POESIA in cucina

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  1. gheagabry
     
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    SPAGHETTINI A L'ODOR DE MARE
    Aldo Fabrizi

    Scallate a secco un chilo de telline (o arselle),
    appena che so' aperte e so' scolate,
    staccatele dar guscio (che buttate)
    e dateje tre o quattro sciacquatine.

    Friggete l'ajo a fette fine fine
    cor foco basso, quanno so' indorate,
    metete le telline e ce schiacciate
    un paro d'alicette senza spine.

    C'è chi le fa cor sugo; a me me pare
    che questa sia 'na giunta negativa,
    perchè je leva quell'odore de mare.

    Però p'avè 'st'odore c'è 'no scoio,
    si nun se pesca a un mijo da la riva
    l'odor de mare ... puzza de petroio.

     
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  2. gheagabry
     
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    TAJOLINI A LA GIUDIA
    Aldo Fabrizi




    Un po' de pasta all'ovo, quella secca,
    du' cucchiarate d'ojo raffinato,
    un po' de pepe appena macinato
    e 'sta ricetta qui nun fà 'na pecca.

    Ce vò più tempo a coce 'na bistecca,
    che a preparà 'sto piatto delicato
    perciò, si mezzogiorno è già sonato,
    niente paura, un attimo e s'azzecca.

    Fateve 'sto piattino e quann'è ar dunque
    ve sentirete tanta umanità
    da esse riguardoso co' chiunque.

    Ah...staccate er telefono, che scoccia
    regolarmente all'ora de magnà,
    così chi chiama se la pia in saccoccia.

     
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  3. gheagabry
     
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    LA PANZANELLA

    Aldo Fabrizi


    E che ce vo’
    pe’ fa’ la Panzanella?
    Nun è ch’er condimento sia un segreto,
    oppure è stabbilito da un decreto,
    però la qualità dev’esse quella.
    In primise: acqua fresca de cannella,
    in secondise: ojo d’uliveto,
    e come terzo: quer di-vino aceto
    che fa’ venì la febbre magnarella.
    Pagnotta paesana un po’ intostata,
    cotta all’antica,co’ la crosta scura,
    bagnata fino a che nun s’è ammollata.
    In più, per un boccone da signori,
    abbasta rifinì la svojatura
    co’ basilico, pepe e pommidori.

     
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  4. gheagabry
     
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    È l'ora del tè, è l'ora del tè,
    corri a prenderlo da me!
    Qui in Casa De' Mocassini
    ci son torte e pasticcini
    e se sbirci tra le tazze
    scoprirai mille dolcezze:
    creme, focaccine e marmellata,
    panna, biscotti e frutta caramellata!
    C'è persino il panspeziato,
    burro, miele e un tortino salato.
    Siedi pure accanto al fuoco,
    verso l'acqua, appena un poco
    entro il bordo della teiera
    già fumante or ora piena,
    e di zucchero qualche zolletta,
    ecco, gira pure senza fretta.
    Son già le cinque in punto,
    il tè è servito giustappunto!


    © Clelia Canè, 2014

     
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  5. gheagabry
     
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    O’ raù (il ragù napoletano)


    La leggenda del ragù

    La leggenda legata al famoso ragù napoletano, decantato anche dal grande de Filippo in una sua poesia dal titolo appunto 'o rrau'. A Napoli alla fine del 1300 esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la citta' a piedi invocando "misericordia e pace". La compagnia giunse presso il "Palazzo dell'Imperatore" tuttora esistente in via Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois figlia di re Carlo d'Angio'.All'epoca il palazzo era abitato da un signore che era nemico di tutti, tanto scortese quanto crudele e, che tutti cercavano di evitare. La predicazione della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel "Palazzo dell'Imperatore" decise di non accettare l'invito dei bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figliolo di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole grido' tre volte: "Misericordia e pace". Il nobile era accecato dall'ira, serbava rancore e vendetta, ed un giorno la sua donna, per intenerirlo gli preparo' un piatto di maccheroni. La provvidenza riempi' il piatto di una salsa piena di sangue. Finalmente commosso dal prodigio, l'ostinato signore, si rappacifico' con i suoi nemici e vesti' il bianco saio della Compagnia.
    Sua moglie in seguito all'inaspettata decisione, preparo' di nuovo i maccheroni, che anche quella volta come per magia divennero rossi. Ma quel misterioso intingolo aveva uno strano ed invitante profumo, molto buono ed il Signore nell'assaggiarla trovo' che era veramente buona e saporita. La chiamo' cosi' "raù" lo stesso nome del suo bambino.

    'O 'rraù, la poesia di Eduardo

    Eduardo De Filippo rende omaggio,
    con una sua poesia al ragù napoletano nella sua commedia Sabato, domenica e lunedì.

    O 'rraù


    'O rraù ca me piace a me
    m' 'o ffaceva sulo mammà.
    A che m'aggio spusato a te,
    ne parlammo pè ne parlà.
    io nun songo difficultuso;
    ma luvàmmel' 'a miezo st'uso

    Sì,va buono:cumme vuò tu.
    Mò ce avéssem' appiccecà?
    Tu che dice?Chest' 'è rraù?
    E io m' 'o mmagno pè m' 'o mangià...
    M' ' a faja dicere na parola?...
    Chesta è carne c' ' a pummarola


    La ricetta

    Il ragù non è la carne ca' pummarola. come recita la poesia di Eduardo. Non è di facile realizzazione ed inoltre per essere saporito come quello della mamma del de Filippo richiede una lunghissima cottura. Attualmente si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne. Il ragù, come recita Eduardo,veniva cotto su di una fornacella a carbone e doveva cuocere per almeno sei ore! La pentola in cui si dovrebbe cuocere è un tegame di creta largo e basso, e per rimestarlo occorre la cucchiarella di legno. Il ragù napoletano è il piatto tipico domenicale e base per altre pietanze altrettanto saporite, come ad esempio la tipica lasagna che a Napoli viene preparata con il ben di Dio durante il periodo di Carnevale.



    Ingredienti:


    - 1 kg. di spezzatino di vitello,
    - 2 cipolle medie,
    - 2 litri di passata di pomodoro,
    - un cucchiaio di concentrato di pomodoro,
    - 200 gr. di olio d'oliva,
    - 6 tracchiulelle ( ovverosia le costine di maiale),
    - 1/4 di litro di vino rosso preferibilmente di Gragnano,
    - basilico,
    - sale q.b.



    Esecuzione:

    E' consigliabile preparato il giorno prima mettendo la carne nel tegame, unitamente alle cipolle affettate sottilmente e all'olio. Carne e cipolla dovranno rosolare insieme: la prima facendo la sua crosta scura, le seconde dovranno man mano appassire senza bruciare. Per ottenere questo risultato, bisogna rimanere ai fornelli e sorvegliare la vostra "creatura",
    pronti a rimestare con la cucchiarella di legno,e bagnare con il vino, appena il sugo si sara' asciugato: le cipolle si dovranno consumare, fino quasi a dileguarsi. Quando la carne sara' diventata di un bel colore dorato, sciogliete il cucchiaio di conserva nel tegame e aggiungete la passata di pomodoro. Regolate di sale e mettete a cuocere a fuoco bassissimo, il ragù dovra', come si dice a Napoli, pippiare parola onomatopeica che ben descrive il suono del ragu' che cioe' dovra' sobbollire a malapena a quel punto coprirete con un coperchio sul tegame, senza chiuderlo del tutto. Il ragù adesso dovra' cuocere per almeno tre ore, di tanto in tanto rimestatelo facendo attenzione che non si attacchi sul fondo


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  6. gheagabry
     
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    Ode alla Nutella.

    O pane pane, pane con Nutella,
    perché con te la vita è così bella?

    Gustosa crema, voluttà proibita,
    ma senza te, che può chiamarsi vita?

    Pane fragrante sopra cui ti spalmo,
    ti gusto rasentando il cardiopalmo,

    poi ti ricerco sopra la mia bocca,
    e su ogni briciola la lingua mi si blocca.

    Rimani nella bocca ad estasiarla,
    indugio fino quasi a intimorirla,

    e tanta è l’estasi che provo nel gustarla,
    che quasi non riesco a deglutirla.

    Ma quando poi quell’attimo è passato,
    il mio cucchiaio è presto riaffondato

    in quel barattolone gigantesco,
    sempre presente al centro del mio desco.
    (Patrizia Vivanti)
     
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    Er Pandorato

    Le fette de pagnotte un po' rifatte
    vanno tajate inerte, no' a sfojetta
    com'er pane che chiameno a cassetta,
    quelle nun pònno mai rimane intatte.
    E mò ve spiego come vanno fatte:
    s'hanno da mette in una terinetta
    a mollo a 'no sbattuto d'òva e latte
    e ce se fanno sta 'na mezzoretta.
    Quanno ch'er Pane è bene imbeverato
    s'indora fritto all'ojo o a tutto buro
    p'ave' diritto ar nome "Pandorato".
    Certo chi soffre de colesterina
    e nun se vo' aggravà, rinunci puro,
    e vada a letto co' la minestrina.

    Aldo Fabrizi



    Pane fritto alla romana




    La famosa gastronoma Ada Boni, nel suo ricettario La cucina romana (1930), in cui recuperò piatti tipici dimenticati della tradizione gastronomica capitolina, descrive la preparazione:

    “Si tagliano delle fette di pane tenendole spesse un dito e ricavandone, dopo aver portato via la crosta, dei pezzi quadrati di circa 6 cm di lato. Si allineano queste fette in un piatto e si spruzzano leggermente di latte tiepido per ricoprirle poi con uno o più uova sbattute, secondo la quantità del pane dorato da farsi. Alle uova sbattute si aggiunge un pizzico di sale. Si lasciano queste fette così almeno per un’ora, per dar modo al pane di assorbire completamente l’uovo. Poi si sollevano le fette ad una ad una per mezzo di una palettina e si immergono nella frittura”.
     
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21 replies since 11/7/2013, 11:37   441 views
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