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Colapesce
Cantautore, Alternativo
Colapesce - la storia segreta-
Di Angelo Orlando Meloni:
C’era una volta in Sicilia un giovane di nome Cola che stava tutto il giorno in spiaggia a prendere il sole. La notte, poi, sognava le meraviglie degli abissi marini vagheggiando di splendidi palazzi di cristallo abitati da sinuose sirene. Il lavoro, puah!, non gli voleva calare e quella povera donna di sua madre era talmente disperata che un giorno gli gridò contro: “Figlio mio, se non ti ravvedi possa tu trasformarti in pesce!” Non l’avesse mai detto, Cola si ritrovò con mani palmate e polmoni di balena, e fu ribattezzato Colapesce. Lungi però dal ravvedersi, divenne nuotatore, surfista, tuffatore provetto e abbronzatissimo. Finché un giorno fu convocato dal re di Sicilia. “Ragazzo, lì sotto, dove il mare è infestato da pescecani e le onde sono alte come palazzi, è affondata una nave ricolma di tesori”. “Alte come palazzi?”, chiedeva Colapesce passandosi un dito sul colletto della sua camicia hawaiana. “Proprio così”, ribatteva il re, compiaciuto. E Colapesce buono buono, tuffo a bomba nello sprofondo e schivati i pericoli di nuovo a galla con una bisaccia colma di pietre preziose. Ma la brama del sovrano non aveva limiti. Colapesce dovette esplorare i margini subacquei del regno alla ricerca di nuovi tesori e spingersi fin verso le perigliose fosse dove si raggrumava il magma dell’Etna. Era stanco, stressato, insoddisfatto, disgustato dai party organizzati dopo ogni sua impresa, i balli, le ciance delle contesse, le pose senza fine per i quadri con i figli dei baroni. Inoltre, dopo tanti anni all’ammollo, soffriva di emicranie che nessun cerusico riusciva a contrastare. “Sono in trappola”. Era uno di quei lunedì tremendi nel quale il senso della vita fa presto a scemare seguendo le volubili spire della caffettiera. Colapesce nuotava rabbioso, con una trivella in testa e due palle di fuoco per occhi. Si era tuffato nel baratro più oscuro e nuotando a velocità supersonica tagliava la strada a kraken e serpenti di mare, e a enormi globi luminosi di origine extraterrestre. Ne aveva le scatole piene, il suo unico desiderio era sbrigare la faccenda e farsi un aulin. Il re, quella mattina, non gli aveva nemmeno fatto bere il caffè. Non poteva aspettare, lui! Bisognava esplorare le caverne ricolme di lava. “L’inverno è alle porte e voglio usare il magma per scaldare la mia alcova. Portamene un campione e al tuo ritorno organizzerò una festa memorabile”. Poco mancò che Colapesce sputasse in faccia al sovrano, ma si riebbe in un attimo, bruciare nel magma era sempre meglio che marcire nelle segrete di una fortezza. “E mi raccomando, non dimenticare di scrivere una bella relazione”. La relazione finale, su tutto, lo aveva sempre fatto ammattire. Schiumando di collera fendeva le acque come un siluro scagliato da un sottomarino nucleare. I mostri marini non avevano mai visto niente del genere e al suo passaggio si facevano il segno della croce e si rintanavano. Presto Colapesce avvertì un fermento, un’energia che gorgogliava nel mar di Sicilia. Le acque ribollirono e si sentì perduto. Intrappolato da un vortice, vide tutto nero. Si risvegliò al tocco gentile di una sinuosa sirena che lo aveva condotto al sicuro dentro un palazzo di cristallo. La sirena gli servì un tè, caldo e vigoroso, che gli fece passare il mal di testa. Era bellissima. E per la prima volta in vita sua Colapesce si sentì a casa. Il re e la corte in pompa magna lo aspettarono invano in riva al mare per giorni e giorni e di lui null’altro si è saputo. Da allora qualcuno dice che Colapesce tornerà a galla quando sulla terra sarà finita l’ingiustizia; qualcun altro che la corte è ancora là, come spettri in eterna attesa; altri ancora credono che stia lottando con il magma sorreggendo la Sicilia. Ma nessuno ha pensato che forse non leggeremo mai la sua relazione perché Colapesce non vuole più tornare indietro.
da: rockit.it
Un nome d'arte che trae ispirazione da una leggenda siciliana, un passato - che in fondo è un presente e sarà anche un futuro - in una delle band più in voga, tra quelle che generalmente vengono definite appartenenti all'ambiente underground.
E' questo il primo profilo che si può stilare del siracusano Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, che nei prossimi mesi uscirà con il primo album da solista. Solo in apparenza, però. Perché se è vero che il progetto appartiene a lui e al suo desiderio di mettersi in gioco con la lingua italiana, bisogna anche dire che chi lo ha reso possibile, dando qualcosa in più di una semplice mano, sono gli amici di sempre, nonché componenti degli Albanopower.
L'esordio
Questo, ciò che Colapesce ha detto a Newnotizie.
Quando e come ti è venuto in mente di provare l'esperienza da solista?
Tutto parte circa 3 anni fa, quasi per gioco, presentando tre brani sotto falso nome al premio Piero Ciampi. In quell’occasione, tra l’altro, ho ottenuto ottimi riscontri da parte della critica.
Al di là del riferimento alla leggenda siciliana, esiste un motivo particolare che ti ha portato a optare per il nome 'Colapesce'?
Sono rimasto affascinato dalla simbologia che si cela dietro la leggenda: un uomo-pesce che sacrifica la propria vita terrena per reggere il luogo che ama, evitando che sprofondi in mare. Una sorta di antenato dei pre-Marvel!
Qual è il rapporto - non interpersonale, ma lavorativo - con gli altri membri degli Albanopower? Hai mai pensato alla possibilità che un percorso individuale possa portare a una divergenza dei vostri percorsi artistici? Oppure Federico riuscirà comunque a continuare a essere il cantante del gruppo ma anche Colapesce?
In Colapesce suonano tre Albanopower, ovvero io, Peppe Sindona e Toti Valente, e non credo che un progetto escluderà mai l'altro. Si tratta di qualcosa di individuale perché io scrivo e canto le canzoni, ma di fatto siamo una vera e propria band. Sul palco, insieme a noi, ci sarano pure Francesco Cantone e Vincent Migliorisi.
Parliamo di muse e ispirazione: quali sono i tuoi punti di riferimento a livello musicale?
Moltissimi. Da Gino Paoli a Sparklehorse, da Battisti ai Kraftwerk: i miei ascolti sono molto trasversali, riesco ad alternare la musica classica al noise in base ai miei stati d'animo.
Con Colapesce debutti con composizioni in lingua italiana: come è stata questa esperienza?
All'inizio non ti nascondo di aver avuto grosse difficoltà a far i conti con la metrica e la gestione dell'enorme tavolozza semantica che mette a disposizione la nostra lingua. Adesso credo di aver sviluppato una mia poetica ben precisa e di aver capito meglio come gestire gli input ‘selvaggi’ che sputo sui fogli bianchi. Anche se chiaramente, come in ogni arte, non si finisce mai di perfezionare il proprio modo di raccontare le cose.
Quali sono gli obiettivi artistici, a breve e medio termine, di Colapesce?
L'uscita a gennaio del mio primo vero disco, poi l'uscita del secondo disco, poi del terzo, del quarto, del quinto, del sesto etc. etc.
Simone Olivelli
newnotizie.it
Intervista a Colapesce
06live.it
In occasione del concerto alla Locanda Atlantide di Roma lo scorso 20 Marzo, abbiamo avuto la possibilità di fare quattro chiacchiere con Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce (nonchè AlbanoPower). Ecco l’intervista della nostra Giulia.
Attendo la fine del soundcheck per accomodarmi su un divanetto con Lorenzo. Lo vedo provato e allora la mia prima domanda è, naturalmente, “Come stai?”
Bene. Un po’stanco. Siamo in giro da 4 giorni e abbiamo fatto trasferte come Bologna – Lecce. Si parla di circa 10 ore di viaggio!
Date comode…
Non potremmo rinunciare!
Come sta andando? Com’è la risposta emotiva del pubblico?
Non mi aspettavo così tanta affluenza nelle prima date. Abbiamo venduto un sacco di dischi. Siamo molto carichi. Suono con persone che conosco da 10 anni, sono tutti professionisti. Da quel punto di vista, siamo in una botte di ferro.
Ieri sera sono stata alla presentazione del libro di Colasanti e c’è una cosa che nella 42 Records noto sempre molto piacevolmente. Questa partecipazione agli eventi che c’è da parte di tutti, quasi come se foste una famiglia.
Sì, è molto bello. Noi siamo i primi entrati in famiglia. L’etichetta ancora non esisteva, non aveva neanche il nome! Era solo un’idea di Emiliano e noi Albanopower avevamo appena registrato un paio di cose… siamo dei membri storici dell’etichetta. E poi sì, questo rapporto familiare è importantissimo. È proprio il rapporto umano alla base, prima ancora della musica.
Questa realtà la sento moltissimo qui a Roma. Vai a un concerto e sei sicuro, ovviamente, di chi suona ma anche di chi incontrerai nel pubblico.
Roma è stata importante come la Sicilia, per te? Ha avuto un qualche ruolo nel processo creativo?
No, devo dire di no. Il disco è stato interamente concepito giù e in parte con Santiago, ma in posti imprecisati dell’Italia. Spesso scrivevamo nelle pause tra i soundcheck. Ma non ha una vera collocazione geografica a parte la Sicilia.
E l’Africa?
Bellissima esperienza. Penso che Alessandro (Raina, ndr) ve ne abbia parlato.
Oh sì… abbiamo avuto modo di seguirlo, diciamo!
Io l’ho presa come esperienza molto personale, avevo iniziato a scrivere delle cose, poi però mi sono completamente scollegato dalla civiltà per vivere a pieno la terra. Mentre Alessandro era lì con l’idea di scriverne.
È una cosa che ti viene detta spesso che sei un po’ esterno alle realtà più “contemporanee” che vengono trattate nei lavori di altri cantautori, come Brondi ecc. Come reagisci? Ti senti esterno rispetto ad alcune cose o racconti da una visione più interna?
Be’, quando scrivo non penso “adesso scrivo una cosa per non sembrare qualcun altro”. Il progetto è molto interno, poco condizionato da fattori politici e sociali. A parte alcuni episodi, come La Zona Rossa che parla del declino della sinistra ma lo fa sempre attraverso il confronto con una persona, quindi mantenendo comunqueuna certa intimità.
Perché un “meraviglioso” declino?
Penso sia un ossimoro perfetto per questo periodo storico. L’ho scelto un anno fa e man mano è risultato sempre più profetico. Il crollo del governo, i forconi in Sicilia… si tratta di un lungo declino dell’Italia. Meraviglioso perché credo che ci sia ancora qualcosa per cui vale la pena continuare. Persone su cui investire. Persone che lavorano con amore e passione, piccole testate come può essere la vostra, musicisti in gamba e validi che possono rendere molto meno schifoso questo declino che ormai è sotto gli occhi di tutti.
Restando in ambito musicale italiano, qual è l’ultimo disco che hai comprato?
Ho un rapporto strano con l’Italia.
Come mai?
Mio padre, ex batterista, mi ha cresciuto con ascolti esterofili . King Crimson, Lou Reed. Ho quella formazione lì e mi è venuto naturale continuare ad ascoltare musica estera, tant’è che il mio primo progetto è inglese. Poi però, pian piano, ho riscoperto il cantautorato italiano degli anni 70. Mi piace Battisti e be’… De Andrè, che di solito non cito nemmeno nelle interviste perché più che un musicista lo reputo parte della letteratura italiana, come Pavese e Bufalino.
La letteratura è molto presente, il tuo album mi è sembrato un piccolo romanzo. Ci sono sempre due personaggi che ritornano. Chi sono?
In parte è autobiografico, in parte mi lascio molto influenzare dalla letteratura. Dalle cose che leggo, o anche dai film che guardo. Sono una sorta di modelli della nuova società. Partono da me, però poi innesto fattori esterni a vicende personali… una specie di nuova letteratura. Bogotà per esempio è palesemente autobiografica, perché parla di me e mio fratello. Restiamo In Casa parla di un rapporto personale, però evito sempre i riferimenti diretti a cose o persone, anche se oggi è molto in voga tra le band. Io preferisco un altro tipo di contestazione, piuttosto che le frasi fatte, ad effetto. Perché è chiaro che se dico “ De Gregori il cretino” allora la gente resta stupita! Trovo non debba mancare mai il rispetto.
Devo dire che leggo un istinto sempre molto onesto nei tuoi testi.
Non vorrei passare per buonista. C’è anche della critica. Ma cerco di velarla rispetto a molti miei colleghi e lo faccio in maniera più letteraria. Per esempio io scrivo in metrica, cosa che non tutti notano. Anzi, alcuni mi hanno detto che non so scrivere! Ma fortunatamente sono piccoli episodi. Il mio è uno studio meticoloso e quasi paranoico sull’uso della metrica, che è molto legata al significato dei miei testi. Quindi tengo tanto all’equilibrio semantico mentre diverse cose che escono oggi sono scritte a verso libero, tutto flusso di coscienza. Io sono un po’ antico, però non mi dispiace.
Colapesce, 'Un meraviglioso declino'
09 feb 2012 - E' uscito in questi giorni il disco che segna l'esordio solista di Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, già sulla scena musicale da diversi anni con il progetto Albanopower: "Da diverso tempo pensavo di scrivere brani in italiano", racconta Lorenzo a Rockol, "ma non mi convincevano mai e mi ricordavano troppo qualcos'altro, così ho provato per anni a trovare una formula che mi convincesse sia dal punto di vista della metrica sia dal punto di vista della scrittura e dell'arrangiamento. Ho registrato inizialmente tre brani che ho presentato al Premio Ciampi, come prova, ed è andata bene. Con il tempo ho scoperto cosa mi piace e cosa no come dimensione musicale e piano piano sono usciti l'Ep e di conseguenza il disco".
L'album, prodotto da Giacomo Fiorenza, si intitola "Un meraviglioso declino" e contiene tredici brani tra cui "Sottotitoli" in cui collabora Sara Mazo (Scisma), "I barbari" che vede la partecipazione di Alessandro Raina degli Amor Fou (Lorenzo con lui ha fatto parte del progetto Santiago), e altri ancora che vedono la collaborazione di Lucia Manca, Grazia Negro, Andrea Suriani (My Awesome Mixtape) e Roy Paci, responsabile delle orchestrazioni (nonché esecutore) in numerosi brani dell’album: "Non ho uno schema preciso quando compongo", spiega Lorenzo, "Spesso ho delle armonie e delle musiche e parto da lì, a volte invece ho delle poesie che scrivo e da quelle riprendo qualche frase, oppure mi viene in mente un concetto e lo sviluppo, lo smonto e lo rimonto mille volte, faccio un lavoro maniacale, quasi più vicino alla poesia".
Colapesce ("Il nome viene da una leggenda che ho scoperto da piccolo tramite mia madre che me la raccontata, è omaggio alla mia terra", spiega) è stato ospite di Rockol dove ha suonato due brani dal vivo:
"'Satellite' più con un nome è un luogo, ad ispirare questa canzone infatti è stata la Riserva di Vendicari in Sicilia, è lì che è stata scritta".
A breve prenderà il via il tour promozionale che toccherà diverse città d'Italia: "I concerti inizieranno da metà marzo", conclude Lorenzo, "Sul palco con me ci saranno Giuseppe Sindona e Toti Valente che sono rispettivamente bassista e batterista degli Albanopower, Francesco Cantone, pianista e chitarrista già al fianco dei Tellaro e Vincent Migliorisi. Faremo dei brani tratti dall'Ep e poi brani nuovi del disco e pensavamo anche qualche cover. Concerti in Sicilia? Speriamo, in realtà ho un rapporto d'amore e d'odio con la mia terra: ho suonato poco nella mi città".
Foto webTracklist:
Restiamo A Casa
Satellite
La Zona Rossa
Un Giorno Di Festa
Oasi
Le Foglie Appese
Quando Tutto Diventò Blu
I Barbari
La Distruzione Di Un Amore
I Sottotitoli
S’illumina
Il Mattino Dei Morti Viventi
Bogotà
Edited by tomiva57 - 26/5/2012, 18:07. -
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La Distruzione Di Un Amore
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Colapesce e il ritrovato orgoglio dei cantautori:
"Certo rap mi fa vergognare d'essere italiano
UNA chitarra, un pianoforte e lo spazio di tre canzoni per raccontare il proprio mondo. Trenta cantautori italiani si sono ritrovati domenica 1 settembre al Circolo Magnolia di Milano per il Nuovissimo Canzoniere Italiano, un festival appena nato che ha l'ambizione di fotografare il momento che sta attraversando la canzone d'autore. Mentre infatti le classifiche di vendita danno conto dell'esplosione del rap come fenomeno sociale specialmente tra gli adolescenti (e la televisione è pronta a fargli da cassa di risonanza aprendo sempre più spesso le porte ai nuovi protagonisti dell'hip hop), nei live i due mondi si confrontano a colpi di platee gremite. Una sfida è reale ed è ancora presto per dire chi, alla lunga, riuscirà a spuntarla.
Domenica però, almeno per un giorno, il confronto sui numeri è sospeso. Per dar corpo al nuovissimo canzoniere, i trenta cantautori (da Appino a Dario Brunori, da Colapesce a Dente, da Dimartino a Federico Dragogna, da Iacampo a Marco Notari a Davide Toffolo) si esibiranno gratuitamente e a ingresso rigorosamente gratuito. Di questo speciale incontro parliamo con il siciliano Colapesce, Targa Tenco 2012 come Miglior opera prima, uno dei più promettenti tra i cantautori italiani.
Colapesce, che momento attraversa la canzone d'autore?
"Credo sia un momento molto fertile e lo è soprattutto da due o tre anni a questa parte: la qualità delle proposte è decisamente migliorata, una ripresa che sembra avere molti punti in comune con il cantautorato degli anni Settanta. Come allora, anche oggi l'Italia vive una profonda crisi economica e come allora sono i più giovani a pagarne le peggiori conseguenze: la mancanza di prospettive, le difficoltà negli studi e nella ricerca di un lavoro creano profondo disagio ed è proprio in momenti simili che si avverte più forte l'esigenza espressiva, che si assiste alla ripresa di argomentazioni forti. Non è un caso se molti dei nuovi cantautori vengono dal Sud: io stesso, Brunori, Dimartino, anche se è difficile definirci proprio nuovi, abbiamo tutti intorno a trent'anni e anche di più".
Ci sono anche grandi differenze tra voi e i cantautori degli anni 70, o no?
"Assolutamente sì, a cominciare dal fatto che i cantautori negli anni Settanta interpretavano un movimento, la loro era una canzone sociale perché ispirata dalla comunità e dalla società. Oggi la situazione appare completamente ribaltata, il pubblico ha perso una fisionomia precisa, chi ascolta si identifica nelle esperienze del cantautore, in cui ha il piacere di ritrovare le sue problematiche, magari quelle tipiche del neolaureato in difficoltà a trovare lavoro".
Sembra tornata una maggiore attenzione nell'uso della lingua italiana.
"Di questo ne sono felice, l'italiano è una lingua splendida e se usata in modo responsabile grazie alla sua ricchezza ci permette di fare un'analisi quasi chirurgica delle situazioni che viviamo, dei rapporti di coppia, ad esempio, delle emozioni che proviamo, l'inglese è certamente meno ricco da questo punto di vista".
I nuovi rapper italiani, paradossalmente, sembrano essere molto meno consapevoli nell'uso delle parole, difficilmente rivendicano la responsabilità per ciò che dicono.
"È vero, sono subito pronti a dire che certe immagini vengono quasi buttate lì per caso, che è sbagliato prenderle alla lettera. Ma chi canta ha sempre la responsabilità per ciò che dice, le parole possono avere effetti devastanti su chi ascolta, specialmente sui più giovani. Io non sono un grande amante del genere, ascolto il rap da un punto di vista direi sociologico e da musicista perché penso sia giusto ascoltare tutto. Il successo del rap di oggi è un fenomeno confinato agli adolescenti, mia sorella di dieci anni lo ascolta e così i suoi coetanei, per questo il rap dovrebbe assumersi la responsabilità dei testi che canta. Dal punto di vista linguistico è fuffa, pieno di retorica, utilizza un vocabolario ristretto in testi prolissi. I cantautori al contrario utilizzano un vocabolario decisamente più ampio su testi più ristretti ed efficaci".
D'accordo, ma chi va in classifica e riempie le platee ha sempre ragione...
"Intanto io non credo sia così, la classifica non è sinonimo di qualità e in nome delle maggioranze nella storia si sono compiuti anche degli abominii. Quanto poi alle platee sarei cauto: cantautori come Dente fanno anche 2 o 3 mila paganti, uno come Appino fa 200 date l'anno; al contrario ci sono vincitori di talent show televisivi costretti ad annullare le date per mancanza di pubblico, come Giusi Ferreri, o cantautori molto supportati come Il Cile che a Roma ha fatto 40 paganti. Tornando al rap, credo sia un fenomeno passeggero come l'emo rock dei Finley, ora scomparso. E poi uno come Guè Pequeno può anche andare in classifica ma mi fa vergognare di essere italiano, non può lanciare messaggi maschilisti contro le donne come quelli che infila nei suoi testi. Molto meglio e più vero il rap di periferia, ad esempio quello del romano Rancore, cui invidio l'immediatezza e la capacità di essere sempre dentro il suo tempo, ma difficilmente a uno come lui permetteranno di andare mai in classifica".
di CARLO MORETTI
fonte: repubblica.it.