2 GIUGNO - FESTA DELLA REPUBBLICA

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  1. Lussy60
     
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    Festa della Repubblica, tre poesie per i bambini

    Il 2 giugno si celebra la Festa della Repubblica e la nascita della nazione italiana nella data in cui si tenne nel 1946 il referendum tra Monarchia e Repubblica. La cerimonia prevede una parata militare e poi deposizione di una corona d’alloro sull’Altare della Patria a Roma.

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    Per festeggiare la nostra Repubblica, proponiamo tre poesie anche per i bambini, All’Italia di Giacomo Leopardi, Il mio paese è l’Italia di Salvatore Quasimodo, Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli diventato l’inno d’Italia.


    All’Italia di Giacomo Leopardi



    O patria mia, vedo le mura e gli archi
    E le colonne e i simulacri e l’erme
    Torri degli avi nostri,
    Ma la la gloria non vedo,
    Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
    I nostri padri antichi. Or fatta inerme
    Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
    Oimè quante ferite,
    Che lívidor, che sangue! oh qual ti veggio,
    Formesissima donna!
    Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
    Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
    Che di catene ha carche ambe le braccia,
    Sì che sparte le chiome e senza velo
    Siede in terra negletta e sconsolata,
    Nascondendo la faccia
    Tra le ginocchia, e piange.
    Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
    Le genti a vincer nata
    E nella fausta sorte e nella ria.

    Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
    Mai non potrebbe il pianto
    Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
    Che fosti donna, or sei povera ancella.
    Chi di te parla o scrive,
    Che, rimembrando il tuo passato vanto,
    Non dica: già fu grande, or non è quella?
    Perchè, perchè? dov’è la forza antica?
    Dove l’armi e il valore e la costanza?
    Chi ti discinse il brando?
    Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
    O qual tanta possanza,
    Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
    Come cadesti o quando
    Da tanta altezza in così basso loco?
    Nessun pugna per te? non ti difende
    Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: ío solo
    Combatterà, procomberò sol io.
    Dammi, o ciel, che sia foco
    Agl’italici petti il sangue mio.
    Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d’armi
    E di carri e di voci e di timballi
    In estranie contrade
    Pugnano i tuoi figliuoli.
    Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
    Un fluttuar di fanti e di cavalli,
    E fumo e polve, e luccicar di spade
    Come tra nebbia lampi.
    Nè ti conforti e i tremebondi lumi
    Piegar non soffri al dubitoso evento?
    A che pugna in quei campi
    L’itata gioventude? O numi, o numi
    Pugnan per altra terra itali acciari.
    Oh misero colui che in guerra è spento,
    Non per li patrii lidi e per la pia
    Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
    Per altra gente, e non può dir morendo
    Alma terra natia,
    La vita che mi desti ecco ti rendo.
    Oh venturose e care e benedette
    L’antiche età, che a morte
    Per la patria correan le genti a squadre
    E voi sempre onorate e gloriose,
    O tessaliche strette,
    Dove la Persia e il fato assai men forte
    Fu di poch’alme franche e generose!
    lo credo che le piante e i sassi e l’onda
    E le montagne vostre al passeggere
    Con indistinta voce
    Narrin siccome tutta quella sponda
    Coprir le invitte schiere
    De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti.
    Allor, vile e feroce,
    Serse per l’Ellesponto si fuggia,
    Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
    E sul colle d’Antela, ove morendo
    Si sottrasse da morte il santo stuolo,
    Simonide salia,
    Guardando l’etra e la marina e il suolo.
    E di lacrime sparso ambe le guance,
    E il petto ansante, e vacillante il piede,
    Toglicasi in man la lira:
    Beatissimi voi,
    Ch’offriste il petto alle nemiche lance
    Per amor di costei ch’al Sol vi diede;
    Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
    Nell’armi e ne’ perigli
    Qual tanto amor le giovanette menti,
    Qual nell’acerbo fato amor vi trasse?
    Come si lieta, o figli,
    L’ora estrema vi parve, onde ridenti
    Correste al passo lacrimoso e, duro?
    Parea ch’a danza e non a morte andasse
    Ciascun de’ vostri, o a splendido convito:
    Ma v’attendea lo scuro
    Tartaro, e l’ond’a morta;
    Nè le spose vi foro o i figli accanto
    Quando su l’aspro lito
    Senza baci moriste e senza pianto.
    Ma non senza de’ Persi orrida pena
    Ed immortale angoscia.
    Come lion di tori entro una mandra
    Or salta a quello in tergo e sì gli scava
    Con le zanne la schiena,
    Or questo fianco addenta or quella coscia;
    Tal fra le Perse torme infuriava
    L’ira de’ greci petti e la virtute.
    Ve’ cavalli supini e cavalieri;
    Vedi intralciare ai vinti
    La fuga i carri e le tende cadute,
    E correr fra’ primieri
    Pallido e scapigliato esso tiranno;
    ve’ come infusi e tintí
    Del barbarico sangue i greci eroi,
    Cagione ai Persi d’infinito affanno,
    A poco a poco vinti dalle piaghe,
    L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva:
    Beatissimi voi
    Mentre nel mondo si favelli o scriva.
    Prima divelte, in mar precipitando,
    Spente nell’imo strideran le stelle,
    Che la memoria e il vostro
    Amor trascorra o scemi.
    La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando
    Verran le madri ai parvoli le belle
    Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
    O benedetti, al suolo,
    E bacio questi sassi e queste zolle,
    Che fien lodate e chiare eternamente
    Dall’uno all’altro polo.
    Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle
    Fosse del sangue mio quest’alma terra.
    Che se il fato è diverso, e non consente
    Ch’io per la Grecia i mororibondi lumi
    Chiuda prostrato in guerra,
    Così la vereconda
    Fama del vostro vate appo i futuri
    Possa, volendo i numi,
    Tanto durar quanto la, vostra duri.

    Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli

    Fratelli d’Italia,
    l’Italia s’è desta,
    dell’elmo di Scipio
    s’è cinta la testa.
    dov’è la vittoria?
    Le porga la chioma,
    che schiava di Roma
    Iddio la creò.
    Stringiamoci a corte,
    siam pronti alla morte;

    l’Italia chiamò.
    Uniamoci, uniamoci,
    l’unione e l’amore
    rivelano ai popoli
    le vie del Signore.
    Giuriamo far libero
    il suolo natio:
    uniti, per Dio,
    chi vincer ci può?
    Stringiamoci a coorte,
    siam pronti alla morte.

    l’Italia chiamò,
    Noi siamo da secoli
    calpesti, derisi,
    perché non siam popolo,
    perché siam divisi.
    raccolgaci un’unica
    bandiera, una speme:
    di fonderci insieme
    già l’ora suonò.
    Stringiamoci a coorte,
    siam pronti alla morte.
    Italia chiamò,

    Dall’Alpe a Sicilia
    dovunque è Legnano;
    ogn’uom di Ferruccio
    ha il core, ha la mano;
    i bimbi d’Italia
    si chiaman Balilla;
    il suon d’ogni squilla
    i vespri suonò.
    Stringiamci a coorte,
    siam pronti alla morte:
    Italia chiamò.

    Il mio paese è l’Italia di Salvatore Quasimodo

    Più i giorni s’allontanano dispersi
    e più ritornano nel cuore dei poeti.
    Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
    con le colline di cadaveri che bruciano
    in nuvole di nafta, là i reticolati
    per la quarantena d’Israele,
    il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,
    le catene di poveri già morti da gran tempo
    e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
    là Buchenwald, la mite selva di faggi,
    i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
    e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
    I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
    dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!

    Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
    Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,
    e io canto il suo popolo, e anche il pianto
    coperto dal rumore del suo mare,
    il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.


    www.tuttomamma.com

     
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