MILANO

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  1. gheagabry
     
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    CASTELLO SFORZESCO

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    Quello che oggi si chiama ‘Castello Sforzesco’ e fino all’Ottocento ‘Castello di Porta Giovia’, dall’antica porta romana cui si affiancava, nacque tra il 1358 e il 1360 circa per opera di Galeazzo II Visconti, e fu continuato tra il 1380 e il 1390 da Gian Galeazzo Visconti. Sorgeva a cavallo delle mura urbiche, con la parte militare all’interno, rivolta verso la città, e quella residenziale, ospitante il signore, la sua famiglia e gli ambienti di rappresentanza, all’esterno, verso la campagna. Una collocazione comune a tutti i castelli di signori cittadini, che consentiva di dominare l’abitato e anche, in caso di rivolta, di fuggire verso la campagna. Alla caduta dei Visconti, nel 1447, Milano fu governata per tre anni da un’effimera repubblica, che iniziò la demolizione del castello. Ma la sua ricostruzione fu uno dei primi atti di Francesco Sforza appena si impadronì della città. Molte innovazioni furono apportate soprattutto sul lato verso la città, dove due scenografiche torri tonde con paramento esterno a bugnato sostituirono le precedente torri quadrate e dove un’alta torre a volumi sovrapposti (quella detta ‘del Filerete’) venne innalzata a segnare l’ingresso principale. Sul lato verso la campagna fu costruita una cinta esterna, la ‘Ghirlanda’, che fungeva da primo antemurale contro nemici esterni. Quando nel Cinquecento gli spagnoli entrano in possesso di Milano impiegarono il catsello, ormai inutile come reggia, come fortificazione, visto che non c’era più un duca regnante, ma solo un governatore nominato dal sovrano spagnolo. Per rimediare alla sua concezione ormai obsoleta lo avvolsero in una poderosa ‘stella’ di sei bastioni e lo trasformarono in una munitissima cittadella a controllo della città, che resistette fino alla distruzione ordinata nel 1800 da Napoleone. Privato delle sue difese esterne e ridotto a caserma delle truppe occupanti, il castello di Milano era ormai nella seconda metà dell’Ottocento un gigantesco rudere, di cui molti chiedevano l’abbattimento. Se riuscì a salvarsi fu per merito di un celebre architetto dell’epoca, Luca Feltrami, che convinse le autorità a non abbattere l’importante opera e mobilitò per il suo salvataggio le energie della città. Il suo restauro, condotto appassionatamente per molti anni, con una lunga sequela di studi, rilievi e indagini, è forse la maggior realizzazione del ‘restauro storico’ teorizzato all’epoca, e non solo salvò il castello ma gli diede una funzione centrale all’interno dell’abitato, tanto che oggi il castello è il simbolo stesso di Milano.

    ...i VISCONTI....


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    Nella divisione del territorio fra i nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò voluta dall'arcivescovo e signore di Milano Giovanni Visconti, a Galeazzo II era toccata la Porta Giovia. Tutte le Porte vennero debitamente potenziate e fortificate, in modo da farne delle Rocchette. La più famosa e documentata a Milano era quella di Porta Romana utilizzata da Bernabò e sopravissuta fino al suo atterramento voluto dal Piermarini. La diffidenza che Galeazzo II e soprattutto sua moglie Bianca di Savoia provavano nei confronti di Bernabò determinò lo spostamento della coppia a Pavia, dove la coppia aveva fatto costruire un vero castello atto all'abitazione, con un grande parco per l'allevamento dei cavalli. La Rocca di Porta Giovia, edificata tra il 1358 e il 1368, rimase quale presidio militare di Galeazzo II a Milano e quale residenza per i suoi soggiorni milanesi (mentre il palazzo visconteo accanto all'arcivescovato - ora Palazzo Reale - non veniva usato perché troppo vicino al temuto fratello). Fu l'ultimo dei Visconti, Filippo Maria (1412-1447) ad eleggere la Rocca di Porta Giovia a sua residenza milanese e quindi a trasformarla in un vero e proprio castello con pianta quadrangolare, chiamando presso di sé architetti del calibro di Filippo Brunelleschi, il contributo concreto del quale resta però abbastanza oscuro. Poiché attorno al castello fu scavato un largo fossato (alimentato direttamente dalle acque del fossato cittadino), l'accesso era garantito da due doppi ponti levatoi con relativi battiponte, uno sul lato città, l'altro sul lato campagna. All'epoca era già sicuramente esistente una cinta muraria che proteggeva il castello nella parte esposta verso la campagna. E proprio la campagna retrostante fu trasformata, per la gioia dei Visconti e dei loro illustri ospiti, in un'immensa tenuta boschiva di 3 milioni di metri quadri, che nelle epoche di maggior splendore fu popolata con animali esotici, per rendere le battute di caccia più prestigiose. Alla morte di Filippo Maria (1447), il castello di Milano, con i suoi 180 metri di lato, era senz'altro il più grande fortilizio realizzato in epoca viscontea.

    Dopo Filippo Maria, che lasciava come unica erede la figlia Bianca Maria sposata al condottiero Francesco Sforza, Milano si organizzò autonomamente dando vita alla Repubblica Ambrosiana (1447-1450). In questo pur breve periodo i milanesi si accanirono con violenza contro il castello visconteo, simbolo di oppressione e tirannide, demolendolo in parte e smantellandone le opere difensive.

    ..gli SFORZA..

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    Divenuto signore di Milano Francesco I Sforza nel 1450, si pose immediatamente mano alla ricostruzione del castello, che divenne il cardine di tutto il sistema difensivo cittadino. In realtà, tra i numerosi patti sottoscritti tra i rappresentanti della città e lo Sforza, vi era quello di non riedificare il castello di Porta Giovia. Il furbo condottiero venne però meno al proprio impegno, spingendo una delegazione di cittadini ad invitarlo alla ricostruzione, adducendo come motivi il decoro e la sicurezza della città. Per rendere meno indigesta la nuova fortezza, volle che la facciata verso la città fosse ingentilita con delle finestre, a mo' di palazzo, che poi però, quando la sua Signoria si era ormai affermata e nessuno più poteva metterla in discussione, fece prontamente murare per migliorare la sicurezza dell'intera rocca. Le finestre saranno riaperte solo coi restauri moderni del Beltrami, come vedremo più avanti. Alla fine del Quattrocento gli Sforza erano una delle potenze europee, anche se non ‘la’ potenza italiana per eccelenza che erano stati i Visconti. Ma tutto cambiò in pochi mesi. Luigi XII, divenuto il re di Francia nel 1498, si ricordò di avere tra gli antenati una Visconti e rivendicò la sua presunta dignità di ‘vero’ duca milanese. Rifiutò di riconoscere la signoria degli Sforza (a cui in realtà non perdonava di essere stati gli alleati di Borgogna) e si giunse così a una guerra, nel corso della quale castello e città furono conquistati dalle truppe francesi. Il duca Ludovico il Moro fuggì in Germania, da dove cercò poi invano di riconquistare Milano. Fatto prigioniero, fu incarcerato a Loches, in Francia, dove morì nel 1508. il figlio maggiore Massimiliano riuscì a tornare fuggevolmente al potere, grazie all’aiuto svizzero, ma solo il figlio più giovane, Francesco, potè riprendersi il castello nel 1522, dopo la nomina a duca da parte dell’imperatore Carlo V. Francesco morì tuttavia senza lasciare eredi, e il ducato rientrò nelle disponibilità dell’imperatore. Fu così che a Milano cominciarono le dominazioni straniere (spagnoli, austriaci, francesi).

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    Le principali innovazioni architettoniche di questo periodo furono le muraglie più spesse, atte a resistere ai colpi dei proiettili, i torrioni più bassi e rotondi, camminamenti di ronda per la difesa piombante e le indispensabili, moderne, aperture per le bocche da fuoco (archibugiere, balestriere, bombardiere). I due celebri torrioni circolari vennero edificati con uno spessore di sette metri, abbelliti con pietre a bugnato regolare. Fu anche aggiunto un grande stemma, che recava le iniziali FR. SF. e la vipera viscontea, insegna adottata per dimostrare la continuità della stirpe sforzesca da quella viscontea. All'interno, i torrioni contenevano delle celle per i prigionieri. Alla prima fase ricostruttiva parteciparono esperti militari dell'epoca, quali Marcoleone da Nogarolo, Filippo d'Ancona, Giovanni Solari, Jacopo da Cortona. Vi lavorò anche Antonio Averulino, il Filarete, che edificò nel 1452 la omonima torre, al centro della facciata rivolta verso la città, anch'essa progettata per smorzare i toni eccessivamente cupi e militareschi che il castello stava assumendo.
    La sovrintendenza generale ai lavori costruttivi venne affidata a Bartolomeo Gadio, che manterrà l'incarico per ventisei anni, durante i quali si portò a termine anche la ghirlanda, cioè la cortina muraria a difesa del castello (ricavata sulla preesistente difesa viscontea) e la strada segreta, o coperta, posta nella controscarpa del fossato. Questa era una sorta di corridoio coperto a volta, illuminata da finestrelle che si aprivano sul fossato, e prima che varie frane e la costruzione della rete fognaria la interrompessero, aveva numerose gallerie che portavano per diversi chilometri in aperta campagna. Se Francesco Sforza aveva pensato, nell'opera restauratrice, prevalentemente agli aspetti difensivi, il figlio Galeazzo si occupò delle parti residenziali e rappresentative. Proseguì così la sistemazione della Rocchetta, e completò la Corte ducale. Innalzò due nuove ali, la prima per ospitare la sala Verde e la cappella ducale; la seconda con il portico detto dell'elefante. Morto improvvisamente nel 1476, vittima della congiura di S. Stefano, la Signoria passò al giovane Gian Galeazzo, sotto tutela della madre Bona di Savoia e del cancelliere Cicco Simonetta. Nel 1477 Bona fece innalzare la torre centrale che ancora porta il suo nome, col preciso compito di sorvegliare i movimenti interni al castello e l'accesso alla Rocchetta. Autore ne fu il marchese Lodovico Gonzaga, Signore di Mantova. La torre fu progettata per contenere otto celle, a cominciare da quella sotterranea, l'una sopra l'altra. Liberatosi del Simonetta e scacciata Bona di Savoia, Ludovico Maria assunse la tutela del Ducato facendo firmare al nipote una lettera d'assenso, divenendo di fatto il nuovo signore dal 1480 al 1499. Il Moro volle imprimere al Castello un'immagine più residenziale e principesca, mitigando l'impronta guerresca ancora dominante nonostante gli sforzi dei suoi predecessori. Per questa ragione chiamò a corte artisti di spicco, tra i quali il Bramante e Leonardo. Negli anni della loro permanenza a Milano, entrambi presentarono numerosi progetti per quella che ormai era diventata la residenza della famiglia ducale (fin dagli anni Sessanta del Quattrocento).

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    Attualmente, tuttavia, individuare le tracce del loro operato risulta difficile. Del tutto labili sono gli indizi di un'attività bramantesca. E' noto che verso il 1495 il cortile della Rocchetta, il quadrilatero porticato posto nel vertice occidentale del castello cui si accedeva originariamente solo dalla grande piazza d'armi tramite un ponte levatoio, fu dotato del terzo ed ultimo fronte ad arcate su colonne. Sua deve sicuramente essere la cosiddetta "ponticella", opera commissionata dal Moro a Bramante, secondo il suo allievo Cesare Cesariano (1521), e identificata dal Beltrami nel piccolo ponte coperto (databile al 1495 circa) che attraversa il fossato esterno al lato nord est del castello, connettendo le stanze private del duca con l'area allora a giardino compresa tra il fosso stesso e la ghirlanda.

    ..LEONARDO..


    Tra queste stanze private, v'era la "saletta negra", che il Moro, dopo la morte della sposa Beatrice, aveva fatto decorare da Leonardo ed in cui amava raccogliersi. Il contributo di Leonardo è assai meglio precisabile, ma resta documentato sostanzialmente solo da disegni: i suggestivi schizzi per un'altissima torre-osservatorio al centro della facciata verso la città e singolari tempietti a cupola per le torri angolari. Non restano invece tracce di un padiglione a pianta centrale realizzato nel giardino, e del famoso monumento equestre a Francesco Sforza (il cui modello fu distrutto dai Francesi) che doveva essere posto in una grandiosa nuova piazza rivolta verso la città. La creazione più famosa di Leonardo resta così il grande affresco sulla volta a ombrello della sala "delle Asse", eseguito secondo un suo progetto decorativo nel 1498 circa: una grande pergola verde di rami, annodati con i famosi "vinci", che scaturivano da un circolo di alberi.
    Leonardo è comunque ricordato per aver organizzato coreografie e macchinari per allietare feste e stupire gli ospiti di corte. Una delle più famose fu quella organizzata nella Sala Verde della corte ducale, e detta Festa del Paradiso. Leonardo creò sul palcoscenico una volta raffigurante il Paradiso, con astri, divinità, angeli e quant'altro. Sul culmine della volta l'artista collocò un bambino tutto nudo e dorato di vernice, con grande ammirazione dei presenti.
    (dal web)


    Edited by gheagabry1 - 5/12/2019, 11:54
     
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