CUCINA dal WEB

ARTICOLI, RIFLESSIONE E NEWS D

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    Il treno di cioccolato più lungo del mondo



    Un record dolcissimo: 34,05 metri di treno completamente di cioccolato. Il Belcolade Express è stato inaugurato oggi alla Gare de Midì di Bruxelles, capitale mondiale del cioccolato che celebra oggi la sua prima Brussels Chocolate Week con questo Guinness dei primati: la più lunga struttura al mondo interamente derivata dal seme di cacao. 1.285 chili di cioccolato e 784 ore di lavoro per assemblare i 6.432 pezzi che portano questo treno, che ripercorre la storia delle ferrovie belghe dal vapore all'elettricità, a toccare il record di oltre 34 metri di lunghezza. "Come provato dai carotaggi nei vagoni, non c'é un solo pezzo di metallo o di plastica, questo è cioccolato belga al 100%", ha assicurato al termine delle misurazioni Koen Dewettinck, professore del Cacaolab dell'Università di Gand. Il Belcolade Express è il frutto dell'incontro tra l'artista maltese del cioccolato Andrew Farrugia e uno dei fiori all'occhiello della gastronomia belga.

    "Il fatto che Farrugia abbia scelto Bruxelles ed il cioccolato belga è l'ennesima prova dell'elevatissima qualità del nostro prodotto", ha sottolineato a margine del record Patrick Bontinck, amministratore delegato di VisitBrussels, l'agenzia che organizza la Chocolate Week. Un record dolce, ma non da assaporare: per proteggerli dal calore, locomotive e vagoni stati coperti di una vernice non commestibile.




    Fonte:www.ansa.it,video.corriere.it,web

    Edited by gheagabry1 - 16/11/2023, 19:18
     
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    Il re dei panettieri nel paese fantasma



    Ha 35 anni ed è l’unico residente
    di un borgo Anni 20. Il suo pane premiato come il migliore della Sicilia


    BORGO SANTA RITA (CL)
    «Non ti fare fottere dalla nostalgia», intimava Alfredo-Noiret al piccolo Totò di «Nuovo cinema Paradiso» raccomandandogli di non voltarsi indietro, di dimenticare la Sicilia, «terra maligna». Maurizio, invece, con la nostalgia ha impastato il pane, è vissuto ogni giorno, ha scelto contro tutto e tutti di non lasciare il suo borgo di 11 abitanti perduto tra le campagne dell’isola. «Pazzo, mi dicevano, quando ho deciso di aprire il forno qui, dove sono rimaste solo la mia famiglia e quell nella casa lì di fronte. Vattene come hanno fatto tutti gli altri a cercare lavoro altrove, mi urlavano».

    E invece Maurizio ha vinto la sua scommessa con la vita, una sfida personale che sa di storia universale. E che racconta come dalla periferia, dalla tradizione, dal ritorno alla natura e ai suoi ritmi possa partire una storia imprenditoriale che sta per essere coronata dal premio «Best in Sicily», assegnato dal portale «Cronache di gusto» alle eccellenze siciliane. Tra legioni di scintillanti rivendite di città e di ottime botteghe di paese, i gourmet hanno deciso che il migliore fornaio dell’isola è proprio Maurizio Spinello, 35 anni, il fornaio del borgo Santa Rita, a undici chilometri da Caltanissetta.

    Il paese quasi fantasma costruito nel 1920 dal barone Ignazio La Lomia per i contadini del suo feudo che nel tempo hanno acquisito la proprietà delle case, cubetti bassi di pietra su cui svetta la chiesa intitolata alla patrona, dedicata dal barone alla moglie nel 1935.

    «Questa è casa mia», dice Maurizio presentando madre, padre, i figli Salvatore di 11 anni e Marco di 8. Ragazzini sorridenti, innamorati del borgo. «Andarcene? Mai», dicono ridendo di ritorno dalla scuola che sta nel paese di Delia, a un quarto d’ora dal villaggio. «Un tempo la scuola era qui - racconta il fornaio - c’erano pure la caserma dei carabinieri, la rivendita di tabacchi, lo spaccio alimentare. Era pieno di famiglie di contadini e pastori. Ma negli Anni 60 cominciò l’esodo. Mio padre restò, con le sue 40 mucche, ma ci dava da vivere sempre più a fatica. Finché mia madre, per arrotondare un po’, si mise a fare il pane e a venderlo alla gente di passaggio, con un po’ di latte e qualche uovo. Quel pane è diventato la mia vita». La svolta nel 1999: Maurizio ottiene la licenza. E poco dopo convince il direttore della filiale della Banca Toniolo a concedergli un prestito di cento milioni di lire: «Quando gli ho parlato del progetto si è quasi commosso».

    Si apre una porta, esce agile un’anziana. «Buongiorno, signora Gina». Ha 90 anni, ne dimostra 20 in meno. La più anziana del borgo, la capostipite dell’altra famiglia che è rimasta. Suo figlio Vincenzo - moglie e tre figli - fa il contadino. «Ma io sono l’unico che ha la residenza qui, posso fare il sindaco», scherza Maurizio mostrando la sua prima bottega e la nuova, più grande, aperta tre anni fa in quella che era la stalla del padre. Dietro la rivendita, un laboratorio di 140 metri quadrati dove lavora dalle 5 del pomeriggio alle 4 del mattino, spesso da solo, talvolta aiutato a turno dai genitori.

    Al centro il forno, alimentato dal legno di mandorlo e di ulivo. «Grandi sacrifici e fatica. Ma sono felice - racconta - e penso a chi è andato in città e ora è disoccupato. Ricordo i loro sorrisi di sfottò». Dicevano: ma a chi venderà il pane? «All’inizio rifornivo una catena di supermercati e le botteghe dei paesi del circondario, ero diventato quasi un monopolista, facevo 250 chili al giorno e giravo come un pazzo con il mio furgone. Ma ce la facevo appena, perché vendevo a prezzi bassi. Dopo 7 anni ho incontrato gente che lavorava con il biologico. Si è aperto un mondo, il mio mondo». Il suo mondo sono i grani antichi siciliani che mostra come le monete di un tesoro: «Si chiamano Russello, Tumminia, Perciasacchi, Senatore Cappelli. Rendono meno delle varietà convenzionali, ma la qualità è incomparabile». E poi c’è il mulino, a pietra. «Ho girato mezza Sicilia per trovarne uno, tutti mi facevano vedere quelli moderni, che surriscaldano il grano durante la molitura. Poi ho incontrato un altro pazzo come me, Filippo Drago, e il suo mulino del ponte, alle porte del paese di Castelvetrano. Ho chiuso il cerchio».

    Mostra le pagnotte, pronte a essere infornate: «Non c’è ombra di lievito di birra, perciò il pane resta fresco per 15 giorni. Ci sono solo farina, acqua, sale e crescente, cioè la pasta madre ricavata dal pane già lievitato. Ogni volta che faccio il pane, ne prendo un pezzo e lo conservo per l’impasto successivo, una catena che non si spezza mai». Con la qualità, sono arrivate la certificazione dell’Aiab (l’associazione italiana di agricoltura biologica) e le richieste da spacci e mercati qualificati di tutta Italia. «Ho ridotto la produzione: 150 chili al giorno e sono orgoglioso di ogni boccone. Lo assaggi». Sa di fieno, di terra, di legno. Sa della gioia di avercela fatta.
    (LAURA ANELLO)




    lastampa.it

    Edited by gheagabry1 - 16/11/2023, 19:18
     
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    Il piatto di pasta più costoso del mondo: 2013 dollari



    Cifra record per una porzione di tagliolini: accade a New York. Ma la porcellana (griffata e italiana) ve la potete portare a casa


    di S. Tieni


    Alla faccia dello spread, per i buongustai più impavidi e sprezzanti del carovita c'è un'offerta del ristorante Bice di New York che farebbe rizzare i capelli in testa a Mario Monti: il piatto di tagliolini più caro al mondo. Costo? 2013 dollari americani, tanto per stare in linea anche con l'anno appena iniziato. La pasta fresca e rigorosamente fatta dalle abili mani dello chef è servita con un chilo di astice selvaggio del Maine, mezzo chilo di tartufo bianco d'Alba, un misto di funghi di bosco e altre verdure bio. Esagerati?

    Assolutamente no, secondo i ristoratori «Il costo è giustificato dagli ingredienti rari e freschi di giornata», fa sapere un portavoce di Bice «inoltre i tagliolini sono serviti su un piatto di porcellana decorato con foglia d'oro e creato appositamente per noi dallo stilista Gianni Versace, in edizione limitata, sette mesi prima di venire assassinato». Una volta finito di mangiare? Un colpo di spugna e ve lo potete portare a casa come il classico piatto del buon ricordo.


    piatto-pasta-pi%C3%B9-costoso_470x305



    Fonte:www.vanityfair.it

    Edited by gheagabry1 - 16/11/2023, 19:35
     
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    “99 sfumature di zenzero”

    Arriva il sexy ricettario per sedurre


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    Scamponi e ostriche ma anche tartarre e mousse di banane: un'ex modella spiega, in un libro che fa il verso al bestseller di E. L. James, tutti i segreti per una cena a due


    di Sara Tieni


    Cocktail di gamberi e lamponi o filetto di rombo al frutto della passione? Sono solo due dei piatti suggeriti in 99 sfumature di zenzero, tante golose ricette per sedurre (Gribaudo). Il ricettario, nelle librerie dal 23 gennaio, e che fa il verso con taglio sexy culinario al bestseller-tormentone di E. L.James, 50 sfumature di grigio, è veramente godereccio.

    Autrice è Carla Barbato, ex modella con la passione per la cucina, che ha pensato di condividere la sua collezione di ricette afrodisiache, infarcendo il tutto con consigli per la mise en place, il look giusto per servire a tavola, le spezie più adatte (l'aglio è ammesso, in piccole quantità ma meglio il garam masala, un mix indiano di spezie dolci) e il vino più intrigante da servire (via libera alle bollicine, champagne in primis, e a Moscato d'Asti).


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    Il risultato sono 33 antipasti da preparare per tempo, 33 tra primi e secondi da rifinire all'ultimo e 33 dolci freddi e al cucchiaio, più voluttuosi che mai.

    «Suggerisco di preparare un antipasto, realizzato assolutamente prima», invita Monica «al massimo deve richiedere qualche semplice gesto, tipo mettere in forno a scaldare. Io chiamo questo il "preliminare". Segue un piatto forte, che va fatto con il vostro partner presente: anzi, chiedetegli di darvi una mano, tipo grattugiare il formaggio e cose simili, per creare intimità».

    E ancora: «non lesinate sulla qualità degli ingredienti». E poi, se è vero che le ricette sono abbastanza light per non rovinare il dopocena, è anche vero che, secondo l'autrice, le porzioni devono essere un po' abbondanti: «meglio avanzare qualcosa per il giorno dopo, piuttosto che preparare poco cibo: fatto disdicevole. La festa richiede abbondanza, anche una festa "speciale" come questa».


    Gli antipasti sono come i preliminari e vanno preparati con cura e per tempo

    Sentite un certo languorino? Ecco per voi un assaggio in anteprima:


    IN FRITTATA DI ERBA CIPOLLINA


    Ingredienti per 4 persone:


    4 uova
    8 noci di capesante
    1 cipollotto
    erba cipollina
    salsa Worcester
    olio extravergine di oliva
    sale e pepe


    Preparazione


    Mondate e tritate il cipollotto.
    Tagliuzzate con una forbice qualche filo di erba cipollina.
    Sgusciate le uova in una ciotola, sbattetele leggermente e regolate di sale e di pepe.
    Rosolate il cipollotto in una casseruola antiaderente con due cucchiai di olio per 5 minuti.
    Fate intiepidire e mescolate insieme le noci di capesante divise in quarti.
    Aggiungete l'erba cipollina e le uova sbattute.
    Mettete l'impasto in una pirofila pennellata di olio e fate cuocere in forno a 170° C per 15 minuti.
    Togliete dal forno, lasciate intiepidire e tagliate la frittata in dadini.
    Irrorate il tutto con poca salsa Worchester emulsionata con due cucchiai d'olio e servite con una spolverata di erba cipollina.

    (21/01/2013 13:30)


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    Fonte:www.vanityfair.it
     
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    LA MACCHINA PER FARE PANCAKE



    Questa impressionante macchina Rube Goldberg si chiama Felice Eggs 'Pancake-Omatic. Rende frittelle fresche con uova deposte da un pollo seduto su una sedia (un po 'di fantasia), all'inizio del aggeggio. Il dispositivo deliziosamente complesso è stato sviluppato per il Martedì Grasso , noto anche come Pancake Martedì, che cade il 12 febbraio di quest'anno.

    "Ispirato da Wallace & Gromit , l'aggeggio di cracking prende spunto da una gallina ruspante, che un uovo mette in moto una reazione a catena che crea il più fresco pancake al mondo. Commissionato dal co uovo felice , il numero uno del Regno Unito marchio ruspante, The Pancake-Omatic ha preso una squadra di quattro progettisti più di 200 ore per costruire e altri 100 da testare. Il dispositivo, che sarà in mostra al Design Museum a fine mese, si avvale di una vasta selezione di oggetti per la casa tra cui un vecchio grammofono e una frusta elettrica e dispone di un trono nido di lusso per la gallina a deporre il suo uovo trovi "


     
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    Naufraghi in cucina e spettatori davanti alla tv

    di Maria Teresa Dimarco


    La televisione, non solo italiana, pullula di cucine, pentole e gergo più o meno commestibile che la rete, per parte sua, non fa che riprendere e amplificare nelle nostre vite quotidiane, sbocconcellando programmi e personaggi in chicche "personalizzate" via youtube, facebook, post e cinguettii. In tutta questa ridondanza mediatica a volte cacofonica un elemento colpisce più di tutti: la cattiveria.


    Il celebre programma di Gordon Ramsay Hell's kitchen


    E qui è il caso di precisare subito che la cattiveria corre, almeno in cucina, sul filo del genere.
    Cattivi, esplicitamente cattivi, sono gli uomini, i maschi, gli chef mentre l'altra parte del cielo, quello femminile, sembra ancora "prigioniera" e al sicuro nel cliché rassicurante e immarcescibile del focolare domestico. Isolate dal mondo e dalla guerra le cuoche si giostrano nel quotidiano, aggiustando secondo coscienza (o incoscienza) il filo che le lega alla tradizione alla luce della seduzione del preparato già pronto, della scorciatoia del pressa poco.
    Gli uomini, i maschi, gli chef, loro, fanno sul serio e imbracciata l'armatura vanno in battaglia.
    Certo, si dirà, l'organizzazione stessa di una cucina professionale (a differenza di quella casalinga) ha la necessità strutturale, e non solo televisiva, di funzionare come un meccanismo perfetto, e dunque per conseguenza esige gerarchia. Del resto le parole non ingannano e in cucina come nella carriera militare ci sono brigate, gradi conquistati sul campo, divise impeccabili e diversificate, c'è un gergo tutto speciale e c'è soprattutto chi comanda, con la voce più o meno grossa.
    Ma la televisione? La televisione in tutto questo sguazza a suo agio, lo assorbe, lo ingloba e lo fa suo. Lo fa naturalmente con le dinamiche che le sono proprie e che, a loro volta, si sono evolute lungo la storia breve e lunga di questo medium tanto quotidiano da diventare scontato, tanto "umile" da rimanere acceso come la luce nel bagno, da scorrere come l'acqua in cucina (Orson Welles).
    La televisione è quotidiana dunque, quasi quanto l'atto del mangiare, ma esattamente come nella dieta alimentare anche nella dieta televisiva il flusso catodico vive di ricorrenze e di sorprese, di abitudine e di colpi di scena, di scontato e di imprevedibile. Per questo come se seguissimo un feuilleton ottocentesco ci appassiona il romanzo ma soprattutto l'appendice, seguiamo le puntate di un serial, di una soap e persino di un reality show per essere confermati e per essere sorpresi, per riascoltare sempre la stessa storia come volevamo da bambini e allo stesso tempo per rimanere di stucco, perché davvero che finisse così non ce lo aspettavamo.
    Ecco che in tutto questo script la cattiveria entra come un ingrediente passepartout: conferma e stupisce, sempre uguale e ogni volta diversa ci regala un piccolo brivido calcolato di misura che ci gustiamo, condizione indispensabile, al riparo trasparente ma consistente dello schermo. Succede, ed è successo spesso in televisione.



    Oggi succede nella rappresentazione televisiva della cucina che, come abbiamo visto, nella sua declinazione maschile si presta bene come pochi altri ambienti, al "sadismo" da caserma. Capostipite ed eroe indiscusso in questa rappresentazione del mestiere è certamente Gordon Ramsay che nelle sue cucine da incubo, ma soprattutto in Hell's kitchen e in Master chef ha inaugurato lo stilema burbero e graffiante dello chef che urla, umilia, sputa, assai più sergente di Full Metal Jacket che pedagogo illuminato nell'arte della maieutica.
    E noi davanti al video godiamo voyeristicamente della disgrazia altrui, dell'umiliazione pungente, dell'ansia da prestazione saltellando a piacere nell'identificarci con le due parti, quella della vittima (che in fondo potrebbe sempre salvarsi) e quella del carnefice. Lo facciamo certo perché siamo al riparo, perché sappiamo che di una rappresentazione si tratta, perché se non è tutto finto certamente è tutto televisivo.



    E allora i pettini di mare che che Ramsay getta una volta no e due sì nella pattumiera o peggio sul pavimento, il tono sprezzante venato di disgusto di Cracco, il feroce italiano Little Italy di Bastianich sono cifre televisive collaudate che riprendono stilemi del mezzo affilati da anni recenti di reality e anni più antichi di televisione chiamata verità. In cucina, lo ripetiamo, si sono ambientati benissimo trasformandola in moderna e sofisticata caserma, sostituendo il SìSignore con il SìChef, le esercitazioni nel fango con le prove a tempo e mantenendo intatto lo stereotipo punitivo del pelare patate.
    La rappresentazione televisiva di questa cucina è dunque un mare tempestoso che non a caso Maurizio Crozza ha saputo parodiare con un'intensità carica di intelligenza; la sua imitazione di Joe Bastianich fatta di "muoro" "piss" schit" non fa che caricare ciò che è già carico interrogandosi con ironia sul nostro piacere di spettatori seduti sul divano nell'assistere al naufragio dei partecipanti allo show.


    Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,
    e terra magnum alterius spectare laborem;
    non quia vexari quemquamst iocunda voluptas,
    sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est

    È dolce, mentre nel grande mare i venti sconvolgono le acque,
    guardare dalla terra la grande fatica di un altro;
    non perché il tormento di qualcuno sia un giocondo piacere,
    ma perché è dolce vedere da quali mali tu stesso sia immune.
    Lucrezio, De rerum natura, II, 1-4.

    Fonte:www.gastronomiamediterranea.com

    Edited by gheagabry1 - 16/11/2023, 19:38
     
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    Il cioccolato italiano va in orbita con la Nasa


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    di Sara Tieni


    Delle cialde di cioccolato realizzate da un noto brand del cioccolato torinese andranno a bordo della stazione spaziale che ospiterà l'astronauta italiano Luca Parmitano


    Altro che cibo liofilizzato: si tratteranno bene gli astronauti della Nasa coinvolti nella missione «Volare». A bordo si troveranno cioccolato di prima scelta realizzati da Guido Gobino, brand artigianale torinese fornitore anche del Teatro alla Scala di Milano.

    L'astronauta Luca Parmitano e i suoi colleghi potranno degustare Cialdine Extra Bitter Blend, realizzate nelle tre diverse percentuali di cacao (63%, 70% e 75%) senza l’aggiunta di lecitina di soia e vaniglia per ridurre al minimo ogni tipo di intolleranza e allergia, e i chicchi di caffè ricoperti di fondente. Prelibatezze, queste ultime che sostituiranno il tradizionale “espresso” o “lungo” in forma liquida, non idoneo alle condizioni della navicella.

    «I prodotti che manderemo in orbita sono realizzati con materie prime di altissima qualità senza aggiunta di grassi diversi dal burro di cacao», ha dichiarato Gobino «questo per garantire un cioccolato purissimo, in grado di conservarsi anche in condizioni così estreme.Sono onorato di prendere parte a questo progetto e, confesso, curioso di sapere come la percezione sensoriale dei miei prodotti può modificarsi in assenza di gravità all’interno della navicella».

    Anche la «dispensa» della missione sarà particolare: prelibatezze al cioccolato così come gli altri cibi previsti nel «menù stellare», sono confezionate in quattro speciali pack sottovuoto e saranno portate in orbita da “Albert Eistein”, una navetta senza equipaggio che si aggancerà alla stazione orbitale nella seconda metà di aprile.


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    Le cialdine nel packaging sottovuoto che Gobino
    ha preparato per la missione «Volare»


    Fonte:www.vanityfair.it
     
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    Chef Star


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    Foto di Mattia Zoppellaro per «Panorama»


    di Fiammetta Fadda e Annalia Venezia


    Programmi tv con un’audience da sballo. Ricettari che si trasformano in best-seller. Ma anche ricche consulenze, strapagate partecipazioni a eventi aziendali, perfino pubblicità e spot. È finita l’era dei grandi cuochi che lavoravano solo ai fornelli: il loro ruolo oggi va oltre perché incarnano la creatività, il successo e il genio italico. E così fatturano come piccole imprese


    Meno tre, meno due, meno uno... Mentre il 2012 finisce, trasferendo al 2013 il suo pacchetto di crisi economica e politica ancora senza soluzione, loro possono alzare il bicchiere, osservare il delicato perlage dello champagne, brindare allo strepitoso anno appena trascorso e divertirsi a immaginare i futuri successi attraverso i fuochi d’artificio. Per poi tornare di corsa al lavoro: precipitandosi ai fornelli, sul palco o davanti alle telecamere.
    "Loro" sono gli starchef televisivi: fatturano come una piccola azienda, sono invidiati e contesi, vezzeggiati e adulati. Tutti li vogliono, tutti li cercano. Sono l’ospite d’onore nel party del noto produttore di vino, l’attrazione della serata nel resort a cinque stelle, il regalo più ambito al compleanno della soubrette: ormai nessun evento esprime un vero appeal se sull’invito non brilla il nome di un maestro nella candida divisa d’ordinanza.
    È proprio così. Sulla ruota del tempo corre l’ora degli chef divizzati che riempiono di sé ogni porzione della notorietà. Sono nei programmi televisivi di successo, sulle copertine dei loro best-seller. Perfino negli spot pubblicitari, perché sono tante le aziende ad avere scoperto, grazie a loro, di potere vendere meglio le cucine e il vino o le bibite, com’è più ovvio, ma anche le barche e perfino le automobili. È anche a causa di questa improvvisa attenzione se tanto fermento mediatico ha accolto la seconda edizione di Masterchef Italia, partita giovedì 13 dicembre su Sky tv con l’implacabile terzetto Carlo Cracco (il tenebroso), Joe Bastianich (il perfido), Bruno Barbieri (il severo ma umano): tre «restaurant man», secondo il titolo onorifico inventato dall’autobiografia best-seller di Bastianich, che sono la personificazione della grande ascesa dei cuochi, un tempo artigiani dei fornelli e oggi clamorosi interpreti dello stile di vita contemporaneo. Al casting per partecipare alla nuova serie, con 20 concorrenti, si sono presentati in 8 mila. Del resto l’ultima puntata della prima versione, sul canale Cielo, aveva registrato 700 mila spettatori e acceso un intenso dialogo telematico su Twitter e su Facebook. Tanto che Sky ora non esclude un Masterchef dedicato agli adolescenti, sulla falsariga del format australiano.


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    Bruno Barbieri

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    Simone Rugiati

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    Samya Abbary


    Ma il cooking televisivo è soltanto uno dei pianeti che girano attorno agli chef trasformati in stella, un sistema fatto di ristoranti d’alto profilo, società di catering, ricettari best-seller, di sponsorizzazioni e pubblicità. Non c’è cuoco che non scriva libri, non c’è libro di cuoco che non entri in classifica.
    Qualche esempio? Se vuoi fare il figo usa lo scalogno, che Carlo Cracco ha portato in libreria con la Rizzoli a metà settembre, è già alla nona edizione con 70 mila copie vendute. Davide Oldani, con Il giusto e il gusto, uscito sempre a settembre, ne ha vendute oltre 10 mila. Hanno scritto libri di successo anche Simone Rugiati, Antonella Clerici e la marocchina Samya Abbary, protagonista della striscia quotidiana di ricette piccanti di Mattino Cinque. Che, a differenza di tanti colleghi non si prende così sul serio e applica la seduzione alle ricette: «Ho imparato a cucinare per mio padre. Col tempo ho capito anch’io che gli uomini si conquistano con lo sguardo ma si tengono per la gola» spiega.
    Per non parlare delle scuole, ultima appendice del successo: praticamente non c’è cuoco di rilievo che non ne abbia una o che non sia chiamato a insegnare nei due atenei internazionali di Alma, nella reggia di Colorno (Parma) e a Pollenzo (Cuneo). Gualtiero Marchesi, rettore di Alma, ha da poco inaugurato l’anno accademico. A Pollenzo la novità del 2013 saranno le Tavole accademiche e la nuova Scuola di alta cucina domestica italiana, entrambe lanciate dalla Slow food di Carlo Petrini, dove si alterneranno come docenti 25 master chef provenienti da una decina di paesi, per un totale di 22 stelle Michelin. Fra gli stranieri Ferran Adrià, il catalano inventore della cucina molecolare, mentre gli italiani avranno la statura del mantovano Antonio Santini, del Pescatore a Canneto sull’Oglio, e del sorrentino Alfonso Iaccarino, del Don Alfonso di Sant’Agata sui Due Golfi.



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    Filippo La Mantia

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    Davide Oldani

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    Ferran Adrià


    Certo, guadagnano molto, i cuochi trasformati in star. Qualcuno un po’ si scandalizza alle cifre che si ipotizzano. Va detto che una sola cosa è certa: fanno una vita infernale. Prendete Cracco, per esempio: oltre al libro, quest’anno ha registrato le tantissime puntate della prima edizione italiana di Masterchef, in studio e in varie location in tutta Italia. Non soddisfatto, è diventato papà, ha assunto la consulenza del ristorante Trussardi alla Scala di Milano e da gennaio disegnerà il menu per i passeggeri della business e della first class della Singapore Airlines; inoltre s’è prestato a innumerevoli eventi spot, fino alla copertinashock con modella nuda che annunciava la sua nuova rubrica sul mensile Gq. A tutto questo si aggiunge, ovviamente, la gestione quotidiana del suo ristorante, che occupa 30 persone e serve oltre 20 mila coperti all’anno.
    Ormai seguire le ramificazioni finanziarie delle attività dei cuochi più famosi è come cercare d’identificare gli ingredienti di un piatto di alta cucina. Società con partecipazioni incrociate, decine se non centinaia di dipendenti, consulenze planetarie, iniziative a getto continuo: è il caso di Bastianich, che non è propriamente un cuoco, ma un ex consulente della Merrill Lynch, e che oltre a una ventina di locali negli Stati Uniti e alle tre aziende vinicole italiane ha da poco allargato i suoi orizzonti con la partecipazione alla Eataly, il supermercato del lusso gastronomico inventato da Oscar Farinetti.
    Anche Bruno Barbieri, 50 anni e solo apparentemente il meno divo dei tre giudici di Masterchef, dopo la prima edizione del programma ha dovuto cercarsi un ufficio stampa, cosa che non si era resa necessaria né con le trasmissioni di successo su Gambero rosso tv, né come chef itinerante di lusso, né mentre collezionava stelle in Italia con la cucina d’avanguardia, al Trigabolo di Argenta (Ferrara), a Villa del Quar, vicino a Verona, e al Cotidie, nel centro di Londra.



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    Alessandro Borghese

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    Antonino Cannavacciuolo


    Si sta invece allenando all’impatto mediatico Antonino Cannavacciuolo, giovane cuoco patron di Villa Crespi a Orta San Giulio (Novara), il quale ha portato al Nord lo stile della nuova cucina campana d’alto profilo e adesso è impegnato nella registrazione della prima edizione italiana di Kitchen nightmare, le cucine da incubo rese famose dal geniale collega britannico Gordon Ramsey, l’uomo che secondo il mensile americano Forbes dal 31 maggio 2011 allo stesso giorno del 2012 ha guadagnato 38 milioni di dollari. Le cucine infernali saranno in onda per 10 puntate la sera su Fox tv, a partire dall’aprile 2013.
    Insomma, archiviati comici e veline, i cuochi da spettacolo sono i nuovi beniamini delle agenzie di pr, degli uffici marketing, delle agenzie che organizzano eventi. "Hanno agende fittissime, bloccate per mesi, e per entrarci è una gara: bisogna giocare d’anticipo" assicura Chiara Stefani, responsabile della Fonema di Milano. Certo, le star più sono ricercate e più si fanno pagare. Per uno "show cooking", così si chiama in gergo la preparazione di un piatto davanti a un pubblico, in realtà uno spettacolo dove lo chef può anche limitarsi a dirigere uno spadellamento eseguito dai suoi aiuti, il costo orario può toccare gli 8 mila euro.
    D’altra parte, se è vero che per diventare cuochi la cucina bisogna amarla, è anche vero che oggi, per un bravo cuoco, è comunque fondamentale diversificare l’attività, tenendo ovviamente fermo il timone sui fornelli, ma investendo il meno possibile in un locale.
    Prendete Simone Rugiati, un animale mediatico conteso dalle televisioni anche senza doversi mettere a cucinare, come è successo con il reality show Pechino Express, andato in onda nel 2012 su Rai 2: un’avventurosa gara a coppie in viaggio con sacco in spalla tra India e Cina. Non ha un suo ristorante, Rugiati, ma è già testimonial della Coca-Cola, della Auricchio e della Ariete, casa di prodotti da cucina. La sua presenza per un paio d’ore vale circa 7 mila euro. Eppure, il suo dicembre era fittamente impegnato da mesi: almeno 16 giorni su 31 riempiti da presentazioni, meeting, cene e trasmissioni. Trentun anni, cultore della forma fisica e dell’abbronzatura calibrata, Simone, detto Simo, rientra nella schiera dei cosiddetti "toy boy" della tavola televisiva, con un mix di ricette semplici e sane (le sue trasmissioni sono Sos Simone e Se in cucina c’è Simone, entrambe su Gambero rosso channel), condite da allegri consigli per la seduzione rapida e indolore (Cuochi e fiamme, su La7). Rugiati sa perfettamente di potere giocare con la sua fama, anche senza ristorante: "Non ne ho aperto uno soltanto perché non mi va» sorride «ma quando mi fermo e ne apro uno, scommettete che la stella me la danno?".



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    Antonio Santini

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    Enrico Cerea



    Gualtiero Marchesi


    Piace alle spettatrici anche Alessandro Borghese, 36 anni: un esercito di fan soggiacciono come ipnotizzate davanti al televisore ormai dal 2004, a seguire la sua trasmissione Cortesie per gli ospiti su Real Time. Borghese fattura 1 milione di euro l’anno. Questo ovviamente dà soddisfazione, ma impegna: perché c’è la sua società di catering Il lusso della semplicità, e poi la linea di prodotti vegetariani per una multinazionale svizzera, e poi contratti con una compagnia petrolifera, una grossa catena sportiva e i team building aziendali, dove Borghese coordina la preparazione di un menù tra colleghi che per un pomeriggio dimenticano di doversi fare le scarpe per fare (invece) squadra.
    C’è chi invece affronta e vince la scommessa di trasformare il modello italiano della trattoria paterna in un’impresa-famiglia: diventare un’azienda mantenendo le originarie caratteristiche artigianali è difficile per chiunque, figuriamoci in cucina. Ci sono riusciti i Cerea con il loro Relais & chateaux Da Vittorio a Brusaporto, vicino a Bergamo: un superristorante con una decina di suite, affiancato dalla pasticceria di Bergamo Alta, dalla scuola di cucina, da un catering di altissimo livello, capace di soddisfare da 10 a 1.500 invitati in ogni parte del mondo.
    Il gestore è Enrico Cerea (detto Chicco), chef dalle 3 stelle Michelin, che accanto ha la madre Bruna e, in scala dai 35 ai 48 anni, i fratelli Francesco, Roberto (detto Bobo),Rossella e Barbara. Insieme hanno mantenuto un rilassante dna culinario lombardo, lontano dalle stravaganze ma raffinato nelle tecniche. Pare che l’offerta di gestire il ristorante che i Cerea hanno aperto a Natale nello storico Carlton hotel di Sankt Moritz sia nata dalle lacrime di felicità sgorgate dagli occhi dei vip all’assaggio del loro risotto, spiedo, e buffet dei dolci durante un’esibizione al locale Food festival, momento di culto nella rinata capitale del lusso montano.
    Infine c’è un altro tipo di power chef. È il più inafferrabile; lavora e recita in presa diretta senza maquillage, registi, differite: è l’oste contemporaneo, il gestore di un locale che riesce nell’arte di fare sentire ogni ospite al centro delle attenzioni e a casa propria; uno chef capace di organizzare un ristorante come il luogo dove tutti stanno bene insieme a tutti, dove c’è la riservatezza e anche l’allegria, dove la qualità della cucina è comunque garantita. Ce ne sono pochi, ma si può eccellere: è riuscito a Filippo La Mantia, 47 anni, il cui ristorante romano è diventato il centro di gravità della nomenclatura a cavallo fra politica, business e spettacolo. Registra 55 mila presenze l’anno, dà lavoro a una brigata di 45 persone e aumenta di molto il fatturato anche in tempo di crisi, rifiutando la tv a favore della radio («Mi piace di più la chiacchiera dal vivo» spiega) e promuovendo il consumo responsabile: "Da anni lavoro con associazioni che si occupano di recupero del cibo".
    Qual è il suo segreto? "Essere siciliani" scherza La Mantia. Ma aggiunge: "In realtà io lavoro 18 ore al giorno: a mezzogiorno sono in sala, alle 3 mi metto in cucina, alle 19 comincio ad accogliere i clienti. E rientro a casa alle 3 di notte. Non spengo mai il cellulare, non aumento i prezzi, da me si può mangiare anche una frittata e spendere soltanto 10 euro, ma sempre dentro magnifici spazi, con una bella atmosfera e con la grande comodità di un “car valet” all’ingresso".
    Una scelta non lontana da quella di Oldani, attento gestore del ristorante D’O a Cornaredo (Milano): nel 1992, appena ventenne, faceva da spalla al suo maestro Gualtiero Marchesi nel programma Ristorante Italia su Rai 1, ma aveva già capito che voleva fare il cuoco vero, nelle cucine vere. Una decisione saggia, perché nell’animo dei "television chef" si sta insinuando un dubbio sul troppo successo, che esige sfide progressive con angolature sfiziosamente sadiche. Come definire altrimenti il nuovo reality Ale contro tutti, in onda su Sky e su Cielo, dove Borghese passa da giudice a giudicato e viene sfidato da una famigliola nella preparazione dello stesso piatto, poi votato alla cieca da tre giudici, fra i quali un bambino?
    Forse è di questa minaccia che ha avuto un anticipato sentore Gianfranco Vissani, il vero iniziatore della saga degli starchef, l’uomo che ha battuto ogni record di durata sul piccolo schermo a partire dal celebre risotto cucinato per Massimo D’Alema nello studio di Porta a porta, nel 1997. Oggi Vissani si dichiara ufficialmente "pentito" della troppa tv in nome della cucina casalinga e prende posizione contro i cuochi che fanno eccessivamente spettacolo di sé. A 61 anni Gianfranco ha ratificato la svolta con il volume L’altro Vissani, sottotitolato "ricette di famiglia": un amarcord di piatti ispirati agli anni Cinquanta.
    Sarà... Intanto, però, lo chef è andato in onda su La7 ogni domenica alle 10 con Ti ci porto io, che ora l’emittente ha deciso di chiudere. "Ma la tv è stata una necessità, come lo è Divine creazioni, la linea che firmo per la Surgital" tuona Vissani. "Come potrei altrimenti mantenere gli standard costosissimi richiesti dalla grande cucina? Con me lavorano 20 professionisti; facciamo il pane nel forno a legna due volte al giorno, le materie prime sono freschissime e preziose, eppure con quattro sere di apertura a settimana non arrivo a una media di 70 coperti".
    Se Vissani ha ragione, i grandi chef non si salveranno comunque dal loro destino: saranno sempre più condannati alla trasferta perpetua fra trasmissioni, consulenze, forum gastronomici... Perché è vero che la fama, come diceva Leonardo da Vinci, "è meglio evitarla se vuoi la pace". Ma il genio Leonardo aveva un solo difetto: non è mai stato cuoco.





    Alfonso Iaccarino

    gianfranco_vissani

    Gianfranco Vissani



    Fonte:societa.panorama.it,web
     
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    Gwyneth Paltrow:

    «Le mie ricette senza glutine»


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    di Sara Tieni


    Niente latticini, uova carne e cereali: Impossibile? L'attrice americana lancia la sfida col libro It's All Good: 185 ricette per disintossicarsi e tornare in forma. Mangiando (anche) brownies al cioccolato. Ma le critiche non sono delle migliori...


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    Niente carne, latticini e farinacei di qualsiasi tipo per tornare in forma e disintossicarsi. E' questa l'idea alla base del nuovo libro di Gwineth Paltrow, It's All Good, appena uscito negli Stati Uniti.
    Dentro 185 ricette che seguono i consigli del suo medico, guru del vivere bene Frank Lipman. Il segreto per un organismo in forma e depurato? Sarebbero gli 8 supercibi che ci si può concedere quotidianamente: salmone, spinaci, broccoli, fagioli, mandorle, mirtilli, semi di chia (una bacca dai grandi poteri antiossidanti) e, udite udite, anche cioccolato, purché fondente e in piccole dosi.

    Il Gwineth-pensiero, stroncato negli Usa perché giudicato troppo privativo, non ha però minimamente intaccato l'entusiasmo della diva nei riguardi di questo regime alimentare a cui ha sottoposto, sembra, anche i figli Moses e Apple, attirando su di sè le critiche delle altre mamme americane.


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    L'idea sarebbe venuta alla star, che il 24 aprile tornerà sugli schermi in Iron Men 3, dopo che, la scorsa primavera, si è sentita male e perennemente spossata.
    che eliminava totalmente alcuni gruppi di ingredienti per aiutare a rinforzare il suo sistema immunitario e aiutare il suo corpo a guarire. Questo però significava niente caffè, niente alcool, niente latticini, uova, zucchero, frutti di mare, frumento, carne e soia: apparentemente un incubo alimentare!


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    La Paltrow preoccupata che così tante restrizioni avrebbero reso i suoi pasti noiosi (l'attrice è notoriamente una buongustaia) è corsa ai ripari elaborando con la nutrizionista Julia Turshen,una raccolata di «185 deliziose ricette facili», che hanno seguito le linee guida del suo medico. E sembra che abbia funzionato: l'attrice dice di aver recuperato forze e buonumore. Siete scettici? Tra i piatti concessi ci sono tartine all'hummus con pesto di menta e scalogno, hamburger di salmone con zenzero marinato, Brownies al cioccolato e gelato alla banana.


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    Un'insalata a base di tonno al vapore e verdure grigliate: una delle ricette contenute nel nuovo libro dell'attrice.


    Fonte:www.vanityfair.it
     
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    Londra. Il Kake hotel. Tutto di zucchero

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    Un hotel completamente di zucchero. A Londra, nella centralissima Soho, la Tate & Lyle Sugars, un'azienda produttrice di zuccheri di canna, ha patrocinato la costruzione del Kake Hotel. Realizzato completamente con zucchero filato, meringhe e altre leccornie rigorosamente dolci. Finestre e pareti sono state rivestite con 2mila amaretti, 20 chili di marshmallow. Per confezionare il tutto sono stati chiamati 14 chef, ci sono volute 9mila ore di lavoro per la "costruzione", ma ben 9mila per l'arredamento. L'albergo nasce per durare una sola notte: gli ospiti sono invitati a "consumare" gli arredi (immagini Rex/Olycom)




    repubblica.it
     
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    Londra, l'hotel fatto di dolci - FOTO


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    Balconi di cioccolato e vasche piene di pop-corn. Un brand di dolciumi crea un albergo fatto di meringhe, cioccolato e macarons. E gli ospiti lo divorano in una notte


    Fonte:www.vanityfair.it
     
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    Pizza: dimmi come la mangi e ti dirò chi sei



    Con le mani, con le posate o "a tasca"?

    Gli italiani vanno pazzi per la pizza e la consumano con grande frequenza. Ciascuno ha un proprio stile per "affrontarla": con coltello e forchetta, oppure con le mani, a spicchi, o "a tasca". E ora un curioso gioco cerca di capire di che pasta siamo fatti, proprio studiando come gestiamo una Margherita o una Quattro Stagioni.
    Innanzi tutto un po' di storia. La pizza è una specie di pane, come rivela la sua base di acqua e farina, e ha quindi origine antiche quanto l'umanità. Il connubio di pane e pomodoro, che caratterizza la pizza in quanto tale, è invece più recente: il pomodoro, infatti, è arrivato in Europa dall'America, quindi dopo le scoperte geografiche della fine del Quattrocento. Il primo vero incontro tra la pasta ed la pummarola avvenne a metà del Settecento nel Regno di Napoli. Qui ha preso vita anche la prima pizza Margherita, la quale deve il suo nome alla sovrana di casa Savoia, in visita nella città partenopea nel 1889. Il pizzaiolo Raffaele Esposito, titolare della celebre pizzeria Pietro il Pizzaiolo, "inventò" questa patriottica vivanda, unendo mozzarella, pomodoro e basilico per celebrare i colori della bandiera italiana. Ancora una curiosità: è napoletana anche la pizzeria più antica del mondo: è stata fondata nel 1738 per rifornire i venditori ambulanti e si è trasformata in pizzeria nel senso odierno del termine nel 1830.

    Come ricorda Melarossa (www.melarossa.it), il portale di alimentazione e diete personalizzate a cura della S.I.S.A., la Società Italiana di Scienza dell'Alimentazione, può essere utile sapere che una pizza grande contiene circa 800 calorie, mentre una media intorno alle 600. Il "peso" calorico, e quindi sulla bilancia, dipende però in buona parte dal ripieno: la pizza con i formaggi può superare anche le 1000 calorie mentre la marinara può stare sotto le 600. Chi è a dieta, dunque, non deve per forza rinunciare a una buona pizza: basta che se la faccia preparare solo con il pomodoro, senza formaggio. Melarossa propone anche un divertente test, per scoprire di che pizza sei fatto a seconda di come la "affronti".

    LA MANGI CON LE MANI – Tagliata a spicchi, la afferri per il bordo e la divori senza troppo preoccuparti di quello che si sparge in giro. E' il modo più pratico e veloce, tipico di chi ama il relax. Di solito non giudichi con severità te stesso e gli altri; ti lasci portare dagli eventi e cerchi soprattutto di vivere senza stress e in santa pace.

    CON LE MANI, PIEGATA A TASCA – E' una variante di quanto detto sopra.
    Ripieghi la pizza con le mani prima di metterla in bocca e in questo modo "non ti sfugge nulla". E' lo stile di una persona davvero pratica, che non perde tempo in fronzoli. Sei un tipo che mangia per vivere e non viceversa, e per te il cibo non è una priorità. . Attenzione però: a volte non sai cosa ti perdi….

    CON COLTELLO E FORCHETTA – Composto e corretto, secondo i canoni della buona educazione, anche davanti alla più golosa variante di pizza: sei un tipo molto scrupoloso e ordinato, per te contano al massimo grado ordine e pulizia. Ti piace concentrarti su una cosa per volta, non apprezzi le sorprese, anche a costo di sentirti dire che sei un po' "scontato".

    IL CHIRURGO DELLA PIZZA – E' la variante estrema del caso precedente: qui il coltello diventa uno strumento virtuosistico, come il bisturi del chirurgo. Smanetti come un pazzo per tagliare giuste proporzioni, per la forchetta e la bocca, o per tagliare i bordi e rimuovere tutti i pezzettini bruciacchiati, distribuendo bene la mozzarella su ogni boccone. Tutto questo dice che hai un pizzico di istinto del martire e, prima di regalarti un intenso piacere, va bene anche soffrire un po'.


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    Fonte:www.tgcom24.mediaset.it,web
     
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    Album delle figurine degli chef e pizzaioli italiani


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    di Nicola Sprelli


    Lo scorso 22 aprile, a Milano è stata presentata la seconda edizione dell’album delle figurine dei grandi chef e, novità di quest’anno, dei pizzaioli gourmet.


    coria1-300x212


    E siamo a due.
    La seconda edizione dell’album delle figurine
    degli chef si arricchisce della presenza
    dei pizzaioli gourmet [...]


    [...] Chef presenti: Gennaro Esposito, Giancarlo Morelli, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Philippe Leveillé, Manuel e Christian Costardi, Chicco Cerea, Davide Oldani, Eugenio Boer, Enrico Derflingher, Franco Aliberti, Marta Grassi, Corrado Parisi e Massimo Spigaroli.

    Pizzaioli presenti: Antonio Starita, Pasqualino Rossi, Giuseppe Giordano, Marcello D’Erasmo, Maria Cacialli e Felice Messina, Ron Garofalo, Salvatore e Francesco Salvo, Raimondo Cinque, Gino Sorbillo, Franco Pepe, Stefano Callegari, Massimiliano Ceccarelli, Giovanni Mandara e Francesco Aiello.

    Eravamo abituati alle figurine dei calciatori, ma non a quelle dei cuochi. Ma il fenomeno è ormai evidente davanti alle gole di tutti: gli chef sono sempre più al centro dello spazio mediatico e, se adesso si dovesse chiedere a un bimbo-adolescente che cosa voglia fare da grande, la risposta sarebbe lampante: “voglio fare lo chef!”

    Ebbene, ItaliaSquisita ha realizzato il primo e unico album di figurine degli chef e dei pizzaioli gourmet, diviso in diverse sezioni: Ambasciatori del Gusto, Grandi Maestri (Gualtiero Marchesi, Aimo e Nadia Moroni, Alfonso Iaccarino…), Giovani Emergenti, Chef in Rosa, Cross Border (cuochi italiani all’estero) e Personaggi della Storia della Cucina Italiana (Mario Soldati, Totò, Pellegrino Artusi, Alberto Sordi…).


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    E, ovviamente, i maestri della pizza. È giunto il momento di risollevare la nomea della vera pizza italiana, da nord a sud e da sud a nord, perché nel mondo le contaminazioni e l’utilizzo di ingredienti scadenti stanno distruggendo le ricette originali. Per questo l’album si fà portavoce di un nuovo sistema di interazione tra questi pizzaioli gourmet, diversi tutti ma accumunati dal fatto che amano questo cibo di strada alla follia e che utilizzino materie prime eccezionali (farine, lievito madre, Mozzarella di Bufala Campana Dop e pomodori di produttori d’autore).


    album_chef



    Fonte:www.italiasquisita.net,www.puntarellarossa.it,www.celomanca.info
     
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    Mcdonald's, l'hamburger non cambia:
    dopo 14 anni è ancora uguale


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    SALT LAKE CITY - Un panino acquistato da Mc Donald's nel 1999 e poi dimenticato nel suo incarto originale per due anni è stato ritrovato da un uomo dello Utah, David Whipple, nel 2001. Whipple è rimasto molto colpito nel notare che l'hamburger era pressocché identico a quando lo aveva comprato e ha deciso di continuare a conservarlo per osservarne i cambiamenti nel tempo. Con sua grande sorpresa, come racconta il Daily Mail, dopo 14 anni il panino non si è deteriorato, eccezion fatta per delle fettine di cetriolo ormai scomparse. Dello strano caso si è occupata anche la trasmissione televisiva americana "The Doctors".


    Fonte:www.leggo.it,www.dissapore.com
     
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    Archos ChefPad
    è il tablet per Carlo Cracco e Joe Bastianich


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    di Manolo De Agostini


    Archos ChefPad è un tablet indirizzato ai novelli Masterchef. In un prodotto da 200 euro una selezione di applicazioni e contenuti specificatamente pensati per chi ama stare ai fornelli.

    Archos ha presentato ChefPad, un tablet pensato per gli appassionati di cucina. Questo "aiutante tecnologico" ha uno schermo da 9,7 pollici (1024x768), ed è dotato di un chip dual-core da 1.6 GHz, un processore grafico quad-core e 1 GB di RAM.

    Troviamo anche 8 GB di spazio per l'archiviazione dati, espandibili tramite microSD. La fotocamera frontale e quella posteriore sono da 2 megapixel, non manca un connettore mini-HDMI, la connettività Wi-Fi e il tablet può accedere al Google Play e alle sue applicazioni.

    A bordo c'è Android 4.1 "Jelly Bean" e il ChefPad sarà disponibile su archos.com a partire da giugno al prezzo di 199 euro. Questo tablet dispone di una selezione chiamata "Le App dello Chef", in cui gli aspiranti cuochi potranno scoprire una raccolta delle migliori app di cucina, che vanno dalle ricette ai consigli culinari, fino ai programmi TV tematici e alle app di supporto per destreggiarsi tra i fornelli.

    Secondo l'azienda francese, "questa esclusiva selezione comprende le migliori app di Google Play in ogni singola categoria, rendendo più semplice per l'utente finale la ricerca del contenuto desiderato. ChefPad è il primo tablet Archos a usare questa tecnologia di filtraggio", affermato Loïc Poirier, amministratore delegato dell'azienda.

    "Pur trattandosi del debutto di questa tecnologia sui tablet Archos, continueremo a presentare nuovi ed entusiasmanti tablet a tema nei quali includere una selezione delle migliori app per ogni categoria da quelle educative alle app di gioco, da quelle per bambini a quelle per il business e non solo".

    ChefPad dispone di una custodia in silicone che tiene al sicuro il tablet da acqua o schizzi di cibo ed è facile da pulire. Inoltre, include un supporto regolabile per offrire il miglior angolo di visualizzazione mentre si cucina.



    Fonte:www.tomshw.it
     
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