MOSTRE CINEMA e COSTUME

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    Belgio, il Regno del Fumetto



    Il WOW rende omaggio ad alcune delle più amate strisce belga. La mostra è organizzata con la collaborazione di Turismo Fiandre, Bruxelles, Belgio, ente per la promozione del turismo delle Fiandre. ll Museo del Fumetto di Milano propone un viaggio in cento anni di fumetti belgi. Si tratta di tavole originali, pubblicazioni d'epoca, albi e giornali che raccontano quasi cento anni di della raffinata produzione fumettistica che ha regalato personaggi indimenticabili.
    Famoso per la cioccolata, la birra e la genialità dei suoi pittori, il Belgio detiene un primato assai curioso: con una superficie pari a un decimo di quella italiana è il paese con la più alta densità di fumettisti per chilometro quadrato.

    La mostra ''Belgio, il Regno del Fumetto''ci racconta tutto questo attraverso un percorso cronologico che parte dalla rivista Le petit Vingtième, sulle cui pagine nel 1929 nasce Tintin, il simpatico e intrepido ragazzino fotoreporter dal ciuffo rosso che gira il mondo alla ricerca di avventure con la sua macchina fotografica e il cagnolino Milou, personaggio tra i più amati e longevi della storia del fumetto ultimamente portato con successo sul grande schermo da Spielberg.
    Un regno incontrastato fino al 1938, quando nasce Spirou, simpatico facchino biondo anch’esso giramondo e avventuriero. Ai due personaggi vengono dedicate le più importanti riviste a fumetti del Paese, sempre in competizione per lanciare nuovi personaggi e autori come Peyo (nome d’arte di Pierre Culliford), lo storico creatore dei Puffi. Un fermento culturale in cui vengono alla luce personaggi come i detective dell’impossibile Blake e Mortimer (1946) di Edgar P. Jacobs, il redattore combinaguai Gaston Lagaffe (1957) e il simpatico animaletto maculato Marsupilami (1952) di André Franquin, gli aviatori Buck Danny (1947) e Dan Cooper (1954), nati uno in concorrenza all’altro sulle due riviste Tintin e Spirou, il cagnone Cubitus (1968) e molti altri. Tra tutti spiccano di certo per fama e notorietà il cowboy Lucky Luke (1946), ideato da Morris e scritto da grandi autori come René Goscinny (lo stesso di Asterix) e il romanziere Daniel Pennac, e i Puffi, gli omini blu di Peyo che, introdotti come comprimari in una storia di Rolando e Pirulì nel 1958, diventano i personaggi belgi più celebri del mondo, protagonisti di film e serie animate. Non esiste un genere predominante nel fumetto belga: la ricchezza di autori ha permesso di creare storie di pirati (Barbarossa, 1959), cavalieri (Il Cavaliere Ardente, 1966), cowboy (Blueberry, 1963), spie (XIII, 1984), birrai (I maestri dell’orzo, 1992), e perfino tassisti (Strapuntino, 1958) e agenti del fisco (IR$, 1999). E anche in Belgio rifulge l’eccellenza italiana con Dino Attanasio, autore italiano naturalizzato belga, creatore del Signor Spaghetti (1957), pubblicato a lungo su Tintin.
    Questo straordinario percorso viene illustrato dalla mostra grazie all’esposizione di tavole originali, pubblicazioni d’epoca, francobolli, figurine, pupazzi, gadgets, edizioni belghe e italiane e video. Grazie alla collaborazione tra WOW Spazio Fumetto di Milano e il Centre Belge de la Bande Dessinée di Bruxelles saranno esposte tavole originali di importanti autori.
    La mostra ''Belgio, il Regno del Fumetto'' si terra' dal 21 giugno al 6 ottobre.
     
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    "GUIDO CREPAX: RITRATTO DI UN ARTISTA"



    "Guido Crepax: ritratto di un artista” è prima esposizione a 360 gradi dell'opera dell'autore milanese, in programma nelle sale del Palazzo dal 20 giugno al 15 settembre 2013. Allestita nelle dieci sale dell'Appartamento di Riserva, la mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, da Palazzo Reale e dall’Archivio Crepax.

    “Nel decennale della scomparsa e a 80 anni dalla sua nascita, Milano rende omaggio a un grande artista – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno –. A Palazzo Reale c’è tutta la produzione di Crepax: i fumetti, i periodici, il design, il teatro, i giochi, le scenografie: un mondo che nasce dalla scena culturale e artistica della Milano di un tempo, la città delle fabbriche che erano non soltanto luoghi di lavoro, ma che producevano libertà di pensiero e partecipazione. Guido Crepax era parte di questa realtà, dove ha voluto ambientare gran parte delle sue storie, ancora oggi testimonianza preziosa di quella cultura che ha consegnato per sempre alla memoria i suoi disegni e i suoi personaggi”.

    Il Comune di Milano con l’Archivio Crepax ha realizzato una mostra che per la prima volta mette in primo piano l’autore più che Valentina, il personaggio che lo ha reso celebre in tutto il mondo. La personale offre una panoramica della poliedrica attività di Crepax, non soltanto come fumettista, ma anche come illustratore di libri, giornali, copertine di dischi, designer pubblicitario, scenografo di teatro, designer per oggetti di largo consumo. Il fil rouge che ha guidato Archivio Crepax nella scelta delle circa 90 tavole originali da esporre è il legame tra il fumetto, la fotografia e il cinema, che costituisce narrazione, fotogramma in movimento. Un legame ribadito dall'accostamento di alcune tavole a fumetti alle foto di moda, della città di Milano, di oggetti di design, di cinema e di famiglia e ai riferimenti culturali che sono il background delle storie, soprattutto di Valentina. Arricchiscono l’allestimento oltre trenta sagome a grandezza naturale, scenografie, filmati e particolari installazioni realizzate ad hoc. Ognuna delle 10 sale che compongono l’Appartamento di Riserva è caratterizzata da un tema: 1. Sala verde: Milano. Il rapporto di Crepax con la sua città, teatro di molte avventure di Valentina...2. Sala rossa: Guido Crepax. Quando l’ispirazione parte dalla famiglia e dalla casa, con curiosità tratte dall'archivio privato dell’autore....3. Sala blu: Valentina e le altre. Dal mito di Louise Brooks a personaggio ancora attuale, per la prima volta insieme alle meno note Bianca, Anita, Belinda, Giulietta, fino all'ultima nata, la giovanissima Francesca...4. Sala oro: Moda. Crepax cronista dei costumi e delle tendenze del suo tempo, con specifico riferimento alla moda di cui Valentina è stata testimone...5. Sala verde: Design. La citazione non casuale nei fumetti di Crepax di oggetti che hanno fatto la storia del design italiano e internazionale...6. Sala verde: Letteratura. I principali romanzi a fumetti di Crepax: da Justine a Casanova, da Venere in pelliccia all’Histoire d’O, da Dracula a Frankenstein, dal Dottor Jeckyll a Edgar Allan Poe, da Giro di Vite a Il processo di Kafka, con citazione dei testi letterari...7. Sala azzurra: Cinema. Dall’amore per il grande schermo e il teatro, cui Crepax ha occasionalmente collaborato, al montaggio cinematografico delle storie a fumetti...8. Sala azzurra: Fotografia. Valentina è una fotografa di moda protagonista di storie raccontate per immagini dove il particolare conta più del generale. Da qui nasce il parallelismo tra fumetto e fotografia....9. Sala rossa: Musica. Dalla classica della tradizione famigliare alla passione per il jazz, quasi una colonna sonora del fumetto...10. Sala gialla: Arte. Dalla citazione di pittori e scultori nelle tavole di Crepax alla concezione del fumetto come la nona arte. (comune.milano.it)


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    Guido Crepax: ritratto di un artista
    Palazzo Reale
    20 giugno - 15 settembre 2013
    Ingresso gratuito

    Orari:
    lunedì dalle 14.30 alle 19.30;
    martedì, mercoledì e venerdì dalle 9.30 alle 19.30;
    giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30.
    Ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura

    Informazioni:

    www.comune.milano.it/palazzoreale
    www.valentinabyguidocrepax.it
     
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    DONNE IN LUCE di Riccardo Ghilardi:
    foto attrici italiane



    Ghilardi ha scoperto per caso questo spazio abbandonato, un tempo sede dell'Istituto Luce e poi devastato da un incendio, ed ha deciso di dare nuova vita ai personaggi immersi nelle pellicole bruciate coinvolgendo oltre 30 attrici italiane che hanno regalato una parte di sé e della propria immaginazione al personaggio prescelto.
    I ritratti di “Donne in Luce” sono stati scattati anche in altri luoghi dove si respira e vive il cinema: dal Centro Sperimentale di Cinematografia all’Istituto Statale per la Cinematografia e la Televisione Roberto Rossellini, dal Museo Agostinelli al Micca Club Roma, da Villa Fabrizia a Lodi al Castello della Castelluccia, dal RosaCroce Art Store Roma al Cinema America occupato.
    "La mostra raccoglie 25 stampe in grande formato 80 x 120cm e 100 x 150 cm. Una tiratura limitata delle stampe, sarà messa in vendita durante il periodo della mostra, il ricavato devoluto interamente all’Associazione a Roma Insieme di Leda Colombini, creata da una donna per assistere i figli delle detenute di Rebibbia. Bambini nati senza tempo in una realtà spesso senza sogni. L’obiettivo è quello di portare a conoscenza delle numerose persone che visiteranno la mostra, l’impegno dei volontari dell’Associazione. “Far scoprire a questi bimbi il mondo oltre le sbarre”. “Donne in Luce” sarà anche il titolo della rassegna cinematografica che porterà nell’arena estiva della Casa del Cinema alcuni dei film interpretati dalle attrici presenti in mostra (tutti giovedì dall’11 luglio al 12 settembre).


    "L'idea del progetto "Donne in Luce" nasce più di un anno fa, quando casualmente mi ritrovo a vagare all'interno del Municipio X, ex sede dell'Istituto Luce, in Piazza di Cinecittà. Sono alla ricerca del vigile urbano che mi ha multato a pochi isolati di distanza. Mentre cammino freneticamente, attraverso vari spazi, per raggiungere la caserma della Polizia Municipale, oltrepassando un giardino, mi imbatto in una palazzina abbandonata, rivestita di edera ed erbacce, annerita in buona parte dagli inequivocabili segni del fuoco. Le porte e le finestre sono sigillate con palanche di legno per impedirne l'accesso. Incuriosito, mi spingo alle spalle di questo "blocco" isolato nel giardino, come se il tempo impietoso lo costringesse solitario e inerme alle intemperie. Soltanto pochi metri più avanti, la vita sembra trascurare la sua presenza. Il quotidiano prende il sopravvento. Scopro una porta dove mancano i sigilli e mi affaccio per guardare all'interno. In una sala illuminata dalla luce che penetra da alcuni buchi nel tetto, si svelano macchinari per lo sviluppo ed il taglio delle pellicole cinematografiche. La polvere in sospensione, rischiarata dai raggi che filtrano dai sigilli rotti e dalle finestre distrutte, crea un’atmosfera magica e sospesa. Il tempo lì si era fermato. Chiedo di parlare con il Direttore del Municipio (che allora era l'Architetto Francesco Febbraro, colui che ha reso possibile questo progetto e che ringrazio infinitamente) per saperne di più di quel palazzo.Mi raccontano mille storie differenti sulla vita dell'edificio e sul suo utilizzo. Sicuramente è stato sede per lo sviluppo e il montaggio dei film. Le bellissime porte di accesso alle Camere oscure ed i cilindri girevoli di metallo ormai arrugginito ne sono la testimonianza. Mi parlano anche di scene di celebri film girate sulle terrazze e nelle sale di posa ora incenerite. Poi mi raccontano dell’incendio e degli anni passati aspettando i fondi per un restauro che non è arrivato mai. Sempre più affascinato, torno appena posso a visitare quel luogo dimenticato. Al piano superiore una piccola sala di proiezione, completamente carbonizzata, lascia il posto ad altri ambienti tristemente distrutti dal tempo. Come inseguendo però il karma antico di questi luoghi, la luce, che filtra e si fa largo disegnando tagli netti e temperature colore imprevedibili, restituisce agli spazi un fascino eccezionale e la magia del ricordo. Mi convinco che sia stata proprio la luce a tenere in vita l’edificio, disegnando così un atto di resistenza estremo e poetico contro il tempo, la noncuranza, la nostra sciatta e negligente burocrazia. È stato così che ho iniziato a sognare di come un luogo ormai finito, inutile, inutilizzabile… potesse risvegliarsi e d’improvviso ribaltare il suo destino, divenire simbolo della passione e delle arti che resistono al cinismo di un’epoca, dove la cosa più semplice e comoda da "tagliare o dimenticare " è sempre la cultura. Ho iniziato a pensare a come poter far rivivere lo spazio, ho immaginato che, dopo l'incendio, si potesse animare e divenire la roccaforte degli spiriti di quei personaggi che un tempo avevano proprio qui trovato vita e che erano impressi sulle pellicole bruciate. Figure magiche e abbandonate al loro destino che scivolando via dai fotogrammi per salvarsi dalle fiamme vagano come fantasmi in attesa che qualcuno magicamente gli restituisca la loro “parte”. Per compensare la vetustà e la durezza, imposta dall’incendio e dal tempo passato, avrei dovuto portare grazia e bellezza, fascino e sensualità, coerenza e incoerenza, tutto quello che solo le donne posseggono nella loro straordinaria unicità. Così ho trasformato quel luogo magico nella "Casa delle Fate" e delle "streghe", se preferite... ed è nato il progetto "Donne in Luce". Ho invitato le attrici del nostro Cinema che con me hanno immaginato e cercato questi personaggi magici. Ciascuna di loro, con tanta generosità e delicatezza, ha regalato a questi spiriti, recuperati all’incendio, una parte di sé stessa...Ho terminato i ritratti di “Donne in Luce” in altri luoghi dove si respira e vive il Cinema, dove l’amore per l’arte si rigenera ogni giorno, insomma dove il cinismo che affossa la cultura viene combattuto a suon di passione e creatività." (www.beniculturali.it/)



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    Data Inizio:11 luglio 2013
    Data Fine: 12 settembre 2013
    Luogo: Roma, Casa del cinema
    Orario: dal lunedì - domenica ore 15 -19
    Roma, Casa del cinema
    Città: Roma
    Indirizzo: Largo M. Mastroianni 1
    Provincia: (RM)
    Regione: Lazio
     
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    "PARTONO I BASTIMENTI"



    Un capitolo della nostra storia molto discusso ma che in realtà è ancora poco conosciuto, quello del “grande esodo” degli italiani verso le Americhe, verrà illustrato e messo a fuoco dalla grande mostra“Partono i bastimenti”, in programma dal 17 luglio al 15 settembre a Cosenza, presso il Museo Nazionale – Palazzo Arnone. La rassegna, che ha già riscosso un notevole successo nelle sue sedi precedenti (in ultimo a Napoli), si deve alla collaborazione tra la Fondazione Roma-Mediterraneo e la Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Calabria. Significativo il patrocinio dato all’iniziativa, oltre che da Regione Calabria, Provincia e Comune di Cosenza, della National Italian American Foundation, organizzazione leader dei 26 milioni di americani di origine italiana.

    La mostra racconta la storia dell’emigrazione nelle Americhe, dalla tipicità delle Little Italy alla capacità tutta italiana di diventare protagonisti anche in contesti nuovi lasciando un segno profondo nella cultura dei Paesi ospitanti. Seguendo un percorso di foto ed altre immagini su pannelli che va dalle partenze di folle di disperati sulle “carrette del mare” di fine ‘800, ed arriva ai successi raggiunti in tutti i campi, soprattutto negli Stati Uniti, dai discendenti dei nostri emigrati si svela una storia affascinante e per certi versi sconosciuta. Una storia che si snoda attraverso i periodi più difficili del ‘900, come le due guerre mondiali, il fascismo e la grande crisi economica degli anni ’20, che vide milioni di emigrati italiani in lotta a fianco degli altri lavoratori americani. A corredare questo percorso una ricca raccolta di documenti e oggetti originali: modelli in scala di navi storiche dell’emigrazione, passaporti di diverse epoche, biglietti e documenti di navigazione, riproduzioni di puzzle di Ellis Island, opuscoli di norme per gli emigranti, libri, giornali ed oggetti delle Little Italy, insegne ed etichette di prodotti italiani degli anni ‘20 (pasta e pomodori). E poi lettere e foto rare, quadri ad acquarello e ad olio di famosi transatlantici, poster delle compagnie di navigazione, orari di arrivi e partenze, valigie e bauli contenenti cose tipiche degli emigranti, dai corredi agli strumenti musicali, dai libretti da messa al quadro del santo protettore del paese di origine. Piccoli e grandi cimeli che gli italiani portarono con loro nelle nuove Patrie, insieme alla loro innata passione per la musica e il canto. Così la rassegna presenta una ricca collezione di “copielle”, cioè piccoli spartiti originali di canzoni, quasi tutte in dialetto napoletano, in voga nella Little Italy dei primi decenni del secolo scorso.
    In mostra anche diversi bellissimi spartiti originali di tango: non tutti sanno, infatti, che la maggior parte delle canzoni e delle musiche del tango sono di autori italiani, emigrati o discendenti di emigrati che nelle loro composizioni cantarono la vita di tutti i giorni nel nuovo mondo, passioni, illusioni e delusioni, ma anche la nostalgia per la Patria perduta.
    Per la prima volta in una rassegna del genere viene dedicato anche un focus a una categoria particolare di “emigranti”: le migliaia di soldati dello sconfitto esercito borbonico che nel 1861, da Napoli, furono imbarcati per New Orleans con la prospettiva di essere arruolati nell’esercito degli stati secessionisti del Sud, nella guerra civile americana. Uomini che furono catapultati da una guerra all’altra in terre che forse non avevano mai neanche sentito nominare per scrivere un pagina davvero poco conosciuta della storia italiana. I superstiti di quel conflitto immane si ritrovarono all’improvviso senza una patria, ma in molti scelsero di restare in America e possono considerarsi tra i primi italo americani. Solo in nove alla fine della guerra decisero, infatti di tornare in Italia. La loro partenza, non propriamente volontaria (l’alternativa poteva essere una lunga prigionia nelle gelide fortezze alpine del Piemonte), è ricostruita con un po’ di fantasia in una vetrina che ha il Vesuvio come sfondo e in primo piano, sul molo del porto di Napoli, i soldatini all’imbarco, sorvegliati dalle truppe di Re Vittorio, mentre sulle torri dei castelli partenopei la bandiera borbonica sventola a mezz’asta. Altre due vetrine sono dedicate alle guerre degli Stati Uniti combattute anche da emigranti italiani, per l’indipendenza dall’Inghilterra alla guerra civile, fino al secondo conflitto mondiale.

    In mostra anche, custodita in una teca, il modello in scala (cm 220x40) e lo spaccato del transatlantico “Giulio Cesare”, la nave che negli anni venti del secolo scorso portò in Argentina con altri emigranti, la famiglia del futuro Papa Francesco. (www.cn24tv.it)



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    Informazioni Evento:


    Data Inizio:17 luglio 2013
    Data Fine: 15 settembre 2013
    Luogo: Cosenza, Palazzo Arnone
    Orario: 10.00/18.00 tutti i giorni (escluso il lunedì).
    Telefono: 098479.5639 .5556
    Fax: 098471246
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.articalabria.it
     
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    MILANO TRA LE DUE GUERRE
    Fotografie di Arnaldo Chierichetti


    Dal 13 dicembre al 13 febbraio prossimi Palazzo Morando a Milano ospiterà una retrospettiva dedicata alle fotografie di Arnaldo Chierichetti dal titolo “Milano tra le due guerre. Alla scoperta della città dei Navigli attraverso le fotografie di Arnaldo Chierichetti”. La mostra, promossa dal Comune di Milano e a cura di Stefano Galli, è organizzata dall’Associazione no profit Spirale d’Idee.

    La mostra si propone come un omaggio al capoluogo lombardo e ai suoi navigli, attraverso gli scatti di Arnaldo Chierichetti, famoso in città oltre che per il suo negozio di ottica in Porta Romana, anche per essere stato uno dei primi fotoreporter milanesi che con la sua macchina fotografica ha immortalato la vita quotidiana e i mutamenti della città a partire dai primi anni del secolo scorso. Le 140 opere esposte riproporranno alcuni degli scorci più significativi della città di Milano nel periodo compreso tra le due guerre, quali testimonianze dei numerosi e massicci interventi urbanistici e architettonici subiti nella prima metà del XX secolo. Luoghi di grande fascino, la maggior parte andati ormai perduti a seguito della copertura dei navigli completata nel 1930 e doviziosamente documentata in mostra, appartenenti a un tempo che fu e che oramai sono patrimonio dell’asfalto e delle automobili.

    Attraverso le immagini di Chierichetti si potrà viaggiare sulle “vie d’acqua” che percorrevano Milano, dal ponte di Porta Romana a quello delle Sirenette in via San Damiano, dall’antico Corso di San Celso, oggi Corso Italia, alla conca di via Senato o, ancora, ritrovarsi nella darsena di Porta Ticinese o in via Arena, dove un tempo era ospitata la più antica conca del mondo, le cui vestigia possono essere tuttora ammirate nella omonima via. Le straordinarie e inedite vedute saranno accostate a fotografie dedicate all’illustrazione della vita quotidiana del capoluogo meneghino, come il barcone trainato dal cavallo davanti al vecchio Ospedale in via Francesco Sforza. Accompagna la mostra un catalogo Silvana Editoriale a cura di Stefano Galli.

    ARNALDO CHIERICHETTI - Nato nel 1887 a Milano, Chierichetti cominciò a lavorare giovanissimo. Figlio di un battiloro, decise di non seguire le orme paterne, manifestando sin da piccolissimo una autentica passione per l'universo dell'ottica. Dopo aver lavorato nella prestigiosa ditta milanese Duroni e Murer di Piazza San Carlo ed aver acquisito le più raffinate conoscenze in campo ottico, fisico, chimico e fotografico, Arnaldo, decise di aprire nel 1914 l'Ottica Chierichetti. Già dalla prima giovinezza affiancò al lavoro la passione per la fotografia, che non lo abbandonò per tutta la vita. La documentazione che ci ha lasciato, oggi è raccolta nell'archivio fotografico Arnaldo Chierichetti, è unica nel suo genere. Oltre 1800 fototipi nei quali ha immortalato scrupolosamente la vita milanese attraverso un'attenta analisi dei cambiamenti sociali e delle evoluzioni urbanistiche. Un vero e proprio tesoro documentaristico, fondamentale supporto per chiunque voglia ricostruire la storia sociale e gli usi dell'epoca. Nell'immediato dopoguerra, per combattere l'abusivismo e dare una forma organizzativa al crescente numero di aziende del settore, fondò e fu primo presidente dell'Acofis, l'associazione degli ottici milanesi.
    (www.libreriamo.it)
     
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    IL PRESEPE DEL RE
    20 dicembre 2013 - 2 marzo 2014


    In occasione del Natale è stato allestito, per la prima volta in Museo dopo decenni, il grande “Presepe del Re”, il monumentale presepe napoletano realizzato con i pastori settecenteschi e ottocenteschi raccolti da Lamberto Loria e oggi parte delle collezioni del Museo nazionale delle Arti e Tradizioni popolari. Il riferimento è a Carlo III di Borbone (1716-1788), il Re di Napoli e di Sicilia che, in piena età barocca, grazie alla sua personale passione per l’allestimento del Presepe, diede un forte impulso e permise un’ampia diffusione di questa secolare tradizione.

    Nel 1911, in occasione della Mostra di Etnografia italiana tenutasi a Roma per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia, l’etnologo Lamberto Loria, curatore dell’esposizione, fece allestire una sezione dedicata a due grandi presepi napoletani realizzati con circa mille personaggi, confluiti poi nelle collezioni del Museo. Questi erano stati raccolti tra il 1908 e il 1910 da Loria avvalendosi di collaboratori come Francesco Baldasseroni e Salvatore Di Giacomo, o Pietro D’Achiardi. Come risulta dai carteggi, i pastori - nome usato generalmente per indicare qualsiasi personaggio del presepe - furoro scelti con grande perizia, grazie alla competenza e alla professionalità dei raccoglitori cui Loria si era rivolto. Benché acquisiti in alcuni anni, ed anche sul mercato antiquariale (a Napoli, ma anche a Firenze o a Roma), gli oltre mille pastori del MAT mostrano una sostanziale unità, in primo luogo nella superba qualità esecutiva, che ne fa un presepe di proprietà pubblica di massima importanza. Pur non conoscendo i nomi dei vari “figurari” (gli artigiani che realizzavano i pastori), alcuni pezzi sono accostabili all’ambito degli allievi del Sammartino o alla cerchia di Francesco Celebrano, grande plasticatore. D’altronde, come testimoniano i documenti, nelle intenzioni di Loria per l’Esposizione dell’11 dovevano essere utilizzati solo i migliori esemplari di pastori a testimoniare l’altissima qualità dell’artigianato napoletano.

    L’incredibile quantità di figure raccolte nei primi anni del ‘900 permette ancor oggi di rappresentare diverse tematiche ispirate ai Vangeli, dall’Annuncio ai pastori al Corteo degli Orientali al seguito dei Re Magi, con vari gruppi etnici ispirati alle credenze popolari e ai resoconti dei viaggi in Oriente.

    L’allestimento attuale è ad opera del Maestro preseparo Nicola Maciariello, cui si deve il grande impianto scenografico dove sfilano califfi, mercanti, nobili e guerrieri, fortemente caratterizzati, con abiti e stoffe pregiate. Molte anche le figure destinate alla rappresentazione della vita quotidiana e delle molteplici attività che caratterizzavano le strade di Napoli tra ‘700 e ‘800; a questa si affianca la rappresentazione di una umanità varia e multiforme, un microcosmo di cui fanno parte i nobili e ricchi signori, così come i poveri e i mendicanti.
    (www.beniculturali.it)


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    Data Inizio:20 dicembre 2013
    Data Fine: 02 marzo 2014
    Prenotazione: Nessuna
    Luogo: Roma, Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia - Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari
    Telefono: 065926148
    Fax: 065911848
    E-mail: [email protected]
     
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    TRAME DI CINEMA
    DANILO DONATI E LA SARTORIA FARANI
    I COSTUMI NEI FILM DI CITTI, LATTUADA FAENZA,
    FELLINI, PASOLINI, ZEFFIRELLI

    9 marzo 2014 - 22 giugno 2014


    La mostra ospita la straordinaria collezione di costumi disegnati da Danilo Donati, nel corso della sua carriera di scenografo e costumista, e realizzati dalla storica Sartoria Farani, oggi diretta dal friulano Luigi Piccolo.
    Nelle diciotto stanze sono presenti centoundici abiti, perfettamente restaurati, commissionati da alcuni dei più importanti maestri del cinema italiano, da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini, da Franco Zeffirelli a Alberto Lattuada, da Sergio Citti a Roberto Faenza.
    Le voci dei registi, le colonne sonore e una selezione di testi accompagnano il visitatore in un viaggio nei set ricostruiti con ingrandimenti fotografi ci e con la proiezione di sequenze dei film.
    Il lavoro dell’officina Donati/Farani è inoltre documentato dai bozzetti preparatori del costumista e dalle immagini del lavoro quotidiano all’interno della sartoria di via Dandolo a Roma.
    I film che costituiscono il fil rouge di questa avventura sono alcuni dei capolavori di Federico Fellini da Fellini-Satyricon (1969) a I Clowns (1970), da Amarcord (1973), con l’abito dell’indimenticabile Gradisca, a Intervista (1987), fino a Il Casanova di Federico Fellini (1976), con il costume del protagonista Donald Sutherland.
    De La mandragola (1965) di Alberto Lattuada si potranno ammirare gli abiti indossati da Philippe Leroy, mentre per La bisbetica domata (1967) di Franco Zeffirelli ci saranno quelli indossati da Richard Burton.
    Di Storie scellerate (1973) diretto da Sergio Citti, allievo prediletto di Pier Paolo Pasolini, si potranno ammirare i costumi carnevaleschi, assieme a quelli di Marianna Ucrìa (1997) di Roberto Faenza.
    Grande spazio è dedicato ai costumi realizzati nell’ambito del sodalizio di Danilo Donati con Pier Paolo Pasolini iniziato nel 1963 con La ricotta. Dalla giacchetta di lana indossata da Totò in Uccellacci e uccellini (1966), ai costumi dei sacerdoti, dei magi e degli apostoli de Il Vangelo secondo Matteo (1964), per i quali la fonte d’ispirazione fu la pittura di Piero Della Francesca, agli abiti dei soldati protagonisti del sogno del martirio in Porcile (1969), a quelli “di arcaica bellezza”, indossati da Silvana Mangano/Giocasta e dagli altri protagonisti di Edipo re (1967). Il salone centrale è dedicato alla Trilogia della vita: da Il Decameron (1971), ancora con il costume di Silvana Mangano che interpreta la Madonna, a I racconti di Canterbury (1972) con quello indossato dallo stesso Pasolini, al Il fiore delle mille e una notte (1974) dove gli elmi, le lance, le tuniche e i mantelli tessuti a mano rivelano la grande capacità inventiva di Danilo Donati. La mostra si chiude con i costumi di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).
    (www.villamanin-eventi.it)


    Danilo Donati, l'arte di vestire i sogni


    di Graziano Marraffa



    Danilo Donati nacque a Luzzara (il paese di Cesare Zavattini), nel 1926. La propensione naturale verso le arti figurative, unita alla passione per quelle letterarie, lo portarono ad iscriversi alla Scuola d’Arte di Porta Romana a Firenze, dove, in totale libertà, potè dare sfogo al suo genio. Evitò il servizio militare con la complicità della madre, che da sempre gli dimostrò totale comprensione per la sua formazione culturale; nell’Italia liberata dagli alleati, Danilo ebbe modo di tornare a Firenze, dove all’Accademia d’Arte ebbe come maestro il grande pittore Ottone Rosai. L’ennesimo, malinconico ritorno a Luzzara per l’ormai inevitabile chiamata alle armi, fu l’inizio d’un periodo di forte crisi per la sua famiglia, al punto che nel luglio del 1953, Danilo restò orfano di madre. Venutogli a mancare un supporto morale indispensabile, cadde inevitabilmente in depressione; dopo due anni di alti e bassi a Milano, casua1mente iniziò a lavorare con Luchino Visconti, regista di Maria Callas al Teatro alla Scala, senza peraltro dimostrarsene contento.
    Dopo una vacanza a Roma, durante la quale reincontra i vecchi amici di Firenze (primo fra tutti Franco Zeffirelli), iniziò il suo lavoro di costumista.
    Nel 1959, Mario Monicelli lo chiamò per La grande guerra, primo capolavoro del cinema italiano al quale Donati ebbe modo di dare la sua inconfondibile impronta artistica. Ritrovata la forza d’ispirazione d’un tempo, lavorò ininterrottamente per il cinema, contribuendo con i vari autori a fare d’ogni film un capolavoro d’arte figurativa.
    Scorrendo la filmografia di Danilo Donati, ci si chiede istintivamente se nell’animo, nella mente di ogni spettatore sarebbero rimasti impressi lo stesso i vari personaggi dei film, se lui non avesse contribuito alla fisicità dei sogni espressi da ciascun autore. Oltre agli eroi involontari di Monicelli, gli indolenti Jacovacci e Busacca (Sordi e Gassman), Donati vestì le prostitute in cerca di riscatto di Adua e le compagne (I960) di Antonio Pietrangeli, la borghesia del boom de La bella di Lodi (1963) di Mario Missiroli, i contadini verghiani de L’amante di gramigna (1967) di Carlo Lizzani. Il 1962 è l’anno di nascita del sodalizio artistico tra Donati e Pier Paolo Pasolini: per La ricotta (episodio di Ro.go.p.a.g.), ambientato in un set cinematografico dove si tenta di girare una rappresentazione della Passione di Cristo, Donati ricostruì alla perfezione i costumi dipinti nelle loro opere sacre da Pontormo e Rosso Fiorentino.
    La classicità della storia, verrà illustrata da Donati nei suoi lavori successivi: La steppa (1962) e La mandragola (1965) di Alberto Lattuada, El Greco (1963) di Luciano Salce (ispirato alla vita dell’omonimo pittore), fino a Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pasolini, film al quale La ricotta fece da preludio.
    In occasione di Chi lavora e’ perduto (1964) dell’esordiente Tinto Brass, Donati aggiunse all’attività di costumista quella di scenografo e arredatore, “miracolo” che ripeterà in Per grazia ricevuta (1970) di Nino Manfredi, Caligola (1979) ancora di Brass, Francesco (1989) di Liliana Cavani, Marianna Ucria (1996) di Roberto Faenza. Contemporaneamente lavora per Bolognini nei suoi film minori: La donna e’ una cosa meravigliosa (1964), Madamigella di Maupin (1965), Le notti romane (ep. de L’amore attraverso i secoli, 1967), Gran bollito (1977).
    A partire dal 1965, alternò le sue collaborazioni in rapporti di autentica amicizia nonchè stima professionale: mentre l’opera di Pasolini si allontana dal neorealismo per avviarsi alla riscoperta del mondo arcaico a partire da Uccellacci e uccellini,(film nel quale Donati ritrova il grande Totò col quale lavorò nelle sue migliori prove d’attore, prima fra tutte Il comandante (1963) di Paolo Heusch) fino a Edipo Re (1967), Teorema (1968) e Porcile (1969), sarà la rilettura dei classici da parte di Franco Zeffirelli a condurre Donati verso nuovi trionfi.
    Dopo La bisbetica domata (1967) sarà la volta di Romeo e Giulietta (1968) altra grande opera shaekesperiana per la quale Donati riceve l’Oscar per i migliori costumi.
    Dopo le sporadiche esperienze lavorative con Pasquale Festa Campanile per La cintura di castità (I967), commedia d’ambientazione medievale ed Eriprando Visconti per La monaca di Monza (1969), Donati incontra il genio più fantasioso che la storia del Cinema abbia mai avuto : Federico Fellini.
    Volendo fare della trasposizione in immagini del Satyricon di Petronio Arbitro un’opera decadente e fortemente visionaria, Fellini affidò a Donati il triplice ruolo di scenografo, costumista ed arredatore; ma nonostante il notevole impegno d’entrambi, il Fellini-Satyricon non raggiunse le vette artistiche degli altri capolavori del regista. Il ritorno pasoliniano ad una vena popolaresca con la cosiddetta Trilogia della vita (Il decameron, 1970, I racconti di Canterbury, I971, e Il fiore delle mille e una notte, 1973), fornì a Donati la nuova occasione per esprimersi al meglio, anche se i film suscitarono più scandali, sequestri e polemiche piuttosto che analisi critiche e valutazioni artistiche.
    Nei primi anni ‘70, Donati prosegue l’attività negli affreschi visivi di Zeffirelli (Fratello sole sorella luna 1971), Fellini (Roma 1972), Sergio Citti (Storie scellerate 1973), aiuto fondamentale di Pasolini passato alla regia.
    Non a caso gli elementi predominanti dei film ai quali Donati partecipa in questi anni sono la sacralità, il clima di commistione fra fiaba e mito, la secolarità delle storie descritte e dei personaggi rappresentati: opere di non semplice realizzazione che solo i grandi sono in grado di lasciare ai posteri come splendida testimonianza della propria arte espressiva. Tra l’ esperienza di Amarcord, (1973), forse il più autobografico film di Fellini, e de Il Casanova di Federico Fellini (1976) per il quale “Daniluccio” (come amabilmente usava chiamarlo il regista) riceve il suo secondo Oscar, fu per l’ultima volta accanto a Pasolini nel suo disperato Salo’ o le 120 giornate di Sodoma (1975) al quale seguì la tragica morte dell’autore.
    Con la fine del decennio, inizia per il cinema italiano la più lunga stragione di crisi, contraddistinta dalla fine della sua epoca d’oro; tuttavia Donati non smise definitivamente di lavorare, partecipando sempre in triplice attività ad Uragano (1979) di J. Troell, Flash Gordon (1980) di M. Hodges, Yado (1985) di Richard Fleischer.
    Dopo aver ritrovato Fellini in Ginger e Fred (1985); pungente satira del nuovo mondo televisivo, e Intervista (I987), ulteriore autoconfessione del maestro, collabora nuovamente con Citti ne I magi randagi (1996), un vecchio progetto pasoliniano. L’ultimo grande incontro artistico avviene per Donati nel 1994: conosce Roberto Benigni per la lavorazione de Il mostro, all’epoca campione d’incassi. Ma il binomio Donati-Benigni darà il meglio di sè nei successivi La vita e’ bella (I997), film che ha regalato un altro Oscar alla cinematografia nazionale, e soprattutto nel laboriosissimo Pinocchio (2001/02), evidente eco dei sogni felliniani tramandati tanto a Benigni che a Donati, il quale fa appena in tempo ad ultimare il proprio lavoro che si trasforma in testamento artistico.
    Il 2 dicembre 2001 l’Italia cinematografica perde per sempre un artefice insostituibile, la cui magica grandezza è pienamente espressa in una recentissima definizione di Benigni : Uno che quando dormiva poteva attaccare il cartello
    "IL POETA LAVORA".
    (activitaly.it)
     
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    "PERCHE' CINECITTA'.."

    ...fino al 31.12.2014


    Sarà aperta fino al 31 dicembre 2014 la mostra ‘Perché Cinecittà’: sotto i riflettori gli anni dal 1936 al 1945. Migliore location non poteva essere scelta: ad ospitare l’esposizione è la Palazzina Fellini degli studi di via Tuscolana. Vari gli ambienti da esplorare per questo viaggio nella ‘fabbrica dei sogni’, un percorso nel passaggio dal cinema muto al sonoro, nell’incendio che devastò gli studios, a partire dalla fondazione della struttura e dunque dalla sua inaugurazione, a cominciare dal progetto architettonico, insomma la nascita di Cinecittà e della cinematografia italiana, con una sala interamente dedicata al grande Fellini.
    Filmati inediti, disegni, immagini, oggetti come la prua della nave e il rinoceronte de ‘La nave va’, o il bozzetto originale della Venusia di Giacinto Burchiellaro per il Casanova di Federico Fellini.
    Una sala è dedicata agli scenografi: allestita in parte come attrezzeria specializzata e parte come studio, è un vero e proprio tuffo in quel mondo magico che sta dietro la macchina da presa. Si possono ammirare pezzi di arredamento per i set, disegni di preparazione di scene di film famosi, bozzetti. Un altro spazio è un omaggio al set della serie televisiva americana ‘Rome’, girata proprio a Cinecittà. Poi c’è un vero e proprio set di ambientazione settecentesca, con il focus sulla post produzione, infine due sale sono dedicate al mestiere del costumista, affascinante ambito con abiti ed accessori, in cui l’attenzione verte sul fantastico mondo dei film in costume da Roma antica al Novecento. Abiti indossati dalle star, che costituiscono un pezzo della storia del cinema, come il costume realizzato dal premio Oscar Gabriella Pescucci e da Carlo Poggioli per la strega di Terry Gilliam del 2005, o quello di Sophia Loren nel ruolo di Isabella Candeloro in ‘C’era una volta Francesco Rosi’ del 1967, oltre ad alcuni modelli realizzati per i lavori di Fellini. E proprio al grande regista sarà dedicata una mostra che prenderà il via il prossimo autunno. Decine di foto, poi, provenienti dall’archivio storico di Cinecittà, brani tratti dagli storici cinegiornali, pellicole, vanno a rendere omaggio a Cinecittà.

    La storia di Cinecittà affonda le sue radici nel Ventennio fascista. È infatti del 1934 l’incarico attribuito da Mussolini a Luigi Freddi (futurista e fascista) di costituire una Direzione generale della cinematografia. Cosa a cui Freddi lavora di buon grado, essendo appassionato di cinema ed avendo conosciuto Griffith negli Stati Uniti in occasione di un suo viaggio in America. Ad accelerare gli eventi, il grave incendio che, nel settembre 1935, distrugge gli studi della casa di produzione Cines di via Veio a Roma. Freddi è rapidissimo nel ‘provvedere e prevenire i tempi nuovi’. L’area prescelta è sulla via Tuscolana: su quei 600.000 metri quadrati sorgerà la Città del Cinema.
    Il cinegiornale Luce del 5 febbraio 1936 racconta l’inizio dei lavori per la costruzione del monumentale complesso, mostrando una ‘visione di quella che sarà la più grande città cinematografica d’Europa e la meglio attrezzata per modernità e grandiosità di impianti, con un imponente complesso di stabilimenti, edifici, giardini e spiazzi che abbracceranno un’area di circa seicentomila metri quadrati sulla via Tuscolana nel meraviglioso scenario naturale della campagna romana. Il Duce, ponendo la prima pietra di questa nuova realizzazione fascista, ha voluto consacrare i risultati finora raggiunti dall’attività del Ministero Stampa e Propaganda, nella produzione cinematografica nazionale e assicurare a questa rinata industria i mezzi per una più vasta attività e la riconquista dell’antico primato’. Le immagini che scorrono mostrano il Duce mentre posa la prima pietra, le campagne tuscolane dove sta per sorgere un immenso sogno tutto italiano, i lavoratori impegnati negli scavi.
    Il cinegiornale Luce del 5 maggio 1937 mostra le inquadrature della Città del Cinema ormai realizzata e racconta ‘la sua perfezione di impianti tecnici e di servizi’, ‘l’imponente complesso di edifici e di stabilimenti tra cui nove teatri di posa perfettamente isolati dai rumori esterni’. ‘Il Capo del Governo – continua – ha inaugurato i nuovi stabilimenti, luminosa affermazione della architettura e della tecnica italiana’.
    In quindici mesi Cinecittà è realtà. Il ‘sogno’ è realizzato.
    (Emma Moriconi, www.ilgiornaleditalia.org/)
     
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    1924-2014-Istituto Luce, “L’immaginario italiano”


    dal 4 luglio al 21 settembre 2014




    Festeggiare i 90 anni dalla sua fondazione esponendo più di 500 fotografie e innumerevoli filmati del proprio archivio storico: così l’istituto Luce celebra nella Capitale il suo anniversario con una mostra - intitolata Luce. L’immaginario italiano - esposta sino al 21 settembre 2014 al complesso monumentale del Vittoriano a Roma.
    L’insieme delle immagini e lavori svolti dall’Istituto Luce rappresentano la realtà storica, che pian piano si è andata a configurare nella quotidianità italiana e Nazionale: nel corso del tempo questo bene è divenuto proprietà mondiale dell’UNESCO. “Un patrimonio storico di cui bisogna produrre radici e conservarle” ha affermato il Ministro Dario Franceschini nella conferenza stampa di presentazione dell’evento. All’inaugurazione della mostra erano presenti anche Roberto Cicutto (Amministratore delegato Istituto Luce-Cinecittà), Rodrigo Cipriani Foresio (Presidente Istituto Luce-Cinecittà),Gabriele D’Autilia (curatore scientifico e testi), Roland Sejko (curatore artistico e regia video) e i curatori delle retrospettive film e documentari, Gianni Canova, Nathalie Giacobino, Beppe Attene, Luciano Sovena, Alessandro Nicosia (Presidente di Comunicare Organizzando).

    Il tempo si ferma davanti a fotografie che raccontano la vita di gente comune, eroica perché ha saputo affrontare i molti cambiamenti causati dalla guerra: tra equilibri spezzati e legami ricostruiti, la mostra ha l’intento di rappresentare, dall’inizio degli anni ’20 uno scorcio di realtà dalle città in crescita, finendo con gli anni ’60 e non solo.
    Le immagini e le proiezioni video parlano da sole. Non hanno bisogno di essere accompagnate da una particolare scenografia perché la realtà è viva così com’è, senza ulteriori abbellimenti per migliorarla in modo superficiale. La luce gialla, dal colore caldo, illumina le immagini e dona risalto evidenziandone la funzione intrinseca. Una rappresentazione della storia reinterpretata per guardare con nuove prospettive il grande lavoro svolto in questi anni dall’Istituto Luce.

    L’immaginario differisce dalla rappresentazione in quanto come citato nel titolo afferma Gabriele D’Autilia: “è la creazione di un album mentale”; un album che ogni individuo si costruisce attraverso l’esperienza: per questo motivo la mostra della storia italiana risulta un punto di riferimento per il Paese in quanto aiuta a costruire una tipologia di immaginario attuale e più che realistico per gli italiani.
    Strategica la scelta da parte del curatore scientifico di inserire lungo l’Ala Brasini parole chiavi, del periodo di riferimento, che collegano in ordine cronologico le tematiche affrontate dagli anni ’20 agli anni ’70:i video e le immagini, dotati di pannelli, contengono pellicole di qualità; i momenti fotografati sono chiari come se il tempo non avesse lasciato trasparire segni. Il bianco delle pareti è il colore dominante che accompagna la storia lungo il percorso dell’Ala Brasini: il colore rosso dei pannelli con il grigio delle parole chiavi dà un giusto stacco rendendo le foto più vive.
    Collocati al centro dell’Ala ci sono quattro schermi di meraviglie in cui sono contenuti filmati storici cinematografici. L’Istituto Luce presso il complesso del Vittoriano, in relazione all’evento Luce- Immaginario Italiano, trasmetterà una serie di film, curati da Gianni Canova e, documentari dal 1933 al 2013 a cura di Beppe Attene e Nathalie Giacobino: è ad ingresso libero per coloro che vedono la mostra. I film inoltre saranno proiettati anche al MAXXI, Piazza Santa Croce in Gerusalemme e ai Fori Imperiali.

    Lungo le sale le immagini in bianco e nero fotografano momenti in cui Mussolini fa comizi nella Camera del Duce: forte è l’impatto visivo dovuto al ruolo assunto dal protagonista. Ci sono altre immagini personali caratterizzanti dal punto di vista espressivo del soggetto, che ritraggono Mussolini in una passeggiata in bicicletta.
    Percorrendo l’Ala Brasini la Camera del Paese Reale racconta la vita degli italiani negli anni ’30: i visi pieni di esperienza vissuta trasmettono l’essenza di ciò che hanno passato i loro occhi: uno sguardo oscillante tra un momento di quiete e tempesta il successivo; ad ogni modo consapevoli di aver trascorso una vita piena.
    Nella Camera delle Meraviglie sono ricordati i viaggi per il mondo intrapresi dagli operatori Luce che segnano un importante percorso evolutivo per la storia del nostro Paese e mondo circostante.
    Trailer e retroscena caratterizzano la parte finale della mostra: lungo le pareti bianche compaiono scatti inediti e altri più conosciuti insieme ad alcuni filmati cinematografici di attori e registi che hanno reso indimenticabile la storia del cinema italiano.
    Una mostra che fa conoscere e crescere le nuove generazioni. Un punto di partenza per far riflettere e pensare che il passato non è una terra straniera ma parte integrante del percorso di vita da cui si può attingere, conservandone le radici.
    (www.romadaleggere.it/)
     
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    Mostra anniversario Lavish a Hermitage Amsterdam
    A tavola con gli zar. Bellezza Fragile dall'Eremo


    6 settembre 2014 - 1 marzo 2015



    Quinta mostra anniversario di "The Hermitage Amsterdam A tavola con gli zar. Bellezza Fragile dall'Eremo" si apre il 6 settembre 2014. Otto magnifici servizi di porcellana e Creamware della collezione dell'Ermitage di St Petersburg saranno esposti in un ambiente che trasmette quello che, i balli e banchetti della corte dello Zar, come erano.
    I visitatori potranno immaginare di essere in possesso di un invito imperiale e salendo i gradini del Palazzo d'Inverno, rivedere le regole del galateo e la preparazione in occasione di una festa. Infine entreranno nella sala principale dovevi sono le stoviglie di porcellana. Servizi di porcellana squisita, comprendono circa 1.034 pezzi, esposti sui tavoli vestiti a festa cona centrotavola decorativo, rivelelando l'incantevole splendore dei banchetti degli zar. La mostra racconta la storia e la cultura sontuosa che raggiunse il suo apice sotto il regno (1762-1796) di Caterina la Grande, la regina delle feste, quando centinaia di piatti erano serviti in un unico banchetto con migliaia di ospiti. L'ultimo zar, Nicola II (esclusa 1894-1917) e sua moglie Alexandra, che ha organizzato le più grandi feste, con la loro abdicazione, i costumi e banchetti,che una volta avevano catturato l'immaginazione di tutte le corti d'Europa, sparirono.

    I pezzi migliori sono dalle collezioni di Caterina la Grande, come la rana Green Service (Wedgwood, Inghilterra), il Servizio Cameo (Sèvres, Parigi, esposta per la prima volta con le posate d'argento dorato), che un tempo comprendeva quasi mille pezzi, e il dessert Service Berlin (Königliche Porzellan-Manufaktur Berlin). I servizi degli zar successivi furono non meno impressionante. I servizi sono esposti in conformità con le regole del galateo, con centrotavola ornato, i bicchieri di cristallo bordati d'oro, candelabri, vasi, argenteria dettagliate e decorazioni murali. La mostra presenta una vasta gamma di pezzi, dai secchielli per il ghiaccio per le bottiglie di liquore, coppe per il gelato e gruppi di sale e pepe.
    La mostra offre anche una visita ai costumi imperiali. Dessert era il culmine del pasto per sfoggiare la ricchezza del padrone di casa e di gusto raffinato. Prelibatezze riccamente decorate erano serviti con inventiva eccezionale. C'è attenzione per l'iconografia e la funzione diplomatica di dare servizi come regali e hosting cene di Stato nei secoli XVIII e XIX. E le feste e spettacoli, pettegolezzi e scandali sono in mostra. La prova degli eccessi della corte imperiale abbonda. Particolarmente rivelatrice sono le citazioni tratte dalle memorie di Marie Cornélie van Wassenaer Obdam. Ha visitato il Palazzo d'Inverno nel 1824 come membro del seguito di Anna Paulowna e del re Willem II.
    La mostra finale sorprende con il servizio dato a Stalin dal popolo ungherese nel 1949, che non è mai stato usato o esposto prima. Esso illustra il ruolo diplomatico che Porcellane giocavano anche nel XX secolo. (dal web)
     
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    "THE PINK GAZE - Lo sguardo rosa"


    dal 4 luglio al 5 ottobre 2014



    A sessant’anni dalla firma dell’accordo di cooperazione culturale tra l’Italia e il Giappone e dell’entrata in vigore della Convenzione Internazionale sui diritti politici delle donne, il Museo Nazionale d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’ e la Galleria Civica d’Arte Moderna di Spoleto ‘Palazzo Collicola Arti Visive’ presentano una collettiva dedicata a quattro tra le più significative artiste giapponesi contemporanee: Atsuko Tanaka (1932), Yoko Ono (1933), Kazuko Miyamoto (1942), Chiharu Shiota
    (1972). Quattro donne che pur essendo diverse tra loro per background, ambito di ricerca e forme espressive, attraverso le loro opere sembrano incarnare l’essenza di quattro periodi fondamentali della storia giapponese degli ultimi settant’anni: l’immediato dopo guerra, gli anni ’60, l’epoca del boom economico, il nuovo millennio. Attraverso gli anni, il fil rouge che lega queste quattro artiste sembra essere proprio la volontà di oltrepassare il confine tra arte e vita, filtrando attraverso la loro sfera emotiva avvenimenti e fantasie, sogni e disillusioni. Pittura e disegno, scultura e installazione, video e performance sono i diversi medium utilizzati per esplorare quella realtà che penetra e traspare in tutta la loro produzione artistica, recando in sé le caratteristiche di un vissuto personale e generazionale che si snoda attraverso gli avvenimenti storici e le utopie individuali e collettive.Shiota_1
    Atsuko Tanaka (1932-2005) è uno dei membri fondatori del gruppo Zero, ma aderisce fin dai primissimi anni al movimento Gutai, fondato da Jiro Yoshihara. Nota in particolare per il suo Electric Dress (1956), vestito realizzato interamente con neon colorati, Tanaka è una delle prime artiste a esplorare il rapporto tra la corporeità femminile, l’abito, il tessuto e lo spazio. La sua ricerca pittorica è basata, come per tutti i membri di Gutai, sulla sperimentazione di tecniche e materiali, sull’innovazione delle forme e sui meccanismi processuali. Tanaka rappresenta pienamente l’immagine del Giappone del dopo-guerra, paese provato da un lungo conflitto, ansioso di liberarsi di ogni sovrastruttura e imposizione totalitaria, per dimenticare il passato, guardare al domani e soprattutto ritrovare la propria libertà di espressione attraverso la ricerca del nuovo ad ogni costo.
    Rottura con la tradizione e orientamento verso il futuro sono punti condivisi anche da Yoko Ono (1933) scelta per rappresentare gli anni’60 e quelle ricerche artistiche riconducibili a quella che lo storico dell’arte Yoshiaki Tono definì la post-Hiroshima generation. Le contestazioni giovanili, i movimenti pacifisti e i tentativi del Giappone di affrancarsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti, fanno da sfondo alla ricerca artistica di Ono dai cui lavori traspare tutta la volontà di mescolare insieme realtà e utopia.
    L’individuo nella sua complessità fisica e psicologica, il corpo-psiche e i suoi meccanismi relazionali con il sistema mondo sono da sempre al centro delle ricerche di Ono.
    La mostra vuole presentare una rassegna di alcuni dei principali film realizzati dall’artista nell’ambito del movimento Fluxus tra cui Eye Blink, Bottom, Fly, video documentativi delle performance Cut Piece (1964) e Bed Peace (1969) con Jonh Lennon e materiale relativo ad alcuni dei suoi progetti relazionali che si fondano sul tema del sogno e dell’utopia.
    Con Kazuko Miyamoto (1942) si passa al periodo successivo, il ventennio a cavallo tra la fine dell’epoca Showa (1926-1989) e l’inizio di quella Heisei (1989-), uno dei più complessi della storia del Giappone contemporaneo. In questo spazio di tempo scandito dalla morte dell’imperatore Hirohito (1901-1989), il paese giunge al suo apice di ricchezza per entrare subito dopo nella più profonda crisi economica dal dopo-guerra. A livello artistico, come nel resto del mondo, il crollo delle utopie porta alla rimessa in
    discussione dei principi della modernità. Miyamoto, nota fin dagli anni ’70 negli ambienti dell’arte minimalista americana per cui grande importanza avrà la lunga collaborazione con Sol LeWitt, a partire dagli anni ’80, inizia ad orientare la sua ricerca verso problematiche di matrice identitaria e di genere. La mostra vuole presentare al pubblico italiano, proprio i lavori riconducibili a questo filone della sua produzione, generalmente poco esplorato, presentando una selezione di alcune delle sue opere kimono, disegni e fotografie documentative delle sue performance estemporanee.
    Si entra infine nel nuovo millennio con la più giovane delle artiste in mostra Chiharu Shiota (1972) che nasce proprio nel periodo in cui iniziano a manifestarsi tutte le contraddizioni socio-culturali di un paese che è cambiato troppo in fretta. Nei lavori di Shiota, nota per le sue installazioni monumentali, delicate e conturbanti, si legge tutta l’inquietudine di una memoria che riaffiora dal sogno, vicino in alcuni casi all’incubo. Nella sua ricerca in cui la tendenza all’installazione ambientale si fonde con la
    performance relazionale, emergono evidenti la disillusione e il malessere generazionale diffusi in Giappone a partire dalla fine degli anni ’90. La mostra presenterà alcuni disegni, fotografie e video che permetteranno di comprendere meglio la sua pratica artistica.
    (www.beniculturali.it/)






    Redattore: CATERINA PAOLA VENDITTI
    Informazioni Evento:

    Data Inizio:04 luglio 2014
    Data Fine: 05 ottobre 2014
    Costo del biglietto: Intero 6 euro; ridotto 3 euro; Per informazioni +39.0646974832
    Prenotazione: Nessuna
    Luogo: Roma, Museo Nazionale d'Arte Orientale 'Giuseppe Tucci'
    Orario: mar.merc.ven. 9-14; giov.sab.dom. e festivi 9-19.30; lun. chiuso(la biglietteria chiude mezz'ora prima della chiusura del Museo)
    Telefono: +39.064697481
    Fax: +39.0646974837
    E-mail: [email protected]
    Sito web: www.museorientale.beniculturali.it
     
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    SE DICO ARIA..

    Dal 02 Agosto 2014 al 18 Ottobre 2014
    CAMERANO, ANCONA



    Se dico Aria ... dici ... Tutti noi che di aria viviamo, siamo chiamati idealmente a completare questa frase. Un elemento impalpabile, trasparente, intangibile, forse l’unico trascendente e immanente al tempo stesso, che fa scaturire innumerevoli e personalissime risposte.
    Sei quelle di altrettanti artisti internazionali – Marcello Chiarenza, Chris Gilmour, Angela Glajcar, Kaori Miyayama, Gianluca Quaglia e Medhat Shafik – chiamati da Antonio D’Amico a rispondere alla domanda attraverso installazioni realizzate site specific per la chiesa di San Francesco a Camerano (AN).
    La location stessa – un luogo di culto in cui si respira un’aria che ha il sapore dell’eternità – sembra suggerirci una prima chiave di lettura: potesse parlare direbbe «Se dico Aria ... dici ... Dio». Analoga suggestione percorre il catalogo della mostra (italiano/inglese, Vanilla edizioni) dove una ventina di professionisti – a diverso titolo ‘coinvolti’ con l’aria (piloti di linea, meteorologi, istruttori di vela, circensi etc.) sono stati chiamati a rispondere al curioso quesito.
    In mostra ‘fluttueremo’ dalle reti che circonfondono luce di Chiarenza, per la loro naturale traforatura quasi transustanziali all’aria, agli aerei e al pianoforte di cartone di Gilmour, all’installazione sospesa e multi stratificata – realizzata in carta – di Glajcar, a un inedito progetto sul tema della natura di Miyayama, fino all’ultimissimo confronto sperimentale con il paesaggio di Quaglia e le ‘colonne di carta’ di Shafik.
    La mostra si propone di contemplare l’aria riscoprendone la sostanza, l’ampiezza, l’invadenza, il limite, per mostrarne il fascino delle suggestioni che origina, mediante installazioni appositamente pensate dagli artisti coinvolti nel progetto. Infatti il loro lavoro si presenta come l’espressione tangibile di ciò che è nelle cose e ne trasfigura la naturale percezione sublimandola, attraverso diversi strati di indagine: materiale, simbolica, filosofica e spirituale.
    Gli artisti interpellati, per loro natura, osservano la realtà e trascendono il dato materiale, percepiscono la profondità delle cose e si abbandonano a un’azione meditativa che dalla visione oggettuale dell’aria, trasmigra alla riflessione sulle possibili accezioni ad essa legate. Nel loro immaginario, l’aria è leggerezza, sospensione, possibilità di far fluttuare ciò che si contrappone con la pesantezza e l’immobilità.
    L’aria cerca, s’infiltra, delimita, stravolge pesi e misure ma si arrende alla chiusura dei confini. L’aria coinvolge l’invisibile e trascende il visibile invadendo il conscio e il sub-conscio. È essenza vitale in cui viaggiano i corpi e con essi idee, ideologie e culture, in una dimensione spazio-temporale perennemente al di là della nostra percezione.
    Gli artisti invitati a Camerano, con gli occhi ben aperti sul mondo, liberi di muoversi nei selciati della libertà e consapevoli della loro identità creativa, penetrano nell’aria, lasciandosi invadere da pensieri, sensazioni ed emozioni, per dare nuova forma a pesi di misure reali e contrappesi di dimensioni sognate. Sogni e fantasie danno vita a una caleidoscopica gamma di creazioni percepite nell’aria e attraverso l’aria, avvolgendo lo spettatore in un respiro trascendente, astratto, surreale e contemporaneo.
    Se dico aria ... dici? Così hanno risposto alcuni degli artisti protagonisti della mostra
    Marcello Chiarenza - Se dico aria ... dici? Penso al cielo come mare superiore e alla terra come fondo di un oceano d'aria.
    L’installazione per Camerano - La pesca delle stelle è un'immagine che realizzo da circa trent'anni a partire da una visione: una rete da pesca si stacca dalle acque scure della creazione, pescando acqua di luce e sale nelle profondità del cielo.
    Chris Gilmour - Se dico aria...dici? La prima cosa che mi è venuta in mente è Shakespeare il quale ha inventato la locuzione inglese “Vanish into thin air” cioè “Svanire nel nulla”. Ne La Tempesta Prospero dice: Come t’avevo detto, quegli attori erano solo spiriti dell’aria, e in aria si son tutti dissolti, in un’aria sottile e impalpabile. E come questa rappresentazione – un edificio senza fondamenta – così l’immensa sfera della terra, con le sue torri ammantate di nubi, le sue ricche magioni, i sacri templi e tutto quello che vi si contiene è destinato al suo dissolvimento; e al pari di quell’incorporea scena che abbiam visto dissolversi poc’anzi, non lascerà di sé nessuna traccia. Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. Il mio lavoro parla di presenza e di assenza, le mie sculture parlano di realtà e impermanenza, il materiale che ho scelto è intrinsecamente leggero.
    L’installazione per Camerano - Uno dei lavori presenti in mostra è un grande pianoforte a coda, sospeso al centro della navata della chiesa. Come sempre, é una scultura realizzata solo con cartone riciclato e colla.
    Tutti i miei lavori invitano lo spettatore a una rosa di letture diverse e spesso innescano meccanismi di contrasto, anzi, veri e propri corto circuiti. Il pianoforte è vero e, al tempo stesso, è assolutamente finto, è leggero e pesante, è presente ma anche assente; è teso tra una pesantezza minacciosa che incombe su chi lo osserva e una leggerezza e una fragilità che lo rendono quasi immateriale. Queste giustapposizioni si moltiplicano in direzioni diverse: il materiale è semplice cartone da imballaggio, rimasto dopo aver scartato il prodotto tanto desiderato e parla di un processo di manifattura e di commercio, ma anche della differenza tra il costo e il valore degli oggetti. Racconta del contrasto tra il valore di un'opera d'arte – sia economico che culturale – e un materiale di nessun valore: è il contrasto tra la pretesa di eternità di un lavoro artistico e la natura evanescente della carta. Infine c'è la scelta dell'oggetto in sé e, visto i lunghi tempi di realizzazione delle opere, queste non sono mai scelte casuali. Qui è un pianoforte, un pesante simbolo della cultura "classica", uno strumento di comunicazione e di riproduzione ma anche un marchingegno usato da Willy Coyote nelle sue trappole per l’inafferrabile Road Runner...
    Angela Glajcar - Se dico aria ... dici? Spazi aperti ... per pensieri, progetti e sogni.
    L’installazione per Camerano -Ogni singolo foglio di carta, attraverso il taglio e la lacerazione, è irreversibilmente trasformato, diventando altro da sé, qualcosa di ben diverso dalla ‘carta bianca’. Allineando i singoli elementi nascono nuove impressioni e, contemporaneamente, uno sguardo all'indietro. Non si crea né un tunnel né una nuova visione verso il futuro, ma un "pieno" che guarda al passato. Tutte le mie opere sono una reminiscenza che dall’esterno va verso l'interno e quindi nel passato. Non è mai una restituzione “piena”, bensì un'impressione che si pone di sperimentare il flusso del tempo. È in ogni caso un flusso, uno sviluppo che scaturisce da una ‘vista all’indietro’.
    Kaori Miyayama - Se dico aria ... dici? Pieno nel vuoto. L’arte giapponese attribuisce grande importanza al vuoto in quanto esso contiene la possibilità di tutte le cose, di tutti gli eventi. Il vuoto ci da sempre l’impressione dinamica ed energica. In questo senso il vuoto viene considerato il pieno. L’aria mi stimola come una coesistenza con il pieno.
    L’installazione per Camerano - Le Radici del Cielo è un’installazione labirintica di tessuti trasparenti con immagini xilografiche e fili. Il mio lavoro vuole essere una riflessione sul vuoto nell’aria, sul confine e sul collegamento tra cielo e terra. L’idea è quella di creare un’atmosfera al limite, che sia al contempo del bosco e delle radici ma anche delle nuvole alla deriva.
    Gianluca Quaglia - Se dico aria ... dici? Paesaggio! La mia definizione di paesaggio si avvicina al concetto di esperienza, nella misura in cui acquisiamo conoscenza attraverso il contatto diretto con la realtà che vediamo e viviamo. Tocchiamo l’aria e l’aria tocca tutto ciò che è nel paesaggio: montagne, palazzi, piante, animali e persone; ma l’aria è anche dentro di noi, nei nostri polmoni, la respiriamo, la sperimentiamo, la sentiamo. In questo senso non esiste un limite tra noi e ciò che guardiamo. Ci muoviamo nell’ambiente e siamo l’ambiente.
    L’installazione per Camerano - Ho inciso con un bisturi cinquecento poster con paesaggi di montagna, separando il cielo dalla roccia. Utilizzando questi due differenti elementi ho ricreato uno spazio, un vero e proprio ambiente in cui il pubblico può entrare e muoversi. Il mio lavoro si concentra sul concetto di limite e sul significato che esso ha in relazione all’ambiente. L’aria del cielo limita i monti oppure è il contrario?! I cieli applicati alle pareti suggeriscono ancora la presenza dei monti anche se questi sono stati estratti e trasformati in rocce di carta tridimensionali. La mia intenzione è portare il pubblico a entrare e muoversi dentro l’ambiente ricreato, stimolandolo alla contemplazione di un cielo e di un ambiente pur trovandosi già all’interno del paesaggio che si sta osservando.
    Medhat Shafik - Se dico aria... dici? Tempo sospeso, levitazione del pensiero, leggerezza, meditazione, spiritualità e desiderio di ritrovare il candore dell’essere. Aria è un respiro vagante nello spazio cosmico. La dolce malinconia e l’inquietudine dell’essere che trovano spazio per liberarsi in una dimensione di quiete e vitale umanità.
    L’installazione per Camerano - Attraverso la mia opera desidero ritrovare lo spirito generativo delle città, cioè la coesistenza pacifica e inclusiva; le mie Città sospese sono un’alternativa al degrado, alla distruzione e alla demolizione sistematica di tutto lo stratificato e il sedimentato storico, architettonico e antropologico delle nostre città. Le mie città sono sospese sulle ali di una nuvola del pensiero.
    (www.arte.it)


    ..................

    Artisti:
    Marcello Chiarenza, Lugano
    Chris Gilmour, Stockport, Regno Unito Angela Glaicar, Germania
    Kaori Miyayama, Giappone
    Gianluca Quaglia, Milano
    Medhat Shafik, Egitto Orari 3 agosto – 7 settembre 2014
    lunedì, martedì, mercoledì: 10-13.30 / 15-20
    da giovedì a domenica: 10-13.30 / 15-20 / 21-23.30
    8 – 28 settembre 2014
    10.30 -13.30 / 16-20
    29 settembre – 18 ottobre 2014
    da lunedì a giovedì 16-20
    venerdì, sabato e domenica 10.30-13.30 / 16-20
     
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    Douglas Kirkland, l'uomo che consegnò Marilyn all'immortalità


    A Venezia mostra-evento A life in pictures, prodotta da Vanity Fair e Istituto Luce Cinecittà. Dal 29 agosto al 6 settembre



    Le foto di Douglas Kirkland sono entrate nella storia. Come quelle a Marilyn Monroe, ancora oggi tra le foto più belle che siano mai state scattate all'attrice. Leggendario il suo servizio fotografico realizzato nel 1961 per la rivista Look Magazine, dove Kirkland, appena ventiquattrenne, immortalò la divina Marlyn Monroe a letto avvolta solo da lenzuola bianche, trasformandola nell’Icona del Cinema più sexy di tutti i tempi. A questo artista canadese, oggi ottantenne, è dedicata A life in pictures, una mostra-evento a Venezia nell'ambito della Mostra del cinema. S'inaugura al Telecom Italia Future Centre a Campo San Salvador, prodotta da Vanity Fair in collaborazione con l'Istituto Luce Cinecittà il 29 agosto per rimanere aperta fino al 6 settembre.
    Nato a Toronto, è stato uno dei principali fotografi di Life Magazine, tra gli Anni ‘60 e ‘70, con indimenticabili servizi dedicati al mondo della moda e dello spettacolo. Le sue foto sono esposte in tutto il mondo, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti prestigiosi, a livello internazionale. Già nel 2008, Vanity Fair gli aveva dedicato una retrospettiva presso la Triennale di Milano. L'artista festeggia proprio a Venezia il suo ottantesimo compleanno ed è decisamente la star dell'opening del 29 tra gli eventi glamour di Venezia 71

    "Sapeva esattamente cosa fare, i suoi movimenti, le mani, il suo corpo era semplicemente perfetto. Era la più sexy. Meglio di chiunque altro. Emotivamente, ha fatto bene ogni cosa. Ha espresso proprio quello che volevo. " ha detto anni fa Douglas Kirkland alla rivista Popular Photography ricordando quel servizio. Il giovane Douglas aveva una cotta per Marilyn ed era al suo primo incarico importante. Le lenzuola erano di seta, il Dom Perignon a portata di mano, un disco di Frank Sinatra nel giradischi. Marilyn si presentò con tre ore di ritardo - ha raccontato Kirkland - ''poi scomparve per un momento e tornò indossando solo un accappatoio. Non c'era luce stroboscopica, solo un semplice proiettore costante che ha contribuito a produrre le ombre laterali''. Kirkland si arrampicò su una ringhiera sopra di lei e cominciò a scattare. Marilyn lo guardava, gli sorrideva seducente e con quegli scatti l'ha consegnata al mondo per sempre.

    Le foto vengono pubblicate il 17 Novembre 1961, appena sei mesi prima della morte della Monroe, che negli scatti di Kirkland appare splendida e nuda tra le lenzuola di un letto sfatto. Dopo Marilyn, per lui hanno posato le più grandi star internazionali del cinema, dell'arte e della musica, da Mick Jagger a Sophia Loren, da Coco Chanel a Elizabeth Taylor, a Marlene Dietrich e Andy Warhol. Lavora accanto al grande regista Stanley Kubrick, sul set di "Odissea nello Spazio". Quando nel 1971 Look chiude i battenti, è assunto da Life, la rivista che più aveva amato fin da ragazzo. Nel corso della carriera ha pubblicato diversi libri di successo, tratti dalle sue mostre, da "Freeze Frame" del 2006 a "Icons" e "Titanic", primo libro fotografico a diventare un best seller in America. Gli scatti di Kirkland sono unici, soprattutto per il rapporto che riesce a stabilire con il soggetto che fotografa. "A me piacciono le persone", afferma. "Chiunque esse siano. E naturalmente mi piace fotografarle". Dalla star di Hollywood al semplice passante, la cifra delle sue fotografie è nel rapporto speciale che riesce a stabilire con il soggetto, basato sul rispetto e sulla stima reciproci. Ama la sperimentazione, con Photoshop e durante il processo di stampa, per esempio utilizzando materiali particolari, come la Japanese Washi, una carta giapponese composta solo da fibre naturali.
    Attualmente Kirkland continua a lavorare nella sua villa-studio sulle colline di Los Angeles, e tiene lezioni pubbliche allo Smithsonian Institute, all'Art Center College of Design di Pasadena e nei Kodak Center di Hong Kong, Singapore e Taiwan. "Devi venire a patti con il periodo in cui vivi", dice. "Quello che facevo negli anni ‘60 era totalmente diverso da quello che faccio oggi. E ogni volta è come ricominciare daccapo. D'altronde l'unico concetto da cui si può partire è la realtà".
    L’omaggio di Vanity Fair a Douglas Kirkland prevede anche, al mattino, un torneo di golf che si terrà presso il Circolo Golf di Venezia Lido, denominato Star-Am, per la presenza delle star che faranno da “porta fortuna” ad ognuna delle nove squadre, dove nove celebri scatti di Kirkland, uno posizionato su ogni buca, (Cher, Farraw Fawcett, Angelina Jolie, Grace Jones, Ann Margret, Robert Mitchum, Marilyn Monroe, Jack Nicholson e John Travolta) faranno da sfondo scenografico alla competizione, personalizzando il campo da gioco, per rafforzare il collegamento con la kermesse veneziana. Ogni squadra sarà capitanata da un attore del cinema italiano tra i quali Luisa Ranieri, madrina del Festival, Maria Grazia Cucinotta, Giuseppe Fiorello, Alba Rohrwacher e Luca Zingaretti. Guarda il video con Kirkland che racconta 'A life in pictures' e l'incontro con Marilyn:<
    La mostra “Douglas Kirkland: A Life in Pictures” coprodotta da Vanity Fair e Istituto Luce Cinecittà, inaugurata il 29 agosto, con un vernissage alle 20, rimane aperta gratuitamente a turisti e ai veneziani dal 30 agosto al 6 settembre, dalle ore 10 alle ore 18. Ci saranno le 88 foto più significative della carriera di Kirkland, con i ritratti delle stelle del panorama hollywoodiano e italiano, suddivise in due aree espositive: 58 immagini dedicate alle star internazionali tra le quali Marylin Monroe, Marlene Dietrich, Brigitte Bardot, Warren Beatty, Salma Hayek, Nicole Kidman, John Lennon, Susan Sarandon, Elizabeth Taylor e Raquel Welch e tante altre, comporranno un suggestivo percorso espositivo nei due affascinanti chiostri del complesso monumentale dell’ex-Convento di San Salvador. Nel Refettorio affrescato saranno disposte 30 fotografie di attori italiani (Monica Bellucci, Raoul Bova, Pierfrancesco Favino, Isabella Ferrari, Beppe Fiorello, Giovanna Mezzogiorno, Laura Morante e tanti altri), ritratti nell’interpretazione di film culto italiani di cui, nella stessa sala, verranno proiettati alcuni estratti - La Dolce Vita, Il Gattopardo, La Ciociara, Pane, Amore e Fantasia, e molti altri titoli. (di Alessandra Magliaro, ANSA)
     
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  14. gheagabry
     
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    HOST: PHOTIGRAFER OF STYLE
    Victoria and Albert Museum di Londra

    dal 6 settembre al 4 gennaio 2015



    Ci vuole un intuito speciale per immortalare quel preciso istante in cui una semplice fotografia diventa specchio di un modo di vivere, di un mondo, di una sensazione. Horst P. Horst (1906-1999, vero nome Horst Paul Albert Bohrmann) aveva in questo un talento tale da renderlo, in 60 anni di carriera, uno dei fotografi maggiormente incisivi del Novecento, in grado di prendere per mano lo stile opulento e teatrale degli anni '30 e accompagnarlo fino all'eleganza più austera del dopoguerra. A celebrarlo sarà una grande retrospettiva, allestita dal 6 settembre al Victoria and Albert Museum di Londra e intitolata ''Horst: Photographer of Style'': fino al 4 gennaio per il pubblico una selezione imponente di 250 fotografie (molte delle quali donate al V&A Museum dal collezionista Gert Elfering), che delineano ogni tappa del percorso professionale e creativo del fotografo di origine tedesca. Non solo la fotografia di moda, ambito principe del lavoro di Horst, ma anche gli sconfinamenti nell'arte, nel design, nel teatro, per un'indagine a 360 sull'artista e sull'uomo.
    Il viaggio inizia con i primi passi da fotografo, dopo il trasferimento a Parigi, nella rivista Vogue (di cui poi realizzerà oltre 90 copertine). Le collaborazioni con Lanvin, Molyneux e Vionnet, l'influenza del surrealismo di Salvador Dali, la conquista di New York e l'amore platonico per Coco Chanel (Horst, omosessuale, un flirt anche con Luchino Visconti, la definì ''la regina di tutte le cose''); e ancora, i ritratti nei quali immortalò alcune tra le più belle donne del mondo - come Rita Hayworth, Bette Davis, Vivien Leigh, Ginger Rogers, Marlene Dietrich e Joan Crawford -, fino alle sperimentazioni sull'uso del colore e gli studi sulle forme naturali (fiori, minerali, conchiglie e ali di farfalla) da applicare come modelli per tessuti, tappeti e oggettistica: tanti elementi a comporre un'ascesa inarrestabile, che rese Horst un'icona indiscussa di stile, eclettismo, anticonvenzionalità. Ma la mostra accende i riflettori anche su alcuni aspetti poco conosciuti della sua vita e del suo lavoro. Come i viaggi tra il 1940 e il 1950 in Israele, Iran, Siria, Italia e Marocco, da quali tornò con fotografie che denotavano la sua bramosia di conoscere altre culture, tra suggestioni, paesaggi e architetture diversi.
    Nel percorso dell'esposizione, spazio anche ai segreti del processo creativo: attraverso provini e schizzi, si potrà scoprire ciò che si nasconde dietro a uno dei lavori di Horst più celebri, la foto al corsetto Mainbocher, apparsa su Vogue nel 1939 (a cui il regista David Fincher si è poi ispirato negli anni '90 per le riprese del videoclip di Madonna ''Vogue''), o l'influenza che la scultura classica ebbe sui nudi maschili che il fotografo scattò negli anni '50. A chiudere la retrospettiva, gli ultimi lavori di Horst, dalle case fotografate per la rivista House and Garden alle collaborazioni con musei, mostre e documentari (RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA)
     
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    "Eppure l'unica vita eccitante è quella immaginaria.
    Appena metto in moto le rotelle nella mia testa
    non ho più molto bisogno di soldi o di vestiti."


    “Virginia Woolf. Art, Life and Vision”

    fino al prossimo 26 ottobre



    Ci sono molti modi di rendere omaggio a personalità illustri che hanno inciso profondamente il panorama letterario e culturale non solo di un paese ma a livello internazionale, come Virginia Woolf. La National Portrait Gallery di Londra ne ha trovato uno molto particolare, che unendo l'attenzione agli aspetti contenutistici del lavoro della scrittrice a quelli più documentaristici legati alle sue relazioni e alla vita quotidiana, mira a restituire un quadro il più completo possibile di quel «cuore di poeta intrappolato in un corpo di donna» (Una stanza tutta per sé).
    Da quest'idea è nata la mostra Virginia Woolf. Art, Life and Vision, inaugurata a luglio e aperta fino al 26 ottobre.
    Si contano infatti ben 140 oggetti legati alla vita della scrittrice, che spaziano dai vari manoscritti, lettere e fotografie ai ritratti raffiguranti parenti, amici e personaggi a lei familiari, con particolare riguardo agli esponenti del gruppo di Bloomsbury (come John Maynard Keynes, Roger Fry e Lytton Strachey).
    Non mancano poi reperti difficili da visionare in altre sedi, come il bastone da passeggio ritrovato casualmente dal marito lungo la riva del fiume Ouse il giorno della sua scomparsa nel 1941, messo a disposizione dalla Berg Collection della New York Public Library.
    Sono inoltre esposte per la prima volta due lettere scritte poco prima del suicidio e originariamente di proprietà della British Library: tra le righe rivolte alla sorella Vanessa Bell è possibile leggere il riferimento alle “voci”, la paura di essere di nuovo in balia di sentimenti al di fuori di ogni controllo e la consapevolezza di non poter più tornare indietro.

    Per decenni Virginia Woolf è stata oggetto di studi che hanno di volta in volta approfondito i più svariati aspetti della sua opera: “migliaia di parole” che non hanno fatto altro che mettere in luce la natura sfaccettata e poliedrica della scrittrice. Una mostra di questa portata, secondo la Spalding, non poteva dunque esimersi dall'evidenziare i tanti volti della Woolf, ricordandone ai lettori-visitatori la profonda coscienza della modernità, ma soprattutto la «potenza del suo uso delle parole».

    La mostra ha sede in quella stessa galleria un tempo ricolma di ritratti maschili per cui Virginia Woolf aveva rifiutato di posare, del tutto ignara del fatto che un giorno quelle sale avrebbero ospitato molti pezzi della sua vita.
    Non avrebbe potuto immaginarlo, e forse proprio in virtù di quell' “idea di privacy” oggetto di un articolo del New Yorker apparso in concomitanza con l'apertura della mostra. L'autrice - come del resto i suoi personaggi – ha sempre preferito una forma di austerità all'intimità, quel culto dell'interiorità che tanto gli occhi indiscreti degli altri quanto i nostri possono danneggiare scrutando troppo da vicino. Rimanere impenetrabili vivendo le emozioni senza sviscerarle, divenendone consapevoli senza l'illusione di poterle condividere: in poche parole, Clarissa Dalloway. (Oriana Mascali, www.finzionimagazine.it)


    Alla fine dell'800 nasceva una donna leggendaria, Virginia Woolf, una visionaria, una rivoluzionaria, una delle maggiori scrittrici del ventesimo secolo. Si batté per il suffragio universale che solo nel 1928 divenne realtà. Sosteneva che gli uomini fossero meno interessanti agli occhi delle donne che viceversa ma soffriva della condizione non libera di essere donna: «Chi può misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando questo si trova prigioniero e intrappolato nel corpo di una donna?» (da “Una stanza tutta per sè”). Per fortuna nessuno poteva sottrarle i pensieri e le idee: «Non c'è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente», scriveva. (Arianna Catania, L'Huffington)
     
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75 replies since 2/8/2012, 22:08   3493 views
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