Recensione -"La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano

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    Recensione -"La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano

    “La solitudine dei numeri primi” è la storia di Alice, anoressica, e Mattia, riservato, brillante, ma che cerca a tutti i costi di farsi del male, e della loro relazione lungo l’andare degli anni.



    Mattia è il personaggio più curioso e più problematico, anche Alice è un personaggio interessante, ma mai quanto Mattia: e tra i due “numeri primi gemelli” Mattia è certamente il più solo, il più perduto. Alice e Mattia non sono persone identiche e forse è questa la distanza che li tiene lontani, che li costringe a star fermi, che impedisce loro di sfiorarsi. Ma è pur vero che Alice e Mattia sono accomunati dal desiderio di non lasciar scorrere la vita, di fermarla per riflettere e dall’impossibilità di farlo: sono investiti dalla vita, ma non nel senso che agiscono approfittando delle occasioni senza pensare alle conseguenze; al contrario, è proprio la consapevolezza o la paura delle conseguenze a bloccarli, l’imbarazzo e la timidezza e la solitudine ad isolarli e così la vita scorre loro addosso come un fiume, su cui non sanno navigare perché il timone è completamente assente, le travi piene di buchi vertiginosi di un episodio passato taciuto e “spaventoso”. Se lo comunicano silenziosamente questo passato (e a volte anche qualche parola affiora a rompere il silenzio), ma allo stesso tempo lo trattengono dentro ed entrambi vorrebbero nascondersi: Alice assottigliarsi fino a diventare invisibile, motivo principale della sua anoressia - dopo quello secondario di apparire magra alle compagne da adolescente - , Mattia ridurre i propri movimenti e i propri passi al silenzio, al nulla. Non mi soffermerò a lungo sulla mania di Mattia delle lame, sulla sua tensione a farsi del male, reale, cruda, scioccante: come ho già detto, ritengo Mattia il personaggio più complicato, reduce da una scomparsa tutt’altro che scomparsa e di cui si sente tragicamente, orribilmente responsabile, e penso che, proprio per questo, sia forse il personaggio più difficile da analizzare e che lo scrittore crea senza approfondire veramente. È stupefacente – a mio avviso – la capacità di uno scrittore “alle prime armi” di creare due personaggi tanto profondi e sfuggenti persino alla sua penna, di attribuire loro problemi che, presenti ma al tempo stesso messi “a margine” nella nostra realtà, farebbero paura a chiunque osi avvicinarsi, o che causerebbero commiserazione e pietà ma non vera comprensione. Penso che uno scrittore, invece, comprende a fondo i suoi personaggi, e - in qualche modo - vi si identifica, provandone tenerezza, ed inoltre non manca mai di dar loro autonomia e vita propria, non riuscendo del tutto ad afferrare la loro profondità, specchio della propria e del proprio genio.



    La scrittura e lo stile del libro solo fluidi ed immediati. Mancano dialoghi particolarmente lunghi ed intensi così come i lunghi periodi, che sono invece brevi, limpidi e semplici, ricoperti di un velo di ingenuità infantile. C’è chi questo lo chiamerebbe “incapacità di scrivere bene”: io, al contrario, ritengo che scrivere bene sia proprio “osare la semplicità”, magari sbagliando all’inizio, magari correndo il rischio della banalità, ma comunque con tutta l’umiltà di chi vuole comunicare, non “ingarbugliare”. Ad ognuno il proprio stile purchè non sia banale, né ridondante, freddo, distaccato dal lettore. Paolo Giordano è quello che io definirei “un’impressionista”: poche pennellate, grosse, definite. Forse ancora apprendista, ma non fesso di certo.

     
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