PROFUMI NELLA STORIA

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  1. gheagabry
     
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    I PROFUMI NELLA STORIA

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    Sono circa sette millenni che il profumo esiste nella storia dell’uomo. Presso tutti i popoli ha svolto da sempre varie funzioni, sia religiose che non. Il termine “profumo” viene dal latino “per fumum” che letteralmente significa “attraverso il fumo,” dal momento che i primi profumi derivavano da aromi bruciati, come l’incenso, dato in offerta agli dei ed agli antenati.

    Il profumo è legato indissolubilmente alla civiltà egizia. Serve da intermediario fra l’uomo e gli dei. E’ nato nei templi, è presente in tutti i rituali: purifica, partecipa ad ogni tappa della vita umana, del contatto con le divinità, dei riti dell’imbalsamazione dei defunti. Gli oli profumati erano usati in questo paese fin dalla fine del IV millennio a.C. Sebbene le tombe predinastiche fossero semplici fosse nel terreno, esse già contenevano insieme alle tradizionali offerte di cibo e bevande per il morto, cosmetici, profumi e ingredienti per la loro preparazione.
    Gli Egizi, grazie alla loro arte dei profumi e degli aromi, precorrono degnamente le scoperte scientifiche future. La loro influenza si estende fino in Asia, dove Palmira e Babilonia sono i due grandi centri di attività per i profumi.
    Gli Egizi utilizzano degli aromi che favoriscono l’elevazione dell’anima: resina di terebinto, olibano, galbano, laudano, mirra…
    Presso i templi, i sacerdoti ogni giorno onoravano gli dei dapprima pulendo le loro statue, poi ungendole e imbellettando il loro volto. Erano gli stessi sacerdoti a preparare gli aromi da bruciare e gli oli profumati tramite lavorazioni che a volte richedevano mesi. Questi prodotti preziosi venivano, così, usati anche nella diplomazia come regalo del faraone ai sovrani alleati. Il sacerdote capo del laboratorio leggeva agli assistenti la formula scritta sui muri del luogo e questi pestavano fiori ed erbe e le mescolavano a resine e gomme, vino e miele. Le ricette erano comunque segrete e per evitarne la divulgazione alcuni particolari erano trasmessi solo oralmente. Uno di questi locali è stato scoperto nel grande tempio di Edfou, sulla riva sinistra del Nilo, un centinaio di chilometri a sud di Luxor. Venne costruito sotto il regno di Tolomeo III, nel 237a.C., e dedicato a Horus, il Dio del cielo. Gli aromi erano conservati al riparo dai raggi del sole; alcune iscrizioni sulle pareti di una delle stanze rivelano i segreti di fabbricazione di unguenti, profumi ed oli.
    Attraverso queste offerte, gli Egizi si assicurano la protezione degli dei per il loro passaggio nell’aldilà che necessita del mantenimento dell’integrità del corpo. Questa credenza è alla base della pratica dell’imbalsamazione che conserva intatto il corpo grazie a sostanze imputrescibili e profumate.


    Sostanze profumate e belletti non lasciano insensibili i mortali che li utilizzano dapprima per le loro virtù magiche e terapeutiche. Ma rapidamente diventano strumenti di seduzione grazie al loro potere odoroso ed estetico.
    Ma via via che il lusso e la raffinatezza entrano nella vita privata, gli Egizi iniziano ad impiegare le sostanze odorose anche nell'igiene quotidiana. Nasce allora una vera e propria industria dei profumi, senza dubbio favorita dalla spedizione navale della regina Hatshepsut nel mitico "Paese di Punt", una regione che doveva estendersi dalla Somalia al nord dell’Etiopia.
    Le due resine più note sono l’incenso propriamente detto (Boswellia sacra) e l’arbusto della mirra (Commiphora burseraceae). Le resine venivano usate a scopo seduttivo: le donne spalmavano sul corpo e sui capelli balsami, oli e pomate aromatiche. Famoso il caso di Cleopatra che impiegava unguenti e oli per la cura di sé. Furono quasi certamente gli Egiziani ad inventare la boccetta portaprofumo, l’Alabastron, bottiglina di alabastro che tenuta lontano dai raggi del sole e in luogo fresco conservava gli oli. La forma caratteristica a goccia con larga imboccatura a colletto svasato ebbe una diffusione immensa e fu replicata nelle varie culture con diversi materiali.

    Il profumo originale utilizzato dai faraoni è il "Kyphi", composto da più di 60 essenze. Questo era il profumo più utilizzato dai faraoni e dalle regine. E’ descritto dal greco Plutarco come fragranza in grado di favorire il sonno, rilassare e dare un senso di pace. Era composto da numerose essenze, in alcune ricette più di sessanta. Tra gli ingredienti incenso, mirra, pistacchio, menta, cannella.
    Le materie prime abbondano sul posto ma si fanno ugualmente arrivare materie prime odorose dalla Libia, dal Medio Oriente, dall’Arabia: legni odorosi, olii di pino e di olivo, mirra, cannella, spezie delle Indie, Balsamo di Giudea. Il commercio degli aromi è diffuso in tutto il mondo antico.


    Un profumo antico, il Kyphi



    La descrizione del greco Plutarco nell’opera Iside e Osiride: “Il kyphi è un profumo composto da sedici materiali: miele, vino, uva passa, cipero, resina, mirra, legno di rosa. Si aggiungono lentisco, bitume, giunco odoroso, pazienza, ginepro, cardamomo e calamo aromatico, ma non con casualità, bensì secondo le formule indicate nei libri sacri“.
    Altre fonti citano tra gli ingredienti anche il pistacchio, la menta, la cannella, l’incenso e il ginepro. Per lo storico greco, inoltre, questo scent era in grado di “favorire il sonno, aiutare a fare dei bei sogni, rilassare, spazzare via le preoccupazioni quotidiane, dare un senso di pace.“

    Un’altra celebre ricetta del Kyphi è riportata dalle iscrizioni della stanza del laboratorio del tempio di Horus a Edfou. Questa costruzione, una delle più antiche e meglio conservate della civiltà egizia, fu edificata tra il 237 e il 57 a.C. sul luogo in cui il dio, secondo le credenze dell’epoca, aveva combattuto una battaglia. Fu fatto erigere dalla dinastia tolemaica di origine macedone per ingraziarsi la potente casta sacerdotale.
    I custodi del culto in quel tempo non rischiarono di trasmettere le preziose informazioni sulla creazione delle fragranze e soprattutto sulla celebrazione dei rituali sul papiro, troppo fragile, o di affidarle alla sola tradizione orale, ma fecero incidere i dati sulle pareti del tempio.



    Cleopatra



    Numerosi aneddoti, tra storia e leggenda, vedono la regina legata al mondo del benessere e delle fragranze.

    Si dice, ad esempio, che facesse profumare le vele delle sue navi perché, al soffio del vento del Nilo, diffondessero al suo passaggio le fragranze che lei amava. L’essenza prescelta era il gelsomino, molto usata all’epoca, impiegata anche nell’incontro su un battello con Marco Antonio. Si dice anche che accogliesse il guerriero, al loro primo incontro d’amore, in una stanza cosparsa di petali di rosadove bruciavano incenso ed erbe aromatiche.

    Tra i composti usati alla corte della donna c’era anche il Susinum, olio di lillà famosissimo in quel tempo.La regina faceva uso anche dell’unguento Myrtum laurum, probabilmente composto da giglio, maggiorana e trigonella greca.

    Il condottiero romano regalò a Cleopatra – o meglio fece sì che Erode il Grande gli cedesse il territorio interessato – una fabbrica di profumi in omaggio alla sua competenza sull’argomento: la sovrana fu l’autrice di un libro di ricette per fragranze dal titolo che in latino suona “Cleopatra gynaeciarum libri”. La struttura si trovava all’estremità Sud del Mar Morto a 30 Km da Ein Gedi, dove furono scoperti vasi con residui di antichi profumi.

    Qui si producevano fragranze e cosmetici e le clienti vi si affollavano. La struttura comprendeva nove saloni, due mulini per sminuzzare semi e radici, due grandi vasche per macerare i petali dei fiori, due forni e un focolare per gli unguenti. Rimangono anche i resti di una torretta usata per controllare le piantagioni circostanti, i sali e i celebri fanghi del Mar Morto.

    Cleopatra era solita anche sottoporsi a trattamenti di bellezza, in primo luogo il bagno. Per rendere la pelle tonica oltre che profumata preparava un decotto da disperdere nell’acqua calda a base di timo, rosmarino, lavanda, origano, chiodi di garofano e noce moscata. Per ammorbidire la pelle inpiegava un decotto a con orzo, fave, riso, rosmarino e angelica o salvia e finocchio. Si dice che questi preparati fossero usati anche dalla cortigiana francese Ninon de Lenclos nel XVII Secolo, nota per la sua bellezza e la sua pelle chiara e priva di imperfezioni. Fu ispiratrice di Voltaire e fu amata dal principe di Condè.
    (Olfattomatto.it)

    Edited by gheagabry1 - 8/9/2019, 22:00
     
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  2. gheagabry
     
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    ...Il Muschio del Kashmir...



    C’e un profumo così famoso che tutti sulla terra ne conoscono il nome, ma pochissimi possono vantarsi di averlo mai sentito. E’ il muschio che mnon è di origine vegetale ma animale. Il muschio viene da un piccolo cervo del Kashmir, sotto la pancia ha due ghiandole pelose che producono piccole palline di una sostanza nera molto odorosa: il muschio.
    Soltanto il cervo maschio lo produce, e va seminando grani profumati sul suo territorio per avvertire gli altri maschi che questa è casa sua e di non pensare stabilirsi in questa zona.Fu il profumo dei re e degli imperatori ed il comune mortale lo poteva sentire solo nella scia dei potenti della terra. Marco Polo racconta nel suo" Milione" che, attraversando il Kashmir, osservò una tale abbondanza di cervi muschiati che le palline di muschio si trovavano in abbondanza sotto gli alberi. Probabilmente l'animale era allora protetto da leggi ferree che punivano severamente la sua uccisione ed il re della regione doveva pagare al califfo un tributo annuo di muschio, com'è riportato nelle cronache arabe. Purtroppo ora per reperire il muschio, i cacciatori li uccidono poi tagliano le ghiandole per venderli.
    I grani di Muschio che sono all'interno delle borse del muschio sono anche un rimedio per malattie e veniva usato in tutte le farmacopea dell’antichità.

    "C’e un uomo nella montagna che prepara medicine con il Muschio secondo le ricette trasmesse dagli antenati e ho avuto il privilegio di vedere come è preparato il vero muschio del Cashmir e sopra tutto di sentire il suo profumo esilarante.
    L’odore della "borsetta" ghiandola è dolcissimo, ma quando la si apre per ricavare i grani il profumo è tutto diverso. Al primo impatto il Muschio è fortissimo, anche per un profumiere come me, abituato a lavorare con essenze pure, e non è particolarmente gradevole, sembra ammoniaca, ma è solo perché è fresco e molto concentrato. In effetti 3 piccoli grani di 1 grammo servono per fare un litro di profumo alcolico. Il migliore modo per capire ed apprezzare la delicatezza del profumo di muschio è di sentire la scatola o il vaso che lo contiene mentre sono chiusi, sembra che sia talmente potente da passare a traverso le parete dei recipienti. Purtroppo, a causa della caccia indiscriminata, i cervi muschiati sono quasi tutti morti e forse tra qualche anni non ci sarà più il meraviglioso profumo del muschio da sentire sulla terra.
    L’avidità degli uomini li spinge a distruggere il proprio commercio con le loro mani, un po’ come un uomo su una barca che sfonda lo scafo con il piccone perché vuole della legna per accendere un fuoco e riscaldarsi. Non capisce che la nave colerà a picco e si ritroverà a nuotare nell’acqua ancora più fredda. Anche i pescatori nel mare si lamentano: “Non c’e più pesce, non guadagniamo più sufficientemente per mantenere le nostre famiglie!”. E chiaro, se pescate troppo pesce, quello che nasce non basta per rimpiazzare quello che avete ucciso. Lo stesso accade oggi con il muschio, con gli elefanti, con l’albero del profumo di sandalo e con l’albero del profumo di legno di rosa. Ne sono rimasti pochissimi.
    L'unica soluzione sarebbe quella dii si allevarli in fattorie al riparo dei cacciatori, dopo di chè si potrà ricominciare la raccolta dei grani nel bosco, dove il cervo li semina, come al tempo di Marco Polo.
    (AbdesSalaam Attar, Cashmir, Marzo 2006)


    Fortunatamente, si è messo un freno a questa follia e il profumo al muschio bianco si è iniziato a produrlo sinteticamente.

    Esistono degli allevamenti di moschus in Cina dove il muschio si raccoglie senza che sia ucciso l'animale. Il muschio così ottenuto è reputato di qualità inferiore in confronto a quello selvatico. Come profumo il muschio era usato puro, scacciando una piccolissima briciola nella barba o nei capelli ma era dato a pochissimi privilegiati di poterlo apprezzare in questa forma, a causa della sua estrema potenza. I profumieri del passato lo usarono come ingrediente "magico" nelle loro composizioni. A questo scopo preparavano degli infusi di muschio in alcool, con vari gradi di concentrazione. Il muschio era anche messo a macerare in olio essenziale di legno di sandalo, per almeno un anno (meglio cinque), un eccellente modo di ricavarne l'aroma perché questi due odori sono affini e si rinforzano a vicenda.

    Il muschio è menzionato nel Corano come la materia con la quale sono sigillate le bevande del paradiso. Per i musulmani il fatto che le bevande profumate dell'altra vita (zenzero, uva, ecc…) siano sigillate con il muschio, fa di lui il re di tutti i profumi e, poiché Dio stampò il suo stesso nome sul sigillo, il muschio è considerato la più pura e nobile delle materie terrene.
     
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  3. gheagabry
     
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    Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l'aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c'è modo di opporvisi.
    (Patrick Suskind)


    Il PROFUMO



    L'origine del profumo si perde nella notte dei tempi. L'Oriente sembra esserne stata la culla. Viene usato prima nei riti religiosi. Bruciati in onore degli Dei, i profumi esalavano un fumo odoroso che si levava verso il cielo, da qui l'origine della parola profumo, che deriva dal latino "per fumus" e cioè attraverso il fumo. Bruciando sostanze odorose gli uomini si attiravano le grazie divine. Gli odori gradevoli scongiuravano anche le malattie ed ostacolavano la peste e le epidemie.
    L'uso divenne poi profano. Cleopatra o valorosi guerrieri cominciarono a spalmare i loro corpi con unguenti profumati.
    La tappa seguente fu la scoperta della distillazione da parte degli arabi, ai quali dobbiamo l'invenzione dell'alambicco, usato ancora ai nostri giorni.

    Nella storia dell'umanità i primi documenti sulla profumeria risalgono agli Egizi. In questa civiltà , alle fragranze di cui i sacerdoti avevano il pieno controllo veniva attribuita la proprietà di fare da tramite alle aspirazioni umane nell'aldilà. Emblematico il rituale dell'imbalsamazione: alla morte del Faraone, il suo corpo veniva privato delle viscere, pulito con olio di pino, riempito di essenze come mirra, cassia e cedro ed infine avvolto in bende impregnate di oli aromatici. Ma via via che il lusso e la raffinatezza entrarono nella vita privata, gli Egizi iniziarono ad impiegare le sostanze odorose anche nell'igiene quotidiana. Nacque allora una vera e propria industria dei profumi, senza dubbio favorita dalla spedizione navale della regina Hatsepsuth nel mitico "Paese di Punt" dove crescevano mirra, incenso e opoponax. Fu un autentico tripudio di fragranze - come il "Kyfi", composto da più di 60 essenze- esportate anche in paesi molto lontani.

    Nell'antica Grecia, mito e culto della bellezza trovarono nel profumo una perfetta sintesi. Gli "euodia", ovvero gli odori buoni - strumento di ricerca del divino - raggiunsero il loro apogeo nella raffinatissima Atene di Pericle. Qualche esempio: il "susinon" a base di giglio o il "kipros" a base di menta e bergamotto. E nonostante il veto di alcuni personaggi illustri, come Socrate, l'importanza attribuita al profumo è confermata dal famoso "Trattato degli odori " di Teofrasto, testo base della profumeria antica. Dopo l'iniziale diffidenza dei Romani nei confronti delle "mollezze" orientali, con l'età imperiale il profumo trionfò in tutte le sue forme anche a Roma. Come racconta Petronio nel Satyricon , i banchetti divennero vere e proprie " orge olfattive" : durante i convivii nella Domus Aurea di Nerone, per esempio, da un soffitto d'avorio traforato cadevano sugli ospiti petali di rosa impregnati di essenze preziose. Con la decadenza dell'impero e la nuova morale imposta dal cristianesimo però, l'arte del profumo cadde rapidamente nell'oblio.



    Dal Medio Evo, il bagno ed il lavarsi in generale è abbandonato e si fa un uso smodato di profumi per rimediare alla mancanza di igiene. Appaiono così le prime acque profumate quali l'Acqua d'Ungheria, poi, molto più tardi l'Acqua di Colonia, commercializzata da Jean-Marie Farina.
    "Houbigant" si installa in rue Faubourg Saint Honoré e profuma tutta l'aristocrazia.
    L'uso del profumo si diffonde in Francia grazie alla Dama del regno, Maria Antonietta , moglie di Luigi XVI o Giuseppina, moglie di Napoleone, che danno l' esempio. Dopo il XVIII secolo, l'industria francese dei profumi si concentra a Grasse, nel sud della Francia.
    All'inizio, i fabbricanti di Grasse distillavano l'essenza do lavanda nelle fabbriche di guanti. I guanti profumati divennero celebri grazie alle donne eleganti di Francia, Inghilterra ed Italia. Fu il primo modo di indossare un profumo.
    I profumi di oggi provengono da questa tradizione, ma la scoperta dei prodotti di sintesi, alla fine del secolo scorso, ha cambiato in modo considerevole sia il modo di elaborare il profumo, sia quello di percepirlo.
    Nel periodo della Belle-Époque sono apparsi grandi profumi che vanno da "JiCky" di Guerlain (1889, il decano dei profumi attualmente in vendita) a "Origan"(1905) a "Chyprie" (1917).
    E' tra le due guerre che sono apparsi i nomi dell' Alta Moda nel mondo della profumeria, con tutto quello che questo rappresenta in fatto di eleganza e lusso femminile: N°5 (1921), Arpege (1927). L'epoca è contrassegnata anche dalla raffinatezza dei flaconi, delle confezioni e dalla nascita di grandi creazioni diventate dei classici, come Shalimar (1925).
    Riservato ad una élite, il profumo ha un nuovo sviluppo alla fine della seconda guerra mondiale, con un notevole aumento di consumatori. E' in questo periodo e più precisamente nel 1945, che rinasce la profumeria maschile, in particolare con la creazione di Moustache. Questa tendenza si sviluppa con il successo di Eau Sauvage (1966) che conferma l'evoluzione delle fragranze maschili fino ai giorni nostri.



    ..........un' arte...........



    Il profumo si crea un po' come un quadro o una composizione musicale. Esso non è un semplice "cocktail" di odori mescolati da un chimico. Come non è sufficiente mescolare dei colori per fare un quadro.
    Il profumo è creato all'origine da un artista che cerca di esprimere e far provare agli altri un'emozione personale. La creazione di un profumo dipende, come tutte le opere artistiche, dall'immaginazione creativa del suo compositore. Egli è spesso chiamato familiarmente "naso";in realtà lavora soprattutto con il cervello che gli fa ricordare e riconoscere fino a 3500 odori diversi.
    Ecco che cos'ha scritto uno dei grandi creatori attuali:"un compositore sente in anticipo il profumo che non c'è ancora, e che si propone di creare". Egli parte quindi dall'idea,come un pittore parte da una visione prima di prendere pennelli e colori per creare un quadro. Quest'idea è spesso il ricordo di un odore straordinario che ha sentito un giorno e che gli ha fatto provare un'emozione. Il compositore cerca dunque, e questa è la cosa più difficile, di tradurre quest'idea, questo ricordo, questa emozione in quello che diventerà un profumo.
    (ocula.it)




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  4. gheagabry
     
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    INCENSO e MIRRA



    L’Incenso è una resina essiccata ottenuta incidendo il fusto delle piante di Boswellia, che hanno forma di arbusto e sono originarie dell’Africa orientale e della Penisola Arabica. L’incenso era già usato nei riti pagani prima ancora di entrare nella liturgia cristiana e i popoli arabi custodirono per moltissimo tempo il segreto sulle modalità di raccolta di questa resina.
    Plinio racconta che la resina veniva raccolta nei mesi estivi e lasciata essiccare su foglie di palma. Questa preziosa sostanza cominciava il suo viaggio a dorso dei cammelli lungo le coste del Mar Rosso. Il suo viaggio, lungo 2000 miglia, prevedeva moltissime tappe ed il pagamento di pesanti pedaggi.
    L’incenso in passato ha avuto diversi impieghi farmacologici: per inalazione contro le infiammazioni della gola e dei bronchi e nel trattamento delle infezioni della pelle.
    Attualmente l’incenso, oltre l’uso rituale, è adoperato nella preparazione dei cosmetici ad azione detergente e purificante.


    La mirra invece è una resina profumata ricavata dalle piante di Cammiphora che crescono nei territori aridi dell’Africa orientale. Questa si presenta in grani tondeggianti di colore rosso.
    I Greci e gli Egizi erano dei forti consumatori di mirra; questi ultimi la usavano sia per imbalsamare i cadaveri sia durante la celebrazione dei riti religiosi.
    La mirra è stata impiegata nella cura delle infiammazioni della bocca e della pelle nonché come balsamico nelle malattie delle vie respiratorie.
    Attualmente è usata nella preparazione di profumi.


    ...storia, miti e leggende...



    Narra la leggenda che la ninfa Mirra, giovane figlia del re Ciniria, sprezzasse a tal punto la dea dell’amore Afrodite da rifiutare senza riserve il suo stesso matrimonio. La vendetta di Afrodite non tardò ad arrivare e ben presto una incontrollabile passione incestuosa si impadronì di Mirra che riuscì nottetempo a introdursi nella camera del padre e a giacere con lui più volte concependo un figlio. Quando il re scoprì l’inganno cercò di uccidere la propria figlia, ma Mirra, fuggendo, implorò gli dei che la trasformassero in un albero. Dopo nove mesi la corteccia dell’albero si spaccò e ne uscì un bambino bellissimo a cui fu dato il nome di Adone.

    Quanto all’aspetto medicamentoso, la mirra ha da secoli un vasto campo di applicazione; citata in tutte le opere di materia medica, costituì uno dei rimedi di elezione nella cura delle affezioni della pelle e dell’apparato respiratorio. Era inoltre usatissima nell’igiene della bocca o contro ogni tipo di infiammazioni della cute e delle mucose.
    L’incenso, dal latino incensum, che significa “ciò che è bruciato”, condivide con la mirra una storia religiosa comune. Il termine designa una pianta arbustiva resinosa aromatica orientale, che i Greci chiamavano libanos, sinomimo appunto di incenso, che significa “offerta o profumo”. L’incenso è anche noto per la sua proprietà medicamentosa e per il suo significato medico-religioso. La gomma o la corteccia di questo albero viene infatti bruciato durante le cerimonie di circoncisione allo scopo di ottenere fumi odorosi propiziatori, mentre la corteccia bollita in acqua o latte viene somministrata contro i disordini dello stomaco e per curare la bronchite o la polmonite.
    Queste droghe erano tenute in grande considerazione presso gli antiche popoli. Già gli Egizi ne erano dei forti consumatori, sia per le imbalsamazioni che per le fumigazioni che venivano offerti nei templi al dio sole. Gli Egizi, i Sumeri, gli Assiro-Babilonesi, i Siriani, poi i Greci e i Romani importavano incenso e mirra dall’Arabia. La richiesta era tale che dall’Egitto si organizzavano vere e proprie spedizioni militari nelle terre produttrice per impadronirsi delle preziose resine.
    Tra i doni portati dai Re Magi, quando si recarono a rendere omaggio a Gesù bambino, la mirra e l’incenso sono i più famosi. Nel vangelo di Matteo, come negli apocrifi e nelle leggende orientali sui Magi, si narre che i re portarono al Cristo tre doni: oro, incenso e mirra.

    ...simbologia...



    Gli autori cristiani, da Oriente a Occidente, concordano nel vedere nell’oro il simbolo dell’essenza divina del Cristo come re dell’universo e nell’incenso quello di Dio o anche, più sottilmente, del Cristo-Sacerdote che con il suo sacrificio si pone come tramite fra il Padre e gli uomini.
    Sulla mirra invece gli autori occidentali divergono dagli orientali. Ispirandosi a un passo del vangelo di Giovanni, dove si narra che Gesù fu sepolto con mirrà e aloè, i primi sostengono che la mirra prefigura la passione e la morte di Cristo. “La polvere della mirra preannuncia il sepolcro” scriveva Prudenzio. E Leone Magno: “Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re, venerando consapevolmente l’unione della natura divina e dell’umana perché Cristo, pur essendo nelle proprietà delle due nature, non era diverso nella potenza”.
    Nel racconto sui Magi, Marco Polo dice a questo proposito: “Raccontano quelli del luogo che tanto tempo fa, tre re della loro religione andarono a visitare un profeta nato da poco; e portarono con loro tre offerte: oro, incenso e mirra, per poter riconoscere se quel profeta era Dio o re o sapiente. Pensavano: se prende oro è un re, se prende incenso è un dio, se prende mirra è un sapiente… Lo adorarono e gli offrirono oro, incenso e mirra, e il bambino prese tutte e tre le offerte.
    Queste preziose piante sostituirono, grazie a Dio, gli animali che gli antichi popoli utilizzavano per i sacrifici.
    (Manuela Mariani)
     
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  5. gheagabry
     
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    La resina di storace nero: un profumo millenario




    Spesso le metodologie artigianali cambiano e si modernizzano. Altre volte invece le tecniche restano immutate per secoli: è, quest’ultimo, il caso della resina di storace nero, un balsamo profumato conosciuto fin dai tempi degli antichi Egizi e dei Fenici.

    Chiamato anche "Ambra orientale" oggi cresce allo stato selvatico in Asia Minore, Iran, Libano, Cipro, Rodi e Turchia.
    Lo storace fu esportato dalla Mesopotamia al regno egizio a opera dei Fenici e sembra che in entrambi i paesi fosse utilizzato per creare un profumo speciale adatto a feste e ricorrenze, infatti lo storace era chiamato anche "miniaki", che significa "profumo delle feste"; vi era la certezza che la sua aggiunta ad una miscela intensificasse gli aromi floreali.
    Nel "Papiro magico di Abraxas" (IV secolo d.C.) lo storace è menzionato tra le sostanze odorose pregiate e consigliato per favorire un sonno profondo...
    Lo storace nero, una volta bruciato emana un intenso e caldo profumo balsamico, resinoso, floreale, femminile, dolce come la cannella e leggermente erbaceo.

    La resina si ottiene dal Liquidambar Orientalis (Hamamelidacee), una pianta ad alto fusto che vegeta nelle impenetrabili foreste anatoliche del Marmaris. Ancor oggi la sua produzione è effettuata secondo la procedura originaria: energicamente percossa, la pianta in qualche settimana genera un denso siero patologico (lo storace resinoide, rinomata materia prima della profumeria). Questo viene successivamente asportato onde amalgamarlo con la corteccia del fusto (preventivamente triturata); il tutto rimane quindi sepolto per alcuni mesi. La “fortunata” macerazione che ne deriva dà origine al profumatissimo Storace nero. Da tempo immemorabile si usa sia bruciare questo balsamo insieme all’incenso, sia adoperarlo tal quale come efficace deodorante: comunque inebrierà l’ambiente con il suo orientale ed inconfondibile profumo dolce-ambrato”.



    Lo storace è utile come diuretico, espettorante, e per le sue proprietà antibatteriche può essere usato anche per curare il mal di gola. Il suo profumo intenso non è adatto alle donne in gravidanza o durante l’allattamento; deve essere usato con precauzione con i bambini.
    La crema per il corpo profumata allo storace nero potenzia al massimo le capacità oniriche.
    Come le altre resine pregiate (l’incenso e la mirra), lo Storace possiede stupefacente proprietà cicatrizzante ed espettorante ed un’affinità particolare con il cavo orale ed é indicato nella cura di malattie come tracheite, tonsillite e gengivite.
    L’essenza ricavata per distillazione possiede le stesse proprietà della resina, ed é inoltre un fissativo di qualità per i profumi grazie alla sue persistenza estrema e al suo odore di fondo molto dolce e paragonabile ad un profumo corporeo per la sua sensualità.

     
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  6. gheagabry
     
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    “La fenice [NdA]… si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto cinquecento anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s’abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi […]”
    (tratto da Le Metamorfosi di Ovidio)




    L’incensum dei Romani, in inglese frankincense, chiamato anche olibano, per gli ebrei conosciuto come lebonah, l’incenso simboleggia la divinità di Cristo e rappresenta uno dei tre doni, insieme ad oro e mirra, che i Magi offrono a Gesù di Nazareth. La fumigazione della resina, legata al culto degli Israeliti, rappresenta ancora oggi una ricca valenza simbolica, anche nella liturgia cristiana ma soprattutto nella Chiesa di oriente.

    Le sue prime tracce risalgono al VI secolo a.C. a Eilat, antica città in Israele, dove fu trovato all’interno di alcuni reperti archeologici. La resina era commercializzata attraverso la Via dell’Incenso che da Shabwa, nell’odierno Yemen, arrivava al porto di Cana dove proseguiva per l’Oriente, oppure percorreva le montagne e i deserti di tutta la penisola araba per giungere a Petra dove, la preziosa sostanza, veniva smerciata, a prezzo d’oro, nell’Occidente. Nella capitale della Nabatea furono recuperati molti unguentarium, vasi di ceramica caratteristici in cui era bruciata la resina, molti dei quali furono poi rinvenuti anche nei Balcani e in Europa, testimoni del forte commercio sia della materia prima, sia di oli e profumi importati. La sua preziosità creò molte leggende immaginarie, una tra le quali quella di Erodoto scritta nel terzo libro Le Storie sulla Persia, il quale asserisce che gli alberi erano custoditi da serpenti alati di vario colore e solamente i fumi di storace potevano allontanarli. Nell’antico Egitto era utilizzato non solo dalle donne per la preparazione del kohl – molto simile all’attuale kajal – un unguento con il quale si coloravano le palpebre, sfruttando anche l’azione antisettica della resina per prevenire eventuali infezioni oculari, ma anche per la preparazione del kyphi, insieme a cannella, miele, vino, ginepro e molte altre piante, che era bruciato tre volte al giorno in onore di dio Ra, per implorarne il ritorno.

    Nella medicina indiana viene sfruttato per la sua azione antinfiammatoria e come inibitore della produzione di anafilotossine durante le crisi allergiche severe, grazie all’acido boswelico in esso contenuto. Dal punto di vista mentale l’incenso ha un valore assoluto: rappresenta l’elevazione dell’uomo verso il divino.

    La prima descrizione sommaria dell’albero viene riportata da Teofrasto, che ci descrive l’albero come “non molto alto, grande circa cinque cubiti, frondoso, con foglie simili a quelle del pero e dalla corteccia liscia”.



    Giardino chiuso tu sei,
    sorella mia, sposa,
    giardino chiuso, fontana sigillata.
    I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
    con i frutti più squisiti,
    alberi di cipro con nardo,
    nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
    con ogni specie d’alberi da incenso;
    mirra e aloe
    con tutti i migliori aromi.
    (tratto dal Cantico dei Cantici di Salomone)



    fonte www.extrait.it
     
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    LA FAVA DI TONKA NEI PROFUMI




    Una delle materie prime base della profumeria, tra le più conosciute, con cui si inizia spesso l’educazione olfattiva dei profumieri è la fava tonka. Con le sue note dolci dai richiami cremosi e golosi, divide la sua notorietà con la molecola di cui è ricca, creando un binomio che difficilmente viene dimenticato quando la si annusa per la prima volta: quello con la cumarina.

    In profumeria la fava tonka e la cumarina viaggiano l’una a fianco dell’altra, in un percorso che si intreccia fin dagli albori della storia della chimica delle fragranze tra l’analisi delle molecole contenute nelle sostanze naturali e la realizzazione delle corrispondenti molecole sintetiche.

    Agli inizi del 1800 la fava tonka era già conosciuta in Europa, importata dal Venezuela nel 1793 in Francia. Nel 1820, il chimico organico tedesco Vogel studiando i semi di fava tonka isolò la sostanza cristallina che naturalmente appare sulla sua superficie a cui il farmacista francese Guilbourt diede poi il nome di cumarina, dalla parola “coumarou” con cui viene indicata la fava dalle popolazioni amazzoniche. Usata principalmente per profumare i saponi e come aromatizzante nella lavorazione del tabacco, la fava tonka iniziò a trovare posto anche nella palette delle materie prime di profumeria come tintura alcolica.

    Nel 1856 i chimici tedeschi Wolher e Fittig delucidarono la struttura chimica della cumarina e nel 1868 il chimico inglese Perkin riuscì a sintetizzarla secondo un processo chimico originale e infine nel 1876 la Harmann Reimer fu la prima azienda a commercializzare la cumarina sintetica.

    Nonostante i progressi della chimica di quegli anni (1850-1910), la qualità della cumarina sintetica prodotta era inferiore rispetto a quella estratta dalla fonte naturale; passò ancora qualche anno prima che la profumeria potesse utilizzare appieno e in modo economico questa sostanza.

    La consacrazione ufficiale del legame tra profumeria, fava tonka e cumarina avviene storicamente nel 1884: il profumiere Paul Parquet della Maison Houbigant crea Fougere Royale: questo profumo si caratterizzò per il famoso accordo, dove la fava tonka/cumarina gioca un ruolo decisivo in miscela con la lavanda, il patchouli e il muschio di quercia per ottenere una fragranza dalle cararteristiche olfattive originali.
    (www.extrait.it)



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    L’uso della mirra nei profumi antichi ci viene documentata da Teofrasto nel suo libro “Sugli Odori”; il famoso Aegyption e il Megaleion contengono questa resina nella loro ricetta insiema a cassia, cannella e olio di balano; la resina denominata Stakte di cui parla Teofrasto era il nome dato alla mirra che era prodotta solo per via naturale dalle fessure sulla corteccia dell’albero.

    La mirra era uno dei componenti principali del Kyphi, il famoso incenso divino egiziano e anche dell’Olio Santo che Dio indicò a Mosè (Esodo 30,22-33).

    Nel Cantico dei Cantici il profumo di mirra si diffonde durante l’idillio d’amore tra i due innamorati protagonisti del racconto.

    Mentre il re è sul suo divano,
    il mio nardo effonde il suo profumo.
    L’amato mio è per me un sacchetto di mirra,
    passa la notte tra i miei seni.

    (Il Cantico dei Cantici I)

     
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    Pyrgos: i profumi di Afrodite ed il segreto dell’olio



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    La scoperta, emersa a Pyrgos ( sito sul versante meridionale della collina di Mavroraki nell’isola di Cipro ), dei resti di un impianto industriale costituito da un vasto edificio di almeno 4.000 metri quadri che risale all’inizio del II millennio a.C. ha qualcosa di affascinante.
    È stato dimostrato per la prima volta che nell’estremo bacino orientale del Mediterraneo l’olio d’oliva non veniva prodotto a soli scopi alimentari ma anche come base per la produzione di antichi profumi.
    Le otto campagne di scavo - iniziate nel 1998 dalla Missione Archeologica Italiana del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dirette dalla ricercatrice Maria Rosaria Belgiorno - hanno messo in luce fino ad oggi il 30% circa del complesso architettonico.

    I profumi di Afrodite e il segreto dell’olio. Scoperte archeologiche a Cipro racconta una storia, quella di Pyrgos, che nei suoi sviluppi ricorda le vicende di Pompei.
    Intorno al 1850 a.C. un violento terremoto sorprese gli abitanti del villaggio. Le mura crollarono e ricoprirono officine e laboratori.
    Non è escluso che la totale distruzione dell’edificio e la decisione di abbandonare il sito da parte degli abitanti sia stata causata non solo dall’evento sismico, ma anche da un violento incendio divampato dopo il terremoto, alimentato dall’enorme quantità di olio fuoriuscito dalle giare travolte dal crollo delle strutture murarie.

    Come avvenne per Pompei, anche a Pyrgos è bastato scavare sotto un sottile strato di terra per trovare un vero e proprio mondo sigillato. Quando la fabbrica dei profumi fu scoperta, la disposizione dei vasi e delle suppellettili mostrava che al momento del terremoto si stavano producendo diverse essenze profumate. Nel cortile adiacente sono stati trovati preziosi askoi e decine di vasi, bacili, tazze, porta profumi e attingitoi accanto ad una giara e ad altri tre grandi contenitori anforoidi che fanno ipotizzare la presenza di una sorta di luogo di scambio assimilabile ad una vera e propria profumeria.

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    Alcuni oggetti del corredo vascolare della fabbrica dei profumi sono particolarmente interessanti e curiosi. Primo fra tutti l’apparato distillatorio, composto da 4 grandi vasi in terracotta, che costituisce il primo esempio di alambicco della storia, trovato in situ, di cui sia stata provata la funzionalità attraverso una replica.
    L’insieme, di enorme importanza storica, retrocede di oltre 2600 anni la conoscenza delle pratiche distillatorie ritenute un’invenzione araba del VII sec. q.C.
    Tra gli oggetti di impiego tecnologico ci sono gli imbuti in terracotta, i più antichi finora mai rinvenuti, pressoché identici a quelli usati oggi.
    Ma vi sono anche vasi di particolare bellezza come l’anfora con due idoli al posto delle anse, la brocca cosiddetta dei serpenti, un pregevole supporto per vaso a ferro di cavallo che era forse adoperato per sostenere sul fuoco vasi nei quali si produceva un profumo speciale, un rarissimo mortaio composto da più di 18 coppelle multiple, trovato vicino ad un bacile incrostato con resina mista ad oppio e una tavoletta di pietra per cosmetici, forse Kohl, la cui superficie piana mostra un cerchio ellissoidale di abrasione, lasciato dallo scorrimento dell’assicella che mescolava l’Hennè.

    La continuità storica attraverso i secoli della produzione dei profumi nel distretto di Limassol è documentata, inoltre, da una serie di bottigliette portaprofumi appartenenti ai periodi storici successivi al terremoto di Pyrgos, fino al periodo bizantino. Tra questi vi sono pregevoli incensieri rinvenuti nel tempio di Afrodite di Amathunte ( Limassol ) e due statuette di oranti che recano un fiore tra le mani. Tra i 12 oggetti di vetro si distingue per la sua bellezza una bottiglietta a stampo, con un grappolo d’uva e rose in rilievo, dalle affascinanti iridescenze.

    Sono stati anche rinvenuti alcuni oggetti, utilizzati ancora oggi a Cipro per la produzione di essenze destinate ad uso domestico o liturgico: alambicchi per l’estrazione dei profumi di limone, arancio amaro e rosa.

    Sono state rinvenute nelle bottiglie portaprofumi di Pyrgos le fragranze di 4 dei profumi preistorici, ricreate dal Centro di Archeologia Sperimentale Antiquitates di Blera.
    Nel caso dei profumi di Afrodite il Centro Antiquitates ha riprodotto i materiali ceramici e le macine in pietra nelle forme e nelle dimensioni di quelli ritrovati nella fabbrica di Pyrgos.
    Un’attenta analisi per la realizzazione pratica dei profumi è stata rivolta alle piante utilizzate per ottenere le essenze necessarie per tale produzione. Oltre all’olio d’oliva, le analisi di laboratorio del contenuto delle fosse, delle brocche e dei portaprofumi hanno evidenziato la presenza di essenze come il coriandolo, il bergamotto, la trementina, le mandorle amare, l’alloro, il mirto e il prezzemolo.
    Per la sperimentazione presso il Centro Antiquitates sono stati usati oltre all’olio d’oliva, foglie, fiori e frutti di alloro, cannella, finocchio, terebinto, lavanda, rosa, prezzemolo, mirto, coriandolo, bergamotto, menta, menta bergamotto, origano, anice, mandorla amara e pino d’Aleppo. Attraverso le due tecniche a caldo e della distillazione sono stati riprodotti i procedimenti di estrazione degli oli profumati, così come era in uso nella fabbrica dei profumi di Pyrgos. Considerato che il profumo si compone di una base, un cuore e le fragranze, grazie all’archeologia sperimentale si crede che la distillazione fosse funzionale alla produzione delle basi, mentre l’estrazione a caldo alla creazione delle fragranze utilizzabili nel tempo.

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    Cipro è sacra ad Afrodite e al suo il mito, nato forse quando l’isola era già nota nel Mediterraneo come luogo che produceva profumi e pregiati cosmetici per la bellezza femminile. Non è probabilmente un caso che il cosmetico più noto ed antico in Europa, la Cipria, porti il nome del luogo dove è stata trovata una fabbrica di profumi che risale a 4.000 anni fa.
    La fama dell’isola rimase inalterata attraverso i secoli fino agli inizi del XX secolo quando il grande profumiere François Coty presentò al mondo, nel 1917, uno dei profumi più famosi del Novecento, Chypre de Coty, una fragranza fresca creata da una mescolanza magistrale di note di bergamotto, limone, neroli e arancio, con un cuore di rosa e gelsomino, sulle basi del muschio di quercia, patchouli, laudano, storace e zibetto. Insieme a Chypre Coty creò altri profumi e ne definì nomi e caratteristiche di dieci famiglie, alle quali appartengono tutti i profumi del mondo. Chypre è l’unica famiglia a cui Coty ha dato un nome corrispondente a un luogo geografico. Chypre comprende oggi centinaia di fragranze, firmate dai più celebri nomi della moda, e insieme a loro continua a scrivere la storia del profumo. ( Xagena_2007 )

    Fonte: CNR, 2007

    i_profumi_di_afrodite_e_il_segreto_dell_olio

    Antico, più del mito della dea dell'amore, lungo la costa meridionale dell'isola di Cipro sorge un luogo di culto per gli amanti della storia del profumo. E ha circa 2mila anni in più della profumeria che Antonio regalò a Cleopatra.

    E' un sito archeologico risalente al secondo millennio avanti Cristo, il più antico frantoio del Mediterraneo dove si testimonia una delle prime produzioni industriali di olio d'oliva e di impiego di olio nel settore della cosmetica e della farmaceutica. Una fabbrica dei profumi arcaica e piena di fascino - una delle prime della storia - che ora diventa un museo esperienziale dove assistere alla produzione di oli e fragranze alla maniera della fine del Neolitico.

    Il sito è stato scoperto negli anni '90 da un gruppo di ricercatori dell’Itabc – Cnr di Roma (Istituto per le Tecnologie) diretti da Maria Rosaria Belgiorno, una eccellenza della ricerca italiana con la passione per i profumi e per la storia che raccontano. "A Cipro abbiamo realizzato un museo all'aria aperta nell'ambito del progetto di Experimental Archeology. Si riproducono oggetti, misure e ricette dell'epoca e da lì si fanno delle deduzioni: se funziona è vero, se non funziona non ha mai funzionato. Quello di Pyrgos è un viaggio unico: una ricerca sugli antichi sistemi per produrre ed estrarre il profumo effettuata tramite un percorso sperimentale con repliche storiche che partono dalla Mesopotamia del V millennio avanti Cristo e andranno fino alla penisola italica passando per il terzo millennio nell'Egeo e Creta", spiega Belgiorno.

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    Il percorso si basa su testimonianze archeologiche e scritte utilizzate per la ricostruzione di ceramiche, oggetti e ricette. Così la distillazione è stata riportata indietro di secoli, fino alla lavorazione nelle pentole in terra cotta che bollono sul fuoco e grazie a una cupola che fa da camera di condensazione producono vapore dal quale si estraggono gli oli essenziali. Visitando il museo si possono ammirare sia le suppellettili come i contenitori di essenze, di cosmetici e di farmici, sia la profumeria così come è stata ricostruita nel suo perimetro in pietra. Ma non solo. Studiosi e interessati potranno partecipare alle sperimentazioni che di volta in volta riproducono le varie essenze o rivederle in video. Fino a oggi sono stati estratti gli oli di pino, alloro, rosmarino e mirto e il programma procede a seconda della stagionalità delle materie prime.

    "Un'esperienza unica che dura diverse ore, dalla preparazione alla distillazione. Tutto il sito viene invaso dal profumo e il risultato del trattamento nella terra cotta, non negli alambicchi in metallo o in vetro come si usa oggi, rende il profumo più morbido", aggiunge la ricercatrice. Un patrimonio, quello delle essenze, che va ben oltre l'immateriale e racconta non solo le mode ma anche l'economia e i culti delle popolazioni che le hanno prodotte. "In Mesopotamia era molto usato un mixage di essenza di pino, il pinus rubra, e di rosa damascena, così come testimoniano i testi accadici. Due essenze che combinate vanno molto d'accordo, in pino è uno stabilizzante, la rosa una parte stabile".
    (www.repubblica.it)

     
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    Spagna, per la prima volta nella storia identificata la composizione di un profumo romano


    di Redazione , scritto il 06/06/2023


    unguentarium-carmona

    Un gruppo di ricercatori spagnoli hanno scoperto quello che, stando alle loro conoscenze, è il primo profumo romano sopravvissuto dall’antichità. O comunque di sicuro è la prima volta che viene identificata la composizione di un profumo romano di 2000 anni fa.

    La scoperta risale al 2019 ma i risultati scientifici sono stati pubblicati soltanto quest’anno, in un articolo sulla rivista scientifica svizzera Heritage firmato dai quattro autori della scoperta (Daniel Cosano, Juan Manuel Román, Fernando Lafont e José Rafael Ruiz Arrebola). I resti del profumo si trovavano in un’urna rinvenuta in uno scavo archeologico presso il mausoleo di Carmona in Spagna (l’antica città romana di Carmo), e i ricercatori dell’Università di Cordova, guidati dal professore di Chimica Organica José Rafael Ruiz Arrebola, in collaborazione con il Comune di Carmona, sono riusciti a descrivere chimicamente i veri componenti di un profumo del primo secolo. I resti si presentavano solidificati all’interno di un contenitore di quarzo, ancora perfettamente sigillato. Come spiega Román, l’urna si trovava in una sepoltura collettiva. [..] In una delle urne, di vetro, sopra i resti del defunto, in questo caso una donna tra i 30 e i 40 anni, era stato depositato un sacchetto di stoffa (di cui si sono conservati resti) contenente tre grani di ambra e una bottiglietta (un unguentarium) di cristallo di rocca (quarzo ialino) scolpito a forma di anfora. Solitamente i contenitori dei profumi erano in vetro soffiato e, in pochissime occasioni, sono stati trovati esemplari realizzati in quarzo, materiale che, per le sue caratteristiche e la difficoltà di intaglio data la sua durezza, li rendeva molto ricercati ed estremamente costosi.

    Oltre alla singolarità del contenitore, il fatto veramente straordinario è stato che fosse perfettamente sigillato e che al suo interno si fossero conservati i residui solidi del profumo, aspetto che ha permesso di svolgere questa indagine. Ruiz Arrebola sottolinea che l’uso della dolomite (un tipo di carbonio) per il tappo e il bitume utilizzato per sigillarlo sono stati la chiave del magnifico stato di conservazione del pezzo e del suo contenuto.

    Secondo Ruiz, dalle analisi è stato possibile determinare che il piccolo tappo cilindrico era, come detto, di dolomite e che veniva utilizzato bitume per la sua perfetta aderenza e tenuta ermetica. Per quanto riguarda il profumo sono state individuate due componenti: una base o legante, che permetteva di conservare gli aromi, e l’essenza stessa. In questo caso la base era un olio vegetale, (forse, secondo alcune indicazioni riflesse nelle analisi, olio di oliva, anche se questo punto non può essere confermato al cento per cento). Quanto invece all’essenza, secondo i risultati delle analisi chimiche effettuate dall’Università di Cordova, Roma profumava di... patchouli. Questo olio essenziale è stato ottenuto da una pianta di origine indiana, il Pogostemon cablin, molto utilizzata anche nella profumeria odierna e del cui utilizzo non si ha traccia in epoca romana.

    “Secondo Plinio”, spiegano i ricercatori nell’articolo scientifico, “i profumi o unguenti dovrebbero contenere due ingredienti essenziali, ovvero una parte liquida e una solida. Occasionalmente veniva aggiunto un colorante per colorare i profumi. Gli oli più frequentemente usati per fare i profumi erano estratti dal sesamo, dal ravanello piccante, dalle mandorle o, soprattutto, dall’olio, che si otteneva facilmente in grandi quantità. L’olio d’oliva ricavato da olive acerbe ha resistito all’ossidazione meglio dell’olio di olive mature. Pertanto, i profumi realizzati dagli artigiani romani contenevano un fondotinta oleoso anziché alcool e di conseguenza richiedevano di essere tenuti in un recipiente. In ogni caso, le ricette reali compilate dagli autori classici erano molto vaghe o confuse per quanto riguarda le quantità di ingredienti e le procedure da utilizzare. I romani usavano i profumi non solo nella vita quotidiana ma anche in occasioni speciali come i funerali, dove l’incenso era obbligatorio. Inoltre, i profumi venivano applicati come unguenti o usati per imbalsamare i defunti. [..]


    https://www.finestresullarte.info/archeolo...qkul8kjU6RFavgI
     
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