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CIAK in CUCINA
........ nel CINEMA.............
Il 28 dicembre 1895, nella prima proiezione
pubblica della storia, i fratelli Lumière inserirono
anche il rullo “Le dejeuner de bébé”, scena di
vita familiare dove un piccolo Lumière veniva
imboccato dagli amorevoli genitori.
Pochi anni dopo, nella “Sorcellerie culinaire” del
1904 Meliès mostra uno chef che sta
preparando piatti prelibati che attirano un
mendicante che viene scacciato in malo modo.
L'occhio di molti cineasti ha saputo cogliere gli aspetti della cucina che si si possono chiamare senza riserva possono chiamare senza riserva, metaforici, sociali e "spirituali“.
L’argomento è un po’ “prosaico”, ma spero “stuzzicante”, perché il cibo è primario per la vita, e può essere anche una forma sublime d’arte, che appaga il palato, quanto un capolavoro appaga la vista o l’udito.
Non solo il cibo è anche strettamente connesso alla psiche umana, esalta la sessualità (cibi afrodisiaci) o ha effetto consolatorio (chi non si è mai mangiato una tavoletta di cioccolato, in un momento di tristezza, scagli la prima pietra…), ovvio che il cinema gli riservasse una posto d’onore.
Sicuramente la pasta in questo campo, merita una menzione speciale, perché simbolo del made in Italy che ha conquistato il mondo e anche la ribalta cinematografica fin dai tempi della “Dolce Vita”.
Indimenticabile il film di Steno “un americano a Roma” (1954) dove un giovane Alberto Sordi, nei panni di un ragazzotto romano che vorrebbe vivere come un americano, pronuncia la mitica battuta passata alla storia del cinema: “Macaroni…m’hai provocato e io te distruggo, macaroni! Io me te magno!” una frase che racchiude in poche parole l’amore per la pasta così innato in noi italiani e nello stesso tempo testimonia l’omaggio che il cinema ha tributato al nostro piatto nazionale, dal neorealismo ad oggi.
Altra scena da antologia è quella di Totò in “Miseria e Nobiltà”(Mattoli ’54) , che in un vero e proprio assalto alla zuppiera degli spaghetti, li arraffa come può, ficcandoseli in bocca, in tasca e ovunque.
Perché la pasta, negli anni di privazioni del dopo guerra, era anche sinonimo di benessere oltre che fenomeno di costume che entrerà nella lunga e prolifica stagione della commedia all’Italiana, da“Poveri ma belli” (Risi ‘56) a “I soliti ignoti” (Monicelli ’58), dove nel finale l’improbabile banda di ladri, si consola con piatto di pasta e ceci, dopo essere finita per errore in una cucina, anziché nella stanza della cassaforte.
Ben presto “spaghetti e maccheroni” varcano i confini nazionali per approdare ad Hollywood: il suo “calore” suggella una delle più belle scene d’amore canino, nella cena a lume di candela di “Lilli e il vagabondo” (Disney ’55). Galeotto fu un lungo spaghetto che fa “baciare” i due cagnetti innamorati.
Indimenticabile anche la scena de “L’appartamento” (Wilder ’60) in cui Lemmon lenisce le pene d’amore di Shirley Mc Lane con un piatto di pasta al pomodoro, nella fattispecie spaghetti, scolati con una racchetta da tennis!
Ed è sempre incomparabile Lemmon che ne “La strana coppia” (Saks ’68) discetta di linguine e spaghetti, dimostrando un’insospettata conoscenza del nostro piatto nazionale.
In questo simpatico sito della pasta Garofano, c’è un’antologia di scene in cui compare la pasta, in alcune ciccando su “leggi la scheda” c’è anche la ricetta del piatto rappresentato nel film.
Allargando il discorso, il cibo spesso è metafora del messaggio che vuole lanciare il regista, basti pensare a film come “La grande abbuffata” (Ferreri ’73), una commedia tragica e grottesca che racconta la fine di quattro amici decisi a suicidarsi con una mangiata pantagruelica, altro non è che una critica feroce alla società del benessere e dei consumi che finisce con il distruggere se stessa.
O al "classico" del cinema democratico antirazzista degli anni sessanta, “Indovina chi viene a cena” (Kramer ’67) dove il sedersi tutti allo stesso tavolo dopo gli scontri verbali fra i protagonisti, sul matrimonio misto dei rispettivi figli, suggella l’accordo trovato, ed è metafora d’integrazione fra bianchi e neri.
(Aretusa)
Ne “La guerra dei Roses”, quando tra i due protagonisti l'amore è finito li si vede seduti ai due capi di una lunghissima tavola che simboleggia anche la distanza che si è scavata tra loro. Lungo il film, il reciproco tentativo di distruggere l’altro si consumerà anche a tavola lui che rovina il pesce al forno che lei ha preparato (meglio tralasciare le modalità) e lei che per vendetta gli prepara un piatto il cui ingrediente principale è il suo amatissimo cane.
Eros e cibo è un capitolo lunghissimo di cui va citato obbligatoriamente 9 settimane e ½ il film per antonomasia sull’argomento con la scena dei giochi erotici davanti al frigorifero, con il gioco dei sapori (cibo imboccato ad occhi bendati) e poi spalmato sul corpo e poi è meglio fermarsi qui…
Meno languida, ma irresistibile è la scena di Harry ti presento Sally con il famosissimo orgasmo simulato al ristorante e subito dopo un'attempata nonnina che ha assistito alla scena ordina “quello che ha preso la signorina”.
Se è vero che “siamo quello che mangiamo”, allora la pellicola che esprime meglio questo concetto è Qualcosa è cambiato dove il fobico Jack Nickolson quando è a tavola mette in scena tutto il suo armamentario di paranoie ossessive: sempre lo stesso ristorante, allo stesso tavolo, con lo stesso cibo (uova) che mangia solo con posate portate da casa.
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gheagabry.
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Ciak, si gira! Protagonista: il cioccolato.
di Candida Iorio
Ebbene si, i film che trattano di storie che hanno a che fare col mondo del cioccolato sono davvero tanti;
forse perchè il cioccolato ispira passione, desiderio, amore, eccitazione, insomma emozioni forti e penetranti, da vivere attraverso storie diverse, ma dallo stesso sapore...
A tutti verrebbe in mente per primo "Chocolat" di Lasse Hallstrom (2000), film nel quale la stessa produzione del cioccolato fa da protagonista;
ma non vanno dimenticati altri non meno interessanti, "Grazie per la cioccolata" (2000) ad esempio, diretto da Claude Chabrol, regista mosso da forti impulsi emotivi dai quali hanno preso vita vere e proprie pietre miliari della storia del cinema.
Messicano, come lo stesso cioccolato, è invece "Come acqua per il cioccolato" (1991), film drammatico e romantico nello stesso tempo; è la storia di due cognati-amanti che per incontrarsi ed amarsi usano ricette elaborate a mò di lettere di un amore altrimenti impossibile.
Per i più piccoli invece, ma il film è vecchiotto, c'è "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato" (1971) in cui a 5 bambini, vincitori di un concorso, sarà permesso di esplorare da vicino quel magnifico e misterioso mondo del cioccolato in una fabbrica chiusa al pubblico da anni.
Insomma il cinema è stracolmo di storie che hanno come filo conduttore il cioccolato, del resto, tra due elementi tanto piacevoli, il connubio è perfetto!. -
gheagabry.
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CHOCOLAT
(2001)
Chocolat è il film per eccellenza sul cioccolato e le dolcezze/amarezze della vita...ma sebbene sia esso stesso uno degli attori protagonisti (per tutto il film, ve lo garantisco, non riuscirete a capire se state sbavando più per le meraviglie della cioccolateria di Juliette Binoche o per la sexy gipsy allure di Johnny Depp) la vera ricchezza della pellicola sono i meravigliosi personaggi che si rubano la scena a vicenda senza sosta per tutta la sua durata. Li si ama tutti, dal primo all'ultimo, da soli e nel loro interagire. Non potrei, e nemmeno voglio, sceglierne uno su tutti gli altri. Sarebbe una terribile ingiustizia alle loro storie, alla loro complessità perfettamente tratteggiata nello spazio di pochi ciak ...e poi ognuno di loro ci insegna che il cioccolato ci salverà....dalla schiavitù di un marito violento, dai preconcetti della gente, dal ruolo che ci siamo imposti di impersonare in pubblico, dalle aspettative, dalla vergogna, da una gabbia dorata in cui ci siamo lasciati chiudere "per il nostro bene"...basta una piccola goccia di paradiso e tutto quello che c'è stato prima non conta più.
Un film a 5 stelle, un classico che ancora non può essere un "classico" perchè troppo recente; ma se pensate, come me, che sia un qualcosa capace di emozionarvi, di aprirvi la mente e lasciarvi con un senso di consapevolezza in più su ciò che vale davvero nella vita, vale la pena sorvolare su alcune sue piccole mancanze e tenersi stretta stretta questa deliziosa commedia magistralemtne diretta e recitata.
Scena Cult:
il sindaco nella vetrina della chocolaterié.
Citazione: dal sermone finale di padre Henry (per la prima volta libero di scriverseli da solo)
"... Non sono sicuro, di quale dovrebbe essere oggi il tema della mia omelia... voglio parlare del miracolo della trasformazione divina di Nostro Signore? Non direi....non voglio parlare della Sua divinità, preferisco parlare della Sua umanità; come ha vissuto la Sua vita sulla terra, la sua benevolelnza, la sua tolleranza....ascoltate, ecco cosa penso...penso che non possiamo andare in giro a misurare la nostra bontà in base a ciò che non facciamo, in base a ciò che neghiamo a noi stessi, a ciò a cui rinunciamo e a chi respingiamo....dobbiamo misurare la nostra bontà in base a ciò che abbracciamo, a ciò che creiamo, e a chi accogliamo. Amen"
DAL WEB. -
gheagabry.
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Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi d'Europa
Titolo originale Who Is Killing the Great Chefs of Europe?
Paese USA
Anno 1978
Durata 112 min
Genere Commedia
Regia Ted Kotcheff
Sceneggiatura Peter Stone
Musiche Henry Mancini
Interpreti e personaggi
George Segal: Robby
Jacqueline Bisset: Natasha O'Brien
Robert Morley: Max
Jean Pierre Cassel: Kohner
Philippe Noiret: Moulineau
Jean Rochefort: Auguste Grandvilliers
Gigi Proietti: Ravello
Stefano Satta Flores: Fausto Zoppi
Magde Ryan: Beecham
Joss Ackland: CantrellTRAMA
Tratto dal romanzo "Cadaveri su piatti di classe" di Nan E Ivan Lyons
Max Vandenberg, direttore di una rivista gastronomica e famoso ghiottone, riceve dal suo medico uno spiacevole avvertimento: se continuerà a mangiare così tanto non gli resterà molto da vivere. Il ciccione non se ne cura, ma ecco che una misteriosa mano omicida toglie di mezzo, uno dopo l'altro, tre dei più grandi cuochi europei dei cui manicaretti Max era appassionato. I sospetti cadono prima su una giovane pasticcera, Natasha, poi sul suo ex-marito, l'americano Robby Ross, che ha intenzione di aprire in Europa una catena di terribili fast-food. Anche Natasha rischia di fare la fine dei suoi colleghi ma viene salvata prontamente da Robby. Chi è il misterioso omicida e cosa c'entra con Max?
Jean-Pierre Cassel finisce cotto al forno, Stefano Satta Flores viene affogato in una vasca di aragoste, a Philippe Noiret schiacciano la testa dentro una pressa per anatre; e anche Jacqueline Bisset rischia di saltare in aria quando defiagra un dessert chiamato «la Bomba». Tratto dal romanzo Cadaveri su piatti di classe di Nan e Ivan Lyons (Sonzogno), il film segue lo schema del giallo con omicidi a catena. Come l’assassino di...E poi non rimase nessuno di Agatha Christie sceglieva le vittime seguendo le strofe di una cantilena infantile, il misterioso uccisore degli chef segue l’ordine dei piatti di un raffinatissimo menu. In questa coproduzione tedesco-americana, affidata alla regia del canadese Ted Kotcheff, non si è guardato a spese. L’azione trascorre da Londra a Venezia (nel romanzo è Roma), da Parigi di nuovo a Londra, mobilitando il clownesco George Segal come marito divorziata della splendida Bisset alle prese con il progetto di sposarla un’altra volta e fondare una catena di tavole calde. Nonostante i mutamenti non sempre felici apportati dallo sceneggiatore Peter Stone (dal libro al film cambia perfino l’identità del colpevole), Kotcheff si impegna con alterna fortuna a rispettare le regole del grottesco macabro. E se il ritmo non è impeccabile come nei classici di Alec Guinness, anche gli interpreti del folto cast internazionale risultano deludenti. In realtà, dalla prima all’ultima inquadratura, il film è appannaggio di Robert Morley nella parte dell’esperto gastronomo Max (Achille van Golk nel romanzo): un’interpretazione di una comicità monumentale.
(Da Tullio Kezich, Il nuovissimo Mille film. Cinque anni al cinema 1977-1982, Oscar Mondadori).....recensioni......
Pellicola piacevole e visivamente "appetitosa" (vista la trama e l'ambiente in cui si dipana la vicenda) con dialoghi scanzonati e vivaci, ricchi di humour tipicamente "british". Qualche buco nella sceneggiatura e qualche calo di tensione non impediscono al film di scorrere via con la suspense e il mistero che si addicono ad ogni buon giallo. Il cast è pieno di bravi attori e caratteristi da Jean Rochefort a Jean Pierre Cassel (papà del più famoso Vincent) da Gigi Proietti a Philippe Noiret. Segal gigioneggia, la Bisset è bellissima e deliziosa come sempre, mentre Robert Morley si pappa tutti in un boccone sia per capacità interpretativa che per presenza scenica. Non a caso fu premiato per questo ruolo, purtroppo uno degli ultimi, con il premio "National Society Film Critics". Colpo di scena finale quando tutto sembrava finalmente risolto... Praticamente introvabile.
(dal web)
Film talmente "geniale ed eccentrico" da meritarsi nientemeno che la parodia (giuro) su un numero di "Topolino", con tanto di cuoco francese rapito e clonato da un "sosia" che viene smascherato da Qui, Quo, Qua e Zio Paperone... non sono impazzito, ma è tutto vero.
Mi spiace che un film così bizzarro, che potrebbe benissimo entrare nella categoria cinematografica dei "gialli", sia stato un insuccesso di pubblico e non sia stato capito fino in fondo dalla critica...
Non è certamente un capolavoro, ma merita una segnalazione, anche perchè il colpo di scena finale (confessione dell'assassino sulla ragione che l'hanno portato a uccidere tutti i cuochi) è davvero esilarante.. Morley è amabilmente viscido, percio' amabilissimo.
Un film per palati fini, indicativo anche per le gustose sequenze culinarie, specialmente se si è "una buona forchetta".
(kowalsky, filmscoop)
"Who is Killing the Great Chefs of Europe?" non é un film indimenticabile ma una di quelle commedie giallo-rosa girate con un certo gusto e mestiere che si proiettavano negli anni '70 ed ora è difficile reperire anche nelle più fornite videoteche.
Soprattutto uno di quei film che tiro fuori dal cassetto dei ricordi, quando si andava al cinema con la famiglia in piccole sale ed in mano il sacchetto coi semini.
Grandi cuochi vengono assassinati secondo le ricette fantasiose della legge del contrappasso in una pellicola che ha un certo seguito nei paesi anglosassoni e da noi dovrebbe essere almeno ricordata con curiosità per una delle rare apparizioni di Gigi Proietti nel cinema internazionale.
(pellegrinidelgusto.blogspot.it). -
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"...C'è un alone di stregoneria in tutta la cucina: la scelta degli ingredienti, il modo in cui vengono mescolati, grattugiati, sciolti,le infusioni e come si insaporiscono, le ricette prese da vecchi libri,
gli utensili tradizionali...le spezie e gli aromi...
C'è una sorta di alchimia nella trasformazione della cioccolata...Gli aromi di cioccolata, di vaniglia, del rame scaldato e della cannella...il gusto vivo e terrestre delle Americhe, il profumo piccante e resinoso delle foreste pluviali. E così viaggio ora, come facevano gli aztechi nei loro rituali sacri. Messico, Venezuela, Colombia. La corte di Montezuma, Cortes e Colombo. Il cibo degli dei, che spumeggia e ribolle nel vasellame da cerimonia. L'amaro elisir della vita...Ma ecco che fra i fumi della cioccolata fondente qualcosa comincia a ricomporsi...Divinare con il cioccolato è un'impresa difficile. Le visioni non sono chiare, confuse dai profumi che si spandono annebbiando la mente...
Dalla cucina, mentre verso la cioccolata in due bicchieri alti, mentre la mescolo a panna e kahlua..."
- tratto da Chocolat -. -
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SOUL KITCHEN
Titolo originale Soul Kitchen
Lingua originale tedesco
Paese di produzione Germania
Anno 2009
Durata 99 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere commedia
Regia Fatih Akın
Soggetto Fatih Akın, Adam Bousdoukos
Sceneggiatura Fatih Akın, Adam Bousdoukos
Produttore Klaus Maeck, Fatih Akın, Fabienne Vonier (co-produttore), Alberto Fanni (co-produttore), Flaminio Zadra (co-produttore), Paolo Colombo (co-produttore)
Casa di produzione Corazón International, Pyramide Productions
Distribuzione (Italia) BiM Distribuzione
Fotografia Rainer Klausmann
Montaggio Andrew Bird
Musiche Klaus Maeck, Pia Hoffmann (supervisori alle musiche)
Scenografia Tamo Kunz
Costumi Katrin Aschendorf
Trucco Nica Faas, Maike Heinlein
Interpreti e personaggi
Adam Bousdoukos: Zinos Kazantsakis
Moritz Bleibtreu: Illias Kazantsakis
Pheline Roggan: Nadine Krüger
Anna Bederke: Lucia Faust
Birol Ünel: Shayn Weiss
Dorka Gryllus: Anna Mondstein
Wotan Wilke Möhring: Thomas Neumann
Lucas Gregorowicz: Lutz
Monica Bleibtreu: Nonna Krüger
Demir Gökgöl: Sokrates
Cem Akın: Milli
Marc Hosemann: Ziege
Catrin Striebeck: Frau Schuster
Uğur Yücel: Kemal lo spaccaossa
Udo Kier: Herr Jung
Premi
Mostra del cinema di Venezia 2009:
Leone d'argento - Gran premio della giuria
Ad Amburgo, un cuoco di origine greca, Zinos, gestisce un infimo ristorante denominato Soul Kitchen. La clientela abituale sono i rozzi abitanti della periferia, interessati solo a tracannare birra e ingurgitare piatti surgelati o preconfezionati. Dentro e fuori dal Soul Kitchen ruota tutto il microuniverso di Zinos e relativi problemi: l'ambiziosa e viziata fidanzata Nadine è una giornalista rampante in partenza per la Cina, il fratello Illias un ladruncolo in libertà vigilata con il vizio del gioco, la cameriera Lucia è aspirante artista che vive in un appartamento occupato abusivamente e un vecchio compagno di scuola, Neumann, è disposto a tutto pur di comprare il locale e rilevarne il terreno. Un'ernia al disco improvvisa impone a Zinos delle sedute di fisioterapia e gli inibisce l'uso cucina, così che viene assunto un nuovo cuoco esperto di haute cuisine che, dopo uno scetticismo iniziale, trasforma il ristorante in un locale molto in voga capace di offrire buon cibo e musica soul.
Fatih Akin è un abile deejay del mondo del cinema, un giovane autore che ha saputo costruire un suo linguaggio melodico a partire da un'antologia di stili della New Hollywood di Scorsese, Schlesinger e Bob Rafelson. Questa eredità del cinema americano moderno, con la quale aveva finora raccontato i margini di una società multiculturale in pieno dissidio, pervade anche nell'atmosfera conviviale e disinvolta di Soul Kitchen. Cimentandosi con una vera commedia edificante, il giovane regista turco-tedesco mette da parte il tema del viaggio e delega il percorso di emancipazione sociale e di ricerca delle origini, alla musica (come nel documentario Crossing the Bridge) e all'elogio dell'edonismo.
Akin pone attenzione ai corpi e ai loro bisogni primari: dal cibo al sesso, dall'alcool alla danza (passando per il mal di schiena), così che i suoi personaggi, liberati dalla necessità di affrancarsi dal proprio retaggio culturale, agiscono nel nome di un puro principio di piacere. Allo stesso modo, punta all'occhio e al ventre dello spettatore: costruisce il suo film come un piatto sofisticato di nouvelle cuisine, o meglio, come una playlist di musica accattivante, facendo molta attenzione a creare mediante una serie di gag fisiche una sinergia fra movimenti dei personaggi, movimenti di macchina e ritmo dei brani della colonna sonora...RECENSIONE...
Frizzante e spassosa, la pellicola ha il pregio (a dire il vero piuttosto raro per una commedia frizzante) di non incappare mai in una sola stonatura. Arrivando ad essere in più occasioni davvero esilarante. Se ne potrebbero fare in serie, ma a titolo esemplificativo ci limiteremo ad un solo esempio: durante una serata in cui il locale è molto frequentato, nel preparare un piatto particolare lo chef abbonda volontariamente nel dosaggio di un ingrediente dagli effetti afrodisiaci. Una rigida agente del fisco, presa in seguito dal desiderio, finisce per fare sesso nel bel mezzo dell'osteria con il compagno di classe di Zinos. Il mattino successivo, Zinos si congratulerà sinceramente con l’amico facendogli notare di aver “fottuto il fisco”.
Incentrato come tutti i precedenti lavori di Akin attorno alla vita di immigrati o tedeschi di origine straniera, Soul Kitchen ha ritmo, vivacità e brillantezza invidiabili. Costruito con indubbia sapienza drammaturgica, mette in campo trovate narrative e visive di notevole efficacia che si sviluppano felicemente di pari passo con le costanti evoluzioni musicali della ricca e colorata colonna sonora. Adam Bousdoukos, l'interprete di Zinos, fornisce una prova d'attore sorprendente, trasmettendo in modo impagabile diversi aspetti comici del proprio personaggio mediante la mimica dell'intero corpo. Insomma, non manca davvero nulla a questa commedia-fumetto dai toni scanzonati ma non priva di sfumature malinconiche. Divertita ed estremamente divertente: in una parola, imperdibile.(cinemagnolie.blogspot.it)
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Brigitte Federspiel e la cuoca Stéphane Audran (Babette), esule francese che ha speso la vincita alla lotteria per preparare un banchetto a danesi che l'hanno ospitata:
" così ora sarete povera per il resto dei vostri giorni."
"........... un artista non è mai povero".
"stasera ho imparato
che in questo nostro splendido mondo
ogni cosa è possibile."IL PRANZO DI BABETTE
Titolo originale Babettes gæstebud
Paese di produzione Danimarca
Anno 1987
Durata 102 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere commedia, drammatico
Regia Gabriel Axel
Soggetto Karen Blixen, dall'omonimo racconto
Sceneggiatura Gabriel Axel
Fotografia Henning Kristiansen
Montaggio Finn Henriksen
Musiche Per Nørgård
Scenografia Jan Petersen e Sven Wichmann
Interpreti e personaggi
Stéphane Audran: Babette Harsant
Birgitte Federspiel: Martina (anziana)
Bodil Kjer: Philippa (anziana)
Jarl Kulle: Generale Lorens Lowenhielm (giovane)
Vibeke Hastrup: Martina (giovane)
Hanne Stensgaard: Philippa (giovane)
Gudmaw Wivesson: Lorens Lowenhielm (giovane)
Pouel Kern: Pastore
Jean-Philippe Lafont: Achille Papin
Bibi Andersson: Signora svedese
Ghita Nørby: Narratore
Asta Esper Hagen Andersen: Anna
Thomas Antoni: Tenente svedese
Gert Bastian: Povero
Viggo Bentzon: Pescatore
Else Petersen: Solveig
Premi
Premi Oscar 1988: miglior film straniero
BAFTA: miglior film
Premi Robert 1988: miglior attrice protagonista (Stéphane Audran)
Kansas City Film Critics Circle Awards 1989: miglior film stranieroTRAMA
Babette è una raffinata cuoca francese, apprezzatissima dai buongustai, che nel 1871 per ragioni politiche deve lasciare Parigi e trova rifugio in una piccola comunità luterana in un desolato paese della costa danese. Dopo anni di modesto servizio presso due anziane sorelle, Babette organizza un pranzo fastoso con cui dà fondo alla vincita a una lotteria, affermando clamorosamente la sua arte sopraffina. Un pranzo che cambierà la vita di tutti i commensali....il pranzo..
MENU'
Brodo di tartaruga
Blinis Dermidoff
Cailles en sarcophage
Insalata mista
Formaggi misti
Savarin
Frutta mista
Caffè con tartufi al rum
Friandises: pinolate, frollini, amaretti
Vini
Amontillado bianco ambra
Clos de Vougeot
Champagne Veuve Clicquot...recensioni...
Sembra quasi che questo settantenne regista franco-danese abbia voluto presentarsi al pubblico internazionale con lo spirito che ha ispirato la citazione che Babette (una perfetta Stephane Audran) fa alla fine del film: «consentitemi di dare il meglio di me». Il pranzo di Babette è estremamente delizioso, di una raffinatezza rara, che si preoccupa, oltretutto, di prendersi carico di quel gusto per la narrazione che guida il percorso stilistico dei racconti di Karen Blixen, da cui il film è tratto. Gli eventi hanno la doppia caratteristica della lievità e della straordinarietà. Quest’ultima si radica nel quotidiano. Le piccole emozioni appaiono situate su un impensabile piedistallo che rivela la sensazione, la presenza del fantastico nella vita reale. Il «fantastico» non è spettacolare, ma legato alla grazia e all’arte (sia questa il canto di Filippa o l’abilità culinaria di Babette), in sostanza, a una rivelazione, che peraltro non viene forzata, ma sorge con le caratteristiche della naturalità. Una illuminazione che colpisce e attinge allo stesso momento dalle radici di ciò che è più profondamente umano. La vicenda de Il pranzo di Babette è una vicenda limite della realtà, non quindi irreale. Quando parlo di fantastico mi riferisco a tutt’altro che non alla messa in scena o alla storia, ma ad alcuni elementi, in principal modo alla sensazione del fantastico che scaturisce in alcuni personaggi, ai sentimenti improvvisi e indimenticabili che possono segnare una vita. Il fantastico si carica maggiormente attraverso i caratteri limpidi e intoccabili dei personaggi principali. Non hanno ambiguità, il massimo (nel generale) è il compromesso nel sacrificare tutto alla carriera, ma anche questo percorso è seguito fino alle estreme conseguenze. Essi sono ben definiti, e deciso è il loro porsi nei confronti del mondo e degli altri. Tuttavia sono personaggi veri, non da fiaba. Situati storicamente e geograficamente, dotati anche di una consistenza psicologica indubitabile: fanno delle scelte, sono vittime della fede e della paura. Il culmine del film è costituito dalle sequenze del pranzo, in cui il ritmo dell’ordine delle portate, il progressivo, interiore e inconfessato abbandonarsi al piacere del cibo e del bere, nonché la delicatezza della messa in scena, fanno, di questo film, una piacevole sorpresa, e suscita curiosità e rammarico la approssimativa conoscenza della filmografia di questo regista (Fabio Matteuzzi)
Delicato, raffinato, intenso, ammaliante… I primi termini che vengono in mente dinanzi a questo bellissimo lavoro che non ci si stanca di rivedere e che a più di vent’anni dalla sua realizzazione nulla ha perso in freschezza e in fascino. Ispirandosi al racconto di Karen Blixen il danese Gabriel Axel (settantenne) ha compiuto il miracolo di creare un film-capolavoro da un soggetto che meno cinematografico non si poteva. Intimista e corale al contempo, mirabile affresco di un’epoca e di una nazione, ritratto vero e sentito di personaggi dalla grande umanità, Il pranzo di Babette si distingue per grazia e profondità, per humour e struggente malinconia coinvolgendo lo spettatore come raramente accade. Un film lieve e delizioso (e oltremodo rasserenante) che riconcilia col grande schermo e che ci fa rimpiangere che Axel non sia più riuscito a creare opere simili.
Una celebrazione, come scrive Raffaella Mariotti, “delle emozioni e della meraviglia che irrompono in una quotidianità anestetizzata in un mondo di moralismi e di regole controllate”, impreziosita dalla presenza di un cast strepitoso: dalla sempre brava Stéphane Audran al complesso di attori nordici - presi perlopiù dal teatro, molti di bergmaniana memoria. (cinemaleo)“Se ne son visti pranzi al cinema, ma questo è il più bello di tutti. Perché non solo ci dà, attraverso il modo di stare a tavola, la descrizione del carattere dei commensali e il riflesso del loro ambiente, delle loro abitudini, ma perché interpreta il valore culturale del cibo, dimostra che anche mangiando si fa cultura, si partecipa talvolta di un’opera d’arte, magari tanto raffinata da far vacillare le nostre convinzioni”.(Stefano Reggiani, la stampa)
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. LEZIONI DI CIOCCOLATO
Lingua originale italiano
Paese di produzione Italia
Anno 2007
Durata 93 min
Colore colore
Audio sonoro
Genere commedia
Regia Claudio Cupellini
Sceneggiatura Fabio Bonifacci, Christian Poli
Casa di produzione Cattleya, Faro Film
Distribuzione (Italia) Universal Pictures
Fotografia Giovanni Cavallini
Montaggio Danilo Torre
Musiche Teho Teardo
Scenografia Alessandro Vannucci
Interpreti e personaggi
Luca Argentero: Mattia Cavedoni
Violante Placido: Cecilia
Hassan Shapi: Kamal
Neri Marcorè: Maestro
Francesco Pannofino: Luigi
Monica Scattini: Letizia
Ivano Marescotti: Ugolini
Stefano Bicocchi: OsvaldoTRAMA
Un concorso per inventare un nuovo cioccolatino è l’unica occasione che Mattia, geometra in carriera, ha per evitare di essere denunciato dal suo operaio “in nero” Kamal: l’egiziano, infatti, fratturatosi in un cantiere a causa delle condizioni di scarsa sicurezza, costringe il suo datore di lavoro a sostituirlo nel corso di pasticceria che prevede, per il migliore, l’ottenimento di una somma di denaro sufficiente a mettersi in proprio…Sono stati scelti 6 gourmet dilettanti ma già esperti che, guidati da un Maestro d'Arte Cioccolatiera...
A Mattia non resta che camuffarsi da immigrato musulmano: tra gag esilaranti e ricette da capogiro, Mattia avrà modo di scoprire il dialogo fra culture diverse.RECENSIONE
Molti gli interessanti ingredienti della storia: il gigantesco spot pubblicitario in favore della celebre industria dolciaria (specializzata sul cioccolato) made in Perugia, dove la storia è ambientata, che fornisce l'occasione per declinare in maniera originale almeno per noi italiani (pensiamo al film francese "Emotivi anonimi") la relazione eros-cibo con maggiore dolcezza; l'integrazione etnica rappresentata dall'amicizia-rivalità tra Mattia e il suo operaio infortunato, il "bildungroman" che vede un cammino di crescita spirituale e sentimentale per l'adolescente tardivo Mattia, la denuncia sociale (il regista, pur scegliendo la strada della leggerezza, affronta il tema difficile degli incidenti sul lavoro dovuti alla noncuranza degli imprenditori).
Tutti i palati vengono accontentati, anche se qualche interpretazione non è di grande spessore. Argentero riesce bene nel suo personaggio e forse la sua fissità espressiva può essere una caratteristica del suo personaggio, così come Marcorè, maestro cioccolataio-guru, deve probabilmente la sua aura di mistero alla recitazione un po' legnosa.
Troppo nevrotica Violante Placido, destinata a piegare il cuore di Mattia con non pochi patimenti, bravissimi Hassani Shapi e Vito. A entrambi spetta il compito di guidare verso la maturità il protagonista con rimbrotti anche affettuosi e consigli propri di chi ha imparato a vivere nelle ristrettezze e conosce la solidarietà e il rispetto umano.
(filmscoop.it)
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La cuoca del presidente (Les saveurs du palais)
Trama del film "La cuoca del presidente" :
è una cuoca rinomata che vive nel Périgord. Con sua grande sorpresa, il Presidente della Repubblica la nomina responsabile della sua cucina personale all’Eliseo. Nonostante le gelosie degli chef che operano nelle cucine principali del Palazzo, Hortense riesce ad imporsi grazie al suo carattere forte e alla sua tempra. La genuinità della sua cucina sedurrà in poco tempo il Presidente, ma quello che accade dietro le quinte, nelle stanze del potere, le creerà molti ostacoli...
USCITA CINEMA: 07/03/2013
GENERE: Biografico
REGIA: Christian Vincent
SCENEGGIATURA: Etienne Comar, Christian Vincent
ATTORI:
Catherine Frot, Hippolyte Girardot, Jean d'Ormesson, Arthur Dupont, Brice Fournier, Jean Marc Roulot, Arly Jover, Joe Sheridan, Philippe Uchan, Hervé Pierre
FOTOGRAFIA: Laurent Dailland
MONTAGGIO: Monica Coleman
MUSICHE: Gabriel Yared
PRODUZIONE: Armada Films Production, Armada Films, Vendôme Production
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
PAESE: Francia 2012
FORMATO: Colore
Ruoli: Interpreti:Catherine Frot - Hortense Laborie
Hippolyte Girardot - David Azoulay
Jean d'Ormesson - Il Presidente
Arthur Dupont - Nicolas Bauvois
Brice Fournier - Pascal Lepiq
Jean Marc Roulot - Jean-Marc Luchet
Arly Jover - Mary
Joe Sheridan - John
Philippe Uchan - Coche-Dury
Hervé Pierre - PerrièresLa Cuoca del Presidente: a tavola con Mitterand
Dagli spuntini notturni a base di pane, burro e tartufo al cavolfiore ripieno di salmone: un film, nella sale a marzo svela i segreti culinari della vera chef del presidente francese Mitterand, Danièle Delpeuch, che cucinò per lui all'Eliseo
di Sara Tieni
La storia di una donna in grado di sostenere con bravura e abilità, in una patria di chef stellati e maschilisti, addirittura gli appetiti dell'Eliseo: è ormai un caso in Francia La Cuoca del Presidente, interpretato da Catherine Frot e ispirato alla vera cuoca di Francois Mitterand.
La Frot infatti impersona Hortense, la chef che ricorda Danièle Delpeuch, autrice nel 1997 di Mes Carnets de cuisine, Du Périgord a L'Elysée, in cui svelava gli anni tra le tavole del potere, cariche di tensioni e intrighi, in cui fu catapultata un giorno dallo staff presidenziale.
In realtà Hortense, estranea a tutto il circolo vizioso e complicato della politica , si concentra puramente sul cibo «Tutto quell'agitarsi non la riguardava», commenta la Frot del suo personaggio «quello che le interessa è che la sua cucina sia la migliore possibile e che il presidente ne sia soddisfatto».
Ne emerge un ritratto gastronomico privato e un legame intimo di Mitterand. A partire dai suoi spuntini notturni a base di pane abbrustolito e imburrato e ricoperto di scaglie di tartufo al suo rapporto franco e consolatorio con la buona tavola: «Il Presidente non amava la cucina troppo elaborata e poi veniva da una famiglia molto legata alle tradizioni, comprese quelle culinarie», spiega la frot.
Il film, a marzo nelle sale italiane, è diretto dal regista Christian Vincent, che è anche enologo e appassionato di buona tavola. Sulla scelta di Catherine Frot commenta: «Non è affatto una cuoca nella vita quindi ha dovuto fare un vero lavoro di apprendimento». Molto diversa la questione dei figuranti, cuochi veri. Sul set due chef autentici che hanno fatto felicemente ingrassare la troupe che ha potuto girare realmente all'Eliseo, con il permesso di Sarkozy, in un periodo in cui non si trovava a Parigi.
Fondamentale il ruolo di buongustaio del regista, vero maestro ai fornelli, prima degli stessi chef, per la Frot: «Ho trascorso una settimana al fianco di Danièle Delpeuch. Mi ha insegnato il piacere dei gesti, dei colori e delle forme delle pietanze. E ho imparato davvero a preparare il cavolfiore farcito al salmone. Era una delle scene importanti del film: si doveva vedere mentre lo preparavo», anticipa la Frot.
E sul cibo in generale commenta «dentro c'è molta poesia. Per un pollo con salsa bianca e tartufi non è un nome magnifico "Poulard en demi-deuil" (Pollo a mezzo lutto)? E tuttavia, quando se ne cucina uno, non bisogna aver paura di infilare una mano intera sotto la pelle del pollo. E' la magia della gastronomia. E' tra i piaceri più grandi offerti dalla vita e su questo sono completamente d'accordo».
(22/01/2013 15:41)
Fonte:www.comingsoon.it,www.vanityfair.it. -
gheagabry.
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« Non sempre quello che desideri è sul menù. »
Sapori e dissapori
Titolo originale No Reservations
Paese di produzione USA
Anno 2007
Durata 105 min
Colore colore
Audio sonoro
Rapporto 2,35:1
Genere commedia romantica
Regia Scott Hicks
Soggetto Sandra Nettelbeck
Sceneggiatura Carol Fuchs
Fotografia Stuart Dryburgh
Montaggio Pip Karmel
Musiche Philip Glass
Scenografia Barbara Ling
Interpreti e personaggi
Catherine Zeta-Jones: Kate Armstrong
Aaron Eckhart: Nick Palmer
Abigail Breslin: Zoe
Patricia Clarkson: Paula
Jenny Wade: Leah
Lily Rabe: Bernadette
Bob Balaban: Terapista
Matthew Rauch: Dan
TRAMA
Kate è una chef di successo, abilissima ma eccessivamente seria. Un giorno la sorella perde la vita in un incidente stradale, e Kate deve così occuparsi della piccola Zoe, sua nipote. Durante la sua breve assenza, la titolare del ristorante assume Nick come secondo chef, il quale conquista tutti con la sua bravura e allegria e Kate se ne sente minacciata.
Nel frattempo, Kate non riesce a prendersi adeguatamente cura di Zoe, ancora molto depressa per la morte della madre. Prova allora a portare la nipote al lavoro, e lì si affeziona molto a Nick;
Un giorno Kate dimentica la piccola nipote e questa, in cambio del perdono alla zia, le chiede di invitare a cena Nick, sperando che tra i due possa nascere qualcosa. Poco dopo l'uomo rivela a Kate che gli era stato offerto il suo posto, ma lui aveva rifiutato; Kate fraintende e dopo averci litigato, lo licenzia, scoprendo solo in un secondo momento che lui in realtà aveva rifiutato. Quando Zoe scopre che la zia e Nick non si vedranno più, fugge di casa, raggiungendo il cimitero per trovare consolazione sulla tomba della madre che le manca tanto. Disperata, Kate contatta Nick, ed insieme ritrovano la piccola, riappacificandosi.
Dopo essersi licenziata, Kate apre con Nick un ristorante, e i due vengono aiutati dalla piccola Zoe.. -
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"Pomodori verdi
fritti al caffè di Whistle Stop""Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop"
è un romanzo di Fannie Flagg del 1987
Best seller
internazionale,
pubblicato per la prima
volta in Inghilterra dalla casa
editrice Random House, da cui è
stato tratto il film del 1991
Pomodori verdi fritti alla
fermata del
treno.... Note ..
•Titolo originale Fried Green Tomatoes
• Autore Fannie Flagg
• 1ª ed. originale 1987
• 1ª ed. italiana 1992
• Genere Romanzo
• Lingua originale inglese
• Personaggi Idgie Threadgoode, Ruth Jamison, Evelyn Couch, Ninny Threadgoode, Big George
Fannie Flagg
Le interpreti del film con l'autrice.. La trama ...
Il romanzo si sviluppa con una duplice narrazione parallela: in parte viene narrato dalla signora Weems, nel "Bollettino di Whistle Stop", e in parte si dipana attraverso gli aneddoti che l'anziana signora Threadgoode racconta all'attenta amica Evelyn Couch, come quello della storia d'amore tra Ruth e Idgie. Attraverso questi racconti emerge una società degli anni Trenta-Quaranta che, pur cominciando a cambiare, fatica ancora ad accettare la popolazione nera al di fuori dell'ottica della servitù.
..La trasposizione cinematografica ...
.. Pomodori verdi fritti alla fermata del treno ...
Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (Fried Green Tomatoes) è un film drammatico del 1991, diretto da Jon Avnet e basato sul libro di Fannie Flagg Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop.
Il film vede protagoniste le attrici Mary Stuart Masterson nel ruolo di Idgie Threadgoode e Mary-Louise Parker nel ruolo di Ruth Jamison, mentre i ruoli di Evelyn Couch e Ninny Threadgoode sono interpretati dalle attrici premio Oscar, Kathy Bates (Oscar per Misery non deve morire) e Jessica Tandy (Oscar per A spasso con Daisy) .
Il film è stato candidato a due premi Oscar, per la Miglior attrice non protagonista e per la Migliore sceneggiatura non originale.
La storia ruota attorno alla vita di diversi personaggi degli anni trenta abitanti nel Sud degli Stati Uniti d'America, affrontando temi quali l'amicizia e l'amore e cerca di essere una cura contro le insidie dell'esistere moderno.
Quattro donne, quattro storie e due generazioni a confronto.Evelyn Couch e suo marito Ed si recano in una casa di riposo dove alloggia la zia dell'uomo. Quando entrano nella camera della donna, questa caccia via Evelyn tirandole addosso un cestino con dei dolci. Evelyn decide di aspettare che Ed finisca la visita e prende posto nel salotto della casa di riposo: qui viene adocchiata da un'anziana ospite della struttura, Ninny, che intavola con lei una discussione. Quando Ninny viene a sapere che Evelyn, per raggiungere l'ospizio, è passata per Whistle Stop, una cittadina dove la linea ferroviaria è ormai in disuso, inizia a raccontarle una storia avvenuta molti anni prima.
La storia di amicizia di due giovani donne anticonformiste, Idgie e Ruth, che nel cuore del sud degli Stati Uniti degli anni trenta, ebbero il coraggio di ribellarsi alla prepotenza maschile e al razzismo dilagante. Ninny racconta a Evelyn del Whistle Stop Café, gestito dalle due donne, e dall'amore che lega Idgie e Ruth fino alla fine.
Con questo racconto le emozioni e gli stati d'animo che affollano la vecchia signora riescono a entrare nella vita di Evelyn, che rinascerà e riscoprirà il piacere di sentirsi viva e di aggiustare ciò che nella sua vita non va come lei vorrebbe... Curiosità ...
Nelle ultime pagine del libro è presente la ricetta dei pomodori verdi fritti.
Il nome completo di Idgie è Imogene Louise Threadgoode, come detto da sua madre all'inizio del film.
Il cognome dei coniugi Couch (in inglese, divano) è probabilmente un riferimento al loro atteggiamento di pigrizia all'inizio del film.
La colonna sonora del film è il brano What Becomes of the Brokenhearted di Jimmy Ruffin.
L'esclamazione liberatoria "Towanda!", pronunciata più volte nel corso del film, è il nome proprio di quattro differenti città degli Stati Uniti d'America.
Nella puntata 09x07 de "I Simpson", durante il matrimonio di Apu, Manjula dichiara che "Pomodori verdi fritti" è il suo piatto, libro e film preferito... La ricetta originale dal film omonimo ...
I pomodori
verdi fritti sono
un piatto molto famoso del
Sud. Si tratta di una ricetta semplice
quanto popolare: i pomodori (verdi - una
particolare qualità) vengono raccolti molto maturi,
ricoperti di farina di mais e fritti. Le leggende
popolari dicono che anche questo è
un piatto introdotto dagli
schiavi africani.Gli ingredienti necessari per questa ricetta, per 4 persone, sono i seguenti: 3 cucchiai di grasso di pancetta, 100 g di farina, 4 pomodori verdi, una tazza di latte, 2 uova sbattute, 3 cucchiai di pangrattato, sale e pepe q.b.
Per la preparazione: lavate bene i pomodori, affettateli e sbucciateli. Quindi procedete scaldando il grasso della pancetta in una padella per friggere. Bagnate i pomodori nell’uovo sbattuto, quindi passateli nel pangrattato.
Friggeteli fino a quando non saranno coloriti da entrambi i lati e sistemateli su un piatto. Per ciascun cucchiaio di grasso rimasto nella padella, aggiungetene uno di farina e mescolate bene.
Quindi versate, sempre mescolando, una tazza di latte tiepido e lasciate cuocere finché la salsa non si addenserà, senza mai smettere di mescolare. Aggiungete sale e pepe a piacere. Versate sui pomodori e servite bollente.
(Scritto da: Antonella - lunedì 20 maggio 2013).. Fannie Flagg - Biografia ...
Patricia Neal, meglio conosciuta come Fannie Flagg (Birmingham, 21 settembre 1944), è una scrittrice e attrice statunitense.
Fannie Flagg è nota soprattutto come autrice del bestseller internazionale "Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop" di cui ha curato anche la sceneggiatura per la trasposizione cinematografica: il suo lavoro di sceneggiatrice per il celebre film del 1991 "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno" è stato premiato con una nomination all'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.
È autrice di numerosi altri romanzi che hanno avuto tutti un grande successo di pubblico sia negli Stati Uniti che in altri paesi del mondo.
Fannie Flagg è dichiaratamente omosessuale e nei suoi romanzi è possibile trovare vari riferimenti a situazioni, personaggi e relazioni LGBT.
In "Pomodori verdi fritti", in particolare, l'autrice si sofferma sulla tenera relazione che lega le due protagoniste Idgie e Ruth: tuttavia, i riferimenti al rapporto affettivo tra le due donne, più evidenti nel romanzo, sono stati molto ammorbiditi e appena accennati ambiguamente nella trasposizione cinematografica dello stesso, soprattutto al fine di non danneggiare il film da un punto di vista commerciale.
Attualmente la scrittrice divide il suo tempo fra la California e il nativo Alabama.
Fannie Flagg ha scritto un ricettario, per il momento non tradotto in italiano, intitolato "The Original Whistle Stop Cafe Cookbook" (prima edizione 1991, Fawcett, riedito dal 1995 come paperback da Ballantine Books con il titolo "Fannie Flagg's Original Whistle Stop Cafe Cookbook") dedicato ai piatti tipici della cucina del sud degli Stati Uniti, ambientazione prediletta dei suoi romanzi.
Nonostante il ricettario originale dell'autrice non sia stato pubblicato nel mercato italiano, esiste tuttavia in Italia un libro dedicato anch'esso all'immaginario ristoro ferroviario e che ripropone le ricette di tutti i piatti citati nel romanzo: "Pomodori verdi fritti e altre ricette. Piccole e grandi rivoluzioni alla fermata del treno" di Barbara Buganza (2006, Leone Verde)."C’era una volta questo grande lago e noi ci andavamo a pescare, a fare il bagno, a remare. Un giorno di novembre un branco di anatre si posò sul lago e la temperatura si abbassò di colpo fino a far gelare il lago, allora le anatre spiccarono il volo e si portarono via il lago. Ora quel lago si trova da qualche parte in Georgia".
da Pomodori Verdi Fritti (Alla fermata del treno)
« Il segreto è nella salsa. »
(Sipsey (Cicely Tyson).)
Fonte:
http://it.wikipedia.org/wiki/Pomodori_verd...di_Whistle_Stop,
http://it.wikipedia.org/wiki/Pomodori_verd...rmata_del_treno,
www.iviaggideldelfino.com/pdfs/travelsouth.pdf,
http://it.wikipedia.org/wiki/Fannie_Flagg,
www.gustoblog.it/post/65671/pomodor...al-film-omonimo,
web,www.ziqqurat.eu,www.orderofbooks.com,www.lastambergadeilettori.com,nuovocinemalocatelli.
com,www.studiouniversal.it,movieplayer.it,crumpetsandco.wordpress.com,pauranka.it,player.mashpedia.
com,zuguidemovietrailers,www.youtube.com,www.nelforno.it,it.film-cine.com,willowrs.wordpress.com,www.despar.it,www.
closetcooking.com,www.youtube.com,leroehalescarpettedicristallo.blogspot.com,sixfeetchic.blogspot.com,simplythebess.
tumblr.com,www.premiere.fr,thehoyay.blogspot.com,weheartit.com,whnt.com,www.whistlestopcafe.com. -
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Chef: Jean Reno, tante spezie e poco sale
di Simona Santoni
La commedia gastronomica francese strappa con garbo alcune risate, più spesso docili sorrisi, stuzzicando poco il palato del pubblico. Si inserisce tra i tanti recenti film di profilo culinario
Se la narrativa ha deciso di condire i romanzi con ariste e bolliti , visto l'assodato successo dei libri di ricette, il cinema non sembra essere di meno. Del resto Carlo Cracco e Gianfranco Vissani sono nomi nell'immaginario colletivo ben più noti di Gabriele Veneziano (fisico padre fondatore della teoria delle stringhe) o Mario Capecchi (Nobel per la medicina nel 2007). Gli chef arrivano dritto al cuore (o allo stomaco) della gente, dall'alto del loro fare da artisti contemporanei.
Ecco così che dalla Francia, patria della parola "chef", arriva l'ennesima commedia tra fornelli e consommé, che guarda caso si intitola Chef (dal 22 giugno al cinema), diretta da Daniel Cohen. Jean Reno è Alexandre Lagarde, mago pluristellato dell'arte culinaria che gestisce un rinomato ristorante a Parigi. Minacciato dal gruppo finanziario proprietario dei suoi locali e vittima di un vuoto di ispirazione creativa, troverà un aiuto nell'amante della buona cucina Jachy Bonnot (Michaël Youn), "l'uomo che sussurrava alle verdure, e che le ascolta", il cui talento e preparazione sono proporzionali al caratteraccio e alla cocciutaggine.
Tra un battibecco e una sperimentazione, tra cucina tradizionale e follie molecolari, la sceneggiatura strappa ogni tanto con garbo delle risate, più spesso docili sorrisi. Se, al contrario dei presunti chef protagonisti, il pubblico non ha palato troppo fine, può anche capitare di sentirsi alla fine soddisfatti grazie a spezie di un certo acume spruzzate qua e là, a nascondere la carenza di sale. Come certo non sono in dosaggio eccessivo la coerenza e la plausibilità (come mai il truccatissimo Jachy definisce "moglie" Béatrice, interpretata da Raphaëlle Agogué, e poi invece si ricorda che deve ancora sposarla? forse qualche problema di traduzione dal francese all'italiano?).
Video
Di certo aveva fatto molto meglio, prima di Chef, la commedia tedesca Soul Kitchen (2009). Il regista Fatih Akın era riuscito a raccontare con disinvoltura, attraverso la cucina e un'afmosfera conviviale, i margini di una società multiculturale in pieno scontro. In Fuori menù (2008) dello spagnolo Nacho García Velilla lo chef era gay e ovviamente un po' isterico ma anche estroso e pignolo tra piatti e ricette. Con qualche pennellata almodovariana (non a caso ci sono Javier Cámara e Lola Dueñas, attori già visti in Parla con lei e Volver), tra eccessi e altrettanti tentativi di riportare tutto in ordine, nella sua imperfezione il film ha saputo divertire in maniera meno contenuta di Chef.
Niente di buono, invece, bolliva nella pentola dell'hollywoodiano Sapori e dissapori (2007). Le solite scaramucce di cucina e amore tra chef, tra una bella cuoca affermata e nevrotica (Catherine Zeta-Jones) e un affascinante aiuto cuoco sicuro di sé (Aaron Eckhart) e capace di dare il giusto valore alle cose.
Ciak, la nuova commedia gastronomica è servita.(22-06-201218:30)
Fonte:
© http://cultura.panorama.it/cinema/al-cinem...zie-e-poco-sale
web,www.mymovies.it,www.ricetteok.it,www.youtube.com,VideaCDEdistribuzion,www.film.it,www.saltypopcorn.com. -
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"The Ramen Girl"
The Ramen Girl
è un film del 2008,
una commedia drammatica
americana-coreana interpretata da
Brittany Murphy, una ragazza che va in
Giappone e decide di imparare a cucinare
il ramen. La Murphy è anche elencata
nei credits di produzione come
uno dei produttori.
Dopo essere stata improvvisamente abbandonata dal fidanzato,
Abby, una giovane americana, si ritrova improvvisamente da sola a Tokyo. Persa nel caos di una cultura straniera e nel tentativo di tirarsi su di morale, Abby si reca nel vicino ristorante e dopo aver visto l'effetto positivo che i piatti di noodles caldi hanno sui clienti, decide di specializzarsi nella preparazione di piatti giapponesi. Così persuade il tirannico e burbero cuoco giapponese a insegnarle l'arte della cucina. E sebbene la loro relazione sia alquanto turbolenta, entrambi impareranno a fondere le proprie diversità
culturali per cucinare piatti preparati con il cuore... Il trailer ufficiale ...
... Note ..
•Titolo originale The Ramen Girl
• Paese di produzione: USA, Giappone
• Anno: 2008
• Durata: 122 min.
• Genere: Commedia
• Lingua originale: inglese
• Regia: Robert Allan Ackerman... Interpreti e personaggi ..
• Brittany Murphy: Abby
• Toshiyuki Nishida: Maezumi
• Sohee Park: Toshi Iwamoto
• Kimiko Yo: Reiko
• Tammy Blanchard: Gretchen
• Gabriel Mann: Ethan
• Daniel Evans: Charlie
• Tsutomu Yamazaki: grande maestro
• Renji Ishibashi: Udagawa... Doppiatori ..
• Domitilla D'Amico: Abby
• Haruhiko Yamanouchi: Maezumi
• Marco Vivio: Toshi Iwamoto
• Antonella Baldini: Gretchen
• Stefano Crescentini: Ethan
• Christian Iansante: Charlie.. La trama ...
Abbandonata dal suo fidanzato Ethan, la giovane studentessa americana Abby si ritrova sola e demotivata a Tokyo. Si rifugia nel bistrot di Ramen sotto casa, dove, impressionata dall'atmosfera, decide di imparare a preparare il Ramen (piatto tipico giapponese a base di spaghetti). Comincerà, allora, una lunga opera di convincimento nei confronti del burbero chef giapponese Maezumi, proprietario del bistrot, per farsi insegnare l’antica arte del Ramen. Abby inseguirà con testardaggine il suo nuovo obiettivo, scoprendo più di quanto non potesse immaginare, compreso l'amore
.. La trama nei dettagli ...
Abby (Brittany Murphy) è una ragazza americana che va a Tokyo per stare con il suo fidanzato, Ethan (Gabriel Mann). Ethan le dice che deve andare a Osaka per un viaggio d'affari e non sa quando ritornerà. Abby chiede di andare con lui, ma Ethan rifiuta e rompe con lei. Abby entra in un negozio di ramen vicino casa, e lo chef Maezumi (Toshiyuki Nishida) e sua moglie Reiko (Kimiko Yo) le dicono che sono chiusi. Abby non capisce il giapponese e inizia a piangere, così lo chef la invita a sedersi e le porta una ciotola di ramen, e lei lo ama. Mentre mangia ha delle allucinazioni, vede il gatto fortunato, noto come il Maneki Neko, invitarla a gesti ad avvicinarsi. Si offre di pagare per il suo pasto ma lo chef e sua moglie rifiutano.
Il giorno dopo lei torna e si siede al bancone, lui le dà un'altra ciotola di ramen e mentre mangia si abbandona in risatine incontrollabili, come fa un altro cliente. Il giorno dopo lei ritorna, ma viene detto che sono fuori di ramen, vedendo gonfiore alle caviglie della moglie, lei insiste su come aiutarla. Dopo la notte è attraverso, lei è svenuta addormentato nella parte posteriore. Essi shoo fuori, ma come lei sta andando via si rende conto che vuole cucinare ramen. Correndo di nuovo nel negozio, lei lo prega di insegnarle a cucinarlo. Lo chef Maezuni si rifiuta ma cede definitivamente e le dice di andare il giorno successivo alle 5. Lei arriva in tacchi alti e indossando un vestitino, ed è messa a pulire il gabinetto, le pentole e padelle fino a tardi. Nelle settimane successive Maezumi dà solo il suo lavoro di pulizia nella speranza che lei va via, ma lei resiste. Dopo che la fanno lavorare come cameriera, conquista i cuori di tutti coloro che entrano, tra cui due donne anziane che sono clienti abituali, e un ragazzo che si prende una cotta per lei.
In una delle rare serate trascorse fuori, si ritrova in un night club con l'inglese Charlie e l'americana Gretchen che aveva già incontrato in precedenza. I tre incontrano Toshi Iwamoto (Sohee Parco) e i suoi amici. Abby e Toshi si innamorano. Ma presto, Toshi deve andare a Shanghai, in Cina, per lavoro, per tre anni. Chiede Abby di andare con lui, ma lei rifiuta, dicendo che non può e condividono il loro ultimo bacio.
Durante la settimana di Natale, Abby vedendo Maezumi piangere su una raccolta di lettere e foto da Parigi, scopre chi è Shintaro. Sua moglie dice poi Abby che Maezumi e Shintaro, il loro figlio, non si sono parlati per 5 anni dopo che Shintaro era partito per la Francia.
Abby impara presto come fare ramen, ma Maezumi insiste che non ha un'anima. La madre di Maezumi, maestra suoi ramen, le dice, in giapponese, che sta cucinando con la testa; quando Abby confessa che c'è solo dolore nel suo cuore, la madre di Maezumi le ricorda che lei dovrebbe mettere le lacrime nei suoi ramen, non avendo amore da condividere. Più avanti nel film, si vede come cucina il ramen, piangendo. Le due signore, il ragazzo e un altro ragazzo di Okinawa, mangiano i suoi ramen e diventano quasi subito malinconici, il dolore di Abby è passato attraverso il ramen a loro. Maezumi assaggia, e comincia a piangere, ma si ritira di sopra a casa sua.
Un giorno, Maezumi parla con un rivale che si vanta di suo figlio, in attesa che un grande chef venga a degustare i suoi ramen, che ridicolizza Maezumi che cerca di formare Abby. Maezumi, ubriaco, dice che i suoi ramen riceveranno la benedizione del Master Chef, o lui può smettere di fare ramen. Il Maestro arriva, e gusta il ramen del giovane, assaggiando con molta parsimonia solo piccole parti, gli dà la sua benedizione e va da Abby.
Abby si è allontanata dalla certezza dei ramen tradizionali, e li realizza con peperoni, mais e pomodoro, un intruglio che lei chiama "dea Ramen". Il Maestro dice che le tagliatelle di Abby sono buone, ma lui non può dare la sua benedizione, dicendo che ha bisogno di più tempo e moderazione. Maezumi è triste di dover fermare la sua attività, ma parla con Abby. Lui le racconta di suo figlio che voleva imparare la cucina francese, ma lei non capisce. Lui le dice che il negozio di ramen ha bisogno di un successore, e che è il successore del suo negozio di ramen è lei. Che si appresterà a tornare in America, ma prima è invitata a una festa. Maezumi le dà la lanterna che aveva appeso fuori dal suo negozio per 45 anni e lei la prende portandola in America con lei; un anno più tardi infatti è appesa fuori dal suo negozio a New York City, giustamente chiamato The Ramen Girl. Ad una parete è appesa una foto di Maezumi e di sua moglie con il loro figlio, felicemente a Parigi. Poi, un suo dipendente le dice di un uomo che vuole vederla. E' Toshi.
Dice che odiava il suo lavoro e che ha deciso di fare quello che avrebbe desiderato, tornare a quello che amava, scrivere e comporre musica e ha lasciato il lavoro, lei lo accoglie nel suo negozio di ramen e si baciano... Curiosità ...
In Brasile, il film ha avuto due titoli perché aveva due versioni: 'O Sabor de uma Paixão' e 'A Garota fanno Ramen'.
E' l'ultimo film commedia interpretato da Brittany Murphy... Recensioni ...
Il critico cinematografico Don Willmott descrive The Ramen Girl come "un'analisi leggera ma suggestiva della potenza redentrice di un buon piatto di tagliatelle" in cui "The Karate Kid incontra Tampopo che incontra il pranzo di Babette".
E' stato citato brevemente da Anthony Bourdain nella puntata del suo show televisivo "No Reservations" su Hokkaido.
Fonte:
© http://it.wikipedia.org/wiki/The_Ramen_Girl,
© http://en.wikipedia.org/wiki/The_Ramen_Girl,
© http://movieplayer.it/film/the-ramen-girl_22324/,
web,www.argentinawarez.com,www.eatmedaily.com,planetaua.net,tokyo5.wordpress.com,www.amazon.
com,www.lily.fi,tokyofox.wordpress.com,www.ahashare.com,www.ftmovie.com,www.kuzinedekizaranekmek.
com,youbentmywookie.com,theinspiredcafe.com,www.phimdata.com,torrentszona.com,easy4cook.
com,www.coversclub.cc,dcmagnets.ru. -
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Il pasticciere: recensione film
Posted by Sandra Martone
Un ottimo Antonio Catania
protagonista di un noir dolceamaro che non convinceGENERE: noir
DATA DI USCITA: 31 ottobre
DURATA: 100’
VOTO: 2,5 su 5
Qual è il colmo per un pasticciere? Essere diabetico. Questa freddura è anche una reale caratteristica di Achille Franzi (Antonio Catania), protagonista di Il pasticciere nuovo film di Luigi Sardiello.
Achille, come suggerisce il titolo della pellicola, è un pasticciere, convinto che la sua missione di vita sia quella di portare la dolcezza nella vita degli altri. Un giorno, però, l’uomo si imbatte suo malgrado in un delitto e i suoi giorni cambiano colore e diventano noir anche per colpa di un ambiguo avvocato e di una ex prostituta.
Quella di Achille è la parabola di un uomo qualunque, tranquillo eppur dotato di un gran dono, che si ritrova in mezzo a questioni più grandi di lui. Un italiano in una terra straniera come metafora dello straniamento del protagonista rispetto alle avventure che dovrà affrontare.
La regia del lungometraggio segue perfettamente l’attenzione al dettaglio propria del protagonista e inserisce, insieme ai luoghi che fanno da cornice alle azioni, il film in un’iconografia più europea che italica.
Il bravissimo Antonio Catania, finalmente al centro della scena, dà vita a un personaggio ricco di sorprese, intraprendente eppur sempre coerente col suo modo d’essere. Nei della pellicola invece sono i suoi co-protagonisti – specialmente l’ex prostituta Angela che ha il volto di Rosaria Russo e una stereotipata storia di donna fatale alla mercé del cattivo di turno – dove anche Ennio Fantastichini arranca in veridicità nel ruolo dell’avvocato. Inoltre una lentezza narrativa che annaspa i passaggi tra genere comico e noir di cui la pellicola si nutre.
I buoni dialoghi, specialmente quelli tra Achille e la commissaria di polizia interpretata da Sara D’Amario, non salvano dunque un film forte di buoni propositi e debole nella dinamicità e in alcune interpretazioni, dove Catania è l’unico che regge tutto il peso, eccessivo anche per lui, di un lavoro che parte bene, cede andando avanti e crolla sul finale.(27 ottobre, 2013 )
Fonte:
© http://www.filmforlife.org/2013/10/il-past...one-film/27343/,
web,www.radiocinema.it,. -
gheagabry.
User deleted
. "Non tutti possono diventare grandi artisti,
ma il grande artista può trovarsi ovunque.".RATATOUILLE
Titolo originale Ratatouille
Lingua originale inglese
Paese di produzione USA
Anno 2007
Durata 117 min
Colore colore
Audio sonoro
Rapporto 2,39:1
Genere animazione, commedia
Regia Brad Bird, Jan Pinkava
Soggetto Jan Pinkava, Jim Capobianco, Brad Bird, Emily Cook e Kathy Greenberg
Sceneggiatura Brad Bird
Produttore Brad Lewis
Casa di produzione Walt Disney Pictures, Pixar Animation Studios
Distribuzione (Italia) Buena Vista Distribution
Art director Harley Jessup
Animatori Pixar Animation Studios
Fotografia Sharon Calahan, Robert Anderson
Montaggio Darren T. Holmes
Musiche Michael Giacchino
Doppiatori originali
Patton Oswalt: Rémy
Lou Romano: Alfredo Linguini
Janeane Garofalo: Colette Tatou
Peter Sohn: Émile
Brad Garrett: Auguste Gusteau
Ian Holm: Skinner
Brian Dennehy: Django
Peter O'Toole: Anton Ego
Will Arnett: Horst
Julius Callahan: Lalo, Francois
James Remar: Larousse
John Ratzenberger: Mustafà
Teddy Newton: Avv. Talon Labarthe
Tony Fucile: Pompidou
Jake Steinfeld: Git
Brad Bird: Ambrister, domestico di Anton Ego
Stéphane Roux: narratore tv
Premi
2008 - Premio Oscar
Miglior film d'animazione a Brad Bird
2008 - Golden Globe
Miglior film d'animazione
2008 - Premio BAFTA
Miglior film d'animazione a Brad BirdTRAMA
Il protagonista del film è un topo di nome Remy che ha un sogno impossibile, quello di diventare un rinomato cuoco in un ristorante francese a cinque stelle. Assieme allo sguattero, Linguini, percorre il proprio percorso creativo per diventare il maggiore cuoco di Parigi.
Per tutta la vita, Remy ha mostrato un olfatto dotatissimo e il sogno più inusuale possibile per un topo: cucinare in un ristorante rinomato. Senza preoccuparsi dell'evidente difficoltà di emergere nella professione che ha maggiore paura dei topi al mondo, per non parlare degli inviti della sua famiglia ad accontentarsi del suo stile di vita (fatto di mucchi d'immondizia), le fantasie di Remy sono ricche di flambé e sauté. Ma quando le circostanze fanno arrivare Remy nel ristorante parigino reso famoso dal suo eroe culinario, Auguste Gusteau, il cui motto "chiunque può cucinare" ha ispirato Remy per tutta la vita, capisce improvvisamente che venire scoperto in una cucina può essere decisamente pericoloso se si hanno dei baffi e una coda.
Nel momento in cui i sogni di Remy sembrano sul punto di andare in fumo, trova quello di cui ha bisogno, un amico che crede in lui: l'addetto alle pulizie del ristorante, un ragazzo timido e isolato che sta per essere licenziato. Ora, non avendo nulla da perdere, Remy e Linguini formano la più improbabile delle coppie, con il goffo corpo di Linguini che canalizza la mente creativa di Remy, mettendo Parigi completamente sottosopra e si ritrovano entrambi a vivere un'incredibile avventura fatta di svolte comiche, sviluppi emotivi e il più improbabile dei successi, che i due non avrebbero mai potuto vivere senza l'aiuto reciproco.....recensione....
La storia è quella di Remy, un ratto che vive in campagna, insieme al padre, al fratello Emil e a tutta la loro colonia, ma che, come il gabbiano Jonathan Livingston, non si accontenta di quello che ha, né di quello che è, vorrebbe di più. Lui non vuole mangiare spazzatura, né avanzi, vuole mangiare bene e per questo impara a cucinare.
La fortuna o la sfortuna lo faranno arrivare in uno dei migliori ristoranti di Parigi, dove riesce a far diventare chef, Linguini, un semplice sguattero che di cucina non capisce nulla.
La storia del ratto che volle farsi cuoco ha un ritmo e una verve irresistibili, che faranno ridere moltissimo i bambini ma che conquisteranno anche gli adulti con una storia intelligente, originale e creativa. La sceneggiatura è scritta benissimo, divertendo tocca temi non banali: la volontà di affermare se stessi, l’importanza della famiglia, la discriminazione femminile, l’importanza di apprezzare ciò che ci circonda, non ingoiando distrattamente tutto ciò che ci viene dato, ma gustando e assaporando lentamente. Niente è inserito forzatamente nella narrazione, non ci sono momenti morti, né personaggi o avvenimenti inutili. I personaggi sono tutti ben delineati e sfaccettati, non è scontato che l’imbranato Linguini perda la testa quando diventa famoso e rinneghi il suo burattinaio, pensando di poter fare da solo. Meraviglioso il ritratto del terribile critico Anton Ego, la sua epifania è degna di una madeleine di Proust e le sue considerazioni sul ruolo del critico fanno riflettere. A tanta cura nella creazione dei personaggi e della storia si aggiunge altrettanta perfezione tecnica. La realizzazione di Ratatouille è impressionante: la colonia di ratti che deve scappare dalla casa che sta crollando è fin troppo realistica, i movimenti, i peli della pelliccia sono realizzati con una tale precisione che sconcertano. Le scene di inseguimento nella cucina con una visuale a livello topo sono fantastiche, con un ritmo incalzante e mozzafiato.
(Elisa Giulidori, http://filmup.leonardo.it/
Ratatouille: piatto tradizionale provenzale a base di verdura stufata, origina-
riamente consumato da contadini poveri, preparato prevalen-
temente in estate con verdure fresche. Ricetta culinaria fatta di sapori ed odori che è difficile immaginare più semplici e genuini. "Ratatouille", opus n. 8 realizzata in computer grafica dalla Pixar, dice cose semplici e profonde utilizzando, però, mezzi visivi che di semplice hanno ben poco.
La fluidità ottenuta dall'animazione digitale, attraverso i movimenti di Remy in casette di campagna, sotterranei umidi e cucine chic, raggiunge inauditi livelli adoperando determinate tecniche cinematografiche inedite fino a qualche anno fa.
Dietro la maniacale cura del dettaglio c'è un cuore, proprio della famosa casa di produzione, difficilmente riscontrabile su pellicola, non solo di fattura animata. Temi noti, si dirà, eppure affrontati con nuove chiavi di lettura, attraverso trovate geniali, che appartengano al cinema comico dell'era muta, omaggiato con rispetto ed originalità, o direttamente all'attuale iper-tecnologico mezzo filmico.
Sono pochi i film statunitensi che hanno fornito un quadro personale e credibile di Parigi (ma il discorso potrebbe estendersi alla gran parte delle città europee): guardando "Ratatouille", passando da citazioni colte come quelle dedicate a "Cyrano de Bergerac" (partendo dall'enorme naso di Alfredo Linguini) è impossibile non pensare a "Un americano a Parigi" di Vincente Minnelli. Sebbene i riferimenti alla capitale francese siano concentrati soprattutto nei relativamente piccoli spazi del ristorante, geniale è la carrellata che accompagna il primo impatto di Remy con la grande città, dove fulminee e taglienti annotazioni (la coppia di amanti che passano in un istante dal tentato delitto al bacio passionale) la dicono lunga sul dono della sintesi di cui è capace la Pixar.
Eppure il film non ha paura delle pause, di fermarsi a guardare l'alba che affianca la Torre Eiffel, di mettere in dubbio la bontà del più buono degli umani o di scavare tra documenti in un legame filiale vivissimo anche se mai veramente vissuto in prima persona. Remy come Gene Kelly, quando corregge la sua prima zuppa: carrelli circolari, il valzer dell'ottimo Michael Giacchino ad accompagnare il movimento leggiadro ed elegantissimo del topolino che sa ergersi ad icona del recente cinema d'animazione.
"Ratatouille" rischia sin dal principio, in un'idea che può dirsi semplice, ma comunque arrischiata e di non facile gestione: il profondo accostamento di un animale come il ratto ad una delle cucine mondiali più raffinate e apprezzate al mondo è folle e poteva avvenire soltanto se retta da dilaganti idee, soprattutto se pensiamo che Remy (così come la sua nutrita compagnia di amici e parenti) è tratteggiato con una tipologia animale meno cartoonesca rispetto ad un Mickey Mouse, Bianca e Bernie, Speedy Gonzales e Jerry (antagonista di Tom): non che sia sinonimo di disegno realistico, ma l'adesione con alcuni movimenti propri di quel regno animale è totale come dimostrano anche i più impercettibili movimenti del pelo dell'irresistibile Remy.
Gli autori, il veterano Brad Bird ("Gli Incredibili") e il debuttante Jan Pinkava, non proponendo con insistenza l'ovvio parallelo tra umani e ratti, riescono ad essere altrettanto infallibili nel delineare la natura umana di una schiera di personaggi, molti dei quali possiedono una psicologia sfaccettata e talvolta imprevedibile: l'oscuro e misterioso passato di alcuni dei membri della cucina del Gusteau's (quest'ultimo, deceduto maestro di cucina, protagonista come saggio fantasmino bonario) e l'ambivalente e severissimo critico culinario Anton Ego, a cui appartiene la scena più alta dell'opera: con un'occhio a Marcel Proust, ed in particolar modo al celeberrimo passaggio della sua "Ricerca del Tempo Perduto" dedicato alla Madeleine, il salto temporale in un vecchio passato, risorto in un'anima ormai impolverata da una casa buia e quasi lugubre, apre in pochi secondi squarci di grande commozione, di Ego come nostra, improvvisamente spettatori più attivi che mai, alla ricerca del proprio struggente ricordo d'infanzia.
(Diego Capuano, www.ondacinema.it/)
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