduceva macchie, lenticelle, rugginosità e irregolarità tipiche di ciascuna varietà. Garnier Valletti eseguiva un disegno dal vero a grandezza naturale e lo colorava meticolosamente, corredandolo di informazioni e appunti di carattere botanico e agronomico.
    Poneva quindi il frutto in una cassetta di legno riempita di cenere umida, coprendolo di gesso per ricavarne lo stampo, composto di due parti congiungibili fra loro, nel quale colava infine l’impasto resinoso.
    Una volta ottenuto il modello, lo lisciava sino a raggiungere il grado di levigatezza desiderato, innestando al suo interno un filo metallico a forma di gancio, utile per appendere il frutto durante la coloritura che, in ultimo, accorciava e ricopriva con la cera per imitare il picciolo.
    All’estremità opposta del picciolo collocava i sepali e gli organi fiorali, utilizzando fili, stoffa, carta, stoppa e, a volte, persino quelli veri, prelevati dai frutti e fatti essiccare.
    Il suo perfezionismo si spingeva al punto che, prima di sigillare definitivamente il modello, aggiungeva miscela sino ad eguagliarne il peso originale. Collocava, poi, all’interno un foglietto che riportava il suo nome e cognome e l’anno d’esecuzione (abitudine mutuata dai tassidermisti dell’epoca).
    Dopo aver steso su tutto il frutto un primo strato di biacca, levigava la superficie in modo da togliere qualsiasi imperfezione, spalmando poi via via strati alternati di pece greca, (cioè colofonia), resina dammar e ancora biacca. Solo allora s’accingeva a stendere il colore e, in ultimo “dava la pelle”, con vernice opaca oppure lucida, a seconda del tipo di frutto da imitare.
    In ultimo, con artifici diversi, riproduceva macchie, lenticelle, rugginosità e irregolarità tipiche di ciascuna varietà. Nel caso delle pesche e albicocche, la particolare peluria che caratterizza la buccia di questi frutti, era ottenuta pestando finemente la lana fino a ridurla in una polvere sottilissima.
    Per la pruina, caratteristica delle uve e delle susine, utilizzava ciottoli di fiume che egli stesso reperiva sul greto dei torrenti, finemente pestati al mortaio, setacciati e soffiati sul frutto appena dipinto e ancora umido, di modo che il colore fosse impregnato con questa polvere.
    Nel caso delle fragole impiantava gli acheni originali essiccati e negli acini d’uva i vinaccioli della varietà riprodotta. Alcuni tipi di frutta come uva, ribes e ciliegie e, in genere, i frutti traslucidi, non consentivano di approntare uno stampo che potesse essere utilizzato per realizzare più modelli.
    Garnier Valletti mise allora a punto una sorta di “camera lucida” per eseguire il disegno del grappolo da riprodurre, che realizzava poi utilizzando una miscela composta prevalentemente da resina dammar con tracce di cera. Attraverso tale tecnica riuscì a rendere quella particolare traslucenza che caratterizza questi frutti, il cui livello di somiglianza con quelli veri rimane ancor oggi sorprendente.
    Partendo dai vinaccioli essiccati e incollati con una goccia di resina a un filo di ottone, li immergeva più volte nella miscela sino a raggiungere, per sovrapposizione di strati di materiale, la forma e le dimensioni desiderate.
    Gli acini venivano poi assemblati attorcigliando i fili di ottone ricoperti di resina colorata a simulazione del rachide, cospargendoli in ultimo con la polvere ottenuta dalla polverizzazione delle pietre per rendere la pruina.
    Proprio a causa della particolare composizione a base quasi esclusiva di resina dammar, i grappoli d’uva sono giunti a noi in cattive condizioni di conservazione, nulla perdendo, tuttavia, in bellezza e verosimiglianza.
    (www.museodellafrutta.it/)

    (Gabry)





    RITI E TRADIZIONI DEGLI SPOSI!!!




    Il matrimonio e le sue tradizioni: il letto per la prima notte di nozze




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    Parliamo di matrimonio tradizionale, siamo tentate di immaginare una sontuosa cerimonia in chiesa, un lungo abito bianco, possibilmente di gran moda, un padre che ci accompagna all’altare, gli invitati che sussurrano quanto sia bella la sposa e via dicendo.

    Pochi di noi sanno, però, che un vero matrimonio tradizionale è regolato da una quantità di obblighi e doveri che la sposa doveva e a volte ancora deve rispettare se non vuole che l’intero nucleo familiare le renda la vita molto difficile.

    Vi state chiedendo a questo punto, cosa possa mai centrare il letto nuziale in tutto questo. Sto forse per parlarvi delle lenzuola che devono ricoprirlo, magari di tessuti particolari e ricchi come il lino e la seta? No, sto parlando di una tradizione che almeno per me è agghiacciante.

    Il letto della prima notte deve essere preparato, ascoltate bene, dalle consuocere. Eh già: la mamma di lui e la mamma di lei vanno nella casa dei futuri sposi (il solo immaginarle che varcano la soglia mi inquieta) e distendono romanticamente le lenzuola.

    Io e il mio futuro marito ce la siamo cavata dormendo in albergo (sarà per questo che molte più coppie oggi scelgono gli hotel di lusso?). Altre mie amiche si sono invece dovute scontrare con la loro mamma e con la loro suocera, provocando veri drammi familiari.

    Non so quale sia l’origine di siffatta e orrenda tradizione. Forse era un modo per accertarsi che non ci fossero trucchi prima della famosa esposizione del lenzuolo macchiato, che doveva garantire la verginità della sposa? So anche che a volte lo si faceva per mettere in atto alcuni riti contro il malocchio verso gli sposi. Rabbrividisco al solo pensiero.

    Probabilmente, se siete curiose, vi state chiedendo che accade se la mamma di lui o di lei sono morte molto tempo prima del matrimonio. Ebbene, il testimone passava o ad una zia, e ce n’è sempre una che si nota in ogni famiglia, o alla sorella più grande degli sposi.

    Ora tocca a voi lettrici di Sposalicious svelarci se conoscete altre usanze relative al letto nuziale. Nelle prossime settimane vi porterò altre chicche di cui discutere o inorridire con le amiche.


    fonte:http://www.sposalicious.com


    (Lussy)





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    Salute e benessere


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    TERME DI AGLIANO


    Una vicenda travagliata, quella delle Terme di Agliano, che furono scoperte nel 1770, conobbero una vasta popolarità all’inizio del secolo scorso ma poi caddero nel dimenticatoio negli anni ’60. Solo a partire dai primi anni ’80, furono riscoperte e rilanciate, incoraggiandone lo sviluppo e la creazione di un attrezzato stabilimento termale che è stato inaugurato nel 1999 e che è oggi meta di migliaia di turisti che conoscono ed apprezzano le proprietà delle acque locali che gli abitanti di Agliano, nel ‘700, giudicavano “miracolose”.



    Un po’ di storia

    Una scoperta relativamente recente, quella della fonte di Agliano. Gli abitanti della località si imbatterono in un’acqua dal particolare odore che sgorgava da un campo solamente nel 1770 e per molto tempo ne furono gli esclusivi beneficiari, relativamente alle proprietà benefiche (per loro “miracolose”) che si manifestarono per diverse malattie. Solo agli inizi del ‘900, il proprietario del campo ove sgorgava l’acqua, decide di farla analizzare dandovi quindi una “patente” scientifica: si scoprì quindi che si trattava di un’acqua salso-solfato-magnesiaca. La sua popolarità crebbe rapidamente: attorno alla fonte venne costruito un albergo ma l’acqua di Agliano venne anche imbottigliata e venduta nelle farmacie di Torino. Arrivarono anche due importanti riconoscimenti: una medaglia d’oro all’esposizione campionaria di Parigi e un’altra alla esposizione del lavoro a Roma. L’arrivo massiccio di turisti dalla Liguria e dalla Lombardia, oltre che dall’intero Piemonte, fece sì che la capacità ricettiva e le strutture della cittadina di Agliano si svilupparono rapidamente, a partire dai collegamenti con le terme che venivano effettuate dapprima con un servizio di carrozze e poi di automobili. Gli anni Sessanta, però, videro il declino delle terme e conseguentemente anche delle strutture alberghiere legate alle sua frequentazione.
    Il rilancio di Agliano data 1979, anno in cui l’albergo Fons Salutis, l’unico ad essere dotato di una fontana di acqua termale e tra i pochissimi che erano rimasti aperti dopo la crisi, cambia proprietà. Nel 1985, il nuovo proprietario volle dotare la struttura di un piccolo centro per le cure inalatorie che aprì la strada ad un vero e proprio stabilimento termale, inaugurato nel 1999 ed ampliato negli anni successivi.


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    Le acque

    L’acqua delle terme di Agliano è di tipo sulfurea-salso-alcalina-iodurata e sgorga ad una temperatura di 12,8°. In un primo tempo essa veniva sfruttata solo attraverso la cura idropinica, antinfiammatoria per l’intestino, fegato e reni, indicata anche nei casi di stipsi. In seguito, le sue applicazioni si sono ampliate anche alla cura inalatoria, nei casi di malattie otorinolaringoiatriche e delle vie respiratorie, per le malattie reumatiche e per tutte le malattie dermatologiche.


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    Lo stabilimento termale

    La costruzione dello stabilimento termale di Agliano è iniziata nel 1997, sei anni dopo che la località aveva assunto la denominazione di Agliano Terme. All’inaugurazione, nel 1999, il “Fons Salutis”, annesso all’Hotel delle Terme, era costituito da un reparto di Otorinolaringoiatria, dotato di 40 postazioni per aerosol e inalazioni per adulti, un reparto per i bambini e 10 postazioni per irrigazioni nasali e apparecchiature per curare le patologie dell’orecchio. Nel 2002, è quindi entrato in funzione un reparto di rieducazione motoria composto da una piscina, da percorsi vascolari, da una palestra, box, ambulatori e sala convegni, il tutto situato nel piano seminterrato. Nel Centro Benessere vengono quindi praticati trattamenti per la cura e la bellezza del viso e del corpo, con sauna, doccia scozzese, vasca idromassaggio e trattamenti olistici che comprendono i massaggi tailandese, ayurvedico, californiano, hawaiano, stimolante, il Reiki e la Riflessologia Plantare.


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    Turismo nei dintorni



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    Agliano Terme si trova a pochi chilometri da Asti, nelle colline tra le Langhe e l’Astigiano. La località in sé offre diversi motivi di interesse, tra i quali la Chiesa Parrocchiale di S. Giacomo Maggiore, costruita nel ‘500, distrutta dagli spagnoli e poi riedificata nel 1657 in stile barocco; all’interno si può ammirare un crocifisso ligneo quattrocentesco. Altre preziose opere artistiche sono presenti all’interno delle Chiese di San Michele e dell’Annunciazione, entrambe edificate nel XVII secolo. Fuori da Agliano meritano una visita il castello di Calamandrana, quello di Burio (XIV secolo) e quello di Belveglio. Da Agliano è possibile raggiungere in pochi minuti Asti, una città molto vivace sul piano culturale e ricca di attrazioni storiche e diverse località del Monferrato rinomate per la vocazione enogastronomia, alla cui promozione cui sono legate varie manifestazioni che attirano ogni anno turisti da tutta Italia.




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    Agliano




    da:benesere.com
    foto:aglianoterme.net
    . portaleterme.com
    - terme.myblog.it
    - benessereviaggi.it
    - i.ebayimg.com


    (Ivana)





    ... PARLIAMO DI ...



    "Una traslitterazione del suono fatta dallo sciabordare
    delle piccole onde quando la luna si allontana e la casa
    si avvicina alla riva, ci potrebbe rivelare molte cose. Sulle
    vette dei sensi prima di tutto . Dove la gentilezza arriva
    sempre prima, scavalcando la forza...."
    (Odisseas Elitis)


    MAR EGEO



    Il mar Egeo (in greco: Αιγαίο Πέλαγος, Egeo Pelagos, [eˈʝeo ˈpelaɣos], in turco: Ege Denizi) fa parte del mar Mediterraneo ed è situato tra la parte meridionale della penisola balcanica e quella occidentale dell'Anatolia. A nordest è connesso con il mar di Marmara e quindi con il mar Nero attraverso lo stretto dei Dardanelli ed il Bosforo. E' delimitato a sud dalle isole di Creta e Rodi.
    L’Egeo è una delle nove regioni geografiche della Grecia. È suddiviso in due regioni amministrative, l’Egeo Settentrionale e l’Egeo Meridionale che a est confinano con lo stato turco. La zona settentrionale del Mar Egeo a nord del 40º parallelo, è detta Mar di Tracia. Copre un'area di circa 214 000 km², e misura circa 610 km in longitudine e 300 km in latitudine. La profondità massima è 3 543 m al largo della costa orientale di Creta.
    Le quasi 1.415 isole dell'Egeo sono di solito divise in sette gruppi: le isole di nord-est, Eubea, le Sporadi settentrionali, le Cicladi, il Saronico, il Dodecanneso e Creta. Alla Turchia appartengono le isole di Bozcaada e Gökçeada.
    La parola arcipelago veniva applicata in origine al mar Egeo ed alle sue isole. Molte delle isole egee sono estensioni delle catene montuose della terraferma. Una catena, si estende attraverso il mare fino a Chio, un'altra si estende attraverso l'isola di Eubea fino a Samo, ed una terza si estende attraverso il Peloponneso e Creta fino a Rodi, dividendo l'Egeo dal Mediterraneo.
    Le insenature dell'Egeo cominciando da sud e muovendosi in senso orario includono su Creta, il golfo di Mirabella, la baia di Almyros, la baia di Souda ed il golfo di Canea, mentre verso la terraferma si trovano il mar di Myrtoön ad ovest, il golfo Saronico a nordovest, il golfo di Petali, da cui si entra nel golfo meridionale di Eubea, il golfo di Volos, da cui si entra nel golfo settentrionale di Eubea, il golfo di Salonicco a nordest, la penisola di Calcidica, che include i golfi di Cassandra e del Monte Athos, a nord il golfo di Orfani e la baia di Kavala; le restanti insenature si trovano in Turchia: il golfo di Saros, il golfo di Edremit, il golfo di Dikili, il golfo di Çandarlı, il golfo di Smirne, il golfo di Kuşadası, il golfo di Gökova ed il golfo di Güllük.

    ....storia, miti e leggende....


    La linea di costa attuale risale a circa il 4000 aC. Prima, al culmine dell'ultima era glaciale, i livelli del mare in tutto il mondo furono di 130 metri più bassi, e vi erano grandi pianure costiere ben irrigate,in gran parte del Mar Egeo settentrionale. Le isole correnti inclusi Milos con la sua produzione di ossidiana furono probabilmente collegate alla terraferma.
    Nei tempi antichi, il mare fu luogo di nascita di due antiche civiltà - i Minoici di Creta e la civiltà micenea del Peloponneso.
    L'Egeo portò allo sviluppo della navigazione marittima da parte dei Greci. Le sue montagne e la forma irregolare furono ripari naturali e il suo gran numero di isole consentì di navigare sempre a vista di terra.Con la conquista romana, si sono uniti alla stessa unità politica, l'Impero Romano e l'Impero Bizantino. Il Mar Egeo è stata colonizzato dai Greci più di quattro millenni fa e lo fu fino al 1922 con il Trattato di Losanna, che ha dato la Turchia la costa orientale.

    Nei tempi antichi furono varie le spiegazioni per il nome Egeo. Si diceva che derivasse dalla città greca di Aigai (Ege), o Aigaion, "mare delle capre", un altro da Briareo, uno degli antichi ecatonchiri. In bulgaro - la Bulgaria ha confinato più volte in passato con il mar Egeo - il mare è noto anche come mar Bianco, in contrapposizione al mar Nero. Quest'uso deriva dal turco Ak Deniz (mar Bianco) e Kara Deniz (mar Nero), che a sua volta riflette l'antico uso in turco degli epiteti bianco e nero per indicare il sud ed il nord. Per gli ateniesi, Egeo era il padre di Teseo, figlio di Pandione, fu un mitico re di Atene. Mentre visitava Atene, Androgeo, figlio del re Minosse, riuscì durante una festa a battere Egeo in ogni gara. Egeo, geloso, lo uccise. Minosse infuriato dichiarò guerra ad Atene. Offrì comunque la pace agli ateniesi, a patto che questi inviassero ogni anno a Creta sette giovani uomini e sette giovani donne, da offrire in sacrificio al Minotauro. Ciò andò avanti fino a quando Teseo uccise il Minotauro con l'aiuto di Arianna, figlia di Minosse. Egeo aveva detto a Teseo, prima che partisse, di issare delle vele bianche alla partenza da Creta, se fosse riuscito a sconfiggere il Minotauro. Teseo si dimenticò (deliberatamente secondo alcune versioni) ed Egeo si gettò in mare quando vide delle vele nere avvicinarsi ad Atene, nell'errata convinzione che suo figlio fosse stato ucciso, compiendo così la profezia. Di conseguenza, il mare in cui si gettò divenne noto come Mar Egeo.

    (Gabry)





    STRISCIA FUMETTO






    ... LA NATURA SULL'ISOLA ...



    "... Intanto sul far del giorno,
    il farmacista di Sua Maestà entrò in camera mia
    con una pozione di giusquiamo,
    oppio, cicuta, elleboro nero e aconito ...".
    (Voltaire, in "Zadig")


    GIUSQUIAMO NERO


    Il Giusquiamo nero è una pianta piuttosto rara e anche escluso dall’uso erboristico per la sua tossicità. Fa parte infatti della Famiglia delle Solanacee, e come tutta questa Famiglia, è caratte-
    rizzata dalla presenza di alcaloidi atropinici, in modo particolare della scopolamina, diventata famosa per essere un famoso e molto usato anticinetico contro il mal di mare e il mal d’auto. La pianta in passato fu usata per i suoi effetti farmacologici. Nell'antichità e nel Medioevo aveva fama di erba magica ed era usato come narcotico o per favorire la pioggia. Il primo a descrivere e a classificare la specie fu Carl von Linné (Linneo).
    Il nome botanico di questa pianta, Hyoscyamus niger L. fu dato per il fatto che i maiali (dal greco kys) si cibavano delle sue fave (kyamos) nere. Da questo, deriva il nome volgare italiano fava porcina; altri invece hanno derivazione regionale, come pilingella, erba apollinaria, erba da piaghe, cassilagine, dente de vecia, cungarelle, folla de opus.
    Il nome particolare di questa pianta fa si che se anche si pronuncia “hyoscyamus” sia in un francese, un inglese, un tedesco o uno spagnolo capirà di che pianta state parlando, sebbene abbiano i loro nomi propri (jusquiame, henbane, bilsenkraut, beleño).

    È una pianta erbacea, che può essere annuale o biennale. E' alta dai 40 ai 60 cm, con una presenza di radici lunghe e fusiformi, ha fusto eretto, semplice o spesso ramificato, rivestito di lunghi peli molli vischiosi presenti anche nelle altre parti verdi della pianta, che se stropicciate sono maleodoranti.
    Le foglie sono ovato-oblunghe, acutamente lobate di color verde-grigiastro opaco; quelle superiori sono amples-
    sicauli, le inferiori sono picciolate.
    I fiori sono solitari o in gruppi poco numerosi, e poiché non sbocciano simultaneamente, alla fine della fioritura risultano densamente raggruppati all’apice dei fusti e dei rami, in diverse fasi di fioritura. Sono di color giallo pallido con reticolo di venature e interno del tubo di color violetto-vinoso scuro.
    Il frutto è una capsula a pisside racchiusa nel calice, che si apre superiormente per permettere la disseminazione dei numerosi piccoli semi.

    Le parti in passato impiegate in terapia erano le foglie e i semi. Hanno proprietà sedative, spasmolitiche, analgesiche e narcotiche, pericolose anche a bassi dosaggi. Il giusquiamo bianco (Hyoscyamus albus), con fiori più piccoli, anche questi anulati di violetto, ha le medesime proprietà. Data la notevolissima tossicità, l'uso farmacologico anche se molto rigorosi è comunque rischioso. Per estrazione, dalla pianta si ricava la ioscina. H. albus (giusquiamo bianco) è diffuso nelle zone ruderali di tutto il Sud Europa, mentre H. niger (giusquiamo nero) cresce in luoghi ricchi di azoto, presso ricoveri di animali, immondezzai e incolti in tutta Europa, tranne che nelle aree più settentrionali.

    ...storia, miti e leggende...



    Il giusquiamo è ricordato nel papiro di Ebers come calmante per il mal di denti ed è menzionato anche come una medicina nel Papiro di Ossirinco, datato I secolo d.C. Era utilizzata già dagli antichi Assiri e dai Babilonesi per le sue proprietà sedative, calmanti e analgesiche, ed il padre della fitoterapia Dioscoride, ne conosceva ed apprezzava le proprietà narcotiche.Le sacerdotesse di Delphi lo utilizzavano nei loro riti magici e profetici. Sacra a Giove, se utilizzata il giovedì nell'ora diurna di Giove nelle operazioni occulte, apporterebbe illuminazione e prosperità. L’impiego del giusquiamo nell’antica Roma era limitato ai funerari, dove ornavano le tombe dei defunti. Si conoscevano già gli effetti tossici, come la sterilità, le convulsioni nei neonati che venivano allattati da donne che assumevano le sue bacche, pazzia e follia.
    I Celti la consideravano sacra al dio Belenus, divinità della luce, uno dei maggiori e più influenti tra gli Dei antichi; questo la lega fortemente alla festività di Beltane. I guerrieri lo utilizzavano per avvelenare la punta delle armi.
    Nel Medioevo,la pianta secca e i suoi semi venivano fumati come sigarette ma fu associata al demonio perchè veniva utilizzata nei riti magici per invocare il diavolo. Curiosi incantesimi sono stati descritti nella farmacopea cinquecentesca: "un filtro composto da giusquiamo, Hermodactylus tuberosa e solfuro di arsenico naturale era creduto capace di uccidere istantaneamente un cane rabbioso, o di far esplodere un calice d'argento se versato al suo interno; se mischiato al sangue di lepre, e posto nella pelle della lepre stessa, poteva essere usato per attirare e catturare altre lepri." Era l'erba prediletta dalle streghe e dagli avvelenatori per le sue proprietà allucinogene. Ci furono casi di donne condannate per stregoneria e per devozione a Satana solamente perché nei loro giardini cresceva spontanea. Si tratta di una tra le più importanti piante delle streghe della tradizione europea. Già nel XIII sec. A. MAGNO considerava il giusquiamo una pianta delle streghe, il cui uso dimostrava che una persona praticava la stregoneria, fatto riportato anche da A. LONICER nel Kreüterbuch del 1582:
    “Le vecchie donne abbisognano di questa erba per incantesimi, esse dicono, chi portava con sé la radice era solito restare invulnerabile” .
    Le streghe erano accusate di usarla in riti magici, divinazioni, per compiere azioni malvagie, scatenare tempeste, controllare gli spiriti e come afrodisiaco. Un esempi citati, "..in caso di grande siccità si immergeva il gambo della pianta in una fonte e la si spargeva sulla terra arida, mentre durante i riti iniziatici le streghe davano da bere ai giovani una bevanda preparata con il giusquiamo... In un processo del 1648 una strega fu accusata di aver dato questa pianta a un contadino per ritrovare un bue perso. Inoltre si riporta che una strega della Pomerania aveva reso pazzo un uomo dopo aver messo dei semi di giusquiamo nella sua scarpa e in un processo una strega ammise di averli sparsi tra due amanti, in modo che si odiassero. Per indurre febbri, si ponevano sotto il letame (in estate e con la luna calante) giusquiamo e alloro; alla successiva luna calante, i lombrichi che ne erano nati venivano ridotti in polvere e così impiegati. Le streghe sfruttavano anche il fumo dei semi per addormentare le galline e rubarle."
    Le proprietà afrodisiache e psicoattive del giusquiamo erano ben conosciute durante il periodo dell’Inquisizione, tanto che le streghe, prima di essere bruciate, bevevano a scopo narcotico una pozione preparata con i semi della pianta.
    Nel tardo medioevo si preparavano pozioni e unguenti che se usati davano allucinazioni e la sensazione di volare, per questo il giusquiamo è ritenuto ingrediente del famoso unguento delle streghe. Nella medicina popolare era usato per combattere il mal di denti, mettendo la pianta sotto il cuscino o respirando il fumo dei semi posti su carboni ardenti e sembra che questa pratica inalatoria fosse diffusa. Nell'Amleto di Shakespeare il re, padre di Amleto, viene ucciso per avvelenamento da giusquiamo versatogli nell'orecchio durante il sonno.
    Nel 1800 entrò a far parte della prima ricetta anestetica per interventi chirurgici. La “spongia soporifera” era una spugna imbevuta di oppio, succo di mandragora, succo dell’erba verde di Matala (Creta) e succo di giusquiamo. Una volta imbevuto di questi succhi, veniva lasciata asciugare, dopodichè la si immergeva in acqua e il malato doveva annusarla.
    Nel Romanzo di Nostradamus scritto da Valerio Evangelisti; bevendo un infuso a base di Giusquiamo miscelato alla Pilosella, Michel de Nostre-Dame, riusciva ad accedere all'Ottavo Cielo, L'Abrasax, fonte meravigliosa ed altrettanto terribile delle sue funeste profezie.
    Pianta fu utilizzata anche come siero della verità, perchè la scopolamina,un alcaloide presente nella pianta,ha proprietà allucinogene,e provoca la perdita di controllo della mente. La direttiva del Ministero della Salute (Luglio 2009), NON consente di inserire negli integratori alimentari le sostanze e gli estratti vegetali di questa pianta,in particolare cita foglia, pianta erbacea, seme.

    (Gabry)





    POESIE DI STAGIONE


    MAGGIO


    Maggio

    E viene il tempo
    che gli uccelli si sposano:
    l'usignolo, l'allodola
    il passero e lo scricciolo
    il pettirosso e il merlo.
    Canti e canti
    s'intrecciano nel cielo
    e gli alberi
    si vestono di fiori
    e volano le api
    in sciami d'oro.
    Quando scende la sera
    i gatti
    neri bianchi rossi e grigi
    fanno il concerto
    della primavera.


    (E. Borchers)








    ... FOTO E IMMAGINI DAL WEB ...


    ... Il giornale non poteva prescindere da quella che è una usanza che ha unito generazioni intere. Chi di noi non ha almeno una volta passato ore alla ricerca di immagini da inviare alle persone care? Quante volte ci siamo trovati nel bar del luogo di vacanza con una pila di cartoline da mandare alla famiglia, ai parenti, ad amici e conoscenti … ebbene in questo nostro luogo di sogno, dalla nostra isola felice, ci piace raccogliere cartoline dal mondo e pubblicarle sul nostro giornale e, in questo modo sognare insieme guardando quelle immagini di luoghi da sogno del nostro meraviglioso pianeta ...

    (La redazione)





    scatto di Olga Viarenich, JUZAPHOTO

    Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi
    in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi.
    (Italo Calvino)

  14. .

    E che musica sia …



    oggi la musica invade la nostra Isola Felice …



    note musicali allietano il nostro fatato luogo …





    … oggi è il giorno speciale della nostra amica …
    di Ivana …che ogni giorno è vicina a noi e porta
    sulla nostra Isola felice la musica …


    La poesia è la musica dell'anima...
    Tutto possiede in sè della poesia.
    I poeti altro non sono che dei musicisti
    che suonano le melodie che
    provengono dal cuore,
    con strumenti diversi da quelli convenzionali..
    Uomini che sanno trarre dalle cose
    un significato profondo,
    un afflato sensibile solo a pochi,
    non percepibile da tutti
    e lo trasformano in parole...
    Alchimisti dell'anima
    (Fabrizio De André)




    … Ivana …
    TANTI TANTI TANTI AUGURI …
    BUON COMPLEANNO …


    Festeggiamo insieme il tuo giorno speciale …



    Una bella torta per spengere le candeline …





    Brindiamo insieme stappando una bottiglia di champagne





    I fuochi d’artificio sulla spiaggia




    Un uomo non può essere ebbro di un romanzo o di un quadro, ma può ubriacarsi della Nona di Beethoven, della Sonata per due pianoforti e percussione di Bartók o di una canzone dei Beatles.
    (Milan Kundera)


    Ivana di nuovo tanti tanti Auguri … ti auguro una vita bella come una sinfonia … ma soprattutto bella come tu la desideri …
    (Claudio)



    Edited by loveoverall - 5/5/2015, 17:36
  15. .
    [/QUOTE]
    Sorellone mio ogni centimetro,ogni secondo,ogni persona fa parte della vita e dello sport,grazie di dividere e combattere con me ogni passo di mia vita
    [/QUOTE]
    Gina sorellona mia ... bellissime parole nel tuo commento! Sono io che ti ringrazio davvero ... GRAZIE!!!
9260 replies since 28/4/2009
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