ROLLING STONES - Copertine dischi in vinile

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    ROLLING STONES: The Rollin Stones.
    Rolling Stones: il 17 aprile 1964 usciva il primo leggendario album. Mezzo secolo di blues e rock'n'roll. E non si sono ancora fermati... I Rolling Stones, si sa, hanno fatto della trasgressione un marchio di fabbrica. Uno stile di vita esagerato, sempre sul filo del rasoio con una musica carica di riferimenti a sfondo erotico e ritmi sensuali accoppiati a quella vocalità energica e adrenalinica, unica di Mick Jagger. Questi sono gli Stones, cinque ragazzacci inglesi, spesso disegnati come gli antagonisti dei più mansueti (si fa per dire) Beatles, ma che attraverso una folgorante carriera che dura ormai da quasi mezzo secolo, ci hanno regalato fiumi di pagine rare, diventati veri e propri capisaldi della musica rock.
    Ma oggi siamo qui per celebrare l'incipit, il primo album dello storico gruppo rock, pubblicato il 17 aprile del 1964 e che portava come titolo semplicemente il nome della band: The Rolling Stones. L’album si sviluppa attraverso dodici tracce, nove delle quali erano cover pescate tra la grande e ricca tradizione del rhythm and blues e del rock'n'roll.
    Tra queste impossibile non citare Carol, a firma di Chuck Berry, o I Just Want to Make Love to You di Willie Dixon, ma anche I'm a King Bee scritta da Slim Harpo, che vengono riproposte con quell'energia travolgente che diventerà il leitmotiv della graffiante musicalità del gruppo. Ma troviamo anche due brani inediti, uno è Now I'Ve Got A Witness, un gradevolissimo blues strumentale scritto da tutto il gruppo e che ricorda molto quelle sonorità di un altro grande vecchio del blues come John Mayall. L'altro inedito invece è una potente ballata pop, il primo firmato dalla coppia Jagger/Richards, molto orecchiabile e arricchito da armonizzazioni corali in classico stile beat e che verrà ripreso in Italia dall'Equipe 84.



    Aprile è un mese che vede anche un altro evento speciale per gli Stones. Il 29 e il 30 infatti, le Pietre Rotolanti saranno al cinema con un attesissimo docufilm intitolatoThe Rolling Stones, Crossfire Hurricane e diretto da Brett Morgen. Attraverso interviste, spezzoni di concerti, backstage ed altri filmati, molti dei quali inediti, verranno raccontati i 50 anni della band britannica. L’ultimo album degli Stones A Bigger Band venne pubblicato nel lontano 2005, ma viene da chiedersi se e quando il gruppo ci regalerà un nuovo lavoro in studio. A tal riguardo il frontman Mick Jagger durante un’intervista rilasciata pochi giorni fa all’U.S.A. Today ha dichiarato che 'sarebbe bello avere un nuovo disco in uscita, ma la gente che va ai concerti si diverte solamente grazie alle canzoni vecchie, quelle canzoni che conoscono bene e che hanno fatto parte dei loro ricordi'. A questo punto speriamo e confidiamo nell’ennesima trasgressione della band, magari con la pubblicazione dell’atteso 34esimo album in studio. Ma comunque vada… It’s only Rock and Roll!
    (di Tony Romano - Panorama.it)
     
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    THE ROLLING STONES: Beggars Banquet.
    E' il 1968. L'appena terminata estate dell'amore appassisce sotto le torride ondate di manifestazioni studentesche di tutta Europa; la lotta contro l'autorità di istituzioni come la famiglia, la religione e lo stato era attuata "con il sangue e con il ferro" (per dirla alla Bismarck).

    I nuovi ribelli del 68, i giovani che per la prima volta nella storia del genere umano avevano i soldi in tasca, i miscredenti atei e idolatri di Che Guevara, quelli che imbrattavano i muri dell'università di Parigi, coloro i quali rifiutavano contemporaneamente i valori borghesi e la nuova industria nata apposta per loro, possono contare su di un'arma mai come allora più efficace: il rock. Anche per il figlio del blues é un periodo di turbolenti mutamenti: i futuri Genesis, ancora adolescenti, elaborano fra i banchi del liceo il progressive; il robusto power blues dei New Yardbirds, i futuri Led Zeppelin, di Jimmy Page emette i suoi primi vagiti, con le ormai prossime esibizioni in Scandinavia; la psichedelia, nelle menti di personaggi come il buon folle Syd 'Madcap' Barrett dei Pink Floyd, assurge finalmente al rango di vera, grande opera d'arte, in lavori come A Saurceful Of Secrets.

    E ai Rolling Stones cosa stava succedendo? Dopo il pop del primo 67 di "Between The Buttons" e la sbandata psichedelica, tutta fiori e ghirlande, del balordo "Their Satanic Majesties Request" alle calcagna dei Beatles, gli Stones vivono una presa di coscienza: fare gli hippie non é nelle loro corde. E come avrebbero potuto, poi: proprio loro erano stati i responsabili dell'immagine più trasgressiva e avversa del rock. Complice la sempre più precaria influenza di Brian Jones (anche se in questo microsolco il suo apporto è ben lungi dall'essere assente), morto un anno dopo, la premiata coppia Jagger/Richard (prima che si chiamasse Richards) segna un deciso, ostinato e categorico ritorno alle radici rhythm and blues della band. Preceduto a maggio dall'ottimo singolo Jumpin' Jack Flash, nel novembre del 68 esce nei negozi "Beggars Banquet" (Il Banchetto Del Mendicante). Capostipite di una tetralogia di capolovori e pietre miliari della storia della musica, che enuclea "Let It Bleed", "Sticky Fingers" e "Exile On A Main Street", il disco era un'autentica bomba già alla data di pubblicazione.

    La volgare e decadente copertina, raffigurante un'insozzata e diroccata latrina, rifiutata negli USA e sostituita da un'innocua e ruffiana imitazione di un verginale biglietto da visita, segna il ritorno al lato oscuro della Rock e alla loro immagine di "brutti sporchi e cattivi". Ispirata dalle allora contemporanee vicende politico-sociali, la superba "Street Fighting Man", anche singolo conduttore del disco, diventa una profonda riflessione sui temi cruciali della vita da ribelle. Ma il vero capolovoro della raccolta é la sinistra "Sympathy For The Devil", dove le esplicite liriche sataniche, influenzate dalla lettura di "Il Maestro E Margherita" di Bulgakov, gli infuocati fraseggi di Keith Richard, le eleganti partiture per piano di Nicky Hopkins e la perfetta interpretazione vocale di un dotto e acuto Lucifero da parte di Mick Jagger, fanno di questo brano un contributo tanto epico quanto terrificante alle pagine della Storia del Rock. In "Stray Cat Blues", Jagger e compagni analizzano le tematiche sessuali già portate alla ribalta nei precedenti lavori. Brain Jones riemerge temporaneamente dall'abisso oscuro delle droghe e della depressione, prima di precipitarvi definitivamente, e regala all'ascoltatore delle vere perle: "No Expectations" (grande pezzo di Sitar) e "Dear Doctor". Con una cornice intarsiata sui cupi bassifondi di New Orleans o Chicago, questo album é stato ed é uno dei pilastri del R&B.
    (debaser.it / Recensione di Missing)

    Curiosità sulla Copertina

    L’album “Beggars Banquet” dei Rolling Stones fu messo in vendita il 6 dicembre del 1968 avvolto in una normale copertina bianca cercando di farlo sembrare un invito, completo di RSVP (per chi non lo sapesse vuol dire “Répondez s’il vous plait“, “si prega di rispondere”, si tratta di un modo comunemente riconosciuto per richiedere una risposta ad un invito). La ragione per cui venne avvolto in una copertina bianca era il fatto che il disco originale ero costituito da un’immagine di uno sporco bagno ricoperto da graffi e scritte sui muri e per questo motivo fu respinta sia dalla Decca Records in Inghilterra e la London Records negli Stati Uniti. La band inizialmente rifiutò il cambio di copertina e dopo diversi mesi di ritardo gli Stones si arresero e pubblicarono l’album avvolto nella copertina bianca. La foto originale fu scattata dal celebre fotografo Barry Feistein, morto nel 2011 nella sua casa di Woodstock nello stato di New York, all'età di ottant'anni, celebre per aver catturato col suo obiettivo, alcune delle più grandi star del rock di sempre. Lo scatto immortala un minuscolo e sporco bagno in un’officina Porsche a Los Angeles. Uno degli indizi evidenti che la foto fu scattata in un’officina meccanica è l’adesivo “Champion Spark Plugs” sul sedile del water. Nel 1984 la copertina originale fu rilasciata con la prima rimasterizzazione del CD. (dal web)
     
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    THE ROLLING STONES: LET IT BLEED.
    “Let it Bleed” è un disco del 1969. Sono passati quasi quarant’anni ma non sembra risentirne affatto. Suona coinvolgente e vibrante come allora.È un album che chiude un decennio fantastico per la band londinese, fatto di capolavori quali “Aftermath” e “Beggar’s Banquet” che li hanno consacrati come star della musica mondiale. È un disco vigoroso e potente, molto importante nella visione complessiva della rock band di Jagger e compagni, perché esce immediatamente dopo un periodo particolarmente travagliato per il gruppo. Pochi mesi prima, infatti, muore Brian Jones, polistrumentista e elemento centrale della band, da poco scaricato da Jagger e soci e sostituito con Mick Taylor. Viene ritrovato senza vita nella propria piscina, il 3 luglio del ’69, probabilmente a causa di un’overdose d’alcool e droghe, ma non sarà mai completamente chiara la dinamica del suo decesso – i maligni arrivarono a parlare di suicidio e, addirittura, di omicidio. nio fantastico per la band londinese, fatto di capolavori quali “Aftermath” e “Beggar’s Banquet” che li hanno consacrati come star della musica mondiale. È un disco vigoroso e potente, molto importante nella visione complessiva della rock band di Jagger e compagni, perché esce immediatamente dopo un periodo particolarmente travagliato per il gruppo. Pochi mesi prima, infatti, muore Brian Jones, polistrumentista e elemento centrale della band, da poco scaricato da Jagger e soci e sostituito con Mick Taylor. Viene ritrovato senza vita nella propria piscina, il 3 luglio del ’69, probabilmente a causa di un’overdose d’alcool e droghe, ma non sarà mai completamente chiara la dinamica del suo decesso – i maligni arrivarono a parlare di suicidio e, addirittura, di omicidio.

    Il disco esce verso la fine dell’anno, e dimostra subito di essere grintoso e tipicamente in stile “rolling stones”. Molto influenzato dal blues, offre un paio di canzoni diventate poi storiche (su tutte “Gimme Shelter” “Let it bleed” e “You Can't Always Get What You want”) ed un suono accattivante e selvaggio che si sviluppa in tutte le tracce.

    “Let it bleed” continua ad evidenziare la grandezza del gruppo, confermando i “Rolling Stones” non soltanto come gli antagonisti, i rivali cattivi e ribelli dei “fab four”, i Beatles di Lennon McCartney, bensì una rock band di spessore e qualità incredibile, capace di creare melodie uniche e indimenticabili, spaziare tra i generi e gli stili musicali – qui soprattutto country e blues – e offrire una musica eccezionale ed eterna.
    Fenomenale è l’inizio dell’album, con la vigorosa ed eccitata “Gimme Shelter”, dove la voce di Jagger si fonde perfettamente con quella del controcanto impetuoso e femminile di Merry Clayton e viaggia sullo splendido tappeto sonoro di chitarre, armoniche e batteria, concitato e coinvolgente. Una canzone da pelle d’oca, uno dei più travolgenti cavalli di battaglia del gruppo.
    La seconda canzone, “Love in vain”, è più tranquilla e delicata: è la cover di una famosissima canzone di Robert Johnson, uno dei primi veri artisti del blues, una leggenda di quel genere, scomparso prematuramente a soli 29 anni.
    La voce di Jagger, quindi, si adatta alle nuove melodie di questa traccia, blues al 100%, con la chitarra di Richards in primo piano, poi il mandolino di Ry Cooder e un’atmosfera calda e appassionata che sembra riportarci immediatamente sulle sponde del delta del Mississipi.
    Ancora il blues è la linfa vitale della successiva “Country Honk”, che riprende “Honky Tonk Woman”, sempre del gruppo, e la riadatta in chiave country-blues. Eccellente è il violino suonato da Byron Berline ed il risultato complessivo è quello di una ballata calda e artigianale, molto originale.
    “Live with me” torna al rock tipico della band, e lo fa con un pezzo particolarmente orecchiabile e complesso. Basso in evidenza sin dalle prime, poi batteria incisiva e chitarra che accompagnano la voce cattiva e aggressiva di Jagger (“Come on now, honey We can build a home for three Come on now, honey Don't you wanna live with me?”), insieme al pianoforte che crea un tappeto sonoro particolare e convulso, sino al lungo e improvviso a solo di sax che conclude il brano.
    Poi è il turno del brano che dà il titolo al disco, “Let it bleed”. Molto americana e “on the road” nel sound, con spruzzate ancora di country e blues, ha nell’interpretazione di Jagger (che canta “Well, we all need someone we can lean on And if you want it, you can lean on me”) e nella chitarra di Richards i suoi punti di forza. Un pezzo molto coinvolgente, senza dubbio, impresso a chiare lettere nella storia della musica rock.
    Basso, armonica e batteria sono l’asse portante dell’originale “Midnight Rambler”, inquieta e selvaggia ballata blues, dove il suono diventa sempre più concitato e ossessivo man mano si prosegue nel pezzo. Ancora chitarre, atmosfere sempre più deliranti lungo tutto il pezzo mentre Jagger racconta la storia di questo “vagabondo di mezzanotte”.
    “You got the Silver” è cantata, stranamente, da Keith Richards, ed è davvero strano sentirlo interpretare questo brano blues quasi acustico, con toni melodici e malinconici, nei quali ogni tanto la chitarra elettrica fa sentire la sua presenza. Un pezzo triste ed eccezionale, che sale di tono nella seconda parte, dove Richards si lascia andare sia nel canto, che nelle eccellenti evoluzioni con la sua inseparabile chitarre.
    “Monkey man” inizia con dei suoni cristallini e delicati, per poi dare ampio spazio al puro rock and roll: la chitarra di Richards emoziona e incanta, Jagger canta con violenza e grande partecipazione raccontando le vicende di questo “uomo scimmia”, fino alla conclusione gridata ed martellante del brano, con voce e chitarra follemente intrecciate.
    Toni angelici, quasi da chiesa, introducono “You can’t always get what you want”. È il “London Bach Choir” che incanta con le sue celestiali voci. Poi la chitarra acustica di Richards, seguita dal canto malinconico ed emozionante di Jagger, in una lunga e perfetta ballata, per oltre sette minuti di splendida musica in stile stones, in cui si alternano e si fondono strumenti come l’organo e il corno, suonati da Al Kooper, e le percussioni di Rocky Dijon. Davvero splendida ed emozionante, forse il pezzo più bello dell’intero disco.

    Uno degli album più intensi e vibranti del gruppo di Jagger e Richards, “Let it bleed” regala nove canzoni perfette, suonate in modo eccellente, da ascoltare e riascoltare all’infinito.
    Anche a distanza di quasi quarant’anni questo disco non ha perso nulla del suo originale splendore. La carica esplosiva che esce fuori da tutte le tracce è incredibile, la voce di Jagger e la chitarra di Richards da pelle d’oca, ed il risultato è un disco che conclude alla grande il decennio dei Sessanta, con uno sguardo al passato ma in anticipo sui tempi, ponendo salde basi per le sonorità degli anni successivi e diventando un esempio da seguire per tutti i gruppi che, dopo di loro, hanno suonato musica rock.
    Forse fu proprio con quest’album che le pietre rotolanti divennero una delle rock band più influenti e importanti della musica di tutti i tempi. Di sicuro, con “Let it bleed” i Rolling Stones riuscirono a superare un momento molto difficile e affermare con prepotenza il loro sound nel panorama musicale mondiale.
    (lankelot.eu/ Recensione: rapace)

    Curiosità sulla Copertina

    Fu Keith Richards a commissionare il suo amico graphic-designer Robert Brownjohn per creare l'immagine di copertina dell'album "Let It Bleed". Il titolo provvisorio dell'opera era "Automatic Changer", quindi l'idea di riferimento di Brownjohn era il modo in cui i vecchi giradischi permettevano agli utenti di ascoltare LP, con cambio automatico, in modo da farli suonare uno dopo l'altro. L'immagine è caratterizzata da una scultura surreale comprendente l'LP "Let It Bleed" suonato da un braccio di un giradischi d'epoca e sopra posizionato l'albero, che dovrebbe raccogliere gli LP, sostituiti invece da diversi oggetti e precisamente, un nastro o bobina contenente un film, un quadrante di un orologio, una pizza, uno pneumatico e in cima venne inserita una torta con delle piccole sagome a rappresentare i membri della band. Sul retro dell'LP troviamo la stessa scultura, ma completamente distrutta. La torta fu fatta dal poco noto chef Delia Smith incaricato da Brownjohn.(dal web)
     
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    THE ROLLING STONES: Emotional Rescue.
    Pubblicato nel 1980, "Emotional Rescue" rappresenta un clamoroso capitombolo creativo nella storia discografica dei Rolling Stones. L'album cerca disperatamente di rincorrere e ripetere il grande successo commerciale ottenuto due anni prima da "Some Girls". Mentre "Some Girls" segnava un deciso ritorno al pensiero rock dei tempi migliori, "Emotional Rescue" si presenta come un'opera scontata, claudicante, commerciale e con pochi spunti degni di nota. Basta osservare l'insulsa copertina dove i corpi dei musicisti sono ripresi con la tecnica della termofotografia, esempio della moda elettronica molto presente nelle produzioni del periodo, per farsi un'idea dei suoi contenuti.

    Il disco ha sonorità plastificate che a tratti lo rendono noioso. Per non scomodare inutili paragoni con i capolavori targati primi anni settanta, qui manca quella sensazione di imprevedibile mordi e fuggi dettata dalle chitarre presente in diversi pezzi di "Some Girls". I brani sono tutti eseguiti con grande esperienza e con una buona dose di mestiere che riesce sempre a far passare in secondo piano una certa mancanza di creatività compositiva e una sempre più spiccata comercialità. Manca completamente l'effetto sorpresa e l'attitudine a variare i suoni. "Emotional Rescue" è un disco piatto e interlocutorio che risente troppo delle influenze modaiole del periodo. MicK Jagger all'epoca, forse in preda al delirio dato dalla febbre del sabato sera, avrebbe fatto meglio a frequentare meno gli amici discotecari americani per concentrarsi maggiormente sulle radici blues che in un glorioso e lontano passato spuntarono dal delta di Dartford. D'altro canto anche Keith Richards, stranamente, non riesce ad avere spunti abbastanza creativi per dare la giusta grinta ad un'opera sotto tono. Ma a Lui si può perdonare tutto.

    Il disco si apre con una composizione firmata Jagger-Richards-Wood, "Dance (Part I)". Si tratta di un brano funky, serrato, abbastanza lucido nella sua esecuzione. "Summer Romance" e "Let Me Go" sembrano scarti delle sessions di "Some Girls", sono brani comunque spigliati e di presa immediata. "Send It To Me", grazie alla scomoda amicizia con Peter Tosh, è contaminata dalle sonorità reggae tanto amate dalla band mentre "Indian Girl" è una ballata sdolcinata con la voce di Jagger in primo piano. "She's So Cold" è essenziale e possiede un ritmo incalzante mentre "Where The Boys Go" è caratterizzata da un suono troppo tirato e duro. "Down In The Hole" è un buon blues potente e convinto e "All About You" è una zampata di Richards. Si tratta di una delicata ballata soul suonata con sentimento e cantata con spirito posta in chiusura. Probabilmente il momento migliore di un disco appena dignitoso. Un cenno a parte lo merita il brano che intitola il disco. "Emotional Rescue" è una sfacciata dance song con Jagger abilissimo a sfoderare tutti i suoi trucchi vocali, dal falsetto al sussurro. Forse più adatta ai Bee Gees di "Spirits Having Flown" che alle Pietre Rotolanti. Un brano pesante e ruffiano che sicuramente all'epoca sarà piaciuto a chi abitualmente frequentava le discoteche alla moda di New York. Troppo danzereccio però per lo zoccolo duro dei fans.

    L'album "Emotional Rescue" ottenne comunque il solito successo di vendite e di classifica. La critica però si dimostrò fredda e dura con gli Stones e con la loro tendenza a produrre canzoni piuttosto commerciali. Solo il successivo "Tattoo You", pubblicato l'anno dopo, avrebbe riportato gloria e stima in casa della band grazie ad un ritrovato entusiasmo compositivo.
    (debaser.it / Recensione: currahee72)


    Curiosità sulla Copertina

    La copertina dell'album “Emotional Rescue” dei Rolling Stones uscito sul mercato nel 1980, fu disegnata dal graphic designer Peter Corriston. Essa presenta una selezione di foto termografiche scattate da una termo-camera, un dispositivo capace di misurare le emissioni di calore. Nella versione originale l’album venne avvolto in un enorme poster a colori con più termoscatti della band e l'album stesso avvolto in un sacchetto di plastica. Anche per il video musicale di "Emotional Rescue" fu utilizzato lo stesso tipo di inquadrature termografiche.
    (dal web)
     
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3 replies since 17/7/2013, 00:11   1246 views
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