ROMA la città eterna

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  1. gheagabry
     
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    IL POZZO DI MERRO


    La superficie dell'acqua è totalmente coperta di minuscole piante acquatiche che la fanno assomigliare più ad un verde "praticello" che ad un lago. Al di sotto però si apre una spettacolare dolina dalle pareti bianche e traforate da una miriade di condotti carsici di svariati diametri. Il bianco delle pareti è tuttavia visibile solo con l'aiuto di illuminatori perché la copertura vegetale della superficie filtra la luce rendendo l'ambiente oscuro.

    Il Pozzo del Merro è una profonda voragine che si apre nelle rocce calcaree all’interno della Riserva Naturale di Macchia di Gattaceca, ad una altitudine di circa 130 metri, sulle pendici meridionali di Monti Cornicolani, a 30 Km da Roma, nel territorio del Comune di S. Angelo Romano. Nel terreno si apre una voragine che scende per oltre cinquanta metri; le pareti a strapiombo sono ricoperte di rovi e piante rampicanti. Sul fondo di questa cavità vi è un modesto specchio lacustre circolare, con un diametro di una trentina di metri con una temperatura costante di 16°C.
    A Sant'Angelo Romano il significato del vocabolo Merro è andato perduto, ma il prof. A. G. Segre lo ricordarlo in un lavoro sulla toponomastica dei fenomeni carsici pubblicato nel 1956. Il vocabolo mèrro o mèro, in uso in alcune parti del Lazio e dell'Abruzzo, avrebbe proprio il significato di voragine, profonda dolina.

    La prima descrizione del pozzo risale al 1890, in un itine-
    rario turistico sulla campagna romana; nella descrizione dell'iti-
    nerario da Roma che conduce a S. Angelo, dove è citato come "una specie di voragine, nel fondo della quale si estende un laghetto ed i cui fianchi ripidissimi sono rivestiti di alberi".
    L’interesse scientifico ha inizio con i rilievi del prof. A. G. Segre nel 1948. Le ricerche idrologiche ed idrogeologiche sono continuate nel 1970, in collaborazione con l’Università “La Sapienza”, per tentare di ricostruire il processo evolutivo che ha dato origine e che ha determinato lo sviluppo della voragine così come ci appare oggi.
    Nel 1975 sono iniziate le indagine volte a stabilire la profondità della voragine. L’ultima esplorazione, nel 2002, ha permesso di raggiungere la profondità di 392 mt., senza tuttavia individuare con certezza il fondo della voragine. Allo stato attuale il Pozzo del Merro risulta la cavità carsica allagata più profonda al mondo.

    La formazione del Pozzo del Merro, come le altre cavità piccole e grandi presenti nella Piana di Tivoli, è dovuto allae faglie attive ed accelerata dall’attività idrotermale della zona. Nella Piana di Tivoli vi sono numerose sorgenti carsiche che erogano spontaneamente una rilevante portata di acque ricca di sali minerali (soprattutto calcio e solfati) e gas, con valori di temperatura di 22-23°C. Il flusso di calore e di gas si canalizza nel reticolo delle grandi fratture delle faglie “attive”, con un processo di erosione chimica inverso, l'erosione inizia in profondità sino alla superficie. Il Pozzo del Merro rappresenta una finestra sulla falda carsica regionale le cui acque transitano lentamente verso sud, dove si trovano le grandi sorgenti di Bagni di Tivoli e, in subalveo, del Fiume Aniene. Questo imponente sinkhole (voragine da sprofondamento) è una delle evidenze più maestose dell’azione dell’erosione carsica dei Monti Cornicolani, ma i rilievi carbonatici cornicolani e quelli dei vicini Monti Lucretili sono sede di continui crolli con origine di cavità carsiche. Il 24 gennaio 2001, in un campo coltivato nei pressi di Marcellina, dove, improvvisamente e senza alcun segno premonitore, si è aperto un sinkhole imbutiforme con perimetro di circa 40 m di diametro ed una profondità di oltre 10 m.
    Negli ultimi anni, si è riscontrato un drastico abbassamento del livello dell’acqua all’interno del Pozzo, compromettendo il delicato habitat esistente.
    L’interesse scientifico del Merro non si limita però all’aspetto idrogeologico, ma anche alla componente vegetale e faunistica. Le pareti della cavità sono invece fittamente rivestite da una rigogliosa vegetazione costituita per lo più da elementi sempreverdi tra i quali il leccio (Quercus ilex), che è la specie nettamente dominante, e l’alloro (Laurus nobilis). Nel sottobosco sono abbondanti pungitopo (Ruscus aculeatus), ciclamini (Cyclamen hederifolium e C. repandum), edera (Hedera helix) e varie altre specie. La vegetazione all’interno della cavità, rigogliosissima, ricorda talvolta, soprattutto se bagnata dalla pioggia, le laurisilve di alcune regioni subtropicali. A dare questa sensazione
    contribuiscono anche le numerose specie di felci presenti: ben sette le specie osservate. Nella parte più bassa della cavità, a ridosso dello specchio d'acqua, si trovano invece rigogliosi esemplari di fico (Ficus carica) e sambuco (Sambucus nigra). L'intera superficie lacustre, ricoperta fino a pochi anni fa da un verde ed uniforme tappeto di lenticchia d’acqua (Lemna minor), è oggi completamente tappezzata da una invasiva felce acquatica esotica di origine tropicale: Salvinia molesta. La presenza della Salvinia ha destato molte preoccupazioni per l’ecosistema del pozzo, dati i forti squilibri che la specie ha provocato ovunque sia giunta. L’origine della sua presenza nel Merro è molto probabilmente umana, è stata rinvenuta una tartaruga americana (genere Trachemys), che verosimilmente è stata liberata nelle acque della voragine insieme al contenuto dell’acquario che la ospitava, causando l’immissione di questa pianta invasiva non autoctona. Il Servizio Ambiente della Provincia di Roma, per ripristinare l’habitat originario, nel marzo del 2009 ha deciso l’asportazione della felce esotica con una bonifica ambientale. L’Italia è l’unico paese europeo in cui la presenza di S. molesta è accertata. Nel nostro paese questa felce è stata segnalata per la prima volta per il pisano nel Fosso dell’Acqua calda, un canale artificiale a lento scorrimento lungo la strada provinciale di Lungomonte che da S. Giuliano Terme porta ad Asciano. Quello del Pozzo del Merro è il primo rinvenimento per il Lazio, il secondo per l’Italia e, molto probabilmente, anche per l’Europa.
    Le acque della cavità ospitano diverse specie protette come il tritone punteggiato (Lissotriton vulgaris), il tritone crestato italiano (Triturus carnifex) e la rana appenninica (Rana italica). Nel 2005 è stata descritta con il nome di Niphargus cornicolanus una nuova specie di crostaceo rinvenuta nella voragine e, pertanto, specie endemica del sito.
    Il Pozzo è frequentato anche da numerosi uccelli, spesso difficilmente osservabili, che trovano rifugio e cibo nella folta vegetazione della voragine. Molto scarsi sono invece i dati sui mammiferi, tra i quali si possono citare la volpe (Vulpes vulpes) e l’istrice (Hystrix cristata).

    La presenza dell’acqua è stata la causa principale di alcune ampie ferite inferte alla cavità. Negli anni’70 infatti l’Azienda Comunale Elettricità e Acque di Roma (ACEA), ha realizzato alcune vistose strutture per l'opere di presa che sono una serie di impianti che permettono di prelevare l'acqua dai cicli naturali a fini potabili. Fortunatamente man mano che l’acqua veniva pompata la sua composizione cambiava in misura via via maggiore, divenendo sempre più ricca in composti dello zolfo. Per questo motivo l’impresa fu abbandonata nel 1978, ma i segni di questo intervento (una rotaia metallica, tubazioni, un edificio in cemento armato adiacente la dolina) sono tuttora ben visibili.

    L’accesso alla cavità, per il suo valore scientifico e la sua fragilità, oltre che per ragioni di incolumità pubblica, è oggi precluso.
     
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19 replies since 17/5/2014, 10:00   1949 views
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