MOSTRE STORIA

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Sangue di drago squame di serpente
    Castello del Buonconsiglio, Trento


    Sarà un enorme drago realizzato dallo scenografo-scultore Gigi Giovanazzi a dare il benvenuto al visitatore nella prima sala della spettacolare mostra estiva “Sangue di drago, Squame di serpente”, ospitata dal 10 agosto 2013 al Castello del Buonconsiglio di Trento. La rassegna, organizzata in collaborazione con il Museo Nazionale Svizzero, permetterà a coloro che attraverseranno le magnifiche sale del Castello del Buonconsiglio di scoprire e conoscere attraverso affreschi, dipinti, sculture, arazzi e preziosi oggetti d’arte un mondo fatto di unicorni, draghi, centauri, grifoni, basilischi, sfingi, serpenti e animali fantastici e inconsueti che ricorrono costantemente nella mitologia e anche nella iconografia castellana. Colpiscono infatti i numerosi animali raffigurati negli affreschi che decorano il castello del Buonconsiglio eseguiti da Dosso Dossi nella Stua della Famea con le favole di Fedro, o la dama con unicorno, la scimmia, il serpente che morde l’ Invidia dipinte da Girolamo Romanino o ancora il bestiario realizzato dal maestro Venceslao nel celebre ciclo dei Mesi in Torre Aquila o il prezioso erbario medievale conservato in castello. Scultura, pittura, architettura e disegno, raccontano il mondo animale, frutto delle fantasie e delle paure dell’uomo. Si potranno ammirare dipinti, con capolavori di Tiziano e Tintoretto, sculture rinascimentali, magnifici arazzi con scene marine provenienti dagli Uffizi e da Palazzo Pitti, preziosi monili d’ oro, oggetti archeologici, oltre a filmati e scenografie emozionanti, grazie anche all’innovativo ausilio della realtà aumentata, che stupiranno e conquisteranno il più vasto pubblico.
    In una sala il visitatore sarà immerso in un atmosfera fantastica dove draghi tridimensionali gli si materializzeranno davanti provocando forti emozioni. La mostra sarà l’occasione per ammirare anche sfingi e centauri dipinti sia sui vasi a figure rosse e nere greci, sia nelle tele dei maestri bolognesi del Seicento, il gatto mummificato egiziano, la fontanella rinascimentale in bronzo con il mito di Atteone, il Laooconte proveniente dal Museo del Bargello di Firenze, un prezioso falco in bronzo, una rarissima casula (veste del prete) decorata, sculture di San Giorgio e il drago. Dagli animali sacri della tradizione cristiana alla mitologia con Diana cacciatrice a quelle care agli dei: il cigno, il toro e l’aquila per Giove, il leone per Sansone ed Ercole. E ancora i veri mostri delle leggende: draghi, chimere, unicorni, sfingi, mostri marini, centauri e sirene. La rassegna ospiterà anche alcune opere vitree (prestate da Vetroricerca Glas&Modern - centro sperimentale di lavorazione del vetro di Bolzano) realizzate da famosi artisti contemporanei: tra queste le incredibili sculture in vetro di Silvia Levenson, artista argentina famosa in tutto il mondo per le sue opere eleganti ma provocatorie raffiguranti bambine con la testa di cervo e pecora e il Giardino Fantastico composto dagli animali in vetro di Alberto Gambale dove zebre, tori, cammelli, tartarughe, api e camaleonti stupiranno per originalità e fantasia.
    Nemico, preda, cibo, forza lavoro e mezzo di trasporto, l’animale è anche interprete della forza della natura primigenia e dell’immaginario nella sfera magico-religiosa ed eroica. Le eterne questioni della ferinità presente nell’uomo e dell’antropomorfismo ravvisato nel mondo animale, emergono attraverso le opere in mostra. Il percorso è dedicato sia ad alcuni animali reali che nel tempo hanno assunto, spesso anche in termini transculturali, complessi significati simbolici, sia ad animali fantastici interpreti di miti, leggende e credenze condivisi o peculiari di diversi popoli e civiltà. Aquila, leone, serpente, cervo, cavallo e pesci sono alcuni degli animali reali che danno origine ad esseri che, in più forme di ibridazione, variabili a seconda di tempi e luoghi, sono interpreti delle riflessioni, paure, speranze e immaginazione dell’uomo. Si potranno ammirare le tele del ciclo di Ercole con il drago a più teste, dipinto magistralmente da Paolo de Matteis, il famoso drago con due ali serpentine attaccate allo stesso tronco. Questi draghi nacquero dall'unione tra il multiteste Tifone e la donna-serpente Echidna. I figli dei due furono Chimera, dalla testa di leone e dal corpo di serpente-capra, Cerbero il cane a tre teste e l'Idra di Lerna, rettile con molte teste che verrà poi ucciso da Ercole, il quale sconfisse anche Ladone dalle cento teste e Scilla, dai tentacoli di piovra. Magnifico il dipinto conservato a Castel Thun eseguito a fine Seicento dal pittore tedesco Dietterlin che raffigura le Tentazioni di S. Antonio Abate dove draghi lanciano fuoco, un mostro alato regge uno spiedo con un pollo e serpenti infilzati e serpi fuoriescono dai capelli di una dama ignuda. La mostra avrà una sezione a Riva del dal titolo «Mostri smisurati» e creature fantastiche tra i flutti, che intende esporre un ristretto ma importante nucleo di opere prevalentemente cinquecentesche aventi per tema creature fantastiche e animali mitici che, nell’immaginario antico, abitavano le acque dei laghi e dei mari. Il precipuo taglio dato all’esposizione rivana, rispetto a quella ospitata nelle sale del Castello di Trento, deriva non solo dalla peculiarità della sede espositiva – la Rocca – circondata dalle acque del Garda, ma anche dalla presenza nelle prime sale della Pinacoteca, che ospiteranno la mostra, di un affresco che risale agli anni trenta del Cinquecento raffigurante Ercole, intento ad uccidere l’Idra, un mostruoso essere che viveva nel lago di Lerna nella regione greca dell’Argolide. Info: www.buonconsiglio.it



    ............................................

    Redattore: RENZO DE SIMONE
    Informazioni Evento:

    Data Inizio:10 agosto 2013
    Data Fine: 06 gennaio 2014
    Luogo: Trento, Castello del Buonconsiglio
    Orario: orario estivo: 10 - 18, orario invernale 9.30 - 17
    Telefono: 0461 492840, 0461 233770
    E-mail:

    Dove:

    Trento, Castello del Buonconsiglio
    Città: Trento
    Indirizzo: via B. Clesio
    Provincia: (TN)
    Regione: Trentino-Alto Adige
    Telefono: 0461 492840, 0461 233770
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted


    La Primavera del Rinascimento.
    La scultura e le arti a Firenze 1400-1460

    Musée du Louvre, 26 settembre 2013-6 gennaio 2014


    Organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e Musée du Louvre la mostra si propone di illustrare, la genesi di quello che ancora oggi si definisce il “miracolo” del Rinascimento a Firenze, soprattutto attraverso capolavori di scultura: l’arte che per prima se ne è fatta interprete. La mostra si propone di illustrare, in sezioni tematiche, la genesi di quello che ancora oggi si definisce il “miracolo” del Rinascimento a Firenze, soprattutto attraverso capolavori di scultura: l’arte che per prima se ne è fatta interprete.
    L’esposizione si apre con una suggestiva panoramica attorno alla riscoperta dell’Antico, attraverso esempi illustri della “rinascita” fra Due e Trecento, con opere di Nicola e Giovanni Pisano, Arnolfo, Giotto, Tino di Camaino e dei loro successori, che assimilano anche la ricchezza espressiva del Gotico, in particolare di origine francese (Sezione 1: L’eredità dei padri). L’“età nuova” si apre assieme al nuovo secolo: con i due rilievi del Sacrificio di Isacco di Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi per la Porta del Battistero (dal Bargello), e con il modello della Cupola brunelleschiana (dal Museo di Santa Maria del Fiore), che riassumono al più alto vertice espressivo il momento fondante del primo Rinascimento (Sezione 2: Firenze 1401. L’alba del Rinascimento). In quegli anni, i successi politici della Repubblica fiorentina, la sua potenza economica e la pace sociale diffondono attraverso gli scritti di grandi umanisti il mito di Firenze come erede della repubblica romana e come modello per gli altri stati italiani.
    La scultura pubblica monumentale, attraverso i capolavori di Donatello, Ghiberti, Nanni di Banco, Michelozzo realizzati per i grandi cantieri della città – la Cattedrale, il Campanile, Orsanmichele – è la prima e più alta testimonianza della creazione di un nuovo stile, di questa trasformazione in atto e dell’esaltazione di Firenze e della sua civiltà. (Sezione 3: La romanitas civile e cristiana). La scultura, e in particolare la statuaria, eserciterà perciò una profonda influenza sulla pittura dei massimi artisti del tempo come Masaccio, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Filippo Lippi (Sezione 6: "Pittura scolpita").
    L’esposizione illustra inoltre altri temi significativi dell’antichità classica che, attraverso la scultura specialmente donatelliana, vennero assimilati e trasformati nel nuovo linguaggio rinascimentale, a testimonianza del clima spirituale e intellettuale della città, oltre che del suo fervore creativo (Sezione 4: “Spiritelli” fra sacro e profano; Sezione 5: La rinascita dei condottieri). Le ricerche di uno spazio “razionale” e l’invenzione della prospettiva brunelleschiana, trovano proprio nella scultura le loro formulazioni più avanzate – in particolare, nei bassorilievi donatelliani, come la predella del San Giorgio, dal Bargello, e il Banchetto di Erode dal Museo di Lille – con un seguito che tocca la metà del secolo in opere di Desiderio da Settignano o di Agostino di Duccio, a confronto con la pittura, anche antica (Sezione 7: La storia “in prospettiva”).
    Fin dagli anni Venti del Quattrocento, i nuovi canoni della scultura, messi a punto dai grandi maestri e illustrati da alcuni capolavori – come le donatelliane Madonna Pazzi, dal Bode Museum di Berlino, la Madonna in terracotta policroma del Louvre e la Madonna Chellini, dal Victoria and Albert; la ghibertiana Madonna Kress, dalla National Gallery di Washington, o la Madonna già attribuita al Brunelleschi e qui a Nanni di Banco, dal Museo Diocesano di Fiesole – si moltiplicano attraverso una produzione sconfinata di rilievi (in marmo, stucco, terracotta policroma e invetriata, ovvero “robbiana”), destinati alla devozione privata, consentendo una capillare diffusione del gusto per la bellezza “nuova” in ogni strato sociale (Sezione 8: La diffusione della bellezza). Allo stesso tempo, Firenze vede concentrarsi la committenza artistica più prestigiosa, quasi sempre pubblica, nei luoghi di solidarietà e di preghiera (chiese, confraternite, ospedali), dove è ancora la scultura a tenere un ruolo di primo piano (Sezione 9: Bellezza e carità).
    Attorno al simbolo assoluto della città, rappresentato dal modello ligneo della Cupola di Santa Maria del Fiore, si presenta dunque una rassegna di tipologie e di tematiche scultoree determinanti anche per l’evoluzione delle altre arti figurative, a diretto confronto con i precedenti classici: dalle tombe degli umanisti, alle desunzioni dai sarcofagi, alla rinascita del monumento equestre e del ritratto scolpito. Attorno a quest’ultimo, che vede la sua genesi verso la metà del secolo nei busti marmorei di Mino da Fiesole, Desiderio da Settignano, Antonio Rosellino, si prefigura il passaggio dalla fiorentina libertas, rappresentata dalla committenza pubblica a un mecenatismo privato, che porta già il segno dell’egemonia medicea (Sezione 10: Dalla città al palazzo. I nuovi mecenati). In questa prospettiva, la mostra – che si apre con l’evocazione della cupola brunelleschiana – si chiude con quella della più illustre dimora privata del Rinascimento, attraverso il Modello ligneo di Palazzo Strozzi.
    (palazzostrozzi.org)
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted


    AUGUSTO
    18 ottobre 2013 - 9 febbraio 2014


    GtrykAX
    Organizzata in occasione del bimillenario della morte (19 agosto 14 d.C.), la mostra presenta le tappe della folgorante storia personale di Augusto in parallelo alla nascita di una nuova epoca storica. Figlio adottivo e pronipote di Cesare, Augusto fu un personaggio dotato di un eccezionale carisma e intuito politico. Riuscì, laddove aveva fallito persino Cesare, a porre fine ai sanguinosi decenni di lotte interne che avevano consumato la Repubblica romana e a inaugurare una nuova stagione politica: l'Impero. Il suo principato, durato oltre quaranta anni, fu il più lungo che la storia di Roma avrebbe mai ricordato e l'Impero sotto di lui raggiunse la sua massima espansione estendendosi a tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Spagna alla Turchia, al Maghreb, alla Grecia, alla Germania.
    bXh4FtU
    La fine delle guerre civili fu abilmente presentata quale epoca di pace, prosperità e abbondanza: divennero allora centrali concetti quali pax, pietas, concordia, cantati da poeti del calibro di Virgilio e Orazio, e da tutti gli intellettuali radunati nel circolo cosiddetto di Mecenate. La mostra alle Scuderie del Quirinale, con una selezione di circa 200 opere di assoluto pregio artistico, propone un percorso capace di intrecciare la vita e la carriera del princeps con il formarsi di una nuova cultura e di un nuovo linguaggio artistico, tutt'ora alla base della civiltà occidentale. Fulcro visivo della mostra sono le celeberrime statue di Augusto, riunite per la prima volta insieme: l'Augusto pontefice massimo da via Labicana conservato al Museo Nazionale Romano, e l'Augusto di Prima Porta dei Musei Vaticani. Quest'ultima scultura è accostata al suo modello classico, il celeberrimo Doriforo del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, canone per eccellenza della perfezione scultorea di età classica. Proveniente da Atene e per la prima volta in Italia, è inoltre possibile ammirare parte della statua equestre in bronzo dell'imperatore restituita dal mar Egeo, mentre proviene da Meroe (Nubia, Egitto) lo splendido ritratto bronzeo del British Museum. Ad evocare il fiorire dell'età dell'oro spiccano per importanza e bellezza i cosiddetti rilievi Grimani, raffiguranti animali selvatici intenti ad allattare i propri cuccioli, eccezionalmente riuniti dalle attuali ubicazioni (il Kunsthistorisches Museum di Vienna e il Museo di Palestrina), e il gruppo frontonale dei Niobidi, originale greco riallestito in età augustea negli horti Sallustiani a Roma, qui ricomposto accostando le due statue della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen alla statua di fanciulla ferita conservata al Museo Nazionale Romano. Ai gruppi scultorei, espressione di una nuova classicità, si affiancano eccelsi documenti dell'arte decorativa come una nutrita selezione dal tesoro degli argenti di Boscoreale, eccezionalmente prestato dal Museo del Louvre di Parigi, e magistrali rappresentazioni del potere delle immagini nel mondo antico come i preziosissimi cammei di Londra, Vienna e del Metropolitan di New York, utilizzati in qualità di dono personale da parte dei membri della famiglia imperiale. A conclusione della mostra, l'inedita ricostruzione di 11 rilievi, oggi divisi tra la Spagna e l'Ungheria, dell'edificio pubblico eretto originariamente in Campania in memoria di Augusto dopo la sua morte, e dove vi è narrato, con grande efficacia, uno scontro navale della battaglia di Azio, che nel 31 a.C. mise fine alla guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio aprendo la strada al definitivo trionfo del princeps. (www.scuderiequirinale.it)
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted


    CLEOPATRA. ROMA E L’INCANTESIMO DELL’EGITTO

    dal 12/10/2013 al 1/02/2014




    [color=salmon]Il Museo Egizio di Torino, i Musei Vaticani e i Musei Capitolini. Il Museo Nazionale Romano, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Egizio di Firenze. E ancora il British Museum di Londra, il Musée du Louvre di Parigi e il Kunsthistorisches Museum di Vienna. I più importanti musei del mondo hanno unito le proprie forze, privandosi di pezzi prestigiosi per alcuni mesi, per realizzare una delle più suggestive e spettacolari mostre dell’anno. Cleopatra torna a Roma dopo 13 anni: l’ultima esposizione rilevante dedicata alla Regina d’Egitto risale infatti al 2000, quando la Fondazione Memmo dedicò un omaggio a Cleopatra, registrando un record assoluto di visitatori per le mostre romane. Segno della passione e dell’entusiasmo che Cleopatra, ancora oggi, è capace di suscitare. A duemila anni dalla sua morte, lo charme e il carisma della regina egiziana rimangono intatti.
    Tra i 180 capolavori esposti si segnalano, da non perdere: il ritratto di Cleopatra cosiddetto “Nahman”, esposto in Italia per la prima volta, uno straordinario ritratto di Ottavia, sposa di M. Antonio e sorella di Augusto rilavorato come Cleopatra – questo esposto per la prima volta al mondo – un ritratto della regina d’Egitto giovanissima, realizzato probabilmente quando salì al trono nel 51 a.C. e anch’esso esposto in prima mondiale, l’Alessandro Magno “Guimet” del Museo del Louvre, capolavoro della scultura ellenistica, uno straordinario bronzo inedito che ritrae Alessandro Sole, figlio di Cleopatra e Marco Antonio, e lo spettacolare ma quasi sconosciuto mosaico del Nilo, dal Museo di Priverno. Infine due regali per i visitatori: Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore di fama internazionale, racconterà la storia di Cleopatra svelandone i segreti, e l’audioguida della mostra sarà data in omaggio a tutti.

    Il percorso espositivo è suddiviso in nove sezioni:
    - Cleopatra. L'ultima regina d'Egitto
    - La terra del Nilo
    - I sovrani ellenistici
    - Gli dei e il sacro nell'Egitto tolemaico
    - Le arti; I protagonisti, le vicende
    - Cleopatra e Roma. L'Egittomania
    - Nuovi culti a Roma
    - Roma conquistata: i nuovi faraoni



    Nella prima sala, ad apertura del percorso, è la magnifica Testa ritratto di regina tolemaica, probabilmente la stessa Cleopatra, datata alla seconda metà del I secolo a.C. e proveniente dai Musei Capitolini di Roma. Dopodiché si proseguirà con una sezione altamente suggestiva, dedicata all'affascinante ambiente fluviale del Nilo, che lascerà non solo gli adulti, ma anche i bambini, a bocca aperta: rari e finissimi mosaici e antichi brani pittorici ad affresco mostrano una straordinaria popolazione di ambiente acquatico – tra cui ippopotami, coccodrilli, rane, anatre selvatiche e ibis, insieme a fiori di loto, cespugli di papiro e pesci d’ogni genere – descrivendo l’incredibile fertilità di quel fiume, unica nel suo genere. Diverse opere testimoniano il forte ascendente che il mondo “esotico” delle sponde del Nilo ha nell’immaginario romano, come l’affresco da Pompei con Scena nilotica con pigmei cacciatori (55-79 d.C., Museo Archeologico Nazionale di Napoli), dove è raffigurata una impossibile battaglia tra i piccoli pigmei, coccodrilli e ippopotami, tipico soggetto di ispirazione alessandrina assai caro all’arte dell’Urbe. In mostra anche coloro che fecero grande l’Egitto, a partire da Alessandro Magno (Testa idealizzata di Alessandro Magno, detta Alessandro Guimet, inizi II sec. a.C., Musée du Louvre), fondatore di Alessandria, la grandiosa e straordinariamente bella città costruita dal condottiero Macedone ed eretta a capitale del nuovo regno d’Egitto. I volti di alcuni dei suoi successori, i sovrani Tolemaici - detti anche Lagidi dal nome del primo di essi, Tolomeo Lago – che la ressero per 300 anni, fanno corona alla strepitosa icona marmorea del grande fondatore. Alla città e specialmente alla comunità multiculturale che l’abita e che ne fa il centro più vivo del Mediterraneo di allora è dedicato il passo successivo della mostra. Antichi dei egizi e greci e anche nuove divinità popolano il cielo e l’oltretomba dell’Egitto tolemaico, in una infinita varietà di modi e forme di cui la mostra espone opere bellissime: statue, papiri, sarcofagi, maschere, oggetti per il culto, il tutto realizzato in materiali preziosi che l’ambiente del deserto ha preservato alla perfezione. E ciò serve anche per comprendere al meglio l’unicità della cultura della quale Cleopatra, regina colta come pochissime altre nella storia, è figlia ed ultima esponente.

    Segue una sezione che ha per protagonisti i principali personaggi della complessa vicenda che ha luogo allo scadere della Repubblica romana e che descrive gli avvenimenti di quel tempo: Gneo Pompeo e Giulio Cesare, anzitutto, in lotta per il potere a Roma, e poi l’incontro di Cesare con Cleopatra VII, da cui nascerà Tolomeo XV Cesarione; quindi Marco Antonio e Ottaviano, alleati vendicatori dell’omicidio di Cesare; infine, la nuova coppia Cleopatra e Marco Antonio e i figli di questi, i gemelli Alessandro Helios e Cleopatra Selene e, ultimo, Tolomeo Filadelfio. Vicende straordinarie che hanno ridisegnato la storia e la geografia del Mediterraneo nella seconda metà del I secolo a. C, qui raccontate attraverso capolavori come il Ritratto di Giulio Cesare (30 a.C. ca., Musei Vaticani) e quello di Cleopatra ritrovato a Roma (ca. 45 a.C., Musei Vaticani), oltre che da splendidi cammei, preziose monete e altri rarissimi oggetti. La mostra indaga poi gli “anni romani” di Cleopatra (dal 46 al 44 a.C.) quando – come testimoniano preziosi e rari documenti archeologici – il costume e la moda dell’Urbe cambiano, sotto l’influenza della regina e della sua corte. Mentre le matrone iniziano ad acconciarsi all’egizia e a indossare monili elaborati sull’immagine del sacro ureo (il serpente simbolo della regalità e dell’immortalità dei sovrani), case, ville e giardini si rivestono di pitture, mosaici, sculture e arredi ispirati al “magico” regno: è “egittomania”. Artisti e artigiani alessandrini si trasferiscono a Roma e in altri importanti centri dell’Impero, per rispondere con maggiore celerità e adeguatezza alle crescenti richieste della classe patrizia locale. Lo dimostrano opere di alta oreficeria, tra cui spicca il Bracciale a corpo di serpente (I. sec. a.C.-I sec. d.C., Museo Archeologico Nazionale di Napoli), ritrovato tra i beni di una matrona, forse la proprietaria della celebre Casa del Fauno a Pompei; oppure la statua raffigurante la Sfinge (I sec. d.C., Museo Archeologico Nazionale, Napoli) accovacciata con il copricapo simbolo della regalità faraonica, che aveva funzione decorativa per una fontana nel giardino di una domus della città vesuviana, insieme ad affreschi, mosaici, prezioso vasellame da mensa in argento e in alabastro, ritrovati a Roma e nel mondo romano.



    Edited by gheagabry - 18/11/2013, 16:44
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Questa è la straordinaria storia di un popolo,
    questo è il tesoro di San Gennaro.


    IL TESORO DI NAPOLI.
    I Capolavori del Museo di San Gennaro

    dal 30 ottobre 2013 fino al 16 febbraio 2014
    Museo Fondazione Roma, Palazzo Sciarra



    Sette secoli di storia, un viaggio attraverso donazioni di papi, imperatori, re, uomini illustri e persone comuni, per ricostruire uno dei più importanti e ricchi tesori d’arte orafa al mondo, il leggendario Tesoro di San Gennaro.
    Promossa da Fondazione Roma e organizzata da Fondazione Roma – Arte – Musei, in collaborazione con il Museo del Tesoro di San Gennaro, l'esposizione è curata da Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, e Ciro Paolillo, esperto gemmologo e docente presso l'Università La Sapienza di Roma. Per la prima volta al di fuori della città di Napoli verrà presentato non solo il Tesoro del Santo, ma documenti originali, dipinti, sculture, disegni e arredi sacri, che restituiscono la straordinaria storia di un culto, una città, un popolo.
    Con venticinque milioni di devoti sparsi in tutto il mondo, San Gennaro è il santo cattolico più famoso e conosciuto nel mondo. Il Tesoro a lui dedicato è unico nel suo genere: formatosi lungo settecento anni di storia, grazie alle numerose donazioni, si è mantenuto intatto da allora, senza mai subire spoliazioni e senza che i suoi preziosi fossero venduti. A proteggerlo la Deputazione della Real Cappella del Tesoro, organizzazione laica voluta da un voto della Città di Napoli il 13 gennaio 1527 deputata prima alla sovrintendenza sulla costruzione della Cappella dedicata al Santo nel Duomo di Napoli, poi alla difesa della collezione da minacce esterne. Ancora oggi formata da dodici famiglie che rappresentano gli antichi "seggi" di Napoli. Il tesoro ha un valore superiore perfino ai Gioielli della Corona d’Inghilterra e dello Zar di Russia.
    La mostra offre l'occasione per approfondire dal punto di vista scientifico l'inestimabile valore artistico e culturale del Tesoro. Il percorso espositivo analizza il culto di San Gennaro, dalle sue origini, allo splendore dei due capolavori più straordinari della collezione: la Collana di San Gennaro, in oro, argento e pietre preziose, realizzata da Michele Dato nel 1679 e la Mitra, in argento dorato con diamanti, rubini, smeraldi e due granati, creata da Matteo Treglia nel 1713, e della quale ricorre quest'anno il terzo centenario. (www.beniculturali.it)


    Solo una fede semplice e pazza come quella del popolo napoletano poteva spingere la città a chiedere una grazia a san Gennaro andando dal notaio. Nel 1526 Napoli voleva liberarsi dal flagello della guerra degli angioini, che avevano anche causato la peste in città avvelenando il fiume Bolla, e da quello del Vesuvio, che ogni giorno provocava terremoti come quello dell’Aquila. «Per questo i napoletani decisero di votarsi al loro santo e la grazia ottenuta portò alla costituzione del famoso tesoro di san Gennaro».
    I napoletani promisero al santo che in cambio della grazia gli avrebbero costruito una nuova cappella, più grande. E per sottolineare che la cappella non sarebbe stata né della Chiesa né dello Stato ma di tutti i cittadini di Napoli, fecero un patto notarile ufficiale il 13 gennaio 1527. Crearono anche un assessorato per la cappella. I flagelli finirono e nel tempo la cappella grazie a un patrimonio di beni popolari e il contributo di imperatori, re, regine e papi arrivò a raccogliere una collezione di 21.610 capolavori. La cappella è diventata la casa di tutti e per centinaia di anni niente è mai stato rubato. Per realizzare la mitra, che serviva da copricapo alla statua di san Gennaro durante le processioni, fu fatta una colletta in tutte le parrocchie del Regno e furono raccolti oltre 20 mila ducati tra la gente comune, una cifra abnorme per l’epoca, impensabile. Napoleone stesso contribuì, lui che aveva saccheggiato tutta l’Italia, a Napoli non toccò niente ma offrì una croce e un ostensorio di rara ricchezza. Tanti altri potenti del mondo aggiunsero doni alla collezione, sia perché erano devoti sia per ingraziarsi il popolo.
    Durante la Seconda guerra mondiale una bomba cadde sul duomo di Napoli e per proteggere il tesoro i napoletani lo fecero custodire al Vaticano. Terminata la guerra, il Vaticano era riluttante a restituirlo. Al cardinale di Napoli si presentò un palombaro di nome Giuseppe Navarra, molto famoso per le sue attività nel mercato nero. Era soprannominato il re di Poggioreale, era un malavitoso insomma, e disse: «Il tesoro ve lo recupero io». Il cardinale, allora, gli diede l’incarico ma non fu così facile. Dopo dieci giorni si seppe che era riuscito a riprendere il tesoro ma Navarra sparì nel nulla e a Napoli si disperavano chiedendosi come avessero potuto fidarsi di lui. Dopo dieci mesi, invece, Navarra si presentò davanti al Duomo con tutto il tesoro intatto. Non aveva preso niente e spiegò che conoscendo le bande di sbandati che c’erano al tempo aveva dovuto viaggiare solo di notte e per strade secondarie facendo un giro lunghissimo per raggiungere Napoli. Quando gli chiesero cosa voleva in cambio disse: «Niente, voglio solo avere l’onore di essere riconosciuto come colui che ha riportato il tesoro di san Gennaro a casa».
    (www.tempi.it)




    ........................

    Data Inizio:30 ottobre 2013
    Data Fine: 16 febbraio 2014
    Costo del biglietto: 10.00 euro
    Luogo: Roma, Museo Fondazione Roma, Palazzo Sciarra
    Orario: Lunedì ore 15.00>20.00 Dal martedì alla domenica ore 10.00>20.00 La biglietteria chiude un'ora prim
    Telefono: 06 69205060
    E-mail:
    Sito web: www.mostrasangennaroroma.it/
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted


    La Sardegna dei 10.000 Nuraghi
    Simboli e miti dal Passato



    È la prima volta che la civiltà nuragica della Sardegna è protagonista a Roma e lo fa attraverso una esposizione di grande fascino, che svela i segreti di una civiltà antichissima come quella che ha realizzato i nuraghi e che dalla Sardegna ha intessuto relazioni commerciali e culturali con le altre popolazioni insediate nel Mediterraneo, e anche con l’Etruria meridionale. Mai prima d’ora i bronzetti sardi qui rinvenuti erano stati esposti accanto a quelli ritrovati sull’isola.
    Sviluppatasi in un lungo arco cronologico, tra l’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro (XVII-IX sec. a.C.), la civiltà nuragica, che prende nome dal singolare e imponente monumento che la caratterizza, il nuraghe, spicca nel panorama dell’Europa antica per varietà e ricchezza delle sue manifestazioni culturali.
    Tra XVII e XIII sec. a.C. l’occupazione sistematica e capillare del territorio portò all’edificazione di migliaia di nuraghi sia semplici che complessi, distribuiti in sistemi insediativi costituiti da un numero variabile di torri, di abitati e di luoghi di culto funzionali al controllo delle risorse. Oggi queste architetture megalitiche, i cui elevati si ergevano in origine ben oltre i 20 metri, imprimono al paesaggio sardo un segno inconfondibile. Queste imponenti costruzioni, che hanno richiesto un eccezionale impiego di forza-lavoro, erano sede di attività legate all’esercizio del potere politico, amministrativo, militare e religioso, manifestazione evidente della forza e della ricchezza della comunità.
    Il profondo cambiamento che coinvolge la civiltà nuragica intorno al XII secolo a.C. interrompe la costruzione di questi monumenti. Il contesto socio-economico vede una riorganizzazione generale delle comunità in un sistema fortemente gerarchico. È questo il periodo in cui i Nuragici ebbero un ruolo da protagonisti e la Sardegna fu al centro di intensi scambi di uomini e merci, punto di transito delle rotte verso Occidente e Oriente. Navigatori essi stessi, i Nuragici furono sagaci interpreti di nuove tecniche metallurgiche, apprese ed elaborate in modo originale, e quindi ritrasmesse in tutto il Mediterraneo. In questo contesto culturale le élites, per legittimare il proprio potere politico e religioso e garantirsi sentimenti di adesione collettiva, ricorsero al passato illustre. Per questo motivo riprodussero il nuraghe sia in pietra, con i grandi simulacri presenti nei luoghi di culto e nelle capanne delle riunioni, sia in bronzo, come singoli oggetti oppure come parti di rappresentazioni più complesse quali gli alberi maestri delle navicelle oppure i cosiddetti “bottoni”, che divengono dei doni cerimoniali.
    Il modello di nuraghe diventa il Simbolo di un Simbolo, l’elemento aggregante della comunità, la bandiera, espressione dell’unità sociale e ell’autodeterminazione della forza collettiva. E intorno al modello si crea un importante apparato figurativo, immagine del popolo dei nuraghi e un insieme di arredi e corredi liturgici fondamentali per l’espletamento dei culti e dei rituali che rappresentano il background intorno al quale si crea una tradizione e si realizza il mito.

    La Mostra di Villa Giulia è stata suddivisa in 4 sezioni.
    La prima Immagini di un popolo ruota intorno ad un documentario (regia di Roberto Cretton testi di Franco Campus e Pina Maria Derudas). Le architetture, la vita quotidiana e la sfera del sacro vengono proposti con l’ausilio di suggestive scene di fiction e ricostruzioni virtuali, accompagnate da musiche anche originali, attraverso una chiave di lettura che mette l’accento soprattutto sugli aspetti sociali e sul ruolo che occupa l’Isola delle Torri, protagonista di primo piano sulla scena Mediterranea fra l’età del Bronzo e l’età del Ferro.
    La seconda sezione dal titolo I Luoghi e i simboli offre uno spaccato dei luoghi della poliedrica civiltà nuragica. Un percorso geografico si dipana dal nord al sud dell’isola e interessa le numerose località che hanno restituito il simbolo di questa civiltà: manufatti in bronzo o pietra riproducono in varie dimensioni il nuraghe.
    Nella terza sezione Identità e Orizzonti si intende sottolineare il ruolo del monumento quale bene riconosciuto sia oggi che nel passato. Due figure di guerrieri, un arciere e un “pugilatore”, riproducono fedelmente le grandi statue in pietra provenienti dallo straordinario complesso cultuale e funerario di Mont’e Prama. L’allestimento ricrea in scala reale interni di nuraghi, altari sormontati da spade votive, scenari ed ambientazioni in un quadro di grande suggestione.
    La quarta ed ultima sezione Simboli e segni della memoria focalizza l’attenzione sulla funzione che le riproduzioni di nuraghe ebbero nel contesto di origine. Le navicelle votive con l’albero maestro conformato a torre, con animali sulle murate, sono chiaramente espressione di una narrazione e segni del potere: nuraghi in bronzo, doni cerimoniali, sono funzionali ad instaurare un’alleanza fra uomini e dei. Verranno esposte opere poco note al grande pubblico provenienti dai più importanti musei nazionali e civici della Sardegna, testimoni di un racconto mitico e della memoria culturale del popolo nuragico.
    (www.beniculturali.it)


    .....

    Data Inizio:14 dicembre 2013
    Data Fine: 16 marzo 2014
    Costo del biglietto: 8,00€; Riduzioni: 4,00€
    Luogo: Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
    Orario: 8,30-19,30, dal martedì alla domenica
    Telefono: 06 3226571
    Fax: 06 3202010
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.villagiulia.beniculturali.it
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted


    'La biblioteca infinita.
    I luoghi del sapere nel mondo antico'


    14/03/2014 - 05/10/2014



    Divisa in 7 sezioni, l’esposizione curata da Rossella Rea e Roberto Meneghini, con 120 tra statue, affreschi, rilievi, strumenti e supporti di scrittura documenta l’evoluzione del libro e della lettura nel mondo greco-romano dall’età ellenistica al tardo antico, così come i luoghi pubblici e privati dove si scambiava e si custodiva il sapere.
    In questa occasione i monumentali ambulacri del Colosseo si rivestono di armaria, le antiche scaffalature, e di immagini degli spazi dedicati alla cultura in un inedito allestimento scenografico. La mostra nasce dai risultati di due importanti scavi archeologici: la scoperta a Roma degli auditoria di Adriano a piazza Madonna di Loreto, avvenuta nel 2008 in occasione degli scavi preventivi alla costruzione della linea C della Metropolitana, e l’esigenza di ricomporre in un contesto unitario i risultati delle indagini archeologiche finora eseguite, e tuttora in corso, nel templum Pacis, lungo via dei Fori Imperiali e che hanno restituito inediti reperti, presentati adesso per la prima volta.

    La rassegna è promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Electa.
    (http://archeoroma.beniculturali.it/)
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted


    "Un nome, una data, a volte solo un’iniziale, il segno che si è esistiti e, quel che è peggio, passati da lì. Figli di un reato minore, certo, sennò finivano nel carcere di Ferrara, ma comunque galeotti, rinchiusi per furto, ricettazione, simpatie patriottiche. Ci sono casi in cui, se piove, diluvia: alcuni di loro hanno dovuto patire due volte, la gattabuia e il vibrione. Che c’è di meglio di una cella umida, malsana, sovraffollata e promiscua per soccombere al contagio? Eppure, ironia della sorte, proprio il colera li ha sottratti all’oblio."


    Lugo ai tempi del colera.
    Testimonianze archeologiche
    e fonti documentarie sull'epidemia del 1855

    dal 12 aprile 2014 al 22 gennaio 2015


    La mostra "Lugo ai tempi del colera" è imperniata su un momento ben preciso della storia della città, quello della diffusione dell’epidemia che nel 1855 devastò la Legazione apostolica della Romagna, proprio alla vigilia della dissoluzione dello Stato pontificio e dell’annessione dei suoi territori al Regno di Sardegna. Promossa dal Comune di Lugo e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, in collaborazione con Comitato per lo studio e la tutela dei beni storici di Lugo, l'esposizione curata dalle archeologhe della Soprintendenza, Chiara Guarnieri e Claudia Tempesta, e da Antonio Curzi del Comune di Lugo, propone un’ampia scelta di reperti archeologici recuperati nella Rocca Estense e di fonti documentarie conservate nell’Archivio Comunale, corredata da un apparato didattico e illustrativo che consente di ricostruire uno spaccato della storia di Lugo alla metà del XIX secolo e riviverne le vicende.
    I materiali esposti, quasi tutti ottocenteschi, provengono dallo scavo di un condotto utilizzato come scarico delle prigioni ospitate nel torrione nord-occidentale della Rocca, il cosiddetto “mastio di Uguccione”. Oltre a questi, è presente anche una piccola selezione di materiali dei secoli precedenti (XVII-XVIII), quali pentole da fuoco in ceramica invetriata e piatti in smaltata bianca o azzurra, tipo “Senigallia”.
    Si tratta di oggetti usati dai detenuti e gettati nello scarico in occasione dell’epidemia di colera del 1855, per lo più brocche, catini, ciotole, piatti in ceramica ingobbiata ed invetriata, talvolta dipinti con motivi geometrici e floreali, ma anche altri tipi di recipienti, come pitali, fiasche, pentole e tegami, o altri oggetti d'uso comune, come le pedine da gioco. L’importanza di tutto questo materiale non è solo nell’ampiezza e omogeneità del contesto (sono stati recuperati centinaia di pezzi, di cui solo una parte in mostra), ma nella sua precisa riferibilità a un determinato momento storico. L’elemento di maggiore interesse resta però il fatto che diversi manufatti presentano graffiti con i nomi dei carcerati (e in alcuni casi la loro provenienza), le date della loro detenzione (dal 1835 al 1854) o segni devozionali come le croci: queste incisioni, oltre ad avere una grande efficacia comunicativa, rappresentano il legame con i documenti esposti che in qualche caso hanno permesso di ricostruire le vicende personali e giudiziarie di alcuni detenuti.
    I materiali documentari (provenienti dall’Archivio Comunale di Lugo), oltre che di documenti più strettamente legati ai singoli detenuti, sono costituiti da estratti del carteggio amministrativo del Comune di Lugo riferiti alla Sanità, alla Giustizia e, in particolare, alla gestione delle carceri e dell’emergenza sanitaria dell’epidemia di colera, che offrono uno spaccato delle condizioni socio-economiche e socio-sanitarie della comunità lughese alla metà del XIX secolo.
    L’ampio apparato didattico e illustrativo permette di inquadrare i reperti esposti all’interno del contesto storico-sociale, ricostruendo la storia e l’assetto urbanistico di Lugo alla metà del XIX secolo, l’organizzazione delle prigioni e la vita carceraria, la diffusione dell’epidemia di colera e le sue conseguenze demografiche. Tra gli oggetti sicuramente appartenuti ai carcerati si segnalano -per l’ingente numero e le importantissime iscrizioni- i piccoli catini in ceramica ingobbiata bianca, seguiti da boccali e pitali, anch’essi del medesimo materiale. Con i frammenti di questi oggetti i carcerati realizzarono una serie di pedine da gioco, rinvenute numerose nello scarico.
    Accanto a questi oggetti, di scadente qualità e certamente comperati in serie, sono stati portati in luce anche boccali e piatti con decorazioni policrome su fondo bianco. Si tratta anche in questo caso di esemplari di fattura corsiva, i cui temi decorativi, “a fiorato” o a “uccelletto”, di facile e veloce esecuzione, erano molto diffusi nelle fabbriche romagnole. Rinvenuto anche un discreto numero di bottiglie o fiasche in smaltata bianca, di una forma che trova ad esempio riscontro nei Listini delle fabbriche faentine, dove sono individuate come bottiglie da vino o da birra: da notare la forma della bocca predisposta per ospitare un tappo in sughero. A queste si aggiungono bicchieri e bottiglie in vetro che hanno ormai assunto la forma che si conserva tuttora.
    Tra gli oggetti rinvenuti nello scarico si segnala anche la presenza degli scaldini, una delle forme più tipiche della ceramica ad uso domestico dell’800. Questi oggetti, prodotti in diverse grandezze, facevano parte di una vasta produzione a basso costo, che era presente in ogni locale della casa.
    Accanto ai materiali ottocenteschi è esposta anche una piccola selezione dei materiali dei secoli precedenti (XVII-XVIII), come ad esempio alcune pentole da fuoco in ceramica invetriata con decorazioni ad ingobbio e piatti in smaltata bianca o azzurra, conosciuta anche come “Senigallia”.

    “(…) Il morbo infuria, il pan ci manca (...)”
    (Arnaldo Fusinato, Addio a Venezia (1849)



    L’epidemia di colera del 1855


    La grande epidemia di colera del 1855 ebbe origine proprio a Venezia. Alcuni soldati austriaci che avevano partecipato all’assedio della città lagunare nel 1848-1849, rientrando nelle Legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna contagiarono alcuni abitanti del territorio. I primi casi di colera sono attestati a Malalbergo (BO), Ferrara, Ravenna e Bagnacavallo (RA) già alla fine del 1849. Questi casi si replicarono sporadicamente in Romagna e nelle Marche per tutto il periodo compreso tra il 1850 e il 1854, con successivi picchi di virulenza nel ferrarese, a Codigoro e Lagosanto, e nelle Marche, a Recanati e Senigallia.
    Mutuando le esperienze consolidate a Venezia fin dall’epidemia di colera del 1630, le amministrazioni pubbliche delle Legazioni istituirono commissioni sanitarie a livello dei Comuni e delle Province, per vigilare sull'applicazione delle norme relative ai cosiddetti “cordoni sanitari”.
    I “cordoni sanitari” servivano a isolare le zone non infette dai contatti commerciali o dal semplice spostamento di persone provenienti dalle zone “sospette” o contagiate. Oltre a questi, furono predisposte apposite aree chiamate “lazzaretti” per il ricovero e la cura degli infetti e per la quarantena delle merci e delle persone provenienti dalle zone infette ma non attaccati dal male. Queste epidemie, provocavano gravi ricadute sul tessuto economico, bloccando gli scambi commerciali, e conseguentemente i mercati locali, fondamentali per l’economia del territorio.
    Per diffusione e numero dei morti, l’epidemia di colera del 1855 fu la più grave mai verificatasi nelle Romagne.
    Tra i mesi di febbraio e novembre si ammalarono 20.706 persone, con 12.129 decessi. Nel territorio della Bassa Romagna, il primo caso fu segnalato a Lugo, città particolarmente esposta al contagio in quanto sede di mercato, il 22 febbraio 1855; l’epidemia si concluse a Massa Lombarda (RA) il giorno 30 novembre 1855. Gli abitanti di Lugo colpiti dalla malattia furono in larga parte ricoverati nel lazzaretto ubicato in via Fossa, fuori Porta San Bartolomeo, dove ricevettero le cure dei medici locali, i dottori Francesco Ballotta e Francesco Scardovi. Nel Cimitero monumentale di Lugo è possibile visitare il monumento funerario del Dott. Francesco Scardovi (1809-1911), morto il 12 dicembre 1911 alla veneranda età di quasi 103 anni.
    La discussione sull’origine del male divise all’epoca i vari medici tra coloro che erano convinti del contagio e quelli che attribuivano l’origine della malattia agli ambienti insalubri, alla scarsa igiene o alle smodatezze nell’alimentazione. Nelle disposizioni sanitarie dell’epoca, compaiono così prescrizioni curiose, come quelle che vietano di consumare meloni e cocomeri, di mangiare frutta troppo acerba o troppo matura, e di bere vino nuovo.
    (www.archeobo.arti.beniculturali.it/)

    .....

    Data Inizio:12 aprile 2014
    Data Fine: 22 gennaio 2015
    Costo del biglietto: gratuito
    Prenotazione: Nessuna
    Luogo: Lugo, Manica Lunga dell'ex Convento del Carmine
    Orario: visitabile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12
    Telefono: 054538488
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.archeobologna.beniculturali.it/...colera_2014.htm

    Dove:

    Manica Lunga dell'ex Convento del Carmine
    Città: Lugo
    Indirizzo: Piazza Trisi, 4
    Provincia: RA
    Regione: Emilia-Romagna
     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL MISTERO DI MONTE LUCIO

    Dal 20 aprile al 26 ottobre 2014


    Le indagini archeologiche nel castello di Monte Lucio hanno portato in luce dati sorprendenti che rendono il contesto del tutto eccezionale. Particolarmente originale il recupero del piccolo oratorio dedicato a San Leonardo destinato all’esclusiva sepoltura di bambini, un fatto tanto significativo quanto inusuale
    La mostra segue due anni di scavi archeologici e vuole valorizzare il patrimonio storico-archeologico dell’area dei quattro colli, Monte Vetro, Monte Zane, Monte Lucio e Bianello. In questa esposizione lo studio si è focalizzato sul Monte Lucio e sui suoi aspetti storici. I risultati ottenuti nelle due campagne di scavo sono stati d’indubbio interesse ed hanno riportato in luce, oltre a gran parte della cinta muraria, anche i resti dell’antica chiesa di San Leonardo, di cui era rimasta memoria soltanto nelle fonti cronachistiche. Lo studio dei manufatti ritrovati ha permesso di affermare che il castello di Monte Lucio era un luogo importante, come testimoniano le numerose monete provenienti da tutta la pianura padana ritrovate in loco. Significativi sono anche i rinvenimenti di oggetti “preziosi”, segno di un ruolo sociale elevato di alcuni degli abitanti di Monte Lucio.
    La mostra è promossa dal Comune di Quattro Castella e dall’Università di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà, con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e il sostegno del Banco S. Geminiano e S. Prospero Gruppo Banco Popolare
    (Carla Cont, www.bniculturali.it)

    .....Monte Lucio storia....



    Quattro Castella è un interessante punto archeologico, perché ha il raro privilegio di trovarsi distribuito fra i primi colli e l’alta pianura, ma soprattutto perché possiede quattro rocche in cima ad ognuno dei colli che fanno da corona al borgo, delle quali solo una si conserva in elevato, mentre delle altre tre si notano soltanto ruderi. Si tratta di un paesaggio davvero singolare, caratterizzato da una serie di cucuzzoli che si affacciano sulla pianura; questo caratteristico paesaggio, che ben si vedono salendo da Bibbiano, in epoca storica ha ospitato i castelli di Monte Vetro, Bianello, Monte Lucio e Monte Zane. Questo territorio è stato usato come un sistema difensivo, all’inizio del X secolo, quando la creazione di costruzioni fortificate sul territorio reggiano diventò assai frequente a seguito dell’incursione degli Ungari che provocò devastazioni in tutta Europa. La posizione strategica dei quattro colli, in precedenza, fu sfruttata a scopi difensivi, nelle lotte fra bizantini e longobardi nel VI secolo per la supremazia del territorio.

    Diversamente da Monte Vetro, Bianello e Monte Zane, il Monte Lucio non sembra avere mai ospitato una comunità radicata e stabile, così come è sconosciuta la data di fondazione del castello. La sua origine è legata alla storia della famiglia dei da Canossa che, insediatasi nella zona attorno alla metà del 1100, ottiene da Federico I nel 1185 l’investitura del feudo di Bianello, Canossa e Gesso sul Crostolo. Il Castello era caratterizzato da una cinta muraria di forma ellittica che circondava la sommità del colle. Gli elementi principali erano una torre signorile e una chiesa innestata direttamente nella cortina muraria.
    Le fonti scritte ci dicono che il piccolo oratorio era dedicato a San Leonardo mentre i dati archeologici attestano che questo edificio ecclesiastico fu sede di una necropoli fin dalle sue origini. All’interno della chiesa venivano sepolti i bambini e alcune donne, mentre all’esterno erano deposti gli individui adulti di sesso maschile.
    Il Castello ha avuto una vita piuttosto breve. Fondato nella prima meta del XIII secolo, fu abbandonato alla fine del XIV secolo. L’abbandono non interessò però tutta l’area. La torre continuò ad essere abitata, probabilmente con funzioni non più militari, a differenza della cinta muraria e della chiesa che furono demolite intenzionalmente. Sui loro ruderi si costruirono delle piccole strutture di età rinascimentale, segno di una frequentazione agricola del colle e delle aree limitrofe. Gli scavi archeologici nel castello di Monte Lucio hanno restituito informazioni e dati rilevanti che rendono questa scoperta per alcuni versi eccezionale. Di grande importanza appare la sua chiesa destinata alla sepoltura dei bambini, un fatto tanto significativo quanto inusuale. L’area esterna alla chiesa è caratterizzata dal rinvenimento di un cimitero di individui adulti. Lo studio dei resti ha permesso di ricostruirne le condizioni di vita. Dallo scavo sono anche emersi numerosi oggetti che hanno offerto la possibilità di fare un po' di luce sulle attività svolte all’interno del castello. Tra questi, un piccolo manufatto in pietra raffigurante un cane o un cavallo stilizzato, forse un pestello da mortaio: è probabile che sia stato riutilizzato come giocattolo, visto che è stato individuato nei pressi della tomba di un bambino.
    Trattandosi di un castello, non mancano poi le armi, tra cui numerose punte di balestra che indicano come il sito sia stato teatro di alcune battaglie.
    Le numerose monete rinvenute, provenienti da tutta la pianura padana, ci permettono di affermare che il castello di Monte Lucio era un luogo importante che partecipava in maniera attiva agli scambi commerciali dell’epoca.
    Significativi sono anche i rinvenimenti di oggetti “preziosi”, segno di un ruolo sociale elevato di alcuni degli abitanti di Monte Lucio. Lo scavo ha portato alla luce oggetti del tutto particolari che dimostrano la straordinaria peculiarità di questo sito: tra questi uno spillone dorato, raffinato oggetto di ornamento femminile.
    La chiesa del castello, dedicata a San Leonardo, rappresenta un caso del tutto particolare, vista la sua destinazione all'esclusiva sepoltura di bambini o al massimo di donne (probabilmente puerpere), un fatto del tutto eccezionale che rende unico questo ritrovamento.(www.archeobologna.beniculturali.it/)


    "IL BAMBINO CON LA CONCHIGLIA"


    "Erano i primi giorni dello scavo quando, sul muro esterno perimetrale della Chiesa di San Leonardo, fu rinvenuto il primo scheletro. Si trattava di un bambino deposto sullo strato di crollo dell’edificio, con la testa leggermente inclinata che sembrava essere stata di proposito appoggiata a quel muro. Forse chi l’aveva deposto tanto tempo fa aveva voluto legarlo per sempre a San Leonardo e porlo ugualmente sotto la sua protezione, anche se di quell’antico edificio di culto erano rimaste soltanto poche pietre. Quelle pietre evidentemente conservavano ancora per la collettività un profondo senso di sacro come se, anche distrutto, quel luogo fosse ancora intriso della forza protettiva del Santo, come se i bambini potessero ancora essere lasciati in sua custodia per l’eternità.
    Tra i resti del bambino fu trovata soltanto una conchiglia, una delle tante che ancora affiorano sui colli di Quattro Castella, avanzi di un antico mare, divenuti monili per chi non poteva permettersi altro e, in questo caso, unico tenero accompagnamento della sua sepoltura. È molto probabile infatti che quella conchiglia fosse parte di una piccola collana che il bambino portava sul petto."(stilearte.it)

    ......

    Costo del biglietto: € 5,00; Riduzioni: € 2,00; Per informazioni 0522249267
    Prenotazione: Facoltativa;
    Url prenotazioni: www.bianello.it
    Luogo: Quattro Castella, Castello di Bianello (RE)
    Orario: Domeniche e giorni festivi 15-19Luglio e Agosto 16-20Giorni infrasettimanali su prenotazione
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.bianello.it
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Immaginando Città.
    Racconti di fondazioni mitiche,
    forma e funzioni delle città campane


    Dal 29 maggio al 30 ottobre 2014



    L'arte raccontata attraverso le suggestioni della poesia, questo il filo conduttore di “Immaginando Città. Racconti di fondazioni mitiche, forma e funzioni delle città campane”, evento organizzato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta nell'ambito dell'omonimo Progetto cofinanziato dalla Regione Campania con Fondi Por-Fesr. La mostra, visitabile fino al 30 ottobre 2014, presso il Museo dell’antica Capua, e agli Scavi di Paestum. Vecchi e nuovi reperti archeologici, molti dei quali rinvenuti in occasione dei lavori effettuati per la realizzazione dell'Alta Velocità, vengono presentati con occhi diversi all'interno di un un itinerario che va alla scoperta di una sorta di Pompei di epoca preistorica, tra vecchi villaggi e centri urbani distrutti e sigillati nel tempo dalle eruzione dell'Età del Bronzo (1800 e 1400a.C). Si tratta di un progetto pilota, unico nel suo genere. “Un'iniziativa speciale innanzitutto per la metodologia. Piuttosto che affidarci ai classici pannelli – spiega la soprintendente Adele Campanelli -, lavoriamo sulla suggestione del teatro e della poesia. L’idea è trasformare i musei in luoghi nei quali potersi riconoscere. Far percepire al pubblico che quello che vede e sente lo riguarda direttamente. Il successo si raggiunge quando il visitatore esce con la voglia di saperne di più. Nella mostra proponiamo la messa in scena di miti e leggende per mostrare quali meraviglie si celano sotto l’asfalto delle nostre città, la rete di villaggi su cui fonda l’urbanesimo. Sotto i nostri piedi ci sono tesori inestimabili”. Tesori scoperti spesso per caso grazie ai lavori per l’alta velocità e la metropolitana. “È la modernità che riscatta l’antico - conclude Campanelli -. Attraverso la conoscenza di quello che siamo stati possiamo ritrovare l’identità perduta e rendere più cosciente e sensibile il cittadino di oggi”.

    La fondazione delle colonie greche a partire dall’VIII secolo a.C. (Cuma, Posidonia – Paestum, Velia, Neapolis), lo svilupparsi del fenomeno urbano presso le popolazioni etrusche ed italiche (Capua, Pontecagnano, Calatia, Nola, Nocera, Pompei, Sorrento) con estensioni, articolazioni e modalità di organizzazione differenziate adottate in maniera diffusa su un territorio e lungo un arco cronologico molto vasto (Cales aurunca, Fratte, Caudium, Roccagloriosa), le fondazioni delle colonie latine e lo svilupparsi dei centri campani alleati dei Romani a partire dalla fine del IV secolo a.C. (Cales, Sinussa, Liternum, Puteoli, Teano, Acerra, Atella, Avella) costituiscono alcuni capitoli della storia dell’occupazione del territorio ai quali il progetto espositivo fa riferimento.
    Da queste premesse scientifiche, l’esposizione, che si avvale di un allestimento innovativo, individua due possibili percorsi di conoscenza: le città antiche che non hanno avuto continuità di vita sullo stesso sito (Poseidonia Paestum – Capaccio) e quelle dove la città moderna insiste direttamente sui resti antichi (Capua – Santa Maria Capua Vetere).
    (beniculturali.it)



    .....................


    Museo Archeologico dell’Antica Capua

    Via Roberto d’Angiò, 48

    Santa Maria Capua Vetere (Ce)

    Tel. 0823/844206; 0823/798864





    ORARI DI APERTURA

    Orario:9.00-19.00

    Chiuso:Lunedì





    Museo Archeologico Nazionale di Paestum

    Via Magna Grecia, 919

    Capaccio (SA)

    Tel. 0828/811023

    ORARI DI APERTURA

    aperto tutti* i giorni 8:30 – 19:30

    book-shop e biglietteria del museo 8:30 – 18:45

    Area Archeologica di Paestum

    aperta tutti* i giorni dalle 8:45 fino ad un’ora prima del tramonto**

    *Il Museo resta chiuso per manutenzione il primo ed il terzo lunedì di ogni mese; il Museo e l’Area Archeologica restano chiusi l’1 gennaio, l’1maggio e il 25 dicembre.
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    "L'ambiente naturale attorno a Ravenna era paragonabile a quello di Venezia e Chioggia: la laguna. A differenza della laguna veneta, l'ambiente attorno a Ravenna era costituito da una serie di piccole lagune. Le acque delle lagune non comunicavano direttamente col mare: tra esse e il mare vi era un cordone di dune sabbiose. Ravenna fu fondata su un lembo di cordone litoraneo. Per tutta l'antichità, la città fu a contatto diretto col mare."


    Il genio delle acque.
    Dalla domus in riva al mare a Tamo


    Ravenna, dal 29 maggio 2014 al 31 dicembre 2015



    Si chiama Il genio delle acque il nuovo allestimento museale di RavennAntica che arricchisce la raccolta di mosaici antichi e moderni del centro TAMO nel Complesso di San Nicolò a Ravenna. Il titolo prende spunto dal più importante reperto esposto, la raffigurazione di un uomo con barba, simbolo di una divinità fluviale.
    Il ritrovamento della divinità barbata e di altri mosaici, risalenti al I e II secolo d.C., avvenne casualmente, come accade per la maggior parte delle scoperte archeologiche. Come sempre in questi casi, Hera interruppe i lavori per consentire l'intervento degli archeologi della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e il corretto recupero dei reperti. In questo caso, Hera ha sostenuto non solo le spese dello scavo archeologico ma anche quelle del distacco dei mosaici e del successivo restauro, confermando l'annosa collaborazione con la Fondazione RavennAntica e la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.
    I reperti rinvenuti appartengono tutti a un settore di una residenza di epoca imperiale romana, con pavimenti a mosaico in bianco e nero, a motivi geometrici, appartenenti a quattro ambienti che si aprivano intorno a un’area cortilizia, pavimentata in mosaico bianco, al centro della quale si trovata anche un pozzo per attingere l’acqua di falda. L’uomo con la barba, la divinità barbata o genio delle acque -come è stato ribattezzato- è l’unico mosaico con motivi figurativi venuto in luce.

    La domus di Piazza Anita Garibaldi sorgeva molto vicina alla linea di costa, ad alcune centinaia di metri dal mare, e rappresenta un’interessante conferma dello sviluppo urbano di Ravenna in epoca imperiale. Nel lungo periodo di pace e prosperità inaugurato da Augusto, la città comincia ad espandersi oltre il perimetro delle vecchie mura repubblicane, così nel corso del I e del II secondo secolo dopo Cristo molte domus e villae sorgono verso la campagna circostante e, ora lo sappiamo, anche verso il mare. I dati emersi dalle indagini archeologiche permettono quindi di aggiungere nuove informazioni alle conoscenze storiche sulla città e di avere una nuova percezione dell’aspetto urbano antico di Ravenna.

    Il ritrovamento arricchisce la conoscenza dello sviluppo di Ravenna in quei secoli cruciali e prima della più famosa fase bizantina. La raffigurazione della divinità fluviale, d’altra parte, conferma il forte legame simbolico di Ravenna con l’acqua, il mare, i fiumi, le aree lagunari e lacustri. Come sappiamo il mare lambiva la città ad est, le valli la circondavano sugli altri lati e dentro la città scorrevano alcuni corsi d’acqua. Niente di più logico quindi che la simbologia acquatica avesse un peso rilevante nelle decorazioni in ambito pubblico e privato, come nella domus scoperta a pochi passi dal mare.

    Dal 16 maggio, dopo quasi due millenni e dopo essere passati dalle sapienti mani dei restauratori, i preziosi mosaici di Piazza Anita Garibaldi tornano a vivere in un originale allestimento a TAMO, dove accanto al genio delle acque trovano posto altri importanti lacerti, parte dell’area cortilizia con il pozzo e una suggestiva porzione della struttura muraria di epoca tardo-antica.
    Gli scavi per la realizzazione della stazione ecologica di Piazza Anita Garibaldi a Ravenna risalgono all'estete 2011: tutte le fasi di recupero e restauro sono state finanziate da Hera
    Responsabile scientifico degli scavi archeologici Chiara Guarnieri, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
    (www.beniculturali.it)

    ....................
    Redattore: CARLA CONTI
    Informazioni Evento:

    Data Inizio:29 maggio 2014
    Data Fine: 31 dicembre 2015
    Costo del biglietto: Per informazioni 0544213371
    Prenotazione: Nessuna
    Luogo: Ravenna, Tamo. Tutta l'avventura del mosaico
    Orario: DA MARZO A OTTOBRE tutti i giorni ore 10-18.30DA NOVEMBRE A FEBBRAIO dal martedì al venerdì ore 10-17, sabato, domenica e festivi ore 10-18GIUGNO-LUGLIO-AGOSTO tutti i giorni ore 10-14 con apertura ed eventi serali nel mese di Luglio
    Telefono: 0544213371
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.tamoravenna.it

    Dove:

    Tamo. Tutta l'avventura del mosaico
    Città: Ravenna
    Indirizzo: Via Rondinelli, 2
    Provincia: RA
    Regione: Emilia-Romagna
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    I PAPI DELLA SPERANZA -
    ARTE E RELIGIOSITÀ NELLA ROMA DEL ‘600

    dal 16 maggio al 15 novembre 2014


    La mostra, intitolata “I PAPI DELLA SPERANZA – Arte e religiosità nella Roma del '600” realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, è organizzata dal Centro Europeo per il Turismo presieduto da Giuseppe Lepore in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico-Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma, diretta da Daniela Porro, con la partecipazione dei Musei Vaticani, la Biblioteca Apostolica Vaticana, l’Archivio Segreto Vaticano e la Reverenda Fabbrica di San Pietro

    L’esposizione, che si avvale di un comitato scientifico di grande prestigio, presieduto dall’Arcivescovo Agostino Marchetto Segretario Emerito del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, è curata da Maria Grazia Bernardini e Mario Lolli Ghetti. La mostra, ospitata nelle Sale di Clemente VII, di Clemente VIII, di Apollo e della Giustizia, sarà organizzata in tre sezioni tematiche:

    La prima sezione, ROMA SANCTA: RECUPERO DEL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI costituisce l’introduzione alla mostra e, attraverso dipinti, incisioni, testi e reperti archeologici, illustra il nuovo clima culturale e spirituale, caratterizzato dal fervore religioso e da uno studio attento delle radici del cristianesimo, attraverso la ricerca delle fonti storiche, dei materiali e delle testimonianze.

    La seconda sezione, I GIUBILEI, vuole illustrare il forte interesse dei papi per l’evento del Giubileo, e della particolare attenzione rivolta al pellegrino. Saranno presi in considerazione quattro giubilei: 1575, 1600, 1625 e 1650. Ad esempio, per l’appuntamento del 1575, Gregorio XIII profuse il massimo impegno per trasformare Roma in una città santa ed esaltare la Chiesa Trionfante. Innumerevoli furono gli interventi urbanistici, le committenze artistiche, le celebrazioni, le processioni, le pubblicazioni, finalizzate al suo principale obiettivo. Si diffondono l’immagine allegorica della Chiesa che vince l’Eresia (di cui abbiamo due esempi emblematici nelle due statue che adornano la facciata della chiesa del Gesù), il culto della figura di Cristo e il profondo sentimento del fedele per il potere salvifico del Figlio di Dio, la venerazione dei martiri. Sculture, incisioni, volumi e monete documenteranno i quattro avvenimenti, ponendo l’accento sull’aspetto più significativo di ogni Giubileo.

    La terza sezione, ARTE e DEVOZIONE si soffermerà sull’arte devozionale che tanta parte ebbe nel corso del Seicento a Roma, ed è suddivisa in cinque sottosezioni dedicate al culto delle reliquie, alla canonizzazione dei santi, a San Filippo Neri e gli oratoriani, alle grandi figure dei Santi e agli apparati e cerimonie. Sui vari aspetti dell’arte finalizzata alle diverse manifestazioni della devozione, saranno esposti dipinti, ritratti di santi, pale d’altare, sculture, bozzetti, incisioni, oreficerie che offrono una sintetica panoramica delle complesse varietà delle forme artistiche a servizio delle religione. Nell’ambito della Mostra, come tradizione, sono state invitate a partecipare per la sezione recuperi di Opere d’Arte le Forze dell’Ordine.


    ....................


    Informazioni Evento:

    Data Inizio:16 maggio 2014
    Data Fine: 15 novembre 2014
    Prenotazione: Nessuna
    Luogo: Roma, Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo
    Orario: ore 9.00 - 19.00; chiuso lunedì
    Telefono: 066819111
    E-mail: [email protected]
    Sito web: http://castelsantangelo.beniculturali.it
     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    “I fasti e i calendari nell’antichità”

    dal 14 novembre 2014 al 2 giugno 2015


    Nell’ambito delle iniziative legate ai festeggiamenti del Bimillenario Augusteo, arriva al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme la mostra “I fasti e i calendari nell’antichità”.

    Il museo, che conserva opere della massima importanza riconducibili alla figura di Augusto a cominciare dalla statua che lo rappresenta come Pontefice Massimo, custodisce anche le lastre, eccezionalmente conservate, dei Fasti Praenestini.
    Questi offrono l’occasione per una mostra che approfondirà il tema dei calendari e delle modifiche introdotte nel calcolare la successione dei mesi: dal precedente uso di riportare esclusivamente feste in ragione delle divinità, si passa alle nuove feste in onore del principe e della domus Augusta. Quando cambia un calendario nella città mutano l’organizzazione e l’ordine del tempo, il tempo del calendario è un tempo sociale. La forma e i livelli di questo mutamento saranno il riflesso e il risultato di un nuovo modo di intendere, di pensare, di vivere, accanto alla topografia delle emergenze monumentali, la topografia cronologica della città. Tutto questo sarà raccontato da opere della collezione e prestiti da musei italiani e stranieri.

    Il calendario prenestino, composto in età augustea, tra il 6 e il 9 d.C. dal grammatico Verrio Flacco, era esposto nel foro superiore di Praeneste. Da un passo di Svetonio risulta che i dodici pannelli con i mesi dell’anno erano addossati ad un emiciclo, vicino alla statua del grammatico, precettore dei nipoti di Augusto, Gaio e Lucio. I frammenti conservati a Palazzo Massimo consentono la ricostruzione parziale dei mesi di gennaio, marzo, aprile e dicembre.
    Il sistema calendariale romano regolava l’organizzazione del tempo e scandiva i ritmi dell’esistenza quotidiana fornendo un imprescindibile elemento per la comprensione della vita religiosa e delle attività civili del mondo romano. Il calendario di Palestrina, in particolare, è un’importante attestazione della riforma introdotta da Giulio Cesare, con la quale si mette ordine nel sistema attribuito a Numa Pompilio, basato su un calendario lunisolare, che aveva creato notevole confusione anche per lo slittamento rispetto alle stagioni. Il sistema giuliano che, per compensare lo sfaldamento, inserisce l’anno bisestile, con un aggiustamento successivo risalente al papa Gregorio XIII, nel 1582, è ancora oggi utilizzato.
    L’anno calendariale giuliano era costituito da dodici mesi di lunghezza variabile corrispondente all’attuale, per un totale di 365 giorni, 366 negli anni bisestili.
    Il museo conserva numerose altre opere di età augustea, basti citare il Giardino dipinto della Villa di Livia e il complesso della Villa della Farnesina che saranno, per l’occasione, presentate con nuovi apparati illustrativi e multimediali per creare anche un sistema di collegamento con i siti sul territorio e il Palatino.
    (www.oggiroma.it/)




    ..........


    Location: Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo
    
Data: dal 14 novembre 2014 al 2 giugno 2015
    
Orario: mar-dom dalle 9.00 alle 19.45
    Costo: da 3,50 a 7 euro euro (gratuito la prima domenica del mese); il biglietto consente l’accesso anche alle altre sedi del Museo Nazionale Romano (Crypta Balbi, Terme di Diocleziano, Palazzo Altemps) ed è valido 3 giorni
    Indirizzo: largo di Villa Peretti 1, Roma
    Info: +39 06.399 67 700 – www.coopculture.it
     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Museo delle carrozze
    e la collezione dei finimenti


    dal 29 aprile al 28 dicembre 2015



    Mariella Utili, Soprintendente del Polo Museale Regionale della Campania, lo scorso 29 aprile ha inaugurato la nuova sezione relativa alla Collezione dei Finimenti del Museo delle Carrozze di Villa Pignatelli in Napoli, che così compie un altro importante passo nella valorizzazione del complesso, già dimora di famiglie aristocratiche ( Acton, Rothschild, Aragona Pignatelli). Villa Pignatelli a giugno 2014 aveva aperto al pubblico l’ala principale riservata alla collezione di oltre trenta straordinari esemplari di carrozze delle più prestigiose fabbriche dell’Ottocento.
    Il Museo, intitolato al marchese Mario d’Alessandro di Civitanova, che donò nel 1961 il primo e più cospicuo nucleo- al quale si sono aggiunte le carrozze di donazioni Dusmet, Spennati, Leonetti di Santo Janni e De Felice – è situato nella parte nord-est del parco della villa, negli ambienti già in origine adibiti a stalle e ricovero per le carrozze della famiglia Pignatelli e ampliati, per accogliere la vasta collezione, con una grande sala a pianta rettangolare.
    L’elegante progetto di allestimento museale, affidato allo studio di architettura e restauro Giusti-Lo Gatto, è il risultato di un approfondito studio preliminare della consistente e variegata collezione, e ne valorizza la ricchezza ed il grande pregio. Alla necessità di riassegnare agli spazi degradati e chiusi al pubblico la loro originaria destinazione, andava collegata l’esigenza di realizzare una corretta veste espositiva articolando il percorso museale secondo criteri tipologici per guidare i visitatori nella comprensione e lettura del patrimonio esposto.
    Nella grande sala, con il suo accentuato sviluppo longitudinale in grado di consentire la visione d’insieme, sono esposte le carrozze. Vi troviamo i prestigiosi Hunting Break di Crespi e Ferrari, i Coupè di Bottazzi e Logati, e poi i Phaeton, i Break, i Coach di Mühlbacher, Morel, Laurie & Marner. Proseguendo il percorso di visita, oltre la piccola sala della scuderia con il rivestimento maiolicato e le originarie mangiatoie in ghisa, in ampie sale voltate sono esposti i calessi Rally Car marcati Ferretti, lo Stanhope Gig, la Domatrice ed i Military dei carrozzieri italiani Bottazzi, Trinci e Calore.
    La nuova sezione relativa alla collezione dei finimenti raccoglie circa 500 pezzi tra morsi, fruste, bardature, imboccature, finimenti, ed oggetti di vario tipo a completamento delle carrozze e per la cura del cavallo.
    La dimensione ridotta e la definizione di dettaglio dei reperti, inducono ad una lettura ravvicinata e dunque ad un differente criterio espositivo fino allo studio dei più adatti supporti e delle teche, capaci di valorizzarne la fattura ed il pregio. La scelta dei materiali, dei colori e delle finiture dei supporti allestitivi, in coerenza con le caratteristiche del sito, è improntata a criteri di compatibilità tra gli spazi architettonici ed i manufatti esposti, privilegiando elementi dal disegno semplice e lineare.
    L’aspetto della comunicazione e della didattica è tema centrale nell’ideazione del nuovo museo. Se gli aspetti costruttivi, di utilizzo e fruizione del mezzo di trasporto ‘carrozza’, risultavano essere familiari e consueti per le generazioni precedenti, con l’evoluzione dei mezzi di trasporto, tale conoscenza è venuta del tutto a mancare.
    L’allestimento secondo moderni criteri museografici concorre a ridurre la cesura con il passato, e addolcire fratture di difficile ricomposizione. Ne fa prova il libro-catalogo curato con grande passione e significativo risultato dalla Direttrice del Museo Denise Maria Pagano che, nel lavoro di ricerca, da vera e tenace studiosa, ha rintracciato collezionisti e specialisti come il valente esperto in fruste e frustini Lorenzo Gatti. E aggiungo, con sacrificio di ogni modestia, anche la collezione e la biblioteca di Teresa e Ivo Baldisseri hanno avuto la loro parte di merito, sebbene nemmeno io mi sia trattenuto dal consegnare esperienze maturate nella passione del collezionismo e nel mondo degli Attacchi. Ora, di fronte alla magnifica riuscita del nuovo Museo di Villa Pignatelli, non lo nascondo, siamo al contempo orgogliosi ed intimiditi dal grande onore ricevuto nel far parte della selezionata squadra di quanti vi hanno concorso. Approfitto di questo spazio per manifestare alla Direttrice Denise Maria Pagano ed alla sua Vice Rosanna Naclerio, della quale ricordo l’esaustivo glossario riportato nel libro-catalogo, l’immensa gratitudine di cui siamo debitori.
    Nella visita al Museo, postazioni multimediali dislocate lungo il percorso mediante schermate progressive forniscono in italiano ed inglese informazioni di dettaglio e curiosità. Un’installazione ludica con giochi interattivi permette ai più piccoli di assemblare una carrozza nelle sue principali parti costitutive o di vestire il cocchiere con l’abbigliamento adeguato o ancora di collocare i giusti finimenti sul cavallo.(Ivo Baldisseri, www.carrozzecavalli.net/)



    ....
    Informazioni Evento:

    Data Inizio: 29 aprile 2015
    Data Fine: 28 dicembre 2015
    Costo del biglietto: € 2,00
    Prenotazione:Nessuna
    Luogo: Napoli, Museo Pignatelli
    Orario: 8.30 – 14.00; chiuso martedì
    Telefono: 081669675
    E-mail: [email protected]

    Dove:

    Museo Pignatelli
    Città: Napoli
    Indirizzo: Riviera di Chiaia, 200
    Provincia: NA
    Regione: Campania
     
    Top
    .
  15. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    LAPISLAZZULI. MAGIA DEL BLU

    Dal 09 Giugno al 11 Ottobre 2015



    La mostra, la prima in assoluto dedicata a questo specifico argomento, intende documentare la passione per questo prezioso materiale e il suo uso nelle scienze e nelle arti dalle origini ai nostri giorni.
    Contrariamente a quello che comunemente si pensa, il lapislazzuli non è un minerale ma una roccia composta da diversi minerali. Il suo colore blu è dato dal minerale che ne è dominante, la lazurite. Al mondo esistono pochi giacimenti di lapislazzuli, ma sono tutti legati tra loro da una comune geologia: il metamorfismo. Il giacimento principale, ed anche il più antico, citato da Marco Polo, si trova nelle montagne di Sar e Sang. Sono picchi che culminano a più di 7000 metri di altitudine, situati nell’Hindu Kush, nell’Afganistan settentrionale ed accessibili solo attraverso passi situati a non meno di 5000 metri. Le lenti di lapislazzuli, spesse qualche metro, sembrano delineare dei drappeggi blu nel candore del marmo. Sono il risultato della circolazione di fluidi idrotermali profondi e ricchi di sodio, zolfo e cloro durante la formazione delle catene montuose. I sollevamenti tettonici hanno portato in seguito queste meraviglie alla superficie. Ed il lapislazzuli si estrae tutt’ora.
    L’utilizzo del lapislazzuli per la fabbricazione di oggetti ornamentali o di culto è molto antica. Il percorso espositivo inizierà con reperti archeologici provenienti dagli scavi condotti nella valle dell’Indo (Mehrgarth, 7000 a.C.), in Mesopotamia (Sumer, 6000 a.C., Ur, 2500 a.C.) e in Egitto (durante la XVIII dinastia, 1500 a.C. circa).
    Nel Rinascimento la preziosità del materiale fu particolarmente apprezzata a Firenze. Proprio alla corte dei Medici ebbe inizio una delle più spettacolari collezioni di oggetti in lapislazzuli d’Europa: non solo coppe, vasi e anfore, ma anche mobili intarsiati, piani di tavolo e commessi prodotti nelle botteghe fondate da Francesco I nel Casino di San Marco e nei laboratori istituiti da Ferdinando I nel complesso vasariano degli Uffizi, fino al tramonto della dinastia.
    Il lapislazzuli, ridotto in polvere ad uso di pigmento, fu utilizzato dall’antichità fino al XIX secolo. Colore iconografico della Santa Vergine, colore simbolico della dignità reale, colore emblematico dei re di Francia, colore della moda: il blu diventa, verso la fine del Medioevo, il più bello e nobile fra i colori. Quando il lapislazzuli fece la sua prima apparizione in Europa, era conosciuto con il termine di “ultramarinum”, cioè proveniente da “al di là del mare”, da cui il nome di oltremare. Importato in Europa in quantità importanti dai mercanti veneziani, il lapislazzuli veniva pagato a peso d’oro e divenne il “blu” per antonomasia, uno dei colori più ricchi e preziosi, che veniva spesso associato alla porpora e all’oro. L’utilizzo del lapislazzuli in campo pittorico sarà oggetto di una sezione della mostra.
    Verso la fine del XVII secolo e per tutto il XVIII, a causa di una penuria di lazurite, ci fu una forte domanda di pigmento blu. Nel 1814 il chimico francese Tassaert, che lavorava in una fabbrica della società Saint-Gobain che produceva della calce, osservò la formazione spontanea di un pigmento blu molto simile all’oltremare: è la nascita della sintesi dell’oltremare artificiale. Lo sviluppo della chimica nel secolo dei Lumi, permise anche la scoperta di altri pigmenti sintetici. È stato solo nel XX secolo che si è ridato al lapislazzuli il suo ruolo aristocratico: nel 1956 l’artista francese Yves Klein mise a punto un particolare blu, molto profondo, utilizzando un pigmento oltremare sintetico mescolato ad una resina industriale. Questo colore, ricordo quasi perfetto di quel lapislazzuli impiegato per dipingere i manti delle Madonne del Rinascimento, diventerà celebre con il nome di International Klein Blue («IKB»). Quest’ultima sezione raccoglierà i vari esempi di artisti contemporanei che hanno utilizzato per le loro opere questi nuovi pigmenti.
    (www.arte.it)


    .....

    Dal 09 Giugno 2015 al 11 Ottobre 2015
    FIRENZE
    LUOGO: Museo degli Argenti
    ENTI PROMOTORI:
    Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
    Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana
    Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
    Galleria degli Uffizi
    Firenze Musei
    Ente Cassa di Risparmio di Firenze
    COSTO DEL BIGLIETTO: intero € 7, ridotto: € 3,50, gratuito under 18
    TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 055 238 8709
    E-MAIL INFO: [email protected]
    SITO UFFICIALE: www.polomuseale.firenze.it

    ..
     
    Top
    .
47 replies since 2/8/2012, 23:03   2823 views
  Share  
.