NOI E I NOSTRI RICORDI

giochi d'infanzia

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  1. gheagabry
     
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    GIOCHI DELLA NOSTRA INFANZIA




    Il gioco col il fucile ad elastico


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    Come si giocava quando vi era solo la fantasia

    Tutto quello che ci serviva erano dei pezzi di legno con degli elastici recuperati dalle pistole-spara-qualcosavecchie camere d’aria delle biciclette di famiglia o recuperate attraverso gli amici, e delle mollette che si usano per stendere la biancheria. Con un seghetto e una raspa (una speciale lima che si usa per lavorare il legno) trasformavamo i pezzi di legno, in pistole e fucili, e bloccavamo le mollette della biancheria all’inizio DELL’ARMA poi univamo un certo numero di elastici che bloccavamo con la molletta e tendevamo fino a raggiungere la fine del legno trasformato in una pistola o un fucile. Facendo pressione sulla molletta questa si apriva e faceva partire gli elastici, che noi nella nostra fantasia li vedavamo come dei proiettili. Questo e molto altro si costruiva quando si disponeva solo della fantasia, e quando il giocattolo era nostro, lo si amava e lo si difendeva da tutto e da tutti.

    Pistola1

     
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  2. gheagabry
     
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    Soldatini in plastica cowboy anni 60-70


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    ruskies

    Nel mercato italiano i soldatini 1/72 furono introdotti e diffusi dalla Atlantic a partire dal 1971, quando fu immessa sul mercato la serie "Soldati d'Italia".
    Il successo degli 1/72 deriva da quello dei soldatini in scala 1/32 (la “scala grande”) che esisteva negli anni 60-70 e primi anni ottanta. A partire dagli anni 80 il mercato di questo tipo di giochi ha avuto un tracollo, per via dell’avvento di altri passatempi come i videogiochi e per la diseducatività attribuita ai giochi di tipo militare. Negli anni '80 la Atlantic passò la mano ad un'altra casa italiana, la Esci, che produsse dei soggetti che tuttora vengono ristampati dalla Italeri. La contrazione delle vendite determinò la scomparsa di questi prodotti dai negozi di giocattoli, divenuti unico appannaggio dei negozi di modellismo; molte case di produzione come l’Atlantic e la Esci fallirono.
    Alle fine degli anni ’90 il mercato dei soldatini visse un periodo di ripresa; il mercato odierno registra uscite di nuovi prodotti con un ritmo abbastanza sostenuto. Questa ripresa è attribuita a diversi fattori come il ritorno del genere storico e militare nella programmazione televisiva e cinematografica, le continue proposte editoriali di prodotti distribuiti a fascicoli nelle edicole, il rinnovato interesse per i wargame.
    Alcuni dei prodotti della Atlantic sono ad oggi ristampati da aziende modellistiche come la Waterloo 1815 e la Nexus Editrice: quest’ultima può vantare ad oggi più di 200.000 scatole vendute nel mondo di ristampe Atlantic.
    La produzione copre ormai quasi tutte le epoche storiche anche se quelle di maggior successo sono relative a Repubblica e Impero Romano, Epopea Napoleonica e Seconda guerra mondiale.

     
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  3. gheagabry
     
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    GIOCARE A NASCONDINO


    Questa volta nel soffitta dei ricordi, non ho trovato un oggetto, ma un gioco ... lo facevamo quando ero piccolo, ma mi divertivo tantissimo... ricordo il cuore che batteva forte forte, nascosto in un luogo improbabile, quando chi “stava sotto” girava per cercarci ... e poi le corse sfrenate per arrivare alla tana e urlare “libero”per salvarmi dalla caccia ... ricordi presi nella soffitta della mia memoria ... emozioni forti nella mente ...

    (Caludio)


    GIOCARE A NASCONDERSI


    Il preferito tra i giochi era a Nascondino. Con molta gravità ci mettevamo in cerchio nella stanza da pranzo e tiravamo a sorte quello che "doveva stare sotto". Se capitava a una bambina, faceva il muso e se ne andava borbottando a mettersi in un angolo, col viso rivolto al muro, con gli occhi chiusi per non vedere; se era un maschietto, faceva il disinvolto e sicuro di sé. Dopo esserci assicurati che "quello sotto" non poteva vederci, partivamo in punta di piedi in gruppi di due, di tre, per nasconderci; ed era una ricerca muta e nervosa, irrequieta e taciturna, di un nascondiglio impossibile. Bisognava trovare presto e bene: avere astuzia e audacia; fantasia e attività. Vi era il giocatore egoista che, trovato un nascondiglio per sé, ne cacciava gli altri, col pretesto che facevano rumore e lo scoprivano; vi era il giocatore immaginoso, che si ficcava negli armadi, fra le materasse; vi era il giocatore incerto, che girava tutta la casa, senza trovare un cantuccio soddisfacente; vi era quello audace che si metteva semplicemente dietro una porta, dietro una poltrona, con la magnifica certezza di non essere scoperto; vi era finalmente quello sciocco, che si ficcava stupidamente sotto un letto. Quando tutti erano nascosti, si sentiva un griduccio lontano, stridulo, prolungato:
    - Vieni....!!!! Allora "quello sotto" si muoveva con precauzione, non allontanandosi molto dal suo posto, guardando a destra, a sinistra, camminando a piccoli passi. Palpitando i piccoli cuori nei nascondigli, dove erano nascosti due, l'uno diceva all'altro: - Non ci trova, no. Finalmente "quello sotto" si risolveva a lasciare il "posto" e la stanza da pranzo: allora si schiudevano le porte, gli armadi, si scostavano le sedie, le scrivanie; e i nascosti fuggivano, al "posto", strillando la loro vittoria. Mentre "quello sotto" ne perseguitava uno, invano, gli altri sbucavano da tutte le parti, gridando felici di non essere stati presi, correndo al "posto". Allora "quello sotto" se ne andava tranquillamente a guardare sotto i mobili e trovava il bimbo sciocco, accovacciato, che non aveva osato fuggire e che si faceva prendere come un sorcio in trappola.
    Noi gli dicevamo, ridendo: - Stupido, perchè ti sei messo sotto il letto?
    - Sapevo io che lui mi trovava? - borbottava andando a "mettersi sotto".

    (Matilde Serao)

     
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  4. ringo47
     
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    RUBA BANDIERA


    Esistono giochi esclusivamente per bambini e giochi che, invece, sono validi sempre, a tutte le età.
    Il Ruba bandiera appartiene a questa seconda categoria.
    Il gioco si presta per essere praticato in luoghi aperti quali parchi, campagne, spiaggie, giardini. Non a caso il Ruba bandiera è un gioco tipico delle gite fuori porta, un classico dei Lunedì di Pasqua, della festività dell'1 Maggio, ed è immancabile durante le gite scolastiche.

    Numero di giocatori: da 5 in su, ma sempre un numero dispari;
    Età: abbastanza da saper già correre;
    Materiale: un fazzoletto di stoffa e un'area aperta in cui imbastire il campo di gioco.

    REGOLE DEL GIOCO

    Preparativi:
    Il Ruba bandiera coinvolge 2 squadre tra loro contrapposte; si formeranno due gruppi e si nominerà un capitano per ciascun team. Il ruolo del capitano serve per avere qualcuno che assegni i numeri ai propri giocatori. Il numero dei membri di una squadra deve coincidere col numero dei membri dell'altra squadra, non si può giocare diversamente.
    Si sceglierà anche un arbitro, detto anche "giudice unico" o "asta della bandiera".
    Dopo si passa alla delimitazione del campo di gioco: è sufficiente un'area rettangolare abbastanza grande da permettere lo schieramento dei giocatori.
    A questo punto l'arbitro si sistema al centro, tra le squadre, con in mano un fazzoletto rappresentante la bandiera. I capitani avranno già assegnato a ciascun giocatore un numero a partire dall'1 in poi (se sono 5 giocatori per squadra saranno assegnati numeri dall'1 al 5)
    Le due squadre vengono disposte con tutti i loro elementi in riga, l'uno di fronte all'altro (il giocatore 1 innanzi al giocatore 1 avversario, il giocatore 5 innanzi al giocatore 5 avversario).

    Comincia il gioco:
    L'arbitro stende il braccio in avanti con il fazzoletto (la bandiera) stretto tra le dita e grida un numero a caso tra quelli che compongono le squadre. Di scatto i giocatori a cui è assegnato quel numero corrono verso la bandiera con la chiara intenzione di portasela via.
    L'arbitro può opporre una certa resistenza nel rilasciare la bandiera, o decidere il spostare verso l'alto o il basso il braccio tutte le volte che vuole. Chi arriva per primo strappa di mano la bandiera alla sua "asta" e dovrà cercare di portarla dietro la linea della propria squadra, ovvero dietro il proprio schiramento. Il giocatore che non è riuscito ad afferrare la bandiera per primo ha ancora la possibilità di conquistare il punto toccando l'avversario prima che questi torni al suo posto. E' vietato toccare il giocatore avversario prima che abbia staccato completamente la bandiera dalla mano dell'arbitro.
    Ottiene il punto chi porta la bandiera dietro la propria squadra o chi riesce a toccare il giocatore che ha rubato la bandiera prima che questi si metta al sicuro.
    Vince la partita la squadra che ottiene il maggior numero di punti.
    E' possibile in qualsiasi momento cambiare l'ordine dei giocatori per creare accoppiate per prestanza fisica o per amicizia o rivalità tra i giocatori.

    STRATEGIE
    E' vero che "Ruba bandiera" è un gioco di squadra, ma le mance vengono giocate da un solo giocatore per volta. Quindi non esistono strategie di squadra, ogni concorrente potrà però decidere se vuole impossessarsi della bandiera o aspettare di toccare l'avversario, ma il tutto in funzione, anche, di cosa l'altro deciderà di fare.

    VARIANTI
    - Quando l'arbitro è stanco della partita può decidere di invocare la "macedonia" anzichè un solo numero, in modo da far partire contemporaneamente tutti i giocatori, che di solito si sperdono in ammucchiate divertite che pongono fine al gioco.
    - Una piccola variazione al gioco è quella in cui il bambino che tiene la bandiera deve, dopo innumerevoli finte e a sua totale discrezione, lasciar cadere la bandiera, rubata dal giocatore che riesce a prenderla al volo, se il suo avversario riesce a toccarlo lo elimina dal gioco, vince la squadra che rimane con un solo giocatore, in questa variante è assolutamente vietato toccare la bandiera prima che lasci la mano.
    - Una vera e singolare variante è il "ruba bandiera figurata", le regole sono le stesse del gioco classico, l'unica differenza consiste nel fatto che l'arbitro può chiamare in gioco più numeri contemporaneamente fino ad un massimo di 4 per volta.
    I giocatori chiamati in causa devono formare delle "figure":
    2 giocatori - figura del "cavallo", un giocatore prende in spalla il compagno;
    3 giocatori - figura del "trono", un giocatore si siede sulle braccia dei 2 compagni;
    4 giocatori - figura del "missile", un giocatore è sdraiato trasportato dagli altri 3 e con un braccio libero per poter afferrare la bandiera.
    Una volta composta la figura, entrambe le squadre, si devono drigere alla volta della bandiera per rubarla, la squadra che non l'afferra per prima potrà toccare solo il giocatore trasportato (ovvero colui che può prendere la bandiera).
    - Altra variante è "ruba bandiera gentile" in cui il giocatore che non ha afferato la bandiera, può fermare il ladro urlandogli un complimento, questi deve immediatamene fermarsi e potrà riprenere la corsa solo gridando un altro complimento al suo inseguitore; è vietato aspettare più di 3 sec. prima di fare il complimento e le ripetizione, questa variante sviluppa molto la creativtà verbale ed è veramente molto divertente e simpatico.

    PSICOLOGIA
    Non occorre essere degli sportivi per giocare a ruba bandiera, è sufficiente un pò d'astuzia. Le sue peculiarità sono altre, rapidità, finte, individuare i punti deboli dell'avversario, cooperare. Tutte caratteristiche importanti da far apprendere ai bambini; far parte di una squadra, non giocare solo per se stessi anche se lo si fa per affermarsi, aiutano lo sviluppo di un carattere estroverso e socievole.
    Anche il ruolo dell'arbitro non è disprezzato, è un pò come essere il direttore d'orchestra, è questi che decide le sorti della partita. Questo ruolo di solito viene ricoperto da un adulto.

     
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  5. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Ruba bandiera

    “Chiamo, chiamo ... il numero ....” piedi che iniziano a muoversi nervosamente in attesa che venga chiamato il proprio numero. Un fazzoletto scende e sventola tenuto dai polpastrelli di una mano ... poi un urlo, viene chiamato il numero, due persone corrono verso il fazzoletto ... Ancora un ricordo dall’infanzia, ricordi di momenti felici e scampagnate gioiose ...


    (Claudio)


    Esistono giochi esclusivamente per bambini e giochi che, invece, sono validi sempre, a tutte le età. Il Ruba bandiera appartiene a questa seconda categoria. Il gioco si presta per essere praticato in luoghi aperti quali parchi, campagne, spiaggie, giardini. Non a caso il Ruba bandiera è un gioco tipico delle gite fuori porta, un classico dei Lunedì di Pasqua, della festività dell'1 Maggio, ed è immancabile durante le gite scolastiche.
    Numero di giocatori: da 5 in su, ma sempre un numero dispari;
    Età: abbastanza da saper già correre;
    Materiale: un fazzoletto di stoffa e un'area aperta in cui imbastire il campo di gioco.
    REGOLE DEL GIOCO
    Preparativi:
    Il Ruba bandiera coinvolge 2 squadre tra loro contrapposte; si formeranno due gruppi e si nominerà un capitano per ciascun team. Il ruolo del capitano serve per avere qualcuno che assegni i numeri ai propri giocatori. Il numero dei membri di una squadra deve coincidere col numero dei membri dell'altra squadra, non si può giocare diversamente. Si sceglierà anche un arbitro, detto anche "giudice unico" o "asta della bandiera".
    Dopo si passa alla delimitazione del campo di gioco: è sufficiente un'area rettangolare abbastanza grande da permettere lo schieramento dei giocatori. A questo punto l'arbitro si sistema al centro, tra le squadre, con in mano un fazzoletto rappresentante la bandiera. I capitani avranno già assegnato a ciascun giocatore un numero a partire dall'1 in poi (se sono 5 giocatori per squadra saranno assegnati numeri dall'1 al 5)
    Le due squadre vengono disposte con tutti i loro elementi in riga, l'uno di fronte all'altro (il giocatore 1 innanzi al giocatore 1 avversario, il giocatore 5 innanzi al giocatore 5 avversario).
    Comincia il gioco:
    L'arbitro stende il braccio in avanti con il fazzoletto (la bandiera) stretto tra le dita e grida un numero a caso tra quelli che compongono le squadre. Di scatto i giocatori a cui è assegnato quel numero corrono verso la bandiera con la chiara intenzione di portasela via. L'arbitro può opporre una certa resistenza nel rilasciare la bandiera, o decidere il spostare verso l'alto o il basso il braccio tutte le volte che vuole. Chi arriva per primo strappa di mano la bandiera alla sua "asta" e dovrà cercare di portarla dietro la linea della propria squadra, ovvero dietro il proprio schiramento. Il giocatore che non è riuscito ad afferrare la bandiera per primo ha ancora la possibilità di conquistare il punto toccando l'avversario prima che questi torni al suo posto. E' vietato toccare il giocatore avversario prima che abbia staccato completamente la bandiera dalla mano dell'arbitro. Ottiene il punto chi porta la bandiera dietro la propria squadra o chi riesce a toccare il giocatore che ha rubato la bandiera prima che questi si metta al sicuro. Vince la partita la squadra che ottiene il maggior numero di punti. E' possibile in qualsiasi momento cambiare l'ordine dei giocatori per creare accoppiate per prestanza fisica o per amicizia o rivalità tra i giocatori.
    STRATEGIE
    E' vero che "Ruba bandiera" è un gioco di squadra, ma le mance vengono giocate da un solo giocatore per volta. Quindi non esistono strategie di squadra, ogni concorrente potrà però decidere se vuole impossessarsi della bandiera o aspettare di toccare l'avversario, ma il tutto in funzione, anche, di cosa l'altro deciderà di fare.
    VARIANTI
    - Quando l'arbitro è stanco della partita può decidere di invocare la "macedonia" anzichè un solo numero, in modo da far partire contemporaneamente tutti i giocatori, che di solito si sperdono in ammucchiate divertite che pongono fine al gioco. - Una piccola variazione al gioco è quella in cui il bambino che tiene la bandiera deve, dopo innumerevoli finte e a sua totale discrezione, lasciar cadere la bandiera, rubata dal giocatore che riesce a prenderla al volo, se il suo avversario riesce a toccarlo lo elimina dal gioco, vince la squadra che rimane con un solo giocatore, in questa variante è assolutamente vietato toccare la bandiera prima che lasci la mano. - Una vera e singolare variante è il "ruba bandiera figurata", le regole sono le stesse del gioco classico, l'unica differenza consiste nel fatto che l'arbitro può chiamare in gioco più numeri contemporaneamente fino ad un massimo di 4 per volta.
    I giocatori chiamati in causa devono formare delle "figure":
    2 giocatori - figura del "cavallo", un giocatore prende in spalla il compagno;
    3 giocatori - figura del "trono", un giocatore si siede sulle braccia dei 2 compagni;
    4 giocatori - figura del "missile", un giocatore è sdraiato trasportato dagli altri 3 e con un braccio libero per poter afferrare la bandiera. Una volta composta la figura, entrambe le squadre, si devono drigere alla volta della bandiera per rubarla, la squadra che non l'afferra per prima potrà toccare solo il giocatore trasportato (ovvero colui che può prendere la bandiera). - Altra variante è "ruba bandiera gentile" in cui il giocatore che non ha afferato la bandiera, può fermare il ladro urlandogli un complimento, questi deve immediatamene fermarsi e potrà riprenere la corsa solo gridando un altro complimento al suo inseguitore; è vietato aspettare più di 3 sec. prima di fare il complimento e le ripetizione, questa variante sviluppa molto la creativtà verbale ed è veramente molto divertente e simpatico.
    PSICOLOGIA
    Non occorre essere degli sportivi per giocare a ruba bandiera, è sufficiente un pò d'astuzia. Le sue peculiarità sono altre, rapidità, finte, individuare i punti deboli dell'avversario, cooperare. Tutte caratteristiche importanti da far apprendere ai bambini; far parte di una squadra, non giocare solo per se stessi anche se lo si fa per affermarsi, aiutano lo sviluppo di un carattere estroverso e socievole. Anche il ruolo dell'arbitro non è disprezzato, è un pò come essere il direttore d'orchestra, è questi che decide le sorti della partita. Questo ruolo di solito viene ricoperto da un adulto.


     
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  6. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Il diario scolastico...

    Aperto su un banco oppure nascosto sopra uno scaffale ... al suo interno segreti, immagini e pensieri dettati dal momento attraversato nella vita. Compiti ed interrogazioni, ma sopratutto la cronistoria della vita di relazione vissuta e la vita interiore nascosta ... un compagno indissolubile delle nostre giornate della adolescenza ... Da una proposta di Lussy un mio libero pensiero ...

    Claudio


    La frase più bella scritta sulle pagine di un diario scolastico di un mio compagno di classe ...


    “Non ti auguro la vita di una rosa perchè è troppo corta, non ti auguro la vita di una stella perchè è troppo lunga..ma ti auguro la bellezza di una rosa e la luminosita' di una stella”

     
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  7. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Le cartoline ...

    Non c’erano le mail ... emozioni che viaggiavano nella rete delle poste; immagini e brevi frasi raccontavano sentimenti forti con leggerezza e sorpresa... così dalla buca delle poste tiravamo fuori fiumi di emozionante attesa ... e nel silenzio della nostra stanza tenevamo tra le mani quel cartoncino magico vibrando di emozione ...

    (La redazione )


    “Adoro aggirarmi per i mercatini d'antiquariato !..Molto spesso, guardo solo e non compro niente, ma mi piace tantissimo immergermi nel passato.. assaporare quell'aria di tempi lontani. C'è tutto un fascino particolare nei vecchi oggetti..sono l'eco di epoche passate, raccontano storie di vite vissute, trasmettono un calore che oggi non c'è più… raccolte di cartoline di una volta... le trovo bellissime a paragone di quelle odierne…C'è poesia negli oggetti del passato..forse è proprio questo che manca nel mondo d'oggi…Troppa frenesia, troppa fretta per poter creare e apprezzare la poesia di un oggetto.” …………………..”Guardando le vecchie cartoline mi stupisco sempre più spesso delle scoperte che si possono fare.. Ah sì, questo edificio lo riconosco! Non è mica quello davanti al Comune che poi fa angolo? Oh caspita, era un hotel! E quello? Ristorante. L'altro? Ristorante. Ohh, e lì c'era un altro hotel! Ma cos'è? Rimini in versione bianco e nero?...” (dal web)

     
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  8. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Un, due, tre, stella!

    Eravamo bambini, e alcune volte invece di giocare a nascondino ci divertivamo con questo gioco molto simile ad esso. Che bello divertisi a fare smorfie e pose improbabili quando chi “stava sotto” dopo aver detto il rituale “un, due, tre ... stella” si voltava velocemente e davanti aveva tuttii noi immobili con esperessioni del viso buffe, fatte apposta per far ridere chi ci era al fianco ...

    (La redazione )

    Un, due, tre, stella! è un gioco da bambini tradizionale. Si gioca in gruppo. Tutti i bambini tranne uno (quello che "sta sotto") si allineano a un'uguale distanza da un muro. Il bambino che "sta sotto" si appoggia al muro, dando le spalle agli altri, e conta ad alta voce "uno, due, tre, stella!", per poi voltarsi di scatto. Mentre il giocatore che sta sotto è girato, gli altri possono avvicinarsi; quando quello si volta di scatto, però, devono essere immobili. Se il giocatore che sta sotto percepisce il movimento di un giocatore (per esempio nel caso questo non sia riuscito ad acquistare una posizione di equilibrio in tempo), quest'ultimo deve retrocedere fino al punto di partenza. Vince il giocatore che riesce ad arrivare per primo al muro, al quale toccherà "stare sotto" nella partita successiva. In alcune varianti, chi arriva per primo, mentre tocca il muro grida: "stellone!".

     
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  9. gheagabry
     
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    1963: viaggio fotografico nell'Italia di 50 anni fa

    A vederla in questa gallery, l'Italia di cinquant'anni fa è un paese in bianco e nero, un po' puritano ma pieno di speranze e di fermenti culturali che vanno dal giornalismo di Oriana Fallaci al cinema dei grandi maestri (Pasolini, Rosi, Visconti...). E gli italiani? Acquistano automobili e tv, e assistono da spettatori a grandi eventi, dalla morte di Giovanni XXIII al disastro del Vajont.

    di: Eugenio Spagnuolo


    L'Italia nel 1963


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    Nella foto. La Lettera 32 Olivetti, la macchina da scrivere portatile erede della celebre Lettera 22, di cui bisserà il successo commerciale in tutto il mondo.

    Com'era l'Italia cinquant'anni fa? La ritroviamo in queste foto in bianco e nero alla fine del boom economico, mentre si appresta a entrare in una fase più "problematica" che porterà alla prima crisi della lira e alla sua svalutazione. È l'Italia che sta per conoscere l'orrore della speculazione edilizia, un Paese ingenuo e forse un poco puritano, raccontato in modo magistrale dal film Comizi d'amore di Pierpaolo Pasolini. Un Paese che piomba nella tragedia quando crolla la diga del Vajont, portandosi dietro un'intera vallata e più di 1.900 morti in una notte.

    Ma l'Italia del '63 è anche una nazione al centro del mondo, come rivela la visita ufficiale di John Fitzgerald Kennedy, in uno dei suoi ultimi bagni di folla da presidente (verrà ucciso a Dallas pochi mesi dopo). E il tempo non ha domato il suo spirito di fabbrica di talenti: quell'anno l'italiano Giulio Natta vince il Premio Nobel per la chimica, le interviste di Oriana Fallaci fanno il giro del globo e alcuni giovani intellettuali danno vita al Gruppo 63, che darà una scossa salutare alla cultura europea.

    Anche i numeri sono quelli di una crescita, in tutti i sensi. La Fiat nel '63 vende 650 mila autovetture (seguita dall'Alfa Romeo con 50 mila). La Rai quadruplica i suoi abbonati rispetto a 5 anni prima, toccando quota 4 milioni e 285 mila. E aumentano deputati e senatori, che passano rispettivamente a 630 e 315, cifra che persiste ancora oggi. Uno dei tanti lasciti di quell'Italia in bianco e nero che, nel bene o nel male, rappresenta un punto nodale della nostra storia.



    kennedy_1186116

    Arriva Kennedy
    John Fitzgerald Kennedy a Napoli. A luglio il Presidente degli Stati Uniti viene in visita ufficiale in Italia, dove incontra il neo-eletto Papa Paolo VI e anche i leader politici dell'epoca, compreso il comunista Palmiro Togliatti. In questa foto è protagonista di un inatteso bagno di folla a Napoli, che svela quanto fosse (troppo?) largo il cordone di sicurezza attorno a lui. Kennedy lascia l'Italia con la promessa di tornarci presto assieme a sua moglie Jaqueline. Ma non potrà mantenere l'impegno: il 22 novembre dello stesso anno morirà vittima di un attentato a Dallas.


    papa_1186183
    La morte di Giovanni XXIII
    Il 3 giugno si spegne Giovanni XXIII, il "Papa buono". Era stato eletto nel 1958. Ma in soli 5 anni di pontificato riuscì a compiere una grande opera di rinnovamento della Chiesa, stabilendo un rapporto più amichevole con i fedeli e indicendo il Concilio Vaticano II che per la prima volta apriva la discussione sulla religione cattolica a prelati provenienti da tutto il mondo, anche dai luoghi ai margini della Chiesa di Roma.



    piena-a-venezia_1186218

    Acqua alta a Venezia e gelo su tutta l'Italia
    Acqua alta a Venezia. Nell'aprile 1963 l'acqua alta nel capoluogo veneto raggiunge i 112 centimetri. L'Italia è reduce da uno degli inverni più rigidi della sua storia, con neve e temperature che raggiungono i -15° del Trentino.




    taylor_1186235

    Cleopatra a Cinecittà
    Liz Taylor a Roma. Si gira Cleopatra, uno dei film più costosi della storia del cinema. La protagonista Liz Taylor ha preteso che la troupe si spostasse a Roma da Londra per via del clima. Sono gli anni di Cinecittà e della dolce vita.



    vajont_1186251

    La tragedia del Vajont
    Il distastro del Vajont. Il 9 ottobre una frana cade nel bacino del Vajont. L'acqua tracima, supera una diga e trasporta a valle 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti che sommergono la vallata, distruggendo in pochi istanti la cittadina di Longarone e, totalmente o parzialmente, le frazioni di Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Rivalta, Pirago, Faè, Villanova, Codissago e Pirago. I morti sono 1917 (1450 solo a Longarone). Secondo le valutazioni processuali la tragedia si sarebbe potuta evitare: la zona scelta per la costruzione della diga del Vajont da parte della società SADE era una zona notoriamente franosa e da alcuni anni la montagna avava cominciato a muoversi.






    focus.it
     
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  10. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Le palline Clic Clac


    Non c’era un attimo di silenzio, non un’istante senza sentire quel rumore di palline che sbattevano tra di loro sopra e sotto i polsi ... man mano che i movimenti del polso divenivano più veloci, anche quell’oscillare delle palline intorno al polso diveniva più veloce fino a divenire un suono sempre più sincrono ... era un passatempo, quasi una piccola mania, divertente ma a volte doloroso perchè spesso le palline finivano la loro corsa sui polsi ...


    (Claudio)


    Nella prima metà degli anni settanta fra i vari giochi-passatempo particolarmente in voga ce n'era uno che ricordano davvero tutti: le palline Clic Clac. La particolarità di questo piccolo "status symbol dello svago" era paradossalmente costituita da due fattori fondamentali: la rumorosità e l' estrema pericolosità (specie quando venivano utilizzate dai soggetti più piccoli). Lo scopo del gioco, infatti, era quello di riuscire a far sbattere quante più volte possibile le due palline fra di loro ma l'abilità di riuscire nell' impresa non era alla portata di tutti; erano in parecchi gli sventurati che, nel tentativo disperato di imparare il movimento, si maciullavano letteralmente i polsi. In alcuni casi, l'eccessiva foga con la quale venivano agitate, le rendevano incontrollabili emulando, seppure in piccolo, un vero e proprio lancio del peso olimpionico. In questi frangenti le conseguenze davvero preoccupanti: ogni giorno i pronto soccorso erano pieni di persone che in un modo o nell' altro si ritrovavano a farsi medicare una ferita da pallina clic clac. O per problemi di polso, o perchè gli erano piovute in testa quel paio di sfere in plastica durissima. Le continue lamentele da parte dei genitori che lo ritenevano un gioco assolutamente pericoloso (oltre che fastidioso specie durante iriposini pomeridiani) ed il numero sempre crescente di "feriti sul campo" fecero si che le palline clic clac furono letteralmente bandite e addirittura tolte dal commercio. Le palline clic clac erano disponibili nei colori più disparati ed erano vendute in ogni negozio di giocattoli e nei mercati.

     
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  11. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Il Flipper

    Quando la monetina scendeva nella fessura per un attimo tutto si fermava in attesa che quella meraviglia di luci e colori esplodesse in un fragore fantasmagorico ... ricordo restavo affascinato da quelle luci colorate e spesso mi perdevo emozionandomi nel vedere giocare gli altri. Ricordo quello stantuffo che veniva afferrato tra il dito indicde e il medio e poi lasciato andare e in quella corsa colpire la pallina ... poi quei colpi sul lato e quelle “lingue” colorate che respingevano la pallina impedendole di cadere e essere persa. I numeri scorrevano via insieme agli attimi di meraviglia e di felicità per una pallina vinta e per quella partita che si protraeva ancora ... il flipper ecco un’altra carezza dal nostro passato .....

    (Claudio)


    Il Flipper, conosciuto in inglese come Pinball è un gioco di abilità a moneta, di origini americane, molto diffuso con tale nome in Italia, Francia ed altri paesi europei a partire dagli anni cinquanta, soprattutto in bar e locali pubblici. Il termine flipper deriva dalle piccole pinne (flippers), oggi più comunemente note come alette, comandate da pulsanti esterni e con le quali il giocatore può colpire una biglia d'acciaio mirando a bersagli posti su un piano inclinato coperto da un vetro trasparente. Ogni singolo bersaglio o combinazione di bersagli colpiti apporta un punteggio o agevolazioni (bonus) al gioco. In Italia, negli anni sessanta, il flipper ebbe vita difficile: fu oggetto di regolamentazioni e limitazioni giuridiche volte a proibirne l'utilizzo come apparecchio per gioco d'azzardo; questo portò al divieto di vincite di alcun genere, inclusa la ripetizione della partita. Per fronteggiare queste limitazioni esclusivamente italiane, i costruttori di tutto il mondo produssero modelli differenti esclusivamente dedicati al nostro mercato. Questo portò ben presto al proliferare di costruttori nazionali, alcuni attivi anche per anni a seguire, per soddisfare la richiesta interna e dediti alla costruzione di modelli adeguati alla nostra legislazione. Oggi il flipper è pressoché scomparso dai locali pubblici italiani, soppiantato perlopiù dai videopoker prima, legali in Italia dal 1995, e dalle New Slots ora (versioni particolari dei videopoker per il mercato italiano, in osservanza delle leggi vigenti); in pratica, sostituito dai cosiddetti giochi a premio. La situazione non è comunque diversa nel resto d'Europa. Nel mondo è rimasto attualmente un solo produttore, la Stern (USA), anche se si moltiplicano le iniziative, soprattutto da parte di entusiasti e collezionisti, di ricostruire su licenza piccole quantità di apparecchi del passato, anche recente, nonché parti di ricambio o altro. Per dare uno sguardo al possibile futuro del flipper, vi sono dei nuovi progetti di macchine fornite di CPU e dotate di un piano di gioco virtuale (costituito da un pannello LCD posizionato orizzontalmente), che permetterebbero di simulare molto bene il funzionamento di un vero flipper, con il vantaggio di poter avere più modelli da far funzionare su un'unica macchina.

     
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  12. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Il secchiello, la paletta, e tante formine

    Sotto il sole cocente, un cappellino sulla testa e tanta tanta crema protettrice, sul bagnasciuga o vicino l’ombrellone. Gli attrezzi di gioco, coloratissimi come i nostri sogni ... strumenti per dare forme alla nostra immaginazione. Il secchiello e la paletta, e poi tante formine di tutti i colori ... si potevano fare buche profonde per arrivare fino all’acqua, oppure costruire castelli o composizioni di forme varie e fantasiose ... e così senza neppure accorgersene trascorrevano felici le ore e la nostra fantasia era libera di cavalcare sulle ali della nostra gioia ....

    (Claudio)


    Paletta e secchiello! Un classico intramontabile che ancora oggi tiene testa alla concorrenza di giochi da spiaggia indubbiamente più moderni ma meno affascinanti. Il "kit" essenziale di ogni bambino nelle sue prime esperienze di vita in spiaggia ha infatti rappresentato per ognuno di noi importanti strumenti attraverso i quali esprimere il proprio estro creativo in un rapporto del tutto esclusivo tra fantasia e ambiente circostante, la sabbia, il mare... Con paletta e secchiello in mano si diventa tutti un po' artisti, e persino "ingegneri e architetti" costruttori dei mitici castelli di sabbia, tanto affascinanti e apprezzati da vantare sulle spiagge italiane numerosi concorsi di realizzazione. Piccoli costruttori improvvisati, dunque, o semplicemente dediti a sfornare pezzi di varia fattura con le mitiche "formine" o "stampini" a forma di stella, fiore, animali e via di seguito.

     
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  13. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    IL CAVALLO A DONDOLO


    Occhi chiusi e mani ben salde sull’appiglio; manine chiuse come quegli occhi alla ricerca di sogni e immagini da creare per fare viaggi fantastici ... galoppa cavallino, forza ... portami lontano fammi sognare e seguire con lo sguardo il segno dell’orizzionte fino a raggiungerlo finalmente ...

    (Claudio)


    IL CAVALLO A DONDOLOStoria per bambini “Nel piccolo mondo in cui tutti i bambini, comunque vengano educati, vivono la loro vita, non c’è nulla di più sentito e avvertito dell’ingiustizia, anche se si tratta di una ingiustizia di poco conto; ma il bambino è piccolo e piccolo è il suo mondo, e il suo cavallo a dondolo è per lui molto più alto di lui, e lui lo vede e lo considera come un cavallo da caccia irlandese dalle ossa grossa.”
    Charles Dickens, Grandi Speranze


    Frenzifré non era il suo nome, ma fin dalla nascita così lo avevano chiamato i genitori. È un nome noto fra i bambini che amano le sue fiabe, ma pochi conoscono la sua storia e l’importanza che in essa ha il suo cavalluccio a dondolo. Si può affermare, senza tema di smentita, che è stata l’amicizia con quel giocattolo a trasformare Frenzifré in un narratore di meravigliose fiabe per bambini. Anche ora il nostro novellatore, ormai avanti con gli anni, a volte usa intrattenersi a lungo con i suoi giocattoli di un tempo e soprattutto con il cavallo a dondolo. È trascorso molto tempo dal giorno in cui Frenzifré ricevette in dono, per il suo primo anno di vita, il cavalluccio di legno. Appena lo vide, comprese che era davvero un bel regalo, ma gli sembrò troppo grande e provò un poco di timore, sebbene non riuscisse a staccare gli occhi da Tornado. Questo era il nome del cavallo. Come tutte le sere, la madre preparò la cena. Era proprio un bel quadro di tranquilla e felice vita familiare: padre, madre e figlio intorno attorno al tavolo della cena. Frenzifré tuttavia non mangiava, ma lasciava sentire il suo pianto dall’alto del seggiolone ed i genitori pensarono dapprima che stesse male. Misurarono la febbre, toccarono la fronte, provarono a farlo giocare, ma il bambino continuava a lamentarsi sempre più forte. Finalmente il padre ricordò di aver lasciato Tornado in salotto ed andò a prenderlo. Frenzifré guardò il suo nuovo amico e questi –incredibile a dirsi– rivolse un cenno, impercettibile ai genitori ed a qualsiasi adulto che si fosse trovato nella stanza, ma non al bambino. Ed anche ad altri bambini sarebbe stato chiaro quel segno, ma noi adulti, o almeno la maggior parte di noi, abbiamo dimenticato che solo i cuori ingenui vedono ciò che rende poesia la vita e non siamo disposti a credere ai fanciulli che ci raccontano i loro meravigliosi sogni ad occhi aperti. Questo è veramente strano: crediamo alle bugie di coloro che governano il mondo, crediamo che esistano guerre giuste, e non prestiamo fede ai nostri simili più piccoli e più sinceri. Noi pronunziamo menzogne per scopi meschini e non ci fidiamo di chi non ha interessi materiali, ma possiede una visione più ampia della nostra, perché riesce a vedere l’invisibile e l’incredibile. Fatto è che Frenzifré si calmò improvvisamente e mangiò di gusto il pasto cucinato con amore dalla mamma. La madre, dopo cena, collocò il bambino a cavallo di Tornado ed egli manifestò la sua gioia con gemiti, risa e sorrisi, tipici di quell’età. La notte giunse e con essa il sonno, ma verso l’alba Frenzifré si destò, perché aveva sentito qualche lieve sospiro. Guardò i visi di mamma e papà che dormivano tranquillamente. Si calò dal suo lettino e, un po’ gattonando un po’ camminando, si recò da Tornado. Era proprio un bel cavallo: fulvo con piccole macchie nere, con un criniera bionda come la grande coda e con una sella rossa. Tornado voltò lentamente la testa e parlò: << Frenzifré, sali. È tutta la notte che ti aspetto. Facciamo un giro>>. Si chiamava Tornado e naturalmente, per fedeltà al suo nome, era in grado di galoppare più veloce del vento, ma egli sapeva anche che ora era il cavallo di un bambino e si mosse, quella prima sera, con cautela, raccomandando a Frenzifré di tenersi ben stretto al suo robusto collo. Dove Tornado portasse Frenzifré quella prima felice alba non è dato di sapere, salvo che uno dei due personaggi non decida un giorno di raccontarlo. Quel che è veramente importante sapere è che durante la cavalcata Tornado raccontava al bambino bellissime storie con voce dolce, come sono le parole delle madri che narrano fiabe, perché è l’amore che parla. Madre e padre trovarono Frenzifré a cavallo di Tornado: ambedue ondeggiavano lievemente. Essi non sospettarono nulla del viaggio intrapreso dal loro piccolo figlio. E come avrebbero potuto? Dopo quell’episodio fantastico accadde molte volte che Frenzifré giocasse con il suo nuovo compagno di legno a quattro zampe e andasse in giro. Tornado naturalmente narrava storie. Il bambino era naturalmente troppo piccolo per comprendere i racconti di Tornado, ma la voce era suadente e lo rassicurava. La maggior parte erano racconti di cavalli famosi che correvano per ogni parte della terra ed anche per le praterie del cielo fra gli astri sfavillanti. Alla presenza di adulti, però, Tornado non proferiva parola e non si muoveva, ma quasi per un tacito accordo fra i due amici, Frenzifré non si lamentava di questo silenzio e di questo stare completamente immobile del cavalluccio, come se comprendesse che quelle avventure e quei discorsi dovessero restare un segreto. Iniziò il periodo della parola e Frenzifré poteva ora conversare con Tornado, tanto che durante le scorribande pomeridiane o notturne lo tempestava di domande su ogni luogo della terra e sui nomi delle stelle, ma poi taceva e lasciava che la voce raccontasse altre favole. Venne il primo giorno di scuola. Frenzifré entrò con timore nell’edificio grigio: c’erano tanti altri bambini e c’era la maestra seduta in alto, ma un sorriso tranquillizzò tutti. Quante cose avrebbe avuto da raccontare a Tornado! In quel primo periodo di scuola il bambino non dimenticò il suo amico ed ora era lui a narrare. Tornado ascoltava e rivolgeva domande. Col tempo però qualcosa cambiò: Frenzifré aveva nuovi amici e sempre meno visitava Tornado. Il piccolo cavallo a dondolo non era geloso, ma rimpiangeva le notti trascorse con il bambino, il suo sorriso, le sue infinite domande, le gite su boschi, su monti innevati e su città, su deserti e su tetti dorati d’Oriente, vicino all’arcobaleno o accanto alla linea dell’orizzonte. Sebbene sapesse che è destino di tutti i giocattoli essere riposti in soffitta e dimenticati, qualche volta dai suoi grandi occhi sempre aperti scivolava una lacrima. Per Frenzifré giunse l’adolescenza e giunsero altri sogni: l’amore, nuovi amici. Tornado fu preso e portato nel sottotetto. Come è triste un giocattolo che più nessuno usa! Quel compagno dell’affacciarsi nel mondo non ha chiesto niente in cambio della sua amicizia e del suo amore; non era parte del nostro mondo, ma era il nostro mondo, del tutto ignoto agli adulti. Frenzifré pensava ogni tanto alla sua infanzia e al cavallo a dondolo e si domandava come avesse potuto essere tanto sciocco da credere che un giocattolo di legno potesse galoppare e trottare sopra i tetti della sua città o per i sentieri della via lattea, per giunta raccontando fiabe! E tuttavia nel suo cuore nasceva, a questo pensiero, un senso di tenerezza ed allora si accorgeva che l’antico affetto per il suo piccolo compagno non era del tutto estinto. Tornado riposava nel solaio, invecchiato, coperto di polvere, le zampe indebolite dall’inattività, la coda bassa e spelacchiata, la criniera rada, gli occhi tristi. Frenzifré divenne adulto, si sposò, come tutti gli uomini ebbe piccoli e grandi dolori, piccole e grandi gioie. Una sera, mentre leggeva al suo piccolo bambino una fiaba, ricordò Tornado. Chiuse il libro e raccontò la storia sua e di Tornado. Il figlioletto si addormentò. Ed anche la sua amata moglie s’addormentò. Frenzifré in punta di piedi si recò nel lucernaio: bauli, vecchi quadri, soprammobili polverosi, album di fotografie. Tutto era ammassato alla rinfusa. Dov’era Tornado? Lo aveva forse dato via oppure l’aveva gettato nella spazzatura? Lo aveva fatto a pezzi e bruciato durante un freddo inverno? Un tremito lo pervase e lo assalì un pianto incontenibile. Allora chiamò fra i singulti “Tornado”. Un gemito o un lieve nitrito giunse da qualche luogo della soffitta; l’uomo cominciò a cercare; un lento rumore di zoccoli si udiva provenire da qualche angolo. Finalmente arrivò presso il cavallo: com’era ridotto! Povero Tornado! Tornado girò la testa verso di lui e sorrise: era lo stesso sorriso di quando s’erano incontrati la prima volta. Ambedue avevano conservato un cuore fanciullo. Frenzifré si chinò, lo abbracciò, gli carezzò l’incanutita criniera, chiese perdono per la sua dimenticanza. Si pentiva di averlo sepolto non solo nella soffitta ma anche nel suo cuore. Domandò di ascoltare le storie di una volta. Tornado rispose che egli era fatto di legno come gli alberi che non dimenticano e acconsentì con felicità. Così trascorsero la notte. Molte cose accaddero: mentre Tornado raccontava il suo pelo tornava del bel colore d’un tempo e le sue zampe ritrovavano il vigore della giovinezza. Al mattino, quando il figlioletto di Frenzifré si destò, trovò nella sua camera un bel cavallo a dondolo. A volte, mentre il bambino gioca con il suo amico di legno, il padre apre senza farsi sentire la porta: li vede che dondolano piano piano, ma egli sa che è soltanto una sua illusione e che essi in realtà galoppano fra le stelle fiammeggianti.



    CAREZZE DAL PASSATO ...

    La macchina per cucire


    ….vecchie macchine da cucire grandi e piccole che mi ricordano "la realtà di tante sarte e quilters" e la favola di "Sette in un colpo" dove il piccolo sarto con la sua fantasia riesce a diventare un re.”


    (Gabry)


    La macchina per cucire è un'apparecchiatura meccanica, brevettata nel 1842 da John J. Greenough, o elettromeccanica impiegata per unire, con una cucitura, stoffe o pelli attraverso il passaggio di uno o più fili di cotone o altri materiali per mezzo di un ago oscillante in modo alternato dall'alto verso i basso….I primi modelli erano azionati a mano: attraverso una manovella applicata al volano, con la mano destra si produceva il movimento dell'ago, della spoletta e l'avanzamento per trascinamento del tessuto, mentre con la mano sinistra si controllava la sua posizione e l'indirizzamento…

     
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  14. gheagabry
     
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    Ho trovato in un vecchio cassetto..una grossa conchiglia. D'istinto l'ho portata all'orecchio, e subito il rumoreggiar del mare ho sentito. E nella mente scorrono velocemente immagini di me bambina, correre sulla spiaggia ..incontro al vento. Sorriso felice di bimba innocente! Castelli di sabbia, fragili tra le dita fanciullesche e poi, la ricerca di un piccolo tesoro.... una conchiglia. (Vivì)

     
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  15. gheagabry
     
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    CAREZZE DAL PASSATO ...


    La lanterna ...

    Ombre si allungano nella grande cucina mentre scende il silenzio della sera che dopo i suoni del giorno ricopre di pace lo spazio. Una scintilla, poi un crepetio e infine un flebile luce che pian piano diventa sempre più forte e stabile...e così la lanterna ci racconta le immagini che la sua luce scopre ...

    (Gabry)


    Ogni terra ha le sue leggende, le sue filastrocche, le sue usanze, i suoi proverbi e anche i simpatici indovinelli. Con questo sistema si tenevano buoni i bambini intorno a un tavolo, nelle notti invernali, ricche di povertà, ma piene di umanità. Al chiarore di un lume a petrolio, o di una candela, le ombre silenziose scivolavano morbide sulle pareti, si spostavano, si allungavano, e mani magiche in animali le trasformavano, è quì, gli sguardi attoniti dei bambini, ascoltavono. Le fiabe, le filastrocche, sono state partorite dagli anziani per i bambini e spesso arricchite, si somigliano un po' tutte, solo il vernacolo le trasforma in melodia e la voce dell'anziano di turno, le raccontava ogni sera, questo era il sistema per trasmettere un contatto, un dialogo, le radici erano assicurate. Raccolti attorno al vecchio tavolo di noce, illuminato da un vecchio lume.





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    CAREZZE DAL PASSATO ...

    Pennello e rasoio da barba

    Seduto alle sue spalle assorto osservavo un rituale a me sconosciuto e incredibile. Acqua calda veniva fuori dal rubinetto e pian piano appannava il vetro di quel bagno. Il papà in canottiera, massaggiava il viso con l’acqua calda, poi da un cassetto tirava fuori degli strumenti... in una ciotolina con un grande pennello, agitava il contenuto fino a farlo divenire denso e solido come la panna...poi quello stesso pennello scorreva veloce sul viso spargendo quella crema bianca che formava in quel modo una maschera candida ... quando lo strato di crema era divenuto uniforme, allora ecco tirar fuori uno strumento nuovo, mai visto...una lama lunga ed affilata e un manico nero ... la mano decisa passava la lama sullo strato di crema e portava via con se quella candida coltre e con se anche la barba ... assistevo in religioso silenzio a quel rituale ...ogni volta che mio padre lo ripeteva...

    (La redazione)


    Ci si rade da sempre, fin dai tempi primitivi. Sembra infatti che già nella preistoria venissero per lo scopo utilizzati utensili di pietra o valve di conchiglia. Si deve però all’evoluta civiltà egizia la nascita del rasoio con l’impiego di rame e bronzo. Il reperto più antico, risalente al 3000 a.C. e conservato al Museo del Louvre di Parigi, è uno strumento a forma di coltellino con la punta un po’ ricurva. Successivamente sempre gli Egizi hanno creato un rasoio a forma lunata e un rasoio formato da due lame unite al centro da una piccola griglia. Famosi anche i rasoi ‘punici’ del VII-II sec. a.C. ritrovati nel Nord Africa, Spagna, Sardegna con impugnatura a collo di cigno. Alessandro Magno era un fanatico della perfetta rasatura per sé e per tutti i suoi soldati (che così ‘lisciati’ in viso si presentavano meno aggredibili dagli avversari). Proprio da questa esigenza nacque un più comodo rasoio che si ripiegava nel manico detto ‘culter tonsorium’. Nel 300 a.C. a Roma si data l’apertura della prima bottega di barbiere cui ne seguirono molte altre: vi è da dire, però, che i ‘tonsores’ estraevano anche denti e si improvvisavano chirurghi e medici e che fino all’inizio dell’800 in Italia le due categorie restarono unite. Il 1895 rappresenta una data storica nella storia della rasatura con la nascita del primo rasoio di sicurezza con lame monouso da parte dell’imprenditore americano King Camp Gillette perfezionata poi nel 1914 con l’acciaio inossidabile. Pensato per la depilazione delle gambe femminili nasce nel 1928 in America il primo rasoio elettrico, lo Schick, che verrà quasi subito adattato per la rasatura maschile.

     
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63 replies since 28/7/2012, 19:12   4265 views
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