LA CUCINA NEI LIBRI...

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .




    Food jar… Tutto in un barattolo



    Il nuovo libro di Ilaria Mazzarotta, di gastronomia e fotografia



    Ilaria Mazzarotta è una giornalista e cuoca, esperta di cucina e gastronomia, che ha pubblicato già altri libri sul tema: quest’estate si è inventata una raccolta di ricette il cui tratto comune è il modo in cui possono essere offerte – confezionate in barattoli di vetro, contenitori ultimamente molto di moda – con risultati sia pratici che esteticamente affascinanti. Il libro si chiama “Food jar… Tutto in un barattolo” ed è pubblicato dall’editore Gribaudo: il notevole contributo fotografico è di Barbara Torresan.



    "Avete presenti i barattoli con la sabbia colorata? Parlo proprio di quei souvenir terribilmente kitsch che si trovano un po’ ovunque, anche dove il mare appare casualmente solo sulle cartoline del dispenser che si trova accanto allo scaffale dei suddetti barattoli.
    Ecco, io ne sono sempre stata affascinata, pur non avendone mai comprato uno. Poi, nel mio consueto girovagare in rete, mi sono trovata davanti a nuovi barattoli a strati, riempiti non più con la sabbia colorata, ma con farina, cacao, nocciole, zucchero, e me ne sono innamorata.



    Finalmente tutto il preciso ripetersi di strati prende senso e acquista una sua dignità quel mix così; perfetto, con l’aggiunta di pochi ingredienti e istruzioni chiare e dettagliate, si può trasformare, a seconda della composizione, in biscotti, cupcake, muffin…
    E così che nasce l’idea di questo libro: da un regalo mai ricevuto, quello sciocco souvenir di sabbia colorata, a un regalo da confezionare per coloro ai quali si vuole bene, preparato con tanta cura e ottimi ingredienti."




    www.ilpost.it
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    CHARLES ROUX



    L'amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez
    Fictitious Feasts
    (Charles Roux)

    Come tutti gli aspetti quotidiani della vita, il cibo è molto presente nei romanzi e una moda recente è ricreare i pasti e i piatti più famosi della letteratura e poi fotografarli: qualche anno fa uscì per esempio un bel libro della designer e art director statunitense Dinah Fried, che ne aveva realizzati e fotografati 50, mentre il blog The Little Library Café di Kate Young è continuamente aggiornato con ricette inventate partendo dalle descrizioni nei libri, poi trasformate in piatti e fotografate. Il progetto Fictitious Feasts del fotografo francese Charles Roux si inserisce in questo filone.



    Jane Eyre, Charlotte Brontë
    Fictitious Feasts
    (Charles Roux)

    Roux ha iniziato prendendo ispirazione dalle celebri madeleine di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust e con il festino del tè in Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol e ha continuato con la zuppa di pesce di Moby Dick, il panino al formaggio del Giovane Holden, e i reni di montone alla griglia di Leopold Bloom, nell’Ulisse di James Joyce. «Sono molto attento ai dettagli – spiega Roux – sia alle descrizioni esplicite, sia ai simboli impliciti e alle metafore; ma mi affido soprattutto al mio istinto e al mio modo di sentire l’intero libro, a come ne interpreto l’atmosfera».



    Moby Dick, Herman Melville
    Fictitious Feasts




    Alice nel Paese delle meraviglie e Alice attraverso lo specchio,
    Lewis Carrol
    Fictitious Feasts



    www.ilpost.it
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL SUGO DELLA STORIA


    di Massimo Montanari



    Dalla penna di un grande medievista e storico dell'alimentazione, una serie di racconti "gustosi", tra curiosità, bizzarie e pregiudizi nel mondo del cibo. Alla scoperta (se non si conoscevano prima) o nel nome della riflessione (nel caso di cose note) su gesti, atteggiamenti, mode, pratiche, e avvenimenti reali che spaziano nei secoli e tra i continenti, e da cui spremere "il sugo". Già, quel sugo di cui parla Manzoni al termine dei Promessi Sposi, che però - avverte Montanari - "non è il suo ‘come va a finire’, e neppure la morale. Il sugo è il meccanismo generatore, il motore che muove l’azione dall’interno. È un’ennesima metafora gastronomica, giacché agli uomini viene spontaneo da sempre rappresentare il mondo come una cucina, una pentola, un cibo". Quando si usa la parola Sugo la metafora funziona perché anche in cucina – come nelle storie – è ciò che dà senso e personalità ai piatti: condimenti, salse e sughi si aggiungono e si combinano all’ingrediente principale senza esserne accessori secondari, visto che hanno un’importanza decisiva nel definire lo specifico carattere della vivanda, e con esso gusti, abitudini, identità gastronomiche e culturali. Spesso gli insegnamenti della vita quotidiana traggono spunto dalle ricette e viceversa. Non è forse vero che la tradizione vuole che per condire bene l’insalata ci vogliono quattro persone?


    “Una curiosa tradizione insegna che per condir bene l’insalata ci vorrebbero almeno quattro persone: un saggio, un avaro, un prodigo e un matto. Il primo, dotato di ‘sale in zucca’, doserà al meglio la quantità del sale. Il secondo terrà sotto controllo la (piccola) quantità di aceto da versare. Il terzo spargerà olio a piene mani. Infine il matto mescolerà tutto con energia, saltando l’insalata in lungo e in largo, amalgamando il tutto con furia gioiosa.”


    “Mi chiamo Pepe Carvalho e sto cucinando una coscia d’agnello da latte alla birra…”. Movimenti in cucina, rimescolando lo stufato. Sguardo verso la libreria, in cerca d’un volume con cui accendere il camino. Ed ecco di nuovo in scena il famoso detective, protagonista dei romanzi di Mánuel Vasquez Montalbán, di cui Feltrinelli manda in libreria una raccolta di racconti, “Carvalho indaga”, sapidi come un piatto di baccalà o un vino, di cui appunto il detective fa abbondante uso. Il piacere del testo e delle pietanze. E quell’agnello da latte ben cucinato, con cui si apre il monologo conclusivo di Pepe (gli umori, le passioni, le preoccupazioni dell’invecchiare, le emozioni del controverso rapporto tra autore e personaggio, letteratura e vita) può fare da simbolo della centralità del cibo, nella nostra quotidianità ma anche nel nostro immaginario. Essere, insomma, “Il sugo della storia”, per dirla con il titolo del nuovo libro di Massimo Montanari, Laterza, che parte dalla conclusione de “I Promessi sposi”, “il sugo della storia”, appunto (non la morale, ma il meccanismo generatore del significato) per dire che “anche in cucina il sugo è quello che dà senso e identità a un piatto”, pasta o riso, carne o pesce che sia. Cibo e cucina, dunque. Valori sociali, rituali, simbolici: “Il panettone non è solo un composto di farina burro zucchero eccetera, ma anche un ‘segno’ del Natale”. Eccoci dunque in pagine in cui si parla di spaghetti al pomodoro (origini arabe, industria in Sicilia, condimento derivato da un ortaggio arrivato dal Sud America) e “spaghetti alla bolognese” (sconosciuti a Bologna, ma deriva internazionale delle tradizionali tagliatelle), lasagne, insalate. La cucina, le tradizioni cui non indulgere troppo (“Ciò che chiamiamo tradizione non è altro che una invenzione ben riuscita”), l’appetito (dal latino ad-petere) e cioè l’essere attratti e seguire il piacere, “rielaborando in senso culturale l’istinto della fame”. E poi la convivialità, il rapporto mutevole tra gusto e buongusto e la cultura...
    (www.ilgiorno.it)

     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    Il sasso del pane
    Si narra che durante l’epidemia di peste, che si sviluppò nel 1630, la popolazione di Bellaggio evitò il contagio grazie alla conformazione del territorio. Bellaggio produceva del pane con grano sano per gli abitanti di Varenna. Lo scambio veniva effettuato su un grosso masso, poco lontano dalla riva, dove veniva lasciato il pane. Quelli che lo compravano, dopo aver preso il pane, depositavano i soldi in un contenitore riempito d’aceto per disinfettarli. Il sasso fu successivamente fatto esplodere perché rappresentava un pericolo per la navigazione.
    (leggenda)




    Mangiarsi le parole. 101 ricette d’autore


    a cura di Luca Clerici


    Mangiarsi le parole. 101 ricette d’autore è un ricettario letterario appena pubblicato dalla casa editrice Skira e curato da Luca Clerici, professore di letteratura italiana all’Università degli Studi di Milano. Raccoglie consigli su come preparare piatti della tradizione contemporanei o completamente inventati da scrittori e giornalisti italiani dal Novecento a oggi, come Giovanni Pascoli, Sibilla Aleramo, Gianrico Carofiglio e Chiara Gamberale: la prima ricetta è del 1926, il “Balsamo di Ciprigna” di Omero Rompini, la più recente del 2017, di Stefania Giannotti. Il libro fa parte del più ampio progetto “Mangiarsi le parole”, che ripercorre e approfondisce il rapporto tra cibo, vino e letteratura italiana, che è iniziato con l’EXPO di Milano e ha portato a seminari, articoli, convegni, un sito di prossima apertura e appunto il ricettario.

    Il libro è diviso in due parti, i Menù alla carta e i Menù a tema. Nella prima le ricette sono suddivise in portate in ordine alfabetico, dall’aperitivo ai dolci: sono sette sezioni, ognuna aperta da una overture, ovvero un ricordo, un aneddoto o una riflessione appositamente scritta da un autore contemporaneo: Simonetta Agnello-Hornby, Antonio Franchini, Giuseppe Lupo, Michele Mari, Walter Siti, Hans Tuzzi e Andrea Vitali. Anche la seconda sezione è suddivisa in sette parti, ognuna con un menu a tema, dall’afrodisiaco, al dietetico, a quello rosa (scritto solo da donne) e giallo. Conclude l’elenco per ordine alfabetico delle ricette, con l’indicazione della fonte più antica e completa, e una raccolta di immagini a tema tratte da libri per bambini, riviste, documenti e lettere; le ricette invece sono accompagnate da disegni dell’illustratore statunitense John Alcorn, conservati nel Centro APICE dell’Università degli Studi di Milano.



    Molte delle ricette provengono dalla rubrica “La tavola dei buongustai” della Cucina italiana, la storica rivista di gastronomia fondata nel 1929, che raccoglieva quelle proposte da esponenti della buona società, delle istituzioni e dell’industria dell’epoca, e soprattutto di scrittori e giornalisti, come Filippo Tommaso Marinetti, Massimo Bontempelli e Corrado Govoni. Altra fonte di ispirazione è Gli intellettuali in cucina, un manualetto uscito nel 1933 che raccoglieva sempre ricette proposte da intellettuali. Per le vostre prossime cene potrete quindi spaziare tra gli arancini di Montalbano consigliati da Andrea Camilleri, lo spezzatino di Grazia Deledda, la polenta di Arrigo Boito, o la zuppa di tartaruga di Umberto Eco. Qui di seguito potete provare la costata “novecentesca” di Massimo Bontempelli, da servire con insalatina fresca e mai con verdura cotta, il celebre risotto alla milanese di Carlo Emilio Gadda (con indicazioni minuziosissime, comprese su quale burro e zafferano comprare) e, da preparare al volo in emergenza, gli spaghetti alla Ungaretti, che solo per il nome vi faranno comunque fare bella figura.
    (www.ilpost.it)




    Si tratta infatti del rapporto fra letteratura italiana e rappresentazione del cibo, del vino, della civiltà della tavola più in generale e delle pratiche di socializzazione conviviale.
    Il volume Mangiarsi le parole, curato da Luca Clerici, è uno straordinario viaggio sensoriale tra arte culinaria e letteratura.
    La più antica risale al 1926 (il Balsamo di Ciprigna si legge nel curioso Manuale culinario afrodisiaco per gli adulti dei due sessi di Omero Rompini) e la più recente è del 2017, firmata da Stefania Giannotti. Il volume non è solo un’antologia letteraria di testi rari e spesso sconosciuti ma anche un menù e un ricettario. Ognuna delle sette sezioni è introdotta da un inedito di argomento culinario – racconto, ricordo, divagazione – firmato da uno scrittore contemporaneo. Apre Andrea Vitali con la rievocazione di un’antica leggenda (Il Sasso del Pane), chiude Michele Mari con In cauda, godibile e colto resoconto della formazione sub specie culinae dell’autore, alla Statale. Per equilibrio sono sette anche i Menù a tema, comprendendo il Menù del lettore con cui la serie finisce. Non mancano le pagine bianche lasciate a chi vorrà cimentarsi con le ricette. Si parte con il Menù afrodisiaco, seguito da quello dietetico, e poi di genere: nel Menù rosa ecco solo piatti firmati da donne. Gli ultimi due sono un gioco: se il Menù di soli primi in versi comprende le poesie in dialetto di Biagio Marin e di Arrigo Boito, il Metamenù è fatto di ricette “al quadrato”, e termina con una lettura quanto mai adatta, la Ricetta per far ricette di Giuseppe Prezzolini.

    Dopo il dolce ogni Menù a tema propone infatti le Letture da meditazione, versione letterariamente analcolica dei tradizionali vini da meditazione: passiti, sauternes, moscati. Ma i Menù a tema non esauriscono le rispettive proposte: alla carta si possono per esempio scegliere portate “gialle” (infallibile la Madeleine “dell’avvelenatrice che la fa franca” di Katia Brentani), ricette in versi e piatti afrodisiaci, come gli Spaghetti cu’ l’ova di rizzi di Giuseppina Torregrossa, illuminati dal rosso fuoco delle unghie della cuoca, maliziosamente esibite a piedi scalzi. E poi non manca qualche sorpresa: gli Spaghetti io di Vanni Scheiwiller fra i Contorni e le proposte di due non scrittori: Mario Sironi e Aimo Moroni, il noto chef.




    Le tavole e tutti i documenti riprodotti provengono dal Centro APICE (Archivi della Parola, dell’Immagine e della Comunicazione Editoriale) dell’Università degli Studi di Milano, così come le immagini “culinarie” – in gran parte inedite – raccolte nell’Album illustrato che completa il volume. Sono riproduzioni da libri per bambini e da testate giornalistiche, fotografie originali e documenti inediti, come la lettera con la ricetta del brodetto di lavarello – “il piatto va servito quanto più possibile bollente” – spedita da Luigi Veronelli a Mario Soldati il 28 ottobre 1966.
    (https://mondointasca.it)

     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    1,538

    Status
    Offline
    .

    "Voglio che tu beva il mio te'. Sentirai, il profumo ti arrivera' all' anima". Parlava di un te' prezioso, giuntole da Calcutta... Un profumo acuto si spandeva nell' aria... Ella verso' in una tazza la bevanda e l' offerse ad Andrea, con un sorriso misterioso. Egli rifiuto' dicendo "Non voglio berlo in tazza ma da te"... "Ora prendi un bel sorso"... Maria, teneva le labbra serrate, per contenerlo... E Andrea la bacio', suggendo da essa tutto il sorso...
    (Gabriele d'Annunzio, Il piacere)



    Viaggio alle Sorgenti del tè

    ac1505808ded177c57dc40bd62ab9c09_L

    Un viaggio in 7 tappe e altrettante tipologie di tè per conoscere tutto quanto si cela dietro la bevanda più consumata al mondo dopo l'acqua. Tra reportage, libro fotografico e monografia dotta, un volume pieno di informazioni, immagini, aneddoti e storie sul tè.

    Più di 500 pagine per raccontare il tè, dalle origini alla commercializzazione, dalla produzione alle leggende, delle piantagioni alle denominazioni, dalle tipologie ai modi di consumo, dalle fasi di lavorazione alle classificazioni, all'assaggio. Un'opera di gran pregio, nei contenuti come nella forma, con foto intense che testimoniano il lungo lavoro di ricerca che ha dato vita a Viaggio alle sorgenti del tè. Quasi 3 anni di lavoro, 4 mesi di viaggio, migliaia di chilometri percorsi, “dall'Oceano Indiano al Mar della Cina, dai piedi dell'Himalaya alle vette del Fujiyama” in 7 regioni produttori di tè. Tanto è servito per andare a fondo e scoprire l'essenza della seconda bevanda più consumata al mondo (dopo l'acqua).

    092907354-162622cb-715e-421b-9bf5-50240c82a592

    A firmare questa bellissima monografia, Catherine Bourzat, esperta di Asia, che ha più volte attraversato alla ricerca di luoghi, storie e ricette da tradurre in racconti, guide e libri di viaggio. Insieme a lei, in questa lunga avventura, Laurence Mouton, appassionata di cucina e di viaggi, food stylist, illustratrice e fotografa.

    Prima fermata: Sri Lanka e il Ceylan. Il punto di partenza di questo incredibile diario di viaggio è lo Sri Lanka, “Lanka la risplendente” (e il suo Ceylan), punto di snodo per la via delle Indie e “teiera dell'impero delle Indie britanniche”. La prima piantagione visitata è Hantane, con il suo vicino museo del tè, e una tradizione che risale alla fine dell'Ottocento, ai tempi dell'impero coloniale britannico, quando la pianta arrivò dall'India e in pochi decenni conquistò il mercato europeo. Oggi gli usi sono ancora quelli di un tempo, con la manodopera (erede di quella arrivata al seguito della pianta) che abita in casupole malconce vicine ai campi in cui lavora a condizioni durissime. Qui si beve un infuso dal gusto forte, che si addolcisce leccando un po' di zucchero versato nell'incavo di una mano. Si fa tappa poi a Nuwara Eliya (dove il tè è parte del marketing turistico) e Ad Uva (dove si usa consumare il tè mescolato energicamente con zucchero e latte in polvere), si passa a Upcot per visitare una torrefazione modello dall'organizzazione rigorosissima e osservare le fasi di lavorazione. In un racconto denso di dettagli affascinanti e notazioni intime e preziose si continua il viaggio. Non sono che le prime suggestioni, quelle che aprono a un mondo fatto di appunti arguti, panorami illustrati, cartine geografiche, dettagli e aneddoti, battute da bar e affettuosi ritratti di vite lontane, quelle organizzate intorno alle piantagioni. Storie di povertà, di grandi aziende e piccoli operai, di minime attività familiari. Di progressi e cambiamenti, come la nascita della ferrovia in Sri Lanka, proprio per assicurare la commercializzazione del tè. Quella che può considerarsi l'antenata del Darjeeling Himalayan Railway.

    comepreparareiltefermentato

    Un viaggio a tappe. Dopo lo Sri Lanka si approda nel Giappone del Shincha, dove la campagna è uniforme e accoglie una agricoltura meccanizzata e di grandissima precisione. Si sale e si scende di altitudine per testare le varietà del tè, frutto della terra, del clima e della mano dell'uomo. Questa è la regione del tè verde, dal sapore fragilissimo e le proprietà benefiche. Qui si scopre la ceramica giapponese e un metodo di preparazione in tre tempi e tre temperature dell'acqua, studiato da un'anziana di Tokoname che colleziona coppe e teiere. Si passa di città in città, ogni volta con un ritratto da conservare: i wagashi di Fujinomiya, dolcetti per accompagnare il tè, le aste, le moderne confezioni di bevanda già pronta, le colazioni a base di soba e udon, la suggestiva cerimonia del tè. Si approda poi all'India del Darjeeling: Calcutta, Tumsong, Ging e così via, a raccontare il tè e le persone del tè, proprietari di piantagioni e operai, raccoglitrici, giovani e anziani e via così, snocciolando questioni di pressante attualità, e visioni dal tetto del mondo. Si passa a Taiwan per l'Oolong, con Taipei e il suo tè a palline, e tante tappe e altrettante miniature di vita legate al protagonista del libro. Si vola verso la Cina e i suoi Pura Luce, e poi di nuovo in Giappone per il Maccha, per terminare questo lungo viaggio in Birmania alla volta dei Le-phet. In mezzo ci sono sempre panorami gustativi, geografici, umani e sociali, storia e storie da conoscere e raccontare.

    Così si passa di regione in regione, di immagine in immagine, cambiando altitudini e sapori. Si incontrano donne in sari immerse fino alla vita nelle piante del tè che, con gesti rapidi e precisi prendono solo la gemma e le prime due foglie in cui risiede la quintessenza del tè; si studia l'opera dei maestri del tè e l'abilità dei tea taster, le tecniche di degustazione e valutazione, si intercettano elementi di botanica, agronomia, chimica, si scoprono componenti e proprietà, i segreti commerciali, i sandwich e la piccola pasticceria, la storia e le opere di alcuni dei più importanti nomi della storia del tè, come Thomas Lipton (l'inventore del tè confezionato in pacchetti singoli) e Twinings (cui si deve la nascita dei blends).


    Un proverbio cinese dice: “Quand'anche passassi tutta la vita a studiare il tè, non ne conoscerai mai tutti i nomi”. E forse 500 pagine non sono sufficienti, ma sono abbastanza per far innamorare di questa incredibile bevanda.
    (Antonella De Santis, www.gamberorosso.it)



    ...L' ora del te' fumante e dei libri chiusi, la dolcezza di sentire la fine della sera,
    la stanchezza incantevole e l' adorata attesa dell' ombra nuziale e della dolce notte.
    (Paul Verlaine)


    091911953-f83800dc-d829-4d77-91c9-b09d23141e88


    C'era una volta, in Cina, una coppia di giovani innamorati, "ma un tiranno locale ruppe il loro idillio, costrinse la ragazza a diventare la sua concubina e uccise il suo spasimante. La ragazza riuscì a scappare e raggiunse la montagna, dove scoprì il corpo dell'amato. Pianse così tanto che divenne pioggia che, cadendo sul ragazzo, lo trasformò in una pianta di tè". Questa è solo una delle innumerevoli leggende che raccontano le "mitiche" origini del tè, una bevanda che è ovunque ma che appartiene più di ogni altra cosa a quel multiforme universo che va dall'India al Giappone, passando per Sri Lanka, Birmania, Cina. Un pellegrinaggio, quello lungo le strade di questa bevanda, che Catherine Bourzat e Laurence Mouton, giornaliste autrici di Viaggio alle Sorgenti del tè (Guido Tommasi editore, 519 pp, 35 euro), hanno portato avanti per ben tre anni, provando a raccontare, in un libro-reportage, tutto ciò che c'è da sapere sulla "seconda bevanda più consumata dopo l'acqua", comune eppure "un prodotto mitico" che "resiste inesorabilmente al tentativo di definizione". E se non si può definire, si può però conoscere e capire e, in un continente in cui il tè è vita, ogni nazione ha la sua stanza e il suo piccolo tempio, più o meno contemporaneo per celebrarlo e onorarlo. Ogni villaggio, a volte ogni quartiere, ha le sue personali usanze, che si racchiudono in salotti fumosi tanto quanto in limpidi mini market o in grandi centri commerciali. Se non c'è, di fatto, modo "per chiarire le sorprese che la capricciosa pianta riserva ai coltivatori e l'alchimia che ne compone i sapori", la si può raccontare proprio partendo dalle sue stanze, dai luoghi in cui viene consumata, provando a ripercorrere, a grandi linee, il lungo viaggio delle autrici tra le foreste, i villaggi e le metropoli dell'estremo Oriente.

    matcha-in-polvere

    La più grande stanza del te, è anche la più democratica. Ben lontano dalle sfavillanti sale di Bukingham Palace e dal rito delle 5 della regina Elisabetta, tra India e Cina il te si consuma durante buona parte della giornata e soprattutto, come raccontano la Bourzat e la Mouton in diversi passaggi del libro, si beve per strada. In locali arrangiati, su marciapiedi affollati, in "sale" delimitate da vasi di coccio come accade molto spesso in India, dove "il chai, al contrario dell'elitario Darjeeling, è la bevanda" quotidiana, una "miscela corroborante di latte, zuccherato e bollito, aromatizzato al tè".
    Un rito nel rito, che ha il suo apice nella caotica Calcutta, dove il "chai si compra per strada, nei chioschi" da officianti "i chaiwallah" che sono quasi tutti uomini"; uomini che operano nel pezzo di marciapiede che hanno adibito a negozio, con pochi utensili: "un braciere, una casseruola, una caffettiera e alcune coppe". E nient'altro. Se non l'estro che distingue un uomo, e il suo negozio, dall'altro: "dal signor Balwant Singh - raccontano le autrici -, il latte viene bollito a parte e mescolato con il tè in uno shaker, la mistura è poi strizzata in un panno per essere servita", pochi passaggi, che non si ripetono a pochi passi di distanza, nel distretto di Bhawanipore, dove il tè è cotto alla maniera più ortodossa, ovvero "bollito a lungo nel latte" e poi versato "con un lungo getto dalla casseruola alla caffettiera, sia per raffreddarlo che per dargli", grazie all'ossidazione nata dal contatto con l'aria "il classico colore marroncino".

    Il te, in qualsiasi parte del mondo si vada, "ha i suoi tempi" fatti di riti e significati reconditi, quello della riflessione e quello della frenesia e a Taiwan ci sono entrambi, ma soprattutto c'è più di un rito che elogia la lentezza e la tradizione. Il primo continua a guardare al marciapiede come palcoscenico, letteralmente in quanto il te Kungfu è decisamente spettacolare. "E' un esercizio che richiede pratica" si legge tra le pagine "ed è riservato ai tè neri, per fattura e natura più robusti. Si esercita su una vera pista che può avere le dimensioni" anche "di un tavolo intero". Per mettere in piedi la cerimonia bastano "una teiera da bambola in argilla incrostata, un boliltore appoggito su un fornello per mantenere l'acqua a 100°C, una ciotola in terracotta per mantenere calda la teiera e ben due serie di tazze per la consumazione. Una in porcellana sottile per bere e poi gli xiangbei", per poterne annusare ogni più piccolo sentore. I movimenti della preparazione di questa cerimonia sono sempre velocissimi e il maestro li compie "senza prestargli uno sguardo", riuscendo grazie alla rapidità di lasciare che il tè non cali di temperatura. Ma non esistono solo i marciapiedi di Taipei, in questa isola stato il tè, nella sua accezione più alta, è "una cosa da vecchi", e si chiama laoren cha, il tè delle nonnine. E si consuma in case "nei vicoli che fiancheggiano la Montagna del Drago", quasi dei veri luoghi di culto segnalati da lanterne rosse, dove la teiera "al centro della tavola" è anche il centro dell'attenzione, usata per "aggiungere acqua calda a volontà nel corso delle ore", ore in cui si attende che l'infusione prenda gusto, senza fretta, "sgranocchiando semi di melone".
    Le case del tè. Ancora stanze, in Cina come a Taiwan, con la particolarità di seguire, in questa immensa nazione, l'andamento della vita politica e civile del paese. Nella Cina popolare, quella parte di Stato che le autrici hanno avuto modo di trovare a Menghai, visitare i luoghi del tè diventa quasi impossibile, e quando l'ostruzione fa diventare faticoso anche il racconto, di casa del tè ne rimane solo una, di "proprietà della fabbrica" della città, e quindi monopolizzata dallo Stato, che serve "una bevanda insipida". Cultura e tradizioni, in Paesi millenari come la Cina, risultano spesso sinonimi ed è normale, che in zone fortemente controllate e politicizzate, sia totalmente nulla la presenza di un luogo di riflessione e meditazione come la Casa del tè, quasi totalmente scomparsa dalla circolazione durante la Cina di Mao. Eppure esistono ancora Case, nei luoghi più disparati, come "in un cortile del tempio di Wang Yangming, dove sedute a tavola, alcune ragazzine ripetono i gesti agili della preparazione del tè", seguite da un apposito Maestro. La carta del te è importante qui, per i consumatori, e viene affrontata seguiti da una hostess che sarà poi responsabile, in questa Casa o in un'altra, anche della preparazione della bevanda, caratterizzata da una concentrazione massima e gesti fluidi e veloci, molto diversi da quelli del Tè Kungfu; l'acqua viene mantenuta "a non più di 80°C", vengono fatte scivolare le foglie sulla superficie e poi chiuso tutto con un coperchio, "per racchiudere i profumi nel vapore". E lentamente la magia accade, il vapore diventa profumato e l'acqua si colora, ma la particolarità qui è il susseguirsi di tre infusioni, perché "il tempo del tè in Cina è una parabola, le cui infusioni successive tracciano la rivoluzione".

    teismo_2-1-2

    In Giappone, forse più che in qualsiasi altra delle nazioni del tè, si nota la profonda frattura tra il tè tradizionale e i nuovi metodi ultra moderni, e poco rituali, di consumarlo. Nella stessa nazione dove esistono le sale più tradizionali, gli chashitsu, progettati per esaltare la stessa cerimonia da tè, sono stati inventate centinaia di modalità diverse per consumare il tè nel modo più frenetico, compulsivo e contemporaneo che esista. Nonostante questa frattura, resistono anche le sale da tè più "normali", ed è sempre più frequente trovarle in luoghi assolutamente poco folkloristici, ma che parlano del nuovo Giappone.
    Come la sala da degustazione posta al primo piano di un palazzo dove, a livello strada, c'è un negozio per Tè PET, dove a pochi metri dal regno del take-away, l'infusione delle pregiate foglie fa parte addirittura di un menu degustazione. Altro luogo di neonata resistenza sono gli hotel di lusso, dove è facile trovare moderne sale per la degustazione del tè, e addirittura le gallerie commerciali, come capitato alle autrici a Shizuoka, per assaggiare un buon Maccha; posizione, nel centro commerciale, che non pregiudica affatto la cerimonia in sè stessa. Nell'episodio raccontato nel libro, "si degusta in due o tre modi diversi", "sorseggiandolo in una coppa", oppure "in shizu", sorso dopo sorso. O addirittura, le foglie possono mangiarsi, in una serie di ricette semplici, come prevede e insegna la cucina di questi luoghi.

    Il viaggio tra i luoghi del consumo del te, fra le sue stanze, si chiude ugualmente in un negozio. Non in uno sfavillante grande magazzino giapponese, però, bensì in un piccolo "market" dello Sri Lanka. Qui, nei thay kaday, che sono dei "compromessi tra la drogheria e il bistro del villaggio" opera un maestro del tè diverso da quelli delle solenni cerimonie giapponesi o dalle hostess che troviamo in Cina, "il suo mestiere consiste nel dosare in uno shaker il tè con zucchero e latte in polvere, e versarci un po' di acqua bollente surpozzata da un samovar e rimestare il tutto energicamente finché l'intruglio non diventa spumoso". La maestria del mudalali è riconosciuta nei villaggi, come in quello di Ettampitiya che hanno visitato le autrici, e molto spesso le persone arrivano a "portare via la bevanda in una bottiglia o, in mancanza, in un sacchetto di plastica", un'abitudine che battezza questa bevanda, chiamata siri siri thay proprio per il rumore "che produce la sottile pellicola quando viene strofinata per aprire il sacchetto". In un nome, insomma, tutta l'importanza di un prodotto talmente quotidiano e millenario al tempo stesso, da essere poesia.
    (LARA DE LUNA, www.repubblica.it)


    original_teiera

    Dietro ogni tazza c'è una storia millenaria che va oltre il rito quotidiano di molti di noi. Guido Tommasi Editore ha recentemente pubblicato Viaggio alle sorgenti del tè, il libro di Catherine Bourzat e Laurence Mouton che racconta le origini dell'amatissima bevanda.
    Tra scatti mozzafiato e frammenti di storia, il volume è una straordinaria testimonianza - costata alle autrici due anni di lavoro - sul tè e sui suoi tanti mondi.
    Il diario di viaggio di Bourzan e Mouton in Asia, centro nevralgico della produzione e distribuzione del tè da 6000 anni, raccoglie aneddoti, ricostruisce storie, riporta storielle, contiene ricette, approfondimenti sul tè, spiegandone anche proprietà e benefici. Tra piccole produzioni famigliari e industrie tecnologiche, le due appassionate viaggiatrici hanno seguito il filo rosso dettato dal calendario delle raccolte, realizzando, in questa grande avventura di fotografie e parole, sette diari dedicati ad altrettante tipologie di tè e paesi: il Ceylan in Sri Lanka, il Shincha in Giappone, il Darjeeling in India, l’Oolong a Taiwan, il Matcha in Giappone, il Pu'er in Cina e il Le-phet in Birmania.
    (www.finedininglovers.it)

    Viaggio alle sorgenti del tè - Catherine Bourzat e Laurence Mouton - Guido Tommasi Editore - 520 pagine

     
    Top
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    1,538

    Status
    Offline
    .

    "La Grammatica delle Spezie"


    81aUAZdt4PL


    "Crescete su, più alte, o foglie soavi, sì che io possa vedervi, crescete su, dal mio petto!" Nella terza edizione della raccolta di poesie "Foglie d'erba", il poeta americano Walt Whitman ha inserito anche una sezione chiamata "Calamo", per evocare lussuria, cameratismo, affetto. Spezie e parole, spezie e storia, spezie e racconti di varia umanità e leggende. Il perché Whitman scelse di raccontare anche il Calamo, è esattamente lo spirito che anima "La Grammatica delle Spezie" (Gribaudo, 219 pp, 19,90 euro), il libro di Caz Hildebrand che si è assunto l'oneroso compito di definire le spezie.

    Un compito, a suo stesso dire "insidioso", su cui sono "scivolati molti autorevoli uomini e donne, studiosi di svariate discipline" e che l'autore di questo libro si prefigge di affrontare in modo originale. Non si ferma infatti alla definizione classica, non si limita a spiegare che "le spezie non sono erbe aromatiche, ma le parti essiccate", dalla corteccia alla resina al frutto, "di piante che crescono in climi tropicali", costose ed elitarie.

    La particolarità di questo libro sta nell'approccio del racconto, che porta in primo piano "la storia delle spezie, che è una storia di seduzione, mitologia, amori, sangue e luoghi comuni", provenienti da tutto il mondo e da qualsiasi tradizione. Quella ebraica, secondo cui "la regina di Saba arrivava dell'Etiopia "con cammelli carichi di spezie", tanto quanto quella indiana o più in generale quella mediorientale. La Grammatica delle spezie vuole essere un atlante pratico per conoscere, lemma dopo lemma, esattamente come in un vocabolario, un mondo estremamente vasto, esotico e sconosciuto ai più. In maniera facile, diretta e concisa. Hildebrand per portare a termine questo lavoro non si è pero affidato solo alle parole, ma ha preso a esempio "The grammar of ornament", libro pubblicato nel 1856, che per raccontare il fenomeno delle arti decorative usò l'architettura e l'uso che in essa si faceva degli ornamenti e dei colori. In questo caso all'architettura si sostituisce la cucina e, talvolta, la cultura quotidiana e la saggezza popolare.

    32513-780x500

    E così accompagnate da disegni coloratissimi, per la maggior parte gedelmente tratti dal libro di Owen Jones del XIX secolo, le spezie si raccontano da sole. O quasi. Una pagina, quasi mai di più, alla volta troviamo il costosissimo Zafferano e scopriamo che fu già raccontato da Aristofane e che, se si vuole andare oltre il classico risotto, è perfetto da abbinare "a carni bianche e agrumi", poche pagine dopo, si fa un viaggio in Iran, con l'Anardana, ovvero il cuore essiccato del melograno "perfetto per torte e crostate", in sostituzione a fragole, visciole, ciliegie. Storia e cucina si intrecciano, si sostengono e si danno un senso vicendevolmente. Anche e soprattutto nel raccontare spezie esotiche e lontane, pressocché sconosciute, come l'Akudjura, nata nell'Australia aborigena, dove dai nativi era considerato un cibo essenziale, oggi abbinato alle carni magre come ai peperoni, all'avocado come alle mele, ed è "perfetto per essere aggiunta al chutney di pomodoro, per insaporire l'agnello prima di cuocerlo".
    (LARA DE LUNA, www.repubblica.it)


    market_3466906_1920-2366-800-800-95


    Una storia di seduzione, mitologia, amori, sangue e luoghi comuni. Infatti, da sempre le spezie sono associate a origini soprannaturali e considerate un assaggio di Paradiso.
    Le prime notizie che ne abbiamo risalgono al 3500 a.C.: gli Egizi le utilizzavano per insaporire i cibi e imbalsamare i defunti (anice e cumino servivano per sciacquare le viscere); il pepe in grani veniva esportato dall’India verso il Medio Oriente prima del 2000 a.C.; i chiodi di garofano furono esportati in Cina nel secondo secolo a.C., due secoli prima di arrivare ad Alessandria d’Egitto. Secondo la Bibbia, la regina di Saba arrivava dall’Etiopia «con cammelli carichi di spezie» per omaggiare il re Salomone a Gerusalemme. Gli arabi dominano gran parte della storia delle spezie. Ne hanno controllato il commercio per 5.000 anni, espandendosi alla fine anche nel Mediterraneo orientale e nel resto dell’Europa, con una famosa via delle spezie che attraversava il fi ume Indo, passava per Peshawar e in Afghanistan, superando il passo Khyber, e si dirigeva verso occidente attraverso l’Iran e poi a sud fi no a Babilonia. Gli antichi romani, gli arabi e i veneziani si contesero per secoli i vari territori di provenienza delle spezie, ma fu ovviamente Cristoforo Colombo, navigatore italiano che rappresentava la Spagna, a tentare di raggiungere l’India navigando verso ovest (invece che verso est) nel 1492, ad loca aromatum, «verso i luoghi delle spezie». Invece finì senza saperlo nelle Americhe e nei Caraibi, riportando in Europa peperoncini, cioccolato, lentisco, rabarbaro e pimento.

    Il titolo di questo libro è stato ispirato da un altro viaggio di esplorazione in terre lontane, un libro intitolato The grammar of ornament, “La grammatica dell’ornamento”, dell’architetto e designer Owen Jones, pubblicato nel 1856. Il collegamento tra le spezie e la teoria del design del XIX secolo non è così pretestuoso come potrebbe sembrare. «La forma senza il colore è come un corpo senz’anima», scrisse Jones. Lo stesso si potrebbe sostenere per il cibo senza le spezie e la loro complessa diversità di gusti e aromi. Ogni spezia in questo libro è accompagnata da una riproduzione di decorazioni di superfici tratta dal libro originale di Owen Jones. I motivi scelti fanno riferimento principalmente alle origini della spezia in questione: per una come il pepe, che ha le sue radici in India, vedremo sulla stessa pagina disegno, colore, motivo e forme provenienti da quel Paese.

    In poche parole, La grammatica delle spezie è un manuale ricco pieno di colori e di notizie curiose e interessanti; un viaggio coloratissimo all’insegna del gusto, nonché un percorso visivo e tematico che espone le spezie più comuni e quelle più esclusive, raccontandone la storia, le chicche, gli usi erboristici e in cucina.

    spezie

    Sfogliando il libro, vi accorgerete che le spezie sono parecchie e che la chiave della loro importanza è proprio la varietà e la molteplicità di gusti e sapori. C’è da dire che il testo oltre a offrire al lettore una panoramica in questo meraviglioso, affascinante e magico mondo esotico pieno di profumi, attua anche una netta distinzione tra erbe aromatiche e spezie. Infatti, con l’espressione “erbe aromatiche” si intende tutte quelle piante o verdure (foglie e steli) coltivate negli orti, ma reperibili anche allo stato selvatico (ad esempio: alloro, basilico, maggiorana, menta, prezzemolo, rosmarino, ecc.), mentre con il termine “spezie”, si indicano quei prodotti generalmente provenienti da luoghi lontani (Africa, Asia, America del sud, ecc.), che seccati a dovere, vengono impiegati per conservare e insaporire i cibi. Di fatto, le spezie differiscono per aroma (dolce, forte, pungente, piccante) che varia a secondo della cottura utilizzata. Inoltre, la loro azione nutraceutica può essere utile per il benessere psico-fisico, in quanto offrono longevità, tonicità ed elasticità dei tessuti.

    Altra chicca interessante è che il manuale propone abbinamenti, ricette e consigli in modo tale che il lettore possa sfruttare a pieno tutto il potere prodigioso delle spezie menzionate.



    (recensione di Silvia Casini, © Riproduzione Riservata, http://www.upsidedownmagazine.it/la-gramma...zie-recensione/
     
    Top
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    1,538

    Status
    Offline
    .

    51w1giYep0L

    “Il gusto di stare bene”

    di Antonio Moschetta e Moreno Cedroni

    IL GRANO fa bene o fa male? È vero che si dovrebbe eliminare lo zucchero raffinato dalla nostra tavola? È meglio mangiare verdure e frutta di stagione? Negli ultimi anni le informazioni vere e false in fatto di nutrizione umana si sono avvicendate creando sempre maggiore confusione. Eppure, le regole da seguire per vivere bene e a lungo non sono poi così difficili. Ne parliamo con Antonio Moschetta, ordinario di Medicina Interna dell’Università Aldo Moro di Bari e titolare del Progetto di Ricerca AIRC su Metabolismo dei tumori e regolazione genica, che ha pensato di condividere le conoscenze della scienza moderna e della nutrigenomica con uno dei più innovatori chef italiani, Moreno Cedroni. Insieme hanno scritto il libro “Il gusto di stare bene” in cui dimostrano che la scienza della nutrizione può sposare il piacere della tavola.


    164415064-4ffa3c77-42ff-43ef-bd7a-3fbb257956df

    “Alimentarsi non significa solo saziarsi, ma significa anche nutrirsi. Di un nutrimento che è energia, motore per il corpo e per l’anima. Il tempo dedicato all’informazione, all’acquisto consapevole e alla preparazione di un piatto è un investimento per sé: la qualità del cibo che mettiamo nei nostri piatti, infatti, corrisponde alla qualità della vita che desideriamo concederci”, ha dichiarato Moreno Cedroni, uno dei più creativi e innovativi chef italiani e internazionali, due stelle Michelin per il suo celebre ristorante La Madonnina del Pescatore, a Senigallia, e sostenitore dell’AIRC. Negli ultimi anni le informazioni vere e false in fatto di nutrizione si sono avvicendate creando sempre maggiore confusione, tanto che molti di noi ormai non sanno più se la nostra cultura gastronomica basata sulla dieta mediterranea, così rinomata da essere diventata patrimonio immateriale dell’UNESCO, sia ancora una scelta valida e quali siano le giuste accortezze per evitare di ammalarsi e assicurarsi una vita sana e longeva.
    Il gusto di stare bene è un manuale divulgativo che racconta cosa dobbiamo evitare di portare a tavola e cosa è meglio mangiare. È un testo scientifico innovativo sulla nutrigenomica, la scienza che studia i rapporti tra l’alimentazione e i possibili cambiamenti del DNA umano. “ Il gusto di stare bene, il libro scritto dal nutrizionista Moschetta con Moreno Cedroni
    „Ma è anche un libro in cui il nutrizionista e lo chef condividono le loro competenze dando vita a un libro unico nel panorama editoriale, italiano e mondiale.“
    www.anconatoday.it


    • I CEREALI FANNO MALE?
    I cereali sono spesso al centro del dibattito sulla sana alimentazione ‘imputati’ di essere responsabili di sovrappeso e diabete. Ma è davvero così? In Italia consumiamo in media a persona 28 kg di pasta, 35 kg di pane, 8 kg di pizza all’anno. Nonostante ciò siamo il secondo popolo più longevo al mondo dopo il Giappone. Ma se la farina bianca fa così male, come in molti dicono, qualcosa non torna. “I cereali sono dotati di un alto valore nutritivo e, infatti, sono alla base della piramide alimentare della dieta mediterranea, rappresentando una fonte abbondante di fibre e di carboidrati complessi, ovvero di energia” spiega Antonio Moschetta.

    • I BENEFICI DEI CEREALI INTEGRALI
    Il problema sta piuttosto nel tipo di cereali: quelli raffinati, come il riso bianco e la farina di tipo 00, si ottengono con la macinazione che prevede lo scarto della crusca e del germe, cioè le parti più ricche di principi nutritivi. “Per questo è meglio scegliere i cereali integrali, che hanno un elevato contenuto di amido, ovvero carboidrati a lenta digestione, che forniscono energia a lungo termine, evitando i picchi glicemici e il conseguente innalzamento dei livelli di insulina” suggerisce Moschetta. Inoltre, i cereali integrali sono caratterizzati da un basso contenuto lipidico e da una discreta presenza di proteine.


    • UN PIENO DI ZUCCA PER CONSTRASTARE I RADICALI LIBERI
    Tra gli ortaggi di stagione da consumare spesso, c’è la zucca ricca di sali minerali, vitamine (in particolare, vitamina C e vitamina E) e carotenoidi. “La zeaxantina e la luteina, anch’esse presenti nella polpa di zucca, hanno proprietà antiossidanti e proteggono la pelle e gli occhi dall’azione dei raggi ultravioletti – spiega Moschetta. Contrastando i danni causati dai radicali liberi, queste sostanze svolgono un’azione benefica per la retina, proteggendola dallo sviluppo di malattie degenerative tipiche dell’eta? avanzata, quali le maculopatie”.

    • BARBABIETOLA ROSSA, IL SUPER-ORTAGGIO AMICO DEL CUORE E DEGLI SPORTIVI
    Anche la barbabietola rossa e? caratterizzata dalla presenza di sali minerali, composti antiossidanti, vitamine e flavonoidi. In particolare, la vitamina A e la vitamina B rappresentano un valido alleato per la cura di pelle e capelli e per il corretto funzionamento del sistema immunitario. La vitamina B9, invece, nota con il nome di acido folico, è particolarmente utile in gravidanza, per la prevenzione dei difetti del tubo neurale, oltre che nei soggetti anemici, dato il suo ruolo nello stimolare la formazione dei globuli rossi. “L’elevata concentrazione di nitrati presenti nella barbabietola - prosegue Moschetta - la rende un ottimo coadiuvante per il trattamento delle patologie cardiovascolari, in quanto i nitrati fanno sì che la pressione arteriosa sia mantenuta entro livelli normali. Inoltre, i nitrati partecipano al potenziamento del rendimento muscolare, mentre i sali minerali consentono di reintegrare la perdita di liquidi correlata all’attivita? fisica, facendo della barbabietola un ottimo alimento da assumere per gli sportivi”.

    • COTTURE MODERNE: FORNO A MICRO-ONDE
    Oltre alla scelta attenta degli alimenti, una sana alimentazione si segue anche scegliendo le cotture più light come quella a vapore perché l’assenza di contatto con l’acqua impedisce la perdita delle sostanze nutritive solubili che vengono conservate anche durante la cottura. Tra i sistemi di cottura moderni sempre più diffusi perché rapidi c’è quella nel forno a microonde. Fa bene o fa male? “La cottura a microonde - risponde il nutrizionista - si caratterizza per essere una delle migliori alternative, dal punto di vista nutrizionale. Tuttavia, puo' rappresentare un rischio per la salute se il cibo non e' stato ben conservato. A differenza della cottura tradizionale, infatti, la cottura con il forno a microonde non riesce ad eliminare batteri e tossine che possono formarsi negli alimenti che non sono stati mantenuti in modo appropriato”.

    • COTTURE MODERNE: FORNO A MICRO-ONDE E SLOW COOKER
    Di recente introduzione nelle nostre case è il metodo di cottura slow cooking. Si tratta un elettrodomestico che ricorda il modo di cucinare di una volta, in recipienti di terracotta con lunghi tempi di cottura a fuoco lento. Lo slow cooker è una pentola elettrica, in grado di cuocere ad una temperatura controllata, generalmente bassa, per tempi più lunghi di quelli utilizzati per la cottura tradizionale. “La temperatura di cottura non elevata - spiega Moschetta - consente di preservare i nutrienti presenti nei cibi, garantendo che tutti i benefici degli alimenti arrivino nel nostro piatto”.
    (www. repubblica.it)

     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    1,538

    Status
    Offline
    .

    Sushisusci



    Sushi & Susci

    di Moreno Cedroni


    Il tempo premia sempre le buone idee, le felici intuizioni, che invece di invecchiare diventano dei classici, dei punti di riferimento come certamente lo è diventato questo libro scritto nel 2001 da Moreno Cedroni, oggi ancor più di ieri uno degli chef più autorevoli nel panorama italiano ed internazionale.

    Con straordinaria lungimiranza, Cedroni comprese che una tecnica giapponese millenaria come quella della preparazione dei sushi, era un formidabile connubio tra arte e scienza, tra tecnica e gusto, di cui catturò l’essenza e, con una buona dose di coraggio supportato dal suo talento, elaborò un’autonoma linea di cucina: piatti mediterranei che sono sushi come idea originaria e nella realizzazione pratica.

    In questo volume Cedroni presenta 30 delle sue singolari creazioni partendo dalle preparazioni totalmente crude, passando per quelle in infusione con olio aromatizzato, in salatura per giorni, in salatura ed affumicata, scottate per pochi minuti, marinate in aceto o limone oppure preparate con tecniche miste. L’introduzione di Paolo Marchi traccia l’evoluzione dal sushi al susci, partendo dalle antiche radici nipponiche per approdare al bocconcino mediterraneo dello chef marchigiano.

    41TEA0N81KL

    ..recensione..

    SUSCI senza H perché il sushi proposto in questo ricettario è un sushi italiano come viene chiaramente spiegato nelle prime pagine del libro.
    Si inizia con una piccola spiegazione di chi è Moreno Cedroni e di come nasce la sua passione per il pesce e il susci partendo proprio dalla storia del sushi tradizionale fino alla sua evoluzione.
    Interessanti sono le pagine che spiegano la corretta degustazione del sushi: ci sono delle vere e proprie regole. Ad esempio, non bisogna aggiungere wasabi o altre salse se il sushi è già stato condito oppure come utilizzare al meglio e senza offendere le tradizioni giapponesi le bacchette.
    In questa sezione del libro sono anche presentati gli ingredienti cardine del sushi e le loro caratteristiche: riso, alga kombu e pesce.
    Infine, prima dell’inizio del vero e proprio ricettario, alcune note tecniche e igieniche: in particolare l’uso del coltello (correlato da alcune chiare immagini e fotografie), di come pulire il pesce rispetto al tipo a disposizione e come conservarlo senza rischiare la contaminazione da parte di alcuni parassiti.

    Il ricettario vero e proprio si divide in parti: le “collezioni” (susci e fiabe, british susci, susci letterario) poi “i maki e le nuove creazioni dal mondo” e infine il susci regionale (una per ogni regione italiana).
    Ogni ricetta è presentata in modo chiaro spiegando con attenzione gli ingredienti e la preparazione. Il piatto poi si conclude con note sulla finitura e una fotografia che ritrae il piatto. Da notare che ogni collezione è intesa come un percorso culinario a sé: ci sono alcuni piatti di pesce e infine lo chef propone in abbinamento un aperitivo e un dolce.
    Da sottolineare come le immagini dei piatti siano davvero belle e particolari: la possibilità di ripetere la stessa disposizione anche a casa farà fare un figurone a chi si cimenterà nella ricetta!
    Al termine del libro due sezioni finali: le ricette di base e il glossario per muoversi con più facilità all’interno del libro.
    Le ricette proposte sono elaborate ma non impossibili.
    (di Francesca Farina)

    Sushisusci-ricetta-p35

    ..una ricetta..

    Cubi di tonno pinna gialla con vinaigrette gusto porchetta

    Ingredienti per 4 persone
    400 g di filetto di tonno
    120 g di riso per susci (preparato seguendo la ricetta base)
    1 pezzo di alga nori, per decorare

    Per la vinaigrette:
    1 dl di olio extra vergine di oliva
    32 g di aceto di sherry rosso
    2 g di aglio tritato
    4 g di finocchio selvatico tritato
    3 g di rosmarino tritato
    2 g di sale
    1 g di pepe bianco di mulinello

    Preparazione
    Tagliare il tonno a fette spesse circa 3 centimetri quindi, ricavare dei cubi.

    Preparare la vinaigrette.
    Emulsionare l’olio con gli altri ingredienti indicati e immergervi i cubi di tonno per 5 minuti.
    Disporre il riso sui piatti, sistemare sopra i cubetti di tonno, condire con linee di salsa e decorare con fili di alga.
    (www.bibliothecaculinaria.it)

     
    Top
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    1,538

    Status
    Offline

    LA LETTERATURA GIALLA E IL CIBO


    DonneDetective-1024x538


    Il cibo e la letteratura, possono essere capaci in modi e con voci diverse di accomunare tutti gli uomini attraverso le emozioni che scaturiscono. E se è vero che i libri uniscono i popoli e che si può scrivere di cibo in molti modi, c'è un genere che più di tutti assolve a questo compito e che siede molto spesso a tavola: la letteratura gialla. Assolutamente universale, fatta di stilemi comuni, macro temi, trucchi e necessità narrative che ritornano sempre, per poi prendere di volta in volta i colori, i profumi e le tradizioni del paese di chi scrive le pagine o di chi le abita, basti pensare al belga Poirot raccontato dalla britannica Agatha Christie, Montalbano, Nero Wolfe e gli altri.

    I grandi detective, quelli che hanno segnato la storia, condividono molto spesso alcuni tratti del carattere: burberi, non sempre amanti della socialità, con situazioni sentimentali più o meno disastrate, dotati di grandi e piccole manie personali - ricordate le orchidee di Nero Wolfe? - che aiutano a identificarli e farli essere come degli amici che conosciamo da sempre. Dei piccoli grandi eroi quotidiani, spesso profondamente più terreni dei Superman all'americana maniera. In questo grande e variegato universo che ha protagonisti in Grecia tanto quanto a New York, il cibo è uno dei pilastri più forti della narrazione fin dall'800 quando Sir Arthur Conan Doyle lo inserisce tanto fra i piaceri di Holmes, quanto fra i suoi doveri sociali. Eppure, nonostante sia sempre stato un elemento importante, dai primi decenni del secolo scorso viene utilizzato sempre di più e il suo ruolo evolve diventando in alcuni caso un vero grimaldello narrativo, dettaglio e metafora nel tempo stesso. Nel thriller britannico, ad esempio, e in gran parte della letteratura gialla nordica vengono utilizzati i super alcolici per delinare attraverso i gesti personaggi - come l'Harry Hole di Jo Nesbo o il Philip Marlowe di Raymond Chandler - spesso solitari fino ai limiti dell'oscuro e dell'auto lesionismo. Il cibo è talmente prossimo all'uomo e legato a doppio nodo con le nostre vite, che man mano che il '900 è andato avanti riempendosi di libri e investigatori, il suo posto tra le pagine si è fatto sempre più importante, sedendosi a tavola con dei veri gourmet, annidandosi tra i cannoli e le sarde di un commissario siciliano che ha rubato il cuore dell'Italia, volando in giro per il mondo fino a fermarsi a riposare ai piedi del Partenone. Ma visto che la materia non è empirica come l'Esperanto, ma piuttosto concreta come un piatto di lasagne, non c'è modo migliore per comprenderla che non sia addentrandosi tra le pagine e i racconti che hanno fatto la storia.

    MONTALBANO

    Montalbano-pasta-ncasciata-video-Giostra-e1565946869666

    "Amava il cibo e quelli che lo amavano quanto lui, tanto da scriverne in continuazione e da trasmetterne la passione ai suoi personaggi, trasformandoli in apostoli del suo epicureismo pacioso". Con queste parole Marino Niola parla di Andrea Camilleri in "Alfabeto Camilleri" (2019, Sperling&Kupfer) riuscendo a introdurre con poche parole una delle caratteristiche più famose di Salvo Montalbano, quella di essere un grande buongustaio. L'amore del commissario di Vigata per il cibo però, come per il suo autore, non si ferma semplicemente all'appagamento del palato. E' momento di pace, per Salvo - lo conosciamo talmente bene tutti da poterlo chiamare per nome - quello in cui si siede a tavola, a volte l'unico in giornate affannose come quelle in cui deve risolvere qualche delitto, "a tavola non si parla" anche e proprio per questo. È momento di convivialità, quante volte lo abbiamo visto offrire un piatto a una delle sue donne o anche solo a Mimì o Fazio arrivato a interrompere il pranzo con un aggiornamento dell'ultimo minuto. E soprattutto, filosofia di vita: come per il Vazquez Montalban a cui deve il nome, amare il cibo significa amare la vita e le sue passioni. Se queste passioni volessimo tradurle in ricette, dovremmo scandagliare una per una tutte le preparazioni della cucina siciliana, opulenta e ricca. Per citare solo alcuni dei piatti sparsi negli oltre 30 libri che lo vedono protagonisti, non possiamo non partire dalla pasta 'ncasciata, la ricetta più amata da Camilleri per sua stessa ammissione, che ne Il cane di terracotta (1996) descrive come "un piatto degno dell'Olimpo" salvo poi farlo tornare in molti altri romanzi come Un mese con Montalbano del 1998. Tra le pagine di quest'ultimo si nasconde anche l'amata pasta alle triglie, mentre la golosissima pasta alla Norma fa la sua prima apparizione ne Il ladro di merendine (1996), simbolo opulento della tradizione contadina siciliana. Parlare degli arancini di Adelina (Gli arancini di Montalbano, 1999) è quasi pleonastico, ma nello stesso libro, il commissario ci racconta come deve essere cotto secondo lui il polpo - ingrediente principe delle cucine mediterranee - , le cui carni si devono "squagliare in bocca". Il pesce rimane una delle sue grandi passioni, tanto che le triglie tornano, anche cucinate allo scoglio. E i dolci? Montalbano è goloso sempre, ma se ne dovesse scegliere due su tutti, da bravo siciliano, sceglierebbe la Granita o i cannoli (soprattutto quando riusciva a rubarli al Dottor Pasquano).

    camilleri-montalbano-arancini


    Le golosità del commissario. Cibo e trame in Camilleri

    di Cetta Berardo

    Golosita_9788888849355

    Lui, l'investigatore pervicace, che persegue con tenacia i suoi percorsi, a dispetto dei superiori, che spesso accantona la via maestra per "ingaglioffirsi" in meandri secondari, sempre e solo aiutandosi con il suo fiuto, si sazia di sapori, irrobustisce la mente e corrobora il corpo. Così un tortino di triglie e patate ha il potere di dissolvere la rabbia, un sauté di vongole gli dà la carica vitale, la chiarezza delle idee. È il suo un viaggio nel mondo dei sensi, una sorta di percorso di formazione, che rende più sensibili e competenti, volto a creare "il gusto" della tavola.




    I segreti della tavola di Montalbano

    di Stefania Campo

    4176e06wnXL


    Un'indagine sull'universo gastronomico di Andrea Camilleri, espresso attraverso il suo illustre personaggio: il commissario Montalbano, goloso e continuamente affetto da un "pititto" smisurato. Ne viene fuori un'antologia gustosa come una tavolata ben imbandita, con rievocazioni di alimenti e pietanze tratte dai suoi ricordi dell'infanzia in Sicilia.Il cibo diventa protagonista trasversale di tutte le storie, e acquista una valenza affettiva molto forte, sinonimo di materializzazione dell'amore materno. Da qui si deduce l'importanza che questa passione ha per il commissario, così prepotente da prevaricare anche la passione amorosa. Per lui, il cibo è l'oggetto del desiderio, più importante degli altri piaceri e deve essere conquistato a tutti i costi; ma i segreti delle gustose pietanze sono custoditi da altri, la "cammarera" Adelina, Calogero, Enzo. Le ricette sono svelate in queste gustose pagine da assaporare in silenzio e solitudine, con animo lieto e mente sgombra, una per volta, come quando Montalbano si siede a degustare i suoi piatti preferiti.


    arancini

    Gli arancini di Montalbano è uno dei racconti di Andrea Camilleri che dà il titolo alla prima raccolta di racconti brevi avente come protagonista il Commissario Salvo Montalbano.
    n questo racconto il commissario preferisce lasciare sola la fidanzata Livia per trascorrere l’ultimo dell’anno a casa della cammerera Adelina che ha preparato i suoi insuperabili arancini.Nel brano che segue troviamo la ricetta di Adelina:
    “Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta.

    «Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!»

    (Gli arancini di Montalbano, pp. 266-267- A. Camilleri)





     
    Top
    .
38 replies since 26/8/2012, 16:44   3596 views
  Share  
.