CIAK in CUCINA

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  1. gheagabry
     
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    CIAK in CUCINA



    ........ nel CINEMA.............



    Il 28 dicembre 1895, nella prima proiezione
    pubblica della storia, i fratelli Lumière inserirono
    anche il rullo “Le dejeuner de bébé”, scena di
    vita familiare dove un piccolo Lumière veniva
    imboccato dagli amorevoli genitori.

    Pochi anni dopo, nella “Sorcellerie culinaire” del
    1904 Meliès mostra uno chef che sta
    preparando piatti prelibati che attirano un
    mendicante che viene scacciato in malo modo.




    L'occhio di molti cineasti ha saputo cogliere gli aspetti della cucina che si si possono chiamare senza riserva possono chiamare senza riserva, metaforici, sociali e "spirituali“.
    L’argomento è un po’ “prosaico”, ma spero “stuzzicante”, perché il cibo è primario per la vita, e può essere anche una forma sublime d’arte, che appaga il palato, quanto un capolavoro appaga la vista o l’udito.

    Non solo il cibo è anche strettamente connesso alla psiche umana, esalta la sessualità (cibi afrodisiaci) o ha effetto consolatorio (chi non si è mai mangiato una tavoletta di cioccolato, in un momento di tristezza, scagli la prima pietra…), ovvio che il cinema gli riservasse una posto d’onore.
    Sicuramente la pasta in questo campo, merita una menzione speciale, perché simbolo del made in Italy che ha conquistato il mondo e anche la ribalta cinematografica fin dai tempi della “Dolce Vita”.
    Indimenticabile il film di Steno “un americano a Roma” (1954) dove un giovane Alberto Sordi, nei panni di un ragazzotto romano che vorrebbe vivere come un americano, pronuncia la mitica battuta passata alla storia del cinema: “Macaroni…m’hai provocato e io te distruggo, macaroni! Io me te magno!” una frase che racchiude in poche parole l’amore per la pasta così innato in noi italiani e nello stesso tempo testimonia l’omaggio che il cinema ha tributato al nostro piatto nazionale, dal neorealismo ad oggi.
    Altra scena da antologia è quella di Totò in “Miseria e Nobiltà”(Mattoli ’54) , che in un vero e proprio assalto alla zuppiera degli spaghetti, li arraffa come può, ficcandoseli in bocca, in tasca e ovunque.
    Perché la pasta, negli anni di privazioni del dopo guerra, era anche sinonimo di benessere oltre che fenomeno di costume che entrerà nella lunga e prolifica stagione della commedia all’Italiana, da“Poveri ma belli” (Risi ‘56) a “I soliti ignoti” (Monicelli ’58), dove nel finale l’improbabile banda di ladri, si consola con piatto di pasta e ceci, dopo essere finita per errore in una cucina, anziché nella stanza della cassaforte.
    Ben presto “spaghetti e maccheroni” varcano i confini nazionali per approdare ad Hollywood: il suo “calore” suggella una delle più belle scene d’amore canino, nella cena a lume di candela di “Lilli e il vagabondo” (Disney ’55). Galeotto fu un lungo spaghetto che fa “baciare” i due cagnetti innamorati.
    Indimenticabile anche la scena de “L’appartamento” (Wilder ’60) in cui Lemmon lenisce le pene d’amore di Shirley Mc Lane con un piatto di pasta al pomodoro, nella fattispecie spaghetti, scolati con una racchetta da tennis!
    Ed è sempre incomparabile Lemmon che ne “La strana coppia” (Saks ’68) discetta di linguine e spaghetti, dimostrando un’insospettata conoscenza del nostro piatto nazionale.
    In questo simpatico sito della pasta Garofano, c’è un’antologia di scene in cui compare la pasta, in alcune ciccando su “leggi la scheda” c’è anche la ricetta del piatto rappresentato nel film.
    Allargando il discorso, il cibo spesso è metafora del messaggio che vuole lanciare il regista, basti pensare a film come “La grande abbuffata” (Ferreri ’73), una commedia tragica e grottesca che racconta la fine di quattro amici decisi a suicidarsi con una mangiata pantagruelica, altro non è che una critica feroce alla società del benessere e dei consumi che finisce con il distruggere se stessa.
    O al "classico" del cinema democratico antirazzista degli anni sessanta, “Indovina chi viene a cena” (Kramer ’67) dove il sedersi tutti allo stesso tavolo dopo gli scontri verbali fra i protagonisti, sul matrimonio misto dei rispettivi figli, suggella l’accordo trovato, ed è metafora d’integrazione fra bianchi e neri.
    (Aretusa)


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    Ne “La guerra dei Roses”, quando tra i due protagonisti l'amore è finito li si vede seduti ai due capi di una lunghissima tavola che simboleggia anche la distanza che si è scavata tra loro. Lungo il film, il reciproco tentativo di distruggere l’altro si consumerà anche a tavola lui che rovina il pesce al forno che lei ha preparato (meglio tralasciare le modalità) e lei che per vendetta gli prepara un piatto il cui ingrediente principale è il suo amatissimo cane.

    Eros e cibo è un capitolo lunghissimo di cui va citato obbligatoriamente 9 settimane e ½ il film per antonomasia sull’argomento con la scena dei giochi erotici davanti al frigorifero, con il gioco dei sapori (cibo imboccato ad occhi bendati) e poi spalmato sul corpo e poi è meglio fermarsi qui…

    Meno languida, ma irresistibile è la scena di Harry ti presento Sally con il famosissimo orgasmo simulato al ristorante e subito dopo un'attempata nonnina che ha assistito alla scena ordina “quello che ha preso la signorina”.

    Se è vero che “siamo quello che mangiamo”, allora la pellicola che esprime meglio questo concetto è Qualcosa è cambiato dove il fobico Jack Nickolson quando è a tavola mette in scena tutto il suo armamentario di paranoie ossessive: sempre lo stesso ristorante, allo stesso tavolo, con lo stesso cibo (uova) che mangia solo con posate portate da casa.
     
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15 replies since 26/8/2012, 22:47   1848 views
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