INGRID BERGMAN

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  1. gheagabry
     
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    Io sono Ingrid




    locandina


    Un film di Stig Björkman. Con Jeanine Basinger, Pia Lindström, Fiorella Mariani, Isabella Rossellini, Isotta Rossellini


    Un ritratto ricchissimo e coerente, assai efficace nell'evocare l'anima, oltre che l'immagine, dell'attrice.
    Paola Casella


    Io sono Ingrid e questa è la mia storia": un nome che, come Audrey o Marilyn, non ha bisogno del cognome per evocare un immaginario cinematografico leggendario. Per tutta la vita Ingrid Bergman ha fotografato e filmato la sua vita conservando quelle fotografie e quegli home movie come se dovesse documentare ogni momento della propria esistenza, a se stessa prima ancora che agli altri. "Era il suo modo di trovare le radici", dice la figlia Isabella Rossellini in Io sono Ingrid: quelle radici che, in un'intervista televisiva, l'attrice svedese diceva di non ritenere necessarie. Dunque il regista e critico cinematografico svedese Stig Bjorkman ha avuto solo l'imbarazzo della scelta nel trovare materiale sul soggetto del suo documentario, ma ha saputo fare una cernita oculata e intelligente, riuscendo a costruire come un puzzle un ritratto ricchissimo e coerente, assai efficace nell'evocare l'anima, oltre che l'immagine, dell'attrice.
    Oltre alle foto e ai filmini della Bergman (e di suo padre, scomparso quando Ingrid era ancora bambina, pochi anni dopo la madre) ci sono i film, i backstage, un incantevole primo provino che ce la mostra timidissima e irresistibilmente fotogenica, le interviste, le premiazioni (compresi i tre Oscar, il primo per Angoscia, il secondo per Anastasia, il terzo per Assassinio sull'Orient Express), e le testimonianze delle persone a lei più care: i quattro figli Pia, Roberto, Isotta Ingrid e Isabella. E poi le lettere, innumerevoli, indirizzate al primo marito Petter Lindstrom, ai figli, al secondo marito Roberto Rossellini (memorabile quella, presciente, in cui chiedeva al regista mai incontrato di lavorare con lui anche se in italiano lei sapeva dire soltanto "Ti amo"), alle amiche di sempre.
    Il documentario procede in ordine cronologico ricordando l'infanzia triste di Ingrid, orfana di entrambi i genitori, ma anche il suo entusiasmo e il suo ottimismo incrollabili, la sua avventura da globetrotter nel cinema mondiale - dalla Svezia agli Stati Uniti all'Italia alla Francia - e quella vita sentimentale tumultuosa che l'ha spinta a "cambiare tutto ogni dieci anni" lasciandosi dietro figli, mariti, case, carriere. "Non ho alcun rimpianto", ha detto Ingrid a chi cercava di strappare da lei un mea culpa per la disinvoltura con cui aveva gestito la sua esistenza, in particolare i rapporti con gli uomini. Ed è tangibile il dolore della figlia Pia, cresciuta dal padre a migliaia di chilometri di distanza dalla madre, per essersi sentita "noiosa" e poco interessante agli occhi di quella mamma così ricca di fascino e di glamour. Ma Pia ammette che Ingrid Bergman era una delle donne più divertenti, vitali e irresistibili che sia mai vissuta, e che il problema era che, di una così, non se ne aveva mai abbastanza.
    Anche il cinema non ne ha mai avuto abbastanza di Ingrid: la cinepresa si sforzava inutilmente di afferrare quella sua immagine luminosa e sfuggente, il sorriso improvviso e devastante, la natura indomita e irrefrenabile. I registi, nonostante gli scandali e le censure imposte alla Bergman per il suo stile di vita a dir poco anticonformista, hanno continuato a cercarla e ad affidarle ruoli di primo piano. Perché la Bergman era larger than life, anche come dimensioni, con quel metro e settantacinque che all'epoca svettava su chi le stava intorno facendo sembrare gli altri poveri lillipuziani e quel fisico statuario che appare in tutta la sua magnificenza soprattutto negli home movie quando mettono in evidenza i suoi dettagli anatomici: gambe interminabili, seni granitici, piedi giganti, dita chilometriche.
    Ingrid rotea come una majorette in mezzo alle star che la guardano incantati - star del calibro di Humprey Bogart, Cary Grant, Alfred Hitchcock, abituati al glamour ma non a quella forza della natura e ai suoi modi diretti, privi di qualunque diplomazia ma non di grazia selvatica e innocente. Con Ingrid nascerà una nuova Hollywood perché la Bergman stessa è simbolo di rinascita: una fenice sempre pronta a risorgere dalle proprie ceneri, passata "da santa a puttana e poi ancora santa", convinta che "tutte le ferite guariscono" (anche quelle inferte agli altri, che il documentario non nasconde) e che nessuno avesse il diritto di decidere come doveva vivere. Ingrid voleva di più, voleva tutto. E l'ha avuto, nel bene e nel male, trascinandoci nella sua corsa da puledra selvaggia, e ricordandoci quanto è complicato e appagante essere una donna libera.


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1 replies since 1/9/2012, 19:55   600 views
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