MILANO

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  1. gheagabry
     
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    "Quater Pass in Galleria"


    LA GALLERIA VITTORIO EMANUELE II



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    Il 7 marzo 1865 venne posta la prima pietra della futura galleria Vittorio Emanuele II, alla presenza del re, con apparati celebrativi ideati dal Mengoni. I lavori vennero assunti dalla società inglese City of Milan Improvements Co., il cui direttore tecnico era M.D. Wyatt. L’elemento di profonda novità si trovava nel coronamento degli edifici in stile eclettico fiancheggianti la nuova via: una cupola metallica di 37,5 m di diametro, costruita in loco con elementi prefabbricati dalla ditta H. Joret di Parigi e rivestita con vetri di Saint-Gobain. Il Mengoni risanò così un’area che, per quanto antica, era formata da una fitta rete di vicoli stretti e malsani, sviluppando in Italia la tipologia del passage (introdotta a Milano con la più modesta galleria De Cristoforis) su scala monumentale.
    La sensazione, facendo i classici “quattro passi in Galleria”, è quella di entrare nel cuore della città. All'ingresso un magnifico arco accoglie le persone, all’interno di uno spettacolo tutto meneghino; mille modi per fare sosta in questo transito tra il Duomo ed il Teatro alla Scala, proprio l’idea originaria dei progettisti che volevano una via porticata che fungesse da vetrina e da passeggiata per prendere l’aperitivo o cenare dopo l’Opera. All’interno della Galleria, tutti gli esercizi commerciali devono avere un’insegna con scritte in oro su fondo nero.
    La struttura della galleria è costituita da 353 tonnellate di ferro utilizzate per l'ossatura della copertura; 32 metri l'altezza della Galleria; è strutturata con un impianto a forma di croce (lunga 196m in direzione nord-sud, 105,5m in direzione est-ovest, larga 14,5 ed alta 21) e l'ottagono che si forma all'incrocio dei bracci è coperto da un’ardita cupola in vetro e ferro che raggiunge i 47m di altezza e che, per la sua tecnica moderna e per la sua originalità, è da mettere in relazione con le altre strutture simili create nello stesso periodo a Londra e Parigi.
    Alzando lo sguardo da sotto la Cupola, l’attenzione è focalizzata da quattro mosaici a forma di mezzaluna che raffigurano, in allegoria, quattro parti del mondo, Europa, Africa, Asia e America.
    L'Ottagono centrale è considerato il salotto della città. Sul suo pavimento, al centro, è realizzato a mosaico lo stemma di Casa Savoia. Ai suoi lati, sempre in mosaici, sono rappresentati gli stemmi delle quattro città che in epoche diverse sono state capitali del Regno d'Italia: nell'ordine Milano (con Napoleone), poi Torino, Firenze e infine Roma (coi Savoia).Oltre ai disegni della pavimentazione dell'ottagono centrale, la galleria metteva in mostra anche 24 statue che raffigurano italiani illustri che contribuirono a gettare le basi della civiltà letteraria, artistica e scientifica.
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    All’inaugurazione della Galleria Vittorio Emanuele II, venticinque statue di italiani illustri decoravano l’ottagono e gli ingressi: Raffaello, Savonarola, Vittor Pisani, Macchiavelli, Michelangelo, Galilei, Leonardo, Volta, Marco Polo, Pier Capponi, Arnaldo da Brescia, Romagnosi, Giovanni da Procida, Gian Galeazzo, Monti, Cristoforo Colombo, Bello de’ Gozzadini, Emanuele Filiberto, Ugo Foscolo, il Lanzone, Dante, Cavour, Beccaria, Vico, Ferruccio.Le statue furono eseguite dai migliori scultori d’accademia del secondo ottocento, tra i quali Odoardo Tabacchi, autore della statua di Dante, Antonio Tantardini, cui si deve la statua del Romagnoli, e Pietro Magni, che esegue quelle di Volta, Michelangelo, Galileo, Cavour, Leonardo, Pier Capponi, più grandi delle altre. Le opere, di cui era prevista la traduzione in marmo, non furono mai sostituite e, a causa dei danneggiamenti subiti per gli sbalzi climatici, furono rimosse a partire dal 1891.

    Locali alla moda e di lusso per clienti aeinti hanno contraddistinto la Galleria fin dall'inaugurazione, conferendole quella denominazione di 'salotto di Milano' che è rimasta confermata nel tempo. Tra i nomi di prestigio, primo tra tutti il Biffi, locale aperto da Paolo Biffi dapprima come cafè vicino al Duomo, qui trasferito nel 1867 all'inaugurazione della Galleria Vittorio Emanuele, divenuto subito il locale preferito da cantanti lirici e dai milanesi che contano, in cui ascoltare musiche di Verdi e walzer di Strauss eseguite dall' orchestra. Con il passare degli anni, il ristorante, venne ceduto ad un altro proprietario che lasciò comunque l'antico nome sulle vetrine, ove resterà fino agli anni 90 del 900. Nel 1885 fu accolto in Galleria anche il ristorante più famoso di Milano, il Savini, aperto da Virginio Savini e reso fin da subito celebre dai suoi divani rossi in peluche, le specchiere ed i paralumi rossi sui tavoli, elementi che hanno costituito una grande attrattiva per una clientela di buongustai altolocati e giornalisti, rendendolo tempio della mondanità milanese. Il suo mito (avere qui un tavolo fisso era considerato un privilegio sociale come disporre di un palco alla Scala) perdurò fino alla fine degli anni Novanta.


    ...storia...



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    Quando la Galleria Vittorio Emanuele II sorse, nel XIX secolo, la città meneghina ambiva alla realizzazione di una grande opera architettonica che incorporasse le innovazioni tecnologiche del tempo e quindi ne consacrasse lo status di principale centro economico e morale della penisola. Dalla prima idea, sorta nel 1859, di realizzare una struttura simile ma più dimensionata della Galleria de Cristoforis, sempre a Milano, che fungesse da passaggio di collegamento coperto tra Piazza Duomo a Piazza della Scala (inizialmente pensata in dedica all'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe), si passò all'espletamento di un concorso internazionale indetto dal comune. Sui 176 architetti partecipanti, ad aggiudicarsi la vincita fu il giovane architetto Giuseppe Mengoni, il quale propose una lunga galleria attraversata da un braccio, con al centro dell'incrocio una grande "sala" ottagonale: la copertura prevedeva un'ossatura in ferro e il resto in vetro. I due ingressi principali, quelli del braccio più lungo, previdero inoltre due grandi archi trionfali. I capitali necessari si trovarono costituendo una società in Inghilterra promettendo ricavi dalle proprietà in costruzione, la stessa che fabbricò l'ossatura in ferro e la spedì a Parigi per essere assemblata. Nel progetto originario la galleria avrebbe dovuto essere più bassa: la volumetria degli edifici fu aumentata segretamente dalla società britannica che aveva pagato una tangente al sindaco Antonio Beretta.
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    Nel 1865 iniziarono i lavori con la posa della prima pietra da parte di re Vittorio Emanuele II di Savoia e due anni più tardi si inaugurò la galleria, anche se non completamente terminata. Quando questa società fallì, il Comune di Milano assunse la proprietà e continuò a fornire il capitale necessario. Circa dodici anni dopo finalmente il complesso fu terminato.
    Giuseppe Mengoni, l'ideatore della galleria, vi morì proprio precipitando dalla cupola durante un'ispezione il 30 dicembre 1877, anche se non mancò l'interpretazione che si trattasse di un suicidio, dovuto alle critiche espresse da più parti e alla delusione per la mancata presenza del re all'inaugurazione. Non si poteva sapere che tale assenza era dovuta alle gravi condizioni di salute di Vittorio Emanuele II, tenute segrete, e che il re sarebbe morto dopo pochi giorni.
    La galleria con i suoi caffè divenne ben presto il salotto di Milano, e nel 1910 il pittore futurista Umberto Boccioni dipingerà il movimento delle persone che la animavano nella tela Rissa in galleria.
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    Durante il 1914 ed i primi mesi del 1915, immediatamente precedenti l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale la galleria fu sede di manifestazioni di interventisti e pacifisti, spesso culminanti in zuffe. Il 7 novembre 1919 il diciannovenne anarchico Bruno Filippi morì dilaniato dalla sua bomba esplosa mentre entrava nel caffè Biffi, noto per essere frequentato dai ricchi milanesi, cercando di compiervi un attentato.
    Durante la seconda guerra mondiale, nelle notti del 13 e del 15 agosto 1943, la galleria venne colpita dai bombardamenti aerei alleati.
    Con il bombardamento aereo sulla città di Milano, la Galleria subì notevoli danneggiamenti ed in tale occasione l'arco verso Silvio Pellico fu distrutto per la maggior parte. Nel 1953 iniziò un'attenta ricostruzione che ha cercato di riproporre il più fedelmente possibile l'architettura del Mengoni nelle forme e nelle proporzioni, modificando però in parte i materiali costituenti. Il restauro degli anni Sessanta ha interessato anche il rifacimento della pavimentazione.

    Per molti anni a partire dal secondo dopoguerra, la zona d'ingresso alla galleria verso piazza Duomo costituì un tradizionale punto di ritrovo; la presenza delle edicole e degli strilloni faceva infatti riunire capannelli di persone, soprattutto all'ora di uscita dei quotidiani del pomeriggio, di solito caratterizzati da forti titoli in prima su fatti di cronaca nazionale, avvenimenti politici o eventi sportivi. La consuetudine di ritrovarsi in galleria per discutere l'attualità cessò nel corso degli anni di piombo, quando piazza Duomo divenne luogo di accese manifestazioni e di affollati comizi e, in generale, il clima del dibattito politico cittadino si fece più aspro.


    ....storie, miti e leggende....



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    Al centro della Galleria Vittorio Emanuele II, dedicata al re d’Italia, si trova uno stemma raffigurante un toro che rappresenta la città di Torino. Nell’ottagono centrale, oggi luogo privilegiato per eventi e installazioni, è situato sul pavimento il simbolo araldico dei Savoia con una croce bianca in campo rosso ed il famoso toro raffigurato con gli "attributi" in vista.
    L'usanza dice che porti fortuna porre il piede sopra gli attributi del toro e compiere una rotazione ad occhi chiusi facendo perno su quel piede. Migliaia di turisti e milanesi ogni giorno li schiacciano ritualmente come portafortuna! Secondo la leggenda però porta fortuna ruotare di 360° con il tallone del piede destro sui testicoli del toro solo alle ore 24 del 31 dicembre.


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    La cupola, posta nella parte centrale (ottagono), al momento dell’inaugurazione (5 settembre 1867) venne illuminata con un originale marchingegno animato da una molla che correndo su un binario installato lungo i muri accendeva i beccucci a gas mediante una fiammella alimentata da un deposito di spirito rinchiuso nel marchingegno. Il minuscolo meccanismo, somigliante a un topolino, correva veloce lungo i muri dell’ottagono, gli spettatori lo chiamarono subito rattin, come nel dialetto milanese viene chiamato un piccolo topo.
    La notizia si sparse ovunque e, al tramonto, poco prima che l’addetto della società del gas cominciasse le operazioni di carica del rattin, l’ottagono della Galleria si affollava di curiosi che volevano assistere all’evento. La cronaca cittadina del tempo, su Universo Illustrato riportava: “un lungo applauso era scoppiato da tutte le parti e grazie agli echi sonori dell’immensa cupola, pareva centuplicato…”.


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    I milanesi, orgogliosi del loro rattin, presero come abitudine di fare quatter pass in galleria con gli amici o con la famiglia, tanto che nacque il detto: “La Galleria Vittori Emanuel l’è la caponera di meneghitt!” ( la Galleria Vittorio Emanuele è il ritrovo dei milanesi!). Si fermavano per l’aperitivo al Camparino, una bevuta alla Birreria Stoker (ora Savini), per gustare, al Biffi, la famosa barbajada, una bevanda a base di cioccolata, caffè e panna inventata dal napoletano Domenico Barbaja, o per assistere ai concerti del Caffè Italia. D’Anzi e Carosso, da “milanesoni” quali erano scrissero la canzone “Quater pass in galleria” rendendo ancora più famosa questa frase, tanto che ancora oggi in piena globalizzazione la sentiamo pronunciare perfino in giapponese.


    Edited by gheagabry1 - 15/9/2019, 18:21
     
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