MOSTRE PITTURA e SCULTURA

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    GIORGIO MORANDI. Retrospective



    Dal 7 giugno, con GIORGIO MORANDI. Retrospective, Bruxelles celebra il genio dell'artista bolognese in una mostra che riunisce un centinaio di lavori tra dipinti, disegni, incisioni e acquerelli nelle sale del Palais des Beaux-Arts. Tra questi, cinque oli su tela e un disegno provenienti dalle collezioni del Museo Morandi di Bologna che saranno visibili al pubblico dell'esposizione fino al 22 settembre.
    L'ampia retrospettiva, curata da Maria Cristina Bandera (studiosa, direttrice della Fondazione Roberto Longhi di Firenze e co-curatrice della grande mostra su Morandi tenutasi al MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna e al Metropolitan Museum di New York nel 2008/2009) tocca i temi principali della ricerca dell'artista: la natura morta, il paesaggio e i fiori, senza trascurarne altri meno ricorrenti se non addirittura rari, quali l'autoritratto e la figura umana (come nel caso delle Bagnanti del 1915).
    Si parte dalle prime opere che si muovono nell'ambito delle avanguardie per seguire l’evoluzione espressiva morandiana fino alla progressiva dissolvenza dei lavori degli ultimi anni, attraversando tutte le tecniche e le varianti esplorate dall'artista. Le opere messe a disposizione dal Museo Morandi vanno dai Fiori del 1924, passando per tre nature morte (una del 1942, due del 1951) fino ai paesaggi del 1961 (matita su carta) e del 1962 (olio su tela).A Bruxelles i lavori di Giorgio Morandi vengono accostati e posti in dialogo con quelli di un altro artista contemporaneo: Luc Tuymans. Tale scelta è stata già da tempo sperimentata nell'allestimento dell'ampia collezione di Bologna - la più rilevante raccolta pubblica morandiana, attualmente ospitata nelle sale del MAMbo - in cui sono presenti opere di diversi autori tra i quali Wayne Thiebaud, Sean Scully e Tony Cragg. (beniculturali.it)



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    Tra i sostenitori della mostra GIORGIO MORANDI. Retrospective, la Regione Emilia-Romagna e l'Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles.
    Sito Museo Morandi: www.mambo-bologna.org/museomorandi
    Sito Palais des Beaux-Arts, Bruxelles: www.bozar.be
    Press MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna / Museo Morandi
    Elisa Maria Cerra – Tel. +39 051 6496653
    [email protected]


    Informazioni Evento:


    Data Inizio:07 giugno 2013
    Data Fine: 22 settembre 2013
    Luogo: Bruxelles (Belgio), Palais des Beaux-Arts
     
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    Giuseppe Verdi e i pittori della musica.
    100 anni di stampa musicale negli spartiti illustrati
    (1840-1940)



    L’Accademia Nazionale d’Arte Antica e Moderna, in collaborazione con L’Unione Europea Esperti d’Arte ha promosso una mostra in occasione delle celebrazioni ufficiali del secondo centenario della nascita di Giuseppe Verdi.
    La mostra si fregia del logo ufficiale del Comitato per le Celebrazioni Verdiane del Consiglio dei Ministri e dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. La mostra vuole essere una retrospettiva di copertine di spartiti musicali di Giuseppe Verdi. Verranno esposti pezzi storici come L’Aida (nelle rarissima prima edizione illustrata da Giulio Ricordi), Falstaff, La Traviata, Il Trovatore, Rigoletto, Don Carlos, tutti illustrati da splendide litografie a colori. Di Giuseppe Verdi sono stati reperiti anche spartiti di edizioni straniere, tra cui rari fogli provenienti dal Sud America, dagli Sati Uniti e dalla Russia.
    Tutti gli spartiti esposti sono originali e provenienti da tutto il mondo a partire dal 1840 fino al 1940. Saranno presenti gli spartiti delle più importanti case editrici internazionali. Gran parte della collezione riguarda la produzione di Giulio Ricordi che per primo si è avvalso dell’opera di affermati artisti per illustrare le splendide copertine delle sue edizioni che hanno fatto la storia della musica.
    Affiancheranno gli spartiti storici delle arie di Giuseppe Verdi, le opere di Bellini, Leoncavallo, Puccini, Rossini e molti altri importanti compositori. L’esposizione riguarderà non solo l’opera lirica, ma anche tutte le altre tematiche musicali che, soprattutto nel Novecento, hanno raccolto consensi in tutto il mondo. Ecco così le accattivanti copertine di musica jazz o foxtrot realizzate dai maggiori artisti di oltreoceano come Ralf Armstrong, Antonio Vargas, Norman Rockwell, inoltre rari spartiti dei primi film animati di Walt Disney.
    Gli spartiti francesi sono numerosi e riccamente illustrati da artisti del calibro di Gustave Doré, Henri de Toulouse-Lautrec, Pierre Bonnard, Rene Magritte, Eugene Grasset, Theophile Alexandre Steinlen, Maurice Denis, che hanno realizzato per le edizioni musicali dell’epoca, capolavori di grafica presenti in tutti i maggiori musei del mondo. Dalla Spagna arrivano due rarissimi spartiti di Pablo Picasso e Salvador Dalí. Dall’Inghilterra i preraffaelliti, che non hanno disdegnato di illustrare spartiti musicali. In particolar modo è stata molto importante l’opera di Waler Crane che ha illustrato numerosi spartiti e libri musicali dei quali in mostra vi sarà anche il disegno originale di un celebre spartito. Oltre all’opera di Crane saranno esposti gli spettacolari spartiti di epoca vittoriana con le illustrazioni in litografia policroma di Alfred Concanen, Harry G. Banks, Arthur Rackam e un rarissimo spartito di Aubrey Beardsley. La Germania e l’Austria sono rappresentate dai rari lieder di Brahms e Wagner illustrati da Max Klinger e le operette illustrate da Paul Telemann, Wolfgang Ortmann e Otto Singer. Dal resto dell’Europa saranno esposti spartiti dell’Avanguardia Russa e dell’Est europeo. Vi sono inoltre rari spartiti portoghesi, scandinavi, greci, turchi, egiziani, brasiliani.
    La maggior parte della produzione esposta è italiana con la maestosa opera editoriale di Giulio Ricordi che si affidava, per la realizzazione delle copertine, ad artisti quali Umberto Brunelleschi, Leopoldo Metlicovitz, Adolfo Hohenstein, Franz Laskoff, Marcello Dudovich, Aleardo Terzi, Duilio Cambellotti fino alle opere futuriste di Gerardo Dottori, Giacomo Balla e Umberto Boccioni.
    La stampa delle copertine degli spartiti e stata per quasi tutto il XIX secolo eseguita con la tecnica della litografia, salvo alcuni sporadici casi di spartiti stampati in xilografia o acquaforte. Nel Novecento, con l’invenzione di nuove tecniche di stampa e tipografiche, le copertine vennero stampate per la maggior parte in offset, anche se alcuni artisti hanno continuato a lavorare con la litografia come Leonetto Cappiello, Gino Boccasile, Umberto Brunelleschi e Plinio Codognato. Il percorso espositivo si conclude con un emblematico spartito litografato da Walter Molino nel 1940 dove, abbandonate le allegre e spensierate illustrazioni di musiche gioiose, l’artista si affida ad una drammatica raffigurazione di un paese oramai volto verso una guerra disastrosa.
    È la prima volta che in Italia viene proposta una mostra su questa particolare tematica musicale. Non esistono studi approfonditi sul rapporto tra musica e grafica delle copertine degli spartiti, per questo in occasione della mostra sarà anche presentato un volume riccamente illustrato con un saggio storico scientifico scritto da Stefano Liberati che vuole essere un approfondimento storico artistico delle grafica applicata alla musica. Degli oltre 10.000 spartiti esaminati è stato dato un taglio temporale selezionandone circa seicento a partire da 1840 quando si venne a concretizzare un aspetto del tutto nuovo nella produzione degli editori musicali. Da allora pressoché tutti gli spartiti musicali vennero illustrati, grazie alla diffusione della litografia che contribuì alla stampa di alte tirature e soprattutto permise agli artisti una libertà espressiva fino ad allora relegata alla rappresentazione lineare. L’arco temporale si conclude con il 1940 quando, a causa della Seconda Guerra Mondiale, la produzione dell’editoria musicale si interruppe bruscamente, riprendendo vita negli anni Cinquanta quando cambiarono i generi musicali e le copertine iniziarono ad essere quasi tutte fotografiche. Dai fondi musicali consultati la scelta è caduta sugli spartiti “storici” e su quelli poco o per nulla conosciuti. Alcune sono delle scoperte che non figurano in alcuna biblioteca, forse pezzi unici mai pubblicati.
    Le immagini selezionate fanno riferimento ai temi musicali più vari, con illustrazioni che ritraggono eventi storici e imprese memorabili: dalla Guerra Civile americana, alle Guerre d’Indipendenza alla Prima Guerra Mondiale alle grandi scoperte e invenzioni. Vi sono le prime immagini di areostati, treni, aerei, automobili. Sono molti i personaggi storici che hanno avuto musiche a loro dedicate con copertine illustrate: Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II, i presidenti americani, i re d’Inghilterra e lo zar di Russia. Sono stati musicati anche eventi catastrofici come l’incendio di Roma, l’eruzione del Vesuvio e l’affondamento del Titanic, con spettacolari illustrazioni di copertina.
    L’ampio spazio temporale ci ha permesso di pubblicare illustrazioni che spaziano fra tutte le più importanti correnti artistiche: dal Romanticismo all’ Impressionismo, dall’Art Nouveau all’Art Déco, dal Futurismo alle Avanguardie Russe. (beniculturali.it)


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    Per ulteriori informazioni cliccare sul link
    www.accademiaarte.org/




    Redattore: ANTONELLA CORONA
    Informazioni Evento:


    Data Inizio:06 settembre 2013
    Data Fine: 29 settembre 2013
    Luogo: Rivoli, Casa del Conte Verde
    Telefono: 0119563020
    E-mail:

    Dove:

    Rivoli, Casa del Conte Verde
    Città: Rivoli
    Indirizzo: Via Fratelli Pioli n. 8
    Provincia: (TO)
    Regione: Piemonte
    Telefono: 0119563020
     
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  3. gheagabry
     
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    FRIDA KAHLO


    20 marzo - 13 luglio 2014


    Alle Scuderie del Quirinale una grande mostra sull'artista messicana di Frida Kahlo (1907-1954), simbolo dell'avanguardia artistica e dell'esuberanza della cultura messicana del Novecento. Non vi è dubbio che il mito formatosi attorno alla figura e all'opera di Frida Kahlo (1907-1954) abbia ormai assunto una dimensione globale; icona indiscussa della cultura messicana novecentesca, venerata anticipatrice del movimento femminista, marchio di culto del merchandising universale, seducente soggetto del cinema hollywoodiano, Frida Kahlo si offre alla cultura contemporanea attraverso un inestricabile legame arte-vita tra i più affascinanti nella storia del XX secolo. Eppure i suoi dipinti non sono soltanto lo specchio della sua vicenda biografica, segnata a fuoco dalle ingiurie fisiche e psichiche subite nel terribile incidente in cui fu coinvolta all'età di 17 anni. La sua arte si fonde con la storia e lo spirito del mondo a lei contemporaneo, riflettendo le trasformazioni sociali e culturali che portarono alla Rivoluzione messicana e che ad essa seguirono. Fu proprio lo spirito rivoluzionario che portò alla rivalutazione del passato indigeno e delle tradizioni folkloriche, intesi come insopprimibili codici identitari generatori di un'inedita fusione tra l'espressione del sé e il linguaggio, l'immaginario, i colori e i simboli della cultura popolare messicana. Allo stesso tempo Frida è un'espressione dell'avanguardia artistica e dell'esuberanza culturale del suo tempo e lo studio della sua opera permette di intersecare le traiettorie di tutti i principali movimenti culturali internazionali che attraversarono il Messico del suo tempo: dal Pauperismo rivoluzionario all'Estridentismo, dal Surrealismo a quello che decenni più tardi avrebbe preso il nome di Realismo magico.
    La mostra intende riunire attorno ad un corpus capolavori assoluti provenienti dai principali nuclei collezionistici, opere chiave appartenenti ad altre raccolte pubbliche e private in Messico, Stati Uniti, Europa. Completa il progetto, una selezione dei ritratti fotografici dell'artista, tra cui quelli realizzati da Nickolas Muray negli anni quaranta, indispensabile quanto suggestivo complemento all'arte di Frida Kahlo sotto il profilo della codificazione iconografica del personaggio.
    Se infatti la mostra intende presentare e approfondire la produzione artistica di Frida Kahlo nella sua evoluzione, dagli esordi ancora debitori della Nuova Oggettività e del Realismo magico alla riproposizione dell'arte folklorica e ancestrale, dai riflessi del realismo americano degli anni venti e trenta (Edward Hopper, Charles Sheeler, Georgia O'Keefe) alle componenti ideologico-politiche ispirate dal muralismo messicano (Rivera, Orozco), è il tema dell'autorappresentazione a prevalere in questo progetto di mostra, sia in rispetto del peso numerico che il genere "autoritratto" assume nella produzione complessiva dell'artista, sia - e soprattutto - per lo specialissimo significato che esso ha rappresentato nella trasmissione dei valori iconografici, psicologici e culturali propri del "mito Frida". La progettazione della mostra e del catalogo è affidata alla cura di Helga Prignitz-Poda, accreditata specialista dell'opera di Frida Kahlo, autrice con Salomon Grimberg e Andrea Kettenmann del catalogo ragionato dell'artista nel 1988. (scuderiequirinale.it)


    Con la sua immagine e i colori carichi dell’energia vitale del Messico, Frida Kahlo ribadisce tramite le sue opere un Viva la Vida continuo, come quello che esclamò durante la realizzazione della sua ultima opera dipinta prima di morire nel 1954, raffigurante non più se stessa ma dei bei frutti succosi. Negli anni del muralismo politico in Messico Frida Kalho, nonostante il rapporto intimo con la pittura vissuta come riflesso viscerale della propria realtà, rappresentava invece le nuove istanze di una generazione diretta verso una maggiore libertà espressiva. Rispetto al suo grande amore Diego Rivera, infatti Frida poteva vantare una visione inusuale sui fatti della storia del suo popolo e sull’arte, che trasforma in linguaggio pittorico nuovo e mai lontano da sè. Più volte l’artista ha affermato di non dipingere sogni, ma la realtà, che molto spesso ha mostrato per lei il volto buio degli incubi. Seppur minata da difficoltà fisiche e sentimentali, gli occhi mantenevano sempre una vitalità particolare. Minuziosa come una fiamminga i suoi dipinti, di cui sceglieva soprattutto il piccolo formato, sono uno sguardo attento su tutto ciò che la circondava: piante, fiori, insetti e strumenti, ritratti con fedeltà,diventano feticci di un culto tribale, icone di una quotidianità nella quale si sarà sentita più volte senza uscita. Tanti sono i ritratti di Frida Kalho, ma ognuno diverso dal precedente, uguale solo nella rinuncia all’idealizzazione di sè, liberi dallo sguardo avido degli uomini sempre alla ricerca di una musa. Ciò che acquisterà sarà l’amore per il proprio corpo imperfetto, persino “brutto”, ma intensamente vivo, soggetto alle più atroci intemperie, trafitto da aghi, trapassato da radici, una Colonna Spezzata dove l’anima è riuscita comunque a sopravvivere. Cosmologia tolthemica e tradizioni messicane, si mescolano nei suoi dipinti, dove i teschi sono pronti a vagare tra i vivi con il loro sorriso sarcastico.(dalweb)
     
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  4. gheagabry
     
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    IL GUERCINO RITROVATO
    A PALAZZO DUCALE A MODENA


    Dal 22 settembre un’esposizione straordinaria a Palazzo Ducale di Modena: “Giuseppe e la moglie di Putifarre”, capolavoro ritrovato del Guercino, sarà visibile per la prima volta al pubblico nella Sala del Trono, in una mostra organizzata dalla Zanasi Foundation e curata da Nicholas Turner e Federica Gasparrini.
    Modena si prepara a essere protagonista di un’esposizione tra le più suggestive dell’anno: dal 22 settembre al 20 novembre, presso la Sala del Trono di Palazzo Ducale, il pubblico per la prima volta potrà ammirare “Giuseppe e la moglie di Putifarre”, capolavoro del Guercino recentemente ritrovato ed entrato nella collezione della Zanasi Foundation.
    “Giuseppe e la moglie di Putifarre” fu eseguito dal Guercino nel 1631 per Francesco I d’Este, duca di Modena, e successivamente venne disperso. Gli studiosi erano perfettamente a conoscenza dell’esistenza del capolavoro, proprio grazie alla notevole mole di documentazione esistente sul Guercino, ma il passaggio del dipinto per molte famiglie private ne fece perdere le tracce. Si pensa che fu Laura Martinozzi, membro del governo modenese molto stimata dalla famiglia d’Este, a ricevere in dono il quadro e a portarlo con sé nelle maggiori corti europee una volta ritiratasi a vita privata. Dopodiché il capolavoro passò nelle proprietà di varie famiglie della nobiltà umbro-marchigiana, fino all’acquisizione da parte della Zanasi Foundation, avvenuta nel 2011.
    Dunque, dopo secoli in cui se ne persero completamente le tracce, questa straordinaria opera sarà visibile al grande pubblico a Modena, in una mostra curata da Nicholas Turner e Federica Gasparrini, ospitata negli spazi di uno dei più prestigiosi edifici seicenteschi italiani, Palazzo Ducale, oggi sede dell’Accademia Militare.
    Nicholas Turner, curatore dell’esposizione insieme a Federica Gasparrini, considerato universalmente “l’erede” di Sir Denis Mahon nonché il più grande esperto vivente del Guercino, dice: «Senza dubbio, Giuseppe e la moglie di Putifarre è uno dei dipinti da galleria più strabilianti prodotti dal Guercino nel 1631, durante il cosiddetto periodo transizionale, in un momento particolarmente produttivo della sua carriera».
    Questa mostra sarà il primo grande evento della Zanasi Foundation. Creata recentemente dal professor Stefano Zanasi, internazionalmente noto per la sue esperienza nella chirurgia protesica mininvasiva di rivestimento e per l’impiego clinico in ortopedia delle cellule staminali, la fondazione è nata con lo scopo di promuovere l’arte, la cultura, la ricerca scientifica e la tecnologia in ambito medico.
    «Dal mio lavoro e dalla mia passione per l’arte – dice Zanasi - ho imparato che l’amore della bellezza è unico in ogni campo. L’arte di per sé significa realizzazione di un gesto che debba dare piacere a chi lo esegue e a chi fondamentalmente lo fruisce, intersecandosi pertanto in un’unica performance che si accomuna con quella del gesto chirurgico. Ringrazio la Città di Modena e il Generale Giuseppenicola Tota, comandante dell’Accademia Militare, per aver accettato di ospitare questa significativa manifestazione culturale».

    Una mostra imperdibile dunque, dedicata a un Maestro assoluto, nato a Cento nel 1591 e morto a Bologna nel 1666, dopo aver lasciato all’umanità alcune delle più straordinarie opere mai realizzate.
    (www.beniculturali.it/)


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    Informazioni Evento:


    Data Inizio:22 settembre 2013
    Data Fine: 20 novembre 2013
    Costo del biglietto: gratuito
    Luogo: Modena, Palazzo Ducale di Modena
    Orario: Dal lunedì al venerdì dalle 17.00 alle 19.00 Sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00
    E-mail:

    Dove:


    Palazzo Ducale di Modena
    Città: Modena
    Indirizzo: Piazza Sant’Agostino
    Provincia: MO
    Regione: Emilia-Romagna
     
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    ZURBARÁN (1598-1664)



    Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte in collaborazione con il Centre for Fine Arts di Bruxelles, la monografica dedicata a Zurbarán è l’occasione per ammirare per la prima volta in Italia i capolavori di uno dei massimi interpreti dell’arte barocca e della religiosità controriformista. Con questa rassegna, curata da Ignacio Cano con la consulenza di Gabriele Finaldi, la città di Ferrara intende rilanciare il proprio progetto culturale, teso a far conoscere al pubblico italiano autori di altissimo livello e interesse, ma poco noti nel nostro paese.

    Una rigorosa selezione di opere provenienti da musei e collezioni private europee e americane ripercorrerà le tappe salienti della carriera di Zurbarán. Dalle prove con le quali l’artista si afferma sulla scena di Siviglia, “la Firenze spagnola”, come La visione di san Pietro Nolasco (1629, Madrid, Museo del Prado) o il più tardo San Francesco d’Assisi nella sua tomba (1630-34, Milwaukee Art Museum), segnate dal luminismo drammatico e contrastato della corrente del tenebrismo ispirata a Caravaggio e Ribera, alle opere successive al soggiorno madrileno e al contatto con Velázquez, improntate a un più sobrio lirismo, dove a prevalere sono atmosfere più chiare, felici scorci sul paesaggio e dettagli domestici, come ad esempio nell’Immacolata Concezione con san Gioacchino e sant’Anna (c. 1638-40, Edimburgo, Scottish National Gallery) o nella Vergine con il Bambino Gesù e san Giovannino (1662, Bilbao, Museo de Bellas Artes).

    Il percorso espositivo, scandito in sezioni cronologico-tematiche, metterà in evidenza il talento del pittore nell’imporre un registro innovativo a generi e temi della tradizione. Stupiscono per la vena intima e immediata i soggetti legati all’iconografia mariana, come mostrano quelle opere venate di una malinconia sospesa (La casa di Nazaret, c. 1640-45, Madrid, Fondo Cultural Villar Mir), o capaci di toccare corde di straordinario candore e tenerezza (Vergine bambina addormentata, c. 1655-60, Jerez de la Frontera, Cattedrale di San Salvador). E se il motivo dell’estasi raggiunge vertici d’ineguagliabile intensità, come nell’Apparizione della Vergine a san Pietro Nolasco dipinta attorno al 1628-30 (Collezione privata), il tema della meditazione trova una delle sue interpretazioni più originali nel Cristo crocifisso con un pittore (c. 1635-40, Madrid, Museo del Prado), un dipinto in grado di trasmettere nella maniera più diretta il dialogo intimo tra l’umano e il divino.



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    Data Inizio:14 settembre 2013
    Data Fine: 06 gennaio 2014
    Costo del biglietto: 10,00 euro
    Luogo: Ferrara, Palazzo dei Diamanti
    Orario: tutti i giorni: 9.00-19.00
    Telefono: 0532 244949
    E-mail:
    Sito web: www.palazzodiamanti.it/
     
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  6. gheagabry
     
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    Cezanne e gli Artisti italiani del '900

    5 ottobre 2013 / 2 febbraio 2014
    Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali) Roma



    Paul Cézanne (nato a Aix en Provence - Francia, 19/1/1839, morto a Aix en Provence - Francia, 22/10/1906) è stato un artista e pittore francese post-impressionista il cui lavoro ha posto le basi del passaggio dalla concezione di sforzo artistico del 19 ° secolo ad un nuovo e radicalmente diverso mondo dell'arte nel 20 ° secolo. Cézanne è stato il ponte tra tardo Impressionismo 19 ° secolo e la nuova linea del 20esimo secolo di ricerca artistica, il Cubismo. Sia Matisse e Picasso si dice che abbiano osservato che Cézanne "è il padre di tutti noi".
    L’opera intensa e monumentale di Paul Cézanne, la sua capacità di ridurre la forma ai suoi termini essenziali, pur senza dimenticare l’esperienza che gli ha consentito di scoprire la luminosità del colore, penetra nell’arte italiana del XX secolo, sia nutrendo la creatività degli artisti, sia operando una notevole suggestione a livello diffuso.
    Nel nostro paese l’artista francese è avvertito da un lato come un innovatore, padre del Cubismo e dell’arte pura, dall’altro come un classico, vicino ai grandi esempi della nostra tradizione. Inoltre, nell’atmosfera di rinnovamento creatasi dopo il secondo conflitto mondiale, la tendenza alla disintegrazione dell’immagine, evidente nell’ultima parte del percorso cézanniano, suggerisce vie nuove e ardite ad artisti pronti ad affrontare le esperienze dei linguaggi astratti.
    Questi due termini costituiscono gli estremi dell’originale indagine del volume che accompagna l’esposizione romana e che propone un confronto diretto fra le opere di Cézanne e quelle di alcuni tra i più importanti artisti italiani del XX secolo: da Umberto Boccioni, che vede la lezione del pittore francese come stimolo fondamentale nei confronti della necessità urgente di un mutamento, a Giorgio Morandi, cézanniano nella scelta dei temi, fino agli artisti che nel secondo dopoguerra, influenzati dal linguaggio ellittico dell’ultimo Cézanne, affrontano stilemi astratti o “astratto-concreti”, da Afro a Scialoja, Corpora, Morlotti, Pirandello.
    Catalogo a cura di Maria Teresa Benedetti , Alain Tapié (www.romeguide.it)


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    ORARIO
    Dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30;
    venerdì e sabato 9.30 – 23.00;
    domenica 9.30 – 20.30

    BIGLIETTI
    Intero: 12 euro + spese d'agenzia
    Ridotto: 9 euro + spese d'agenzia
     
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  7. gheagabry
     
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    "La natura è l'opposto dell'arte. Un'opera d'arte proviene direttamente dall'interiorità dell'uomo. (...) La Natura è il mezzo, non il fine. Se è necessario raggiungere qualcosa cambiando la natura, bisogna farlo. (...) L'arte è il sangue del cuore umano".
    (Edvard Munch, 1863-1944)


    EDVARD MUNCH

    dal 6 novembre 2013 al 27 aprile 2014


    Nel 150esimo anniversario della sua nascita, Edvard Munch è celebrato in tutto il mondo.
    L'Italia rende omaggio al sublime artista norvegese con un'imperdibile retrospettiva che si terrà a Palazzo Ducale di Genova dal prossimo novembre.
    Curata da Marc Restellini, direttore della Pinacotheque de Paris, che nel 2010 dedicò al maestro norvegese una straordinaria esposizione visitata da oltre 600.000 persone, la mostra è promossa dal Comune di Genova e da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, ed è prodotta da Arthemisia Group e 24ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, già partners di Palazzo Ducale nello scorso autunno per la mostra "Mirò!Poesia e Luce".
    "Realizzare questa mostra proprio nell'anno delle celebrazioni e con le enormi difficoltà legate ai prestiti di Munch è stato un miracolo." - dichiarano gli organizzatori - "La scommessa è stata altissima, ma vedremo opere straordinarie, concesse dai più importanti collezionisti di Munch". Il percorso espositivo racconterà tutta l'evoluzione artistica di Munch con oltre 120 opere.
    "Munch dipinge ciò che vede - racconta Marc Restellini - ma oltre le proprie paure ha anche una nuova visione dell'arte che è pura avanguardia e in questa mostra saranno esposte le sue opere più belle, sentite, amate e sofferte".
    Per questo motivo l'esposizione di Palazzo Ducale è allo stesso tempo rappresentativa del percorso artistico ed esistenziale di Munch, ma anche testimonianza del passaggio da un naturalismo di stampo impressionistico a una pittura nuova e audace che contribuisce in maniera determinante a sconvolgere tutta l'arte del XX secolo. "La mostra racconta - continua Restellini - un Munch artista che potremmo in qualche modo considerare il contrario di tutto ciò che esisteva fino ad allora. Munch si oppone deliberatamente a ciò che vede e conosce. In una logica quasi anarchica, si mette in contrasto con l'impressionismo, il simbolismo, il naturalismo per inventarsi una forma di espressione artistica in rivolta contro tutto ciò che sin dalla sua infanzia gli è stato presentato come regola sociale".
    "È sorprendente scorgere così presto nella storia dell'arte moderna un artista capace di staccarsi da tutte le convenzioni alle quali ci avevano abituati gli artisti e i movimenti precedenti; ed è prodigioso notare sin dagli anni Ottanta dell'Ottocento come Munch si accanisca sugli strati di colore, vederlo letteralmente solcare la superficie pittorica o lasciare le sue tele esposte alla pioggia e alla neve, trasferire fotografie e fotogrammi di film muti all'interno dei suoi dipinti e dei suoi lavori grafici. Stupefacente è anche l'audacia con cui sopprime i confini tra i supporti e le tecniche, nelle sue incisioni, sculture e fotografie, come nei suoi quadri, collage e film. Munch s'iscrive nella linea di William Turner e di Gustave Courbet, è l'anello mancante della catena che unisce artisti come Pablo Picasso, Georges Braque, Jean Dubuffet e Jackson Pollock nella storia del modernismo. Autentico innovatore per quanto riguarda l'apporto della cinetica all'arte, egli fu anche un modello in termini di avanguardia e di rottura con i modelli precedenti" conclude il curatore.
    Il comitato scientifico della mostra Edvard Munch è composto da Richard Shiff, Øyvind Storm Bjerke, Petra Pettersen e Ina Johannesen.(www.palazzoducale.genova.it)


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    Data Inizio:06 novembre 2013
    Data Fine: 27 aprile 2014
    Costo del biglietto: 15,00 euro; Riduzioni: 14,00 euro; Per informazioni 010 986 80 57
    Prenotazione: Telefono prenotazioni: 010 986 80 57
    Luogo: Genova, Palazzo Ducale - Appartamento del Doge
    Orario: da martedì a domenica ore 9.00 -19.00, lunedì ore 14.00-19.00
    Telefono: 010 557 40 04
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.mostramunch.it

    Dove:


    Palazzo Ducale - Appartamento del Doge
    Città: Genova
    Indirizzo: Piazza Giacomo Matteotti n. 9
    Provincia: GE
    Regione: Liguria
     
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  8. gheagabry
     
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    RENOIR
    Dalle Collezioni del Musée d’Orsay e dell’Orangerie



    Per la prima volta in Italia, questa mostra riunisce una sessantina di opere di Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), eccezionalmente prestate dal Musée d’Orsay e dall’Orangerie.
    Frutto di una storia lunga, a volte movimentata, nella quale l’artista è in qualche occasione intervenuto direttamente, queste collezioni sono tra le più ricche al mondo, e permettono di ricostruire nella sua completezza il percorso artistico di uno dei maestri dell’Impressionismo. La mostra invita a seguire Renoir attraverso i grandi temi che hanno attraversato la sua opera, dagli inizi nella Parigi degli anni sessanta dell’Ottocento, quando incontra Monet, Bazille, Cézanne, Degas, Pissarro e Manet, fino ai grandi nudi femminili degli ultimi anni, passando per i ritratti delle grisettes, le sartine di Montmartre, quelli dei suoi amici e familiari, i paesaggi e i fiori che celebrano la vitalità della natura, o ancora l’evocazione gioiosa e lirica dei balli e delle feste popolari.
    I capolavori qui raccolti testimoniano quanto, al di là dello stereotipo che troppo frequentemente lo identifica solo come pittore della spensieratezza e della gioia di vivere, Renoir fu un artista in perenne ricerca, sempre pronto a misurarsi con il nuovo; al tempo stesso, un impressionista che sconvolge le regole della rappresentazione, e un classico che ama la bella tradizione.
    Nessun’altra collezione al mondo è in grado di offrire una dimostrazione più eclatante di questo percorso di quella che le opere del Musée d’Orsay e dell’Orangerie permettono di presentare oggi a Torino.(www.beniculturali.it)


    La mostra torinese si articola in nove sezioni.

    L’età della Bohème Dopo l’ammissione all’Ecole des Beaux-Arts nel 1862, Renoir conosce e frequenta Alfred Sisley, Frédéric Bazille e Claude Monet, con cui soprattutto condivide sessioni di pittura en plein air a Fontainebleau o alla Grenouillère nei dintorni di Parigi. Sono di questo periodo alcuni suoi ritratti di conoscenti e amici: William Sisley (1864), Frédéric Bazille (1867), Claude Monet (1875), esposti in questa sezione con due opere dello stesso Bazille, il suo studio (1870) e un ritratto dello stesso Renoir (1867), e uno di Monet, un paesaggio invernale di Honfleur (1867 circa). Qui anche due dei primi nudi di Renoir, tra i temi più cari all’artista, Il ragazzo con il gatto (1868) e Femme demi-nue couchée: la rose (1872 circa).

    “Nous adorons les femmes de Renoir” (Proust)
    Si entra nel cuore della mostra con una galleria di meravigliosi ritratti femminili, dove davvero risulta difficile scegliere tra Madame Darras (1868 circa), La liseuse (1874-1876), Giovane donna con veletta (1870 circa), Madame Georges Charpentier (1876-1877), Femme au jabot blanc (1880), Giovane donna seduta (1909), sino al ritratto di Colonna Romano (1913). Renoir sceglie le sue protagoniste da ogni estrazione sociale: borghesi, operaie, ballerine, tutte rivestite da una grazia speciale e da un’impalpabile bellezza che rievocano i modelli femminili dell’arte settecentesca. Si può dire che Renoir inventi la donna dell’Ottocento, tanto da far scrivere a Proust: “Des femmes passent dans la rue, […] ce sont des Renoir”.

    “Le métier de paysagiste” (Renoir)
    La collezione di opere di paesaggio di Renoir del Musée d’Orsay è probabilmente la più bella al mondo. Questa sezione ne presenta dieci, che ripercorrono un esteso arco cronologico, comprendente il viaggio ad Algeri effettuato dall’artista nel 1881. Relative a questo soggiorno nordafricano troviamo esposte: Campo di banani, Paesaggio algerino e La moschea, dove Renoir dipinge palme baciate dal sole, giardini privati e orti dal sapore esotico. Le altre tele rappresentano splendide vedute dove si percepisce la grande attrazione del maestro per l’acqua, il verde e i giardini, fonte continua di ispirazione, per la crescita perenne delle piante e quella che definiva la loro intrinseca “irregolarità”, che considerava sacrosanta rispetto alla natura domata dall’uomo: Chiatte sulla Senna (1869), Il Pero d’Inghilterra (1870 circa), La Senna ad Argenteuil (1873), Il sentiero nell’erba alta (1876-1877), La Senna a Champrosay (1876), Il ponte della ferrovia a Chatou (1881) sino a Paesaggio a Cagnes (1915 circa), dipinto dalla celebre tenuta “Les Collettes” in Costa Azzurra, dove Renoir si rifugiò alla fine della sua vita per trovare un clima mite che lo curasse dalla grave patologia reumatoide che lo affliggeva. “L’ambiente circostante esercita su di lui un’influenza enorme – diceva di Renoir il fratello Edmond – si lascia trascinare dal soggetto e soprattutto dal luogo in cui si trova.” L’artista stesso diceva di apprezzare i dipinti “che mi fanno venir voglia di passeggiarci dentro”.

    Infanzia
    I bambini, spesso i suoi figli o figli di amici, sono molto presenti nell’opera di Renoir. Queste nove opere esposte fanno a gara con i ritratti femminili nel regalarci istantanee di volti infantili carichi di poesia: dal bellissimo pastello su carta Ritratto di ragazza bruna seduta, con le mani incrociate (1879), al dipinto Fernand Halphen bambino (1880) in un serioso ritratto abbigliato da marinaretto, dalla deliziosa Julie Manet (1887) a una tenera Maternità (1885), dal Ritratto del figlio Pierre (1885), come si diceva dalla collezione della GAM, a un altro delicato pastello Portrait de petite fille coiffée d’une charlotte (1900 circa), al celeberrimo Il clown (Ritratto di Coco) (1909), di cui lo stesso Claude, il figlio effigiato, ricorderà la tormentata genesi, dalla romantica Ragazza con il cappello di paglia (1908 circa) alla incantevole Geneviève Bernheim de Villers (1910).

    La “recherche heureuse du côté moderne” (Zola)
    Qui troviamo cinque opere dedicate a uno spaccato della società moderna e ai nuovi divertimenti dei parigini, dai balli alle escursioni in campagna: inarrivabile è La balançoire (1876) ovvero L’altalena, dove le magnifiche figure della donna, del giardiniere e della bambina accanto all’altalena si stagliano in un giardino dai colori vivissimi. I tocchi di colore stesi per piccole macchie rendono l’effetto della luce solare filtrata attraverso le foglie, creando un’atmosfera di vibrazione cromatica e luminosa, che ne fa una delle massime espressioni della pittura impressionistica en plein air. Da questo capolavoro, il grande scrittore Emile Zola – che incontrava Renoir nel salotto di Madame Charpentier, moglie del suo editore – trasse ispirazione per un brano del romanzo Una pagina d’amore, ambientato in un giardino primaverile. Altro incantevole ritratto femminile esposto è Alphonsine Fournaise (1879), mentre i celebri Ballo in campagna e Ballo in città (1883) ritraggono mirabilmente due coppie in momenti spensierati del loro tempo libero. Le Jeunes filles au piano Il celeberrimo capolavoro Jeunes filles au piano (1892) è stato il primo dipinto di Renoir a entrare nelle collezioni di un museo francese. Accanto ad esso è esposta un’altra splendida tela: Yvonne e Christine Lerolle al piano (1897-1898 circa) e due soggetti legati alla musica: il famoso ritratto di Richard Wagner, ritratto a Palermo nel corso di un memorabile incontro tra Renoir e il compositore tedesco, e quello di Théodore de Banville (entrambi del 1882).

    “Beau comme un tableau de fleurs” (Renoir)
    Piccola sezione di opere straordinarie: i bouquet di Renoir sono magistrali nella tecnica e nei colori, è uno dei temi dove l’artista sperimenta maggiormente. “Quando dipingo fiori – dichiarava – sperimento audacemente tonalità e valori senza preoccuparmi di rovinare l’intera tela; non oserei fare lo stesso con una figura.” La varietà di sfumature nei colori è davvero impressionante: Renoir gioca con la tavolozza, con pennellate morbide e delicate, evocando i profumi dei fiori che a loro volta rimandano a sensazioni e ricordi.

    “Le nu, forme indispensable de l’art” (Renoir)
    È una sezione capitale della mostra, con opere fondamentali nella carriera di Renoir, che aveva sempre manifestato un profondo interesse per l’arte italiana rinascimentale, ammirando le opere di Raffaello, Tiziano, e il barocco nordico di Rubens, da cui assimila le forme morbide e languide e un cromatismo pieno, che fanno parte della sua cifra stilistica riguardo al modo di trattare la figura femminile. “Guardo un nudo e ci vedo miriadi di piccole tinte. Ho bisogno di scoprire quelle che faranno vivere e vibrare la carne sulla tela” – affermava il pittore. In mostra, cinque tele spettacolari, tutte dipinte nell’ultimo periodo della sua vita, tra il 1906 e il 1917: Femme nue couchée (Gabrielle) (1906), Grand nu (1907), La toilette (Donna che si pettina) (1907-1908), Nudo di donna visto di spalle (1909), Odalisque dormant (1915-1917). E una imponente scultura in bronzo, l’unica opera plastica in mostra, Eau (La Grande Laveuse accroupie) (1917).

    L’eredità delle Bagnanti
    All’ultimo fondamentale capolavoro di Renoir, Le bagnanti (1918-1919), è dedicata la “chiusura” della mostra. Il quadro è emblematico delle ricerche effettuate dall’artista alla fine della sua vita. Qui vi celebra una natura senza tempo, da cui ogni riferimento al contemporaneo è bandito. Le bagnanti sono da considerarsi il testamento pittorico di Renoir. È in questo spirito che i suoi tre figli hanno donato il quadro allo Stato francese nel 1923. Le due modelle sdraiate in primo piano e le tre bagnanti sullo sfondo della composizione hanno posato nel grande giardino di ulivi a “Les Collettes”, la tenuta del pittore a Cagnes-sur-Mer nel Sud della Francia. Il paesaggio mediterraneo riporta alla tradizione classica italiana e greca, quando “la Terra era il paradiso degli dei”. “Ecco quello che voglio dipingere”, diceva Renoir. Questa visione idilliaca è sottolineata dalla sensualità delle modelle, dala ricchezza dei colori e dala pienezza delle forme. Queste figure devono anch’esse molto ai nudi di Tiziano e Rubens, tanto ammirati da Renoir. Fanno trasparire un piacere di dipingere che la malattia e le sofferenze del pittore alla fine della sua vita non hanno sconfitto.

    In mostra sono esposti anche gli strumenti di lavoro dell’artista: tavolozza, scatola di colori, pennelli, inseparabili attrezzi del grande maestro. Sino all’ultimo aveva lavorato alle sue Bagnanti, facendosi legare i pennelli alle dita ormai deformate dall’artrite reumatoide. Renoir muore il 3 dicembre 1919, ucciso da un’infezione polmonare; la sera prima di morire pronuncia queste parole: “Forse adesso incomincio a capire qualcosa”. Dopo neppure due mesi muore anche Modigliani, che Renoir riceveva spesso nel suo studio. Il mondo dell’arte perde così due straordinari interpreti.
    Accompagna la mostra una pubblicazione edita da Skira
    (www.gamtorino.it)
    ...................

    INFOLINE
    Per informazioni e prenotazioni, è disponibile il servizio infoline.
    39 0110881178
    Servizio attivo dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 18.00 e il sabato dalle 9.00 alle 13.00

    Data Inizio:23 ottobre 2013
    Data Fine: 23 febbraio 2014
    Costo del biglietto: 12,00 euro solo mostra; 15,00 euro mostra GAM
    Luogo: Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
    Orario: Martedì - Domenica: dalle 10.00 alle 19.30 Giovedì: la mostra si prolunga fino alle 22.30.
    Sito web: www.mostrarenoir.it
     
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    Io ho visto Roma come porta dell’Oriente. […]
    Boetti, Ontani e io eravamo a Roma perché non volevamo essere altrove.
    Cercavamo un non luogo.
    (Francesco Clemente, 1999)


    “Alighiero Boetti a Roma”
    23 gennaio – 29 settembre 2013


    Una mostra per raccontare il rapporto tra un artista insofferente alle definizioni e una città che diventa per lui trampolino per l’ignoto e ispirazione per nuovi percorsi creativi: con Alighiero Boetti a Roma il MAXXI racconta la storia di “Alì Ghiero, il beduino in transito, accampato accanto al Pantheon”.
    Trenta opere, molte inedite o raramente esposte, che raccontano una stagione creativa straordinaria, alla ricerca di una identità e alla scoperta di mondi lontani e affascinanti. La mostra prende in esame il particolare il rapporto che ha legato Boetti a Roma, come la comunità degli artisti della capitale sia stata influenzata dalla sua personalità e come i suoi rapporti con l’Oriente siano stati fondamentali per il riemergere di una nuova sensibilità coloristica nel corso degli anni Ottanta.
    La mostra sottolinea inoltre le connessioni, gli intrecci e le risonanze fra l’opera dell’artista e quelle di Francesco Clemente e Luigi Ontani di cui verranno esposti una serie di lavori in dialogo con quelli di Boetti, indagando per la prima volta le relazioni tra le loro opere, che ridefiniscono il panorama di vitalità e di esuberanza creativa che investe la generazione degli anni Settanta. (fondazionemaxxi.it)

    (A Roma) è come se dei luoghi noti del pensiero fossero ancora viventi,
    come se dei personaggi permanessero per mitologia e leggenda. […]
    Sono andato in India nello stesso modo
    in cui sono venuto a Roma, per diletto.
    (Luigi Ontani, 1986)



    Alighiero Boetti (Torino, 16 dicembre 1940 – Roma, 24 aprile 1994) è stato un artista italiano.
    Insieme con Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, ha fatto parte del gruppo Arte Povera. Allo stesso tempo è stato anche uno dei più precoci a distaccarsene. Le sue opere più celebri sono arazzi di diverso formato in cui sono inserite, suddivise in griglie, frasi e motti inventati dall'artista (per es. Il progressivo svanire della consuetudine, Dall'oggi al domani, Creare e ricreare, Non parto non resto, ecc). Boetti propone a sé stesso dei sistemi nei quali agire, spesso coinvolgendo altre persone. Oppure sono la geografia, la matematica, la geometria, i servizi postali, a fornire la piattaforma delle proprie scelte. Il suo lavoro mette in discussione il ruolo tradizionale dell'artista, interrogando i concetti di serialità, ripetitività e paternità dell'opera d'arte.
    Dopo l'opera Gemelli il filo comune che lega molti suoi lavori è sottendere nel processo creativo un dualismo di intenti. Questo avviene specialmente dopo la sperimentazione con i materiali poveri quando Boetti si trasferisce nella capitale e decide di ripartire veramente da qualcosa di semplice, una matita e un foglio di carta quadrettato.
    I meccanismi che inventerà per i suoi lavori sono strutture di pensiero applicabili alle cose senza potersi esaurire. Una volta reso chiaro il principio che li genera si staccano da schemi soggettivi e permettono la libertà di autogenerarsi come le cose della natura.
    Alighiero Boetti ha visto la pittura come un "tradimento" degli ideali (artistici e politici) esplosi nel Sessantotto: dipingere rappresenta una sorta di distacco dal mondo reale, un distacco da guardare con disprezzo, per chi - come lui - si sente direttamente coinvolto dal presente e dalla cronaca. A vent'anni dipinge paesaggi ad olio influenzato dal pittore russo Nicholas De Staël. Studia e pratica incisione a Parigi. In terra di Francia a Vallauris, dove l'artista si reca per comprare delle ceramiche da rivendere in Italia, conoscerà la sua futura moglie Annemarie Sauzeau, è il 1962. Fra il 1963 e il 1965 sperimenta con materiali quali il gesso, la masonite, plexiglas e congegni luminosi. Le sue prime opere sono disegni su carta a china di oggetti industriali per la registrazione come microfoni, cineprese o macchine fotografiche (saranno esposti per la prima volta soltanto nell'81 a Parigi); incisioni e monotipi, tutti realizzati nell'appartamento-studio di via Principe Amedeo, a Torino. Nel 1964 si sposa. Al 1966 appartengono suoi primi lavori tridimensionali: Catasta, Scala, Sedia,Ping Pong e Lampada annuale sono opere seminali per il periodo: l'impiego di materiali industriali come l'eternit, il riferimento a oggetti di uso quotidiano privati del loro scopo, l'applicazione di gesti semplici come il raddoppiare, l'accumulare, il dilatare. Il 1968 è l'"apogeo di un anno barocco al massimo; dopo la fine".
    Nella primavera spedisce ad una cinquantina di amici la cartolina postale Gemelli, la quale attraverso un fotomontaggio mostra l'artista che tiene per mano un altro sé stesso. Sul retro scrive frasi come "De-cantiamoci su" oppure "Non marsalarti". Realizza opere utilizzando materiali come metallo, vetro, legno e cemento. Nel 1970 la serie dei Viaggi postali (o Dossier postale) iniziata l'anno prima si conclude. Inizia i primi lavori in cui i francobolli apposti sulle buste esaudiscono tutte le possibili combinazioni e permutazioni. "Ho usato i francobolli per i loro colori come un artista usa un pennello o i pastelli" Compie una serie di viaggi, il Guatemala, l'Oriente e poi un po' per caso il 15 marzo parte per l'Afghanistan dove ci rimarrà più di un mese. Considerata dall'artista come una seconda patria vi si recherà frequentemente due volte all'anno fino al 1979. A Kabul nasce il suo primo ricamo su tessuto, ma Boetti inizia con la fine, 16 dicembre 2040 - 11 luglio 2023: due pezze di stoffa riportano il centenario della sua data di nascita e quella presunta per la sua morte. Intrecciato a questo lavoro è quello dei telegrammi che prende inizio dopo il suo ritorno. Il 4 maggio '71, primo telegramma ("2 giorni fa era il 2 maggio 1971") della sequenza che durerà tutta la vita dell'artista. La regola del raddoppio implica, per il 6 maggio, un secondo telegramma ("4 giorni fa era il 2 maggio 1971"), poi "8 giorni fa", "16 giorni fa" ... Così i primi sei telegrammi sono concentrati nel primo anno, il settimo e l'ottavo nel '72...("Alighiero e Boetti, una vita", A.M. Sauzeau).
    A settembre riparte con la moglie per l'Afghanistan con il progetto dell'opera Mappa, il planisfero del mondo nel quale ogni nazione è tessuta con i colori della propria bandiera (come nel precedente lavoro su carta). Oggi conservata nel prestigioso Castello di Rivoli, questa prima storica versione fa parte della Collezione A.M. Sauzeau-Boetti.
    Il perimetro del tessuto di questi lavori è arricchito da un testo ricamato colorato con la firma, la data, il luogo di esecuzione e un'eventuale dedica o elementi narrativi, a volte in italiano, a volte farsi dal persiano o afghano. Nel 1972 inizia la realizzazione dei lavori a biro con Mettere al mondo il mondo e i ricami basati sulla quadratura di parole e frasi, come Ordine e disordine. « Quel che la biro rappresenta (rappresentava) per un occidentale, per un afghano è il ricamo, che come una memoria sovraindividuale reca in sé parti della biografia collettiva. »(J. C. Amman, "Dare tempo al tempo")
    In autunno si trasferisce a Roma, le finestre del suo studio danno sul campanile di Santa Maria in Trastevere. Nell'estate del '74 è la volta di un'esplorazione solitaria in Guatemala. Alcune fotografie di questo viaggio saranno raccolte nella serie Guatemala, sul tema del sé e dell'altro.
    Si porta in Afghanistan un giovane artista, Francesco Clemente, destinato ad una carriera fulminante che lo porterà a dipingere una decina d'anni dopo sulla stessa tela insieme a Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat....Fra 1985 e 1986 sposta lo studio in via del Pantheon, nei pressi dell'amatissimo tempio romano dove è contenuto il sepolcro di Raffaello...Nel marzo 1990 realizza Passepartout, un grande mosaico pensato appositamente per il pavimento della galleria francese di Lucio Amelio Piece Unique. L'opera consiste in un pentagono all'interno del quale, su ogni lato, sono stagliati in negativo cinque tipologie di archi appartenenti a periodi e culture diverse. Arco romanico, arco gotico, a ogiva, arco a tutto sesto, arco islamico e arco bizantino a ferro di cavallo. A maggio realizza il grande Fregio per La Biennale di Venezia vincendo il Premio speciale della Giuria. La sala personale che gli viene affidata viene completamente "decorata" con opere in tecnica mista su carta che avvolgono l'intero perimetro superiore dello spazio. Il 24 aprile 1994, Alighiero Boetti si spegne nella sua abitazione in via del Teatro Pace a Roma.
     
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    A MILANO



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    Ideata e curata da Barnaba Fornasetti, figlio di Piero, e fortemente voluta dal direttore del Museo del design della Triennale, Silvana Annicchiarico, dopo che per anni era stata proposta senza esiti al Comune di Milano
    La mostra è la celebrazione di una fortissima identità milanese nello stesso tempo riconosciuta nel mondo (come tutti i grandi italiani, Fornasetti è più famoso all'estero che da noi), insomma perfetta per l'Expo.
    La mostra Piero Fornasetti. 100 anni di follia pratica dedicata al talentuoso artista e lussuoso designer milanese, nato appunto cent'anni fa, è, anche secondo molti addetti ai lavori, la più bella aperta in questo periodo a Milano (alla Triennale, fino al 6 febbraio ).
    L'arte di Piero Fornasetti, attraverso le centinaia di oggetti esposti - arredi, tessuti, paraventi, lampade... - è assoluta, moderna, ardita, italiana. L'allestimento è sontuoso. Il percorso stupisce. Il target è internazionale (e infatti qui ci sono più francesi, russi, giapponesi che milanesi). E la sensazione che lascia al visitatore di casa è l'orgoglio di essere figli dell'eleganza italiana.

    LUIGI MASCHERONI da IL GIORNALE del 5.12.2013


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  11. gheagabry
     
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    “…con le mie stampe, cerco di testimoniare che viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza forma, come sembra talvolta. I miei soggetti sono spesso anche giocosi: non posso esimermi dallo scherzare con le nostre inconfutabili certezze. Per esempio, è assai piacevole mescolare sapientemente la bidimensionalità con la tridimensionalità, la superficie piana con lo spazio, e divertirsi con la gravità… E’ piacevole osservare che parecchie persone sembrano gradire questo tipo di giocosità, senza paura di cambiare opinione su realtà solide come rocce.”

    L’ENIGMA ESCHER
    PARADOSSI GRAFICI TRA ARTE E GEOMETRIA


    19 ottobre 2013 – 23 febbraio 2014
    PROROGATA AL 23 MARZO 2014


    La mostra presenta la produzione dell’incisore e grafico olandese, dai suoi esordi alla maturità, raccogliendo ben 130 opere provenienti da prestigiosi musei, biblioteche e istituzioni nazionali – tra i quali la Galleria d’Arte Moderna di Roma, la Fondazione Wolfsoniana di Genova ecc. – oltre che da importanti collezioni private. A Palazzo Magnani saranno riunite xilografie e mezzetinte che tendono a presentare le costruzioni di mondi impossibili, le esplorazioni dell’infinito, le tassellature del piano e dello spazio, i motivi a geometrie interconnesse che cambiano gradualmente in forme via via differenti.
    le prime ricerche testimoniate da opere come Ex libris (1922), Scarabei (1935); le grafiche suggestionate dai paesaggi italiani Tropea, Santa Severina (1931) dove Escher struttura lo spazio; Metamorfosi II (1940) una delle più lunghe xilografie a quattro colori mai realizzate per narrare una storia per immagini, in cui una scena conduce a quella successiva attraverso una sottile e graduale mutazione delle forme; le figure impossibili di Su e giù (1947) e di Belvedere (1958); le straordinarie tensioni dinamiche tra figura e sfondo nei fogli come Pesce (1963).

    Accanto alle sue celebri incisioni – in mostra capolavori assoluti come Tre sfere I (1945), Mani che disegnano (1948), Relatività (1953), Convesso e concavo (1955), Nastro di Möbius II (1963) – saranno presentati anche numerosi disegni, documenti, filmati e interviste all’artista che mirano a sottolineare il ruolo di primo piano che egli ha svolto nel panorama storico artistico sia del suo tempo che successivo.
    Una sezione di mostra sarà dedicata al confronto della produzione di Escher con opere di altri importanti autori – ispiratori, coevi e prosecutori – per comprendere come le scelte di Escher siano in consonanza con una visione artistica che attraversa i secoli, con una consapevolezza maggiore o minore che, talora, risponde ad esigenze diverse, ma che parte dal Medioevo, interseca Dürer, gli spazi dilatati di Piranesi, passa attraverso le linee armoniose del Liberty (Secessione Viennese, Koloman Moser) e si appunta sulle avanguardie del Cubismo, del Futurismo e del Surrealismo (Dalì, Balla).

    Se la grandezza di un artista si misura anche dalla capacità d’influire su altri artisti, come pure sulla società circostante, Escher è stato artista sommo. La sua arte è uscita dal torchio del suo studio per trasformarsi in scatole da regalo, in francobolli, in biglietti d’auguri; è entrata nel mondo dei fumetti ed è finita sulle copertine dei long-playing, come si chiamavano a quell’epoca i 33 giri incisi dai grandi della musica pop. Non basta, però. La grande arte di Escher ha influito più o meno direttamente su altre figure di rilievo dell’arte del Novecento, come Victor Vasarely, il principale esponente dell’Optical Art, Lucio Saffaro ecc. Ha contratto un debito di creatività con Maurits Escher perfino un pittore americano come il dirompente Keith Haring. La sezione illustra con dovizia di materiali e una ventina di opere questi aspetti dell’arte di Escher per restituire al visitatore la giusta dimensione culturale ricoperta dell’artista olandese.

    La mostra è inoltre concepita come uno strumento e una “macchina didattica” che consente di entrare “dentro” la creatività di questo singolarissimo artista. Suggestive installazioni immergeranno dunque il visitatore nel magico modo di Escher. E’ evidente, e molto indagato, il rapporto che Escher ebbe con “il mondo dei numeri” – intendendo per tale quello della geometria (euclidea e non) e della matematica. Non meno intrigante è la sua ricerca su spazio reale e spazio virtuale, ovvero sul come “ingannare la prospettiva”. Infine, ma non ultima, la conoscenza che Escher dimostra delle leggi della percezione visiva messe in luce dalle ricerche della Gestalt. Tutte possibili chiavi di lettura, certo non le uniche, per comprendere l’universo creativo di un artista complesso che, partendo da quelle premesse, attinse a piene mani a vari linguaggi artistici, mirabilmente fusi insieme in un nuovo ed originalissimo percorso che ancora ci emoziona e che costituisce un unicum nel panorama della Storia dell’Arte di tutti i tempi.
    Accompagna la mostra un ricco catalogo SKIRA con testi di Piergiorgio Odifreddi, Marco Bussagli, Federico Giudiceandrea e Luigi Grasselli e accurate schede delle opere in mostra.

    Maurits Cornelis Escher


    Nacque il 17 giugno 1898 a Leeuwarden ma crebbe nella città di Arnhem con quattro fratelli. Mauk, come venne soprannominato, prese da ragazzo lezioni di carpenteria e sebbene non fosse particolarmente brillante in matematica e scienze, assimilò dal padre ingegnere l’approccio metodologico dello scienziato. Una delle sue materie preferite fu subito il disegno al quale si dedicò durante gli studi alla Scuola di Architettura e Arti Decorative di Haarlem. Fu l’incontro con de Mesquita a stimolare in Escher l’interesse per la tecnica xilografica e le sue possibili sperimentazioni nella resa di effetti chiaroscurali e pittorici di grande raffinatezza. Al 1922 risale la sua visita a Firenze (primo di una serie di viaggi tra la Toscana e il sud d’Italia) e a Granada (dove visitò lo splendido palazzo di Alhambra) dai quali colse dettagli architettonici, decorativi e particolari inusuali che gli avrebbero fornito spunti per le sue composizioni. Nel 1935 si trasferì in Svizzera. E’ a partire dal 1937 che si osserva un profondo cambiamento: perde l’interesse per il mondo visibile, per la natura e l’architettura concentrandosi sulle proprie “visioni interiori” e realizzando un corpus significativo di straordinari giochi ottici, prospettive invertite, paesaggi illusionistici tra i più famosi. Trasferitosi nel 1941 con tutta la sua famiglia in Olanda continuò a lavorare intensamente fondendo le molteplici fonti di ispirazione che traeva dai suoi interessi (psicologia, matematica, poesia, fantascienza). Morì a Laren nel 1972.
    (www.palazzomagnani.it/)



    ......
    Reggio Emilia, Palazzo Magnani
    Dal martedì al giovedì 10.00-13.00 /15.00-19.00
    Venerdì, sabato e festivi 10.00-19.00
    LA BIGLIETTERIA CHIUDE ALLE 18.00
     
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    ALMA-TADEMA E I PITTORI DELL’800 INGLESE.
    COLLEZIONE PEREZ SIMON


    Dal 16 febbraio fino al 5 giugno 2014



    Più i nobili si rinchiudevano nei loro manieri tappezzati dai Canaletto, più i borghesi, nuovi ricchi e in linea con quel che stava diventando la Gran Bretagna - prima potenza mondiale - apprezzavano i lavori di sir Alma Tadema, Edward Burne-Jones, John William Godward, Arthur Hughes, Albert Moore e compagni, più compravano i loro quadri, arredavano le loro case secondo i dettami del nuovo gusto; cercavano insomma una loro strada e un’identità che desse aria e vita alla polvere puritana dell’Inghilterra della regina Vittoria.

    Il tempo si sarebbe dimostrato tiranno perché l’arte e il mondo avrebbero cancellato, rimosso, stracciato i quadri di questo gruppo di artisti per salvarne giusto le cornici. Ma il tempo è anche galantuomo e da dimenticati, disprezzati e denigrati, hanno riconquistato estimatori e fan. Tra questi il mecenate messicano Juan Antonio Pérez Simòn, ma anche sir Andrew Llloyd Webber, il celeberrimo compositore di musical.
    Della collezione di Pérez Simòn fanno parte le 50 magnifiche opere che si potranno ammirare nelle sale del Chiostro del Bramante per un’esposizione che, reduce dal successo parigino, approda in Italia per volare poi a Madrid: ALMA-TADEMA E I PITTORI DELL'800 INGLESE. COLLEZIONE PÉREZ SIMÒN a cura di Véronique Gerard-Powell.

    Si potrà riapprezzare o conoscere il mondo creato dai padri dell'Aesthetic Movement, accomunati da tendenze simili, ma ognuno con la sua personalità, i suoi temi prediletti, il suo personalissimo stile: da Millais e Rossetti, i padri preraffaelliti, insieme al poco più giovane Burnes Jones, fino al genio di sir Alma Tadema e le sue tele dedicate al mondo della Grecia e della Roma Imperiale, che hanno ispirato i film mitologici fino agli anni Settanta; ma anche i lavori di sir Frederic Leighton, accademia pura nel miglior senso del termine, mitologia e introspezione profonda come nella magnifica "Antigone", che ipnotizzerà il visitatore; ma anche John William Waterhouse, capace di unire lo stile preraffaellita con l’impressionismo, il pittore di "La sfera di cristallo", delle leggende celtiche e delle fiabe inglesi, dipinti di un simbolismo incantatore.

    Sono tele, quelle in mostra, che ruotano intorno alla mitologia (come la bellissima "Crenaia, la ninfa del torrente Dargle" di Leighton), al Medioevo e ai drammi shakespeariani, ma anche a scene di apparente quotidianità che si trasformano in quadri di enigmatica bellezza come "Una nube passa" di Arthur Hughes fino all’apoteosi della storia antica che diviene leggenda, come nel capolavoro di Alma Tadema "Le rose di Eliogabalo", una tela colossale esposta alla Royal Academy nel 1888 e ispirata sia dalla Historia Augusta, sia soprattutto al romanziere Huysman, autore di À rebours, destinato a sconvolgere una generazione di scrittori tra cui Oscar Wilde, Gabriele D’Annunzio e Marcel Proust. In essa si vede il crudele imperatore romano di origine siriana che schiaccia gli ospiti sotto una cascata di rose. Decadente e al tempo stesso precisissima: la sala dei banchetti è ispirata a una descrizione di Gibbon, il Bacco sullo sfondo è quello dei Musei Vaticani, le rose dipinte con certosina perizia e pazienza.

    In ogni quadro di ogni artista al centro c’è sempre la donna: muse o modelle, femmes fatales, eroine d’amore, streghe, incantatrici, principesse; l’essere angelicato che può diventare demonio, la salvezza che può diventare tentazione. Perché la donna è soggetto principale dell’Aesthetic Movement. Nelle opere di questi artisti il corpo femminile non è più prigioniero come nella vita quotidiana, bensì denudato, e simboleggia una forma di voluttà. Le donne sono tutte eroine dell’Antichità e del Medio Evo; natura lussureggiante e palazzi sontuosi fanno da sfondo a queste figure sublimi, lascive, sensuali.
    Un contesto non immaginato né studiato sui classici perché i pittori viaggiano in Italia, in Grecia e in Oriente e si impegnano a restituire con precisione l’architettura dei templi egiziani, dei paesaggi greci e dei bassorilievi persiani, per farne la cornice di episodi storici celebri in un ambiente di vita quotidiana reinventato. Spesso i loro viaggi erano finanziati dai mecenati, come nel caso dell’ingegnere e deputato tory John Aird che comprò “Le rose di Eliogabalo” ad Alma Tadema e ne fu così soddisfatto da invitarlo con lui in un viaggio in Egitto.
    Mecenati che erano appunto i nuovi ricchi delle manifatture e dei porti, solidi borghesi di Liverpool, Manchester e Birmingham, golosi di scene da antichità classica minuziosamente ricostruita con visite e visite al British Museum, di nudi femminili solo ufficialmente casti e quindi accettabili per il puritanesimo vittoriano, ma che tali non sono, se solo si pensa alla citata "Crenaia" di Leighton che nulla ha da invidiare alla "Giuditta" di Klimt.

    Le sorti del destino però erano mutevoli e questi pittori conobbero il disprezzo. Come scrive la curatrice Véronique Gerard-Powell: Pochi periodi hanno altrettanto sofferto dei diktat del gusto. Di questi diktat chi ha fiuto e non si fa travolgere dal gusto imperante, riesce anche a trarre profitto. E’ il caso del mecenate messicano Pérez Simòn, industriale colpito da 'insana' passione per l’arte che decide, circa 25 anni fa, di investire immense risorse economiche per l’acquisto di dipinti fino ad avere una delle raccolte private più importanti dell’America Latina. Va sul sicuro con i Rubens e i Bronzino ma segue anche il cuore acquistando opere che ancora non erano state riportate agli onori della critica come quelle appunto dei pittori dell’Aesthetic Movement. La sua passione è l’amore per la bellezza, oltre che la pittura raffinata. E chi meglio di questi artisti riesce a unire in un connubio così pregevole queste due passioni?

    La mostra è un progetto di Culturespaces realizzato con il patrocinio di Roma Capitale, in collaborazione con Musee Jacquemart-Andre, Chiostro del Bramante, Museo Thyssen Boernemisza, e con il supporto della Fondazione Japs, prodotta e organizzata da Dart - Chiostro del Bramante e Arthemisia Group. Dopo la tappa romana l’esposizione sarà, a partire dal 23 giugno fino al 5 ottobre 2014, presso il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.
    (http://chiostrodelbramante.it/)




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    Uffici Stampa
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    Adele Della Sala | [email protected] | M +39 345 7503572
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    Chiostro del Bramante
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    Catalogo Silvana Editore
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    LIBERTY, UNO STILE PER L'ITALIA MODERNA

    1 febbraio - 15 giugno 2014



    La Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì propone ancora una volta una lettura innovativa di un periodo straordinario della storia dell’arte italiana. Dopo la decisiva esposizione dedicata al Novecento, si tratta della stagione che sotto la seducente insegna di Liberty, altrimenti denominato Art Nouveau in Francia, Jugendstil in area tedesca e mitteleuropea e Modern Style nei paesi anglosassoni, ha visto tra Otto e Novecento l’ampia diffusione a livello internazionale di un nuovo stile e di un gusto intesi a superare lo storicismo e il naturalismo che avevano dominato gran parte del XIX secolo.

    Nell’Italia da poco unificata, questo movimento, volto a superare le ancora troppo presenti identità regionali, si fa interprete dell’aspirazione al raggiungimento di un linguaggio artistico nazionale comune e adeguato a rappresentare il progresso e la modernità. Il sogno di una bellezza che fosse in grado di interpretare il mondo trasformato dal progresso scientifico e tecnologico venne celebrato dalle grandi Esposizioni, come quella nazionale di Palermo nel 1891-1892, quelle dell’arte decorativa moderna di Torino nel 1902, e di Milano nel 1906, che celebrava il traforo del Sempione. Analogamente, quel sogno voleva far rivivere l’antico splendore culturale, rideclinando con una sensibilità tutta attuale, definita dall’Estetismo e dall’eredità dei Preraffaelliti inglesi, un Rinascimento identificato tra la linearità sentimentale e femminile di Botticelli e la tensione eroica di Michelangelo. È per questo che la mostra intende identificare, per la prima volta rispetto alle diverse rassegne dedicate nel passato al Liberty, le specificità di uno stile attraverso una serie di capolavori della pittura e della scultura, che, seppur di artisti di formazione, poetica e linguaggio diversi, come Segantini, Previati, Boldini, Sartorio, De Carolis, Longoni, Morbelli, Nomellini, Kienerk, Chini, Casorati, Zecchin, Bistolfi, Canonica, Trentacoste, Andreotti, Baccarini rivelano contenuti e messaggi comuni, con i quali sono scandite le sezioni dedicate al mito, all’allegoria, al paesaggio declinato tra tensioni simboliste e una ricerca dell’assoluto che ci farà incantare davanti ai dipinti dedicati alla rappresentazione dei ghiacciai, visti come l’immagine della “montagna incantata” di Thomas Mann.
    Il rilievo dato alle arti maggiori, che non ha escluso anche confronti con modelli ed interlocutori stranieri come Klinger, Klimt, von Stuck, Beardsley, Khnopff, Burne-Jones, ha voluto favorire un dialogo nuovo con le altre tecniche ed espressioni artistiche in una identificazione di quei valori decorativi che vengono confrontati con quelli pittorici e plastici nelle sezioni dedicate alla grafica, all’illustrazione, ai manifesti pubblicitari e alle infinite manifestazioni dell’architettura e delle arti applicate. Così i ferri battuti di Mazzucotelli e Bellotto; le ceramiche di Chini, Baccarini, Cambellotti, Spertini, Calzi; i manifesti di Dudovich, Hohenstein, Boccioni, Terzi, Mataloni, Beltrame, Palanti; i mobili di Zen, Issel, Basile, Bugatti, Fontana; i vestiti di Eleonora Duse, i merletti di Aemilia Ars e gli arazzi di Zecchin vivono di nuovi confronti. Ne emerge una figura del Liberty che è nella sostanza uno stile della vita. La sua rappresentazione è la linea sinuosa, fluttuante, che rispecchia nel segno, nel suo stesso divenire, il movimento in atto. Protagonista indiscussa è la donna, figura ad un tempo fragile, superba e carnale, immagine del piacere e della libertà.


    Una mostra originale, intessuta di incontri e relazioni inattese, per raccontare in maniera avvincente l’idea di un’arte totale che ha trionfato in quella stagione dell’ottimismo e di incondizionata fiducia nel progresso e che va sotto il nome universale di Belle Époque. Come confermano le relazioni con la letteratura, il teatro e la musica, evocate attraverso la grafica e i libri illustrati, ma anche attraverso gli stessi dipinti e le sculture, nell’esperienza artistica del Liberty serpeggiava sotto quell’incontenibile slancio vitale un’inquietudine e un malessere sociale ed esistenziale che di lì a poco si sarebbero manifestati tragicamente. Il sogno progressista e la magnifica utopia di una bellezza che avrebbe dovuto cambiare il mondo erano destinati a infrangersi simbolicamente, una prima volta, nella tragedia del Titanic nel 1912 e, definitivamente, due anni dopo, nella Grande Guerra.
    Prima di abbracciare i miti avanguardistici, la borghesia italiana compirà il più grande tentativo storico per identificare un proprio, unitario linguaggio, una epifania della forma, tale da evocare sentimenti, libertà e bellezza, giorni felici.
    www.mostrefondazioneforli.it/



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    INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI MOSTRA
    tel. 199.15.11.34
    RISERVATO GRUPPI E SCUOLE
    tel. 0543.36217
    [email protected]
    www.mostraliberty.it
    ORARIO CALL CENTER
    dal lunedì al venerdì: 9.00-18.00
    sabato: 9.00-12.00, chiuso nei festivi

    ORARIO DI VISITA
    da martedì a venerdì: 9.30 -19.00;
    sabato, domenica, giorni festivi: 9.30-20.00.
    Lunedì chiuso.
    21 aprile e 2 giugno apertura straordinaria.
    La biglietteria chiude un’ora prima.

    MODALITÀ DI VISITA
    La visita è regolamentata da un sistema di fasce orarie.
    La prenotazione è obbligatoria per gruppi e scuole ed è consigliata per i singoli.
     
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  14. gheagabry
     
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    RI-CONOSCERE MICHELANGELO.
    LA SCULTURA BUONARROTI
    NELLA FOTOGRAFIA E NELLA PITTURA
    DALL''OTTOCENTO A OGGI


    Dal 18 Febbraio al 18 Maggio 2014



    In occasione delle celebrazioni per i quattrocentocinquanta anni dalla morte di Michelangelo Buonarroti, coordinate dall’Accademia delle Arti del Disegno, la Galleria dell’Accademia di Firenze, in collaborazione con la Fratelli Alinari I.D.E.A. S.p.A., presenta un’esposizione che affronta il complesso tema del rinnovato interesse e dell’ammirazione per l’artista dall’Ottocento alla contemporaneità, attraverso l’opera di scultori, pittori e fotografi che hanno guardato alla figura del Buonarroti e alle sue opere come riferimento iconografico per le loro realizzazioni. Partendo dalla produzione fotografica realizzata da alcuni tra i più noti ateliers e professionisti del XIX e del XX secolo, si è cercato di evidenziare il ruolo determinante che la fotografia ha svolto nel consolidare la fortuna critica e iconografica di Michelangelo e, attraverso di essa, la celebrazione del suo mito. Una lettura trasversale, in chiave storico-fotografica, che mette al centro il ruolo svolto dalla fotografia, fin dalle sue origini, nel celebrare uno dei massimi artisti del Rinascimento italiano, e nell’eleggere un ristretto pantheon di immagini di sue sculture a monumenti della memoria collettiva. Il percorso espositivo prende avvio dalle rappresentazioni in chiave storicistica della fisionomia e della personalità di Michelangelo, con opere di Eugène Delacroix e Auguste Rodin, e di altri autori che hanno operato con il nuovo medium fotografico alle origini, tra i primi Eugène Piot, Édouard-Denis Baldus, gli Alinari, John Brampton Philpot, solo per ricordarne alcuni. La mostra si caratterizza per un continuo rimando tra le diverse modalità di tradurre e riproporre la scultura del Buonarroti: dalla fotografia intesa come oggetto di documentazione, alla specificità interpretativa nel confronto con la scultura, per giungere alla totale autonomia autoriale novecentesca tale da creare nuovi punti di vista e di analisi dell’opera d’arte. Nasce quindi un nuovo legame tra storici dell’arte e fotografi, ai quali è affidato il compito di rintracciare le forme e la materia dell’opera a conforto della ricerca storico artistica. Tra i casi proposti, le fotografie di Giuseppe Pagano alla Pietà di Palestrina, il lavoro di David Finn e di Aurelio Amendola, interpreti chiamati a collaborare con autorevoli storici dell’arte che dalle loro interpretazioni hanno potuto trarre importanti conferme alle loro teorie e analisi stilistiche. Via via che il mito si consolida nella percezione collettiva, la presenza di Michelangelo si riconosce anche nell’opera di artisti del Novecento come Medardo Rosso, Henri Matisse, Carlo Mollino, e nella ricerca fotografica di personalità quali Emmanuel Sougez, Herbert List, Horst P. Horst, fino ad avvicinarsi agli anni Settanta, con le ricerche di Tano Festa, Paolo Monti, Antonia Mulas, e raggiungere le espressioni della contemporaneità con Helmut Newton e Gabriele Basilico. Il percorso della mostra si conclude con i riferimenti al tema della copia e del multiplo nell’epoca della riproducibilità e della massificazione affrontati nell’opera di Karen Knorr, Lisa Sarfati, Tim Parchikov, mentre riconosciamo Michelangelo quale modello formale di riferimento della staged photography di Frank Horvat, Youssef Nabil, Kim Ki duk, fino a diventare ‘assenza’ nelle immagini di Thomas Struth e Candida Höfer.
    (www.arte.it/)


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    FIRENZE
    LUOGO: Galleria dell'Accademia
    ENTI PROMOTORI:
    Accademia delle Arti del Disegno
    Galleria dell’Accademia di Firenze
    COSTO DEL BIGLIETTO: intero € 6.50, ridotto € 3.25
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 055 294883
    E-MAIL INFO: [email protected]
    SITO UFFICIALE: www.uffizi.firenze.it
     
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    “Musée d’Orsay. Capolavori”
    Dal 22 febbraio all’8 giugno 2014



    La grazia della Diana senza veli di Elie Delaunay. L'ira dell'Assalone di Alexandre Cabanel che chiede vendetta per la sorella Tamar. Le vedute di campagna di Camille Corot e Paul Cezanne e la Senna che scorre lenta con Camille Pissarro. E poi il tripudio della femminilità tra le ballerine di Degas e le fanciulle di Gauguin, i Monet carichi di vele e fiori, l'Italiana di van Gogh, i Corot, Manet, Seraut. La grande arte francese del XIX e XX secolo debutta a Roma con "Musée d'Orsay. Capolavori", galleria di oltre 60 opere che per la prima volta porta nella capitale la collezione del museo parigino, tra i più importanti dell'intera Francia, al Complesso del Vittoriano fino all'8 giugno.
    Curata dallo stesso Presidente dei Musées d'Orsay et de l'Orangerie, Guy Cogeval, insieme al direttore delle collezioni del dipartimento di pittura del d'Orsay, Xavier Rey, la mostra traccia un "bilancio di questi primi 30 anni di attività del museo", raccontandone anche la nascita in quella che un tempo era solo una stazione ferroviaria sulla Senna. "Un'occasione - esordisce l'ambasciatore Alain Le Roy - che testimonia ancora una volta come l'interesse e il fascino reciproco tra Italia e Francia diano linfa a una cooperazione culturale che oggi è più viva che mai. Solo questa settimana tre mostre portano opere francesi in Italia: il d'Orsay e Rodin a Roma e Matisse a Ferrara".
    Da questo fascino reciproco, aggiunge l'Assessore alla cultura del Comune di Roma, Flavia Barca, nascerà anche "il progetto Tandem" sottoscritto tra la capitale e Parigi "per un programma comune di attività culturali". Aperta dalle gigantografie del maestoso orologio a lancette, simbolo nel mondo del d'Orsay, la mostra racconta il Museo sin dalla sua ideazione, tra immagini d'epoca e i progetti realizzati da Gae Aulenti nel 1986 per trasformare in galleria la vecchia Gare di Victor Lalou, progettata per l'Esposizione Universale del 1900. E c'è anche il d'Orsay del futuro, con le ultime innovazioni. "Siamo a due terzi dei lavori - spiega Cogeval - Abbiamo rinnovato l'illuminazione, gli spazi e le collocazioni: c'erano pezzi celeberrimi che non si vedevano da 70-80 anni". Nella seconda parte della mostra, aggiunge Rey, "63 opere raccontano invece le varie correnti pittoriche che si sono succedute in Francia" a cavallo tra Otto e Novecento.
    "E poiche' il pubblico italiano è sempre molto affezionato al d'Orsay - dice - abbiamo voluto opere che non fossero solo l'impressionismo e Monet". Si va dunque dalla pittura accademica dei Salon all'affermarsi del realismo di Coubert, proseguendo con la Scuola di Barbizon che diede inizio allo studio della luce fino alla "nuova pittura" della rivoluzione impressionista, le declinazioni dei nabis e dei simbolisti, con l'apertura alle avanguardie del XX secolo. Grande assente, Toulose-Lautrec, perchè, spiega Cogeval, "fa parte di collezioni personali, che non possiamo esportare. Sin dal mio arrivo al Museo - dice - ho insistito per condividere la collezione con gli altri popoli, soprattutto latini. Oggi siamo il museo francese che più esporta. E questa è probabilmente la mostra più bella di questi giorni, insieme a quelle che abbiamo a Seul e Tokyo". (Daniela Giammusso, Ansa)


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    Complesso del Vittoriano - Roma
    Dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30;
    venerdì e sabato 9.30 – 23.00;
    domenica 9.30 – 20.30
    Ultimo ingresso un'ora prima
     
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