L'UNIVERSO

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Tu sei un figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle;
    tu hai un preciso diritto ad essere qui.
    E che ti sia chiaro o no, senza dubbio l'universo va schiudendosi come dovrebbe.
    Max Ehrmann


    L'UNIVERSO




    ………. CI FU UN TEMPO IN CUI ………….


    “ In principio fu il Caos, poscia la Terra, l’Amore …”
    Prima che avesse origine il mondo, esisteva il Caos, il vuoto; l’enorme, buia, spaventosa voragine che non aveva confini nello spazio, che non aveva limiti nel tempo.
    Poi apparve Gea, la terra, ed Eros, l’amore, il più bello di tutti gli dei.
    Il Caos generò le tenebre abissali, l’Erebo, e il buio senza fine, la Notte. Ma ecco sorgere improvvisi a squarciare la cupa oscurità i due figli dell’Erebo e della Notte : il Giorno e l’Etere.
    Allora la tetra Notte diede vita ai suoi figli più torbidi, più paurosi, deformi : all’odioso Destino, alla inesorabile Morte, al pallido Sonno, alla querula Miseria, alla squallida Vecchiaia, alla febbrile Discordia.
    I figli della Notte vagavano nell’universo , quando Gea, la terra luminosa, creò Urano, il cielo coperto di tante fiammelle, le innumerevoli limpide stelle; creò i Monti, alti , risonanti delle voci argentine delle sorgenti, coperti di vasti pascoli fioriti e di freschi boschi ombrosi; creò il Mare, l’immenso campo spumeggiante di onde dove l’uomo non potrà mai arare e dove i flutti si fanno talvolta paurosamente gonfi e torbidi.
    Il creato attendeva ora la nascita degli dei.
    Nacquero i primi figli di Urano e della Terra : i dodici giganteschi Titàni.
    Ai Titàni seguirono i superbi Ciclopi, tre giganti vigorosi dall’unico occhio rotondo in mezzo alla fronte, e gli arroganti Ecatònchiri, esseri mostruosi con cento braccia e cinquanta teste ognuno.
    Il mondo è popolato, ma lo stesso Urano, il dio che lo ha popolato, teme i suoi figli e li ricaccia nel seno della Terra. Allora Crono, il più giovane e il più astuto dei Titani, decide di vendicarsi e ferisce a morte Urano. Da quelle ferite il sangue esce a gocce e appena esso si unisce alla Terra, sbucano dal grembo di questa i Giganti, le Ninfe e le Erinni, o furie vendicatrici che perseguiteranno d’ora in poi coloro che si macchieranno di colpe familiari.
    Le membra di Urano caddero nel mare e sollevarono la spuma intorno a sé. Da essa nacque Afrodìte, la dea della bellezza al cui passaggio spunta l’erba e sbocciano i fiori.
    Crono, eletto re dei Titani, sa che grava su di lui la maledizione paterna: Egli divora, per la paura di subire la sorte del padre, a uno a uno i figli che gli nascono dalla titania Rea: Estìa, Demètra, Era, Ade, Posìdone.
    La madre addolorata decide di salvare l’ultimo nato, Zeus..... Zeus, divenuto adulto, obbligherà il padre ad emettere i figli ingoiati e lo caccerà dal trono celeste, regnando dall’alto dell’Olimpo sulle vicende umane
    ….Così cantò Esiodo, il poeta pastore che pascolava agnelli presso l’Elicona.





    Come sono nati l'universo, il cielo, la Terra, gli uomini?
    E ancora: che cosa c'era prima? Che cosa ci sarà dopo?
    E ci sarà un dopo? E, soprattutto, perché tutto questo?




    Edwin Hubble ebbe a scrivere: la storia della astronomia è la storia di orizzonti che si allontanano.
    Per millenni, l’universo è stato, per l’uomo, ciò che i suoi occhi consentivano di vedere. Cioè la Via Lattea. Per millenni, l’uomo ha costruito le sue idee su che cosa fosse, e perché fosse, l’universo, in base a questa limitatissima conoscenza...

    "Molti astronomi ritengono che l'universo abbia avuto inizio con il cosiddetto Big Bang circa 14 miliardi di anni fa. Allora l'intero universo era compreso in una bolla migliaia di volte più piccola di una capocchia di spillo, ma più calda e più densa di qualsiasi cosa possiamo immaginare.
    Poi, improvvisamente, questa bolla esplose e nacque l'universo come noi lo conosciamo. Tempo, spazio e materia hanno tutti avuto inizio con il Big Bang. In una frazione di secondo, l'universo crebbe, da dimensioni inferiori a quelle di un singolo atomo, fino a superare quelle di un'intera galassia e continuò a crescere ad un ritmo incredibile. L'espansione continua ancora oggi.
    Mentre l'universo si espandeva e si raffreddava, l'energia si trasformò in particelle di materia e antimateria. Questi due tipi opposti di particelle per lo piú si distrussero reciprocamente, ma una parte della materia riuscí a sopravvivere e le particelle più stabili, chiamate protoni e neutroni, iniziarono a formarsi quando l'universo aveva un solo secondo di vita.
    Nei tre minuti successivi, la temperatura calò a 1 miliardo di gradi centigradi, abbastanza per permettere a protoni e neutroni di unirsi e formare nuclei di idrogeno ed elio.
    Dopo circa 300.000 anni, la temperatura dell'universo scese intorno ai 3.000 gradi. I nuclei riuscirono finalmente a catturare gli elettroni per formare gli atomi e l'universo si riempì di nubi di idrogeno ed elio."


    Una delle scoperte fondamentali del XX secolo è che l’universo si espande. L’altra, come conseguenza, è che ha avuto un inizio (il big bang o qualsiasi cosa possa essere in futuro pensata in sostituzione). Se ripensiamo alla rappresentazione tolemaica “dei cieli”, dove tutto è immutabile, il cambiamento è vertiginoso.
    Hubble scoprì, dopo lunghe notti all’addiaccio, il red shift, cioè lo spostamento verso il rosso della luce proveniente dalle galassie più lontane. Prodotto da quello che è noto essere l’effetto Doppler: una sorgente sonora che si avvicina all’osservatore produce un suono via via più acuto (cioè di frequenza più alta), una che si allontana un suono più grave (cioè a frequenza più bassa). Lo stesso accade per la luce. Le frequenze più alte sono quelle in direzione del blu e dell’ultravioletto; quelle più basse in direzione del rosso.
    Misurando le distanze delle galassie, e comparando fra loro la luce emessa, Hubble scoprì che lo spostamento verso il rosso della luce emessa delle galassie più lontane era proporzionale alla distanza. In altri termini: più lontane erano, più marcato lo redshift. E quindi più velocemente si allotanavano da noi. Hubble aveva scoperto, sperimentalmente, che l’universo che abitiamo si espande. Calcolò anche le velocità di allontanamento delle varie galassie, ma commise, dati gli strumenti del tempo, errori che furono corretti successivamente. Abbiamo visto che la teoria della relatività prevedeva un universo non statico, ma lo stesso Einstein non ci credette, e per anni, dal 1916 a (quasi) tutti i ’30, fu così.
    Piccola digressione: esiste un cosiddetto Principio Cosmologico. Esso si riassume in due assunzioni fondamentali (cioè in due assiomi): a) l’universo è isotropo, cioè non esistono direzioni privilegiate lungo le quali osservarlo; b) è omogeneo, cioè presenta le stesse proprietà in tutti i suoi punti. Il corollario è che le leggi fisiche sono le stesse in tutti i punti, e non dipendono dal tempo. E’ facile capire il perché: se non fosse così, non potremmo studiare l’universo. Il giorno che si dimostrasse che o le leggi non sono le stesse o mutano nel tempo, dovremmo buttare nella spazzatura l’intera nostra conoscenza cosmologica.
    Come detto, Hubble scoprì l’espansione attraverso lo spostamento verso il rosso della luce delle galassie. In realtà, la sua interpretazione del fenomeno fu, in parte, concettualmente errata. Un universo in espansione produce spostamento verso il rosso. Dunque esiste quello che si chiama cosmological redshift che va separato, come fenomeno, dal Doppler redshift, causato dalla velocità di allontanamento delle galassie rispetto alla nostra. Prima di arrivare alla interpretazione odierna, fermiamoci qui e riflettiamo.
    Esiste una evidenza sperimentale che l’universo si espande. Tutte le galassie osservate si allontanano dalla nostra, non solo una parte di esse. Perché se qualcuna si avvicinasse, avremmo il fenomeno contrario, cioè il blueshift. Ma le osservazioni dicono che questo è un fatto che non avviene. Dunque, cosa può spiegare che tutti i pezzi dell’universo si allontanino fra di loro, mantenendo isotropia ed omogeneità? Big bang? Cioè il grande botto iniziale che diede origine a tutto?
    Sul Big bang ci sono una infinità di domande, ovviamente. Per quanto abbiamo detto, ce ne sono due che interessano: a) visto che l’universo si espande, l’espansione finirà o no? b) e se finisce, cosa accade?
    Mario Giardini





    Tutto l'universo cospira affinché chi lo desidera con tutto sé stesso
    possa riuscire a realizzare i propri sogni.
    Paulo Coelho



    ....universi paralleli.....



    C'E' UN'IMMENSA voragine nell'Universo. Si trova tra 6 e 10 miliardi di anni luce dalla Terra. Si tratta di un volume di spazio con un diametro di circa 900 milioni di anni luce dove il "nulla" la fa davvero da padrone. Agli strumenti che l'hanno scoperto appare come una gigantesca macchia oscura nel cielo, come se una mano smisurata avesse cancellato quasi tutti gli oggetti luminosi presenti al suo interno.
    Ora un gruppo di ricercatori ha dato una spiegazione a quel fenomeno. Suona fantascientifico, ma Laura Mersini-Houghton dell'Università del North Carolina a Chapel Hill (Usa) dice proprio così: "E' l'impronta indelebile di un altro universo che sta oltre il nostro". Ma per capire questa spiegazione - apparsa su NewScientist - che potrebbe rivoluzionare tutte le idee sorte sul nostro Universo è necessario fare un passo indietro.
    "Non solo non è mai stato trovato un vuoto tanto grande, ma nessuna ipotesi sulla struttura dell'Universo lo aveva previsto", aveva detto Lawrence Rudnick dell'Università del Minnesota (Usa), autore della scoperta del buco avvenuta lo scorso mese di agosto. E questo spiega il motivo per cui la sua esistenza era stata messa in luce quasi per caso.
    "Era una mattina durante la quale i radiotelescopi del Vla (Very Large Array) - in grado di captare ogni più piccolo segnale radio emesso da una stella, una galassie o qualunque altro corpo celeste ancora attivo - non erano impegnati in osservazioni particolari e allora ho deciso di puntarli verso la "macchia fredda" individuata dal telescopio spaziale della Nasa Wmap (Wilkinson Microwave Anisotopy Probe)", ha spiegato Rudnick. La "macchia fredda" in questione è una misteriosa anomalia presente nella mappa della "radiazione cosmica di fondo" dell'Universo, la radiazione che permea l'intero cosmo e che viene interpretata come l'energia residua del Big Bang. Tale radiazione presenta variazioni tra un punto e l'altro che non superano lo 0,001 per cento. Ma dalla "macchia fredda" che si trova in direzione della costellazione di Eridano, non giungeva ai radiotelescopi del Vla alcun "fotone", le particelle di energia cioè, che si muovono alla velocità della luce e che solitamente sono emesse da atomi o stelle attive. Ciò stava ad indicare che l'area era totalmente vuota di materia.
    Subito si sono scatenate le ipotesi per dare una spiegazione a quell'immenso buco fatto di nulla. Ipotesi che non davano pienamente ragione al fenomeno. Ora Mersini-Houghton sembra aver dato un senso ad esso interpretandolo al di fuori della cosmologia standard. La ricercatrice infatti, ha utilizzato la "teoria delle stringhe", una teoria della fisica che ipotizza che la materia, l'energia, lo spazio e il tempo siano la manifestazione di entità fisiche sottostanti, chiamate appunto le "stringhe", le quali vibrano in 10 dimensioni nello spazio-tempo e che formano le particelle subatomiche che originano gli atomi.
    Secondo questa teoria non esiste un solo Universo, bensì 10 alla 500 universi (si immagini un numero composta da 1 seguito da 500 zero, un numero inimmaginabile) ognuno con proprie leggi fisiche.
    Spiega Mersini-Houghton: "Quando il nostro Universo si formò doveva interagire con gli altri Universi vicini. E quel buco è proprio il risultato di quell'interazione avvenuta subito dopo la nascita del nostro Universo che da allora, per le caratteristiche che esso possiede, continuò ad espandersi. Purtroppo non ci è possibile osservare ciò che ci arriva dai confini dell'Universo, che si trova tra 42 e 156 miliardi di anni luce da noi e quindi non possiamo vedere ciò che c'è oltre il buco". Ma quel buco è proprio l'impronta che un Universo diverso dal nostro ci ha lasciato all'inizio del tempo e dello spazio. Che il buco si formò agli inizi dell'Universo è d'accordo anche Rudnick, il quale dice: "Le teorie correnti suggeriscono che tutte le strutture che oggi vediamo nell'Universo presero forma all'inizio del tempo e dello spazio. La struttura vera e propria fatta di vuoti e agglomerati di materia, poi, è cresciuta nel tempo guidata dalle forze gravitazionali". Secondo Mersini-Houghton, tuttavia, dovrebbe esserci un altro buco simile a quello scoperto dalla parte opposta dell'Universo rispetto a quello già osservato e questo lo sapremo quando l'anno prossimo verrà lanciato un altro satellite per lo studio delle microonde dell'Universo molto più sofisticato dei precedenti, il satellite dell'Esa, Planck.
    L'ipotesa dell'astrofisica è ora sotto osservazione dell'intero mondo scientifico, che al momento guarda con sospetto alla Teoria delle Stringhe. Ma se quanto ipotizzato da Mersini-Houghton non verrà smentito, dovrà iniziare la ricerca ai quasi infiniti universi che circondano il nostro.
    LUIGI BIGNAMI




    Forse il nostro universo si trova dentro al dente di qualche gigante.
    (Anton Cechov)


    .....una favola....



    In una sperduta galassia dell’universo, chiamata Nebulosalandia, abitata esclusivamente da famiglie di nebulose planetarie, ve ne era una, la famiglia Planetaria, che aveva appena dato alla luce due figli, di nome Dilà e Diquà. Questi due fratelli, come fanno capire i nomi, erano sempre inclini ad avere idee diverse e in disaccordo, fin da quando erano piccoli. Infatti litigavano perché a uno non andava bene l’idea dell’altro, come il giorno in cui dovevano andare a giocare con i bambini di altre famiglie, quando avevano litigato addirittura per scegliere con chi giocare, perché, essendo tenuti uniti dalla madre, non potevano distaccarsi per andare da chi volevano. La madre, bellissima stella, teneva molto al fatto che Dilà e Diquà andassero d’accordo e che non litigassero mai, cercando di tenerli uniti; ma i suoi sforzi furono vani.
    Passati miliardi e miliardi di anni luce, i due fratelli crebbero, ma si odiavano ancor di più, al punto che non potevano nemmeno guardarsi in faccia per l’odio...Venne il giorno in cui i due fratelli scelsero i loro destini, che, naturalmente, erano uno diverso dall’altro. Dilà decise che avrebbe seguito la via dell’amore. Egli, infatti, si innamorò perdutamente della bellissima figlia di un’altra nebulosa planetaria, situata in direzione Nord-Est. Di conseguenza, Dilà si inclinò verso quella direzione e potè così ammirare bene la sua amata. Il destino di Diquà, invece, era di esplorare la galassia misteriosa, che lo incuriosiva tantissimo, situata in direzione Sud-Ovest, direzione parallela a quella del fratello. Così, la madre, vedendo che Dilà e Diquà non criticavano più le decisioni dell’altro, con tanta soddisfazione, decise di lasciarli andare via e far seguire loro il proprio destino.
    Emanuele Congedo



    L'universo è un posto molto vasto,
    è più grande di ogni cosa che chiunque abbia mai immaginato finora.
    Se ci fossimo solo noi, sarebbe uno spreco di spazio... giusto?
    (Contact)





    .
     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Gli universi paralleli esistono!

    La notizia apparsa sul New Scientist Magazine a fine settembre attesta che non c'è più alcun dubbio, nuove prove matematiche spazzano via le ultime obiezioni in merito alla realtà di molti universi o mondi paralleli definita da alcuni: ripugnante per il senso comune. Il Dr Deutch, sempre di Oxford, aveva già dimostrato matematicamente che la struttura simile ad un cespuglio dagli innumerovoli rami creata dall'universo che si separa in altrettante versioni parallele di se stesso può spiegare al meglio la natura probabilistica del risultato quantistico. Questa dimostrazione finora attaccata ha trovato conferma rigorosa grazie a David Wallace e Simon Saunders che hanno dichiarato: "Abbiamo chiarito gli ultimi punti oscuri e siamo giunti ad un ben chiaro verdetto che ci porta ad affermare con autorevolezza che il lavoro di Everett funziona". Secondo l'audace osservazione di Everett infatti l'universo è in costante ed eterna divisione, quindi non c'è nessun collasso d'onda (o di realtà) bensì ogni possibile risultato a seguito di una misurazione sperimentale accade in un diverso universo parallelo. Ogni volta che c'è un evento a livello quantistico - il decadimento di un atomo radioattivo - per esempio, o una particella di luce che avvolge la retina - si suppone che l'universo si divida in tanti universi o mondi differenti. A questo proposito Scienza e Conoscenza N° 18 ha intervistato l'estate scorsa Lev Vaidman, una delle autorità mondiali del settore. Da allora, le ultime scoperte sembrano sottrarre completamente la teoria dei "molti mondi" dalla sfera metafisica per farla entrare a tutti gli effetti tra i più importanti sviluppi del mondo della scienza. Per il linguaggio, anche per il più poetico, è difficile spiegare un paradosso, per un’equazione matematica no. Chi si ricorda il film Sliding doors? Un rompicapo fantasioso? Non si direbbe. Secondo la matematica quantistica sembra facilmente inscrivibile in un’equazione, tra le più scientifiche. Questa intervista ci permette candidamente di scivolare nella sobrietà e eleganza matematiche dei molti mondi, verso un’interpretazione della meccanica dei quanti degna di una pellicola hollywoodiana. E, di una scuola scientifica, tra le più ortodosse. Provate ad immaginare: vi trovate di fronte a una scelta da compiere e qualcosa, magari una telefonata o un ingorgo stradale, interviene a farvi intraprendere una strada piuttosto che un’altra. Immaginate che in quel preciso momento il vostro mondo si divida in due, uno stesso passato e due futuri, chissà anche molto diversi. Immaginate che questo capiti molte e molte volte e che una miriade di mondi popolino il nostro Universo. Ricorda molto la trama di un film, ma questa è la conseguenza esperienziale di una rigorosa teoria matematica, la Teoria dei Molti Mondi, appunto. Si tratta di un’interpretazione della meccanica quantistica di cui il fisico israeliano di fama internazionale Lev Vaidman, che abbiamo intervistato durante un suo soggiorno in Italia, è uno dei più importanti sostenitori. Con lui abbiamo parlato dell’origine e degli sviluppi, della forza e delle debolezze di una teoria che riesce a conservare il formalismo originario della fisica dei quanti eliminando il più problematico dei suoi postulati: il collasso d’onda.
    SeC: La Teoria dei Molti Mondi non è nuova, il primo a introdurla fu Hugh Everett nel 1957. Ma la sua popolarità tra i fisici sta crescendo solo di recente. Forse è bene ricordare ai lettori di cosa parliamo. Cosa si intende con Many-Worlds Interpretation (MWI)? Lev Vaidman: Si intende una teoria fisica, in grado di dare spiegazione della nostra esperienza con un formalismo matematico molto “economico” ed elegante, che non cambia le leggi di base della meccanica quantistica. L’idea che sta alla base è quella dell’esistenza di miriadi di mondi nell’Universo in aggiunta al mondo che percepiamo. Questi mondi prendono inizio ogni volta che avviene un esperimento quantistico, in un laboratorio di fisica come nella vita di tutti i giorni. L’esperimento, ad esempio lo sfarfallio incerto di una luce al neon, ha diversi risultati possibili, la cui probabilità si dice non-zero. Noi ci accorgiamo unicamente del verificarsi di uno dei risultati possibili, quello che si avvera nel mondo che osserviamo (la luce si accende in un determinato momento), ma secondo la MWI tutti i risultati possibili si realizzano, ognuno in un mondo differente. In tal senso questa interpretazione della meccanica quantistica si può dividere in due parti: una teoria matematica rigorosa e una spiegazione delle nostre esperienze alla luce di questa teoria e in correlazione con il concetto di stato quantico dell’Universo, ossia della funzione d’onda che lo descrive.
    Perciò è dalla teoria matematica che prende le mosse l’interpretazione dei Molti Mondi. Lei la definisce una teoria estremamente economica ed elegante. Da che cosa è nata l’esigenza di un nuovo formalismo matematico? Lev Vaidman: E’ importante comprendere il fatto che il formalismo della meccanica quantistica, le equazioni quantistiche, danno una rappresentazione della realtà che corrisponde a quella dei molti mondi. Una realtà nella quale in un esperimento quantistico tutti i risultati possibili si avverano. Questo è stato chiaro fin dagli inizi della fisica dei quanti, ma l’idea è sempre stata considerata tanto assurda e in palese contraddizione con l’osservazione sperimentale da pretendere l’introduzione del postulato del collasso: l'esito di un esperimento quantistico non è determinato dalle condizioni iniziali dell'Universo prima dell'esperimento, ma solo le probabilità sono governate dallo stato iniziale. Ecco “spiegato” il perché osserviamo l’avverarsi di uno solo dei risultati possibili. Nel corso degli anni i fisici sono stati, però, molto scontenti di questo postulato e hanno provato a risolvere il problema modificando oppure aggiungendo qualcosa alla meccanica quantistica (definendo il collasso come un effetto casuale genuino, o introducendo l’ontologia delle traiettorie della particella bohmiana). Dal mio punto di vista questi tentativi non hanno avuto molto successo. Al contrario la teoria dei Molti Mondi si presenta come una proposta per rimanere fedeli alla meccanica quantistica, così come è nata originariamente senza bisogno del postulato del collasso, e quindi consente di ammettere le conseguenze filosofiche di questa teoria, ossia che ci siano mondi paralleli in ognuno dei quali si avvera uno e uno solo dei possibili risultati di un esperimento quantistico. Non ci sono evidenze sperimentali in favore della teoria del collasso e contro la teoria dei Molti Mondi. La MWI è una teoria deterministica per un universo fisico e spiega perché il (o, meglio, un) mondo appare non deterministico agli osservatori umani. In base a che cosa si crea un nuovo mondo? Ossia, qualsiasi possibilità si trasforma in un mondo e quindi si realizza? Lev Vaidman: Non tutti i mondi che si possono immaginare esistono. Quando si costruisce un esperimento quantistico c’è una probabilità non-zero che ci sia un insieme di risultati. Quello che sappiamo è che ci sarà una separazione in un numero di mondi pari al numero di possibili esiti che vengono associati a questo esperimento. Per proseguire nell’esempio di prima, potrà accadere che io sia condizionato da una luce al neon rotta che si accende e si spegne, e questo evento potrà cambiare o ritardare una mia scelta. Questo è un evento quantistico e provocherà una separazione e la nascita di mondi distinti. Perché avvenga questa separazione abbiamo bisogno di una situazione fisica particolare che ne sia causa. La meccanica quantistica ci assicura che ci sono un certo numero di esiti per un esperimento, ma non ci assicura del fatto che io sia sufficientemente forte o sufficientemente convinto di dare atto a qualcosa, pur se nell’esperimento i diversi esiti sono previsti. Se non sono sicuro di poter dividere il mio mondo in due strade distinte, probabilmente io non darò seguito all’esistenza di entrambe queste strade. Quello che io non posso fare è fermare questo dispositivo quantistico e gli esiti che può dare.
    Si tratta senz’altro di comprendere un nuovo significato dei termini fondamentali utilizzati per descrivere l’Universo dal punto di vista della MWI. Cerchiamo di capire più a fondo: che cos’è Un Mondo e dove si collocano i Molti Mondi? Lev Vaidman: La fisica descritta dall’equazione di Schrödinger, che riassume il formalismo dei Molti Mondi, dovrebbe mettere in connessione l’interpretazione matematica con la nostra esperienza. Ma, in effetti, non esiste un linguaggio adeguato ed è perciò necessario aggiungere delle spiegazioni. Per definire Un Mondo nella MWI si può far ricorso alla definizione basata sul comune punto di vista condiviso dagli esseri umani: Un Mondo è la totalità degli oggetti macroscopici in uno stato definito, descritto classicamente. Ciò, però, non implica che Un Mondo possa essere descritto come “tutto ciò che esiste”, perché “tutto ciò che esiste” è l’Universo tridimensionale, il solo Universo fisico che esiste. L’ontologia di questo Universo in termini di meccanica quantistica è uno stato quantistico. Viene frequentemente chiamato come funzione d’onda quantistica e questa funzione d’onda quantistica è lo spazio delle configurazioni. Lo spazio delle configurazioni è la moltiplicazione dello spazio usuale per molte variabili, molte particelle. Quindi c’è ancora un significato per il nostro spazio normale tridimensionale, possiamo chiederci che cosa sta succedendo in una particolare area, in un particolare spazio. Ma siccome ugualmente le particelle che ci sono in questa zona possono essere intrecciate, entangled, con le particelle di un’altra zona, dunque non ci potrà essere una descrizione di una particolare area in termini di stato puro quantistico. Per la fisica la località è molto importante. Se tu fai qualcosa in un posto, niente potrà cambiare in un altro. Questo è a livello dell’universo fisico. Questi mondi di fatto sono una particolare decomposizione della funzione d’onda dell’Universo. Non sono locali perché sono presenti dappertutto. Dove si collocano i Molti Mondi? Stanno tutti nel nostro spazio tridimensionale e vivono in parallelo. Ogni parte della funzione d’onda sente tutto lo spazio. E ce ne sono alcuni che tra loro sono davvero molto differenti. Quanto differenti? Non posso trattenermi dal domandare se in uno degli altri mondi io potrei essere completamente diversa da quella che sono in questo mondo. Lev Vaidman: Ognuno di noi può esistere in un mondo e non esistere in un altro e quindi presentarsi o meno come osservatore di questo mondo. Ci può essere un particolare evento quantistico per il quale questo osservatore viene creato mentre in un altro mondo non lo sarà. Potrebbe essere un evento quantistico che cambia il mio percorso da un punto a un altro. In uno di questi mondi incontro una donna e metto al mondo dei figli, mentre in un altro non lo faccio o lo faccio in un momento molto posteriore. Quando, un osservatore compie una qualsiasi misura abbiamo una divisione in due storie diverse. Se possiamo inserire queste storie diverse nella funzione d’onda più generale abbiamo, allora, più mondi diversi. Di fatto un mondo è una particolare storia. Mondi differenti corrispondono a storie differenti. Tutti gli oggetti possono trovarsi in posti differenti e se sono nello stesso posto appartengono anche alla stessa storia. Non posso avere esperienza di questo, ma posso crederlo. Se ricordo di aver fatto un particolare esperimento quantistico, con la convinzione di fare un esperimento con un certo esito ed un altro con un esito diverso, io sono abbastanza sicuro che c’è un altro me in un mondo parallelo. Questo mondo che osservo non è più reale di un altro. Che cosa vuole dire IO nell’ambito della MWI? Come posso ancora parlare della mia identità? Lev Vaidman: Nel linguaggio usuale io sono definito in maniera molto precisa: io sono un oggetto macroscopico, definito in un particolare momento di tempo, attraverso una descrizione completa e classica dello stato del mio corpo e del mio cervello. Ma nell’interpretazione dei Molti Mondi quello che io sono ora, tra qualche minuto, quando farò l’esperimento quantistico, si dividerà in due IO, che avranno in comune solo il ricordo di quel momento e del prima, non il futuro. Ora che senso ha dire che ci sarà un altro IO o chiedersi quale dei due IO mi apparterrà di più? Già in questo momento ci sono molti Lev in molti mondi diversi e neppure la loro somma rappresenta il concetto di IO, benché io corrisponda a tutti quei Lev. E’ chiaro che in quest’ottica si deve abbracciare la critica al concetto di identità personale. Qual è in questa teoria il ruolo della dimensione temporale? Lev Vaidman: Nella meccanica quantistica, il tempo è un parametro, e si comporta senza proprietà particolari. E’ lo stesso tempo per questo grande Universo fisico e per ciascuna parte di questo Universo rappresentato dai Molti Mondi. Se voglio andare a una teoria fisica più generale che tenga conto ad esempio della gravità quantistica e comunque voglia rispondere anche ad altre domande, in questo caso dovrei cambiare il mio atteggiamento nei confronti del tempo. Ma nel quadro della meccanica quantistica e dell’interpretazione dei Molti Mondi il tempo non è un problema. Nella meccanica quantistica c’è un tempo che va da meno infinito a più infinito, ed è rilevante per la funzione d’onda associata a tutto l’Universo. La funzione d’onda è decomposta, secondo un certo criterio, in tanti rami che corrispondono ai diversi mondi. E quindi quello che succede col tempo è che alcuni di questi rami si dividono ulteriormente. Ci saranno pertanto alcuni mondi che nascono in un particolare momento e che non esistono in un altro momento. Il collasso è una separazione di mondi. Nel momento del collasso ciascuno di questi mondi inizia la sua evoluzione a partire da quel momento. Risulta difficile capire il peso delle nostre scelte in un Universo in cui tutti i risultati possibili (o quasi) accadono. Quale metro di valutazione resta per indirizzare i nostri comportamenti? Lev Vaidman: In effetti ci si può domandare come dovrebbe agire chi crede nella teoria dei Molti Mondi. Di fatto in questa teoria il concetto di probabilità non ha significato perché tutte le possibilità avvengono: si tratta di una teoria deterministica, non c’è casualità né ignoranza (i due elementi che definiscono la probabilità). Questo potrebbe portare ad un comportamento del tutto irrazionale o all’incapacità di compiere delle scelte. A mio parere la questione va risolta introducendo il concetto di misura di esistenza. In un qualsivoglia esperimento quantistico, pur nella convinzione che tutti i risultati si verificheranno, si può definire l’incidenza di un risultato rispetto a quella di un altro. Un risultato con una maggiore incidenza corrisponderà ad un mondo con una maggiore misura di esistenza. Abbiamo già detto che io sono strettamente legato a tutti i miei “successori” che si divideranno a seguito di un esperimento quantistico. Questo vuol dire che dovrò preoccuparmi della sorte che toccherà a tutti i Lev dei mondi che si creeranno proporzionalmente alla loro misura di esistenza. Cercherò di favorire il mondo con misura di esistenza più grande, senza però dimenticarmi dei mondi meno importanti.
    Non si torna così a reintrodurre di fatto il concetto di probabilità? Lev Vaidman: C’è una seria difficoltà con il concetto di probabilità nel contesto della MWI. In una teoria deterministica, quale è la MWI, il solo possibile significato di probabilità è una probabilità di ignoranza, ma non ci sono informazioni rilevanti delle quali un osservatore che si sta accingendo a fare un esperimento quantistico sia ignorante. Non ha senso domandare quale probabilità ci sia che il risultato sia A o B, perché io corrisponderò ad entrambi i Lev: quello che osserva il risultato A e quello che osserva il risultato B. Ho tentato di risolvere il problema costruendo una probabilità di ignoranza nel quadro della MWI. I mondi che si creano a seguito di un esperimento quantistico, si formano prima che l’osservatore si accorga del risultato. Ciò diventa più comprensibile nel caso in cui all’osservatore venga dato un sonnifero immediatamente prima dell’esperimento. Quando si sveglia certamente l’osservatore si troverà di fronte al risultato A o al risultato B, ma prima di aprire gli occhi sarà ignorante riguardo a questo fatto nel momento in cui gli viene posta la domanda. Ora la “probabilità” di un risultato di un esperimento quantistico è proporzionale al totale delle misure di esistenza di tutti i mondi che si realizzano. Così posso definire la probabilità di un risultato di un esperimento quantistico, che deve essere ancora fatto, come la probabilità di ignoranza del successore di Lev riguardo all’essere in un mondo con un particolare risultato. L’argomento del sonnifero non riduce la probabilità di un risultato di un esperimento quantistico al concetto usuale di probabilità del contesto classico. La situazione quantistica è fondamentalmente differente. L’argomento semplicemente spiega il principio di comportamento al quale uno sperimentatore si deve affidare: agire come se ci fosse una certa probabilità per risultati diversi. Dal momento che, come si è detto, lo sperimentatore è strettamente legato a tutti i suoi successori e, tutti loro vivranno come rilevante ogni risultato della scelta dello sperimentatore. Esiste la possibilità di un collegamento tra i Molti Mondi? E qualora fosse possibile si tratterebbe di una connessione locale o non-locale? Lev Vaidman: Per le situazioni pratiche i mondi, dal punto di vista macroscopico, sono mondi diversi e quindi evolveranno separatamente. Solo teoricamente è possibile costruire un esperimento gedanken in cui riunire i mondi. Per farlo sarebbe necessario causare un’ulteriore divisione tra questi mondi. Poniamo di avere i mondi A e B. Dovremmo dividere il mondo A in C e D e dividere il mondo B in C e in un qualsiasi altro mondo. Almeno un mondo dovrebbe essere comune. Allora i due mondi separati potrebbero fare interferenza. Il problema è che, però, nel caso degli oggetti macroscopici separati è estremamente difficile, per non dire attualmente impossibile, farli interferire. Se abbiamo avuto successo fino ad oggi a stabilire interferenza, ciò è stato possibile solo con molecole che sono composte al massimo da 70 atomi. Un corpo macroscopico ha 1020 atomi. Comunque ipotizzando di poter fare interferire due oggetti macroscopici, bisogna ricordare che il singolo mondo è un concetto non locale, mentre l’Universo è locale. Avremmo bisogno di portare un oggetto macroscopico in un punto comune in ciascuno dei due mondi. Proprio qui dovrebbe avvenire l’ulteriore separazione. Ciascun atomo, e molecola, dei due oggetti macroscopici dei due mondi dovrebbe mantenere la stessa posizione. Questo processo avverrebbe in tutta la zona in cui l’oggetto esiste e quindi anche localmente tutti i punti dovrebbero essere uguali. Quando si dividono due mondi dal punto di vista dell’Universo c’è un forte effetto entanglement, perché tutte le particelle che erano presenti nello stesso punto, sono ora separate. Tutte le particelle del corpo sono “intrecciate” (entangled) alle loro corrispondenti e noi abbiamo bisogno di separarle nuovamente. Questo entanglement deve essere distrutto almeno in un ramo per tornare allo stesso mondo, per creare interferenza tra i mondi. Se voglio tornare ad un solo mondo devo ripercorrere il processo al contrario, attuando una evoluzione che riporti i due mondi al punto iniziale. Il suo approccio è senz’altro molto ortodosso e legato alla forza del formalismo matematico, ma ugualmente si spinge in regioni in cui il limite tra scienza e filosofia è molto labile. Quale la relazione tra fisica e metafisica? Lev Vaidman: In effetti ci muoviamo lungo questo limite. La mia ricerca ha a che fare con la metafisica, che non considero una brutta parola. Quando ragioniamo in termini di MWI, se pur descrivendo una realtà apparentemente lontana dal nostro modo di vedere il mondo, riusciamo a spiegare esperienze e paradossi che altrimenti restano inspiegabili. E riusciamo a farlo attraverso un formalismo matematico, il più economico ed elegante possibile.

     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    Trovate centinaia di galassie nascoste dietro la Via Lattea.

    Potrebbero spiegare la sua misteriosa accelerazione. Osservate per la prima volta centinaia di galassie 'nascoste' dietro la Via Lattea: con miliardi di stelle, sono dotate di una massa di cui finora si era ignorata l'esistenza e che potrebbe finalmente spiegare il mistero del 'Grande attrattore', l'anomalia gravitazionale che sta richiamando a sé la nostra galassia facendola correre alla velocità di due milioni di chilometri all'ora. La scoperta è di un gruppo internazionale di ricerca, che pubblica su Astronomical Journal i dati raccolti grazie al radiotelescopio Parkes del Consiglio nazionale delle ricerche australiano (Csiro).
    ''La Via Lattea è meravigliosa ed è molto interessante studiarla, ma purtroppo blocca completamente la visuale delle galassie più distanti che le stanno dietro'', spiega il coordinatore dello studio Lister Staveley-Smith, dell'università dell'Australia occidentale. ''Abbiamo usato un'ampia varietà di tecniche - aggiunge l'astronoma Renée Kraan-Korteweg dell'università di Cape Town - ma solo le osservazioni nelle onde radio ci hanno permesso di guardare attraverso gli spessi strati di polveri e stelle che stanno in primo piano''. Grazie ad un innovativo ricevitore montato sul telescopio australiano, i ricercatori sono così riusciti a identificare ben 883 galassie 'nascoste', un terzo delle quali non era mai stata vista prima.
    ''Contando che una galassia contiene in media 100 miliardi di stelle - continua Renée Kraan-Korteweg - la scoperta di centinaia di nuove galassie nascoste dietro la Via Lattea indica la presenza di una massa importante di cui non conoscevamo l'esistenza''. Questa potrebbe spiegare il mistero del 'Grande attrattore', l'anomalia gravitazionale che sta richiamando a sé centinaia di migliaia di galassie (compresa la nostra) con una forza attrattiva pari a quella di un milione di miliardi di soli. ‬
    (Ansa)
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted





    ESA e NASA hanno diffuso una nuova immagine scattata dal telescopio spaziale Hubble, cogliendo l’occasione per festeggiare il suo 26esimo compleanno in orbita. La foto mostra la Nebulosa Bolla (NGC 7635), una nebulosa diffusa che si trova a 8mila anni luce da noi, visibile in cielo nella costellazione di Cassiopea. Fu scoperta alla fine del Settecento da William Herschel ed era stata già fotografata in precedenza, ma la nuova immagine mostra molti più dettagli: è stata ottenuta elaborando insieme quattro diverse immagini scattate da Hubble. La bolla è dovuta a un potente flusso di gas (vento stellare) generato dalla stella visibile in alto a sinistra, e che ha una massa pari a 10 - 20 volte quella del nostro Sole. La sfera nel complesso ha un diametro di 10mila anni luce e sta continuando a crescere a una velocità di 100mila chilometri all’ora.
    (ESA - NASA - Hubble)

     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    Scoperto un buco nero da record, a 200 milioni di anni luce dalla Terra.

    Scoperto da Università California, ha la massa di 17 miliardi di Soli. Scoperto un super buco nero da record a 200 milioni di anni luce dalla Terra: la sua massa supera di 17 miliardi di volte quella del Sole e la sua presenza è considerata un segno di come simili mostri cosmici potrebbero essere molto più comuni di quanto si possa immaginare. Pubblicato sulla rivista Nature, il risultato si deve al gruppo guidato dall'Università della California a Berkeley.

    Il record attuale è detenuto dal buco nero della massa di 21 miliardi di Soli scoperto nel 2011 nell'Ammasso della Chioma, che si è guadagnato un posto d'onore nel Libro dei Guinnes. Finora si riteneva che buchi neri di queste dimensioni fossero 'insediati' nel cuore delle grandi galassie in zone dell'universo molto 'affollate', ma il nuovo buco nero contraddice questa ipotesi. Si trova infatti nella galassia NGC 1600, che si trova nella parte di cielo opposta rispetto all'Ammasso della Chioma e in una zona relativamente deserta, ha osservato il coordinatore della ricerca, Chung-Pei Ma. E' stata individuata nell'ambito del progetto di ricerca Massive, il cui obiettivo è studiare grandi galassie e buchi neri per ricostruire il loro processo di crescita.

    La domanda che viene spontanea ai ricercatori è se l'aver trovato un buco nero in una zona dell'universo scarsamente popolata non possa essere la punta di un iceberg. Chung-Pei Ma non esclude che i 'mostri cosmici' possano essere molto più numerosi del previsto e disseminati anche nelle zone meno popolate dell'universo.
    (Ansa)
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    Vele solari verso Alpha centauri in cerca di E.T..

    Progetto del miliardario Milner, sostegno di Hawking e Zuckerberg. Un viaggio di 20 anni nello spazio interstellare alla ricerca di E.T. con una flotta di astronavi a vele solari spinte da laser diretta alla stella più vicina, Alpha Centauri. Vorrà dire percorrere 4,37 anni luce (circa 41.000 miliardi di chilometri) viaggiando al 20% della velocità della luce. E' la proposta finanziata con 100 milioni di dollari dal miliardario russo Yuri Milner, e presentata con il sostegno dell'astrofisico Stephen Hawking e del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg.
    "Quello che ci rende umani è la capacità di superare i nostri limiti. E come possiamo superarli? Con la nostra mente e le nostre macchine", ha detto Hawking nella conferenza stampa organizzata da Milner a New York.

    Chiamato "Breakthrough Starshot", il programma si basa sull'idea della vela solare, nota da tempo e basata sulla possibilità di viaggiare nello spazio senza motori, ma utilizzando la luce come forma di propulsione. A guidarlo potrebbe essere Pete Worden, ex direttore del Centro di ricerca Ames della Nasa, andato in pensione nel 2015. L'idea del progetto è utilizzare un razzo convenzionale per lanciare in orbita una flotta di minuscole astronavi; una volta raggiunta la posizione voluta nell'orbita terrestre, le astronavi spiegherebbero le vele e a quel punto ognuna di esse, a turno, potrebbe ricevere una 'spinta' da un fascio di laser molto concentrato, sparato da Terra.

    Piccole come telefonini, le astronavi sono leggerissime ed equipaggiate con micro-dispositivi elettronici e una piccola vela. Questi singolari veicoli spaziali sarebbero in grado di raggiungere i confini del Sistema Solare in soli tre giorni, contro i nove anni impiegati dalla sonda New Horizons della Nasa per raggiungere il pianeta nano Plutone, ai confini del nostro sistema planetario.
    (Ansa)
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted





    I responsabili del telescopio spaziale Hubble, in orbita intorno alla Terra da 26 anni, hanno diffuso una nuova grandiosa immagine della Nebulosa Granchio, che si trova a 6.500 anni luce da noi ed è visibile nel cielo notturno nella costellazione del Toro. La nebulosa è il frutto di una supernova, una gigantesca esplosione in seguito alla morte di una stella. Durante questo evento, buona parte del materiale che costituiva la stella è stato spinto nello spazio circostante, formando una nube di gas e polveri molto grande, la cui ampiezza è stimata intorno ai 6 anni luce.

     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted





    Scoperta una matrioska cosmica: è fatta di tre enormi bolle concentriche create dal materiale espulso dall'esplosione di una supernova. A scoprire questa spettacolare struttura è stato un gruppo di ricerca dell'Istituto di Astrofisica delle Canarie, con uno studio pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. E' un risultato che potrà dare importanti nuove informazioni per capire come le stelle, dopo la morte, disperdano i loro materiali nelle galassie.

    Quando giungono nella fase finale della loro esistenza, le grandi stelle (con una massa di almeno una decina di volete quella del Sole) esplodono in modo molto violento, emettendo grandi quantità di radiazioni e scagliando nello spazio i materiali di cle le costituiscono. I gas e le polveri espulsi creano una sorta di guscio che si espande nello spazio e gli elementi che lo compongono finiscono per andare ad alimentare la formazione di nuove stelle.

    Puntando uno dei grandi telescopi dell'osservatorio delle Canarie verso la galassia M33 e usando un particolare software per il riconoscimento di eventuali gas interstellari in espansione, i ricercatori spagnoli hanno scoperto per la prima volta un guscio 'triplo'. I dati mostrano la presenza di 3 distinti fronti costituiti dai materiali espulsi dalla stella. Secondo i ricercatori non si tratterebbe di 3 esplosioni distinte, ma di una sola i cui materiali sono 'scivolati' dividendosi in 3 sfere concentriche.

    Il diametro dei gusci va dai pochi anni luce del più piccolo ai circa 1.000 del più grande. A 'scomporre' il guscio iniziale sarebbe stata l'interazione tra i gas e le polveri con la rarefatta e sfuggente materia che permea le galassie, il cosiddetto mezzo interstellare, e la scoperta dei ricercatori spagnoli potrebbe aiutare a capire proprio la sua composizione e come interagisca con i materiali espulsi dalle stelle.




    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    Una danza spaziale per studiare l'atmosfera del Sole

    Tra 2 sonde gemelle europee, nel 2019. Danzeranno nello spazio per generare eclissi artificiali di Sole con l'obiettivo di scoprire i segreti della parte più misteriosa della nostra stella, ossia la zona più esterna dell'atmosfera: è la coppia di satelliti della missione Proba 3, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), il cui lancio è previsto nel 2019.Come ballerini, i due minisatelliti si muoveranno l'uno attorno all'altro, separati da una distanza di 150 metri, per creare un unico osservatorio spaziale gigante. La loro missione è quella di farsi ombra a vicenda in modo da provocare delle eclissi artificiali della durata dialcune ore: quando basta per studiare nei dettagli la parte più esterna dell'atmosfera del Sole, chiamata corona. ''La corona è un milione di volte più debole del Sole stesso e per riuscire a osservarla deve essere bloccata la luce del disco solare'', ha detto Damien Galano, responsabile degli strumenti di Proba 3.

    Per osservare la corona solare, i due satelliti useranno lo strumento Aspiics, un coronografo, mentre il radiometro Dara misurerà l'energia totale (irraggiamento) emessa nello spazio dal Sole. ''L'idea del coronografo - ha spiegato Galano - è stata concepita dall'astronomo Bernard Lyot nel 1930 e da allora questo strumento è stato sviluppato e installato sia sui telescopi terrestri sia su quelli spaziali".
    (Ansa)
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    Scoperta una nuova famiglia di stelle
    al centro della Via Lattea




    Scoperta una nuova famiglia di stelle al centro della Via Lattea. Aiuta a ricostruire i primi stadi della formazione delle galassie. Pubblicata sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, la scoperta si deve al gruppo coordinato da Ricardo Schiavon, della Liverpool John Moores University.


    Il centro della Via Lattea è poco conosciuto perché coperto da spesse nubi di polveri. I ricercatori sono riusciti a vedere alcune delle sue stelle grazie alle immagini a infrarossi del cuore della galassia raccolte dal progetto Apogee (Apache Point Observatory Galactic Evolution), nell'ambito della collaborazione internazionale Sloan Digital Sky Survey. Queste stelle sono molto ricche di azoto, come quelle che popolano gli ammassi globulari, ossia 'sfere' di miliardi di stelle che orbitano al centro delle galassie e dalla cui fusione si pensa si sia formato il rigonfiamento centrale della Via Lattea.


    Secondo gli esperti, durante la formazione della Via Lattea gli ammassi di stelle nella regione centrale sarebbero stati 10 volte più abbondanti rispetto a oggi. Quelli che mancano all'appello sarebbero andati distrutti durante il loro processo di fusione e le stelle appena scoperte si sarebbero formate in questi ammassi. ''Si tratta di una scoperta molto entusiasmante che ci aiuta a rispondere alle domande affascinanti sulla natura delle stelle nelle regioni interne della Via Lattea'', ha rilevato Schiavon. Inoltre, ha aggiunto, ci può aiutare a comprendere come si sono formati gli ammassi globulari e che ruolo hanno giocato nella formazione della Via Lattea e per estensione nella formazione anche delle altre galassie''.



    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Il meteorite Hypatia




    Un piccolo ‘sasso spaziale' chiamato Hypatia e trovato in Egitto presenta una composizione mineralogica unica, non paragonabile a quella di qualunque meteorite, pianeta, cometa o altro oggetto celeste conosciuto del Sistema solare. È così peculiare che probabilmente ha un'origine pre-solare, cioè si è formata prima della nascita del nostro sistema, e le sue caratteristiche potrebbero rivelare nuove informazioni proprio sulla formazione della Terra e del Sistema solare.

    Raccolta nel deserto Lybian Desert Glass (LDG), nella porzione sita nell'Egitto occidentale, la pietra Hypatia – così chiamata in omaggio all'astronoma, filosofa e matematica Ipazia d'Alessandria – fu definita come extraterrestre nel 2013, e dalle analisi condotte nel 2015 ne emersero le prime proprietà peculiari. Con l'ultima indagine coordinata da studiosi dell'Università di Johannesburg (Sud Africa) è stata fatta piena luce sulla sua composizione insolita, che l'autore principale della ricerca, il professor Jan Kramers, ha paragonato a una “torta alla frutta caduta per terra su un po' di farina e rimasta schiacciata”.

    La metafora bizzarra è legata ai molteplici ingredienti presenti sia nel "dolce" che in Hypatia. Innanzitutto, nella pietra c'è un rapporto tra carbonio e silicio che non corrisponde a quello delle condriti (i meteoriti più comuni), o a quello della Terra se potessimo macinarla con un gigantesco pestello. Nel misterioso sasso spaziale c'è tantissimo carbonio e poco silicio, mentre nei meteoriti si trova pochissimo carbonio e una notevole quantità di silicio. Oltre a questi elementi di base, in Hypatia sono presenti idrocarburi poliaromatici (PAH) tipici della polvere interstellare. Quando Hypatia colpì l'atmosfera terrestre, questi composti si fusero in minuscoli diamanti, che hanno permesso al sasso spaziale (che in origine doveva essere di alcuni metri) di resistere sino ad oggi.


    Tra gli elementi più interessanti presenti in Hypatia vi è l'alluminio puro, che è rarissimo sulla Terra e non solo, dato che forma composti con altri elementi anche nel resto del Sistema solare. Oltre ad esso sono stati individuati grani di fosforo di iodio d'argento e soprattutto moissanite (carburo di silicio) in una forma inaspettata, con un composto di nichel, fosforo e ferro mai vista prima. Tutto ciò, in associazione alla scarsa presenza di silicio, suggerisce che Hypatia abbia una datazione pre-solare, un dettaglio che mette in crisi gli scienziati, considerando che la nube interstellare da cui è originato il nostro Sistema si ritiene avesse una composizione omogenea, mentre la piccola pietra ha ‘ingredienti' esclusivi.

    Una delle domande cui trovare risposta è da dove viene Hypatia. Gli scienziati sono certi che sia originata in un luogo freddo, sicuramente più lontano della fredda fascia di Kuiper e probabilmente della fredda Nube di Oort, da dove provengono alcune comete. I dettagli dell'affascinante ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Geochimica et Cosmochimica Acta.

    [Credit: Dr Mario di Martino, INAF Osservatorio Astrofisico di Torino]
    https://scienze.fanpage.it





    A prima vista sembra un sassolino scuro di forma appuntita, pesante appena 30 grammi. Ma secondo una serie di analisi chimico-fisiche, condotte da Jan Kramers, dell' Università di Johannesburg, in Sudafrica, e colleghi, sarebbe il frammento del nucleo di cometa.

    Come si legge su “Earth and Planetary Science Letters”, il campione, che i ricercatori hanno battezzato Ipazia in onore della matematica Ipazia di Alessandria, è ciò che resta di una cometa entrata nell'atmosfera terrestre 28,5 milioni di fa ed esplosa in migliaia di frammenti che sono poi ricaduti nel deserto libico-nubiano, il lembo più orientale del deserto del Sahara.

    L'impatto con il terreno ha generato temperature fino a 2000 gradi centigradi, fondendo la sabbia e dando origine a un vetro di silice tipico di questo deserto, noto fin dall'antichità, e detto appunto "vetro del deserto libico". Un esemplare di questo vetro, sapientemente lavorato a forma di scarabeo, è incastonato in un pendente ritrovato nella tomba del faraone egizio Tutankamon.

    Un aspetto peculiare del sassolino è che al suo interno sono stati trovati microscopici diamanti. Il diamante ha origine da una particolare struttura cristallina degli atomi di carbonio solo in particolari condizioni di pressione, come quelle degli strati geologici più profondi della Terra. Ma si può formare anche per effetto di intense onde di pressione, come l'onda d'urto prodotta da un impatto.

    Grazie a una serie di analisi, tra cui la diffrazione a raggi X e la microscopia elettronica a scansione e a trasmissione, gli autori hanno stabilito che Ipazia non può essere un meteorite perché ha un contenuto di carbonio insolitamente alto, maggiore di quello tipico delle condriti carbonacee, cioè delle meteoriti che contengono materiale organico. La concentrazione è tale da escludere anche l'ipotesi che il carbonio provenga da materiali terrestri presenti nel terreno.

    Le concentrazioni di carbonio trovate sono invece compatibili con quelle delle particelle di polvere interplanetaria e anche delle polveri della cometa 81P/Wild2 raccolte nel 2004 dalla missione Stardust della NASA. L'ipotesi degli autori è che si tratti di un campione di un nucleo cometario, cioè della parte solida centrale di una cometa, che secondo gli attuali modelli sarebbe costituito di roccia polveri e gas congelati.
    (www.lescienze.it , 15 ottobre 2013)



    Lo studio, coordinato dall'università sudafricana di Johannesburg, è pubblicato sulla rivista Geochimica et Cosmochimica Acta.

    Il meteorite Ipazia è uno dei frammenti di un 'sasso cosmico' che probabilmente aveva un diametro di alcuni metri e che si disintegrò nell'impatto con la Terra. I minerali che lo costituiscono non somigliano a quelli presenti nei meteoriti finora studiati. "Se fosse possibile macinare l'intero pianeta Terra in un enorme mortaio, otterremmo una polvere dalla composizione chimica simile a quella delle condriti", ha osservato il coordinatore della ricerca Jan Kramers, riferendosi ai meteoriti più antichi finora noti. In questi ultimi, aggiunge "ci si aspetta di vedere una piccola quantità di carbonio e una buona quantità di silicio, ma Ipazia ha invece una quantità enorme di carbonio e pochissimo silicio".

    Per Francesco Greco, dottorando all'università di Bologna, che ha partecipato all'analisi chimica sulla composizione del meteorite Ipazia, i dati "indicano che la materia di cui è fatto è estremamente primitiva già presente nei primi stadi di formazione della nebulosa solare, è pre-esistente al Sistema solare". Inoltre "la nebulosa da cui si è formato il Sistema Solare non aveva una composizione omogenea come si ritiene, bensì eterogenea, come suggerito dall'insolita composizione minerale riscontrata in Ipazia". L'analisi ha anche individuato nel meteorite piccolissimi diamanti che "si sono formati durante l'impatto del meteorite con l'atmosfera terrestre e che gli hanno conferito quella resistenza che gli ha permesso di arrivare fino ai giorni nostri".


    [size 5]RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA , 12 gennaio 2018[/size]

     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    LE IMPRONTE DELLE PRIME STELLE



    (N.R. Fuller / National Science Foundatio)


    Nel mezzo di un’area desertica nell’Australia Occidentale, c’è un oggetto che ricorda un tavolo da cucina, all’apparenza semplice e rudimentale, ma che forse ha permesso per la prima volta di trovare le tracce delle primissime stelle che illuminarono l’Universo. Se confermata nei prossimi anni da altre ricerche, la scoperta diventerà una pietra miliare per confermare le teorie su come si formò tutto ciò che ci circonda, dalle stelle ai pianeti passando per noi stessi. I risultati della ricerca resa possibile da quel tavolo nel deserto sono stati pubblicati da poco sulla rivista scientifica Nature, e sono molto discussi tra gli astrofisici e i cosmologi (quelli che studiano l’Universo).


    Il radio spettrometro nel deserto dell’Australia Occidentale utilizzato per le rilevazioni (CSIRO Australia)

    Dopo il Big Bang. Prima di arrivare ai risultati del nuovo studio, dobbiamo tornare indietro nel tempo di circa 14 miliardi di anni, nell’era subito dopo il Big Bang, l’evento che secondo il modello teorico più condiviso avviò i processi di formazione dell’Universo. All’epoca non c’era un granché di entusiasmante da vedere: era tutto buio e freddo, pervaso da gas invisibili, per lo più idrogeno ed elio. In milioni di anni, le deboli interazioni gravitazionali portarono alla formazione di grandi ammassi di gas, che divennero via via più densi fino a collassare su loro stessi e ad “accendersi”, invadendo lo spazio circostante con la prima luce di sempre, visibile solo nell’ultravioletto (quindi non ai nostri occhi). Questi fenomeni altro non erano che le prime stelle, in un certo senso l’alba dell’Universo per come lo conosciamo adesso.


    Partì tutto da lì. Dopo cicli di esistenza relativamente brevi, le prime stelle esplosero diventando buchi neri, mettendo le basi per quelle che sarebbero poi diventate le galassie, e producendo altri elementi pesanti, che in miliardi di anni avrebbero poi portato alla formazione dei pianeti e degli altri corpi celesti, e in ultima istanza di noi esseri umani. Questa teoria su come si formò tutto quanto ha trovato nel corso del tempo diverse conferme pratiche, ma i ricercatori hanno impiegato anni di osservazioni nella speranza di trovare indizi sulle primissime stelle per avere conferme più solide, senza grandi risultati. Ora il tavolo nel deserto australiano, che in realtà è un radio spettrometro, sembra aver fornito una risposta, o per lo meno indizi più consistenti.



    Le prime stelle. Il gruppo di ricerca, che comprende astrofisici dell’Arizona State University, del MIT e dell’Università del Colorado, ha impiegato più di 10 anni per trovare il giusto segnale radio, calibrando di continuo lo strumento nel deserto australiano. Nello studio i ricercatori scrivono di avere captato le emissioni radio di ciò che resta di quell’idrogeno che anticamente interagì con le prime stelle, negli stadi iniziali dell’Universo. Le sue caratteristiche indicano che le prime si attivarono circa 180 milioni di anni dopo il Big Bang, in lieve anticipo rispetto ai modelli teorici utilizzati finora, ma comunque entro un margine di errore accettabile tale da non rimetterli in discussione. La scoperta è molto importante, perché mette un punto fisso che potrà aiutare i ricercatori a formulare meglio le teorie su cosa accadde dopo, e a verificarle tramite le osservazioni con i radiotelescopi.

    L’osservazione delle prime stelle non è diretta: i ricercatori possono trovarle indirettamente rilevando gli effetti che ebbero su ciò che avevano intorno, come le nubi di idrogeno. Le radiazioni ultraviolette prodotte dalle prime stelle, alterarono lo stato del singolo elettrone che possiede ogni atomo di idrogeno. Il gas iniziò quindi ad assorbire energia dalla radiazione cosmica di fondo, la grande traccia energetica lasciata dal Big Bang. Semplificando molto: gli atomi di idrogeno assorbirono energia, che fu poi rilasciata quando tornarono al loro stadio iniziale. Secondo le teorie più diffuse, quel salto di energia può essere rilevato a una specifica frequenza radio, ed è quello che hanno provato a fare i ricercatori nel deserto dell’Australia per confermarlo nella pratica.

    Osservazioni e materia oscura. Per anni hanno lavorato per calibrare il loro strumento, progettato per assorbire tutte le onde radio provenienti dal cielo, escludendo quelle non necessarie prodotte dalla nostra galassia (la Via Lattea) o dalle attività umane qui sulla Terra. Per questo il punto di osservazione scelto era nel mezzo di un deserto, a debita distanza da fonti terrestri che avrebbero potuto interferire con le rilevazioni. Nel 2015 i loro sforzi furono ripagati da un segnale molto promettente, che rese necessari due anni di verifiche per assicurarsi che fosse quello giusto.

    [...]
    La più affascinante, e secondo alcuni plausibile, è che in quella fase l’idrogeno avesse interagito con la cosiddetta “materia oscura”, la cosa invisibile che si ipotizza costituisca buona parte dell’Universo e su cui non sappiamo ancora molto. La materia oscura è molto fredda, quindi è possibile che ci fossero trasferimenti di calore dall’idrogeno alla materia oscura. Cedendo calore, l’idrogeno si sarebbe raffreddato, da qui le caratteristiche del segnale radio rilevato.

    [...]


    www.ilpost.it
     
    Top
    .
12 replies since 3/4/2011, 13:43   768 views
  Share  
.