RUDOLF NUREYEV

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  1. gheagabry
     
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    Librarsi nell’aere come una libellula, nella bellezza del corpo disegnato su piroette che felicitano l’arte della danza.
    Chi era Rudolf Nureyev e cos’era la danza prima di lui e dopo?
    Sulle punte danzanti di Vaslav Nijinskij (1800-1950), il balletto russo ha rotto gli argini di ogni tempo per anticipare aspetti della danza moderna.
    Emulo di Nijinskij e allievo di Kirov, Nureyev ha impresso alla danza classica nuovi insegnamenti esportabili in occidente e donato purezza allo stile accademico.
    (ricordo di Luigi Pignotti, manager di Nureyev)



    RUDOLF NUREYEV



    Rudolf Hametovic Nureyev, indimenticabile ballerino, è il personaggio che ha rivoluzionato il ruolo maschile nella danza. Nato il 17 marzo 1938 su un treno in una regione del lago di Baikal, durante un viaggio che la madre aveva intrapreso per raggiungere il marito a Vladivostock (che si era ivi trasferito per ragioni di lavoro), comincia a prendere lezioni di danza all'età di undici anni da un'anziana insegnante, la signora Udeltsova, che aveva fatto parte nientemeno dei leggendari "Ballets Russes" di Diaghilev (gli stessi che avevano collaborato con personalità artistiche del calibro di Stravinskij, Ravel, Matisse, ecc.).
    Nel 1955 entra a far parte della prestigiosa scuola di ballo del Teatro Kirov di Leningrado e tre anni dopo è ammesso in compagnia. Durante una tournée in Europa, come molti artisti suoi compatrioti, chiese asilo politico alla Francia, per sfuggire all'oppressivo regime sovietico, alle sue imposizioni e gerarchie.
    Correva l'anno 1961 e nella storia quella è una data che vuol dire solo una cosa, guerra fredda. La contrapposizione, basata sul precario equilibrio nucleare, fra le due superpotenze allora vigenti, l'Unione Sovietica appunto e gli Stati Uniti d'America.
    In quel clima già rovente, quando gli anticomunisti non perdono occasione per denunciare le infami condizioni di vita instaurate nel paese del socialismo reale, si scatena un vero caso internazionale. Il suo nome finisce su tutti i giornali, non sempre per i nobili motivi legati alla danza, ma per quelli più terreni della politica e questo lo porta, volente o nolente, ad essere conosciuto da un più vasto pubblico, non necessariamente interessato all'arte e al ballo.
    Comincia così la sua carriera in Occidente con la compagnia del Marchese di Cuevas,con il Balletto Reale Danese di Erik Bruhn e poi con il Royal Ballet di Londra dove fra l'altro instaura un celebre sodalizio con Margot Fonteyn, con la quale forma la mitica coppia destinata ad incantare il pubblico di tutti i teatri del mondo.
    Nel corso della sua vita, Nureyev ha interpretato decine di ruoli, sia classici che moderni, sempre con enormi potenzialità tecniche e di immedesimazione. Ciò significa che, al pari dei cantanti lirici che per essere tali a tutti gli effetti non devono limitarsi a saper cantare, il ballerino era anche un grande attore, capace di coinvoleger il pubblico e trascinarlo nel vortice delle storie raccontate in musica dai grandi compositori.
    Infine, non bisogna dimenticare che crearono per lui tutti i massimi geni della coreografia, fra i quali vanno annoverati Ashton, Roland Petit, Mac Millian, Bejart e Taylor.
    Malato da tempo di Aids, il grande ballerino si è spento presso un ospedale parigino il 6 gennaio 1993.




    Rudolf Nureyev, il divino Rudy, se n' e' andato dopo una lunga battaglia con la malattia che non perdona. Non ha potuto realizzare il suo sogno di morire, nel modo piu' romantico, sulla scena. E' stato dopo Nijinskij . un genio strappato alla danza da precoce follia . il piu' grande ballerino del Novecento. Artista di straordinario vigore e ineguagliabile espressivita' , aveva suscitato entusiasmi e fanatismi da superdivo, come ai tempi di Maria Callas. Divenne presto un mostro sacro, eccentrico, capriccioso, perfino violento, sempre in prima fila nell' arte e nella mondanita' , con una vita privata tempestosa, ma con una sensibilita' assoluta per l' arte. Tale era l' uomo Nureyev, che copriva con mille provocazioni una timidezza di fondo, un' infelicita' fatta di nostalgia e di solitudine. L' artista Nureyev resta invece nella storia e nella cultura teatrale perche' ha rinnovato la figura del ballerino classico facendo piazza pulita di parrucche, ciprie e gestualita' ottocentesche e perche' ha dato modernita' e vigore al grande repertorio con un approfondimento dei significati e con una ferrea rivalutazione della vera tecnica accademica. Aveva una perfetta armonia fisica, un pacchetto di nervi e muscoli tale da permettergli exploits senza pari. Concentratissimo nell' esecuzione e narcisista oltre misura, dava ai suoi personaggi carisma e profondita' . Fu il piu' grande Romeo, il piu' intenso Principe del "Lago dei Cigni", il piu' tormentato Albrecht in "Giselle", il piu' problematico Schiaccianoci, il piu' brillante Basilio del "Don Chisciotte". In ogni parte, grande o piccola, classica o moderna, virtuosistica o di espressione, tragica e comica, stabili' un primato, con una versatilita' e un furore vitale che nessun altro pareva possedere. La sua vita e' stata romanzesca fin dall' inizio: e' infatti nato su un treno, dalle parti del lago Baikal, durante un viaggio transiberiano verso Vladivostok, dove il padre, soldato dell' Armata Rossa, prestava servizio. Era il 17 marzo del 1938. Famiglia modesta, quindi, una madre forte e affettuosa e due sorelle amanti dello studio. Origini orientali: la famiglia di Nureyev e' di etnia baskira, un popolo che sta al di qua degli Urali. Per queste origini Nureyev porto' sempre dentro di se' i segni dell' antico nomadismo e fu facile per gli occidentali classificarlo come il gran tartaro, il cavaliere barbaro e ribelle. L' infanzia di Rudolf non fu ne' felice, ne' agiata. Visse gli anni scolastici a Ufa, vi pati' le miserie della guerra; e li' , in una periferia industriale e contadina, coltivo' in qualche modo l' amore per la danza e la musica, da sempre le sue piu' grandi passioni. Il padre era contrario a che il ragazzo diventasse ballerino, poiche' giudicava quella professione immorale; ma Rudolf non si piego' , studio' , entro' nella scuola di Ufa, si mise in luce per il suo naturale talento. Nel 1955 corono' il suo sogno: divenne allievo della scuola del Kirov di Leningrado, l' ex Marinskij degli zar, il regno di Petipa, il santuario della tradizione accademica e romantica. In pochi anni divenne una stella del Kirov, ma il suo temperamento ribelle e il rifiuto di una disciplina quasi militare provocarono tensioni nel corpo di ballo e frizioni con i dirigenti. Nureyev voleva sentirsi libero, voleva vedere e conoscere il mondo, soprattutto lavorare creativamente.



    Comincio' a viaggiare anche all' estero, a Vienna e in Egitto, danzo' anche per Kruscev, ebbe successo. Ma era considerato un indisciplinato incorreggibile e politicamente poco affidabile. Partecipo' comunque alla grande tourne' e del Kirov a Parigi nel 1961. La capitale francese fu una rivelazione: un mondo libero, affascinante, da conoscere a fondo da uomo senza catene. Poiche' ebbe la sensazione, a un certo punto, di dover essere rimandato a casa, egli decise di fuggire e il 17 giugno del 1961 chiese asilo politico in Francia. La reazione del governo sovietico fu durissima. Nureyev venne letteralmente cancellato dalla vita russa, non pote' piu' avere contatti con la famiglia e venne additato come un traditore e come un "esempio pericoloso per la gioventu' ". Fu il primo dissidente della danza; subi' minacce e ricatti, visse giorni di insicurezza e paura. Alla base della sua decisione c' erano motivi soprattutto artistici (un uccello deve volare, diceva) collegati pero' al rifiuto di una politica che non lasciava spazio all' iniziativa individuale. Il ballerino peraltro fu subito ingaggiato dalla Compagnia del marchese De Cuevas, con la quale compi' un lunga tourne' e, apparendo anche in Italia. La vita di Nureyev cambio' nel 1962, quando fu invitato a danzare a Londra con Margot Fonteyn, la piu' famosa ballerina inglese. I due artisti formarono una coppia formidabile, legata da profonda stima e amicizia, benche' fossero diversissimi l' uno dall' altra e Margot avesse quasi vent' anni piu' di lui. Fu l' inizio di una carriera folgorante. Con Margot e Rudolf il Royal Ballet visse una nuova splendida stagione. Il pubblico delirava per le due stelle, per l' elegante signora un po' snob sposata a un diplomatico panamense e per il bel tartaro. Nel 1965, in un "Romeo e Giulietta" alla Scala, si verificarono scene di fanatismo degne delle piu' grandi occasioni della lirica. Nureyev non si accontentava pero' di essere ancora e sempre un ballerino classico; ebbe contatti con coreografi moderni, per danzare creazioni di Martha Graham, di Be' jart, Limon, Van Dantzig, Petit, Flindt, Taylor e tanti altri. Interpreto' in modo stupendo l' "Apollo Musagete" di Balanchine e diede vita a un piccolo gruppo, gli Amici, col quale ha girato i cinque continenti per anni. Come coreografo inizio' subito un lavoro di revisione dei grandi titoli, da "Raimonda" al "Lago dei cigni", dallo "Schiaccianoci" a "Cenerentola", dalla "Bella Addormentata" al "Don Chisciotte". Lavoro' anche per il cinema e qui bisogna ricordare il suo ruolo drammatico e sensuale nel "Valentino" di Ken Russell. Molti sono stati i suoi impegni televisivi.


    Cartier Bresson


    Una vita di impegni frenetici, migliaia di spettacoli, di trionfi; e poi negli anni Ottanta la direzione del Corpo di ballo dell' Ope' ra di Parigi, con produzioni in serie, con voli rapidi ai quattro angoli della Terra. Gli si perdonava il carattere difficile, si sapeva che era litigioso e prepotente, si annotavano le sue trasgressioni mondane, ma non importava, il divo era al di sopra delle parti anche se litigava con la Makarova a Parigi, anche se maltrattava le ballerine. Ricchissimo, aveva proprieta' in ogni continente e una casa a Parigi ingombra di opere d' arte. In Italia aveva comprato gli isolotti Li Galli (vicino a Napoli), gia' proprieta' di Leonide Massime, uno dei grandi artisti dei Balletti Russi. Dopo il ritiro graduale dalle scene della Fonteyn, aveva avuto come partner tutte le migliori danzatrici del mondo, pareva eterno, invincibile. Sulla scena non si era mai risparmiato; i primi segni di decadenza fisica furono per lui angosciosi al limite della nevrosi. Ebbe la soddisfazione di venire ac colto in Russia, al Kirov, nel 1989: un' apparizione piccola, ma trionfale. Prima gli era stato concesso di vedere per l' ultima volta sua madre, a Ufa. Ma il ballerino non c' era piu' , Rudy continuava a girare il mondo come l' ombra di se stesso, se veniva applaudito era solo per nostalgia. Cosi' penso' di trovarsi un diverso spazio teatrale, come direttore d' orchestra. Un sogno donchisciottesco e patetico, che non aggiunse nulla alla sua fama e che tuttavia gli diede ancora la possibilita' di sperare in qualcosa di nuovo. Ma questo sogno non si realizzo' , e per Nureyev arrivarono anche giornate di pena; come quando, ultimamente a Verona, durante le prove di "Morte a Venezia", un nuovo balletto ispirato al film di Visconti, prese a calci un collega, che lo denuncio' . Il piu' grande ballerino del Novecento divenne facile bersaglio di critiche e di assalti vendicativi; ma poteva ancora produrre ad alto livello i suoi spettacoli, a Parigi come a Milano riducendosi finalmente al puro artista che era. Ora la sua presenza carismatica appartiene al ricordo, il balletto ha perduto il Protagonista, sceso volontariamente, come un eroe romantico, nella notte del dolore con l' animo del grande Solitario.
    (Mario Pasi)
    (7 gennaio 1993) - Corriere della Sera




    Nureyev, la danza ha perso il suo dio " il balletto non sara' piu' lo stesso, come la lirica dopo la scomparsa della Callas " . spazzo' via dalla vecchia scena parrucche e gesti dell' Ottocento. " con un filo di voce mi disse: lavora, Carla, il lavoro e' sacro " la Fracci ricorda il suo grande amico e partner in tanti successi

    La morte ha avuto pieta' del grande Rudolf Nureyev. Pochi attimi, un dolore intenso e poi la fine. Dicono che nella sua stanza, nell' appartamento al Quai Voltaire, fosse accesa la televisione con uno di quei programmi pomeridiani dedicati ai bambini. La "crudele malattia", come la definisce il medico curante Michel Canesi, in un certo senso e' stata beffata. L' Aids, quel nome che nessuno aveva mai osato pronunciare, non ha portato a termine la sua opera devastatrice. Un collasso cardiaco ha posto fine alle sofferenze di "Rudy". Aveva 54 anni. Sara' sepolto a Parigi. E stata la sua ultima decisione. Una citta' che il ballerino amava perche' ha sempre saputo manifestare entusiasmo per l' arte. Nureyev si sentiva "citoyen" di Parigi e Parigi s' era come impadronita di lui. Fu la prima citta' ad accoglierlo, nel giugno del 1961, quando, come si diceva allora, il cittadino sovietico Rudolf Hametovich Nureyev scelse la liberta' . Forse, lo aspetta una tomba al Pe' re Lachaise, un cimitero che ha accolto le spoglie di tanti personaggi gloriosi. Parigi, del resto, contrariamente a Londra che in ottobre aveva divulgato, a grandi titoli, la notizia dell' Aids, e' stata pietosa e riservata, anche negli articoli dedicati ai suoi giorni di martirio. Nessun giornale ha mai osato scendere in dettagli. "Nureyev lotta, e' sereno, lucido", ci hanno detto spesso i suoi amici quando si telefonava, con una certa repulsione, al 42614021. Dicono ancora che, allungato in una poltrona del suo appartamento, cosi' carico di ricordi del passato, un tempio dei suoi trionfi e delle sue nostalgie, avesse sempre sulla testa il berretto che, non si sa bene perche' , faceva venire in mente quello del dipinto di Marat nel bagno. Lui, in giorni migliori, rideva all' accostamento. Non si sa nulla delle sue estreme parole, degli ultimi gesti. Perche' si dovrebbe ricorrere allo spirito rabbioso della cronaca quando "se ne va" un uomo come Nureyev? Adesso, pensiamo, giace nel suo letto e fin da ieri sera sono arrivati i primi fiori. Il cordoglio ufficiale, manifestato da Jack Lang, ministro della cultura e dell' educazione nazionale, e da Pierre Berge' , presidente dell' Ope' ra de Paris, non esprimeva toni da cerimoniale funebre. "La danza non sara' piu' la stessa . ha detto Pierre Berge' .. Come la lirica dopo la scomparsa di Maria Callas". Nureyev era stato in un ospedale della periferia parigina, a Levallois Perret, fino ai primi giorni di dicembre. La stanza numero 517. Poi era tornato nella sua casa del Quai Voltaire. In questi mesi crudeli, molti amici abitavano nelle cinque stanze da cui s' intravedeva la Senna. Non volevano abbandonarlo, lo proteggevano con fermezza dagli assalti dei reporter che volevano persino sapere come e dove avesse ricevuto quel virus demoniaco. "Si fingevano tristi, compunti . ci raccontava una sua amica . per poi intrappolarci con domande indecenti".




    Rudolf Nureyev sapeva. Conosceva il suo destino. Ma fingeva d' ignorarlo e tutti fingevano con lui. Soffriva, ma riusciva ancora a sorridere. Il 31 dicembre, giorno di fine anno, s' e' anche bevuto champagne al Quai Voltaire. L' ultimo champagne. Quelle persone si rendevano conto che "Rudy" affrontava gli ultimi attimi della sua esistenza. Ma facevano progetti e anche lui faceva progetti. "Lo Schiaccianoci", "La Bella addormentata", "Romeo e Giulietta"... E si parlava piu' del futuro che del passato in quella notte di san Silvestro. Il pensiero andava all' ultima volta che Nureyev era apparso in pubblico, l' 8 ottobre, per la prima della "Bayade' re". Era un' ombra. I suoi occhi, che talvolta potevano trasformarsi in ghiaccio, erano lucidi di lacrime. Lacrime di riconoscenza e, forse, di rimpianto per la danza. Si rendeva conto, inoltre, d' impietosire. "La Bayade' re", di cui era il coreografo, era un simbolo per lui. Fu con questo balletto che l' Occidente aveva scoperto, trent' anni prima, un ballerino dalle movenze feline, dalla presenza sconvolgente. Resto' seduto, quella sera dell' 8 ottobre, su una poltrona, aveva uno scialle nero sulle spalle. E i suoi amici, come anche negli ultimi istanti di ieri, formavano una specie di circolo protettivo, come un paravento perche' i fotografi volevano cogliere, con i loro spietati obiettivi, le tracce della malattia "senza nome". Una malattia che lo aveva sorpreso cinque o sei anni fa. Fu un giorno terribile, come se un sipario calasse definitivamente. "Rudy non ha mai perso il suo coraggio", dicevano gli amici. Forse, un coraggio che gli veniva dal fatto d' essere nato su un treno che viaggiava verso Vladivostok. Il coraggio che gli aveva dato, quel 17 marzo del 1938, sua madre, una tartara. C' e' chi l' aveva soprannominato "La fauve de l' Ope' ra", la belva dell' opera. Rudolf Hametovich Nureyev aveva un volto tartaro. Gli zigomi alti, quel carattere indomabile.
    (Ulderico Munzi )






    Il telefono e' squillato presto, troppo presto, in casa Fracci. Carla, suo marito Beppe Menegatti, il loro figlio Francesco, dormivano ancora tutti. "Quel suono mi e' subito sembrato un triste presagio . dice con la voce commossa Carla Fracci, per oltre trent' anni amica e partner di Nureyev .. Dall' altro capo la voce rotta di un' amico di Parigi: Rudolf sta malissimo, sta morendo". Poco dopo l' annuncio finale: quello splendido principe tartaro con cui aveva danzato per tanti anni non c' era piu' . "Proprio due giorni fa . continua la Fracci . avevo parlato con una nostra comune amica che il giorno prima era andata a trovarlo. Lui non poteva piu' parlare ma, lucidissimo, continuava a comunicare con un nuovo linguaggio, fatto di gesti e di movimenti degli occhi. Il suo sguardo, fino all' ultimo vivissimo, attento, curioso, parlava dritto per il suo cuore. Stringeva con forza le mani che l' accarezzavano, cercava di trattenerle. No, non credo che fosse spaventato. Sapeva benissimo della sua malattia, sapeva che le speranze erano poche, conviveva con l' idea della morte da molti anni. Ma non si e' mai arreso: fino all' ultimo ha lottato per farcela, per vincere ancora una volta lui". Neanche quindici giorni fa, con il filo di voce che gli restava, aveva mormorato al telefono a Carla un ultimo messaggio, una frase degna di un personaggio cecoviano: "Lavorare, bisogna lavorare, devi continuare. Il lavoro e' sacro". La prima volta che s' incontrarono fu a Londra. Lei aveva 24 anni, lui 23. Non fu un incontro di lavoro, si trovarono attorno a una allegra tavolata di danzatori. "Era autunno . ricorda la Fracci ., lui era arrivato da poco, era fuggito dalla Russia solo qualche mese prima, in primavera".




    Si rividero poco dopo: tutti e due in coda davanti al camerino di Margot Fonteyn, la divina con cui Rudolf avrebbe fatto coppia per tanti anni. Poi la prima volta sulle punte una nelle braccia dell' altro: una serata memorabile che riuni' sul palcoscenico dell' Opera di Roma Nureyev, la Fracci e Erik Bruhn. Ballarono "La silfide", ballarono "Romeo e Giulietta". E la platea continuava ad applaudire per non lasciarli andare. Quella soire' e fu l' inizio di un sodalizio artistico ma anche di una solida amicizia. Vennero i trionfi di "Giselle", del "Lago dei cigni", dello "Schiaccianoci". "Rudolf aveva fama di uomo difficile, estroso, capriccioso. Eppure io non ho mai avuto problemi con lui. Certo, aveva un carattere fiero, esigente, che pretendeva sempre il massimo. Ma anche lo dava. Non dimenticava mai che il nostro e' un mondo fatto di rose ma soprattutto di spine. Il nostro e' stato un rapporto leale e caldo. Rudy e' venuto spesso a passare le vacanze con noi". "Ricordo un Natale a Firenze. Eravamo tutti riuniti, si passavano le serate da una casa all' altra a farci gli auguri, a scambiarci piccoli doni. Rudolf ci seguiva ovunque. Lui non aveva patria, ne' casa, ne' famiglia. Con le sorelle non andava d' accordo, gli altri legami erano sempre precari. Era affamato di affetto, di calore domestico. E un mattino mi confesso' : "sai Carlina, ho fatto un sogno molto, molto doloroso. Ho sognato che camminavo in un deserto tutto ricoperto di neve e a un tratto mi son trovato innanzi una scalinata fatta di grandi fette di pane, come quello vostro, toscano. Al culmine c' era mia madre: piangeva". Tra i ricordi piu' dolci un film girato insieme tanto tempo fa, "Carnevale a Venezia". "Una storia un po' stupidotta e sdolcinata, lui faceva un maestro di ballo, io l' allieva. Insieme pero' ci eravamo tanto divertiti, che ci pareva bellissima". "La sua fortuna adesso . conclude l' e' toile . e' di avere al fianco due grandi angeli custodi: la Bresobrasova e Monica Venturi".
    (Giuseppina Manin)



    Rudolf Nureyev, tormento ed estasi di un folletto

    Rudolf Nureyev lasciò una parte della sua immensa fortuna, 600 mila dollari, a un ballerino americano che aveva conosciuto ai tempi in cui lavorava per l' American Ballet: il giovanotto, Robert Tracy, allora ventitreenne, in cambio del suo silenzio sulla relazione che aveva vissuto con lui alla fine degli anni Settanta, prese questo impegno e lo rispettò per dieci anni. Tracy ha sollevato a sorpresa il velo sul lato gay, per altro a tutti noto di Nureyev, solo quest' anno, in un' intervista apparsa il 30 gennaio sul Guardian e ha parlato del suo rapporto con il dio in termini di tormento ed estasi. Incontri, il colpo di fulmine a New York, l' onore di avere danzato Il borghese gentiluomo di Balanchine a fianco della star, gli addii dopo tre anni. Il dolore infine per non essere stato ammesso ad assistere, nell' agonia di Nureyev, l' amico mai dimenticato. Dieci anni dopo la sua scomparsa Tracy, che ora scrive di balletto dopo aver smesso di danzare e di fare il coreografo, ridesta i fantasmi del passato, quelli che il grande artista voleva restassero segreti.



    «Provate a scrivere che sono gay - diceva Nureyev - e vi porto in tribunale». Nessuno osò sfidarlo. Quando nel 1961 Rudolf lasciò il più famoso balletto russo, il Kirov di Leningrado per vivere in Occidente (la sua fuga, quel 21 giugno all' aeroporto di Le Bourget fu lo scandalo dell' anno) si parlò di ragioni politiche, ma anche di comportamenti non graditi al governo sovietico. Si attribuivano a Nureyev allora relazioni pericolose con colleghi stranieri e, in particolare, con un ballerino cubano. Ma Nureyev negò tutto motivando la sua fuga con ragioni soltanto artistiche. Il mondo fu d' accordo nel privilegiare il lato buono, positivo, di un uomo dall' agitatissima vita privata e di un modo di essere che voleva sempre costituire una sfida, un rischio, a un tipo di violenza. Senza saperlo, negli anni londinesi seguiti alla sua fuga, Nureyev corse in parallelo con Pier Paolo Pasolini: la sua vita fu messa in pericolo molte volte, nei quartieri malfamati della capitale inglese, come nei ghetti americani. Lo testimonia uno scrittore ungherese emigrato in Canada nel 1956, gran ballettomane e amico di Nureyev, Stephen Vicinczey (ha pubblicato per Rizzoli Il candido milionario). Spesso dopo le recite, racconta lo scrittore, «io e mia moglie lo invitavamo a cena a casa nostra, ma il più delle volte sfuggiva, scompariva per riapparire all' alba. E non diceva nulla di quello che gli era successo». Personaggio fatale e romanzesco, chi era veramente Nureyev? Era il mister Hyde della notte, in preda ai demoni della follia che entrava nel lato nero della vita o il genio della danza che incantò Eugenio Montale al debutto scaligero in Romeo e Giulietta del settembre 1965? «Agile come un folletto, vertiginoso come una trottola, apparentemente quasi infantile, di una eleganza che non è mai leziosa, egli è un Romeo di cui non si potrebbe immaginare l' eguale». Così scriveva il futuro premio Nobel in un memorabile articolo apparso sul Corriere d' Informazione. La duplicità del suo essere, col tempo venne risolta dall' unico grande amore della sua vita, il palcoscenico. La nostalgia di casa, l' esilio, la paternità negata, erano i suoi dolori quotidiani. Tracy dice che la relazione con Rudolf era «danza, sesso, caviale». Ma non si doveva sapere: il prezzo del silenzio, i già citati 600 mila dollari. Ci saranno altri inutili rivelazioni sulla vita privata di un artista che affascinava in modo selvaggio anche le donne, ma nulla potrà scalfire il mito di un ballerino senza uguali nel suo tempo. Ed è al mito Nureyev, al suo «lato bianco» che si guarda con affetto.
    (Pasi Mario - 17 marzo 2003 - Corriere della Sera)





    Edited by gheagabry - 6/1/2013, 22:38
     
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    Corpi che rasentano la perfezione, che sfidano la gravità e i principi di locomozione, la materia si spinge oltre l’umana soglia di dolore, di fatica ben oltre tutti i limiti fisici umanamente pensabili. Attraverso un lavoro così intenso si forgia la muscolatura di un atleta, così come quella di un danzatore; ma la danza si sa è un arte, tra le arti forse la più sublime, e l’arte non si accontenta della forma con cui si esprime ma attraversa il mezzo di cui si serve per manifestarsi, ben oltre la tela in pittura ben oltre il corpo nella danza…

    La fisicità di un ballerino diviene un elemento marginale rispetto alla poesia e all’intensità del gesto, perché è proprio nel gesto che risiede l’abissale differenza che fa di un individuo dalla muscolatura scultorea un danzatore. La storia però spesso ci regala personalità che ne cambiano il susseguirsi della stessa, così come dell’intera umanità, figure ineguagliabili a cui nessun termine o definizione si addice, perché dalla loro comparsa in poi hanno privato di senso le parole e gli aggettivi atti a descriverli inutili, così per queste persone si devono plasmare nuovi termini per parlarne e questo è il caso di Rudolf Nureyev.

    Nureyev non può definirsi semplicemente un danzatore, è stato la personificazione della danza, ne incarnava la tragedia così come la passione, la grandezza, la gioia al pari del dolore. Era più creativo dell’arte stessa, degno di interpretare ogni ruolo che impersonava con un’umanità e una veridicità mai viste prima di lui. La sua vita e il suo temperamento sono stati unici, estremi, tormentati egli stesso diceva : “ Se non si ha passione, temperamento nelle cose uno non vive ma semplicemente esiste”. Molti critici, studiosi e giornalisti parlando di questo talentuoso maestro del balletto, sostengono che esista un prima e un dopo Nureyev ed è innegabile che da quando Rudolf ha calcato i suoi primi palchi nulla nella danza è rimasto immutato.



    Così lo ricorda l’etolie Carla Fracci:

    “Rudolf aveva fama di uomo difficile, estroso, capriccioso. Eppure io non ho mai avuto problemi con lui. Certo, aveva un carattere fiero, esigente, che pretendeva sempre il massimo. Ma anche lo dava. Non dimenticava mai che il nostro è un mondo fatto di rose ma soprattutto di spine. Il nostro è stato un rapporto leale e caldo. Rudy e’ venuto spesso a passare le vacanze con noi”… Ricordo un Natale a Firenze. Eravamo tutti riuniti, si passavano le serate da una casa all’ altra a farci gli auguri, a scambiarci piccoli doni. Rudolf ci seguiva ovunque. Lui non aveva patria, ne’ casa, ne’ famiglia. Con le sorelle non andava d’ accordo, gli altri legami erano sempre precari. Era affamato di affetto, di calore domestico. E un mattino mi confessò : “sai Carlina, ho fatto un sogno molto, molto doloroso. Ho sognato che camminavo in un deserto tutto ricoperto di neve e a un tratto mi son trovato innanzi una scalinata fatta di grandi fette di pane, come quello vostro, toscano. Al culmine c’ era mia madre: piangeva”.

    Il pregio di questo grande artista è sempre stata la determinazione. La promiscuità nei rapporti sessuali e la non conoscenza della pericolosità di questi, portò alle tragedie derivate dallo scoppio dell’AIDS anche in campo artistico, incominciando nel 1983 con Klaus Nomi. Secondo il dott. Michel Canesi, Nureyev probabilmente è diventato sieropositivo all’inizio degli anni ’80. Con il compimento dei quarant’anni alla fine degli anni settanta e a causa dell ‘AIDS iniziò l’inevitabile declino della straordinaria potenza fisica di Nureyev. Egli tuttavia continuò per molto tempo ancora ad interpretare ruoli da protagonista nei grandi balletti classici, causando in particolare dalla seconda metà degli anni ottanta la disapprovazione di molti dei suoi ammiratori.
    A seguito della diagnosi, il ballerino incominciò le pesantissime cure sperimentali , ma il fisico di Rudolf regge, continua a danzare, senza sosta fino alla fine della sua vita, mettendo in scena nuove versioni di vecchie opere e commissionando alcuni dei più coreografici spettacoli del suo tempo, nonostante il peso degli anni e l’inevitabile affaticamento. Fino al 1989 portò avanti il ruolo di direttore all’Opera di Parigi . Nel 1991 tentò, con scarso successo di critica e pubblico, di diventare direttore d’orchestra pur non avendone le competenze specifiche. A partire dal 1992 l’artista si ritrovò ad affrontare il periodo più difficile e doloroso della sua malattia; si rimise in maniera a dir poco straordinaria, e diresse Romeo e Giulietta a New York danzato da Silvie Giullem e Laurent Hilaire. Il 4 gennaio 1993, avvolto nel suo pigiama di lana, Rudolf entrò in coma, morì il 6 gennaio 1993.




    Con la sua inesauribile vitalità Nureyev ha dato nuova linfa ai classici del repertorio, caparbio ed intelligente si cimentò nella danza classica senza precludersi lo studio della moderna, arrivando ad eliminare il confine tra i due linguaggi artistici. Per lui hanno realizzato capolavori alcuni tra i più grandi geni della danza e della coreografia, fra cui Frederic Ashton, Roland Petit, Kenneth MacMillan, , George Balanchine, Martha Graham, Maurice Béjart, Paul Taylor.
    Rudolf Nureyev rimane un mito indiscusso, come lui stesso diceva

    «Si diventa un mito quando nessuno è in grado di conquistare il cuore del pubblico dopo che tu te ne sei andato».

    Credo che solo attraverso le sue parole di Rudolf Nureyev stesso, si possa comprendere cosa fosse per il grande maestro la danza, il senso del suo essere, del suo esistere.




    Scriveva:

    “Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza.
    Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine corso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.
    Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. C’èro e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza. Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.
    Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita… “ RUDOLF NUREYEV





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