IL PIANETA DI BABBO NATALE

racconti, fiabe

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  1. gheagabry
     
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    LA DIETA BABBO NATALE!

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    La festa più bella dell'anno ed anche la più attesa da grandi e piccini era imminente.
    Il laboratorio di Babbo Natale, al Polo Nord, era in piena attività: folletti indaffarati e velocissimi erano tutti ai loro posti: c'era chi creava giocattoli per i bambini fino a tre anni, chi si occupava della fascia d'età compresa fra i cinque e i dieci anni, chi pensava agli adolescenti peraltro senza alcuna difficoltà, dato che oggigiorno tutti conoscono i gusti dei ragazzi: play station, nintendo wii, i pod.
    Rimanevano gli adulti e qui la situazione si faceva più complicata. Nella società attuale infatti, su dice che tutti hanno tutto e non si sa più cosa regalare. Perciò, più che produrre, i folletti erano seduti, assorti, concentrati e disperati: non sapevano cosa inventarsi ed il loro settore era inattivo. Babbo Natale, durante una delle sue solite "capatine" nel grande laboratorio per controllare che i folletti non "battessero la fiacca", si stupì moltissimo trovando il settore dei folletti over 30...in stallo. - Ohibò! Che succede qui? - chiese - Avete forse bisogno della carica delle trombe del giudizio universale per portare a termine il lavoro?-
    I folletti, mestamente e rossi in faccia come le loro giacchette, abbassarono gli occhi imbarazzati: mai avevano deluso il buon vecchio dalla barba bianca e si sentivano tremendamente in colpa. Uno di loro, Condino per la precisione, si fece coraggio e disse a Babbo Natale: - Siamo disperati, non sappiamo quali regali preparare per gli adulti. Si dice che abbiano di tutto e di più, come facciamo a renderli felici?-
    - Non è possibile che abbiano tutto - rispose Babbo Natale - forse standovene qui al Polo Nord, in questo laboratorio incantato, avete perso il contatto col mondo. Allora sapete cosa vi dico? Andate e sparpagliatevi su tutta la Terra, studiate, osservate e fra cinque giorni ritornate qua. Sono sicuro che dopo di allora avrete capito di cosa hanno bisogno gli adulti. Ma dovete ritornare pieni di entusiasmo e voglia di fare perché il Natale è vicino e ci sarà molto da lavorare.-
    Condino ed i suoi amici folletti, un po' spaventati e timorosi, furono portati da una slitta gigante, guidata da venti renne, in varie parti della Terra e incominciarono la loro ricerca. Che squadra ragazzi! Erano in parecchi ma il compito che dovevano svolgere era importante ed urgente, dovevano darsi da fare in fretta.
    Ogni folletto aveva caratteristiche diverse: Condino era il più anziano e saggio e per questo Babbo Natale lo aveva nominato coordinatore del gruppo e capo indiscusso del laboratorio. Compito non certo facile il suo: gli altri folletti erano sì gran lavoratori, ma anche giovani ed esuberanti, condizione questa che aveva i suoi lati positivi e negativi allo stesso tempo. Tuttomatto, per esempio, era un po' come dire "picchiatello", e di tanto in tanto andava fuori di testa; Schizzetto era un gran burlone ed amava fare scherzi a chiunque gli capitasse a tiro; Botolo era un po' grassottello, aveva sempre fame e le sue numerose tasche erano piene di caramelle e dolcetti; Turbo era lo Schumacher del gruppo e quando si spostava da un posto all'altro lo faceva a tutta birra; Pennino era veramente originale...che tipo! Ogni volta che succedeva qualcosa, non importava che fosse di rilievo o di poco conto, lui tirava fuori la sua agenda con la penna e annotava tutto. Infine c'era Ronf (superfluo spiegare il perché del suo nomignolo), affidabile sì, ma solo quando riusciva a stare sveglio.
    Babbo Natale che, nel lungo periodo di riposo dopo la faticata dicembrina, doveva trascorrere il tempo in qualche modo, si era adeguato ai tempi ed aveva una fornitissima raccolta di film; la sua passione era il "Signore degli anelli" di cui aveva visto tutti gli episodi. Per questo ed anche perché, non dimentichiamolo, anche lui, come Schizzetto, aveva uno spiccato senso dell'umorismo, aveva denominato il gruppo che doveva svolgere l'importante missione di sondare i gusti degli adulti, "La compagnia del regalo".
    Ma torniamo ai nostri "eroi".
    Condino aveva appena messo piede sul suolo africano quando incontrò un bambino magrissimo, con un grosso pancione e poco lontano, nel villaggio, tanti altri bambini, mamme e nonni sofferenti.
    - Perché - chiese Condino - siete così magri? Cosa vi è successo? -
    E si sentì rispondere che c'era la carestia, che in quella parte dell'Africa pioveva pochissimo, che erano molto poveri e che i loro genitori non avevano strumenti per dissodare, annacquare e coltivare i terreni, quasi niente da mangiare e per bere dovevano accontentarsi della poca acqua melmosa che riuscivano a trovare molto lontano dal villaggio.
    Ed io che credevo, pensò Condino, che gli adulti avessero tutto, qua non hanno nulla, ma perché i paesi ricchi del mondo non li aiutano? Come può Babbo Natale pensare a tutti? Hanno bisogno di troppe cose!
    Comunque il folletto, rattristato da quella realtà che non conosceva, memorizzò le cose di primaria necessità che
    avrebbero potuto, sia pure in parte, contribuire a migliorare le condizioni di vita di quella povera gente.
    - Se Botolo fosse qui - pensò - avrebbe potuto distribuire almeno un po' dei suoi dolciumi ai bambini.-
    Non avrebbe voluto andarsene senza far nulla, ma non c'erano alternative, doveva tornare a casa per riferire a Babbo Natale, così partì, con tanta pena nel cuore.
    Nel frattempo Tuttomatto era in Romania e stava cercando di capire quali fossero le esigenze di quel popolo. "Sbirciò" attraverso le finestre di case in verità non proprio lussuose, vide che in quelle povere abitazioni non c'era il riscaldamento, ma spesso solo una stufa a legna che non riusciva a riscaldare le due stanze, perché faceva un gran freddo e la legna legna era poca. E poi anche gli abiti mancavano ed erano troppo leggeri, non certo sufficienti a coprire bene, non tanto gli adulti, che meglio sopportano il freddo, ma
    soprattutto bambini, specie quelli più piccoli e fragili.
    In una di quelle povere abitazioni abitava anche una maestra che desiderava quaderni, matite, penne per i suoi piccoli alunni, i cui genitori erano troppo poveri e, naturalmente, davano la preferenza all'acquisto del cibo, così non rimanevano mai i soldi per comprare il materiale per la scuola, anch’essa senza fondi.
    Il folletto si accorse poi che in Romania ci sono tanti orfani, molti vivono per strada, sono ammalati e sarebbe bello, pensò, avere case - famiglia accoglienti con cibo, coperte e medicine a sufficienza!
    Tuttomatto stupito da quella realtà così difficile, aveva gli occhi rossi e una lacrimuccia stava scendendo lungo le gote, ma gelò subitaneamente, per il freddo polare.
    - Devo correre da Babbo Natale, dobbiamo cercare di aiutare queste persone con qualche dono che li possa far sorridere almeno per Natale.-
    Schizzetto invece era arrivato in Asia, in Thailandia per la precisione, paradiso dei turisti. Era allegro come il suo solito, ma guardandosi attorno uno spettacolo desolante si offrì ai suoi occhi: un povero villaggio mostrava ancora le "ferite" dopo il terribile tsunami. Il sorriso gli morì sulle labbra e rimase sgomento, senza sapere cosa fare. Con coraggio entrò in una baracca, dove trovò una ragazza con due bambini, di cui uno piccolissimo.
    Non aveva alcuna importanza che il folletto e la ragazza non potessero comunicare con le parole, dato che nessuno dei due conosceva la lingua dell'altro; bastava lo sguardo per comprendere la muta richiesta di aiuto della giovane e la completa disponibilità di Schizzetto che, salutando con una tenera carezza i due piccoli e con un cenno la ragazza, partì a razzo per tornare il più presto da Babbo Natale a riferire l'esito della sua missione.
    Il viaggio di Botolo lo aveva portato a Roma, ed egli ne fu contento, poiché gli avevano parlato di una pasticceria da sogno e, goloso com'era, non vedeva l'ora di approfittare dell'occasione ma, ahimè, era giunto in periferia e precisamente in un villaggio per Rom. Vide tanta povertà, e inoltre c'era tanto freddo in quelle baracche, in quelle roulotte vecchie e malandate e tanta emarginazione ed isolamento.
    -Non può essere questa l'Italia, è il nono paese più industrializzato del mondo, qui gli adulti hanno tutto! Così sapevo, così mi era stato detto. Sono senz'altro capitato nell'unico posto dove regna la povertà e l'abbandono - si diceva Botolo fra sé e sé - Devo allontanarmi di qui, senz'altro troverò solo persone contente, ricche, soddisfatte della loro vita, a cui non mancherà nulla -
    E a balzelloni saltò da una parte all'altra della città, dove trovò vetrine illuminate e piene di doni, strade intasate dalle auto, alberi di Natale nelle case, nelle piazze, presepi, ma tra tutto quello splendore di luci, mentre si stava convincendo che almeno lì la situazione fosse migliore, vide anche molti poverii senza casa, infreddoliti e affamati, uomini e donne senza lavoro e futuro, anziani che non riuscivano a scaldarsi con la misera pensione che ricevevano. Sotto molti dei ponti sul Tevere, nelle stazioni ferroviarie e sulle panchine di parchi cittadini, raggomitolati su se stessi e coperti da giornali o cartoni, Botolo vide tanti “barboni”, alcuni dei quali forse non sarebbero sopravvissuti al terribile freddo.
    - Ma allora anche qui gli adulti non hanno tutto, solo pochi hanno molto, gli altri si devono arrangiare e hanno bisogno di tante cose, devo correre a dirlo a Babbo Natale! Non volle neppure fermarsi alla pasticceria che tanto lo aveva attirato a Roma, pensò che non fosse giusto abbuffarsi di dolci mentre tanti soffrivano, no non era giusto, doveva correre e informare gli altri folletti.
    E Turbo, il più veloce della compagnia, dov'era arrivato?
    Proprio in virtù della sua straordinaria velocità era giunto in Pakistan, dove uno spettacolo da brivido si palesò ai suoi occhi: il Paese era devastato dalle alluvioni, milioni di persone avevano perso le loro case, i campi non erano coltivabili e la situazione poteva solo peggiorare." Oh no! Non è possibile"! - esclamò accorato il folletto.
    Non c'era tempo da perdere...inutile indugiare, anche perché Turbo non poteva più sopportare la vista di tanti poveri bambini che certamente non avrebbero avuto un buon Natale. Così ripartì a razzo per tornare a casa il più presto possibile.
    Nel frattempo Pennino si trovava in Ungheria, dove non aveva trovato una situazione migliore, anzi .lì un fango tossico aveva invaso aree naturali e zone abitate, distruggendo l'ambiente e provocando danni enormi. Il folletto non perse tempo e, preso il suo block notes, descrisse con ricchezza di particolari la tragica situazione in cui si trovavano gli abitanti di quel paese. Subito dopo ripartì, non c'era tempo da perdere!
    Ben presto si ritrovò al Polo Nord, dove Babbo Natale aveva già indetto una riunione per fare il punto della situazione. "Eccomi"! - esclamò ansimando Pennino - "ci sono anch'io!"
    Il vecchio dalla barba bianca guardò i suoi folletti, ma i conti non gli tornavano...ah mancava Ronf! "Spero proprio che non si sia addormentato chissà dove" pensò.
    Ma proprio in quell'istante Ronf fece il suo ingresso nella sala riunioni con gli occhi sbarrati e l'espressione sconvolta, come del resto tutti gli altri folletti della "Compagnia del regalo". Evidentemente anche la sua missione lo aveva profondamente toccato.
    Babbo Natale li guardò tutti e chiese loro:
    " Dunque, miei piccoli collaboratori, avete svolto il vostro lavoro?”
    I folletti si guardarono e, con muta espressione, fecero capire a Condino che suo sarebbe stato il compito di riferire l'esito della loro missione.
    Condino dopo aver fatto un passo avanti e, con le lacrime agli occhi, fece un completo resoconto di quanto lui e gli altri avevano scoperto.
    Babbo Natale, solitamente allegro e sempre pronto col suo: Oh Oh Oh!! rimase in silenzio, meditando, con tanta tristezza in fondo al cuore.
    I folletti lo osservavano ed aspettavano istruzioni; certo capivano che questa situazione era troppo gravosa per il vecchio, che i tradizionali regali confezionati nel grande laboratorio non sarebbero stati adatti. Ci voleva ben altro!
    "Suvvia"! - esclamò all'improvviso Babbo Natale, facendo trasalire tutti - " All'opera, ragazzi! La tabella di marcia cambia da questo istante, via profumi, cravatte, oggetti d'oro e d'argento fiori e tutti gli altri doni tradizionali, sotto con acqua, viveri, medicine, coperte, insomma con tutto quello che può servire. Pennino, datti da fare e fai un elenco di quanto serve alle persone che i tuoi compagni hanno visitato. Appuntamento alle 23,00 in punto nel laboratorio e tutto dovrà essere pronto per caricare la mia slitta per le emergenze, quella tipo limousine, con un tiro di 24 renne ben robuste. Al lavoro!”
    I folletti, gasati dalla fermezza del gran capo, che sapeva sempre come risolvere le situazioni più difficili, si misero subito in moto e alle 23,00 in punto la slitta era carica e le renne pronte.
    Babbo Natale sapeva che il suo contributo sarebbe stato solo una goccia nel mare, ma sapeva anche che in quella magica notte un bambino speciale stava per ricordare al Mondo che c'è sempre speranza.
    "Oh Oh Oh"! - incitò le renne ed esse presero il volo, un po' a fatica, sia per l'ingente carico, che per il peso di Babbo Natale che, come sappiamo, non è certo un peso piuma. La renna di testa girò il capo verso il vecchio ed egli, sorridendo, disse:" Hai ragione, mia dolce amica, ma questa sera dovrete tutte fare un grande sforzo per compiere la missione, poi, ve lo prometto, mi metterò a dieta!”




    LA SCALETTA DI STELLE

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    Era la Vigilia di Natale, nella grande città di Londra vi era una grande festa. Le vetrine luccicavano, ed esponevano dei regali davvero bellissimi. Le persone erano allegre e manifestavano una grande gioia per l’arrivo della festa più bella dell’anno. Le famiglie si erano riunite nelle loro case,per festeggiare il Natale. In una casetta vi era una dolce e graziosa bambina, in compagnia dei suoi parenti, il suo nome era Sofia. Sofia era una bambina di sette anni. Ella aveva dei bellissimi occhi azzurri e vivaci, i capelli rossi che portava liberi per mostrare i loro bei boccoli. Quella sera., si erano tutti riuniti nel salotto di casa. La piccola Sofia era molto impaziente di aprire i regali:
    “ Ehi quando potrò aprire i miei regali?”
    “Quando finirai di saltellare sul divano.” disse la nonna. La nonna era una signora anziana, molto ben curata e amava raccontare favole.
    “Allora Sofia, che cosa ne dici di ascoltare da me una bella storia?”
    “Certo nonna!”rispose Sofia.” - e la nonna cominciò a raccontare...
    ”C’erano una volta delle piccole fatine che vivevano oltre le nuvole. Queste, ogni notte di Natale costruivano con i loro cappellini una scaletta luminosa, che permetteva ai bambini di animo buono di camminarci sopra e scoprire i segreti della magia…” - DRIIIIIN!
    “Santo cielo! Sofia, credo che la nostra storia dovremmo concluderla dopo, e ora vai un po’ ad aprire!” - Sofia corse, ma venne preceduta dalla mamma. Questa prese un pacco che era stato lasciato fuori dalla porta… Era per Sofia!
    La bambina e i suoi parenti si riunirono in salotto, per aprire il pacco e gli altri regali. Tutti erano soddisfatti e felici. Quando Sofia apri il suo regalo, ci trovò dentro una stellina luccicante! Tutti pensarono che fosse un semplice giocattolo per bambine, ma la nonna e Sofia storcevano il naso. A mezzanotte in punto, tutti andarono a dormire, e visto che la famiglia era numerosa e la casa molto grande, tutti rimasero a riposare nello stesso luogo.
    Sofia si preparò per andare a letto, ma non aveva affatto sonno. Era troppo curiosa nel sapere a cosa servisse il suo regalo. Tornò in salotto e prese quella stella. Emanava una luce argentata davvero meravigliosa. Si sedette sul divano e la fissò.
    A un certo punto, senti qualcuno che diceva: “Ti piace?”.
    Sofia si voltò e con stupore si accorsi che era Babbo Natale! Egli un uomo piuttosto alto e robusto. Possedeva una bellissima divisa rossa, con ricami bianchi in pelle. I bottoni erano di oro e gli stivali grandi e neri. Il suo naso era rosso come le sue guance che venivano mezze coperte dai lungi baffi bianchi. Portava degli occhiali e un cappello rosso. Mostrava molta tranquillità, la sua voce infatti, era molto calda e profonda, ma piacevole da ascoltare. La piccola Sofia, molto timidamente disse:
    “Allora, sei tu quello che mi hai fatto questo regalo?”
    “Proprio cosi.” disse Babbo Natale.
    “Allora, credo che tu sappia già quello che devi fare! Vero?”
    “No.” disse Sofia.
    “Pensavo che tua nonna ti avessi avvisato!”
    “ Ora capisco! La favola!”
    ”Favola? Quale favola? Quella è la verità!”
    ”Bene, ora ti spiego io. La stella che ti ho regalato devi utilizzarla per formare la scaletta di stelle delle fate! Altrimenti io non potrò tornarmene a casa e ripassare l’altro anno.”
    “Capisco.” disse Sofia. “E cosa dovrei fare io?”
    “Battere il piede destro e schioccare le dita una volta sola! Alla fine lanciare nel cielo la stella.”
    I due uscirono nel giardino. Salirono sulla slitta e rimasero sospesi nel cielo. Cosi Sofia fecce quello che Babbo Natale le aveva detto. Lanciò la stella nel cielo e i cappellini delle fate si trasformarono in stelline che finivano dietro una grossa nuvola. Era uno spettacolo stupendo!
    “Babbo Natale, e adesso cosa facciamo?” chiese Sofia.
    “Vorresti vedere e conoscere le fate?” domandò Babbo Natale.
    “Con molto piacere!”
    Salirono con le rene sopra la scaletta e Sofia vide le fatine. Erano tutte davvero bellissime. I loro vestitini luccicavano di mille colori e le loro ali lasciavano una scia argentata quando si muovevano.
    “Salve!” disse Sofia.
    “Ciao!” risposero in coro le fatine.
    Sofia cominciava ad avere freddo, quindi con le loro bacchette magiche le fate fecero apparire un bellissimo vestitino di lana.
    “Grazie a tutte.” disse cordialmente Sofia.
    “Di nulla.” risposero le fate. Si salutarono e Sofia vene accompagnata a casa da Babbo Natale. Si diedero un grosso bacio e si ripromisero di rincontrarsi l’anno prossimo.
    Era il mattino seguente e Sofia racconto tutto alla nonna, che fece un grosso sorriso. La bacio e andarono a fare una buona collazione insieme agli altri. Guardando dalla finestra videro delle piccole fatine che ballavano e auguravano a tutti:
    “Buon Natale.”
    (dal Web)






    A Cup of Christmas Tea

    Una tazza di te di Natale

    di Tom Hegg

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    Il ceppo era nel camino, pronto per essere bruciato. Finalmente l’annuale corsa natalizia era terminata; gli auguri erano stati spediti, tutti i doni erano sotto l’albero e avevo trenta giorni di tregua, prima che il signor VISA venisse a cercarmi, però, anche se potevo ritenermi soddisfatto, l’impressione che qualcosa non andasse per il verso giusto non mi abbandonava.

    Una settimana prima avevo ricevuto una lettera della mia vecchia prozia che diceva: “Naturalmente ti capisco se non puoi, ma se scopri di avere un po' di tempo, sarebbe meraviglioso se potessimo chiacchierare e sorseggiare insieme una tazza di tè di Natale.”

    Aveva avuto un lieve ictus che le aveva colpito la parte sinistra del corpo, ma anche se era costretta in casa, i parenti mi avevano detto che il suo orgoglio non ne era rimasto ferito e avevano aggiunto: «Le piacerebbe vederti. Sarebbe bello se andassi a trovarla, magari a bere una tazza di te di Natale.”

    Ma ragazzi! Io non volevo andarci a trovare una vecchia parente e a vedere come se ne stava andando sempre più in declino!
    Me la volevo ricordare com’era: vigorosa, divertente, brillante; mi ricordavo ancora quando ci intratteneva la vigilia di Natale fino a mezzanotte!
    Non volevo rischiare. Non volevo soffrire. Non avevo bisogno di deprimermi. Non volevo stressarmi.
    E poi, mio fratello? Perché non lui? Era anche sua zia!

    Cercavo di giustificarmi, ma sapevo già dall’inizio che quelle che mi ero faticosamente inventato non erano valide ragioni per non andarci, se non volevo essere sommerso dalla pioggia acida della colpa.
    Indossai stivali, guanti e cappello, con la vergogna che mi stillava da ogni poro e armato di tergivetro e mappa, uscii di casa.

    Dalla periferia mi avviai verso la parte più vecchia della città, dove i colori pastello delle case nuove lasciano il posto al grigio e al marrone.
    Quando l’auto accostò e si fermò accanto alla casa di legno che conservava la tazza di Natale, avevo la sensazione di essere…incorporeo.

    Come arrivai fino alla porta davvero non saprei dirlo! Guardai la mia mano alzarsi e premere il pulsante del campanello. Aspettai, andando avanti e indietro per sciogliere il nervosismo e nel preciso momento in cui stavo pensando che avrei fatto bene a voltarmi e andarmene, sentii il tintinnio delle cineserie nell’armadio contro il muro.
    Il triplo battere di due piedi e una stampella si avvicinò. Il clic della chiave, lo scorrere del chiavistello e la porta un po’ gonfia si aprì con un sobbalzo dopo una breve lotta.

    Lei era là, piccola e pallida, fragile come un uovo.

    Mi imposi di non guardare l’apparecchio che le sosteneva la gamba, e sebbene gli spessi occhiali bifocali sembrassero rompere e allargare i suoi occhi, la loro profondità lattea e rifratta si accese con giovanile sorpresa.
    Entra! Entra! risero le sue parole, mi prese per mano e tutte le mie paure si dissolsero al suo comando.

    Entrammo e prima che io sapessi come reagire, davanti ai miei occhi e orecchi e naso i Natali passati erano lì vivi, intatti!

    Il profumo di arance candite, di cannella e pino, gli antichi soldatini di legno nella loro divisa militare, la Natività di porcellana che io avevo amato sempre così tanto, il servizio di Dresda ed i cristalli che io non potevo toccare.

    Il mio spirito si sentì come un bambino all’uscita di scuola e si mise a danzare fra gli ornamenti di vetro.
    Come per magia avevo di nuovo sei anni, sprofondato in un incantesimo di Natale, immerso in un milione di ricordi che il bambino dentro di me conosceva bene.
    Fra le vecchie cartoline di Natale amorevolmente disposte, al posto d’onore c’erano quelle che avevamo fatto noi bambini. E là, al centro, la sua sedia a dondolo, il centro di tutto.

    La prozia era in piedi e mi stava dicendo quanto era bello che fossi venuto a trovarla. Sedetti e cominciai a blaterare del tempo e dell’influenza. Lei ascoltò con molta pazienza e poi chiese: “Cosa c’è di nuovo?”

    Pensieri e parole cominciarono a fluire. Cominciai a ritrovare il senso e persi l’allegria fasulla che uso quando sono teso. Lei si interessò appassionatamente di tutto quello che facevo. Era positiva. Incoraggiante. Come quando ero bambino.
    Le semplici generalizzazioni non le bastavano, voleva lo specifico. I particolari.

    Parlammo delle limitazioni che aveva dovuto affrontare e lei ne parlò con franchezza assoluta e con umorismo e grazia. Poi sfidando la realtà della stampella e raddrizzando il ginocchio, sulle ali dell'ospitalità volò a preparare il tè.

    Ero solo, con sentimenti che non provavo da anni. Guardai attorno a me il Natale, attraverso un fitto, caldo velo di lacrime e le candele e l'agrifoglio che lei aveva sistemato su ogni mensola e i biscotti incredibilmente buoni che in qualche modo cuoceva ancora nel forno.

    Ma questi ricordi ricchi e tattili, diventarono pallidi e inconsistenti, al confronto del Natale che la mia prozia conservava in se stessa. Il suo corpo era ridotto della metà e quasi esaurito, ma in lei vedevo tutto il miracolo del Natale, il trionfo di un'anima.

    Il triplice battito di due piedi e una stampella arrivò dal corridoio con il tintinnio delle cineserie nell’armadio contro il muro. Versò due tazze, sorrise e me ne porse una e decidemmo che sarei tornato ancora, per una tazza di tè di Natale.



    Edited by gheagabry1 - 9/11/2019, 13:18
     
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