L'ENEIDE

di Virgilio

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    L'ENEIDE






    L'Eneide (latino Aeneis) è un poema epico, considerato il più rappresentativo dell'epica latina, scritto dal poeta e filosofo Virgilio nel I secolo a.C., tra il 29 a.C. e il 19 a.C.
    Il poema racconta la leggendaria storia di Enea, un principe troiano fuggito dalla città, dopo la conquista dei greci, che arrivò in Italia, dove diventò il precursore del popolo romano.


    VIRGILIO





    Publio Virgilio Marone (Publius Vergilius Maro), o semplicemente Virgilio, (70 a.C. - 19 a.C.) poeta latino.

    Nacque a Andes, un villaggio nei pressi di Mantova (nell'allora Gallia Cisalpina), corrispondente secondo la tradizione all'odierna Pietole, probabilmente in una ricca famiglia di agricoltori.
    Ebbe dal padre un'educazione, che lo portò studiare grammatica a Cremona e retorica a Milano, poi a Roma (53 a.C) e a Napoli, dove forse frequentò la scuola del filosofo epicureo Sirone epicureo.
    Non fece molti progressi nell'oratoria a causa del carattere e di difetti nella pronuncia, si dedicò quindi alla filosofia, alla medicina e alla matematica.

    Aderì alla corrente poetica Poetate novi. Ma gli orizzonti gli furono aperti dalla lettura del De rerum natura di Lucrezio: Virgilio vi trova il suo grande modello, pur non accettando la concezione intesa a negare l'immortalità dell'anima.

    Conobbe Mecenate ed entrò a far parte del suo circolo, che raccoglieva molti letterati famosi dell'epoca. Ebbe parecchi contatti con Augusto. Viene considerato il maggiore poeta di Roma e dell'impero.


    Dalle Bucoliche all'Eneide


    Le Bucoliche (o, ma meno correttamente, Egloghe) sono il primo testo che Virgilio ha sicuramente composto e rivelano frequentazioni epicuree. Le compose dopo il ritorno nella casa paterna (44 a.C.) fra il 42 e il 39 a.C.: in quest'opera, Virgilio allude più volte ai gravi avvenimenti del 41 AC, quando nelle campagne del Mantovano ci furono confische di terreni, destinati a ricompensare i veterani della battaglia di Filippi.

    Il periodo fu turbato da gravi disordini e Virgilio rievoca il dramma dei contadini espropriati. Pare che Virgilio stesso avesse perso nelle confische il podere di famiglia e l'avesse poi riacquistato per intervento di Ottaviano in persona, o di alcuni personaggi citati nelle Bucoliche e tutti coinvolti nell'amministrazione del territorio transpadano (due sono ben noti uomini di cultura: Asinio Pollione e Cornelio Gallo).

    Le Bucoliche non recano alcuna traccia del grande amico e protettore di Virgilio, Mecenate - l'ispiratore delle Georgiche - mentre vi ha notevole rilievo Pollione, destinato, però, a scomparire del tutto dall'opera di Virgilio. Subito dopo la pubblicazione delle Bucoliche, Virgilio entrò nella cerchia di Mecenate e quindi anche di Ottaviano.

    Negli anni d'incertezza e di lotta politica che precedettero la battaglia di Azio (31 AC), Virgilio lavorò all'elaborazione del poema georgico. Nel 29 AC, Ottaviano, di ritorno dall'Oriente, si fermò ad Atella, in Campania, dove Virgilio gli lesse le Georgiche che erano state da poco terminate. L'opera era composta da quattro libri e raccontavano la vita dei campi. Entrava nel disegno politico di Augusto che voleva ricondurre il popolo all'agricoltura, in quanto troppo incline all'ozio e alla corruzione.


    L'Eneide


    Negli anni seguenti, fino alla morte, il poeta si dedicò alla composizione dell'Eneide. Il poeta lesse alcune parti del poema al principe, ma, nel 19 AC, morì a Brindisi, di ritorno da un viaggio in Grecia, prima di aver concluso l'opera, e fu sepolto a Napoli sulla via di Pozzuoli.
    La sostanza vera e viva del poema è la glorificazione dell'impero romano, in Enea, suo mitico fondatore, e nella Gens Iulia, che da lui discese.
    L'Eneide doveva, per volontà del suo autore, essere distrutta, non essendo stata sottoposta alla revisione finale. Augusto intervenne per salvare il poema e affidò l'edizione del manoscritto a Vario Rufo, noto poeta, e Tucca, amici personali di Virgilio.
    L'Eneide fu pubblicata senza alcuna aggiunta o modifica, divenendo il poema sacro.


    Attività e riconoscimenti


    Fu l'unico scrittore classico sempre accettato dalla Chiesa e per questo ebbe un grande successo anche durante il medioevo. Ciò permise alle sue opere di essere tramandate completamente.
    La sua Eneide fu studiata nelle scuole e ha continuato ad esserlo per tutta l'era cristiana. La pietà naturale del poeta era evidente, al di sopra di ogni religione.
    Gli si attribuì infatti un ruolo di profeta mancato del cristianesimo, basandosi su un suo brano (IV Egloga) che parla della venuta di un bambino che avrebbe riportato l'età d'oro. Oggi gli studiosi sono più propensi a pensare che il bambino cui si riferisce Virgilio fosse in realtà l'allora giovane Ottaviano e non, come si credeva nel medioevo, Cristo.

    Ancor più sorprendenti gli ultimi versi del libro VI dell'Eneide, un presagio del nuovo destino di Roma. La Sibilla descritta da Virgilio (Eneide, libro IV) sostenne, nella letteratura cristiana primitiva, un ruolo simile a quello dei profeti dell'Antico Testamento.


    Opere


    * Bucoliche, dieci brevi componimenti in esametri, detti anche egloghe e composti fra il 42 AC e il 39 AC.
    * Georgiche, poema didascalico in quattro libri in esametri, completato nel 29 AC;
    * Eneide (Aenéis), poema epico in dodici libri, in esametri. Opera non portata a termine, i cui segni d'incompiutezza si ritrivano in qualche incongruenza, qualche ripetizione compositiva ed alcuni versi incompleti che Virgilio stesso chiamava tibicines, "puntelli".

    I testi poetici noti come Appendix Vergiliana sono in gran parte spuri: solo un paio di brevi componimenti potrebbero essere autentici e appartenere alla produzione giovanile.





    Storia della letteratura






    L'Eneide fu ben presto adottata come libro di scuola, mentre i detrattori si dedicarono a cercare frasi e concetti "rubati" ai predecessori tanto greci che latini. Queste ricerche ebbero un benefico effetto sullo sviluppo della filologia latina. Liste di "fonti" di Virgilio sono confluite fino ad autori tardi, come il famoso Grammatico del IV secolo Servio per i e costituiscono una vasta riserva di informazioni. Una pleiade di poeti minori imitò la tecnica virgiliana, e una parte di questo lavoro confluì, nel corso del I secolo DC, nella cosiddetta Appendix Vergiliana.

    La cultura cristiana nello sforzo di assimilare la letteratura pagana trovò in Virgilio il suo migliore punto di attacco. Tra i più vistosi fenomeni di assimilazione vi fu l'interpretazione cristiana della IV egloga, riletta come un simbolico annuncio dell'avvento del Redentore sulla terra. La cultura medioevale trasformò Virgilio in un sapiente, un mago, un profeta, trovando alimento in nuove letture condotte secondo il filtro dell'allegoria.

    L'Umanesimo cinquecentesco fece dell'opera di Virgilio uno stabile canone di riferimento. La riscoperta di Omero attualizzò il confronto Omero-Virgilio, che già era stato in auge nella cultura romana di età classica. I commenti virgiliani del Cinque-Seicento volsero il confronto a tutto detrimento di Omero.

    Il romanticismo capovolse tale giudizio, esaltando una poesia "spontanea" e nazionale, mentre in epoca totalitaria i regimi colsero in Virgilio un culto autoritario e bellicoso della romanità, ma con il mutato clima politico si riscoprì il "Virgilio poeta della pace".



    LA STORIA


    Alla morte di Virgilio il poema, composto da dodici libri, restò incompiuto; nel suo testamento aveva lasciato detto di bruciarlo nel caso non fosse riuscito a completarlo, ma Augusto si oppose personalmente e, a sua volta, ordinò a Vario, uno dei migliori amici del poeta, di curarne la pubblicazione.
    Il motivo della pubblicazione da parte dell'Imperatore era dovuto al fatto che Virgilio aveva scritto il poema con il proposito di realizzare un'opera capace di celebrare allo stesso tempo, sia i motivi ideali e le qualità morali che avevano contribuito alla costruzione dell'impero di Roma, sia la presunta discendenza divina della Gens Iulia, ossia la famiglia cui apparteneva lo stesso Augusto, che in quel momento era alla guida dell'Impero romano.
    Di qui, la scelta di Virgilio di narrare le mitiche vicende di Enea, figlio di Anchise e della dea Afrodite, il quale, oltre ad essere considerato "padre" dei Romani in quanto fondatore della città laziale di Albalonga, dalla quale sarebbero giunti i primi abitanti di Roma, veniva anche considerato, da parte della Casa Giulia, come il suo più celebre antenato.

    Secondo la leggenda, Virgilio scriveva soltanto tre versi al giorno.
    Nel XV secolo ci furono due tentativi di scrivere un'aggiunta all'Eneide, per renderla più completa; per primo ci provò Pier Candido Decembrio, ma non non lo portò mai a termine. Il secondo tentativo fu del poeta Maffeo Vegio, che ebbe più successo e fu spesso inserito nelle edizioni rinascimentali del poema con il titolo di Supplementum.

    I primi sei libri del poema narrano la storia dei viaggi e le peripezie di Enea, da Troia all'Italia, questa parte somiglia molto all'Odissea; nella seconda parte si racconta della guerra tra i Troiani e i Latini, con richiami evidenti all'Iliade e alla fine la vittoria dei Troiani contro i Latini, nome con cui saranno riconosciuti in seguito Enea e i suoi sostenitori.



    Le Divinità



    Venere, è la madre di Enea che fa sbocciare l'amore tra Enea e Didone.
    Giunone, divinità avversa e nemica principale di Enea, gelosa del suo successo.
    Giove, garante del Volere e del Fato, più che un dio, compare come un'entità astratta e imparziale che rappresenta l'equilibrio.
    Poseidone, Eolo, Mercurio, Dei Latini e originari del Lazio, che servono per realizzare il volere maggiore.


    Enea



    Il personaggio principale dell'Eneide è Enea, un eroe eletto dagli dei, infatti viene definito "pio". Enea è un capo maturo e responsabile che si assoggetta completamente al volere degli dei, rispetta suo padre Anchise, è premuroso con il figlio, è sincero e corretto ma spesso ha momenti di incertezza e di dubbio; per tutto questo Enea è considerato il simbolo delle virtù della romanità, cioè:

    - Coraggio
    - Lealtà
    - Giustizia
    - Clemenza
    - Devozione verso gli dei
    - Pazienza
    - Elevato senso civico

    Enea non rappresenta i personaggi di Omero, Achille ed Ulisse, perché si affida al fato per proseguire nelle sue imprese e pur essendo forte e coraggioso, non cerca guerre.


    L'Eneide e l'ambientazione circostante


    L'Eneide è ambientata in luoghi molto diversi tra loro infatti si svolge in parte in Oriente e in parte in Occidente; si avvicendano dettagliati paesaggi naturali a città, fino a le regge di Priamo e di Cartagine.

    Il poema fu composto nel momento in cui a Roma si stavano verificando grandi cambiamenti politici e sociali, in quanto dopo la caduta della Repubblica, la guerra civile aveva scosso fortemente la società e il ritorno alla pace e allo sviluppo, dopo tanti anni di guerre, stava cambiando il modo di confrontarsi con le varie categorie sociali e usanze culturali.
    Per affrontare questa situazione, l'imperatore Augusto cercava di riportare Roma verso i valori morali tradizionali; l'Eneide raccontava nei suoi contenuti queste intenzioni, infatti Enea è raffigurato come un uomo dedito allo sviluppo del suo paese, anziché interessato ai propri problemi, ciò ha reso possibile arrivare alla fondazione e alla gloria di Roma.
    Attraverso l'Eneide si cerca di confermare l'autorità di Giulio Cesare e del figlio adottivo Augusto e dei suoi discendenti, infatti il figlio di Enea, Ascanio, detto anche Ilo, da Ilio, altro nome di Troia, viene rinominato Iulo da Virgilio e viene definito un antenato della gens Iulia, la famiglia di Giulio Cesare. Durante il viaggio nel mondo sotterraneo dei morti a Enea viene predetta la futura grandezza degli imperiali discendenti di Roma. Successivamente riceve da Vulcano un'armatura e delle armi e uno scudo decorato con immagini del futuro di Roma dove vengono rappresentanti gli imperatori, tra i quali Augusto.
    Nell'Eneide l'onore e la dignità dei Romani si salvano attraverso la descrizione del rapporto tra Troiani e Greci.
    I Troiani erano considerati gli antenati dei Romani, mentre i Greci, che avevano assediato e distrutto Troia, erano i loro nemici; ciò nonostante all'epoca in cui l'Eneide fu scritta, i Greci erano un popolo che faceva parte dell'Impero Romano, allo stesso tempo era assoggettato ma anche rispettato e considerato per la sua cultura e civiltà. Si sosteneva infatti che i Greci avevano battuto i Troiani soltanto grazie al trucco del cavallo di legno e non con una battaglia sul campo.



    Temi Trattati nell'Eneide


    Nell'Eneide si ritrova come tema principale il concetto filosofico della contrapposizione.
    La più evidente è quella tra Enea, guidato da Giove, che rappresenta la pietas, cioè la devozione e la capacità di ragionare con calma, e Didone e Turno, guidati da Giunone, che impersonano il furor, cioè agire seguendo le emozioni e senza ragionare.
    Le altre contrapposizioni si trovano nel Fato contro l'Azione, in Roma contro Cartagine, nel maschile contro il femminile ed infine tra Enea, simile ad Ulisse nei libri I-VI contro Enea simile ad Achille nei libri VII-XII.
    La pietas era considerata la qualità più importante di ogni cittadino romano, che doveva rispettare vari obblighi morali, verso gli dei, la patria, i propri compagni e la propria famiglia, soprattutto nei confronti del padre. Questa riforma morale sostenuta da Augusto era volta a dare dei buoni esempi alla goventù romana. Uno dei temi affrontati nell'Eneide è proprio lo studio delle relazioni tra padri e figli: Enea e Ascanio, Anchise ed Enea, Evandro e Pallante, Mesenzio e Lauso.
    Tema fondamentale dell'Eneide è insegnare che attraverso la pietas gli uomini devono accettare le azioni degli dei come parte del destino, infatti Virgilio, tracciando il personaggio di Enea si riferisce ad Augusto e propone che gli dei realizzano i loro piani attraverso gli uomini, Enea aveva il compito di fondare Roma, Augusto doveva governarla e tutti e due dovevano sottomettersi a quello che era il loro destino.


    Il Successo dell'Eneide



    L'Eneide ebbe da subito molto successo, anche nelle scuole, infatti prima della sua pubblicazione venne accolta da Properzio come un'opera che avrebbe superato all'Iliade. Durante il Medioevo fu interpretata in modo metaforico dal punto di vista cristiano. Dante Alighieri scelse Virgilio come sua guida nella Divina Commedia, definendolo maestro di vita e d'arte.
    I poemi cavallereschi del Cinquecento presero spunto dall'Eneide, infatti Ludovico Ariosto, nell'Orlando furioso, fece riferimento a Eurialo e Niso per l'episodio di Cloridano e Medoro, mentre Torquato Tasso, prese come modello l'Eneide per il suo poema epico cristiano, la Gerusalemme liberata.




    Fonte Eneide.it
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Venere (in latino Venus, in greco Afrodite) è il nome della dea dell'amore della mitologia greca e romana, figlia di Zeus e Dione. Dalla sua unione con Anchise sarebbe nato Enea.


     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted



    ENEA





    Enea (greco: Αἰνείας; latino: Aenēās, -ae) è una figura della mitologia greca e romana. Figlio del mortale Anchise e di Afrodite/Venere, dea della bellezza. Suo padre era il cugino di Priamo, re della città di Troia. Principe dei Dardani, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero valorosissimo, assume tuttavia un ruolo secondario all'interno dell'Iliade di Omero.

    Enea è il protagonista assoluto dell'Eneide di Virgilio: le vicende successive alla sua fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite, favorite dall'ira di Giunone, si concluderanno con il suo approdo nel Lazio e col suo matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino. Da questa unione sarebbe nato Silvio, futuro regnante di Albalonga e possibile capostipite dei re di Roma.

    La figura di Enea, prototipo dell'uomo sottomesso e obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Virgilio e a Omero, come Quinto Smirneo nei Posthomerica.

    Un tempo Zeus, il padre degli dèi, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, come in qualsiasi altro essere, mortale o divino che fosse, stabilì di punire la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale.
    Il prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, figlio di Capi e di Temisto (oppure, secondo altre leggende, di Egesta), che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida.
    Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori.
    Una notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l'aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell'Ida.
    Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento erotico e, sdraiatasi accanto al giovane, giacque con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell'amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell'alba, Afrodite rivelò all'uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.
    Tuttavia la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti.
    Ma allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato.




    Afrodite, con l'aiuto del Tempo, partorisce Enea, opera di Giovanni Battista Tiepolo, 1754-1758 ca, Londra, National Gallery.

    « È molto che, in odio agli dèi, inutile, gli anni trascino,
    da quando il padre dei numi e sovrano degli uomini
    mi sfiorò con la vampa del fulmine, mi toccò col suo fuoco. »
    (Commento di Anchise, Virgilio, Eneide, libro II, versi 647-649)


    Alcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avesse preferito passare una notte con la figlia del Tal dei Tali piuttosto che con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall'ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.

    Udita la temibile vanteria, Zeus dall'alto dell'Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore destinata ad incenerirlo.[8] Ma Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.
    Il giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora, egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato com'era alla vista dell'ira divina.

    Il pargolo nacque sul monte Ida dove lo allevarono le ninfe e il centauro Chirone, la madre infatti, essendo dea, doveva vivere sul monte Olimpo e il padre, punito da Zeus, venne reso storpio per aver rivelato ad altri il suo rapporto con Afrodite. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio.

    Guerra di Troia



    Primi combattimenti

    Achille assalì il monte Ida e depredò le mandrie di Enea, che fuggì. In seguito Enea parteciperà alla guerra di Troia dalla parte dei Troiani, ovviamente; sarà a capo di un contingente di Dardani.

    Contro Diomede e aiuto di Afrodite

    Fu eroe valoroso, secondo solo ad Ettore, e spesso supportato dagli dei. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest'ultimo venne ucciso da Diomede ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell'amico dagli assalti greci.


    « Balzò a terra Enea, con la lunga lancia e lo scudo, temendo che gli Achei gli strappassero il morto. Gli si mise accanto come un leone che della sua forza si fida; teneva davanti a sé la lancia e lo scudo rotondo, pronto ad uccidere chiunque gli venisse di fronte, e gridava in modo terribile. »

    (Omero, Iliade, Canto V, vv. 299-302)


    Affrontò Diomede ma venne ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l'ira della dea, la colpì costringendola alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo, a Pergamo, e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Enea, benché non venga ricordato per altre imprese, combatté comunque anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace, insieme agli altri comandanti troiani.

    Contro l'eroe Achille


    Dopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo.


    « Achille a sua volta scagliò l'asta dalla lunga ombra e colpì Enea nello scudo rotondo al bordo estremo dove il bronzo è più sottile e più sottile la pelle di bue. Da parte a parte passò, il frassino del Pelio, e lo scudo risuonò sotto il colpo. »

    (Omero, Iliade, Canto XX, vv. 273-277)



    Poseidone decise allora di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell'esercito.

    Fuga da Troia


    La notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d'aspetto, che gli annunciò l'inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l'incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio.
    Enea
    Enea, enea ascanio venere didonePrincipe troiano figlio di Anchise e di Venere, da giovinetto rimase, per cinque anni. fra le ninfe del monte Ida sul quale era nato. Fu poi educato, come quasi tutti i maggiori eroi greci, dal centauro Chirone, finché sposò Creusa, figlia di Priamo re di Troia, dalla quale ebbe un figlio, Ascànio, detto anche Iùlo. Da Ascànio secondo la grande tradizione raccontata da Virgilio, sarebbe, poi, discesa la Gente Giulia, che fu signora di Roma.


    Quando il cognato Paride rapì la bella Elena e, con le favolose ricchezze di lei, la condusse a Troia, Enea biasimò severamente la violazione dell’ospitalità compiuta da Paride; prevedendo la guerra che, certamente, i greci avrebbero mosso alla sua patria.
    Enea non cessò mai di consigliare che Elena e la sua dote fossero restituite a Menelao.

    Come sappiamo dalle crnocahe omeriche non fu ascoltato: e benché fosse coraggioso e prode, quando la guerra prevista scoppiò, non vi prese direttamente parte.

    Solo quando Achille lo assalì coi suoi Mirmidoni sul monte Ida, dove egli seguitava a risiedere Enea divenne attivo nel conflitto bellico. Respinto Achille, partecipò valorosamente alla guerra, dove seppe tener testa ora a Diomede ed, ora, ad Achille, giovandosi anche della protezione e dell’aiuto della madre Venere e di Apollo protettore di Ilio.

    Nell’incendio di Troia sostenne animosamente, nelle vie, molti combattimenti con i greci: ma quando Venere gli mostrò che, fra i più accaniti distruttori della città vi era lo stesso Apollo ch’era stato uno di quelli che l’avevano edificata, decise di abbandonare la città e di porsi in salvo col padre, la moglie, il figlio e con gli dei Penati di Troia.




    Sulle prime, Anchise si oppose alla fuga, preferendo la morte nella sua città, ma un prodigio vinse la sua riluttanza. Mentre Enea seguitava ad implorarlo perché si salvasse, tenendo per mano il figlioletto Iulo, scese dal cielo una fiamma che avvolse, senza bruciarli i capelli del fanciullo.
    Il felice auspicio indusse Anchise a seguire nella fuga Enea il quale, caricato sulle poderose spalle il padre, s’avviò, col suo seguito, verso il porto d’ Antandro. Accortosi però, ad un tratto, d’avere smarrito la moglie Creusa, tornò a cercarla, ma l’ombra di lei, apparsagli, lo esortò a riprendere il cammino. Dal porto d’ Antandro cominciano le dolorose e numerose avventure di viaggio che, evidentemente, Virgilio, cantore d’ Enea, modellò in gran parte sul racconto delle peregrinazioni d’ Ulisse, cantate da Omero, nell’ Odissea. Secondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade, la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.

    Approdo in Italia, eroe nell'Eneide


    Fuggito da Troia, Enea giunse, insieme a un drappello di compagni, in terra di Tracia, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso Creta. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell'Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto


    « M'incammino dal porto, lasciata la flotta e il lido, proprio mentre per caso nel bosco, davanti alla città, accanto all'onda d'un falso Simoenta, Andromaca libava annuali vivande e mesti doni ai morti e ne invocava i mani sopra il tumulo d'Ettore, che con un verde cespo, aveva, se pur vuoto, consacrato, e con due altari, causa di pianto. »

    (Virgilio, Eneide, Canto III)


    Eleno, dotato del dono della profezia, annunciò all'amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l'Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell'attuale Salento, a Porto Badisco. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono ad Erice, benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d'odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l'Africa

    Lì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l'eroe narrò le sue terribili vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina


    « Le ancelle la accolgono, e riportano sul talamo marmoreo il corpo svenuto e lo adagiano sui cuscini. Ma il pio Enea, sebbene desideri calmare la dolente, e confortarla, e allontanare con parole le pene, molto gemendo e con l'animo vacillante per il grande amore, tuttavia esegue i comandi degli dei, e ritorna alla flotta. »

    (Virgilio, Eneide, Canto IV)


    Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. Sbarcarono di nuovo a Erice, dove per l'anniversario della morte del padre Anchise,furono celebrati, tra siciliani e troiani, i giochi in suo onore, i ludi novendiali (libro V). Nella vicina città di Drepano, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la sibilla con la quale scese nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone.


    « Tra di esse, fresca della ferita, la fenicia Didone errava nella vasta selva; appena l'eroe troiano le ristette vicino e la riconobbe tra le ombre, indistinta, quale si vede sorgere la luna al principio del mese, o si crede di averla veduta tra le nubi, gli sgorgarono lacrime e parlò con dolce amore. »

    (Virgilio, Eneide, Canto VI)




    Incontrò in seguito l'anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso ad Enea in Italia. Tornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche Gaeta e il Circeo. Il re del luogo, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l'ira di Turno, il re dei Rutuli. Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, Almone (Eneide), giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest'ultimo consigliò inoltre all'eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l'assenza di Enea il campo troiano venne assediato dalle truppe di quattordici giovani condottieri rutuli, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e altri giovani che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi guidati da Tarconte, ed agli Arcadi guidati dal Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni.Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e la sete di vendetta riuscì perfino a soffocare la sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise il figlio Lauso, intervenuto per difendere il padre. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L'eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo decise di affrontare la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla cadde in battaglia. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall'ucciderlo; ma ricordando poi il dolore di Evandro per la morte di Pallante, conficcò la sua spada nel petto del nemico (...vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).


    « Dicendo così gli affonda furioso il ferro in pieno petto; a quello le membra si sciolgono nel gelo, e la vita con un gemito fugge sdegnosa tra le ombre. »

    (Virgilio, Eneide, Canto XII)


    Edited by gheagabry - 14/7/2010, 00:54
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted


    enea%20ferito





    Vittime di Enea nella guerra di Troia


    Enea fu l'eroe troiano che, per eccellenza, uccise più nemici di tutti nella guerra di Troia, arrivando a distruggere, nell'intera storia, 72 eroi tra Achei e Latini, secondo solo ad Achille che uccise in tutto 74 eroi troiani.

    1. Cretone, guerriero acheo, gemello di Orsiloco e figlio di Diocle, discendente del fiume Alfeo. (Omero, Iliade, libro V, versi 541-560.)
    2. Orsiloco, guerriero acheo, gemello di Cretone e figlio di Diocle, discendente del fiume Alfeo. (Omero, Iliade, libro V, versi 541-560.)
    3. Afareo, valoroso guerriero acheo, figlio di Caletore e fedele compagno di Idomeneo. (Omero, Iliade, libro XIII, versi 541-545.)
    4. Medonte, capitano acheo, figlio illegittimo di Oileo e fratellastro di Aiace di Locride. Sostituì Filottete alla guida della sua flotta. (Omero, Iliade, libro XV, verso 332.)
    5. Iaso, capo di un contingente di Ateniesi a Troia, figlio di Sfelo e nipote di Bucolo. (Omero, Iliade, libro XV, verso 332.)
    6. Leiocrito, guerriero acheo, figlio di Arisbante, fedele compagno del capitano Licomede. (Omero, Iliade, libro XVII, versi 344-345.)
    7. Alcimedonte, comandante di un contingente di Mirmidoni, figlio di Laerce, aiutò Automedonte, auriga di Achille, ad uccidere Areto. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, versi 448 ss.)
    8. Anfione, compagno di Epeo, il mitico acheo costruttore del Cavallo di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, verso 111.)
    9. Andromaco, guerriero acheo proveniente da Creta. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI, verso 41.)
    10. Antimaco, guerriero cretese, compagno di Idomeneo nella guerra di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro VI, verso 622.)
    11. Aristoloco, guerriero acheo. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro VIII, verso 93.)
    12. Bremone, guerriero acheo, proveniente da Licto, città di Creta. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI, versi 41 ss.)
    13. Deileonte, compagno di Epeo, il mitico acheo costruttore del Cavallo di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, verso 111.)
    14. Tossechine, scudiero di Filottete. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI.)
    15. 14 eroi acheo mentre distruggeva un po' alla volta la città di Troia, nella notte in cui il tradimento ai nemici era stato perfettamente realizzato.
    [..]
    29. Terone (Eneide): guerriero latino, primo assalitore di Enea, sulla battigia del Tevere.
    30. Lica (Eneide): giovane guerriero latino. Ferito mortalmente dal colpo di spada di Enea, rimane a lungo agonizzante.
    31. Cisseo: guerriero latino armato di clava, come l'antico Eracle.
    32. Gìa: guerriero latino, fratello di Cisseo, anche lui armato di clava.
    33. Faro: ucciso in maniera puramente efferata. Mentre avanza verso Enea, sulle rive del Tevere, questi gli scaglia contro una lancia che penetra nella sua bocca spalancata.
    34. Clizio: giovanissimo e biondo guerriero latino, ucciso mentre difende il più maturo Cidone, suo amante, che così si salva dalla morte.
    35. Meone: guerriero latino.
    36. Alcanore: guerriero latino e fratello di Meone.
    37. Mago: la prima vittima di Enea mentre l'eroe cerca Turno uccisore dell'alleato ed amico Pallante.
    38. Emonide: ovvero un figlio (di cui il poeta non fa il nome) del latino Emone; giovane sacerdote di Apollo e Diana.
    39. Seresto: Enea lo uccide nel campo di battaglia e poi gli toglie l'armatura e la fa propria.
    40. Ceculo: capo italico, semidio figlio di Vulcano.
    41. Umbrone: capo degli Equi.
    42. Anxure: guerriero latino. Enea gli tronca la mano sinistra con la spada, dopo avergli trapassato lo scudo.
    43. Tarquito: giovane semidio, figlio della ninfa Driope e del mortale Fauno, omonimo del dio italico. Dopo essere stato sconfitto in duello, chiede a Enea di essere risparmiato, ma il capo troiano per tutta risposta lo decapita con la spada e getta testa e busto dentro l'acqua del fiume Tevere, privandolo di ogni esequie funebre da parte dei genitori e della patria.
    44. Anteo: guerriero rutulo, luogotenente di Turno.
    45. Luca (Eneide): guerriero rutulo, anche lui vicinissimo a Turno.
    46. Numa: guerriero latino.
    47. Camerte: giovane signore di Amyclae, figlio di Volcente.
    48. Lucago: guerriero latino, gettato a terra dal carro con la lancia piantata nell'inguine.
    49. Ligeri: guerriero latino, fratello di Lucago, gettato a sua volta a terra dal carro e trucidato da un colpo di spada al petto.
    50. Lauso (Eneide): figlio del tiranno etrusco Mezenzio, ucciso dall'eroe nel tentativo di difendere il padre, ferito dallo stesso Enea.
    51. Mezenzio: il tiranno etrusco, ucciso da Enea in un formidabile duello dopo la morte di Lauso.
    52. Sucrone: ucciso da Enea in maniera selvaggia, dopo che Turno, per la seconda volta, gli era sfuggito. Ferito dapprima al fianco con la lancia, viene trucidato da un colpo di spada che gli disintegra ogni costola del petto.
    53. Talone: guerriero latino.
    54. Tanai: guerriero latino.
    55. Cetego: guerriero latino.
    56. Onite: guerriero latino.
    57. Murrano: guerriero latino, imparentato con Turno, ed intimo amico di quest'ultimo. Enea gli scaraventa addosso un macigno e lo fa catapultare a terra giù dal carro; Murrano viene finito dagli zoccoli dei suoi stessi cavalli, che, scambiandolo per un nemico caduto, lo dilaniano.
    58. Cupenco: guerriero latino. Il suo petto viene trapassato da una spada, dopo che questa ha oltrepassato lo scudo di bronzo.
    59. Eolo: guerriero latino.
    60. Turno: l'antagonista principale del poema, uccisore di Pallante, e di infiniti altri guerrieri. Duella con Enea e viene ferito dapprima ad una coscia dalla lancia del nemico, ed infine atterrato con un colpo di spada in pieno petto.
    61. 4 guerrieri latini sbalzato dal suo cocchio ad opera di Enea, non per sua mano, ma indirettamente a causa del suo arrivo; questo avviene nei pressi del Tevere subito prima della morte di Lucago e Ligeri, fratelli latini.
    [..]
    65. 1 guerriero latino da immolare sul rogo del caduto in battaglia Pallante, 4, figli di Sulmone e 4, figli di Ufente.
    66. 1 guerriero latino, figlio di Sulmone.
    67. 1 guerriero latino, figlio di Sulmone.
    68. 1 guerriero latino, figlio di Sulmone.
    69. 1 guerriero latino, figlio di Ufente.
    70. 1 guerriero latino, figlio di Ufente.
    71. 1 guerriero latino, figlio di Ufente.
    72. 1 guerriero latino, figlio di Ufente.

    La critica storica


    Le prime versioni del mito di Enea sono antiche, tanto che sono già note in Etruria prima del VI secolo a.C. e in Grecia nel V secolo a.C. e farebbero derivare il nome di "Roma" da quello di una donna troiana con il significato di "forza".

    Riassunto della leggenda


    Enea è un principe Troiano, nativo delle falde del monte Ida nella Troade, e partecipa solo alla fase finale della guerra di Troia; è imparentato con il re Priamo avendone sposato la figlia Creusa ed in quanto il padre Anchise è cugino del re. Enea piace ai Romani quale capostipite perché gli permette di affondare le radici in una civiltà dal passato fulgido pur distinguendosi dai Greci. Allo stesso tempo questa "soluzione" non fa dei Romani i più fieri antagonisti dei Greci e verrebbe oggi chiamata "politically correct".

    Anche la leggenda di Romolo e Remo, all'inizio separata da quella di Enea, viene successivamente integrata nel suo mito. In un primo momento i due gemelli vengono indicati come suoi figli o nipoti.

    Eratostene di Cirene si accorge tuttavia che, essendo la data della caduta di Troia all'incirca il 1184 a.C., né Enea né i suoi più diretti discendenti potevano aver fondato Roma nel 753 a.C., data alla quale la mitologia fa risalire la nascita di Roma.

    Catone il Censore rende plausibile la storia. Secondo la sua versione, accettata poi come definitiva, Enea fugge da Troia e giunge nel Lazio. Qui, dopo aver sposato Lavinia, fonda Lavinium. Ascanio è invece il fondatore di Alba Longa e i suoi successori danno origine alla dinastia dalla quale, dopo varie generazioni, Rea Silvia darà alla luce Romolo e Remo e in seguito la gens Giulia, con Giulio Cesare e il primo imperatore Augusto.


    Assunzione in cielo



    Secondo la leggenda, dopo quattro anni di regno, Enea sarebbe stato assunto in cielo tra lampi e tuoni durante una battaglia contro gli Etruschi nelle vicinanze del fiume Numico e ricevuto nell'Olimpo insieme agli dei. È interessante notare che anche a Romolo viene decretata la stessa fine, permettendo successivamente di deificare anche Giulio Cesare e Augusto, suoi lontani discendenti. Le origini divine dei fondatori di Roma sarebbero quindi incontrovertibili. Accettando Enea quale capostipite, si trovano Venere e Marte come antenati.

    Nelle leggende più arcaiche, Romolo non ha un gemello ed è figlio di Zeus; le successive elaborazioni sono analoghe, ponendo Romolo e Remo come figli di Marte e Rea Silvia, (in alcune versioni lei era una sacerdotessa) e perciò di discendenza divina.

    Un'ulteriore versione della leggenda, indica Rea Silvia come figlia di Enea e un suo nome aggiuntivo sarebbe Ilia, per ricordare il collegamento di Roma con Troia ("Ilio" in greco).

    Enea inoltre dimostrò un grande interesse per la cultura greca.


    Edited by gheagabry - 23/4/2012, 00:32
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL LIBRO





    Libro I



    Enea e i suoi compagni sono fuggiti da Troia, facendo vela verso ovest. Dopo sette anni di avventure, sono approdati in Sicilia. La dea Giunone, che durante la guerra di Troia aveva favorito i greci, tenta allora di far affondare le venti navi che compongono la piccola flotta di Enea, rivolgendosi a Eolo, dio dei venti. Una spaventosa tempesta per poco non manda a picco tutte le imbarcazioni, ma Nettuno, riconoscendo le qualità di Enea, calma i flutti e permette all'eroe di approdare infine in Libia con i superstiti. Venere, madre di Enea, va allora dal figlio e lo informa che si trova nel regno dei Fenici. Non lontano da li c'è Cartagine, la città su cui regna Didone, già regina di Tiro, da dove ha dovuto fuggire dopo l'assassinio del marito. Per contrastare i piani di Giunone, Venere suscita in Didone l'amore per Enea.


    Libro II.



    Sedotta dal bel troiano, Didone lo invita nel palazzo, dove dà una festa in suo onore. Quindi gli chiede di raccontare le sue avventure. Enea descrive allora alla regina come i greci costruissero un immenso cavallo di legno, che abbandonarono alle porte della città di Troia. Vedendo le spiagge deserte e le navi greche allontanarsi, i troiani furono presi da curiosità per quel cavallo. Laocoonte, sacerdote di Nettuno, consigliò loro di non fidarsi: << Temo i greci e i loro doni >> dichiarò, ma invano. Ugualmente inascoltati rimasero gli avvertimenti di Cassandra, la profetessa figlia del re Priamo. Ad un certo momento sopraggiunse un piccolo drappello di troiani che conduceva un prigioniero greco, il quale dichiarò di chiamarsi Sinone e confermò che l'assedio era terminato. Egli spiegò ai troiani che quel cavallo di legno era un offerta alla dea Minerva, che i greci avevano offeso e di cui temevano la collera. Essi speravano che, messo lì, fuori della città, il cavallo avrebbe attirato su di loro la protezione della dea. Se fosse stato portato entro le mura di Troia, i favori di Minerva sarebbero andati ai troiani.


    Mentre i troiani ascoltavano Sinone, due grossi serpenti uscirono dal mare e si diressero verso l'altare di Nettuno, dove Laocoonte e i suoi figli stavano celebrando un sacrificio. I serpenti soffocarono il sacerdote e i due fanciulli. Inorriditi, i testimoni di quel dramma si convinsero che Laocoonte era stato punito per la sua empietà, essendosi opposto all'offerta del cavallo a Minerva. Senza perdere tempo aprirono le porte di Troia e trascinarono il cavallo fino al tempio di Minerva. La notte seguente i troiani festeggiarono la fine della guerra. Sinone si avvicinò di soppiatto al cavallo di legno, aprì una botola nascosta nel suo fianco e aiutò Ulisse e i suoi compagni a uscire dal loro nascondiglio. I greci si spinsero allora fino alle porte di Troia, uccisero le sentinelle e fecero entrare nella città l'esercito greco, che aveva atteso quel momento al largo dell'isola di Tenedo. Fu la fine di Troia. Nel frattempo Enea venne avvertito del disastro dall'ombra di Ettore, che gli apparve in sogno e lo fece svegliare. Poté allora vedere la città in preda alle fiamme ed il palazzo invaso dai greci. Vide anche il vecchio re Priamo e i suoi figli sgozzati, mentre le donne della famiglia reale venivano ridotte in schiavitù. Vedendo la bella Elena gli venne l'impulso di ucciderla, poiché era stata lei la causa della guerra, ma Venere glielo impedì. Solo gli dei, disse, erano responsabili di quella tragedia e ingiunse al figlio di fuggire con i suoi. Enea allora non perse tempo. Suo padre Anchise, la sua sposa Creusa e suo figlio Ascanio erano ancora vivi. Enea prese il padre sulle spalle e, tenendo il figlio per mano, si inoltrò attraverso le fiamme, mentre Creusa li seguiva. Enea non si girò finché non ebbe raggiunto il santuario di Cerere, sul colle vicino a Troia. Ma Creusa non era più con loro. Enea ritornò a Troia ma le sue ricerche non approdarono a nulla. Folle di disperazione, vide però apparire l'ombra della moglie che gli disse di non piangerla, ma di andare senza rimpianti verso un nuovo glorioso destino

     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted



    DIDONE





    Didone, o Elissa, è una figura mitologica, regina fenicia fondatrice di Cartagine e precedentemente regina di Tiro. Secondo la narrazione virgiliana, si innamorò di Enea e disperata per il suo allontanamento si uccise.

    Primogenita di Belo, re di Tiro, era sposa di Sicharbas (Sicherba o Sicarba, che diverrà Sicheo, Sychaeus, in Virgilio). La sua successione al trono fu contrastata dal fratello, Pigmalione, che ne uccise segretamente il marito e prese il potere.

    Probabilmente con lo scopo di evitare la guerra civile, Didone lasciò Tiro con un largo seguito e cominciò una lunga peregrinazione, le cui tappe principali furono Cipro e Malta.....

    Giunone aveva promesso loro una nuova terra in cui fondare una propria città e gliel'aveva indicata come la terra in cui scavando sulla spiaggia avrebbero trovato un teschio di cavallo. Approdata infine sulle coste libiche, Didone ottenne dal re Iarba il permesso di stabilirvisi, prendendo tanto terreno "quanto ne poteva contenere una pelle di bue"; infatti l'antico soprannome di Cartagine era "Birsa", che in greco significa "pelle di bue" e in fenicio "rocca". Didone scelse una penisola, tagliò astutamente la pelle di toro in tante striscioline e le mise in fila, in modo da delimitare quello che sarebbe stato il futuro territorio della città di Cartagine e riuscì ad occupare un territorio di circa ventidue stadi (uno stadio equivale a circa 185,27 m2) ... Durante la propria vedovanza Didone venne insistentemente richiesta in moglie dal re Iarba e dai principi numidi, popolazione locale; secondo le narrazioni più antiche (ne parla ad esempio Giustino, III secolo d.C.), dopo aver finto di accettare le nozze, Didone si uccise con una spada invocando il nome di Sicherba. Didone venne divinizzata dal proprio popolo con il nome di Tanit e quale ipostasi della grande dea Astarte (la Giunone romana).





    Nella versione virgiliana invece, sotto l'influenza della sorella Anna e di alcune divinità, Didone si innamorò di Enea giunto naufrago a Cartagine con il suo popolo (I e IV libro dell'Eneide). È a lei che l'eroe troiano racconta le vicende vissute a partire dalla fine di Troia (Infandum, regina, iubes renovare dolorem). La Fama diffuse fino a Iarba notizie del loro amore, che era stato consumato in una grotta; il re dei Getuli invocò Giove Ammone, perché fermasse questo "Paride effeminato" che insidiava la regina. Tramite Mercurio, Giove impose la nuova partenza all'eroe troiano, che lasciò Didone dopo un ultimo terribile incontro, in cui lei lo maledisse e previde eterna inimicizia tra i popoli. Poi, sviata Anna e la nutrice Barce con delle scuse, disperata si uccise con la stessa spada che Enea le aveva donato, gettandosi poi nel fuoco di una pira sacrificale. Enea incontrerà poi di nuovo la regina nell'Ade, nel bosco del pianto (VI libro), e manifesterà sincero dolore per la sua repentina fine; ma l'ombra di Didone non lo guarderà neppure negli occhi e resterà gelida, correndo poi verso il marito Sicheo, con cui si era ricongiunta nell'oltretomba (...coniunx ubi pristinus illi / respondet curis aequatque Sychaeus amorem). Il silenzio finale di Didone è, secondo Eliot, un riflesso del senso di impossibilità di amare dello stesso Enea, schiavo del fato






    « Grido e brucia il mio cuore senza pace
    Da quando più non sono
    Se non cosa in rovina e abbandonata »

    (Giuseppe Ungaretti, Cori descrittivi di stati d'animo di Didone, II)




    La rielaborazione del mito di Didone non fu propria solo di Virgilio. Già Ennio e Nevio se ne erano impossessati e come Virgilio lo avevano utilizzato per attuare un aggancio tra leggenda e storia dando implicitamente una giustificazione mitica all'origine delle guerre tra Roma e Cartagine, al presunto "odio atavico" tra i due popoli.

    Dante nella Divina Commedia colloca Didone nel Canto V dell'Inferno, in compagnia dei celebri Paolo e Francesca, nella schiera degli spiriti lussuriosi. Nel canto Dante non cita per nome Didone, ma la descrive mediante una perifrasi che ne indica i peccati e il nome del marito (L'altra è colei che s'ancise amorosa, /E ruppe fede al cener di Sicheo). Didone, infatti, legandosi a Enea si rese colpevole del tradimento della memoria del marito morto Sicheo, e infine si tolse la vita una volta che Enea la abbandonò per continuare il viaggio indicatogli dagli dèi.

    Il topos letterario della donna abbandonata, di cui Didone fa parte, ha viaggiato nella letteratura fino ad Ungaretti in età moderna. Dalla Medea di Euripide e Apollonio Rodio (che ne descrive la giovinezza e l'ingenuità) fino all'Arianna di Catullo del carme LXIV e alla Didone virgiliana e a quella ovidiana della VII epistola, a tutti gli effetti più donna che regina.



    Il culto di Tanit sopravvisse alla distruzione di Cartagine e fu introdotto nella stessa Roma dall'imperatore Settimio Severo. Esso si estinse definitivamente con le invasioni barbariche. La tradizione romana vedeva un collegamento tra la famiglia cartaginese dei Barca e la regina leggendaria (naturalmente in una prospettiva anti-romana), ed anche la regina Zenobia di Palmira, molto più tardi, si proclamò discendente ed erede politica di Didone.




     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted




    Libro III.



    Con l'aiuto del padre, del figlio e di un gruppo di troiani che erano riusciti a fuggire dalla città, Enea costruì una flotta con cui fece vela verso la Tracia. Qui giunti, dopo aver innalzato un altare, Enea e i suoi compagni cercarono del fogliame per ricoprirlo. Si diressero verso un cespuglio vicino alla riva e scoprirono con orrore che dai suoi rami cadevano gocce di sangue. Quindi udirono una voce ammonirli che la Tracia non avrebbe riservato loro un'accoglienza amichevole, anche se Priamo aveva considerato suo alleato il sovrano di quella regione. Il re di Troia non aveva inviato in Tracia un tesoro per metterlo al sicuro? Non l'aveva affidato al suo giovane figlio Polidoro? Ma il re della Tracia, sentendo che la vittoria non stava andando ai troiani, aveva fatto assassinare Polidoro. Dal regno delle ombre, la sua voce si levava ora per avvertire Enea del pericolo. I troiani lasciarono rapidamente la Tracia inospitale e fecero rotta per Delo, dove si trovava il santuario di Apollo.

    L'oracolo ingiunse loro di ritornare nella loro madre patria, dove Enea e i suoi discendenti sarebbero diventati i fondatori di un impero. Anchise credeva che la sua madre patria fosse Creta, da cui proveniva il primo re di Troia, Teucro. Ma quando Enea e i suoi compagni misero piede su quell'isola, le sventure si abbatterono su di loro. I raccolti si disseccarono, e una pestilenza fece morire parecchi membri di quel gruppo sparuto. Enea era oramai disperato, quando gli apparvero in sogno gli dei di Troia, i quali gli dissero che la sua vera patria era l'Italia. Ancora una volta i troiani ripresero il mare e approdarono su un isola delle Strofadi, dove pingui armenti pascolavano su prati lussureggianti. Al momento però di far baldoria furono assaliti dalle Arpie, i mostri dal corpo di uccello e la faccia da vecchia. Le lance dei troiani non riuscivano nemmeno a scalfirle. Dall'alto di una roccia Celeno, una delle arpie, disse a Enea che non aveva nessun diritto di stabilirsi in quell'isola, che la sua intrusione sarebbe stata punita e che egli doveva continuare il suo viaggio verso l'Italia. Mai, dichiarò Celeno, i troiani avrebbero potuto fondare una città prima di essere stati costretti a mangiare persino i tavoli su cui poggiavano le loro vivande. Enea fece vela verso nord e arrivò in una regione dell'Epiro, la Caonia, il cui sovrano altri non era se non il suo parente Eleno, fratello gemello di Cassandra, che come lei possedeva il dono della profezia. Eleno aveva sposato Andromaca, la vedova di Ettore, e insieme i due avevano vissuto in pace dopo gli anni terribili dell'assedio di Troia. Eleno e Andromaca accolsero con gioia i loro concittadini. Eleno predisse a Enea che egli avrebbe dovuto fondare la sua città sulle rive di un fiume della costa più remota d'Italia, nel punto in cui avesse visto un cinghiale femmina bianco allattare i suoi trenta piccoli. Egli diede ad Enea dei preziosi consigli sul modo di evitare i pericolosi scogli di Scilla e di Cariddi, e gli raccomandò di consultare la Sibilla Cumana, la sacerdotessa di Apollo che viveva in una grotta.


    I troiani riuscirono quindi ad evitare il famoso stretto custodito da Scilla e da Cariddi, ma le loro navi furono trascinate ugualmente fino ad una baia di aspetto sinistro che si apriva ai piedi di quel tetro vulcano che è l'Etna. Sulla spiaggia si trascinava un greco, un poveraccio mezzo morto di fame, che li scongiurò di fuggire al più presto dalla terra dei Ciclopi, dove erano appena approdati. Si trattava di uno dei marinai di Ulisse, che i compagni avevano abbandonato quando erano scappati via da Polifemo, il gigante con un occhio solo in mezzo alla fronte. Egli non si aspettava nessuna pietà dai troiani, ma Enea e Anchise lo calmarono e gli promisero di trattarlo degnamente. Ebbero appena il tempo di togliere gli ormeggi e di fuggire, che Polifemo stava già chiamando in aiuto gli altri ciclopi. Sfuggiti a questo pericolo e raggiunta la costa settentrionale della Sicilia, poterono finalmente riposare sulla spiaggia tranquilla di Capo Deprane. Ma un'altra prova attendeva Enea: la morte del diletto padre, stremato dalle fatiche di quel viaggio massacrante. Quando le navi ripresero il mare, una tempesta le portò alla deriva sulla costa libica, e fu così che Enea ebbe l'avventura di incontrare la regina di Cartagine.
     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie special ghea..pusaaaa
     
    Top
    .
  9. almamarina
     
    .

    User deleted


    image

     
    Top
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    moderatori
    Posts
    43,236

    Status
    Offline
    grazie
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Sibilla Cumana






    Poscere fata / tempus, ait – deus, ecce deus!
    [...è tempo, dice, / di chiedere i fati – il dio, ecco il dio!]
    (Virgilio, Eneide, VI 45-46)



    La Sibilla Cumana (gr. Σιβυλλα, lat. Sibylla) è una delle più importanti Sibille, figure profetiche della religione greca e romana, inoltre è anche una sacerdotessa di Apollo

    Il titolo di Sibilla Cumana era detenuto dalla somma sacerdotessa dell'oracolo di Apollo (divinità solare ellenica) e di Ecate (antica dea lunare pre-ellenica), oracolo situato nella città magnogreca di Cuma, fondata dagli Ausoni. Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago d'Averno, in una caverna conosciuta come l'"antro della Sibilla" ove la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento aperture dell'antro, rendendo i vaticini "sibillini". La sua importanza era nel mondo italico pari a quella del celebre oracolo di Apollo di Delfi in Grecia.




    Tali Sibille erano giovani vergini (ma spesso figurate come decrepite per l'antichità del lignaggio), che svolgevano attività mantica in uno stato di trance (furor). L'etimologia e l'origine dell'appellativo è sconosciuta.
    Alcuni nomi che ci sono rimasti delle Sibille cumane sono: Amaltea, Demofila ed Appenninica (di cui abbiamo testimonianza in Licofrone e in Eraclito). Nel libro VI dell'Eneide, Virgilio, che la rappresenta "vegliarda"[1] la chiama «Deifobe di Glauco» e «Amphrysia», appellativo originato dal fiume tessalo Amfriso, presso il quale Apollo custodì il gregge di Admeto. Nel poema la Sibilla Cumana ha la doppia funzione di veggente e di guida di Enea nell'oltretomba e la presentazione dell'oracolo è accompagnata dal cupo ritratto dei luoghi in cui vive e che formano un tutt'uno a suggerire un'immagine di paura ma allo stesso tempo di mistero.
    Alla sua figura è anche legata una leggenda: «Apollo innamorato di lei le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa, ed essa gli chiese l'immortalità. Ma si dimenticò di chiedere la giovinezza e, quindi, invecchiò sempre più finché, addirittura, il corpo divenne piccolo e consumato come quello di una cicala. Così decisero di metterla in una gabbietta nel tempio di Apollo, finché il corpo non scomparve e rimase solo la voce. Apollo comunque le diede una possibilità: se lei fosse diventata completamente sua, egli le avrebbe dato la giovinezza. Però ella, per non rinunciare alla sua castità, decise di rifiutare».
    In Ovidio, inoltre, nel libro XIV delle Metamorfosi la Sibilla Cumana narra ad Enea del dono ricevuto da Apollo, di tanti anni di vita quanti i granelli di sabbia che era possibile stringere nella propria mano; dimenticando tuttavia di richiedere l'eterna giovinezza, la Sibilla era destinata a un invecchiamento lunghissimo nel tempo.





    Dante, costante evocatore dei miti virgiliani, cita talora anche la Sibilla, con particolari riferimenti alla difficoltà di cogliere il filo dei suoi responsi:

    « Così la neve al sol si disigilla,
    così al vento ne le foglie levi
    si perdea la sentenza di Sibilla. »
    (Dante, Paradiso XXXIII, 64-66)




    Viene ricordata anche in un celebre passo di Petronio, che viene citato in epigrafe da Thomas Stearns Eliot nel suo The waste land:
    « Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis
    vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent:
    Σίβυλλα τί θέλεις; respondebat illa: ἀποθανεῖν θέλω. »
    (T.S. Eliot, The Waste Land, 1922)



    L'antro della Sibilla Cumana si trova nella frazione di Cuma, tra i comuni di Pozzuoli e Bacoli, nella provincia di Napoli. È ricordata una Sibilla Cumana anche a Ponte Arche (Trentino), sede delle Terme di Comano.
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Libro IV





    Didone ha ascoltato con crescente interesse il racconto delle tribolazioni di Enea. Quando questi finisce di parlare, la volontà di Venere si è compiuta : la regina si è innamorata dell'eroe troiano. Didone si confida con la sorella Anna e le confessa la propria inquietudine. Anna dice alla sorella di seguire l'inclinazione del cuore e aggiunge che il valoroso Enea accrescerà grandemente la potenza di Cartagine. Un giorno, nel corso di una partita di caccia, Didone ed Enea vengono sorpresi da un temporale e si rifugiano in una grotta, dove si abbandonano alla passione suscitata da Venere. Il re Iarba, uno dei pretendenti, viene a conoscenza del legame che unisce la regina a Enea e, geloso, si rivolge a Giove, il quale invia a Cartagine Mercurio, il messaggero degli dei, perché ricordi ad Enea che il suo destino è già tracciato : egli deve lasciare immediatamente Cartagine per continuare il cammino.

    Enea obbedisce a malincuore alla volontà degli dei, ma non sa decidersi ad annunciare lui stesso la propria partenza a Didone, che tuttavia si accorge dei preparativi dei troiani e implora Enea di non abbandonarla. Le ragioni che questi invoca per giustificare la separazione non suonano convincenti alle sue stesse orecchie. Didone gli risponde con disprezzo : l'amore, la fedeltà, non esistono più per un uomo che ha deciso di lasciare che gli dei comandino il suo destino. Trovando intollerabile la prospettiva della vita solitaria che l'attende, Didone si fa costruire un rogo funebre e passa la notte in preda ad un'atroce disperazione. Per ordine di Mercurio, Enea salpa prima dell'aurora. Quando al mattino vede la spiaggia deserta, resasi conto che non vedrà più Enea, Didone prende la spada che le era stata data da lui e si dà la morte.





    Libro V



    I troiani ritornano in Sicilia, dove Aceste, la cui madre era troiana, li accoglie con benevolenza nel suo regno. E' passato un anno dalla morte di Anchise, e in suo onore vengono promossi dei giochi funebri. Mentre gli uomini vi prendono parte, le donne si lamentano della loro vita errabonda. Guardandole, Giunone decide di mandare fra loro Iris per eccitarne la collera. Il modo migliore per farla finita con quei viaggi spossanti, dice Iris alle troiane, è di dar fuoco alle navi e stabilirsi definitivamente in quella Sicilia ospitale. Unendo il gesto alla parola, Iris afferra una torcia accesa e la lancia contro una delle imbarcazioni. Le troiane la imitarono e presto tutta la flotta prende fuoco. Enea e Ascanio scorgono le fiamme, ed Enea supplica Giove di venirgli in aiuto. Il dio fa scoppiare un temporale, e così buona parte della flotta riesce a salvarsi. Quattro navi comunque vanno distrutte : Enea decide allora di partire dalla Sicilia, lasciando nell'isola tutti coloro, uomini o donne, che avrebbero voluto che egli decidesse di stabilirsi nel regno di Aceste. Enea si imbarca coi suoi fedeli, e Venere ottiene da Nettuno un mare clemente fino all'arrivo in Italia. Il timoniere di Enea, Palinuro, una notte s'addormenta al timone e cade fra le onde. Enea lo piange, e per tutto il resto della traversata terrà lui stesso il timone.
     
    Top
    .
  13. tappi
     
    .

    User deleted


    GRAZIE GABRY
     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted



    PALINURO




    image




    « Nunc me fluctus habet versantque in litore venti
    (Ora mi tengono le onde e i venti mi volgono alla costa) »
    (Virgilio, Eneide, VI 362)




    Palinuro è un personaggio della mitologia romana, il mitico nocchiero di Enea, caduto in mare in una notte, tradito dal dio Sonno, mentre conduceva la flotta verso l'Italia...

    L'episodio di caccia viene descritto alla fine del Libro V dell'Eneide, nel quale Virgilio individua il punto preciso della vicenda: uno scoglio, riconducibile al tratto di costa lucano del Mar Tirreno, dinanzi all'omonimo capo, tra il golfo di Policastro e l'insenatura di Pisciotta, nella subregione attualmente chiamata Cilento.
    Naufrago dopo aver invocato invano i propri compagni, fu per tre giorni in balia del Noto fino all'approdo sulle spiagge d'Italia, dove troverà ad attenderlo non la salvezza ma una fine crudele: catturato dalla gente indigena, viene ucciso e il suo corpo abbandonato in mare.
    Veniva così soddisfatta la richiesta di Nettuno, dio del mare, che nel momento stesso in cui accordava a Venere il proprio aiuto per condurre in salvo la flotta di Enea sulle coste campane, aveva preteso per sè in cambio una vittima:

    « Unum pro multis dabitur caput.
    Una sola vittima per la salvezza di molti »
    (Eneide, V, 815)



    Palinuro, nel successivo Libro VI, vagando tra anime degli insepolti, sarà protagonista di un triste incontro con Enea, disceso nel regno di Ade in compagnia della Sibilla Cumana.
    In quell'occasione supplicherà il suo condottiero di dargli sepoltura, suggerendogli di cercare il suo corpo tra i flutti degli approdi velini.

    « Aut tu mihi terram inice, namque potes, portusque require Velinos. »
    (Eneide, VI, 365)



    Sarà proprio la Sibilla a rassicurarlo annunciandogli che, perseguitate da eventi prodigiosi, le popolazioni del luogo avrebbero eretto un tumulo da dedicare a lui e da onorare con offerte. Quel luogo avrebbe per sempre portato il nome Palinuro.
    Palinuro è menzionato nell'Utopia di Sir Thomas More come un esempio di viaggiatore distratto. Il riferimento non è del tutto giusto, giacché Palinuro coscienziosamente si rifiutò di lasciare il timone al dio Sonno sotto mentite spoglie, sostenendo che, anche se il mare era calmo, non poteva rischiare di venir meno ai suoi doveri. Il dio Sonno era stato costretto a usare la magia per fare addormentare Palinuro.


    Palinuro è lo pseudonimo scelto da Cyril Connolly per firmare il suo libro The Unquiet Grave: a Word Cycle (La tomba inquieta: un ciclo di parole), e usato per riferirsi a lui in modo sprezzante da Alaric Jacob in Scene da un vita borghese (Scenes from a Bourgeois Life).
    Il grande cantautore e musicista progressive Peter Hammill ha inciso una canzone dal titolo Palinurus (Castaway), compresa nel suo album del 1978 The Future Now, con testi che evocano il viaggio per mare di Palinuro, tra cui il gioco di parole "it's all Greek to me" (letteralmente, "è tutto greco per me": si tratta di un'espressione usata per riferirsi a frasi incomprensibili o troppo complesse), benché, a rigore, Palinuro fosse di Troia.
    Palinuro viene anche menzionato dal protagonista del racconto La Tomba (The Tomb) di H.P. Lovecraft.



     
    Top
    .
  15. tappi
     
    .

    User deleted


    GRAZIE
     
    Top
    .
42 replies since 13/7/2010, 19:26   16587 views
  Share  
.