ROMA la città eterna

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  1. gheagabry
     
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    "Là dove il Tevere fa un’ansa profonda – tra l’ospedale Santo Spirito e il palazzo di Giustizia – l’Imperatore Adriano individuò il luogo per essere tumulato. Era il 130 d. C. e iniziava così una delle vicende architettoniche più affascinanti e travagliate della storia di Roma."


    CASTEL SANT'ANGELO


    Castel Sant'Angelo detto anche Mausoleo di Adriano, è una sintesi della storia di Roma: strato su strato, edificio sopra edificio, un vero e proprio palinsesto. Era dopo il Colosseo, il più grande monumento e splendido esempio dell’architettura romana. La storia della cosiddetta Mole Adrianea, come a lungo venne chiamata in passato, è avvincente: mentre moltissimi altri monumenti di epoca romana vennero travolti da guerre e saccheggi, ridotti a rovine e ruderi o trasformati in cave di materiali di pregio, spogliati di tutti i loro ornamenti, il mausoleo-roccaforte ha accompagnato per quasi duemila anni le sorti e la storia di Roma. Da monumento funerario ad avamposto fortificato, da oscuro e terribile carcere a splendida dimora rinascimentale che vide attivi tra le sue mura grandi artisti, tra cui Michelangelo, da prigione risorgimentale a museo, Castel Sant'Angelo incarna con i solenni spazi dei suoi saloni, nelle possenti mura, nelle fastose camere affrescate, le vicende della Città Eterna.

    Per commemorare l'avvenimento che ha dato il nome attuale alla struttura, la statua di un angelo corona l'edificio. In origine si trattava di una statua di legno che finì per consunzione; il secondo angelo, di marmo, fu distrutto nel 1379 in un assedio e sostituito nel 1453 da un angelo di marmo con le ali di bronzo. Questo angelo venne distrutto nel 1497 da un fulmine che fece esplodere una polveriera nel castello, e fu sostituito con uno di bronzo dorato che però nel 1527 venne fuso per farne cannoni. Infine fu la volta di una statua in marmo con le ali di bronzo di Raffaello da Montelupo risalente al XVI secolo e attualmente visibile nel Cortile dell'Angelo, e poi, nel 1753, arrivò l'attuale angelo in bronzo di Pierre van Verschaffelt.

    ..... il nome .....


    Fino al XI secolo è chiamato Adrianeum ed anche templum Adriani e templum et castellum Adriani...Nel 974 se ne impadronisce Crescenzio, della famiglia di Alberico, che lo fortifica ulteriormente: perciò viene ribattezzato Castrum Crescentii. Questo nome durerà fino alla seconda metà del XV secolo, cedendo poi definitivamente il passo alla dizione attuale. Nel VI secolo appare anche la denominazione castellum sancti Angeli, in ricordo della visione dell'arcangelo Michele...Dall'XI secolo nelle bolle pontificie si usa la dizione mista Castrum nostrum Crescenzii e Castrum Sancti Angeli.
    Nelle Chansons de geste è detto anche Torre oppure Palais Croissant, denominazione quest'ultima che è la traduzione di Crescentii ma che tradotto letteralmente significa "palazzo mezzaluna" curiosamente rimandando a quella pasta lievitata a due punte che accompagna in genere il "cappuccino", detta appunto in Francia "croissant" e dai romani "cornetto".
    Prima dell'anno Mille i cronisti lo chiamano domus Theodorici ed anche carceres Theodorici perché Teodorico re d'Italia (493-526) lo adibì a prigione, funzione mantenuta anche sotto i papi e con il governo italiano, fino al 1901.

    ....la storia....



    Publio Elio Adriano (nato ad Italica, Siviglia nel 76 e morto a Baia nel 138 d.C.), imperatore romano dal 117 al 138, scelse per la costruzione del sepolcro destinato a sé ed ai suoi familiari e discendenti la riva destra del Tevere. Questa era una distesa pianeggiante coronata dai declivi di Monte Mario, del Gianicolo e del Vaticano, e occupata dagli horti di Cesare e della famiglia Domizia.
    I lavori, opera dell'architetto Demetriano, iniziarono in una data che ci è ignota (forse intorno al 130). Nel 139 d.C., anno successivo a quello della morte di Adriano a Baia, la costruzione fu ultimata. L'edificio consisteva in un basamento quadrato di 89 metri per lato, alto 15 metri, costruito in opera laterizia, con ambienti a raggiera coperti a volta. Da qui, secondo la ricostruzione ottocentesca, si levava un tamburo cilindrico alto 21 metri e di 65 metri di diametro, sormontato da un giardino pensile ed un fastigio culminante con una quadriga di bronzo, il tutto bordato da numerose statue. Il monumento era rivestito esternamente da grossi blocchi di marmo, sui quali erano fissate tabelle anch'esse marmoree con gli epitaffi dei personaggi ivi sepolti. Il cuore del monumento era ovviamente la grande sala centrale destinata alle ceneri dell'imperatore e dei suoi familiari. Era a pianta quadrata con lati lunghi m. 8,20, volta a botte alta m. 10,20 ed interamente rivestita di lastre di marmo giallo (restano i fori di fissaggio). Il portale di ingresso, in bronzo, era alto circa 5 metri. Nella cella funeraria una lapide reca incise le parole che si vuole siano state pronunciate dall'imperatore morente:

    Piccola anima smarrita e soave,
    ospite e compagna del corpo,
    che ora ti appresti a scendere in luoghi
    incolori, freddi, spogli,
    mai più ti abbandonerai ai giochi preferiti.
    (Publio Elio Adriano, Imperatore)

    Il Mausoleo ospitò i resti dell'imperatore Adriano e di sua moglie Sabina, dell'imperatore Antonino Pio, di sua moglie Faustina maggiore e di tre dei loro figli, di Lucio Elio Cesare, di Commodo, dell'imperatore Marco Aurelio e di altri tre dei suoi figli, dell'imperatore Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei loro figli e imperatori Geta e Caracalla.

    Già nel 275 la colossale tomba perde il suo carattere sacro per entrare a far parte dell'imponente sistema difensivo voluto dall'imperatore Aureliano (215-275). Nel 403 l'imperatore d'Occidente Onorio incluse l'edificio nelle Mura aureliane: da quel momento l'edificio perse la sua funzione originaria di sepolcro diventando un fortilizio, baluardo avanzato oltre il Tevere a difesa di Roma. Fu allora che il mausoleo venne indicato per la prima volta con l'appellativo di castellum. Nel VI secolo il mausoleo di Adriano, ormai divenuto fortezza. Salvò la zona del Vaticano dal sacco dei Visigoti di Alarico del 410 e dei Vandali di Genserico del 455 contro i Bizantini del generale Belisario. Allora per difendersi i romani scagliarono sugli assalitori tutto ciò che avevano a portata di mano, persino le statue: una di queste, il cosiddetto Fauno Barberini, sarà trovata più tardi nei fossati del fortilizio.
    Sul finire dello stesso secolo il mausoleo perse anche il suo nome originario.
    Correva l'anno 590 e Roma era stremata da una terribile epidemia di peste. Per impetrare la fine del morbo il neo eletto Papa Gregorio Magno (590-604) chiamò il popolo in processione. Mentre questa si snodava sotto il sepolcro di Adriano, apparve alla sommità dello stesso l'Arcangelo Michele nell'atto di rinfoderare la spada come annuncio della fine del flagello, cosa che poi avvenne. Da questo evento in poi il mausoleo di Adriano prese il nome di Castel Sant'Angelo.

    Divenuto ormai la principale roccaforte di Roma, il castello fu, con alterne vicende, ambita preda di pontefici, famiglie nobiliari (Pierleoni, Orsini, Borgia) e truppe imperiali. Il suo possesso fu oggetto di contesa di numerose famiglie nobili romane: nella prima metà del X secolo la mole diventò la roccaforte del senatore Teofilatto e della sua famiglia, la figlia Marozia e il nipote Alberico, che la utilizzarono anche come prigione, uso che il castello conserverà fino al 1901.
    Nel 932 Marozia, già amante di papa Sergio III e moglie di Alberico I marchese di Spoleto e poi di Guido di Toscana, forse per fare la "spiritosa" volle celebrare il suo terzo matrimonio con Ugo di Provenza nella camera sepolcrale degli imperatori in Castel Sant'Angelo. Ma il gesto non le portò fortuna perché durante il pranzo nuziale Alberico II, il figlio di primo letto, apparve improvvisamente in Castel Sant'Angelo costringendo Ugo alla fuga e impadronendosi del potere. Marozia finirà oscuramente i suoi giorni in una prigione di Castel Sant'Angelo. Nella seconda metà del X secolo il castello passò in mano ai Crescenzi, e vi rimase per un secolo, durante il quale i Crescenzi lo rafforzarono al punto da imporre alla costruzione il loro nome: Castrum Crescentii. Con questo nome Castel Sant'Angelo verrà identificato a lungo, anche dopo il passaggio di proprietà ai Pierleoni e successivamente agli Orsini.
    Nel 1379 venne quasi distrutto dal popolo che si era sollevato contro le truppe francesi che l'occupavano. Pochi anni dopo, nel 1395, Bonifacio IX (1389-1404) diede inizio alla sua ricostruzione, accentuando il carattere militare dell'edificio e progettando il celebre passetto che costituiva il passaggio protetto per il pontefice dalla basilica di San Pietro alla fortezza. L'inizio dell'impresa viene attribuita all'antipapa Giovanni XXIII il 15 giugno 1411.
    Nicolò V (1447-1455) fece raggiungere tre bastioni agli angoli del quadrilatero esterno e due torrette tra il ponte ed il portale d'accesso. Alessandro VI Borgia incaricò Antonio da Sangallo il Vecchio di ulteriori lavori di fortificazione. Furono così costruiti quattro torrioni inglobanti quelli di Nicolò V e chiamati con i nomi dei santi Evangelisti. In particolare, dal bastione di S. Marco si accede al passetto, in quello di S. Luca c'era la cappella del Crocifisso o dei condannati. Qui ricevevano gli ultimi conforti religiosi i condannati a morte prima di essere giustiziati nell'adiacente cortile delle fucilazioni.
    La fortezza fu quindi circondata da un ampio fossato in cui immettere l'acqua del fiume. I lavori voluti da Alessandro VI non furono diretti solo al potenziamento della struttura difensiva dell'edificio: il papa dotò il castello di un nuovo appartamento, che fece affrescare dal Pinturicchio e aggiunse giardini e fontane. Nel corso del suo pontificato Alessandro trasformò il castello, nel quale egli amava risiedere, in una sontuosa reggia dove organizzava banchetti, feste e spettacoli teatrali. Clemente VII nel 1525 fece costruire la Stufa, come allora veniva chiamato il bagno privato: una piccola stanza affrescata con ornamenti profani: delfini, conchiglie, ninfe, amorini, personaggi mitologici, ancora oggi visitabile. Nella stanza si trovava anche una vasca nella quale l'acqua veniva versata da una bronzea Venere nuda, poi andata perduta. Le cronache dell'epoca descrivono la dimora come lussuosa e sfarzosa ma oggi nulla rimane di essa, essendo stata demolita da Urbano VIII nel 1628 per far posto a nuove fortificazioni.
    Tali opere permisero, 32 anni dopo, a Papa Clemente VII di resistere sette mesi all'assedio delle truppe di Carlo V, i famosi Lanzichenecchi, che diedero inizio, il 5 maggio 1527, al tremendo "sacco di Roma".
    L'architetto Giulio Bonatti, su incarico di Urbano VIII, nel 1628, fece demolire il torrione tra il ponte ed il castello per evitare che ostacolasse il flusso delle acque del fiume e trasferì sul lato destro il portone principale. A Clemente XII (1730-1740) dobbiamo la costruzione dell'ascensore che portava dall'imbocco della rampa elicoidale alla cappella papale.
    In età napoleonica, con Roma occupata dall'esercito rivoluzionario, Pio VI Braschi (1775-1799) fu costretto a un mortificante esilio (1798) e la guarnigione di stanza a Castello alla resa. Le polveriere vennero consegnate, l’Archivio Segreto sigillato con lo stemma papale e lo stendardo pontificio sostituito con il tricolore francese. Perfino la statua bronzea dell’Angelo fu dipinta con i tre colori nazionali francesi: dichiarata “Genio della Francia liberatrice”, sulla sua testa le venne applicato un berretto frigio rosso scarlatto. Tutti gli stemmi papali ancorati sui muri della fortezza e dei bastioni, a ricordo dei lavori intrapresi nei secoli, vennero scalpellati.

    Con il ritiro delle truppe francesi da Roma, nell’ottobre del 1799, sulla sommità del Forte fu collocata invece la bandiera del Regno di Napoli che vi rimase sino alla restituzione del Castello all'esercito di papa Pio VII (1800-1823). Nel lasciare Castel Sant’Angelo i soldati borbonici svuotarono i magazzini, prelevando artiglierie e munizioni, mobili e ogni oggetto di arredamento, asportando i vetri alle finestre, le porte e i tubi di piombo che portavano l’acqua, causando così danni ingenti. L’unica attività rimasta in uso fu quella di carcere di sicurezza e di acquartieramento per le truppe poste a difesa del forte. Le devastazioni subite motivarono rilevanti lavori di restauro. Nell'Ottocento il castello venne utilizzato esclusivamente come carcere politico, chiamato con il nome di Forte Sant'Angelo. Dopo l'Unità d'Italia venne inizialmente impiegato come caserma, poi destinato museo. A questo scopo fu oggetto di lavori di restauro da parte del Genio dell'Esercito Italiano, sotto la guida del maggiore Mariano Borgatti, poi diventato il primo direttore del Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo inaugurato il 13 febbraio 1906. Per i meriti riconosciuti al suo operato di sovrintendente al restauro Borgatti venne promosso generale. In realtà i risultati dei lavori di restauro furono da molti giudicati piuttosto discutibili perché portarono ad una cancellazione dell'impronta bimillenaria del castello. I restauri del 1933-34 ripristinarono i fossati e i bastioni e sistemarono a giardino la zona tra la cinta quadrata e la struttura pentagonale.

    ...."il passetto"....


    Verso il Duecento, per rendere ancor più sicuro il castello, Niccolò III fece costruire, sopra un tratto delle mura leonine, il famoso “passetto”. l cosiddetto Passetto di Borgo è costituito da un viadotto - accessibile dal Bastione San Marco - che collega i Palazzi Vaticani con Castel Sant'Angelo. Venne edificato intorno al 1277, per volontà di papa Niccolò III, che per primo trasferì la residenza pontificia dal Palazzo Lateranense, scarsamente protetto, a quello Vaticano, circondato dalle mura fortificate della Civitas Leonina e situato in prossimità della salda fortezza di Castello. Gli architetti di Niccolò III sfruttarono parte delle vecchie mura difensive fatte erigere da Leone IV per realizzare una sorta di 'corridoio' - tanto che nelle antiche fonti si fa costantemente riferimento al Passetto menzionandolo con il nome di Corridore - che consentisse un collegamento rapido e protetto tra la sede pontificia ed il Castello, in grado di garantire l'incolumità del papa anche in situazioni di estremo pericolo quali assedi e tumulti tutt'altro che infrequenti nella turbolenta Roma medievale. Il Passetto svolse diligentemente la sua funzione di 'via di salvezza' fino al XVII secolo: tra i primi a percorrerne rapidamente gli 800 metri di lunghezza per trovare protezione all'interno di Castel Sant'Angelo, Alessandro VI Borgia (1492 - 1503), che nel 1494 è costretto a fuggire davanti alle truppe di Carlo VIII, anche se la fuga più famosa è quella di Clemente VII, che nel 1527 sfrutta il Corridore per sfuggire ai Lanzichenecchi che saccheggiano e devastano la città. E' l'ultima grande impresa legata al Passetto, che con la fine del Cinquecento vede tramontare inesorabilmente la sua funzione difensiva.

    ...le prigioni...


    All'interno di Castel Sant'Angelo numerosi sono gli ambienti destinati al carcere. La cella più malfamata era quella detta Sammalò o San Marocco, sul retro del bastione di San Marco. Il condannato vi veniva calato dall'alto e a malapena aveva spazio per sistemarsi mezzo piegato, non potendo stare né in piedi, né sdraiato. La cella era anticamente uno dei quattro sfiatatoi che davano aria alla sala centrale del Mausoleo di Adriano. Nel Medioevo era stato trasformato in segreta e qui era stato fatto un disegno dell'oscuro "San Marocco", poi storpiato in "Sammalò".
    Nel piano inferiore della costruzione semicircolare del Cortile del Pozzo, eretta da Alessandro VI, c'erano le celle riservate ai personaggi di riguardo. Qui tra il 1538 e 1539 fu detenuto Benvenuto Cellini. Famosa la sua evasione: l'artista riuscì ad evadere una sera di festa al castello calandosi dall'alto del muro di cinta con una corda fatta con le lenzuola. Nella caduta si ruppe una gamba ma riuscì ugualmente a raggiungere la casa del cardinal Cornaro, suo amico. Catturato nuovamente, fu ricondotto a Castel Sant'Angelo e rinchiuso nelle “segrete”: celle, a prova di evasione.
    Sono le prigioni storiche di Castel Sant'Angelo. Cellini stette in particolare in quella del "predicatore di Foiano", che vi era stato fatto morire di fame; vi rimase un anno, poi venne graziato dal papa per intercessione di Ippolito II d'Este e del re di Francia, suo grande estimatore. La sua cella è famosa perché su una parete Cellini vi disegnò con un rudimentale carboncino, stando a quello che egli racconta nella sua Vita (I, 120), un Cristo risorto, del quale ancora oggi ai visitatori se ne indica qualche traccia. In realtà questi resti del carboncino non sarebbero altro che segni “prodotti da crepacci di muro non imbiancato da secoli”. Sul cosiddetto Giretto di Pio IV, a destra della Loggia di Paolo III, undici prigioni utilizzate per i prigionieri politici. Originariamente erano stanze costruite per i familiari di papa Gregorio XVI. Nell'antica loggia superiore dell'appartamento pontificio di Paolo III è la Cagliostra, così chiamata perché nel 1789 vi fu tenuto prigioniero il celebre avventuriero Giuseppe Balsamo, detto conte di Cagliostro. Era una prigione di lusso destinata a detenuti di riguardo.
    Nelle celle di Castel Sant'Angelo vennero tenuti prigionieri, tra gli altri, gli umanisti Platina e Pomponio Leto, Beatrice Cenci, condannata a morte nonostante la giovanissima età e le attenuanti, e Giordano Bruno, oltre ai patrioti italiani durante il Risorgimento. A differenza di Benvenuto Cellini, molti illustri prigionieri di Castel Sant'Angelo vi persero la vita. Tanti di questi furono vittime dei Borgia. Tra di essi, il cardinale Giovanni Battista Orsini. Questi fu imprigionato in Castel Sant'Angelo con l'accusa di aver tentato di avvelenare papa Alessandro VI. Considerata la gravità dell'accusa, la madre e l'amante del cardinale, temendo per la sorte del loro congiunto si presentarono al pontefice con un'offerta: una perla rara e preziosissima in cambio del cardinale. Nota era la debolezza dei Borgia per le perle, sembra che Lucrezia ne possedesse più di tremila. Il papa accettò la proposta, prese la perla e, mantenendo fede alla parola data, restituì il cardinale: morto. Le prigioni costituiscono lo scenario del terzo atto della Tosca di Giacomo Puccini, ambientata a Roma nel 1800: il pittore Cavaradossi, condannato a morte, finisce nel carcere di Castel Sant'Angelo; qui nel cortile viene fucilato e la sua amante, Tosca, per la disperazione, si uccide buttandosi dagli spalti del castello.
     
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  2. gheagabry
     
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    Colosseo 1937 benedizione delle auto nel giorno della festa di s. Francesca Romana.




    Il Panthoen allagato per l’esondazione del Tevere Anno: 1900.

     
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  3. gheagabry
     
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    NEVE SU ROMA



    Piazza San Pietro, 26 febbraio 2018
    (AP Photo/Alessandra Tarantino)



    Il Foro romano e il Colosseo, 26 febbraio 2018
    (AP Photo/Alessandra Tarantino)



    Il Colosseo, Roma, 26 febbraio 2018
    (VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images)



    L'alba a Piazza San Pietro, 26 febbraio 2018
    (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)



    Il Foro romano e il Colosseo, 26 febbraio 2018
    (AP Photo/Alessandra Tarantino)



    La neve sul Colosseo, 26 febbraio 2018
    (AP Photo/Alessandra Tarantino)



    La neve sul Colosseo, 26 febbraio 2018
    (AP Photo/Alessandra Tarantino)




    L'arco di Costantino e il Palatino, Roma, 26 febbraio 2018
    (AP Photo/Alessandra Tarantino)




    La basilica di San Pietro in Vaticano, 26 febbraio 2018
    (TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)




    Piazza Navona, Roma, 26 febbraio 2018
    (TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)




    Fontana di Trevi, Roma, 26 febbraio 2018
    (AP Photo/Trisha Thomas)




    Roma, 26 febbraio 2018
    (VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images)



    Il campidoglio, Roma, 26 febbraio 2018
    ( VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images)

     
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    ER CANE E LA LUNA

    C’era ‘na vorta un Cane, in mezzo a un vicolo,
    che abbajava a la Luna. Passò un Gatto:
    — Lascila perde! — disse — Che t’ha fatto?
    Perché te guarda? Quanto sei ridicolo!
    La Luna guarda tutti, ma nun bada
    a quelli che s’ammazzeno pe’ strada.
    — E pe’ questo ce sformo! — disse er Cane —
    In mezzo a tante infamie e a tanti guai,
    ècchela lì! nun s’è cambiata mai
    e rimane impassibbile, rimane…
    Me piacerebbe ch’aggricciasse er naso,
    che stralunasse l’occhi… Nun c’è caso!
    — Perché ‘ste cose qui l’ha viste spesso:
    — rispose er Gatto — er monno è sempre quello.
    Quanno Caino sbudellò er fratello
    la Luna rise tale e quale adesso:
    ha riso sempre e riderà perfino
    se un giorno Abbele scannerà Caino…

    Trilussa

     
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    roma

    Roma de na vorta!

    Ho scritto 'sto sonetto pe riassume,
    Le meravije che sò de stà città,
    Roma che giace, divisa da 'sto fiume,
    Dar nome Tevere, pe mejo precisà.

    Ortre a li porti: Ripetta e Travertini,
    Ce n'era uno cor nome Ripa Granne ,
    A l'epoca usati, pe marmi e pellegrini,
    Su e giù pe fiume, portanno le bevanne.

    Co Romolo le origini, s'arzarono le mura,
    Tanto temuta e pure tanto odiata,
    'N' avette accanto è veramente dura,
    Nei secoli dai Re, sei stata corteggiata.

    Er clima è mite, la gente scanzonata,
    L'acqua fresca de la fontanella,
    Renneno bello er corzo d'a giornata,
    Riempio na bottija e bevo a garganella.

    È troppo bello esse nati a Roma,
    Avecce er ponentino er baccalà,
    Sentì cantà pe strada na canzona,
    A que li che ancora je piace stornellà.

    Piazza Navona, poi c'è piazza de Spagna,
    Fontan'de Trevi, Er palatino e Caracalla,
    Poi annamo all'osteria dove se magna,
    E 'nfine ar Colosseo, giocanno a palla.

    Te guardo tutta e nun me stanco mai,
    Me pare sempre sia la prima vorta,
    Sei pure 'n pò mignotta, e ce lo sai,
    Però te vojo bene e nun me 'mporta.

    Ventrone Antonio

     
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