ANTONINO CANNAVACCIUOLO ... “un cuoco di peso”

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  1. giuliascardone
     
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    Voce (e padelle) a Cannavacciuolo,
    o il Gordon Ramsay nostrano



    di Francesco Pagani


    Campano d’origine e piemontese d’adozione, Antonino Cannavacciuolo è lo Chef che il mondo ci invidia per grande equilibrio e finezza. Ma perché i suoi clienti la scelgono? «Credo mi scelgano perché nel mio ristorante è possibile ritrovare i sapori di una cucina che unisce la mediterraneità del Sud Italia e i gusti Piemontesi.


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    Siamo sul Lago d’Orta, in Piemonte, lontano da casa mia, e quanto propongo è una tipologia d’accostamento di gusti che incuriosisce e affascina. Poi, come me, il personale del ristorante di Villa Crespi ha un’attenzione particolare al benessere dei nostri clienti, dico sempre che senza di loro non avremmo ragione di ricercare quella particolare cura dei dettagli che fanno la differenza».

    Che opinione ha del bombardamento mediatico sul settore enogastronomico?

    «Fin da bambino ho visto la tavola come punto di riferimento: a tavola si sono sempre fatti i migliori contratti di lavoro, incontri felici tra amici, parenti e colleghi. Ora anche la tv si è accorta di quanto la cucina sia un mezzo di integrazione. Proviamo ad immaginare un’Italia con locali e ristoranti chiusi per una settimana, sarebbe una vera e propria crisi».

    Come avviene la selezione e l’introduzione di nuovi piatti nel menù?

    «Un piatto può nascere dal niente. Un’occhiata al prodotto, un piatto mi gira per la testa anche un anno. In questo caso attendo e “dialogo” con i prodotti, fino a trovarne l’utilizzo perfetto. I miei piatti devono essere prima di tutto belli alla vista riunendo tra loro oltre alla bellezza estetica, la finezza e il gusto».

    Qual è il piatto che meglio la rappresenta?

    «Dipende dal momento. Per esempio in questo periodo mi ritrovo molto nella scarola liquida con burrata, scampi e trucioli di pane. Domani potrei ritrovarmi di più nelle linguine. Tutti i miei piatti, mi rappresentano in un modo o nell’altro».

    Qual è stata la sua esperienza più forte e gravosa?

    «Quando avevo soli 24 anni, io e mia moglie Cinzia abbiamo iniziato a gestire Villa Crespi. Mi sentivo sempre sotto giudizio, mentivo sull’età, ma nonostante mi aggiungessi qualche anno mi sentivo spesso dire: “Sei così giovane!” Ricordo gli anni dal 1999 al 2003 come molto impegnativi, ricchi di soddisfazioni ma anche dettati dalla fatica di un costante e duro lavoro. Poi nel 2003 sono arrivate le 3 forchette. E da allora il lavoro e l’impegno sono aumentati…».

    Ci sono stati dei “maestri” nella sua crescita professionale?

    «Per me maestri tutti e maestro nessuno. Ho lavorato sempre in brigate 5 stelle dove non c’era un nome famoso, non era come oggi, si lavorava tutti insieme, mossi dallo spirito di squadra e dalla volontà di fare il meglio. Chi mi ha dato l’ispirazione e la voglia di fare questo mestiere è stato sicuramente mio padre, un artista nel suo campo».

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    Quali insegnamenti impartisce alla sua brigata?

    «Che questo lavoro lo devi amare o non lo puoi fare, è un lavoro meraviglioso ma comporta tanti sacrifici, un lavoro che può far male».

    Cosa raccomanda ai giovani che si avvicinano alla cucina?

    «Quello che mi ha raccomandato mio padre tanti anni fa: quando si fa questo lavoro bisogna farlo bene. Una buona gavetta ripaga sempre. Ricordo sempre ai miei ragazzi che lavorare in una cucina dove si guadagna facilmente facendo poca fatica è una perdita di tempo».

    Quali sono e come si esprimono le sue ambivalenze nei piatti?

    «Spesso i miei clienti quando mi vedono arrivare in sala, con i miei 120kg di peso e la mia statura di un metro e novanta, restano stupiti. Dopo aver mangiato i miei piatti, dicono di aspettarsi uno Chef magrolino. Evidentemente le aspettative di chi non mi conosce dopo aver provato la mia cucina sono differenti dalla mia corporatura. Probabilmente esprimo una finezza e una leggerezza che fisicamente non posseggo».

    Com’è stata la sua esperienza in Cucine da incubo (in onda su Sky a partire dal 15 maggio)?

    «Bellissima e impegnativa. Non avevo mai visitato le cucine in cui registravamo. Sedersi a tavola, da sconosciuto, e cominciare a parlare di cosa secondo me non andava non è stato per niente facile. Ho dovuto affrontare i ristoratori direttamente, faccia a faccia, e cercare di far capire loro che il lavoro di una vita stava andando a rotoli. Ho cercato di dare loro i consigli che ritenevo più appropriati».

    Che tipo di atteggiamento ha trovato nei titolari dei ristoranti che ha cercato di aiutare?

    «All’inizio ho trovato persone chiuse. Credo sia una reazione del tutto normale quando c’è chi mette in discussione il tuo lavoro. Ma quando mi mettevo ai fornelli tutte le tensioni si attenuavano, l’amore per la cucina placava gli animi. Un ristoratore mi ha detto: “Chef perché non l’ho conosciuta 20 anni fa?”».

    Chef, arrivederci.

    Ciao guagliò.

    (sabato, 07 settembre, 2013)



    Fonte:www.lintraprendente.it,www.iodonna.it,www.arteteca.net,www.villacrespi.it,web
     
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