JUNIOR MASTERCHEF ... “piccoli cuochi crescono”

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  1. giuliascardone
     
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    Lidia Bastianich: «Il mio ritorno a casa. In Friuli»



    La cuoca di origini istriane, tra i protagonisti di MasterChef Jr e ambasciatrice dei sapori italiani negli Stati Uniti, ci racconta la sua storia: dalle salsicce della nonna ai ristoranti di Manhattan. Fino all’ultima locanda aperta in Friuli. Per ritornare alle origini


    Lidia Bastianich è proprio come la sua gastronomia: una persona calda, deliziosa, piacevole, che ti accoglie con un’intensità e una familiarità che ti fanno sentire a casa. Al tempo stesso si avverte che è una persona sensibile e attenta, proprio perché conosce la sofferenza, il distacco, la malinconia di ciò che si è amato e si è perduto. Nata nel 1947 a Pola, a causa della politica di Tito è fuggita dall’Istria, lasciando tutto dietro di sé. O quasi tutto, perché già allora aveva sviluppato un legame profondo con le radici della cucina italiana, che in seguito la renderà famosa in America e nel mondo. Ha scritto libri, condotto show televisivi, aperto ristoranti, tra cui Felidia, Del posto, Esca e Becco a Manhattan. È stata ospite della versione americana e italiana di MasterChef e dal 2014 è giudice di Junior MasterChef Italia con Bruno Barbieri e Alessandro Borghese.

    Come è nata la sua passione per la gastronomia?
    «Viene da lontano, nasce come qualcosa di naturale e organico. Da bambina vivevo con mia nonna, a due chilometri da Pola, in una corte che per me era un paradiso, con tanti animali, tra cui maialini, conigli, capre. Si facevano l’olio, il vino, i prosciutti, si seccavano i fichi e le salsicce venivano imbevute nello strutto per rimanere più morbide… Sono cresciuta in un mondo molto legato al cibo».

    A un certo punto dovette lasciare l’Istria…
    «Sì, prima arrivai a Trieste, con mia madre e mio fratello. Passammo il confine fingendoci turisti, dato che non era più permesso uscire. Poi riuscì a raggiungerci mio padre. Non immaginavo che non sarei più tornata dalla nonna. Quando ho saputo la verità mi sono sentita come una patata strappata a forza dalla terra».

    A quali immagini dell’infanzia è più legata?
    «Ricordo la pasta fatta in casa e il forno comunale dove due volte la settimana si andava a cuocere il pane: ognuno doveva portare la sua legna. La nonna preparava la biga, di cui sento ancora l’odore. E il sapore di quel pane: bastavano un po’ di olio, una fetta di prosciutto con il grasso che si scioglieva per renderlo speciale. Ricordo anche i fichi: li raccoglievamo dall’albero, quando cominciavano ad avere le prime crepe bianche…»

    Da Trieste la sua famiglia si trasferì in America. Come ha affrontato quel periodo?
    «Il cibo mi ripeteva le storie di casa, mi ricordava da dove venivo. Era un mezzo per curarmi dal trauma: mi rincuoravano i gusti e gli odori familiari. Ho potuto rivedere mia nonna solo dopo dieci anni, ma il collegamento con lei non si era mai interrotto. Al tempo stesso iniziavo a conoscere anche i sapori della mia nuova patria».

    Cosa la colpì di più della gastronomia americana?
    «La massiccia presenza dei dolci. A 14 anni cominciai a lavorare in una pasticceria tedesca di Astoria: per farmi assumere dissi che avevo due anni di più. Fu lì che incontrai l’attore Christopher Walken, di cui sono tuttora molto amica. Allora si occupava di consegnare le torte, spesso insieme ai suoi due fratelli. Gli piaceva tantissimo cucinare e pure oggi è un ottimo chef».

    Quando ha deciso che sarebbe diventata chef di professione?
    «Per una ragione o l’altra finivo sempre tra i fornelli. Già a 12 anni, quando eravamo profughi in Italia e andavo a scuola dalle suore, aiutavo in cucina per potermi pagare gli studi. In America poi mia madre lavorava moltissimo e spesso mi incaricava occuparmi del cibo. Mi forniva una ricetta che io cucinavo per la famiglia: mi piaceva seguire le indicazioni della mamma. Poi ho conosciuto Felice Bastianich, con cui mi sono sposata nel 1966 (da lui Lidia ha avuto due figli, Joe e Tanya, poi ha divorziato nel 1997, n.d.r.), che era nel mondo dei ristoranti. Nel 1971 abbiamo deciso di aprire un nostro piccolo locale, Buona Via, nei Queens. Io lo dirigevo, ma facevo pure da assistente allo chef… e imparavo. Con il ristorante successivo, Villa Secondo, e soprattutto con Felidia, cominciai a ottenere l’attenzione dei critici gastronomici e ad acquistare popolarità».

    Lei è nota al pubblico italiano come giudice di Masterchef Junior. Cosa le ha lasciato quell’esperienza?
    «Ho conosciuto deliziosi giovani chef italiani, con un’approfondita conoscenza dei prodotti e tutti legati alle radici, alla regionalità, alla cucina della mamma e della nonna. Ognuno voleva vincere, ma si aiutavano l’un l’altro senza alcun problema».

    Cosa le hanno trasmesso?
    «Mi hanno dato coraggio. La mia gastronomia non è creativa, io mi ritengo un’ambasciatrice delle tipicità italiane in America. Ma in quei ragazzi mi ha colpito la capacità di partire dalla tradizione per sperimentare le proprie elaborazioni personali».

    Cosa pensa della cucina italiana oggi? È cambiato il modo di cucinare?
    «Sono convinta che gli italiani apprezzino troppo il cibo per arrendersi al fast food, anche se quasi tutte le donne oggi lavorano. La tipica famiglia italiana va ancora a fare la spesa per acquistare prodotti locali e regionali. L’italiano impara fin da bambino ad apprezzare la buona gastronomia e non si arrende alla convenienza del prezzo contro bontà e qualità».

    Con quali prodotti preferisce cucinare?
    «Con quelli della tradizione italiana. In assoluto ho bisogno di un buon olio d’oliva: mi piacciono quelli pugliesi, quelli toscani piccanti che uso per una bistecca ai ferri, o quelli dei laghi e della Liguria, più leggeri, quasi al gusto di burro, che accompagno a un pesce al vapore. Poi adoro il Grana Padano, i pomodori di San Marzano, le lenticchie di Castelluccio…».

    Ha dei colori prediletti?
    «Il verde degli ortaggi mi trasmette un sentimento di pace. Allo stesso modo mi diverto ad aggiungere il rosso Siena del pomodoro, o i riflessi delle gocce di aceto balsamico tradizionale. Le stoviglie invece le preferisco bianche. Una ricetta impiattata deve essere armonica in tutte le sue componenti. E naturale».

    È contenta che anche i suoi figli siano nel business di famiglia?
    «Non li ho spinti io a seguire questa strada, anche se fin da bambini sono stati immersi in questo mondo. Volevo che avessero un’educazione all’americana: Joseph è diventato trader a Wall Street, Tanya ha studiato arte a Oxford. Ma poi sono entrambi tornati. Joe ora è chef e ristoratore e Tanya mi aiuta nelle ricerche, organizza i miei programmi ed è co-autrice dei miei libri».

    Suo figlio la nomina nella pubblicità della Buitoni, facendo un paragone tra la sfoglia industriale e quella della mamma…
    «Niente è più buono della sfoglia fatta in casa! Ed è talmente semplice: basta avere uova fresche, farina, un po’ di acqua, un po’ di olio d’oliva. L’importante è lavorare la pasta con morbidezza, in modo che i fili di glutine diventino leggeri e resistenti come seta».

    Nel 2010 lei e suo figlio Joe avete collaborato con Oscar Farinetti e Mario Batali all’apertura di Eataly. Che rapporto ha con Mario?
    «Mario Batali è una grande persona, con molto talento, ed è per me come un figlio adottivo. Sono io che ho fatto incontrare Mario e Joe, perché pensavo che insieme avrebbero espresso molta energia. Dunque anche lui è parte della nostra famiglia adesso. Tra l’altro, adora l’Italia».

    Nuovi progetti?
    «Un piccolo ristorante a Cividale del Friuli, dove abbiamo anche un’azienda agricola. Lo abbiamo aperto a settembre, si chiama Orsone e ha perfino sei camerette».

    (03 giugno 2014)

    www.oggi.it/cucina/news-cucina/2014...casa-in-friuli/


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    ...con il marito, Felice Bastianich..

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    ...con i nipoti...

    lidia_bastianich

    ...da giovane...



    FONTE:
    © www.oggi.it/cucina/news-cucina/2014...casa-in-friuli/,
    Photo credit / source:www.istrianet.org,www.storyofthestars.com,www.coca-colacompany.com
     
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