MOSTRE STORIA

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    NUTRIRE L'IMPERO.
    STORIE DI ALIMENTAZIONE
    DA ROMA E POMPEI


    dal 02 Luglio al 15 Novembre 2015



    Cosa e come mangiavano gli antichi romani? Come traspor-
    tavano migliaia di tonnel-
    late di provviste dai più remoti angoli della terra? Come facevano a farle risalire lungo il Tevere fin nel cuore della città? E come le conservavano durante tutto l'anno? A queste e a tante altre curiosità risponderà la mostra “Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei” ospitata dal Museo dell’Ara Pacis di Roma dal 2 luglio al 15 novembre 2015 che traccerà un affresco complessivo sull’alimentazione nel mondo romano grazie a rari e prestigiosi reperti archeologici, plastici, apparati multimediali e ricostruzioni. L’esposizione, ideata in occasione dell’EXPO 2015, è promossa dall’ Assessorato alla Cultura e al Turismo di Roma – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dall’ Assessorato a Roma produttiva e Città Metropolitana e da EXPO con la cura scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e della Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia , di nuovo insieme a 25 anni di distanza dalla fortunata esperienza della mostra Riscoprire Pompei (1993) . L'ideazione e il coordinamento scientifico sono di Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini . Ricostruzioni multimediali e catalogo (con testi di C. Parisi Presicce, M. Osanna, E. Lo Cascio, F. Coarelli, P.Arnaud, C. Virlouvet, S. Keay, P. Braconi, C. Cerchiai, G. Stefani, M. Borgongino, M.P. Guidobaldi, A. Lagi) sono a cura di l' Erma di Bretschneider.
    A seguito della pax romana , intorno al bacino del Mediterraneo si determinò quella che oggi chiameremmo la prima “globalizzazione dei consumi" con relativa "delocalizzazione della produzione" dei beni primari. In età imperiale i romani bevevano in grandi quantità vini prodotti in Gallia, a Creta e a Cipro, oppure, se ricchi, i costosi vini campani; consumavano olio che giungeva per mare dall’odierna Andalusia; amavano il miele greco e soprattutto il garum , il condimento che facevano venire dall'Africa, dall'Oriente mediterraneo, dal lontano Portogallo, ma anche dalla vicina Pompei. Ma, soprattutto, il pane che mangiavano ogni giorno era un prodotto d'importazione, fatto con grano trasportato via mare su grandi navi dall'Africa e dall'Egitto.
    Il percorso espositivo ripercorre le soluzioni adottate dai romani per il rifornimento e la distribuzione del cibo, con i mezzi di trasporto via terra e soprattutto lungo le rotte marine. Si affrontano, inoltre, i temi della distribuzione "di massa" e del consumo alimentare nei diversi ceti sociali in due luoghi per molti versi emblematici: Roma, la più vasta e popolosa metropolidell'antichità, e l’area vesuviana, con particolare riguardo a Pompei, Ercolano e Oplontis, fiorenti centri campani.
    Il visitatore è introdotto al tema del movimento delle merci da una grande carta del Mediterraneo realizzata con tecnica cinematografica. Qui si animeranno i principali flussi alimentari dei beni a lunga conservazione - grano, olio, vino e garum - e si visualizzano le rotte marine dai porti più grandi del Mediterraneo, Alessandria e Cartagine. In questa prima sezione è anche affrontato il problema della lavorazione degli alimenti primari, della loro confezione in anfore caratteristiche per ogni prodotto, dell'immagazzinamento e della distribuzione del cibo.
    Nella seconda sezione le merci arrivano a Roma e a Pompei attraverso i porti di Pozzuoli e di Ostia. Qui è presentata la ricostruzione in grafica digitale del porto di Traiano, con i risultati inediti degli scavi recentissimi condotti dalla Soprintendenza di Ostia e dall'Università di Southampton per la ricostruzione del complesso portuale romano.
    Chiude questa parte della mostra il tema della grande distribuzione gratuita dei beni principali di sostentamento ai cittadini romani adulti, la plebe urbana e romana alla quale era riconosciuto un privilegio unico: quello di condividere i beni della conquista, dapprima solo grano, ma dal III secolo d.C. anche olio, vino e carne.
    La terza sezione illustra il consumo delle merci e dei prodotti alimentari che poteva avvenire sia in luoghi pubblici, come le popinae e i thermopolia , gli antichi "bar" o "tavole calde" in cui romani e pompeiani consumavano il "cibo di strada", sia nei raffinati triclinia (sale da pranzo in cui i commensali mangiavano stando semidistesi su tipici lettini da banchetto) del ceto abbiente. Esposizioni di resti di cibo da Ercolano aiuteranno a comprendere la qualità dei consumi in un ricco centro campano.
    Grazie al contributo scientifico e ai prestiti provenienti da Pompei, Ercolano e Oplontis, sarà possibile ammirare corredi da tavola provenienti sia da contesti di estrema ricchezza - come il cosiddetto "tesoro di Moregine", un completo da tavola in argento di ritorno da cinque anni di esposizione al Metropolitan Museum di New York – sia raffinate suppellettili in ceramica, in vetro e in bronzo, sia infine il vasellame utilizzato in contesti quotidiani più popolari.
    Due approfondimenti concludono la mostra: uno dedicato ai diversi alimenti consumati in epoca romana con la loro diffusione e il relativo prezzo (esemplificato dalla preziosa testimonianza dell' Edictum de pretiis rerum venalium dell'imperatore Diocleziano, il più famoso dei "calmieri" dell'antichità) e uno dedicato alla "filosofia del banchetto", laddove l'amore profondo per la vita e la festa alimentare che la celebra si mescola con la malinconica consapevolezza della fugacità di ogni piacere.
    Cura scientifica di Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia Ideazione e coordinamento scientifico Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini.
    (www.arte.it)


    Plinio, nel I secolo d.C, scriveva delle ostriche come del ''premio di ogni mensa'', da servire su un letto di neve così da unire la cima dei monti alla profondità del mare. In tavola non doveva mancare mai il pane..e poi il miele greco e il Garum. Tante verdure ''a miglio zero'', olio d'oliva dall'Andalusia. Polenta di farro, cavoli, cicoria, rape e formaggi di pecora. E ancora carne di pollo, maiale, cinghiale e cacciagione, salsicce di farro, frutti di mare, uovo sodo e fritto, olive, lumache, mandorle, frutta fresca e secca. E naturalmente il vino, mescolato con l’acqua per mitigarne progressivamente il grado alcolico...Al tempo di Augusto i romani mangiavano sia in luoghi pubblici, come le «popinae» e i «thermopolia» -antichi «bar» o «tavole calde» in cui si consumava il «cibo di strada»-, sia nei raffinati «triclinia». Senza dimenticare l’usanza dei governi di distribuire gratuitamente grano, olio, vino e carne ai cittadini romani residenti in città. Erano le cosiddette «frumentationes», si svolgevano nell’area occupata dall’attuale largo Argentina e riguardavano, a turno, circa 200mila persone dotate di tessera frumentaria e appartenenti alla plebe.
    Così mangiavano due millenni fa gli antichi romani!


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    ROMA
    LUOGO: Museo dell’Ara Pacis
    ENTI PROMOTORI:
    Assessorato alla Cultura e al Turismo di Roma – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
    Assessorato a Roma produttiva e Città Metropolitana
    EXPO
    COSTO DEL BIGLIETTO: Museo dell’Ara Pacis + Mostra € 17 intero, € 13 ridotto. Solo mostra € 11 intero, € 9 ridotto
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 06 0608
    E-MAIL INFO: [email protected]
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    Ottantamila Italiani degli Stati di Napoli,
    marciano comandati dal loro Re,
    e giurano di non dimandare riposo, se non dopo la liberazione d'Italia
    (dal Proclama di Rimini, 30 marzo 1815)


    A Passo di Carica. Murat, re di Napoli

    dal 18 giugno al 15 ottobre 2015



    La mostra, A Passo di Carica. Murat, re di Napoli, realizzata in occasione della fine del bicentenario di governo francese e della morte di Gioacchino Murat, nasce dagli studi e dalla collaborazione di Istituzioni diverse: il Consolato Generale di Francia a Napoli, il Comitato Nazionale per il Decennio francese, il Polo museale regionale della Campania e la Soprintendenza alle Belle arti e paesaggio per il comune e la Provincia di Napoli. Curata da Luigi Mascilli Migliorini, Annalisa Porzio e Paolo Mascilli Migliorini all’interno della sede prestigiosa del Palazzo Reale di Napoli, l’esposizione rappresenta un’occasione per analizzare la figura di Gioacchino Murat, divenuto re di Napoli dal 1808 al 1815, e soprattutto le decisioni politiche che portarono alla riforma del Regno.

    Militare di grande carisma, Gioacchino riuscì a coinvolgere con facilità le truppe riportando numerose vittorie e divenendo duca di Berg, maresciallo di Francia e in fine re di Napoli. Sposò Carolina, sorella di Napoleone Bonaparte, e insieme a lei seppe diffondere un’immagine nuova della corte, in una forma eroica e borghese che rimandava all’antichità imperiale romana: un glorioso passato laico rivisitato in maniera moderna attraverso decorazioni, arredi, scenografie, abiti e gioielli.

    Si manifestò anche un bisogno di maggiore funzionalità nelle abitazioni e in città, dove la realizzazione di nuove ampie strade cambiò l’aspetto urbanistico napoletano, di cui maggiore esempio è la definizione della piazza davanti al Palazzo Reale, oggi del Plebiscito.

    Tutti questi aspetti vengono proposti nell’esposizione di Palazzo Reale attraverso opere, spesso mai viste o di collezione private, e una cartografia che introduce a questioni storiche ancora poco analizzate ma che ebbero importanti ricadute sui decenni successivi e sui cambiamenti sociali del Regno.

    Lungo il percorso espositivo, il taglio storico viene arricchito da oggetti e immagini dal potere fortemente evocativo per chiarire la sostanza dei cambiamenti e delle novità politico-sociali, riportando alla luce anche la figura dell’uomo e dello statista Gioacchino, con le sue capacità e i suoi limiti.

    A partire dalle piante e dai progetti, come quello detto “grande” di Niccolini e quello per il Foro Gioacchino; dalle testimonianze sull’attività edilizia e sulle regge; dalle stampe e dai modelli provenienti dal Museo de l’Armée e dalla Fondazione Napoléon di Parigi, fino alla ampia documentazione del Museo di San Martino, fra cui un acquerello con la bandiera di Murat; fino all’Ingresso del francese a Napoli il 6 settembre del 1808 tratto da <il Monitore napoletano> della Biblioteca Nazionale; alla documentazione grafica della Storia patria; ai dipinti sulla Conquista di Capri e di paesaggio di Dunouy, pittore preferito dalla corte; alle armi come la Scimitarra proveniente dal Museo Civico del Risorgimento di Bologna o lo Stendardo e le splendide Pistole ageminate parigine.

    Numerosi anche i ritratti, molti di collezione privata, riguardanti Gioacchino e la sua famiglia, come quello ufficiale tratto da Gerard dove Murat indossa il prezioso collare, pure in mostra, con i simboli del regno; e altri più privati e familiari riguardanti i figli e la moglie, su spille, oggetti d’uso, in scultura o dipinti che scoprono anche il lato più intimo di questa famiglia.
    Fra le opere di provenienza privata troviamo il Ritratto di Jeanne Caroline Andrieu, le Decorazioni militari di Murat, l’immagine della famiglia rappresentata attraverso l’agopittura; il Disegno di vita quotidiana nella dimora di Palazzo Reale, accanto alla splendida Parure in oro e corallo di Carolina, al Ritratto di Gioacchino a cavallo da Franque e al Grembiule di Gran Maestro della Massoneria.
    Altre opere, sono, invece, provenienti da Musei come quelli Napoleonici di Roma e Parigi, spesso non facili da vedere, come la Chiave del ciambellano con il monogramma della Fondazione parigina, l’Apoteosi di Maria Carolina proveniente dalla Società di Storia Patria, la scatola con il Ritratto di Gioacchino della Fondazione Napoléon di Parigi, le Tazzine dorate con il ritratto dei reali del museo di San Martino, fino alle testimonianze dei momenti finali di questa avventura napoletana attraverso la lettera che Gioacchino scrisse alla moglie da Pizzo Calabro e il Ciondolo con il suo ritratto e la ciocca dei capelli tagliata prima della fucilazione del Museo napoleonico di Roma.

    (www.beniculturali.it/)

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    Data Inizio: 18 maggio 2015
    Data Fine: 15 ottobre 2015
    Costo del biglietto: 4 €; Per informazioni 081400547
    Prenotazione:Nessuna
    Luogo: Napoli, Palazzo Reale Napoli
    Orario: 09-19 escluso il mercoledì
    Telefono: 0815808289-8328
    E-mail: [email protected]

    Dove:

    Palazzo Reale Napoli
    Città: Napoli
    Indirizzo: Piazza del Plebiscito, 1
    Provincia: NA
    Regione: Campania
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    Tesori della Cina Imperiale.
    L’Età della Rinascita fra gli Han e i Tang
    (206 a.C. – 907 d.C.)


    dal 16 luglio 2015 al 28 febbraio 2016



    “Tesori della Cina Imperiale. L’Età della rinascita fra gli Han e i Tang (206 a.C. - 907 d.C.) s’intitola la mostra aperta nelle sale del Refettorio quattrocentesco di Palazzo Venezia fino al 28 febbraio 2016. Curata da Tian Kai, direttore del Museo Provinciale dello Henan da cui provengono le opere, è la terza in ordine di tempo presentata a Roma a seguito del Memorandun sul partenariato per la promozione del patrimonio culturale siglato nel 2010 fra i due paesi che prevede lo scambio di spazi museali permanenti dedicati alle rispettive culture al fine di favorire una più approfondita comprensione fra i due popoli. La vetrina di Palazzo Venezia ha fatto conoscere agli italiani dapprima “La Cina Arcaica”, quindi “Le leggendarie tombe di Mawangdui” e ora l’età d’oro della civiltà cinese, mentre a Pechino nel Museo Nazionale della Cina a Piazza Tian’anmen sono state presentate le mostre sul “Rinascimento a Firenze” e su “Roma e il Barocco” e a settembre si aprirà una rassegna sul “Settecento a Venezia”. Le 118 opere esposte di epoca Han e Tang, selezionate fra le 140 mila del Museo Provinciale dello Henan, illustrano la civiltà cinese in una delle epoche del suo massimo splendore. Tre sezioni, “La vita quotidiana”, ”Le credenze religiose”, “La porcellana dell’età dell’oro”, raccontano il modo di vivere rurale, lo stile urbano, la vita sociale, la musica, la religiosità, i rapporti con i “barbari”, come i cinesi chiamavano le genti venute da lontano, gli scambi con l’estero attraverso la Via della Seta. Che testimoniano lo straordinario clima di prosperità e di apertura culturale di questo periodo. La provincia dello Henan si trova in un’area pianeggiante al centro della Cina, la cosiddetta “Pianura Centrale” considerata all’epoca il “Centro del mondo” e cuore della civiltà cinese.
    Nel corso dei cinquemila anni di storia della Cina, oltre venti dinastie hanno stabilito qui la loro capitale. E’ stata la culla della dinastia Han (206 a.C. – 220 d. C.) a cui viene riconosciuto il merito di avere consolidato l’impero (fondato una quindicina d’anni prima da Ch’in Shih Huang-di, il Primo imperatore e committente dell’esercito di terracotta), fino alla dinastia Tang (581-907) che pose fine a quattro secoli di contese, restituendo all’immenso impero stabilità, armonia ed elevato tenore di vita. La mostra presenta, attraverso reperti archeologici rinvenuti nelle tombe, l’arte del periodo Han che celebra l’ambizione imperiale e la vita oltre la morte (vedi la “Veste di giada”), e l’”età dell’oro” dell’era Tang, durante la quale la Cina diventa il centro culturale dell’Asia Orientale, una potenza cosmopolita, che commercia con il mondo attraverso la Via della Seta. Nella prima sezione della rassegna, dedicata alla vita quotidiana, sono esposti una serie di modelli di raffinate residenze civili di epoca Han, edifici in legno a più piani e torrette di guardia, con un cortile attorno al quale erano disposti i padiglioni. In epoca Han è soprattutto l’agricoltura unita all’allevamento di animali domestici a sostenere la società, mentre in epoca Sui e Tang la capitale Luoyang diventa una metropoli internazionale. Alle abitazioni si affiancano modelli in ceramica di pozzi, granai, frantoi, porcili molto importanti al tempo. Il maiale infatti era simbolo di opulenza e si poteva consumare solo in occasione di feste e ricorrenze particolari. In epoca Han la società feudale comincia a delinearsi riconoscendo una maggiore libertà individuale. Come si vede in una piccola brocca in ceramica smaltata gialla che ricorda le chette per l’acqua, tipiche dei territori occidentali, decorata con una scena di musici e danzatori. Una maggiore libertà anche per le donne che appaiono vestite con abiti maschili, vanno a cavallo, si dedicano alla musica. Bellissime le otto suonatrici dalle elaborate pettinature, ognuna con un diverso strumento musicale, con gonne colorate, maniche strette e lunghi scialli, che accompagnano la festa in un banchetto. La più spettacolare è la sezione dedicate alle credenze religiose. Nel corso della sua storia la Cina è stata culla di tre grandi religioni: il Confucianesimo, il Taoismo e il Buddismo, dottrine che hanno avuto un’influenza profonda nel plasmare la cultura del paese. In epoca Sui e Tang (581 - 906) furono adottate politiche atte a favorire la coesistenza pacifica, stimolando lo sviluppo del pluralismo religioso.
    Il Confucianesimo, un sistema ideologico e culturale incentrato sull’etica, pilastro teorico dell’autorità della Cina feudale, fu imposto come dottrina di stato sotto l’imperatore Han Wudi (156 – 87 a.C.) e tale rimase fino alla fondazione della Repubblica cinese nel 1912. A partire dal periodo Han il Taoismo, nato nella Cina pre-imperiale, cominciò a trasformarsi da corrente filosofica a religione impregnata di misticismo. Il Buddhismo, proveniente dall’India, introdotto in Cina nel 64 d. C., che già nel 68 d.C. apriva il primo tempio detto del Cavallo Bianco a Luoyang, ebbe grande successo, influenzando non solo la sfera spirituale, ma anche gli usi, i costumi e la vita quotidiana delle persone. Con migliaia di templi, fra cui il Tempio di Shaolin, patria del Buddhismo Chan e luogo di origine delle arti marziali, il Tempio di Gongxian, l’unico tempio rupestre di tutta la Cina con immagine di imperatori che venerano il Buddha. Fra i pezzi in mostra il “Re del cielo” del Buddhismo, una statuetta di epoca Tang, scelta come logo della rassegna. Invocato nelle cerimonie funebri, tutore della legge, dall’aspetto feroce, è rappresentato con l’armatura degli ufficiali del tempo. Aveva la funzione di proteggere la tomba e scacciare gli spiriti maligni. Nelle epoche Han e Tang era diffusa la pratica di accompagnare i defunti anche con feticci che ricordassero simbolicamente la vita dell’estinto. Il tema dell’immortalità, strettamente connesso con le civiltà antiche, assume una particolare valenza nella “Veste di Giada” di Liang Xiaowang, ritrovata nel 1986 nel sito sepolcrale del monte Xi. Secondo la dottrina taoista la giada aveva il potere di preservare il corpo consentendo così la sopravvivenza dell’anima. Intorno al corpo del defunto è stata cucita una veste di oltre duemila tessere di giada di varie dimensioni e spessori. Usando il filo d’oro impiegato per gli imperatori. La rassegna si chiude con la Cina paese della seta, della porcellana e dei commerci col mondo intero attraverso la Via della seta, un reticolo che si sviluppa per circa ottomila chilometri, fra itinerari terrestri e fluviali attraverso cui vengono scambiati prodotti tra l’Impero Cinese e quello Romano a ovest, con il Giappone e la Corea a est e con l’India a Sud. Sono materie prime, stoffe, merci preziose, derrate alimentari, sottili e rare porcellane di cui per primo scrive Marco Polo nel Milione. E con esse circolano le idee e le persone, i “barbari” rappresentati con le loro fattezze. Bellissime le porcellane bianche, splendide quelle policrome. E poi ci sono cammelli e dromedari, le navi del deserto dell’antichità. Nell’ultima sala monete d’argento dell’Impero Sasanide e una moneta d’oro dell’Impero bizantino coniata fra il 491 e il 518 d. C., rinvenuta in una sepoltura, documentano i rapporti fra paesi lontani. Del resto nel 97 d. C. dagli Han era stato inviato un emissario a Roma e nel 166 d. C. una delegazione di funzionari romani aveva raggiunto Luoyang. (Laura Gigliotti, www.quotidianoarte.it/)


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    nformazioni Evento:

    Data Inizio: 16 luglio 2015
    Data Fine: 28 febbraio 2016
    Prenotazione:Facoltativa
    Luogo: Roma, Palazzo Venezia
    Orario: dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle 19.00; lunedì chiuso
    Telefono: 0669994347 - 066893806
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.tesoridellacinaimperiale.it

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    LA STORIA DEL DUOMO E
    DELLA VENERANDA FABBRICA DIVENTA UNO SPETTACOLO


    dal 3 AL 10 agosto 2015



    La storia della Veneranda Fabbrica del Duomo diventa uno spettacolo di prosa (regia di Andrea Chiodi e testi di Angela Demattè) che dal 3 al 10 agosto avrà otto repliche sul migliore dei palchi possibili: le Terrazze della Cattedrale milanese oggetto della narrazione.

    “Lungh ‘me la Fabrica del Domm”, riavvolge il filo della storia fino a risalire i Navigli sui barconi insieme al marmo che divenne monumento nelle mani di scalpellini e artigiani al servizio di un’impresa che attraversa le generazioni.

    Dare voce a quanti hanno contribuito a forgiare il complesso nell’arco dei secoli, tramandando conoscenze, saperi, talenti e il rapporto con la materia, è la più recente delle iniziative speciali con cui la cattedrale si è impegnata a celebrare il semestre Expo anche aprendo ai visitatori percorsi inediti e flettendo gli orari per garantire la maggior copertura possibile.

    Tra le guglie e la Madonnina, in uno scenario particolarmente suggestivo, il Duomo frugherà nei cassetti della memoria e farà luce sulle proprie origini sintetizzando in un format originale la visita guidata e il teatro, e coinvolgendo nello spettacolo anche operai e scalpellini attualmente al servizio della Veneranda Fabbrica.
    (www.arte.it)

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    POMERIUM


    dal 18 al 30 agosto 2015



    Se risaliamo al significato che il termine limite (peras) possedeva presso i greci, riscopriamo un'area semantica oggi meno immediata rispetto ad altre accezioni. Il peras indicava ciò che determina una cosa, e quindi ciò che fa essere una cosa quello che è, la sua essenza. Limitare è un atto di definizione; un segno che separa un dentro da un fuori, dove la stessa etimologia della parola segno ci riconduce al significato di "dare forma" e "dare inizio a".
    Nella sua Naturalis Historia, Plinio il Vecchio narra che la figlia del vasaio Butade Sicionio, innamorata di un giovane in procinto di partire per un viaggio senza ritorno, tratteggiò su un muro il contorno dell'ombra del suo volto, così da fissarne per sempre l'immagine. Il disegno sulla parete, la linea chiusa della figura, è il confine sul quale nasce l'opera d'arte perché è il confine tra la realtà e la sua rappresentazione, tra l'uomo e il mondo. Si tratta della medesima funzione svolta da un'altra soglia centrale nella riflessione sullo statuto della rappresentazione occidentale, la cornice del quadro. Il perimetro della cornice separa l'immagine da tutto ciò che non è immagine, definendo quanto da essa inquadrato come mondo significante, rispetto al fuoricornice, che è il mondo del semplice vissuto (V. Stoichita). La cornice simboleggia l'unità autosufficiente dell'opera e la sua alterità rispetto al mondo circostante (G. Simmel) ed è il luogo dove avviene il problematico passaggio dalla realtà alla finzione (J. Ortega y Gasset).
    In termini sociologici, la creazione di spazi chiusi costituisce la manifestazione più arcaica del controllo dell'uomo sull'ambiente in cui vive. L'atto con cui si stabiliscono dei limiti e si pongono dei confini è anche l'atto con cui si genera un'identità.
    Un altro mito di fondazione stretta-
    mente connesso alla funzione di divisione e regola-
    mentazione della linea chiusa è quello che descrive la nascita dell'urbe. Presso le antiche popolazioni italiche, dagli Etruschi ai Romani, il momento di fondazione di una città era preceduto dalla delimitazione rituale dei suoi confini per mezzo di una linea sacra, tracciata nel suolo con il vomero dell'aratro e interrotta dove si sarebbero dovute aprire le porte d'ingresso. Su questa linea veniva eretta la cinta muraria e, a suo ridosso, veniva istituito il pomerium, da postmoerium, al di là del muro: un intervallo di terra né percorribile, né arabile, né edificabile; uno spazio puro e scevro da ogni contaminazione umana; una preziosa pausa di sospensione riservata esclusivamente agli dei protettori dell'urbe. Il pomerio costituiva il limite di demarcazione fra due mondi, l'urbs, luogo della pace e degli auspici urbani, e l'ager, la dimensione della guerra.
    Esso sottolineava l'importanza della riconoscibilità del recinto, il carattere non puramente simbolico ma religioso della soglia di passaggio e perciò la pericolosità del suo attraversamento senza il rispetto di precise regole e accorgimenti. Nella mitologia romana, è il valore sacrale del pomerium, violato dal salto di Remo, a spingere Romolo al fratricidio.
    Dove risiede il pomerio contemporaneo? Cos'è mutato da quando i recinti sono sopravvissuti quali segni laici e civili? A cosa danno forma le attuali linee di confine?
    Martin Heidegger ha scritto che "il poeta deve avere il suo soggiorno alla frontiera [...] affinché possa venire a lui ciò che avviene".
    Gli artisti in mostra sono come il poeta heideggeriano: chiamati a interrogarsi sullo spazio della città inteso quale cornice della nostra attualità, situano il loro sguardo sull'orizzonte privilegiato della frontiera dell'arte.
    Artisti: Franco Ariaudo, Mattia Barbieri e Monica Mazzone, Mirko Canesi, Paolo Carta, Cristina Meloni, Ambra Pittoni, Cosimo Veneziano.
    (www.arte.it)



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    MILANO
    LUOGO: Fabbrica del Vapore
    CURATORI: Laura Vittoria Cherchi
    ENTI PROMOTORI:
    MIBACT
    GAI (Giovani Artisti Italiani)
    Regione Sardegna
    Città di Cagliari
    Città di Sassari
    MEME - arte contemporanea e prossima Cagliari
    LEM - Laboratorio Estetica Moderna Sassari
    Cherimus Cagliari
    Galleria Capitol Cagliari
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 02 88464102
    E-MAIL INFO: [email protected]
    SITO UFFICIALE: www.progettocittaideale.com
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    PEREGRINATIO SANCTA.
    LE BOLLE DEI GIUBILEI DALL'ARCHIVIO SEGRETO VATICANO


    Dal 04 Maggio al 31 Luglio 2016



    "Peregrinatio Sancta. Le Bolle dei Giubilei dall'Archivio Segreto Vaticano" è un'esposizione unica che raccoglie le Bolle dei Giubilei, dal primo Giubileo della storia indetto da papa Bonifacio VIII nel 1300 fino all'ultimo Grande Giubileo indetto da Giovanni Paolo II nel 2000.
    Organizzata dall'Opera Romana Pellegrinaggi la mostra rende visibili per la prima volta al pubblico le bolle di indizione dei Giubilei Ordinari conservate presso l'Archivio Segreto Vaticano. Di norma questi documenti non sono accessibili ma in occasione del Giubileo Straordinario della Misericordia, indetto da papa Francesco, è possibile ammirare le bolle originali e scoprirne il significato e l'importanza dal punto di vista storico. In esposizione anche tre bolle conservate presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e un incunabolo conservato presso la Biblioteca Casanatense.


    Dal 04 Maggio 2016 al 31 Luglio 2016
    ROMA
    LUOGO: Palazzo del Vicariato Vecchio
    ENTI PROMOTORI:
    ORP - Opera Romana Pellegrinaggi
    Archivum Secretum Vaticanum
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 06 698961
    SITO UFFICIALE: www.operaromanapellegrinaggi.org
     
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    SCOPERTURA STRAORDINARIA
    DEL PAVIMENTO DEL DUOMO DI SIENA

    IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

    dal 29 giugno al 31 luglio
    dal 18 agosto al 26 ottobre 2016


    «Ivi dimando Misericordia», questa è l’iscrizione, significativa per la tematica giubilare, presente nella tarsia collocata dietro l’altare maggiore del Duomo e che si unisce ai quattro tondi allegorici raffiguranti le virtù cardinali.

    In occasione dell’Anno Santo, L’Opera della Metropolitana di Siena, intende offrire ai visitatori di tutto il mondo una grande opportunità, la scopertura del Pavimento del Duomo di Siena dal prossimo 29 giugno fino al 31 luglio, che si aggiunge a quella consueta dal 18 agosto fino al 26 ottobre. Si tratta della prima occasione di visita al pavimento anche nei giorni del Palio dedicato alla Madonna di Provenzano, un’ulteriore opportunità per i numerosi visitatori presenti in città per la Festa senese.

    L’iniziativa va a valorizzare il percorso giubilare Maria Mater Gratiae, Mater Misericordiae già attivo presso il Complesso museale del Duomo di Siena e che vede come opera simbolo La Madonna col Bambino e quattro cherubini di Donatello.
    La magnifica Cattedrale di Siena conserva il Pavimento a commesso marmoreo, un capolavoro unico, non solo per la tecnica utilizzata e la sua organicità, ma anche per il messaggio delle figurazioni, un invito costante alla ricerca della Sapienza.
    Abitualmente, il prezioso tappeto di marmo è protetto dal calpestio dei fedeli, ma ogni anno, per alcuni mesi, viene “scoperto” all’ammirazione costante e in progressiva crescita dei visitatori. È il risultato di un complesso programma iconografico realizzato attraverso i secoli, a partire dal Trecento fino all’Ottocento. La tecnica adoperata durante i secoli passati è quella del graffito e del commesso con marmi di provenienza locale come il broccatello giallo, il grigio della Montagnola, il verde di Crevole e il rosso di Gerfalco.


    I cartoni preparatori per le cinquantasei tarsie furono disegnati da importanti artisti, quasi tutti “senesi”, fra cui il Sassetta, Domenico di Bartolo, Matteo di Giovanni, Domenico Beccafumi, oltre che da un pittore “forestiero” come l’umbro Pinturicchio, autore, nel 1505-1506, del celebre riquadro con il Monte della Sapienza, raffigurazione simbolica della via verso la Virtù come raggiungimento della serenità interiore.

    Il percorso completo nel Complesso monumentale del Duomo di Siena permette, oltre alla visita del Pavimento in cattedrale, quella al Museo dell’Opera ove si potranno ammirare, nella Sala delle Statue, i mosaici con i simboli delle città alleate di Siena e le tarsie originali di Antonio Federighi con le Sette età dell’Uomo. Nella Sala dei Cartoni, il cui ingresso fiancheggia la magnifica Maestà di Duccio, è visibile la celebre pianta del Pavimento del Duomo delineata da Giovanni Paciarelli nel 1884, che consente di avere un quadro d’insieme delle figurazioni e dell’itinerario che, dall’ingresso, conduce fino all’altar maggiore.


    .............
    La visita al pavimento può essere effettuata con:
    audiovideoguide multimediali che permettono l’ascolto del testo-guida e la visione dei particolari delle tarsie;
    visite con guide autorizzate;

    Il catalogo Virginis templum edito da Sillabe presenta il percorso iconografico del Pavimento oltre a una panoramica di tutto il Complesso del Duomo.


    Orari di apertura
    Dal lunedì al sabato 10:30-19
    Domenica 9:30-18
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    SIENA
    LUOGO: Duomo di Siena
    COSTO DEL BIGLIETTO: Opa Si Pass all inclusive ticket € 15. Cattedrale, Pavimento e Libreria Piccolomini intero € 7, ridotto scuole € 5, ridotto gruppi più di 15 pax € 5. Porta del Cielo € 15. Opa Si Pass Plus (Porta del Cielo + Opa Si Pass all inclusive) € 20. Diritti di prenotazione € 1
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 0577 286300
    E-MAIL INFO: [email protected]
     
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    "È, quello giapponese della scultura lignea buddhista, un vertice assoluto dell’ arte e questo punto è determinante per cercare una piena comprensione di questa stagione lunga e gloriosa di cui ancora molto resta a documentare una storia che ha ancora molto da insegnarci."
    (Claudio Strinati)


    Capolavori della scultura Buddhista giapponese


    dal 29 luglio al 4 settembre 2016



    Ventuno opere summe (per un totale di 35 pezzi), che spaziano dal periodo Asuka (VII-VIII secolo) al periodo Kamakura (1185-1333), saranno esposte per la prima volta in Italia; tradizionalmente considerate come immagini di culto, molte di queste opere sono difficilmente trasportabili e, anche in Giappone, non sono facilmente accessibili, perché esposte nella semioscurità di templi e santuari o protette in collezioni di grandi musei nazionali

    La scultura lignea, fiorente anche nella tradizione occidentale, è tecnica suprema nella tradizione buddhista consentendo agli scultori una espressività senza confronto con qualunque altra stagione dell’arte universale. Sono opere che ci parlano di una cultura solidissima nelle sue affermazioni e di una potenza creativa formidabile, che assumono per il visitatore italiano il significato di un incontro e di un dialogo serrato e diretto: ogni opera richiama stati di consapevolezza e sentimenti diversi, come la meditazione e l’azione, la quiete o l’ira, la comprensione o la paura.
    La scultura buddhista, insieme alla scrittura e agli insegnamenti buddhisti, fu introdotta in Giappone dalla Cina, attraverso la penisola coreana, tra il VI e il VII secolo; a partire dal X secolo conobbe uno sviluppo sempre più originale rispetto ai modelli continentali, sia nei temi che nelle forme, trovando il suo culmine nell’arte del tardo periodo Heian (794-1185), l’epoca della corte imperiale di Kyoto, che esaltò la grazia come supremo valore espressivo utilizzando il legno come materia prima; in seguito, con la vittoria del potere militare sulla corte, a partire dall’epoca Kamakura (1185-1333), si affermò una scultura realistica e vigorosa, essenziale nelle forme, che ben rispondeva agli ideali samuraici e alla filosofia legata al buddhismo zen che si stava allora diffondendo: una ricchezza che rende la scultura di quest’epoca la summa di tutta la scultura giapponese.

    La ricerca spirituale è una delle caratteristiche fondamentali dell’estetica giapponese e, nel caso della scultura, il risultato è particolarmente evidente. Le opere scultoree presenti in mostra esprimono scuole di buddhismo e insegnamenti differenti, sono legate alla funzione rituale e allo stile del tempio che le ospita, richiamando caratteristiche ed emozioni diverse a seconda della figura rappresentata: la calma e semplicità estreme, il sorriso che affiora sul volto enigmatico del Buddha assiso in meditazione; la ricchezza di vesti, acconciature, gioielli e l’eleganza - ancora legata alla moda di principi indiani - dei bodhisattava che lo assistono, il realismo e la vividezza espressiva di figure di maestri e patriarchi.
    (www.scuderiequirinale.it/)

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    Roma, Scuderie del Quirinale
    Biglietti
    Intero € 8,00
    Ridotto € 6,00
    Ridotto 7-18 anni € 4,00
    Ingresso gratuito fino ai 6 anni
     
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    MERAVIGLIE DEGLI ZAR.
    CAPOLAVORI DEI ROMANOV
    DAL PALAZZO IMPERIALE DI PETERHOF


    Dal 16 Luglio 2016 al 08 Gennaio 2017

    La mostra presenta 150 tra opere d’arte, quadri, ritratti, abiti, argenti, porcellane, arazzi ed oggetti preziosi vari provenienti dal Palazzo Imperiale di Peterhof, una delle più importanti e prestigiose residenze dei Romanov ed oggi meta principale del turismo culturale in Russia.

    Proiezioni di video, immagini e un centinaio di opere tra abiti, dipinti, porcellane, arazzi e oggetti preziosi provenienti dalla residenza di Peterhof rievocano una delle più importanti e prestigiose residenze estive dei Romanov: 430 ettari di parco, più di 150 fontane che sfruttano le caratteristiche naturali del paesaggio, 33 musei ospitati.
    Il primo palazzo di Peterhof, situato in un grande parco sulle rive del golfo di Finlandia nelle vicinanze di San Pietroburgo, fu costruito da Pietro il Grande, a inizio del 1700 : al primo palazzo, inaugurato nel 1723, si aggiunsero altre importanti costruzioni, meravigliosi giardini con fontane volute dai successivi sovrani russi da Caterina la Grande fino a Nicola II.

    La mostra si apre con la presentazione di Peterhof e dei personaggi che vi abitarono; prosegue con una selezione degli oggetti acquistati dai Romanov in Europa durante i loro spettacolari Gran Tour e con quelli commissionati dagli Zar agli artisti e artigiani russi, a testimonianza dello sfarzo della corte russa e dei rapporti intercorsi nel tempo tra i Romanov e i Savoia. Nel 1782 il futuro Zar Paolo I visitò Torino e la Venaria Reale dove, nel 1857, furono ospitati i granduchi Michele e Costantino, figli dell’imperatore Nicola I. L’ultimo incontro ufficiale con i Savoia avvenne nel 1909 quando lo Zar Nicola II fece visita a Vittorio Emanuele nel Castello di Racconigi.
    La mostra si compone di una prima sezione dedicata ai ritratti e ai troni degli Zar, prosegue con una selezione significativa degli oggetti acquistati dai Romanov in Europa durante i loro spettacolari Gran tour, si conclude con la rappresentazione della migliore produzione artistica ed artigianale realizzata dagli artisti e dalle manifatture russe per i loro sovrani.

    In collaborazione con The Peterhof State Museum-Reserve, San Pietroburgo




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    VENARIA REALE | TORINO
    LUOGO: Reggia di Venaria Reale
    CURATORI: Elena Kalninskaia
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 011 4992333
    E-MAIL INFO: [email protected]
    SITO UFFICIALE: www.lavenaria.it
     
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    PROFUMI DI STORIA


    dal 16 settembre 2016 al 26 febbraio 2017




    La storia, quella con la S maiuscola, non è fatta solo di battaglie, incoronazioni e altri grandi eventi. È fatta anche di profumi. Chissà, ad esempio, se la Storia sarebbe stata la stessa nel caso in cui Cleopatra non avesse usato i suoi mitici unguenti profumati! Via via, il profumo è stato ed è, strumento di seduzione, medium per subliminali messaggi, fragranza in grado di avvicinare alla divinità, ma anche modo per occultare l’olezzo di corpi mai lavati e di ambienti dove l’igiene non aveva casa.
    Di tutto questo da conto l’affascinante mostra “Profumi di storia” che il Comune di Fratta Polesine, l’Università degli Studi di Ferrara e il Polo Museale Veneto con la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo propongono negli ambienti del Museo Nazionale Archeologico (recentemente riallestito) nella palladiana Villa Badoer. Alla realizzazione della mostra collabora la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
    L’esposizione, curata da Federica Gonzato con Chiara Beatrice Vicentini, Silvia Vertuani e Stefano Manfredini, dipana diversissime storie, tutte incentrate sul profumo e sull’arte profumiera.
    In mostra tremila anni di profumi, attraverso i loro contenitori: da quelli – aryballoi, alabastra e lekythoi – preziosissimi in alabastro, pasta vitrea o ceramica decorata dell’età greca e romana, a quelli più recenti, dove cominciano a “pesare” i marchi della grande profumeria planetaria di oggi. Insieme a oggetti, libri, antichi formulari e farmacopee, strumenti multimediali ed esperienze sensoriali.
    La mostra non offre solo reperti e documenti rarissimi, ma garantisce anche sensazioni e esperienze coinvolgenti. Tutti, ad esempio, potranno cimentarsi come “nasi”, alla scoperta delle diverse essenze e immaginando le loro composizioni, facendo appunto ciò che fanno i maghi della profumeria.
    Si annuseranno essenze diversissime, nella quasi totalità di origine vegetale. Compresa quella della mitica Rosa Centifolia, la varietà che, coltivata a Grasse in Provenza, offre la fragranza che rende unico Chanel n. 5. La casa profumiera parigina ha l’opzione sull’intera produzione della famiglia Muol, il miglior produttore di Centifolia, per i prossimi 100 anni. Per ottenere 1,5 chili di essenza vengono sacrificate centinaia di migliaia di rose, per l’esattezza una tonnellata di petali, per un controvalore economico a molti zeri.
    L’olio essenziale della rosa di Taif è il più costoso al mondo e se ne producono solamente 16 kg all’anno al costo di oltre 50 mila euro al chilo. La produzione è destinata in gran parte al Re della Arabia Saudita.
    Nulla di nuovo in questo: i profumi e l’arte profumiera hanno sempre affascinato le famiglie reali e principesche. Questa passione contagiò, tra le tante, Caterina Sforza e Caterina de’ Medici, ma soprattutto Isabella d’Este marchesa di Mantova, che nella città lombarda frequentava il suo rinomato laboratorio di profumeria, componendo lei stessa le preziose essenze”.
    Venezia era una capitale dei profumi. Qui venivano fatte arrivare le essenze più rare, provenienti da paesi lontanissimi. Qui operavano celebri “essenzieri”: Qui, non a caso, venne edito “I Notandissimi Secreti de l’Arte Profumatoria”. Correva l’anno 1555 ed era, per l’Occidente, il primo ricettario ufficiale dell’arte cosmetica.
    (www.archeomedia.net/)


    ----------------
    Info:
    Fratta Polesine, Museo Nazionale Archeologico, dal 17 settembre 2016 al 26 febbraio 2017
    www.comune.frattapolesine.ro.it/museo-archeologico-nazionale.html
    Ufficio Stampa:
    Studio ESSECI, Sergio Campagnolo tel. 049.663499 [email protected]
     
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    LA MONACA DI MONZA

    Dal 01 Ottobre 2016 al 19 Febbraio 2017


    Dal 1 ottobre 2016 al 19 febbraio 2017 le sale del Serrone della Villa Reale della Reggia di Monza ospiteranno la mostra dedicata alla figura storica di Marianna De Leyva, meglio nota come la monaca di Monza.

    Per la prima volta e proprio nella città di Monza, il luogo simbolo per le vicende storiche di Marianna e manzoniane di Virginia, sarà presentato un progetto espositivo che propone un percorso di conoscenza inedito della monaca tra verità storica e trasposizione letteraria, per proseguire con una sezione, di notevole interesse didattico, diretta ad indagare il tema delle malmonacate nella storia.

    Marianna de Leyva, in religione Suor Maria Virginia, vive a cavallo tra 1500 e il 1600; la sua è un’esistenza tormentata che si intreccia con la vita e la cultura della Milano del Seicento. Per volere della famiglia è costretta a farsi Monaca ed entrare nel convento di Santa Margherita a Monza. Poco più che ventenne, per scelta del padre, è nominata contessa di Monza, da cui l’appellativo “Signora”. Amministrando virtuosamente la città, guadagna il rispetto e la benevolenza dei suoi concittadini. In seguito l’incontro con Gian Paolo Osio che diventa il suo amante e la porterà alla perdizione; con lui condividerà il segreto di efferati delitti. Sottoposta a processo ecclesiastico e costretta alla prigionia inizia un percorso spirituale di redenzione scegliendo la solitudine e il pentimento nella vita conventuale, la “verace penitenza”: un’espiazione dolorosa e convinta.

    Grazie ad un allestimento immersivo ed emozionante, il percorso espositivo presenta una selezione di importanti dipinti, incisioni, documenti, suggestivi video e originali illustrazioni create ad hoc per la mostra al fine di indagare la vita, la storia, le passioni di uno dei più importanti personaggi manzoniani, ma anche il tema della condizione femminile nella prima età moderna.

    Attraverso le opere pittoriche - provenienti da prestigiose sedi tra le quali la GAM di Milano, l’Accademia di Brera, i Musei Civici di Pavia, i Musei Civici di Brescia, le Civiche Raccolte Grafiche e Fotografiche e il Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano, i Musei Civici di Monza, l’Archivio Diocesano di Milano, la Casa Manzoni - sarà affrontato il tema dell’ingresso in convento come espediente economico adottato dalle famiglie dell’epoca per limitare la dispersione del patrimonio. I dipinti mostreranno anche la realtà del mondo conventuale, la disperazione delle monache talora ma anche le strategie pensate per vivere la loro condizione al meglio come il rapporto con la natura.

    Un compendio grafico, con illustrazioni realizzate da Jacopo Vecchio e Amalia Mora, farà leva sui momenti meno noti della storia di Gertrude e sul tema della malmonacazione in letteratura.
    Nella sala della rotonda dell’Appiani il pubblico potrà assistere, attraverso dei contributi video, alla ricostruzione del processo che condannò la Monaca ad essere “murata viva”.
    I video - realizzati in collaborazione con la compagnia teatrale La Sarabanda - riporteranno le testimonianze più significative estratte dagli atti originali delle fasi processuali esposti lungo il percorso.

    “La monaca di Monza”, a cura di Simona Bartolena e Lorenza Tonani, è un progetto promosso dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, prodotto e organizzato da ViDi in collaborazione con la Fondazione Gaiani e il Comune di Monza.

    La mostra si inserisce nel programma delle celebrazioni Sulle Tracce della monaca di Monza che coinvolgerà tutta la città con mostre, spettacoli teatrali, incontri e itinerari per celebrare questo straordinario personaggio.
    (www.arte.it)


    ............
    Orari
    Lunedì chiuso
    Dal martedi al venerdì: 10.00-13.00 / 14.00-18.00 Sabato, Domenica e festivi: 10.00-19.30
    La biglietteria chiude un’ora prima


    MONZA | MILANO
    LUOGO: Reggia di Monza
    CURATORI: Simona Bartolena, Lorenza Tonani
    ENTI PROMOTORI:
    Consorzio Villa Reale e Parco di Monza
    COSTO DEL BIGLIETTO: intero € 10, ridotto € 8, scuole € 5
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 02 36638600
    SITO UFFICIALE: www.reggiadimonza.it/lamonacadimonza
     
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    ‘Carthago. Il mito immortale’

    dal 27 settembre al 29 marzo 2020


    sito-parco-colosseo

    Roma e Cartagine smettono di essere nemiche e ritrovano un dialogo perso tra stereotipi e false leggende. Una mostra al Parco archeologico del Colosseo restituisce finalmente la grandezza di una tra le città più potenti e affascinanti del mondo antico, ripercorrendone la storia dalla fondazione dell’Oriente fenicio. ‘Carthago. Il mito immortale’, questo il titolo dell’esposizione che sarà visitabile dal 27 settembre al 29 marzo 2020, si snoda nei monumentali spazi del Colosseo e del Foro romano, nel tempio di Romolo e nella Rampa imperiale, lungo 409 reperti provenienti da musei italiani e stranieri, tra cui il museo del Bardo di Tunisi.
    “Ancora oggi Cartagine evoca un nemico di Roma e dell’Occidente perché è vista attraverso fonti letterarie romane. Tanti stereotipi del passato hanno rafforzato questa idea di alterità, ma nel corso degli ultimi decenni la ricerca e gli scavi ci hanno dato una prospettiva diversa, avviando una riflessione che supera i luoghi comuni. Per questo, ci è sembrato il momento giusto per organizzare questa mostra e dare una nuova visione”, ha spiegato il direttore del Parco, Alfonsina Russo, che ha curato l’esposizione insieme a Francesca Guarnieri, Paolo Xella, José Angel Zamora Lopez, Martina Almonte e Federica Rinaldi. “Proprio in un’epoca in cui c’è la necessità di integrazione e di accoglienza- ha detto ancora Russo- abbiamo voluto ricostruire il dialogo che Roma e Cartagine hanno portato avanti per secoli, un aspetto si straordinaria attualità che vuole essere il principale messaggio di questa mostra”.
    Tra le opere in mostra, il Sarcofago della sacerdotessa alata che accoglie i visitatori all’inizio del percorso e i rostri, straordinaria testimonianza della battaglia delle Egadi, rinvenuti recentemente intorno all’isola di Levanzo dall’archeologo Sebastiano Tusa, scomparso in un incidente aereo e al quale la mostra è dedicata, e restaurati dall’Istituto superiore per la conservazione e il restauro.
    Organizzata da Electa, ‘Carthago’ parte dalle origini orientali con diverse sezioni dedicate alle citta’ fondate dai fenici, tra cui Cartagine, ma anche alla loro capacita’ commerciale e artigianale, la produzione della porpora, l’invenzione dell’alfabeto e l’espansione nel Mediterraneo. “Negli ultimi trent’anni le ricerche hanno registrato un progresso sensazionale- ha spiegato Paolo Xella, tra i curatori della mostra- C’era la necessita’ di trasmettere fuori dall’accademia queste conoscenze, confluite in una esposizione che vuole presentare una cultura ricca nel suo dispiegamento”. Eppure, fino a oggi i cliche’ vogliono i cartaginesi come commercianti astuti, pronti ad approfittare delle circostanze. Emblema e’ la ricostruzione del Moloch del film Cabiria che campeggia all’ingresso del Colosseo: “Una figura mostruosa che si pensava essere una divinita’ cartaginese, ma si tratta di un personaggio che non corrisponde alla realta’”, ha detto ancora Xella. Articolata secondo un criterio storico, ‘Carthago’ racconta aspetti della vita quotidiana, del culto, della dieta e dell’urbanistica, ma anche del rapporto con il Mediterraneo, altro grande protagonista a cui e’ dedicato lo spazio nel Tempio di Romolo curato da Martina Alimonte. Immancabile il rapporto con Roma, ma con uno sguardo che va oltre le guerre puniche e attraversa la complessita’ degli scambi culturali messi in atto tra le due citta’. La Rampa imperiale ospita infine il racconto di una Cartagine romana e monumentale attraverso i temi dell’edilizia pubblica e dell’edilizia privata. Curata da Federica Rinaldi, la sezione chiude la mostra con la Dama di Cartagine, una figura “tanto ieratica nella sua forma quanto enigmatica nella sua sostanza, ne’ uomo ne’ donna- ha spiegato Rinaldi- che si pensa possa rappresentare la citta’”.
    Centoventi preziosi reperti siciliani, provenienti da sei musei dell’Isola, ‘illumineranno’ per sei mesi la mostra ‘Carthago: il mito immortale’ al Parco archeologico del Colosseo di Roma.
    La Sicilia sarà protagonista nella sezione ‘Cartagine e Roma’, dedicata alle guerre puniche, con i reperti subacquei provenienti dallo specchio di mare a nord-ovest dell’isola di Levanzo, dove la flotta romana, il 10 marzo del 241 avanti Cristo, sconfisse quella cartaginese. I reperti in mostra appartengono alle collezioni di Soprintendenza del mare, Soprintendenza dei beni culturali di Trapani e dei Musei del Satiro di Mazara del Vallo, ‘Paolo Orsi’ di Siracusa, ‘Lilibeo’ di Marsala e ‘Salinas’ di Palermo. Tra gli importanti oggetti che la Regione Siciliana, tramite l’assessorato dei Beni Culturali, ha prestato figurano alcuni rostri di navi che hanno combattuto la battaglia delle Egadi, ceppi di ancore, elmi di bronzo, anfore, statuette votive, piatti punici, ritratti di imperatori romani e urne cinerarie.
    “Si tratta – sottolinea il governatore Nello Musumeci – di una collaborazione avviata dalla Regione con il Parco archeologico del Colosseo, con l’intento di valorizzare il ricco patrimonio culturale dell’Isola e che, grazie a eventi di respiro internazionale come questo, pone la Sicilia in un contesto culturale mondiale. L’inserimento dei reperti archeologici ritrovati e custoditi nella nostra regione all’interno della mostra su Cartagine è il coronamento di un percorso che aveva fortemente voluto Sebastiano Tusa, che nello scorso gennaio aveva accettato di far parte del Comitato scientifico dell’esposizione di Roma. La ricerca delle tracce e la scoperta di testimonianze della presenza punica nelle acque che circondano la nostra Isola furono oggetto del costante lavoro di minuziosa indagine condotto da Tusa. L’esposizione di questi reperti alla mostra di Roma è un doveroso omaggio alla sua memoria e motivo di orgoglio per la Sicilia“.
    www.dire.it

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    Un viaggio nel tempo con "la sacerdotessa alata", le ricche vesti drappeggiate e l'acconciatura fiera e regale scolpita sul suo sarcofago, per scoprire Carthago. Il mito immortale da oggi al 29 marzo negli spazi del Colosseo, del Foro Romano, nel Tempio di Romolo e nella Rampa Imperiale con oltre 400 reperti provenienti da musei italiani e stranieri, inedite ricostruzioni e installazioni multimediali. Le leggende e la storia si intrecciano indissolubilmente nella mostra, con la regina Didone-Elissa, figura mitologica narrata da Virgilio, che la descrive come fondatrice e prima regina di Cartagine, ed Enea, del quale si innamora, anche se questo amore sembra un'invenzione degli autori latini. Nelle versioni più antiche la regina, sorella di Pigmalione, re di Tiro, sposa lo zio e fugge a Cipro e dopo in Africa, suicidandosi, e poi la figura emblematica del condottiero Annibale. Un percorso dove le città più potenti del mondo antico, Roma e Cartagine, nemiche - amiche, svelano tutti i segreti, dal fascino alla potenza, nella prima grande esposizione interamente dedicata a loro, fra monili in oro, raffinate corazze in bronzo con scolpito il volto di una dea guerriera, maschere ghignanti, uova di struzzo dipinte, vasi in vetro, statue in terracotta, anfore e sofisticati scarabei- gioiello.

    Oltre 400 reperti, tra prestiti delle maggiori istituzioni museali del Mediterraneo e anche qualche inedito per raccontare "l'altra" Cartagine e il suo lungo rapporto con Roma: è Carthago. Il mito immortale, prima grande mostra interamente dedicata a una delle più potenti e affascinanti civiltà del mondo antico, fino al 29 marzo negli spazi del Colosseo e del Foro Romano, nel tempio di Romolo e nella Rampa Imperiale. "Una mostra - racconta il direttore del Parco archeologico, Alfonsina Russo, curatrice dell'esposizione insieme a Francesca Guarnieri, Paolo Xella e José Angel Zamora Lopez con Martina Almonte e Federica Rinaldi - per superare gli stereotipi che il mondo moderno e contemporaneo ha dato a Cartagine, da sempre una città aperta sul Mediterraneo ma che ancora oggi viene vista come l'alterità, il nemico". Si, perchè Cartagine noi l'abbiamo sempre vista con gli occhi di Roma, raccontata dai Romani e dalle loro fonti letterarie. "Una prospettiva in realtà - spiega la Russo - molto condizionata dalla rivalità tra le due città". Ma proprio i più recenti scavi e le ricerche degli ultimi decenni hanno avviato una diversa riflessione. Tra opere d'arte, reperti archeologici, apparati multimediali, si va dalle origini fenicie della città nel IX secolo a.C. alla Cartagine cristiana del VI d.C,., ripercorrendo la storia della sua cultura e dei suoi abitanti, l'espansione nel Mediterraneo e la ricchezza degli scambi commerciali e culturali tra le guerre puniche e l'età augustea, il complesso processo di romanizzazione che portò Roma ad annientare la sua temibile rivale nel controllo dei mari nella battaglia delle Egadi (241 a.C) e ancora la nuova Colonia Concordia Iulia Carthago, città monumentale tra ricchissimi edifici e mosaici spettacolari. Leggi l'articolo

    La mostra curata da Alfonsina Russo, direttrice del parco archeologico del Colosseo, lega le vicende delle due città e la loro battaglia per il dominio dei mari, vinta da Roma nella battaglia delle Egadi. Con le guerre puniche ( dal 264 a. C. al 146 a.C.) Roma annienta Cartagine. La fine della seconda segnò il termine della potenza cartaginese mentre con la terza Publio Cornelio Scipione Emiliano distrusse la città. "In questo percorso, dal IX secolo avanti Cristo, dalle origini fenicie fino alla colonia romana nel VI secolo dopo Cristo, vogliamo superare gli stereotipi che il mondo moderno ha dato a Cartagine - racconta Russo - ancora oggi vista come l'alterità, il nemico. Andare oltre le guerre puniche e mettere in luce gli articolati rapporti politici e commerciali e il ruolo complementare di queste due potenze navali, decisivo per il Mediterraneo".
    I più recenti scavi (dalle Egadi reperti inediti, risultato dell'impegno della Soprintendenza del Mare siciliana) e le ricerche degli ultimi decenni (la mostra è dedicata all'archeologo Sebastiano Tusa e allo studioso Paolo Bernardini, entrambi scomparsi), hanno avviato una diversa riflessione, ripercorrendo il processo di romanizzazione del Mediterraneo, tra ricchezza di scambi commerciali e culturali, guerre sanguinose e la colonia Iulia Cartagho, città con ricchi edifici e mosaici. In questo affresco si snoda la mostra, divisa in quattro parti, dalle origini orientali, la Fenicia e le sue città, al Colosseo e nel Foro Romano, nel Tempio di Romolo si racconta il dominio cartaginese e lo scambio culturale mentre nella Rampa Imperiale si arriva alla colonia romana Iulia Carthago. Ad accogliere i visitatori la ricostruzione del Moloch del film Cabiria del 1914, divinità- mostro in realtà mai venerata dai cartaginesi.
    www.repubblica.it

     
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    Lewis W. Hine. American Kids

    Dal 08 Ottobre 2019 al 25 Gennaio 2020


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    COMUNICATO STAMPA:
    Come nel film di Sergio Leone “C’era una volta in America”: per il progetto History & Photography – La Storia raccontata dalla Fotografia, in anteprima nazionale a la Casa di Vetro di Milano apre al pubblico l’8 ottobre 2019 dalle 15.30 alle 22.00 l’esposizione “Lewis W. Hine. American Kids. ”, dedicata alle condizioni di vita e di lavoro dei figli degli immigrati (per lo più europei, e tra loro tantissimi italiani) e delle classi sociali più povere negli Stati Uniti dei primi del ‘900. In programma fino al 25 gennaio 2020, curata da Alessandro Luigi Perna e prodotta da Eff&Ci – Facciamo Cose di Federica Candela, la mostra si compone di circa 60 riproduzioni digitali da stampe originali selezionate tra le più belle immagini (tra cui molte poco conosciute) della collezione della National Child Labour Committee, la principale organizzazione privata senza fini di lucro protagonista del movimento nazionale di riforma del lavoro minorile negli Stati Uniti a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La sua missione era quella di promuovere "i diritti, la consapevolezza, la dignità, il benessere e l'educazione dei bambini e dei giovani in relazione al lavoro." A scattare le foto, oggi conservate alla Library of Congress, Lewis Wickes Hine, il celebre maestro americano della fotografia sociale, di ritratto e di reportage che ha ispirato i grandi autori americani degli anni ‘30 (in primisDorothea Lange) che hanno raccontato la Grande Depressione e il New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt.

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    IL PROGETTO HISTORY & PHOTOGRAPHY
    L’iniziativa fa parte di History & Photography (www.history-and-photography.com), un progetto rivolto al grande pubblico e a scuole e università che ha per obiettivi raccontare la storia con la fotografia (e la storia della fotografia), valorizzare gli archivi fotografici storici (e i relativi autori) sia dal punto di vista documentale che estetico, rendere le loro immagini fruibili a tutti e infine utilizzarle per supportare l’insegnamento della Storia Contemporanea sia dal vivo che via Internet. Ideatori, curatori e produttori del progetto H&P sono Alessandro Luigi Perna (www.alessandroluigiperna.com) e Eff&Ci – Facciamo Cose di Federica Candela (www.effeci-facciamocose.com).

    LA NOVITÀ: ANCHE I PRIVATI POSSONO “VISITARE” LA MOSTRA VIA WEB
    Una nuova modalità di fruizione della fotografia e delle esibizioni fotografiche offerta dalla tecnologia digitale: per la prima volta la mostra è “visitabile” via internet anche per i privati. È infatti possibile, per chi non può raggiungere la Casa di Vetro di Milano, visionare la selezione di immagini sugli schermi di casa propria in forma di fotogallery in slideshow manuale pagando un fee in base al numero di spettatori (costo minimo € 20,00 per n. 4 spettatori). La fotografia entra così nelle case del grande pubblico e diventa spettacolo culturale di intrattenimento quotidiano - come il cinema, la radio o la televisione – di cui godere da soli o in compagnia. Fa parte del pacchetto un pdf di approfondimento (lo stesso messo a disposizione in mostra) che racconta non solo le immagini ma anche il loro contesto.Con le stesse modalità è possibile anche vedere alcune delle precedenti mostre realizzate per il progetto H&P.

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    “UN UNICUM IN ITALIA”: L’INNOVATIVA OFFERTA WEB PER SCUOLE E UNIVERSITÀ
    A scuole e università il progetto History & Photography propone visite guidate, foto-proiezioni dal vivo (sia presso la sede espositiva che negli spazi scolastici) e l’innovativa possibilità offerta ai docenti di tutta Italia (per esempio a chi è impossibilitato a visitare l’esposizione con i propri allievi) di utilizzare in classe le foto in mostra per fare lezione (sia mentre è in corso che una volta terminata l’esposizione) visionandole in slide show sulle lavagne digitali. Le modalità di accesso alle immagini prevedono l’utilizzo di un un link riservato e di una password a tempo – una soluzione inedita per rendere concreto il concetto di scuola digitale e connessa. Per i suoi contenuti e i suoi aspetti innovativi in campo educational Rai Scuola ha definito il progetto History & Photography “un unicum in Italia (e forse nel mondo)” - http://www.raiscuola.rai.it/gallery-refres.../0/default.aspx.

    IN ESPOSIZIONE I FOTOREPORTAGE SOTTO COPERTURA DI HINE
    Lewis W. Hine realizza le immagini come fotografo investigativo per la NCLC (National Child Labour Committee) tra il 1908 e il 1924. Un lavoro pericoloso che spesso lo rende vittima di minacce di violenza o addirittura di morte da parte di vigilantes, capisquadra delle fabbriche e datori di lavoro della manodopera agricola. Per entrare in miniere e fabbriche, Hine spesso si spacciava per un vigile del fuoco, un venditore di cartoline o fotografo industriale che ritraeva macchinari. Le sue ricerche ci conducono attraverso un universo a se stante composto da giovani e giovanissimi impegnati nella lotta quotidiana per sopravvivere e continuare a inseguire il sogno americano. Un sogno che sembra essersi avvitato su se stesso. Il lavoro minorile infatti, sottopagato e perciò molto richiesto (il 18% della forza lavoro americana ai primi del ‘900 è composto da minori sotto i 16 anni), toglie opportunità ai padri che si ritrovano disoccupati e dipendenti dagli stipendi dei loro figli. Avviliti, frustrati, con la convinzione di essere dei falliti incapaci di mantenere le loro famiglie, quegli stessi padri abbandonano spesso il loro nucleo familiare, costringendo a nuovi sforzi proprio i loro figli, sempre più condannati a una dimensione lavorativa da adulti. Con una logica da fotoreporter, ma con un’estetica da ritrattista, Hine ci racconta la vita sul lavoro e in strada di milioni di ragazzini figli di immigrati e delle classi sociali più povere. Ci mostra infatti il lavoro nei campi, nelle fabbriche, nelle miniere, in strada, nelle case. Li segue mentre recuperano dalle discariche tutto ciò che può essere utile, da rivendere o da bruciare per riscaldarsi. Li riprende nelle scuole, quando hanno la fortuna di poterle frequentare. Indaga sui loro passatempi – i giochi sui marciapiedi, il cinema, il biliardo... E ce li fa infine vedere mentre rubano o stanno agli angoli delle strade in bande violente che si contendono i quartieri o si misurano tra loro quando le squadre di baseball preferite si ritrovano negli stadi, dando vita alla forma moderna di violenza tra tifoserie.

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    I MINORI ITALIANI IN USA
    In quell’America di inizio ‘900 presa d’assalto dai migranti europei, malvisti dalle classi sociali più povere di meno recente immigrazione, a essere protagonisti della criminalità sono proprio i ragazzi italiani. Dal 1876 al 1900 arrivano negli Stati Uniti circa 800.000 compatrioti. Ma nei primi quindici anni del nuovo secolo la loro presenza si intensifica fino ad arrivare a 3.500.000. Gli Italiani sono solo il 6,5 % della popolazione ma il 30% delle bande giovanili di quartiere, spesso molto violente, è composto proprio da nostri connazionali. Anche nei riformatori i nostri ragazzi raggiungono percentuali simili. Secondo un’inchiesta del 1904, tra i detenuti minorenni nati negli Stati Uniti, i ragazzi italiani rappresentano oltre il 28%, seguiti poi da Russi, Tedeschi e Canadesi. In maggioranza sono condannati per reati di lieve entità: ubriachezza, vagabondaggio e piccoli furti. A spingerli a trasgredire la legge è l’estrema povertà e le paghe spesso misere di lavori duri e precari. Molti poi sono i ragazzi giunti senza famiglia in America alla ricerca di opportunità che spesso non si presentano. Pochi poi sono i minori italiani che frequentano le scuole. A essere penalizzate sono soprattutto le bambine che rimangono a casa per aiutare le madri nei lavori a cottimo (per esempio il confezionamento di abiti). Ma anche i maschi disertano le scuole, spesso per la difficoltà a inserirsi e per le discriminazioni che subiscono – per il modo di parlare, di vestire... Secondo alcune ricerche dell’epoca, il 77% dei ragazzi italiani ha un ritardo scolastico di almeno un paio d’anni rispetto ai coetanei di altra provenienza – è la percentuale più grande tra gli immigrati europei. A subire maggiormente il razzismo della scuola americana verso i nuovi arrivati sono però i figli dei meridionali, considerati diversi da quelli provenienti da famiglie dell’Italia settentrionale e descritti come incapaci perché “mentalmente inferiori”. Altissima, secondo alcune ricerche, è poi tra gli Italiani immigrati la mortalità infantile sotto i 5 anni: si arriva a punte del 92,2 % contro una media cittadina del 51,5%. A uccidere di più sono morbillo e tubercolosi. E in particolare a essere colpite da quest’ultima malattia sono bambine e ragazze.


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    LEWIS WICKES HINE
    Sociologo e fotografo, Lewis Wickes Hine (26 settembre 1874 - 3 novembre 1940) usa la macchina fotografica come strumento di riforma sociale. Le sue fotografie sono risultate fondamentali per cambiare le leggi sul lavoro minorile negli Stati Uniti. A indirizzare il suo talento per le immagini è forse la storia personale: rimasto orfano del padre, riesce a frequentare l’Università solo perché lavora sin dall’adolescenza risparmiando i soldi per la sua formazione. Laureato in Sociologia, diventa insegnante a New York City presso la Ethical Culture School, dove incoraggia i suoi studenti a usare la fotografia come mezzo educativo. Conduce le sue lezioni utilizzando le fotografie che ritraggono le migliaia di immigrati che arrivavano ogni giorno nel porto di Ellis Island a New York. Giunto alla conclusione che la fotografia documentaria può essere uno strumento di cambiamento, nel 1907 diventa fotografo dello staff della Russell Sage Foundation, per la quale ritrae la vita nei distretti siderurgici di Pittsburgh, in Pennsylvania. Le sue immagini sono utilizzate per il famoso studio sociologico intitolato The Pittsburgh Survey. Nel 1908 Hine abbandona l’attività di insegnante e diventa il fotografo di punta della National Child Labour Committee (NCLC). Per quasi due decenni (interrompe la collaborazione nel 1924) contribuisce così alla lotta contro il lavoro minorile attraverso immagini che entrano nella Storia delle società contemporanee e della Fotografia. Negli anni della Prima Guerra Mondiale e del primo dopoguerra ritrae anche l’attività di assistenza in Europa della Croce Rossa americana. Dalla seconda metà degli anni '20 fino ai primi anni '30, realizza una serie di ritratti con l’obiettivo di mettere in risalto il contributo umano all'industria moderna. Nel 1930, il fotografo è incaricato di documentare la costruzione dell'Empire State Building. Un’impresa che prende molto sul serio assumendosi spesso, per realizzare le sue immagini, gli stessi rischi dei lavoratori che deve ritrarre. Anche in questo caso molte delle sue immagini sono passate alla storia e sono entrate nelle case di milioni di persone per generazioni sottoforma di poster. Durante la Grande Depressione, Hine ha lavorato di nuovo per la Croce Rossa, fotografando per la Tennessee Valley Authority (TVA) e documentando la vita sulle montagne del Tennessee orientale.




    MILANO
    LUOGO: La Casa di Vetro
    INDIRIZZO: via Luisa Sanfelice 3
    ORARI: Lunedì, mercoledì, venerdì, sabato dalle 15:30 alle 19:30 (ultimo ingresso alle 19); Martedì dalle 15.30 alle 22 (ultimo ingresso alle 21:30). Giovedì e domenica chiusa
    CURATORI: Alessandro Luigi Perna
    COSTO DEL BIGLIETTO: Ingresso € 5. Visite guidate € 8 (minimo gruppi di 8 persone). Foto-proiezioni commentate € 10 (minimo gruppi di 15 persone)
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 02.55019565
    SITO UFFICIALE: www.lacasadivetro.com

    Apertura al pubblico: 8 ottobre 2019 ore 15:30-22
    Apertura straordinaria per Milano Gallery Weekend:
    Domenica 13 ottobre 2019 dalle 15.30 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 19)
    Evento per Milano Gallery Weekend:
    Visita guidata al costo del solo biglietto di ingresso venerdì 11 ottobre 2019 dalle 18 alle 21
     
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    Per Documento e Meraviglia.
    Una storia lunga 400 anni ...


    dal 26 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020

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    Per documento e meraviglia. Una storia lunga 400 anni è una mostra organizzata dalla Biblioteca Gambalunga di Rimini nelle sale antiche e alla Galleria delle Immagini della Biblioteca comunale. L’evento, ideato e curato dalla direttrice Oriana Maroni, con la collaborazione per la sezione storica dello scrittore Piero Meldini e il contributo di Maria Cecilia Antoni e Nadia Bizzocchi, fa parte delle celebrazioni, iniziate lo scorso 23 aprile, per i 400 anni della Gambalunga, istituzione sorta per volere del giureconsulto ed erudito Alessandro Gambalunga che nel 1619, alla sua morte, la destinò alla città di Rimini. Ospitata nella splendida cornice delle Sale antiche della Biblioteca Gambalunga, la mostra propone un viaggio nel tempo alla scoperta dei poliedrici volti della città. Da leggersi attraverso i preziosi codici, le fragili carte d’archivio, le fantasmatiche fotografie “sviluppate” nell’esperienza immersiva della Galleria dell’Immagine.
    Si incontreranno i progenitori illustri di cui la città ha favoleggiato; si ammireranno i manoscritti della raffinata ed enigmatica corte malatestiana; si leggeranno le appassionate discussioni sull’identità cittadina, il suo segno zodiacale, i dialoghi scientifici con gli intellettuali d’oltralpe, fino alle narrazioni che hanno fatto di Rimini un mito dell’immaginario contemporaneo. Il suo punto di approdo è anche una ri-partenza. La prima delle sale antiche ospita l’installazione dell’artista Daniele Torcellini, Ex libris per luci cangianti, che traduce la meraviglia dei libri e del sapere nella meraviglia estatica di colori mai visti.

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    UNA REGALIS HISTORIA: DAL TRECENTO AL SECOLO DEI LUMI. Il percorso prenderà avvio dalla Sala des Vergers, con il racconto della Rimini dei secoli XIV e XV, ovvero dal dominio malatestiano, focalizzandosi sul periodo di maggior splendore, quello della signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468).
    Si è scelto di presentare pochi oggetti, ma dal grande valore iconico: tra gli altri, il codice della Regalis historia sulle origini della famiglia Malatesta. Scritto all’incirca nel periodo 1385-1390 per Carlo Malatesta, contiene riferimenti a miti e leggende coltivati in famiglia: dalla pretesa dei Malatesta di discendere dagli Scipioni, alla fantomatica lotta vittoriosa di Malatesta da Verucchio con un saraceno di nome Gualdach.
    Quindi il De civitate Dei, scritto per Pandolfo Malatesta dall’amanuense Donnino di Borgo San Donnino, e l’editio princeps dell’incunabolo De re militari di Roberto Valturio.
    Dedicato a Guido da Montefeltro è il Comentario de’ gesti e fatti e detti dello invictissimo Signore Federigo Duca d’Urbino (1482-1490), scritto da Vespasiano Da Bisticci. Contiene la biografia del padre di Guido, Federico (1422-1482).
    Per gentile concessione di Crédit Agricole Italia, sarà inoltre in mostra l’elegantissimo codice dell’Astronomicon di Basinio, con dedica a Malatesta Novello, fratello di Sigismondo Pandolfo e signore di Cesena, scritto alla Corte di Sigismondo Malatesta nel 1455.
    L’ASTRONOMICON DI BASINIO PER LA PRIMA VOLTA IN MOSTRA. Preziosissimo e per la prima volta esposto al pubblico grazie a Crédit Agricole Italia, che lo presta alla Gambalunga, l’Astronomicon di Basinio da Parma è il primo poema astronomico dell’Umanesimo. Acquistato nel 1992 dalla Cassa di Risparmio di Rimini ad un’asta di Sotheby’s a Londra, è entrato a far parte delle Collezioni d’arte di Crédit Agricole Italia. Il prezioso manoscritto (esistono non più di una dozzina di copie dell’Astronomicon nel mondo) è un esemplare unico ed era probabilmente custodito nella biblioteca privata del signore di Cesena. Basinio vi descrive in maniera dettagliata la struttura del cosmo, le costellazioni e le loro stelle, i moti del sole e dei pianeti. L’universo e le costellazioni visibili sono rappresentate da miniature suggestive, con raffigurazioni zoomorfe e antropomorfe abbigliate secondo la moda del tempo, con la segnatura delle stelle in rosso.

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    L’IDENTITÀ CITTADINA TRA DOCUMENTI E FAKE NEWS
    UNA DISPUTA INTORNO AL SEGNO ZODIACALE: CANCRO O SCORPIONE? Stelle e pianeti tornano di nuovo protagonisti nel racconto della Rimini del XVII secolo, ma questa volta per una disputa tutta… astrologica. È un secolo durante il quale si sviluppa una riflessione appassionata sull’identità cittadina. A un anno di distanza l’uno dall’altro, ad esempio, vengono pubblicati il Raccolto istorico di Cesare Clementini (1616) – prima storia generale della città fondata, almeno in parte, sui documenti – e il Sito Riminese di Raffaele Adimari (1617), sorta di zibaldone su Rimini e dintorni. Nel primo si narra anche delle origini mitologiche della città: suoi fondatori sarebbero stati Ercole e Noè. Ma essendo antica convinzione che ogni città avesse il proprio segno zodiacale, e che da questo dipendessero i suoi destini e l’indole dei suoi abitanti, si rese anche necessario risolvere la disputa se Rimini fosse del Cancro o dello Scorpione. Ci si rivolse dunque al parere di Malatesta Porta, cittadino e segretario dell’illustre Comunità di Rimino, che emise il proprio verdetto intorno al segno celeste ascendente della città. Il verdetto dirà Scorpione, che preannuncia incostanza, pigrizia e sensualità.
    Non poteva mancare, e autore ne fu Monsignor Giacomo Villani, il libello Ariminensis Rubicon in Caesenam Claramonti (1641), sul tema che solletica l’orgoglio di più di una città romagnola: la localizzazione del fiume attraversato da Cesare.
    IL VITTO PITAGORICO, UN LIBELLO ANTI VEGETARIANI DEL “CASTIGATORE” JANO PLANCO. Spostandoci nel `700, tra le opere in mostra anche Il vitto pitagorico di Jano Planco, un libello anti vegetariani scritto dal medico, scienziato ed erudito riminese (al secolo Giovanni Bianchi) in contatto con i maggiori scienziati e studiosi europei, tra cui Voltaire: personalità brillante – alla sua scuola si formano i più apprezzati intellettuali riminesi dell’epoca – ma attaccabrighe, Planco se la prende qui con Antonio Cocchi (1695-1758), “collega” che aveva scritto in favore del regime vegetariano.
    Il Settecento è anche il secolo del terremoto che la notte di Natale del 1786 gettò nel panico la città. Del 1787 è l’opuscolo Discorso istorico-filosofico sopra il tremuoto dell’arciprete Giuseppe Vannucci (1750-1819), allievo del Planco, in cui sosteneva la “teoria elettricista”, oggi del tutto superata, che riteneva che i terremoti fossero generati da violente scariche elettriche d’origine atmosferica o sotterranea.

    DAL PRIMO STABILIMENTO BAGNI NELLA PICCOLA CITTÀ
    DELLA PROVINCIA PONTIFICIA AL “DISTRETTO DEL PIACERE”
    Un percorso multimediale tra Otto e Novecento. “Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto al mare” ha scritto Federico Fellini, suo inventore e narratore, ne Il mio paese, racconto che prepara il terreno ad Amarcord. Con il titolo “Rimini, cos’è” la Galleria dell’Immagine, al piano terra della Gambaluga, ospiterà, attingendo al proprio archivio fotografico, una mostra multimediale che racconta la Rimini moderna e contemporanea.
    E’ la Rimini battezzata l’Ostenda d’Italia agli inizi del Novecento, quindi la Nizza dell’Adriatico (Anni Venti), per diventare negli anni ’50 e ’60 la Miami d’Europa: arriva il bikini, Fred Buscaglione a ogni stagione ritorna al mitico Embassy club. Nel ’57 apre il Paradiso Club, destinato a diventare il monumento del divertimento della notte. Nel ’67 apre invece L’Altro Mondo, di fatto la prima maxi discoteca di tendenza. Sarebbero poi seguiti Il Bandiera gialla, il Pascià… Alla metà del decennio i rotocalchi scovano fra Rimini e Riccione i primi topless fotografati in Italia. I giovani si prendono il centro della scena. C’è voglia di cambiamento. La contestazione giovanile tocca anche Rimini. Rimini e la sua riviera diventano un modello da imitare. Mentre gli Ottanta, aprono una nuova epoca. In Italia sono gli anni degli yuppie, dei manager, delle emozioni notturne. Rimini ne è lo specchio anticipatore. Camilla Cederna attribuisce alla Riviera la definizione di divertimentificio, e altri la definiscono il “distretto del piacere”, i giornali ne parlavano come di “Sodoma” e “Gomorra-Beach”. Pier Vittorio Tondelli nel 1985 pubblica “Rimini”, il romanzo che usa la città per raccontare l’Italia della post-modernità. Poi, la caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 segna la fine del Novecento. L’anima nera della città a volte collude, a volte confligge con i diuturni piaceri del corpo. Si riscopre il volto “salutare” della vacanza. La cultura e l’eros cercano di fondersi. Le due città scoprono di essere parte di una stessa anima, inquieta e multiforme, e di uno stesso orizzonte, che si apre sul nuovo millennio.
    Il percorso nelle sale antiche, infine, propone anche l’installazione Ex libris per luci cangianti, a cura di Annamaria Bernucci, realizzata dall’artista visivo Daniele Torcellini che costruisce una sinestesia di segni e forme e colori di luce che vestiranno i libri e i codici e le insegne gambalunghiane di nuove sembianze. Una operazione che dilata l’esperienza della memoria, per rendere omaggio al fondatore della Gambalunghiana, inseguendo una strada allusiva e metaforica attorno ai libri.




    Mostra in occasione dei 400 anni della Biblioteca Gambalunga di Rimini 1619 - 2019
    Telefono: 0541 704486 (segreteria Biblioteca)
    E-mail: [email protected]
    Sito: Visita il sito web
    Località:
    Biblioteca Gambalunga Sale Antiche, Galleria dell'Immagine, via Gambalunga 27 - Rimini centro storico
    Visite guidate gratuite su prenotazione: da lunedì a venerdì ore 9-18; sabato ore 9.30, 10.30, 11.30
    Ingresso: libero

    www.emiliaromagnanews24.it
     
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    Musei Vaticani, Anima Mundi nel nuovo Museo Etnologico inaugura

    "Mater Amazonia.The deep breath of the world "

    Dal 18 ottobre 2019 all’11 gennaio 2020



    Mondo - Uno spazio senza muri, sostituiti da vetri trasparenti, dove i popoli del mondo, dall’Africa all’Oceania, possano dialogare tra loro attraverso oggetti che diventano realtà viventi, ambasciatori culturali e promotori di uno scambio tra civiltà promotrici di un messaggio di pace tra le nazioni, che si innalza dalle periferie del mondo.
    “Riconnessione” è la parola d’ordine del nuovo Museo Etnologico Vaticano Anima Mundi, che, in occasione della riapertura, completamente rinnovato dopo una lunga chiusura al pubblico, si presenta ai visitatori dei Musei Vaticani con una mostra dal titolo Mater Amazonia. The deep breath of the world, allestita nel primo spazio ristrutturato, e che si potrà visitare fino al prossimo 11 gennaio.
    A descrivere lo spirito del rinnovato museo, le parole di Papa Francesco che lo scorso 18 ottobre ha inaugurato personalmente e visitato la prima sezione.
    «Mi piace pensare che quello che oggi inauguriamo non sia semplicemente un Museo, nella sua concezione tradizionale. Infatti ho trovato opportuno il nome che è stato scelto per questa raccolta: Anima Mundi. Penso che i Musei Vaticani siano chiamati a diventare sempre più una “casa” viva, abitata e aperta a tutti, con le porte spalancate ai popoli del mondo intero. Chi entra qui dovrà anche sentire che la “sua” arte ha lo stesso valore ed è curata e custodita con la stessa passione che si riserva ai capolavori del Rinascimento o alle immortali sculture greche e romane».

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    Il Museo raccoglie le testimonianze artistiche e culturali dei popoli non europei, raccolte da Papa Pio XI nel 1925. Oggi la collezione conta 80mila pezzi. Un parte si trova nei depositi a vista, che adesso il visitatore potrà osservare attraverso una passerella. Gli oggetti, molto delicati in quanto realizzati in legno o paglia, verranno esposti a rotazione. Attualmente sono esposti - sebbene siano solo lo 0,5% dell’intera collezione - gli oggetti che riguardano l’Oceania. «È stata scelta l’Oceania, primo continente a essere esposto, perché è il punto più distante dal Vaticano» spiega Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani.
    «L’allestimento di questa prima sezione dedicata agli indigeni australiani e agli abitanti delle Isole del Pacifico - commenta Padre Nicola Mapelli, curatore del Museo Etnologico Vaticano Anima Mundi - è stato fatto in collaborazione con i discendenti di coloro che hanno scolpito gli oggetti. Abbiamo accettato i loro suggerimenti anche sull’allestimento».

    La mostra Mater Amazonia. The deep breath of the world, accolgono la sezione sull’Oceania con un viaggio inaspettato nel respiro della foresta, lungo i fiumi, dentro la maloca (la casa comunitaria), dove i suoni della natura accolgono i visi e i volti degli oltre 400 popoli indigeni, dando voce alla contemplazione e alla lotta, ma anche all’indignazione e alla speranza attraverso un itinerario spirituale che abbraccia un centinaio di oggetti.
    L’esposizione, organizzata in occasione del Sinodo sull’Amazzonia voluto da Papa Francesco, è piccola, ma molto interessante e ben costruita. Un percorso multimediale, immersivo e di grande impatto, racchiude filmati che, riprodotti su alcuni monitor, raccontano il rapporto tra uomo e ambiente. Le immagini dello scorrere del fiume e lo spettacolo della natura -ma anche quelle che proiettano il visitatore nella cruda realtà delle tragedie che sconvolgono quella terra - vengono proiettate in 4K su due grandi schermi, per un totale di quasi 64 metri di superficie.
    Ci sono poi gli oggetti che raccontano l’incontro della fede cristiana con le popolazioni indigene. Come la collana realizzata su una fettuccia di tessuto indigeno shuar dove sono applicati - al posto dei semi tradizionali - i bottoni regalati dai missionari, o la collana di perline con le sette medagliette di Maria Ausiliatrice e di Pio XI.
    Un mortaio utilizzato per il rito funebre yanomami - che prevede che i parenti e gli amici del defunto si riuniscano in cerchio per bere una mistura - affianca una scodella ricavata dalla metà di una zucca svuotata e dipinta o ancora il copricapo di piume formato da una corona e un mantello, realizzato dai Tucano dell’Amazzonia colombiana, risalente al XIX secolo e inviato in dono a Pio XI in occasione dell’Esposizione Vaticana del 1925.

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    «L’idea di questa mostra sull’Amazzonia - spiega Padre Stefano Camerlengo, superiore generale dei Missionari della Consolata - è nata nella Foresta, mentre si parlava dell’imminente Sinodo. Siamo missionari sul campo e volevamo rendere concreta l’idea di quei luoghi. Abbiamo così penato di proporre una mostra che fosse non solo da guardare, ma da contemplare, concepita come un momento di denuncia del pericolo che minaccia la foresta e il mondo intero».

    L’allestimento di Mater Amazonia è frutto della collaborazione tra i Musei Vaticani e i Missionari della Consolata, mentre la realizzazione tecnica del progetto è stata curata dalla Mediacor di Torino.
    L’accesso all’esposizione (tutti i giorni dalle 9 alle 16) è incluso nel biglietto dei Musei Vaticani.

     
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