LA CUCINA NEI LIBRI...

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    1,541

    Status
    Offline

    LA LETTERATURA GIALLA E IL CIBO


    DonneDetective-1024x538


    Il cibo e la letteratura, possono essere capaci in modi e con voci diverse di accomunare tutti gli uomini attraverso le emozioni che scaturiscono. E se è vero che i libri uniscono i popoli e che si può scrivere di cibo in molti modi, c'è un genere che più di tutti assolve a questo compito e che siede molto spesso a tavola: la letteratura gialla. Assolutamente universale, fatta di stilemi comuni, macro temi, trucchi e necessità narrative che ritornano sempre, per poi prendere di volta in volta i colori, i profumi e le tradizioni del paese di chi scrive le pagine o di chi le abita, basti pensare al belga Poirot raccontato dalla britannica Agatha Christie, Montalbano, Nero Wolfe e gli altri.

    I grandi detective, quelli che hanno segnato la storia, condividono molto spesso alcuni tratti del carattere: burberi, non sempre amanti della socialità, con situazioni sentimentali più o meno disastrate, dotati di grandi e piccole manie personali - ricordate le orchidee di Nero Wolfe? - che aiutano a identificarli e farli essere come degli amici che conosciamo da sempre. Dei piccoli grandi eroi quotidiani, spesso profondamente più terreni dei Superman all'americana maniera. In questo grande e variegato universo che ha protagonisti in Grecia tanto quanto a New York, il cibo è uno dei pilastri più forti della narrazione fin dall'800 quando Sir Arthur Conan Doyle lo inserisce tanto fra i piaceri di Holmes, quanto fra i suoi doveri sociali. Eppure, nonostante sia sempre stato un elemento importante, dai primi decenni del secolo scorso viene utilizzato sempre di più e il suo ruolo evolve diventando in alcuni caso un vero grimaldello narrativo, dettaglio e metafora nel tempo stesso. Nel thriller britannico, ad esempio, e in gran parte della letteratura gialla nordica vengono utilizzati i super alcolici per delinare attraverso i gesti personaggi - come l'Harry Hole di Jo Nesbo o il Philip Marlowe di Raymond Chandler - spesso solitari fino ai limiti dell'oscuro e dell'auto lesionismo. Il cibo è talmente prossimo all'uomo e legato a doppio nodo con le nostre vite, che man mano che il '900 è andato avanti riempendosi di libri e investigatori, il suo posto tra le pagine si è fatto sempre più importante, sedendosi a tavola con dei veri gourmet, annidandosi tra i cannoli e le sarde di un commissario siciliano che ha rubato il cuore dell'Italia, volando in giro per il mondo fino a fermarsi a riposare ai piedi del Partenone. Ma visto che la materia non è empirica come l'Esperanto, ma piuttosto concreta come un piatto di lasagne, non c'è modo migliore per comprenderla che non sia addentrandosi tra le pagine e i racconti che hanno fatto la storia.

    MONTALBANO

    Montalbano-pasta-ncasciata-video-Giostra-e1565946869666

    "Amava il cibo e quelli che lo amavano quanto lui, tanto da scriverne in continuazione e da trasmetterne la passione ai suoi personaggi, trasformandoli in apostoli del suo epicureismo pacioso". Con queste parole Marino Niola parla di Andrea Camilleri in "Alfabeto Camilleri" (2019, Sperling&Kupfer) riuscendo a introdurre con poche parole una delle caratteristiche più famose di Salvo Montalbano, quella di essere un grande buongustaio. L'amore del commissario di Vigata per il cibo però, come per il suo autore, non si ferma semplicemente all'appagamento del palato. E' momento di pace, per Salvo - lo conosciamo talmente bene tutti da poterlo chiamare per nome - quello in cui si siede a tavola, a volte l'unico in giornate affannose come quelle in cui deve risolvere qualche delitto, "a tavola non si parla" anche e proprio per questo. È momento di convivialità, quante volte lo abbiamo visto offrire un piatto a una delle sue donne o anche solo a Mimì o Fazio arrivato a interrompere il pranzo con un aggiornamento dell'ultimo minuto. E soprattutto, filosofia di vita: come per il Vazquez Montalban a cui deve il nome, amare il cibo significa amare la vita e le sue passioni. Se queste passioni volessimo tradurle in ricette, dovremmo scandagliare una per una tutte le preparazioni della cucina siciliana, opulenta e ricca. Per citare solo alcuni dei piatti sparsi negli oltre 30 libri che lo vedono protagonisti, non possiamo non partire dalla pasta 'ncasciata, la ricetta più amata da Camilleri per sua stessa ammissione, che ne Il cane di terracotta (1996) descrive come "un piatto degno dell'Olimpo" salvo poi farlo tornare in molti altri romanzi come Un mese con Montalbano del 1998. Tra le pagine di quest'ultimo si nasconde anche l'amata pasta alle triglie, mentre la golosissima pasta alla Norma fa la sua prima apparizione ne Il ladro di merendine (1996), simbolo opulento della tradizione contadina siciliana. Parlare degli arancini di Adelina (Gli arancini di Montalbano, 1999) è quasi pleonastico, ma nello stesso libro, il commissario ci racconta come deve essere cotto secondo lui il polpo - ingrediente principe delle cucine mediterranee - , le cui carni si devono "squagliare in bocca". Il pesce rimane una delle sue grandi passioni, tanto che le triglie tornano, anche cucinate allo scoglio. E i dolci? Montalbano è goloso sempre, ma se ne dovesse scegliere due su tutti, da bravo siciliano, sceglierebbe la Granita o i cannoli (soprattutto quando riusciva a rubarli al Dottor Pasquano).

    camilleri-montalbano-arancini


    Le golosità del commissario. Cibo e trame in Camilleri

    di Cetta Berardo

    Golosita_9788888849355

    Lui, l'investigatore pervicace, che persegue con tenacia i suoi percorsi, a dispetto dei superiori, che spesso accantona la via maestra per "ingaglioffirsi" in meandri secondari, sempre e solo aiutandosi con il suo fiuto, si sazia di sapori, irrobustisce la mente e corrobora il corpo. Così un tortino di triglie e patate ha il potere di dissolvere la rabbia, un sauté di vongole gli dà la carica vitale, la chiarezza delle idee. È il suo un viaggio nel mondo dei sensi, una sorta di percorso di formazione, che rende più sensibili e competenti, volto a creare "il gusto" della tavola.




    I segreti della tavola di Montalbano

    di Stefania Campo

    4176e06wnXL


    Un'indagine sull'universo gastronomico di Andrea Camilleri, espresso attraverso il suo illustre personaggio: il commissario Montalbano, goloso e continuamente affetto da un "pititto" smisurato. Ne viene fuori un'antologia gustosa come una tavolata ben imbandita, con rievocazioni di alimenti e pietanze tratte dai suoi ricordi dell'infanzia in Sicilia.Il cibo diventa protagonista trasversale di tutte le storie, e acquista una valenza affettiva molto forte, sinonimo di materializzazione dell'amore materno. Da qui si deduce l'importanza che questa passione ha per il commissario, così prepotente da prevaricare anche la passione amorosa. Per lui, il cibo è l'oggetto del desiderio, più importante degli altri piaceri e deve essere conquistato a tutti i costi; ma i segreti delle gustose pietanze sono custoditi da altri, la "cammarera" Adelina, Calogero, Enzo. Le ricette sono svelate in queste gustose pagine da assaporare in silenzio e solitudine, con animo lieto e mente sgombra, una per volta, come quando Montalbano si siede a degustare i suoi piatti preferiti.


    arancini

    Gli arancini di Montalbano è uno dei racconti di Andrea Camilleri che dà il titolo alla prima raccolta di racconti brevi avente come protagonista il Commissario Salvo Montalbano.
    n questo racconto il commissario preferisce lasciare sola la fidanzata Livia per trascorrere l’ultimo dell’anno a casa della cammerera Adelina che ha preparato i suoi insuperabili arancini.Nel brano che segue troviamo la ricetta di Adelina:
    “Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta.

    «Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!»

    (Gli arancini di Montalbano, pp. 266-267- A. Camilleri)





     
    Top
    .
38 replies since 26/8/2012, 16:44   3599 views
  Share  
.