LA SEZIONE AUREA

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    « La geometria ha due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora;
    l'altro è la divisione di un segmento
    secondo il rapporto medio ed estremo.
    Possiamo paragonare il primo a una certa quantità d'oro,
    e definire il secondo una pietra preziosa. »
    (Keplero)

    LA SEZIONE AUREA


    La sezione aurea è un numero irrazionale, cioè un numero che ha infinite cifre dopo la virgola che non presentano alcuna struttura ordinata (periodica). Il numero 0.333333…, pur avendo infinite cifre dopo la virgola, non è un numero irrazionale perché presenta una struttura periodica: conoscendo un numero finito di cifre si possono prevedere le successive e dunque ricostruire e conoscere tutto il numero. Per i numeri irrazionali ciò non è possibile: per conoscere esattamente un numero come \Phi occorre calcolare una per una ognuna delle cifre che seguono la virgola ed essendo queste infinite il tempo necessario a fare ciò è un tempo infinito. Il valore numerico di \Phi, approssimato alla nona cifra dopo la virgola, è 1.618033989.
    Sia le sue proprietà artistiche e matematiche, che la frequente apparizione in svariati contesti naturali e culturali, apparentemente non collegati tra loro, hanno suscitato per secoli nella mente dell'uomo la conferma dell'esistenza di un rapporto tra macrocosmo e microcosmo, tra Dio e l'uomo, l'universo e la natura: un rapporto tra il tutto e la parte che si ripeteva all'infinito tra la stessa parte più grande e la più piccola, e così di seguito attraverso ulteriori suddivisioni. Diversi filosofi ed artisti sono arrivati a cogliervi col tempo un ideale di bellezza e armonia, spingendosi a ricercarlo e, in alcuni casi, a ricrearlo nell'ambiente antropico quale "canone di bellezza".

    ...nella storia...


    A Babilonia, alcune tavolette, riportanti calcoli computazionali, testimoniano che i Babilonesi avevano conoscenza sia della matematica che della geometria tali da poter ottenere buone approssimazioni dell'area del pentagono e perfino di pi greco. Anche se mancano prove sufficienti, gli studiosi, fra cui Michael Scheneider e Helen Hedian, affermano la sua presenza su steli e bassorilievi come una stele babilonese, una raffigurazione di una divinità alata del IX secolo a.C., la "leonessa morente" di Ninive (600 a.C.).

    Per gli antichi Egizi, il rapporto aureo lo si ritrova nell'Osireion, nella Tomba di Petosiri e nella piramide di Cheope.
    L' Osireion è monumento funerario del re Seti I (XIX dinastia), riportato alla luce nel 1901 da Flinders Petrie. Robert Lawlor asserisce che l'architettura della stanza più interna sarebbe basata su una mistica geometria pentagonale contenente il rapporto aureo, ravvisabile in una serie di intrecci geometrici.
    La tomba di Petosiri, sommo sacerdote di Thot, è stata rinvenuta da Gustave Lefebvre nei primi anni venti, e risale al III secolo a.C., quando era già si aveva la conoscenza della sezione aurea da parte dei Greci. In questo caso il rapporto aureo sarebbe riscontrato in un bassorilievo raffigurante l'imbalsamazione del sacerdote.

    La prima chiara definizione di \Phi compare nell’opera fondamentale Gli Elementi di Euclide. Euclide visse intorno al 300 a.c. e con lo scritto è stato il fondatore della geometria. Nel periodo greco, la definizione del rapporto aureo venne fissata attorno al VI secolo a.C., ad opera della scuola pitagorica, nell'Italia meridionale. Fu scoperto da Ippaso di Metaponto. Il rapporto aureo vennee ricondotto allo studio del pentagono regolare. L'aura magica che i pitagorici associarono al numero 5, e a tutto ciò che vi fosse legato, risultava legata anche a considerazioni di tipo astrologico, in particolare al pianeta Venere, archetipo dell'amore e della vita, che nel suo percorso tra la Terra e il Sole disegna in effetti una stella a cinque punte.

    Dal declino del periodo ellenistico passarono circa mille anni prima che la sezione aurea tornasse nuovamente a stimolare le menti dei matematici, che in essa rilevarono anche proprietà di natura algebrica, oltre che geometrica.
    Nel 1202 Leonardo Fibonacci pubblicò il suo Liber abaci, il libro col quale si diffonderanno in Europa le cifre indo-arabe, semplificando le modalità di calcolo nelle operazioni quotidiane. Il rinnovato interesse per il numero aureo in epoca rinascimentale può essere dovuto ad un altro libro, il De divina proportione di Luca Pacioli , pubblicato a Venezia nel 1509 e corredato di disegni di solidi platonici di Leonardo da Vinci, nel quale si divulgò, a una vasta platea di intellettuali, l'esistenza del numero e di alcune delle sue numerose proprietà, fino ad allora appannaggio soltanto di una più ristretta cerchia di specialisti. Nel libro, la si definiva una proporzione divina, dove l'aggettivo «divina» era dovuto ad un accostamento tra la proprietà di irrazionalità del numero e l'inconoscibilità del divino per mezzo della ragione umana:
    « Commo Idio propriamente non se po diffinire ne per parolle a noi intendere, così questa nostra proportione non se po mai per numero intendibile asegnare, né per quantità alcuna rationale exprimere, ma sempre fia occulta e secreta e da li mathematici chiamata irrationale. »
    La relazione tra il numero aureo e la serie di Fibonacci, rimasta ignota anche a Luca Pacioli, fu scoperta nel 1611 da Keplero, come rilevano i seguenti passi di una sua lettera:
    « ... questa proporzione [...] che gli odierni [...] chiamano divina [...] è congegnata in modo tale che i due termini minori di una serie nascente presi insieme formino il terzo, e gli ultimi due addizionati, il termine [a loro] successivo, e così via indefinitamente, dato che la stessa proporzione si conserva inalterata [...] più si va avanti a partire dal numero 1, più l'esempio diventa perfetto. Siano 1 e 1 i termini più piccoli [...] sommandoli, il risultato è 2; aggiungiamo a questo il precedente 1, e otteniamo 3; aggiungiamogli 2, e otteniamo 5; aggiungiamogli 3, e abbiamo 8; 5 e 8 danno 13; 8 e 13 danno 21. Come 5 sta a 8, così, approssimativamente, 8 sta a 13, e come 8 sta a 13 così, approssimativamente, 13 sta a 21. »
    Keplero praticamente scoprì che il rapporto fra due numeri consecutivi della successione di Fibonacci approssimava via via, sempre più precisamente, il numero aureo. Ma Keplero, quale astronomo, non era tanto interessato a dimostrare la fondatezza della sua scoperta, anzi piuttosto a ricercarla nell'architettura dell'universo, che lui invece osservava, nelle sue proprietà "divine"; non a caso concettualizzò un modello eliocentrico in cui le orbite dei pianeti erano inscritte e circoscritte in solidi platonici e di conseguenza legate alla divina proporzione. La dimostrazione fu fornita un secolo più tardi dal matematico Robert Simson e ulteriormente sancita dalla scoperta della formula generatrice della serie di Fibonacci, la formula di Binet.

    La prima testimonianza scritta rintracciabile sembra risalire solo al 1835 nel libro Die Reine Elementar-Mathematik, in cui il matematico tedesco Martin Ohm scrive «è chiamata "sezione aurea"», specificando così di non esserne l'ideatore ma di usare un'espressione già discretamente diffusa. La nuova denominazione si diffuse largamente nei primi anni dell'Ottocento, trovando sempre maggiori riferimenti nelle opere scritte, prima in tedesco e poi in lingua inglese.
    La sezione aurea si diffonde nell'Ottocento anche nel campo dell'arte, comparendo nelle opere di molti artisti in cui contrariamente al passato, se ne può affermare la presenza per ammissione dello stesso artista; la proporzione aurea, in particolare il rettangolo aureo, viene considerata un canone estetico "naturale", per la sua ricorrenza in natura e che i le sue proporzioni conferissero uno straordinario senso di armonia in tutto ciò che la possedeva.
    L'ossessione per la sezione aurea produsse anche serie di ricerche di contenuti originali, come quelle volte a rintracciarne connessione nei mercati azionari, con quella che divenne nota come la teoria delle onde di Ralph Nelson Elliott, o a ritrovare utilizzi pratici surreali come il Modulor.
    Sul versante prettamente matematico, nel XX secolo l'avvento del computer e il potenziamento delle capacità di calcolo hanno permesso di ottenere stime sempre più precise del numero irrazionale che rappresenta il rapporto aureo, altrimenti incalcolabile con i soli strumenti della mente umana; il primo tentativo venne effettuato nel 1966 da M. Berg con un IBM 1401, calcolandolo fino alla 4599ª cifra, e successivamente, sempre nello stesso anno, fino alla decimilionesima.

    La sezione aurea (\Phi) è forse il numero più affascinante della storia della matematica. Come \pi (altro numero la cui onnipresenza in matematica e in fisica ha sempre generato grande fascino) \Phi è stato introdotto in geometria ma poi, inspiegabilmente, ha fatto capolino più volte in contesti molto diversi tra loro, ma sempre ugualmente fondamentali. La sua ricorrenza in ambito matematico non è la sola cosa a rendere la sezione aurea un numero tanto significativo e profondo. Molto più sorprendente è la sua ubiquità in natura: la sezione aurea compare in un’enorme varietà di piante, animali, fenomeni biologici, statistici e fisici. E come se ciò non fosse sufficiente, legate alla sezione aurea esiste anche una serie di forme geometriche che l’occhio umano percepisce come particolarmente belle e che sono state per questo usate da pittori, sculturi e architetti di ogni epoca. Possiamo dire che per certi versi la sezione aurea assurge a simbolo del collegamento inconfutabile, stupefacente eppure inspiegabile tra matematica e realtà.
    La botanica offre alcuni casi di particolare fascino. Quasi tutti i fiori mostrano infatti 3 o 5 o 8 o 13 o 21 o 34 o 55 o 89 petali: ad esempio i gigli ne hanno 3, i ranuncoli 5, la calendula 13, l’astro 21, le margherite di solito ne hanno 34 o 55 o 89; tutti numeri di Fibonacci. Un altro bellissimo esempio si ha guardando il disco interno di un girasole. Le piccole inflorescenze che vi si trovano, che si trasformano poi in semi, sono disposte in un particolare pattern che può essere ottenuto avvolgendo due spirali di senso opposto, orario e antiorario. La ragione per cui l’angolo aureo è che questa disposizione permette una migliore occupazione della superficie disponibile.


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    "questo misterioso 3,14159…
    che entra da ogni porta e da ogni finestra
    e che si trova sotto ogni tetto"
    (Augustus De Morgan)


    Una cosa è certa senza di ‘lui’ non avremmo dei cerchi perfetti. Il famosissimo Pi greco, dietro al quale si nasconde una serie numerica che approssimata è uguale a 3,14. La data scelta, il primo Pi greco day risale al 1988 e fu voluto dal fisico statunitense Larry Show che organizzò l’Exploratorium di San Francisco, non è certo casuale: in base alla convenzione anglosassone infatti, il mese viene anteposto al giorno.



    Cos’è il Pi greco

    Il Pi greco è una costante matematica, usata anche in fisica, che viene indicata con la lettera greca π. La prima volta che si ‘incontra’ il Pi greco è nello studio del cerchio, perché definisce il rapporto che c’è tra il diametro e la circonferenza. A scoprire per primo il valore Pi greco fu Archimede, il matematico e fisico usò poligoni regolari di ben 96 lati inscritti e circoscritti ad una circonferenza prima di arrivare all’attuale approssimazione di 3,14. Le altre cifre furono: 3,14 159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971…
    Il noto matematico non fu però il primo a cercare di calcolare quante volte il diametro di un cerchio può stare dentro il suo perimetro. Prima di lui infatti ci provarono i babilonesi calcolando il π a 3,125, poi gli Egizi per i quali aveva un valore di 3,1605 ma anche i cinesi, per loro Pi greco era uguale a 3.

    Dopo Archimede, Newton che, attestandosi sul valore di 3,14 calcolò le prime 16 cifre decimali e poi i computer sono arrivati a calcolarne fino a 5 miliardi di numeri. Alexander Yee e un ingegnere giapponese, nel 2013, con una particolare macchina sono riusciti a calcolare ben 12miliardi di cifre decimali. Il suo valore preciso è quasi impossibile da trovare.


    Il Pi greco è indispensabile, è impossibile costruire un arco, gallerie e tunnel perfetti . Viene infatti usato per realizzare gli strumenti degli astronomi e astrofisici. È proprio grazie allo studio Pi greco che scienziati e ingegneri sono riusciti a modellare le onde elettromagnetiche.



    3,1415926535. Il 14 marzo (3/14 se si scrive la data come gli anglosassoni appunto) è il giorno del Pigreco, quel π che misura approssimativamente 3,14 e che serve dalla quinta elementare per calcolare il perimetro e l’area del cerchio. La misura del π, che qualche anno fa grazie ad un computer con 24 dischi fissi è stata approssimata alla novemiliardesima cifra dopo la virgola, è la relazione tra la circonferenza e il suo diametro. ma a parte a prendere nove in matematica, a che cosa serve il π, tanto da volerlo celebrare con una giornata mondiale?

    La fragilità dell’arco. Il π, che è un numero trascendente e irrazionale cioè non esprimibile come frazione, è fondamentale nella nostra vita quotidiana e calcolarlo con un errore troppo grande (approssimandolo a 3 o a 3,2 per esempio) potrebbe avere conseguenze disastrose. Per esempio serve a calcolare le frequenze di oscillazione, governate da funzioni periodiche. Sbagliare il calcolo di una frequenza di risonanza di un ponte potrebbe contribuire a farlo cadere.

    Dalla chitarra all’influenza. L’oscillazione del pendolo è proporzionale a π, così come da questa costante dipende la forza di Coulomb tra due cariche elettriche e il principio di indeterminazione di Heisenberg. Ma ogni volta che suoniamo una chitarra, cioè che una corda vibra, il π ne governa le oscillazioni. Serve persino per calcolare la diffusione dell’influenza stagionale o di un profumo nell’aria.

    L’elica del Pi greco. Dai bond al Dna, dalla finanza alla medicina, tutte le volte che c’è di mezzo la statistica che usa la curva gaussiana con la distribuzione a campana serve la presenza del π, implicato anche nel calcolo dell’elica del Dna.

    Da Archimede alle torte di San Francisco. La storia del π è lunga e risale all’antichità, come lascia intendere il nome stesso. Si chiama anche «costante di Archimede» perché fu lui duemila anni fa a definire scientificamente il 3,14 facendo calcoli con poligoni di 96 lati iscritti e circoscritti alla circonferenza per giungere all’approssimazione più precisa. Prima di lui anche Anassagora aveva provato a fare la «quadratura del cerchio», molto dopo Newton ne calcolò le prime 16 cifre decimali. La festa del π è stata organizzata per la prima volta nel 1988 da Larry Show un fisico dell’Exploratorium di San Francisco.

    Il Pi greco di Einstein. Il 13 marzo è anche l’anniversario della nascita di Albert Einstein, che venne al mondo in questo giorno nel 1879.
    (corriere.it)




    Festeggiamenti bizzarri. Ci sono competizioni di torte perfettamente tonde, quelle in cui vince chi ricorda più cifre decimali del π, le corse sulla distanza di 3,14 miglia. Il Pi greco può essere festeggiato anche in altri giorni ad esempio il 22/7, frazione che dà come risultato proprio 3,14 oppure il 10 novembre che cade nel 314esimo giorno dell’anno. In quest’ultimo caso viene festeggiato il Pi Approximation Day.




    ….LA STORIA….

    EGIZIANI

    La più antica documentazione esistente di questo rapporto ci è stata lasciata da uno scriba egizio di nome Ahmes intorno al 1650 a.C., in quello che è noto oggi come il Papiro di Rhind. Ahmes scrisse: “ Togli 1/9 a un diametro e costruisci un quadrato sulla parte che ne rimane; questo quadrato ha la stessa area del cerchio”. Poiché sappiamo che l’area del cerchio è uguale a IIr , se quest’area è il quadrato di 8/9 del diametro, il testo di Ahmes implica che il rapporto della circonferenza al diametro è pari a 16 - 9 = 3,16049… Il valore implicito di Ahmes si discostava di meno dell’1 per cento dal vero valore di circa 3,141592, manifestando una precisione notevole per quel tempo. Questo risultato non ebbe però alcuna diffusione. Mille anni dopo i babilonesi e gli antichi ebrei continuavano infatti a usare il valore 3, che era molto meno esatto. Le formule contenute nel Papiro Rhind sono anche il primo caso documentato di un tentativo di “quadrare il cerchio”, ossia di costruire un quadrato con la stessa area del cerchio.


    EBREI

    La Bibbia ci fornisce informazioni molto chiare sul valore II raggiunto dagli antichi ebrei. Nello Antico Testamento, I Re,7:23, leggiamo a proposito dell’altare costruito nel tempio di Salomone: “Poi fece il mare fuso: dieci cubiti da una sponda all’altra cioè completamente rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e una corda di trenta cubiti lo circondava all’intorno”. Questo passo (che è quasi identico a II Cronache,4:2) indica che il rapporto della circonferenza al diametro è 3; esso fu scritto probabilmente intorno al VI secolo a.C. (anche se descrive il tempio costruito nel X secolo a.C.).



    GRECI

    Dopo che in Egitto lo scriba Ahmes ebbe registrato le sue formulazioni, per un migliaio di anni nessuno dedicò più molte riflessioni al rapporto fra cerchi e quadrati.. Per tutto quel tempo egizi e babilonesi ritennero che la comprensione elementare del rapporto fosse sufficiente ai fini dell’agrimensura e della costruzione degli edifici. Lo studio della misura del cerchio fu ripreso nel IV secolo a.C. dai greci. Il primo pensatore greco a tentare di trovare un rapporto definitivo fra un cerchio e un quadrato fu Anassagora di Clazomene (500-428 a.C.).

    Poco tempo dopo Antifonte e Brisone di Eraclea, contemporanei di Socrate (469-399 a.C.), tentarono di trovare l'area di un cerchio usando il principio di esaustione. Se si prende un esagono e si raddoppiano i suoi lati trasformandolo in un dodecagono, e poi li si raddoppia ancora, e ancora, prima o poi si avrà un poligono con un numero di lati tanto grande da essersi trasformato in un cerchio. Prima Antifonte stimò l’area di un cerchio, calcolando l’area dei successivi poligoni -dal numero di lati sempre maggiore. Poi Brisone fece un secondo passo rivoluzionario, calcolando le aree di due poligoni, uno inscritto nel cerchio e l’altro ad esso circoscritto. Egli ipotizzò che l’area del cerchio dovesse essere compresa fra le aree dei due poligoni: questa fu probabilmente la prima volta che si determinò un risultato usando limiti inferiori e superiori. Un paio di secoli dopo, la sfida fu ripresa dal siracusano Archimede, uno fra i massimi pensatori della storia, straordinario matematico, fisico e inventore.

    Quando rivolse la sua attenzione al cerchio, Archimede usò i metodi di esaustione di Antifonte e Brisone ma, si concentrò però sui perimetri dei due poligoni anziché sulle loro aree, trovando così un’approssimazione alla circonferenza del cerchio. Egli raddoppiò quattro volte i lati di due esagoni, ottenendo due poligoni di 96 lati, di cui calcolò i perimetri. Successivamente rese pubbliche le sue scoperte nel libro “Misura del cerchio”.( v. appendice 6): “La circonferenza di ogni cerchio è tripla del diametro, più una parte minore di un settimo del diametro e maggiore di dieci settantunesimi”(prop.3). Archimede sapeva di poter descrivere solo i limiti superiore e inferiore del rapporto, ma se si fa una media dei due valori si ottiene 3,1419, con un errore di meno di tre decimillesimi del valore reale.

    Nella storia delle matematiche c’è dissenso sul problema se a calcolare il limite inferiore del rapporto come pari a 211875/67441 (ossia circa 3,14163) sia stato Apollonio di Perga (grande matematico, di trent’anni più giovane di Archimede) o lo stesso siracusano, fondandosi sulla “Misura del cerchio”. Ma chiunque abbia compiuto i calcoli, questo è l’ultimo valore registrato di prima che il famoso astronomo Tolomeo (87-165) usasse, oltre due secoli dopo, il valore meno esatto di 3 17/120 (circa 3,14167).


    ROMANI

    Al culmine del loro impero (27 a.C.- 476 d.C.), i romani usarono spesso per II il valore di 3 1/8 (pur sapendo che 3 1/7 era più esatto), perché per le loro legioni era più facile usare 1/8 (che è una metà di una metà di una metà). In effetti, un trattato romano di agrimensura contiene addirittura le seguenti istruzioni per la quadratura del cerchio: ”Dividi la circonferenza di un cerchio in quattro parti e prendine una come lato di un quadrato; questo quadrato avrà l’area uguale al cerchio”. Ciò implica che II= 4. Conoscendo queste cose, ci sorprende che i romani abbiano potuto costruire i loro grandi monumenti.



    CINESI

    E’ noto che la Cina fu sede di una fra le più antiche civiltà scientifiche e matematiche. Ma benchè già nel XII secolo a.C. la matematica cinese avesse raggiunto buoni livelli, i cinesi continuavano a usare nei loro calcoli il valore di II=3. Gli autentici progressi della Cina nella misurazione del cerchio si sarebbero avuti solo novecento anni dopo. Ch’ang Hong, ministro e astrologo dell’imperatore An-ti nella prima metà del II secolo d.C., prima di morire, nel 139, scrisse che il quadrato della circonferenza di un cerchio sta al quadrato del perimetro del quadrato circoscritto come 5 sta a 8. Usando un cerchio unitario (un cerchio con diametro pari a 1), abbiamo che II /16= 5/8, cosicchè eseguendo il calcolo troviamo che il valore implicito di II è uguale a V10 (ossia circa 3,162). Pur essendo tutt’altro che esatto, il valore V10 divenne per molti anni l’approssimazione più popolare per II in tutta l’Asia. Wang Fau (229-267) adottava per II il valore di 3,156. Liu Hui, nel 263, usando il metodo di esaustione con un poligono di 3072 lati , trovò per II il valore di 3,1416.

    L’astronomo del V secolo Tsu Ch’ung-chih, usando poligoni inscritti di almeno 24.576 lati (con ogni probabilità partì da un esagono e ne raddoppiò il numero dei lati undici volte: 6x2 ), dedusse che vale approssimativamente 355/113 (circa 3,1415929). Questo valore differisce di solo 8 milionesimi dell’1 per cento dal valore oggi accettato di 3,141592653589. Nessuno avrebbe trovato un valore più esatto per oltre mille anni.

    INDIANI

    Attorno al 530 d.C. il grande matematico indiano Aryabatha trovò un’equazione per calcolare il perimetro di un poligono di 384 lati; ne ricavò un rapporto fra circonferenza e diametro di V9,8684 (= 3,1414). Scrisse Aryabatha che se a è uguale al lato di un poligono regolare di n lati inscritto in un cerchio di diametro unitario, e b è il lato di un poligono regolare inscritto di 2n lati, allora b=V[1/2-1/2V(1-a )], l’equazione usata per trovare il valore di II.

    Il più grande matematico indiano del VII secolo, Brahmagupta calcolò i perimetri dei poligoni inscritti di 12, 24, 48 e 96 lati, ottenendo, rispettivamente, i valori di V9,65, V9,81, V9,86, V9,87. Poi, armato da questa informazione, fece un salto di fede supponendo che, all’approssimarsi dei poligoni al cerchio, i perimetri, e quindi il II, si sarebbero approssimati a V10. Era, ovviamente, del tutto in errore. Appare strano che non si sia reso conto che le sue radici quadrate stavano convergendo verso un numero significativamente minore di 10 (in effetti il quadrato di II è solo di poco maggiore di 9,8696). La radice quadrata di 10 fu tuttavia il valore da lui adottato, e fu il valore che si diffuse dall’India all’Europa, e che fu usato nel Medioevo dai matematici di tutto il mondo, forse anche grazie al fatto che è così facile da trasmettere e da ricordare.

    ARABI

    Nel IX secolo, matematica e scienza stavano prosperando nelle culture islamiche, specialmente nell’attuale Iraq, dove viveva e insegnava uno dei più grandi matematici, Abu ‘Abd-Allah ibn Musa al-Khwarizmi. Nelle sue opere usò per il II i valori di 3 1/7, V10 e 62.832/20.000, attribuendo il primo ai greci e gli altri due a matematici indiani. Fatto più importante, nei suoi scritti usò le cifre indiane, successivamente note anche come arabe, compresi lo zero e la virgola dei decimali.



    MEDIOEVO

    Nel 1085 Alfonso VI di Castiglia strappò agli arabi la città di Toledo e, con essa, una grande biblioteca. Il sovrano promosse la traduzione latina di opere scientifiche dall’arabo, dal greco e dall’ebraico. Anche i crociati dell’ XI-XIII secolo portarono in patria libri e insegnamenti. Adelardo di Bath, all’inizio del XII secolo, tradusse in latino gli Elementi di Euclide, lAlmagesto di Tolomeo, le opere di al-Khwarizmi e introdusse nell’Occidente i numeri arabi e la relativa notazione.

    Nel 1202 Leonardo Pisano (Fibonacci) scrisse il Liber abaci , che contribuì alla diffusione in Europa dei numerali arabi e nel 1220, nella Practica geometriae, Fibonacci usò il valore approssimato di II di 1440/ (458 1/3) o di 864/275 (circa 3,1418). Il filosofo Alberto di Sassonia (1316-1390) scrisse nel “De quadratura circuli” che il rapporto della circonferenza al diametro era esattamente 3 1/7. Alla metà del Quattrocento il cardinale Niccolò Cusano affermò di avere quadrato esattamente il cerchio, trovando che il rapporto della circonferenza al diametro era di 3,1423. Il suo metodo sarebbe stato in seguito dimostrato falso da Regiomontano (Johannes Muller, 1436-1476). Nel 1579 Viète usò lo sperimentato metodo di Archimede dei poligoni inscritti e circoscritti per stabilire che II era maggiore di 3,1415926535 e minore di 3,1415926537. Per ottenere questo risultato raddoppiò i lati di due esagoni sedici volte, trovando il perimetro dei poligoni, inscritto e circoscritto, di 393.216 lati ciascuno. Ma benchè il suo valore, esatto fino alla decima cifra decimale, fosse la misurazione di II più esatta ottenuta fino allora, la conquista maggiore di Viète fu quella di esprimere II usando un prodotto infinito. Questa fu, forse, la prima volta in cui si usò un prodotto infinito per descrivere qualcosa; fu anche uno dei primi passi nella successiva evoluzione della matematica verso identità trigonometriche avanzate e verso il calcolo infinitesimale. Anche tre matematici olandesi del tardo cinquecento usarono il metodo archimedeo dei poligoni per calcolare II. Nel 1585 Adriaan Anthonisz trovò che 377/120>II>333/106. In notazione decimale, ciò significa 3,14167>II>3,14151). Otto anni dopo Adriaan van Roomen determinò II fino al quindicesimo decimale, usando in poligono inscritto di più di cento milioni di lati! Infine, Ludolph van Ceulen spese vari anni a calcolare II fino alla ventesima cifra decimale usando lo stesso metodo di Archimede, con la differenza che i suoi poligoni avevano più di 32 miliardi di lati ciascuno (60x2 ). Quando morì, nel 1610, van Ceulen aveva calcolato 35 cifre decimali, con gli stessi metodi usati dai matematici per migliaia di anni.

    IL SEICENTO, SETTECENTO, OTTOCENTO

    Il metodo di esaustione era troppo scomodo per essere usato da molti altri nel tentativo di procedere oltre. Nel 1621 il matematico olandese Willebrord Snell trovò un metodo di calcolare fondato più sull’intelligenza che sulla resistenza. Mentre i suoi predecessori avevano ogni volta raddoppiato il numero dei lati di un poligono, Snell trovò un’approssimazione migliore usando lo stesso numero di lati. Semplicemente inscrivendo e circoscrivendo un esagono a un cerchio, poté determinare che II è compreso fra 3,14022 e 3,14160. Usando un poligono di 96 lati, Snell riuscì a determinare il valore di II fino alla sesta cifra decimale e con un po’ più di lavoro riuscì a verificare le 35 cifre decimali di van Ceulen. Christian Huygens inscrivendo semplicemente un triangolo riuscì incredibilmente a uguagliare l’approssimazione di Archimede per il valore di II; con un esagono riuscì a determinare nove cifre decimali esatte, usando i limiti 3,1415926533 e 3,1415926538.

    Il matematico inglese John Wallis, contemporaneo di Huygens, affrontò in modo nuovo il problema di trovare l’area di un cerchio. L’equazione di Wallis, come quella di Viéte, è un prodotto infinito, ma ne differisce per il fatto di implicare solo operazioni razionali senza alcun bisogno di radici quadrate. Nel seicento vissero molti altri grandi matematici: Pascal, Keplero, Cavalieri, Fermat, per citarne solo alcuni. Ognuno di loro fornì un pezzo importante alla soluzione del rompicapo e si avvicinò di un passo all’importantissima innovazione del calcolo infinitesimale.

    James Gregory trovò una soluzione estremamente elegante del calcolo delle arcotangenti, che condusse poi a un metodo completamente nuovo di calcolare II: le serie di arcotangenti. Tre anni dopo che Gregory ebbe trovato questa nuova soluzione, il tedesco Leibniz scoprì indipendentemente la serie di arcotangenti. Leibniz fu uno dei padri del calcolo infinitesimale. L’altro padre fu Newton (1642-1727).

    Per determinare il rapporto della circonferenza al diametro non bastavano più calcoli elementari. Il calcolo infinitesimale e le serie di arcotangenti permisero ai matematici di compiere calcoli molto più rapidi rispetto alla misurazione di poligoni; in effetti il calcolo di soli quattro termini di una delle serie di Newton dà 3,1416. Ben presto il vero problema divenne quello dell’efficienza: trovare un’equazione che convergesse su II con la massima rapidità. Alla fine del seicento, disponendo di questi nuovi strumenti, la ricerca delle cifre decimali di II fece un brusco salto in avanti. Nel 1699 Sharp trovò 72 cifre decimali; nel 1706 Machin 100 decimali; nel 1719 de Lagny calcolò 127 cifre (ma solo 112 erano corrette). Settantacinque anni dopo, Vega calcolò140 cifre.

    Poi, alla metà del settecento, rivolse per breve tempo la sua attenzione al calcolo di II uno fra i massimi e più prolifici matematici di tutti i tempi, Leonhard Euler (meglio noto come Eulero).

    Eulero trovò molte formule di arcotangenti e serie per calcolare II, usò un metodo per calcolare 20 cifre decimali in una sola ora. Dopo i brillanti passi avanti di Eulero, l’Ottocento sembra decisamente scarso se ci si limita a considerare i progressi compiuti nei metodi per il calcolo di II.

    In effetti, solo all’inizio del XX secolo un altro matematico avrebbe trovato un nuovo insieme di equazioni da applicare al problema. I cacciatori di cifre continuarono tuttavia a trovare un numero di cifre sempre maggiore: Callet 152 (1837), Rutherford 208 (1841), Clausen 248 (1847), Rutherford 440 (1853), Shanks 607 (1853), Shanks 707 (1873).



    NOVECENTO

    Nel 1945 D.F. Ferguson calcolò 530 cifre di II con una formula con arcotangenti. Questo risultato fu il frutto di un intero anno di lavoro con carta e penna, al ritmo medio di poco più di una cifra al giorno. Nel 1947 Ferguson, con l’aiuto di una delle prime calcolatrici da tavolo, aveva trovato 808 cifre di II. Nel 1948 Smith e Wrench trovarono la millesima cifra decimale di II. Nel 1949 G. Reitwiesner, J. von Neumann e N.C. Metropolis usarono il computer Eniac, con 19.000 valvole e centinaia di migliaia di resistori e capacitori, per calcolare 2037 cifre di II. Questo calcolo richiese solo settanta ore con una media di una cifra ogni due minuti. Con l’avvento dei computer elettronici, nel 1954, si potè calcolare 3089 cifre in soli tredici minuti ( circa 4 cifre al secondo). Nel 1958 le prime 704 cifre in soli 40 secondi., Le prime 10.000 cifre in un’ora e quaranta minuti. Nel 1961 con un Ibm 7090 furono trovate 100.265 cifre con un tempo medio di 3 cifre al secondo.

    Nel 1973 J. Guilloud e M. Bouyer trovarono la milionesima cifra. Nel 1982 si trovò il valore di II fino all’8.388.608 ° (= 2 ) decimale in poco meno di sette ore. La combinazione di computer sempre più potenti e dell’algoritmo di Gauss-Brent- Salamin hanno lanciato i calcoli di II verso altezze stratosferiche. Kanada e Takahashi hanno calcolato e verificato più di 51 miliardi di cifre decimali di II, stabilendo un nuovo record mondiale.

    Il fatto di conoscere un numero di cifre di II sempre maggiore non è di alcuna utilità in nessuna applicazione concreta che non sia quella di mettere alla prova un nuovo computer. Una migliore conoscenza della natura di II può invece rivelarsi importante per la comprensione della fisica, della geometria e della matematica.



    II : UN NUMERO AFFASCINANTE


    I tentativi di comprendere la natura del II ha impegnato moltissimi matematici. Uno degli sviluppi più importanti fu la dimostrazione che II era un numero irrazionale, dimostrazione fornita nel 1767 da J.H. Lambert (1728-1777). La sua scoperta assume un’importanza particolare se si pensa al fatto che i numeri razionali (le frazioni) hanno uno sviluppo decimale che può essere finito o periodico; cioè le cifre decimali o finiscono a un certo punto, o sono seguite solo da zeri, o mostrano una continua ripetizione di un certo blocco di numeri. Ora, se II fosse razionale dovrebbe mostrare uno di questi due comportamenti, e quindi prima o poi si dovrebbe determinarne definitivamente lo sviluppo decimale. Dimostrando che II era irrazionale Lambert garantiva invece che il computo dei suoi decimali non avrebbe mai avuto fine. Come se non bastasse, nel 1882 F. Lindemann dimostrò che II non solo era irrazionale, ma anche trascendente. Un punto fondamentale è che nessun numero trascendente può essere costruito con riga e compasso. In altre parole, II non è algebrico e perciò non è neppure costruibile. La scoperta di Lindemann dimostrò che la quadratura del cerchio, un problema che aveva occupato i matematici dall’epoca di Ippocrate fino ai tempi moderni, era una causa persa. La riga e il compasso, da soli, sono insufficienti a trasformare i cerchi in quadrati.

    La storia di II ci permette anche di parlare di uno dei più importanti matematici di questo secolo, S. Ramanujan ( 1887-1920). Nelle teorie di Ramanujan si trova un’anticipazione del metodo che sta alla base dei più recenti calcoli di II, anche se per applicarlo concretamente si è dovuta attendere la messa a punto di algoritmi efficienti, di moderni supercalcolatori e di nuovi modi per moltiplicare numeri. A distanza di quasi ottant’anni, scienziati e matematici sono ancora impegnati a studiare le affascinanti equazioni di questo genio, applicandole a problemi quotidiani e usandole per generare altri algoritmi, progettati per essere applicati in modo efficiente da computer. Queste sono equazioni iterattive: permettono cioè di reintrodurre nella formula i risultati del calcolo per avere un’approssimazione a II ancora migliore. I risultati sono incredibili perché ogni volta che si fa girare l’algoritmo si può raddoppiare o quadruplicare il numero delle cifre rilevanti.

    Le cifre di II si susseguono all’infinito in un fiume che appare del tutto casuale. Trentanove cifre di II sono sufficienti per calcolare la circonferenza di un cerchio che racchiuda l’intero universo noto, con un errore non superiore al raggio di un atomo di idrogeno. I matematici ed esperti di calcolatori non si accontentano perché serve come misura della raffinatezza e dell’affidabilità dei calcolatori che lo effettuano. Inoltre, la ricerca di valori sempre più precisi di II porta i matematici a scoprire risvolti inattesi e interessanti della teoria dei numeri. Un’altra motivazione, più sincera, è semplicemente l’esistenza di II : “perché c’è”. In effetti, II è un tema fisso della cultura matematica da più di due millenni e mezzo. Per di più, esiste sempre la possibilità che questi calcoli servano a gettar luce su alcuni dei misteri che circondano II, una costante universale ancora non ben conosciuta nonostante la sua natura relativamente elementare.

    Alla fine del ventesimo secolo non dobbiamo dimenticare che questo lungo viaggio matematico alla scoperta del II ha avuto inizio da un breve trattato scritto 2225 anni fa dall’insuperato Archimede di Siracusa: “La misura del cerchio”.

    (www.museoinformatica.it)

     
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