LA CUCINA NEI LIBRI...

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  1. gheagabry
     
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    Il formaggio con le pere. La storia in un proverbio.




    "Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere". Il proverbio è notissimo, ma è difficile decifrarlo: come può un ammonimento di saggezza popolare escludere dal sapere il contadino? Qualcosa evidentemente non torna. Lo storico si incuriosisce, si chiede quale origine possa avere un testo del genere, che cosa significhi, a cosa possa servire. Investigando fra ricettari antichi, trattati di agricoltura e di dietetica, opere letterarie e raccolte proverbiali, Massimo Montanari scopre che i palati esigenti e gli stomaci delicati della nobiltà si innamorano del formaggio con le pere sin dal Medioevo. Ma c'è di più. A un certo punto l'abbinamento diventa espressione di un savoir faire socialmente esclusivo. Ciò accade quando l'idea medievale del "gusto" come capacità naturale è sopravanzata dall'idea moderna del "buongusto" come attitudine culturale. Senza questo snodo decisivo il proverbio sarebbe impensabile. Montanari si avventura - non senza colpi di scena - nei delicati territori di confine tra cultura scritta e cultura orale, rapporti economico-sociali e rappresentazioni mentali. E l'enigma si svela: quell'ambigua sentenza non è il deposito di una saggezza condivisa, ma un luogo di rappresentazione del conflitto sociale e della lotta di classe. Chi l'avrebbe mai detto che tanta parte di storia se ne stesse racchiusa in un proverbio?

    "[…] I motti, le sentenze, gli aforismi nascono da riflessioni sul senso della vita, sul comportamento da tenere in questa o quella occasione, sulle soluzioni da dare ai problemi pratici della sopravvivenza e della convivenza: «un aiuto che l'uomo offre a un altro uomo», scrive Giuseppe Pontiggia, «una guida per evitare l'errore o porvi rimedio, il conforto che l'esperienza può dare a chi deve ancora affrontarla». Rispetto ai consigli 'd'autore' di cui è ricca la tradizione letteraria, lo specifico del discorso proverbiale è di non essere firmato, di presentarsi come un «enunciato senza enunciatore» (speech without a speaker, lo ha definito Michael Camille), frutto di una saggezza 'collettiva' che si tramanda in maniera anonima e impersonale. In tal modo i proverbi si stratificano nel tempo fino a costituire nelle culture orali «l'equivalente delle auctoritates nelle società letterate»: come ha scritto Piero Camporesi, in un mondo analfabeta come quello contadino «il proverbio condensa il sapere non firmato del gruppo» - anche se, non di rado, proprio un testo firmato può essere all'origine del proverbio, rielaborato a partire da una citazione letteraria.
    I proverbi hanno spesso come oggetto le relazioni dell'uomo con gli animali, le piante, la meteorologia, le stagioni; basati sul «calcolo statistico delle probabilità», essi sono volti «alla risoluzione di bisogni e problemi pratici»: come eseguire un lavoro a regola d'arte, garantire un buon raccolto, conservarsi in buona salute. Altrettanto importanti sono i richiami al dovere, all'onestà, alla correttezza morale - ma anche alla necessità, talvolta, della furbizia e dell'egoismo - che fissano e trasmettono «percezioni attorno alla natura della vita» (Scully). Consigli e osservazioni dettate dall'esperienza si alternano a luoghi comuni di apparente ovvietà, da tutti condivisibili, che alleggeriscono il discorso e facilitano la comunicazione. Né va dimenticato il ruolo di divertimento e di socializzazione, assicurato dalla componente ironica e scherzosa che spesso caratterizza i proverbi.
    L'argomento cibo compare di frequente nel discorso proverbiale, oggi come ieri: una recente raccolta di Detti del mangiare ne elenca 1738, attestati oggi in Italia in varie forme dialettali. Sul piano storico, Terence Scully ha raccolto centinaia di proverbi di contenuto alimentare nel la tradizione medievale francese e inglese, ordinandoli secondo un criterio tipologico attorno alle questioni più varie: fame e sete; qualità, virtù o pericoli di singoli prodotti; cucina, ricette, preparazione dei piatti; consumo del cibo, allestimento e servizio dei pasti... Dei temi alimentari si fa spesso un uso metaforico: i cibi, la cucina, il mangiare sono assunti non solo nella loro dimensione materiale ma anche come termini di confronto, come occasioni per riflettere sulla condizione umana, con ogni sorta di stili retorici, similitudini, equivalenze, confronti, giochi linguistici, equivoci, strizzate d'occhio.
    Non mancano proverbi di natura 'sociale', volti a definire ruoli e doveri di ciascuno, magari per rimarcare la necessità di stare al proprio posto, di non trasgredire gli obblighi del proprio stato. Proverbi che chiamano in causa l'identità delle persone all'interno del consorzio sociale […]"



    Edited by gheagabry - 21/9/2012, 22:10
     
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38 replies since 26/8/2012, 16:44   3599 views
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