CASTELLI nel mondo

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  1. gheagabry
     
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    "Il Lago Lemano si stende sotto le mura di Chillon; a mille piedi di profondità, lì sul fondale, le masse delle sue acque s’incontrano e scorrono; di tanto furono sprofondate le fondamenta degli immacolati merli di Chillon, che l’onda attorno stringe; e muraglia e onda hanno formato un doppio carcere.."
    (George Gordon Byron, Il prigioniero di Chillon)


    CASTELLO DI CHILLON


    Il castello di Chillon (Château de Chillon) è situato sulla riva del lago di Ginevra, vicino a Montreux, Svizzera. Conta di 100 costruzioni indipendenti che furono gradualmente unite formando un unico edificio e mostra ad est (verso la terraferma) una doppia cinta muraria, feritoie ed un fossato. L’isolotto roccioso su cui è costruito il castello, era al tempo stesso una protezione naturale e una posizione strategica per controllare il passaggio tra il nord e il sud dell’Europa. Le parti più vecchie del castello non sono state definitivamente datate, ma la prima registrazione scritta è del 1160 o 1005. Dalla metà del XII secolo il castello fu dimora dei conti di Savoia, si espanse nel XIII secolo ad opera di Pietro II di Savoia. Il castello non fu mai conquistato dopo un assedio, ma cambiò proprietà mediante trattative.

    Di forma simile a quella dello scafo di una nave, lo spazio interno è organizzato attorno a tre cortili che delimitano gli ambienti riservati all'entrata e alle fortificazioni, al cortile in pendenza del castellano e alla residenza del principe. Sebbene trasformato, ampliato, rimodernato e decorato a seconda dei gusti e delle esigenze di coloro che lo abitavano, il castello ha conservato alcuni elementi tipici dell'epoca savoiarda.
    La cappella principesca, situata tra le fortificazioni e gli appartamenti privati del conte, presenta una decorazione parietale che sul piano iconografico si ispira a temi legati alla genealogia di Cristo, all'Incarnazione e alla Redenzione, organizzati in un ciclo narrativo adattato alle peculiarità architettoniche dell'edificio. I registri contabili del pedaggio di Villeneuve degli anni 1314-15 rivelano che il maestro Jacques, pittore forse proveniente dall'Italia, fu l'autore degli affreschi della cappella. La camera privata del signore (Camera domini), ammobiliata per il conte Aimone nel 1337 e affrescata tra il 1342 e il 1344 da un certo Jean de Grandson, è collegata alla cappella da una scala segreta.

    E ‘stato utilizzato come magazzino di polvere da sparo, munizioni e armi e anche come prigionia. Il movimento romantico riscoprì il Medioevo con notevole entusiasmo, e fu data una nuova immagine di Chillon cominciando così a diventare popolare.
    Nel suo "La nouvelle Héloïse", pubblicato nel 1762, Rousseau aveva già richiamato l’attenzione sul sito, impostando uno degli episodi del suo romanzo al castello e alludendo brevemente alla detenzione di Bonivard. Tuttavia, è stato Lord Byron che investì Chillon in una dimensione mitica, quando nel 1816, mentre era in pellegrinaggio nei luoghi descritti da Rousseau, scrisse il suo famoso poema "Il prigioniero di Chillon". Questo poema acuisce le sofferenze di François Bonivard (1493-1570), priore di Saint-Victor a Ginevra, che fu tenuto prigioniero in Chillon a causa della sua opposizione ai savoiardi ed fu successivamente liberato dai bernesi. Il personaggio storico diventa un simbolo di libertà e la sua prigione fu investito di una dimensione sacra. Sia il castello e il paesaggio, contro il quale troneggia, sono impregnati di quelle caratteristiche tanto amate dai Romantici: una pittoresca silhouette, mura antiche che testimoniano un passato oscuro in una inquadratura sublime nella forma delle montagne. Scrittori, pittori e visitatori furono affascinati da questo paesaggio. Eppure il governo Vaud fu poco colpito da questa ritrovata celebrità, infatti nel 1836-1838 non ci pensarono due volte ad alterare l’edificio per renderlo più adatto per lo stoccaggio di armi da guerra, e a nuove carceri.

    ..la storia..


    Un riferimento esplicito al castello fu la prima volta nel 1150, quando i conti di Savoia avevano acquisito i diritti ed il controllo di esso, o forse condividendoli con i padri di Blonay. Avevano il controllo di tutto il percorso lungo le rive del lago. In questo documento, Chillon è indicato come un castrum: dato il senso medievale del termine, questo dimostra che non vi era già un insediamento. Nel corso del XIII secolo, i conti di Savoia conquistarono gran parte del territorio di Vaud, dividendolo in un certo numero di piccole signorie. Questo segnò l’inizio del dominio dei Savoia su circa due terzi del territorio che costituisce Svizzera francese di oggi. Controllavano le due vie principali attraverso le Alpi occidentali, vale a dire il Mont Cenis Passo e del Gran San Bernardo. Questi due passaggi, grandi rotte commerciali che collegano l’Italia con l’Europa nord-occidentale, furono una grossa fonte di reddito. Nel 1214, Tommaso I di Savoia fondò la città di Villeneuve, a due chilometri sopra Chillon, su un sito che era abbastanza grande per la costruzione di un castello per immagazzinare e stoccare le merci e gli impianti portuali. Importanti ricostruzioni e lavori di ampliamento del castello furono effettuate in molte fasi, iniziando dal conte Tommaso I di Savoia (1189-1233) e dei suoi quattro figli, tra cui Pierre II, il padrone del castello nel 1255-1268. Al tempo di Filippo di Savoia, fratello di e successore di Pietro, i lavori furono affidati a Jacques de Saint-Georges, un capomastro e ingegnere, e, quindi, un architetto che era specializzata in installazioni militari. La famiglia Savoia utilizzò il castello come residenza occasionale, mentre il residente permanente fu il castellano. Poiché governavano ampi territori, i Savoia aveva bisogno di spostarsi da un luogo all’altro costantemente al fine di mantenere uno stretto rapporto con i loro sudditi. Questo stile di vita nomade fu legato con il ritmo delle stagioni, poichè alcune residenze non potevano essere utilizzate durante i mesi invernali, mentre altri si prestavano ad alcune attività, come la caccia. La corte viaggiava sontuosamente. Era accompagnata dal suo stretto cerchio e da un entourage composto da servi e amministratori. Aveva con sé l’attrezzatura e arredi necessari per trasformare i luoghi in cui si tratteneva. Ma Chillon aveva bisogno di essere abitato tutto l’anno, e questo compito cadde al castellano, di solito un membro dell’aristocrazia sabauda. Il castellano custodiva la fortezza, dispensava la giustizia, la riscossa dei dazi doganali e di reddito della signoria.
    Durante la seconda metà del XIII secolo, il castellano di Chillon assunse le funzioni di ufficiale giudiziario di Chablais. Il castello divenne un importante centro amministrativo e finanziario nelle terre savoiarde. La corte preferì rimanere in altre residenze, come Le Bourget, Thonon o Ripaille. Nel 1436, prima della sua elezione a papa Felice V, il duca Amedeo VIII cercò di ridare un pò di nuova vita al castello. Mandò il suo padrone di opere, Aymonet Corniaux, un falegname i cui compiti erano di mantenere gli edifici in Chablais e della regione di Vaud. Corniaux effettuò importanti lavori nel castello, e modificò le difese in cima alle torri e le mura. Tuttavia, Chillon venne trascurato fino all' arrivo dei Bernesi.

    Nel 1536, con la conquista del Paese di Vaud, Berna si impossessò anche di Chillon, trasformandolo secondo le proprie esigenze: da diverse sale vennero ricavati un deposito, un arsenale, una caserma, una cucina, un ospedale per invalidi e persino un cantiere navale. Sede del balivo di Vevey e capitano di Chillon, il castello fu occupato fino al 1733, mantenendo il suo ruolo di fortezza, arsenale e prigione per oltre 260 anni; lo testimoniano gli affreschi della sala detta “degli stemmi”, opera incompiuta dell'artista bernese Andreas Stoss; il balivo si trasferì in seguito a Vevey. Visti i costi e le difficoltà di manutenzione, le autorità bernesi pensarono di trasformare il castello in un vasto magazzino dei grani (1785), ma non attuarono mai tale progetto. Nel 1798, durante la Rivoluzione vodese, alcuni patrioti di Vevey e Montreux si recarono a Chillon e fraternizzarono con i soldati bernesi. Chillon divenne monumento storico nel 1888, ponendo finalmente il problema per la sua salvaguardia.
     
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  2. gheagabry
     
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    "Lo vediamo lì giganteggiare in mezzo al mare e cambiare colore a seconda del tempo il Castello d’Ischia. La scorgiamo già dal mare, appena superata Vivara l’inespugnabile fortezza aragonese, la vediamo dall’alto, da Cartaromana, da Campagnano, sulla strada che da Casamicciola porta a Ischia, ma la vista più emozionante è quando camminando per le stradine di Ischia ponte ci appare all’improvviso in tutta la sua maestosa altezza.
    Noi dal basso con il naso in su ad ammirare questo grande scoglio dove è passata la storia. E anche se non sappiamo nulla dei giorni gloriosi che ha dato all’isola, immaginiamo facilmente, che una volta, tanto tempo fa, grandi dame e cavalieri trascorrevano tra le sue mura “pictae” il bel tempo dei giorni cortesi."


    IL CASTELLO ARAGONESE, Ischia


    Il Castello Aragonese sorge su un isolotto di roccia trachitica collegato al versante orientale dell'isola d'Ischia da un ponte in muratura lungo 220 mt. La base rocciosa è geologicamente definita "cupola di ristagno" ed equivale ad una bolla di magma consolidatasi nel corso di fenomeni eruttivi di più vasta portata. Raggiunge un'altezza di 113 mt. s.l.m. e presenta una superficie di circa 56.000 mq.

    Se i castelli affascinano, il Castello Aragonese di Ischia sorgendo nel mare è ancora più misterioso, staccato com'è dal resto dell'isola con cui però mantiene un legame che va oltre il ponte – cordone ombelicale che lo unisce fisicamente ad Ischia ponte. Il suo vecchio toponimo di “insula minor” che lo contrapponeva all'insula major, esprime bene il suo essere un luogo diverso, una piccola isola accanto all'isola madre, ma è stata proprio questa ulteriore insularità che ha permesso al Castello di conservare il genius loci, l'identità storica di un territorio più vasto. La maggior parte degli avvenimenti, delle battaglie e della vita cortese ischitana si è giocata tutta qui, su questo scoglio in mezzo al mare
    Le antiche mura, di chiese e bastioni, costruite in gran parte dal 1300 al 1600 si mimetizzano perfettamente con la roccia scura e spigolosa di questa singolare “torta vulcanica”. L'isolotto, alto circa 113 metri, è infatti la conseguenza di un'eruzione vulcanica avvenuta tra i 280.000 e i 340.000 anni fa.


    Si deve agli Aragonesi la moderna fisionomia del castello: un solido a forma quadrangolare, con mura fornite di quattro torri. Partendo dal vecchio maschio di età angioina, nel 1441 Alfonso V d'Aragona diede vita ad una struttura che ricalcava quella del Maschio Angioino di Napoli.
    Il sovrano fece costruire un ponte di legno che congiungeva l'isolotto all'isola maggiore (che sarebbe stato successivamente sostituito da uno in pietra), mentre fino alla metà del XV secolo l'unico strumento di accesso al castello era costituito da una scala esterna di cui si può ancora intravedere qualche rudere dal mare, dal lato che dà sull'Isola di Vivara.
    Al castello si accede attraverso un traforo, scavato nella roccia e voluto verso la metà del Quattrocento da Alfonso. Il traforo è lungo 400 metri e il percorso è illuminato da alti lucernari che al tempo fungevano anche da "piombatoi" attraverso i quali si lasciava cadere olio bollente, pietre e altri materiali sugli eventuali nemici. Il tratto successivo è una mulattiera che si snoda in salita all'aperto e conduce fino alla sommità dell'isola. Da questa strada si diramano sentieri minori che portano ai vari edifici e giardini. All'interno dell'edificio erano posti gli alloggi reali e quelli riservati ai cortigiani, alla truppa e ai servi. Ai piedi del castello fu invece posta una casamatta, adibita a quartiere della guarnigione addetta alle manovre del ponte levatoio.
    Il periodo di massimo splendore della struttura si ebbe alla fine del XVI secolo: al tempo il castello ospitava 1892 famiglie, il convento delle clarisse, l'abbazia dei monaci basiliani di Grecia, il vescovo con il capitolo ed il seminario, il principe con la guarnigione. Vi erano 13 chiese tra cui la cattedrale, dove il 27 dicembre 1509 furono celebrate le nozze tra Fernando Francesco d'Avalos, marchese di Pescara e condottiero delle truppe imperiali di Carlo V, e la poetessa Vittoria Colonna.
    Il soggiorno di Vittoria Colonna nel castello, dal 1501 al 1536, coincise con un momento culturalmente assai felice per l'intera isola: la poetessa fu infatti circondata dai migliori artisti e letterati del secolo, tra cui Michelangelo Buonarroti, Ludovico Ariosto, Jacopo Sannazaro, Giovanni Pontano, Bernardo Tasso, Annibale Caro l'Aretino e molti altri.
    Oggi, gli edifici ricoprono una parte minima della superficie dell'isolotto, che è per lo più occupato da ruderi, da orti e vigneti. Le fitte costruzioni ritratte nelle stampe settecentesche sono state in buona parte distrutte dagli eventi bellici che hanno interessato l'isola sotto la dominazione francese nei primi dell'ottocento e, in seguito, dall'incuria e dall'abbandono fino all'acquisto dell'isola da parte di una famiglia ischitana.


    Chiesa de
    l'Immacolata (XVIII secolo)
    . La sua cupola domina l'intero castello e si affaccia sul borgo di Ischia Ponte, anticamente chiamato borgo di Celsa per la presenza di una piantagione di gelsi nei terreni dei frati Agostiniani. Essi avevano importato sull'isola l'allevamento intensivo del baco da seta (il cui nutrimento, il gelso, è appunto chiamato morus celsa). L'attività s'interruppe di colpo nel 1809, quando Gioacchino Murat emanò un decreto di soppressione degli ordini religiosi per impossessarsi delle enormi ricchezze che i religiosi avevano accumulato nei secoli nel regno di Napoli. La chiesa fu costruita a partire dal 1737 al posto di una precedente cappella dedicata a san Francesco, per volere della badessa Lanfreschi dell'attiguo convento delle Clarisse. L'enorme impegno economico impedì alle suore di portare a termine la costruzione e, nonostante fosse stata venduta persino l'argenteria del convento per far fronte alle spese, la facciata e gli interni della chiesa non sono rifiniti e le pareti sono completamente bianche.
    Convento delle Clarisse fu fondato nel 1575 da Beatrice Quadra, vedova D'Avalos, che si insediò con quaranta suore provenienti dal convento di San Nicola che si trovava sul monte Epomeo. Le suore provenivano da famiglie nobili che le destinavano in genere alla vita claustrale già dall'infanzia per evitare la frammentazione delle eredità. Il convento fu chiuso nel 1810.
    Cattedrale dell'Assunta. Questa cattedrale fu eretta dalla popolazione in sostituzione di quella situata sull'isola maggiore, distrutta dall'eruzione vulcanica del 1301. Nel 1509 vi furono celebrate le nozze tra Ferrante d'Avalos e Vittoria Colonna. Originariamente di stile romanico, fu ritoccata nel XVI secolo e rifinita successivamente con stucchi barocchi. Nel 1809 fu distrutta dalle cannonate degli Inglesi, per cui si presenta oggi come uno spazio semiaperto, senza soffitto, e ospita concerti di musica classica e letture di prosa e di poesia.
    Cripta della Cattedrale. Costruita fra l'XI e il XII secolo, era in origine una cappella. Fu trasformata in cripta quando vi fu costruita sopra la cattedrale dell'Assunta. È costituita da un ambiente centrale con volta a crociera e da sette piccole cappelle con volta a botte che si sviluppano lungo il perimetro. Ciascuna cappella rappresentava una delle famiglie gentilizie che abitavano l'isolotto ed è decorata da affreschi di scuola giottesca che oggi si presentano gravemente danneggiati e per i quali è stato avviato un restauro.

    ..la storia..



    La costruzione del primo castello risale al 474 a.C. sotto il nome di Castrum Gironis, ovvero castello di Girone, in onore del suo fondatore, venuto in aiuto dei Cumani nella guerra contro i Tirreni. In seguito alla vittoriosa battaglia, debitori di tale intervento, i Cumani decisero di ricompensare l'alleato cedendogli l'intera isola.
    La fortezza venne poi occupata dai Partenopei, ma nel 315 a.C. i Romani riuscirono a strappar loro il controllo dell'isola e vi fondarono la colonia di Aenaria. Il Castello venne utilizzato come fortino difensivo e vi furono edificate anche alcune abitazioni ed alte torri per sorvegliare il movimento delle navi nemiche.

    Nei secoli successivi i saccheggi e le lunghe dominazioni dei Visigoti, Vandali, Ostrogoti, Arabi, Normanni, Svevi e Angioini trasformarono completamente la fortezza di Gerone. L'eruzione del Monte Trippodi, avvenuta nel 1301, costituì una spinta notevole allo sviluppo dell'insediamento sul Castello: gli Ischitani si rifugiarono sulla rocca che garantiva maggiore tranquillità e sicurezza e diedero vita ad una vera e propria cittadina. Nessuno mai nella storia s'è potuto vantare di aver espugnato la città di Gerone.
    L'ultima a dominare il Castello fu la Regina Giovanna D'Angiò nell'anno 1434, ma ebbe a che fare con Alfonso I d'Aragona il quale nel 1438 s'impadronì del Castello scacciandone la guarnigione angioina. Alfonso trattenne le donne degli angioini sconfitti, popolò il Castello di trecento uomini a lui fedelissimi e diede loro come spose, le mogli e le figlie dei nemici espulsi. Nel 1441 Alfonso d'Aragona ricostruì il vecchio maschio d'età angioina, congiunse l'isolotto all'isola maggiore con un ponte artificiale e fece costruire poderose mura e fortificazioni, dentro le quali quasi tutto il popolo d'Ischia trovò rifugio e protezione contro le incursioni dei pirati. Fu questo un periodo splendente per la storia del Castello e per quello della stessa isola perché fino a quando le famiglie del Castello non si sparsero per l'isola intera, il centro propulsore ed accentratore di ogni attività fu sempre il piccolo scoglio. Tra le sue mura passarono: re, eroi, poeti, vescovi e uomini d'armi. Nel 1757 conteneva 1892 famiglie. Quivi era tutto concentrato: nobiltà, clero, borghesia, uffici, chiese, officine, ecc. L'isola era deserta, sterile e abbandonata a causa delle continue incursioni dei Mori e dei Saraceni.
    La seconda guerra di successione vide arrivare ad Ischia, la dinastia dei Borboni. Giuseppe D'Argouth prese possesso dell'isola e la governò in nome dei Borboni. Per voto fatto il D'Argouth abbandonò il comando del Castello e divenne frate eremita. Si rifugiò sull'Epomeo ove morì e vi ebbe sepoltura.

    Verso il 1750, cessato il pericolo dei pirati, la gente cercò più comoda dimora nei vari comuni dell'isola d'Ischia alla ricerca di nuova terra da coltivare e per curare meglio l'attività della pesca. Nel 1809 le truppe inglesi assediarono l'isolotto, sotto il comando francese, e lo cannoneggiarono fino a distruggerlo quasi completamente. Nel 1823 Ferdinando I, re delle Due Sicilie ed esponente della dinastia borbonica, allontanò gli ultimi 30 abitanti, riconvertì la fortezza a luogo di pena per gli ergastolani e trasformò le stanze in alloggi per le guardie carcerarie. Il castello divenne, a partire dal 1851, prigione per i cospiratori contro il Regno delle Due Sicilie, tra i quali Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Michele Pironti e Pasquale Battistessa. Nel 1860, con l'arrivo di Garibaldi a Napoli, il carcere politico fu soppresso e Ischia si unì al Regno d'Italia. Nel 1874, il Castello fu nelle mani della Direzione Generale delle Carceri che lo usò come comune carcere di prigionieri coatti. Gli isolani, gente pacifica, non gradirono questa la presenza , e, tanto s'adoprarono presso il Ministero dell'Interno che nel 1890 fu abolita la colonia degli ospiti indesiderati e il Castello passò nelle mani del Demanio. L'8 Giugno 1912 l'Amministrazione del Demanio, con trattativa privata, mise in vendita all'asta il Castello Aragonese: da quel momento la rocca è nelle mani di privati che ne curano i restauri e la gestione.

    Ahi lasso, non è Atlante sì defesso dal Cielo,
    Ischia a Tifeo non è sì grave. (Ludovico Ariosto)


    ...miti e leggende....



    Il gigante Tifeo, secondo quanto narra Esiodo nella Tifonomachia, venne generato da Tartaro e Gea con l'intenzione di farne l'oppositore di Zeus e il vendicatore di Crono, al quale la dea voleva fosse restituito il trono degli dei. Il mostro, fedele alle consegne materne, ingaggiò un’aspra lotta con Zeus, dalla quale però uscì sconfitto e umiliato, condannato dal sovrano dell’Olimpo a giacere - secondo Pindaro - sotto l’intera regione che va da Cuma alla Sicilia - secondo Virgilio - sotto l’isola d’Ischia.
    Pur costretto a questo supplizio il gigante non si arrese, ma trasformò il suo respiro in vulcano e, nel tentativo di scrollarsi di dosso il peso dell’isola sotto cui era immobilizzato, prese di tanto in tanto a farla tremare. In un’altra versione Gea, madre dei Titani, delusa della sconfitta patita da questi per mano di Zeus, si lamentò del sovrano dell’Olimpo con sua moglie Era che, credendo alle rimostranze della dea, decise di appoggiarla nel suo proposito di vendetta contro il suo stesso marito (Zeus). A tal scopo, le vennero affidate da Crono, desideroso anche lui di vendetta nei confronti del figlio rivale, due uova, da cui sarebbe poi nato un essere gigantesco metà uomo metà bestia, Tifeo appunto, cui sarebbe spettato il compito di eliminare Zeus.

    Tifeo con il Fuoco delle cento bocche formò lungo quella montagna delle colline, la Dea Venere che aveva sempre amato le isole placò l'ira dei Giganti e ottene da Apollo che dalla terra uscissero ruscelli dalle virtu' sanatrici inventate da lui. Da Indi la Dea fece tessere dei veli D'argento che ricoprirono l'isola trasformandola in un verde giardino. I Cercopi infestavano le coste dell'isola e saccheggiavano tutti i navigatori che toccavano l'isola, furono sconfitti da alcuni naviganti che viaggiavano sotto la protezione di Giove. Molti di essi furono massacrati altri furono trasformati in scimmie. Da quel momento tutti i naviganti che approdavano alle coste dell'isola udivano le strida delle scimmie e credendo che l'sola fosse abitata da Pitechi, la chiamarono Pithecusa. Dal sangue dei Cercopi che rosseggiavano lungo le rupi, sono tuttora visibile in loro memoria le Pietre Rosse che si trovano nella spiaggia di Citara.

    Il medico calabrese GIulio Iasolino nel suo trattato “De remedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa, hoggi detta Ischia” (1586), diede conto di due importanti aggiunte al precedente impianto letterario: il perdono del gigante per mano di Giove (Zeus); lo spargimento per tutta l’isola del corpo del gigante.
    La redenzione del gigante è l’espediente retorico scelto per dar conto della cessazione dell’attività vulcanica e della contestuale scoperta (scientifica) delle molte sorgenti termali dell’isola. Nella ricostruzione mitologica le acque termali diventano dunque le lacrime del gigante pentito. Lo smembramento del corpo è invece funzionale a fissare l’origine dei nomi di diverse località dell’isola: Bocca, Testaccio, Piedimonte, Ciglio, Panza, Fontana.

    Quest’ultimo aspetto è presente anche in un’altra leggenda della tradizione orale dell’isola d’Ischia, la leggenda del drago. Ne dà conto l’antropologo Ugo Vuoso nel libro “Di fuoco, di mare e d'acque bollenti. Leggende tradizionali dell'isola di Ischia” (2005) raccogliendo la testimonianza di un vecchio contadino ischitano a sentire il quale una volta l’isola era un unico casale e la vita dei suoi abitanti era quotidianamente messa a repentaglio dalla presenza di un drago, o grifone, dedito a far continua incetta di persone e cose. Un giorno però quest’essere mostruoso, dopo essersi levato in volo cadde rovinosamente sull’isola - forse ucciso da San Giorgio l’ammazzadraghi - e le sue membra si sparsero per tutta l’isola originando poi le diverse denominazioni dei centri abitati dell’isola d’Ischia, fino a quel momento senza indicazione.(dal web)


    "Ah! Qual destino terribile! E quanto pesa questo enorme macigno! Già, e fui io a rimuoverlo, è vero! Ora mi opprime, mi toglie il respiro! Un vero peccato! tutto stava per sortire l'effetto! L'alba ci ha traditi! Eppure non sono stati lenti i miei fidi! Ed ora la mia stirpe è distrutta! Qual triste destino: eternamente così, come miseri bruchi! Un tempo si aveva tanto dominio... Ma il Fulminante non potrà togliermi di vendicarmi per questa terribile condanna: io non darò pace a questa terra che mi sovrasta. Se non posso rimuoverla dal mio dorso, la scuoterò; tremerà il suolo e si formeranno voragini: il mare, ribollente, vi si precipiterà; col fuoco della madre Terra formerà lave ardenti che distruggeranno l'opera degli uomini, di quelli che l'olimpico ha fatto succedere al nostro dominio. Vedremo! Vedremo!!"

    Alcun tempo dopo l'inesorabile condanna di Tifeo, qualche divinità cui era cara la peregrina bellezza, trovatasi a transitare su quel mare così ricco di storia e di eventi, volle intercedere per placare l'erculeo ruggente e per creare su quel lido un magico intreccio di elementi salutari e benefici. Il Gigante aderì al richiamo alla mansuetudine, visto che nulla avrebbe potuto mutare il proprio orrendo destino e, preso dal rimorso per le sventure provocate a uomini innocenti, volle dar prova del suo pentimento. Lacrime ardenti sgorgarono copiose dai suoi occhi infocati, e queste dai numi vennero trasformate in acque salutari, capaci di lenire tanti malanni: quelle lacrime divennero lavacri rigeneratori di forza e di salute. Densi vapori emanano dalle anfrattuosità del terreno, e permeano l'aria di principi vivificatori; la primavera orna del suo sorriso e vi largisce il suo tepore in tutte le stagioni dell'anno. Oggi l'umanità sofferente largamente beneficia di quegli insperati rimedi per le sue sofferenze mentre la poesia, ispirata dall'aura del mito e dalla suggestiva bellezza di paesaggi d'incanto, trae dalla leggenda e dalla storia i motivi per intessere intorno a quella plaga cerulea corone di figurazioni fulgenti. La scienza, compiacente, annuisce.
    (La Rassegna di Ischia - www.larassegnadischia.it)
     
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  3. gheagabry
     
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    Il Castello di Spiš



    L’orizzonte orientale di Spiš è caretterizzato da una sagoma imponente del castello. Si trova nella Slovacchia dell’Est a 19 km da Levoča. Nel 1993 il Castello di Spiš e vicini monumenti sono stati iscritti nell’Elenco del patrimonio culturale e naturale dell’UNESCO.
    Su una roccia di travertina sorge uno dei più grandi e più importanti
    castelli di Europa dell’inizio di XII secolo. Fin da quei tempi ha difeso la grande strada da sud al Mar Baltico. Dopo divenne per alcuni secoli la sede del Giupano dispiš e quindi anche il centro principale del potere civile di Spiš. La sagoma del castello sulla ripida roccia è visibile a notevole distanza. Con una superficie di più di 4 ettari, in quattro cortili si sono conservati resti del XII–XVIII secolo. Tra le parti più vecchie e interessanti del castello superiore, l’ampia torre abitabile, a forma cilindrica, alta 19 m e larga 23 m, e il palazzo dei cavalieri, in stile romanico, modificato secondo lo stile gotico nel XV e XVI secolo.
    Nel 1780 venne distrutto da un incendio e da allora è in rovina.
    Il più antico riferimento scritto al castello è del 1120. All’inizio si trattava di una fortezza di frontiera posta sul confine settentrionale del vecchio stato feudale ungherese. In seguito divenne la sede dei governanti della regione di Spiš per molti secoli.
    A Spiš è sorto anche la sede fortificata dell’amministrazione ecclesiastica nel XIII secolo. Il massiccio muro di cinta della cittadina difende le 30 case dei canonici, il palazzo vescovile e l’edificio del seminario di stile gotico, rinascimentale e barocco, tutti concentrati in un’unica strada. E' stato la sede del Priorato di Spis dalla fine del XII secolo, poi sede dell'Arcivescovado di Spis. Oggi è sede del Collegio Teologico.
    Il complesso è anche chiamato il "Vaticano" slovacco. Elemento dominante di Spiš è la Cattedrale di San Martino, costruzione tardo romanica a doppia torre, nella quale si trova la statua romanica più antica in Slovacchia, Leone bianco – Leo albus.

    ...la storia...


    E' il castello medioevale più grande nella Europa centrale. Fu costruito nel XII secolo sulle rovine di un vecchio villaggio slavo. Nella prima parte del XIII secolo, il castello fu protetto da una fortificazione in pietra, grazie alla quale ha resistito all'attacco dei Tartari nel 1241.
    Nello stesso secolo la fortificazione fu rafforzata maggiormente dai maestri italiani che lavoravano alla costruzione della Spisska Kapitula. Del XIII secolo è il palazzo romanico, la torre gotica rotonda, la porte romanica e la cappella romanica, che non si è salvata.
    Questi monumenti sono situati nel cortile più alto. Nel XIV secolo durante il regno di Lodovico (il figlio di Carlo Roberto), il castello fu allargato e fu costruito il cortile centrale con una porta d'entrata. Nella metà del XV secolo fu costruito il cortile inferiore la cui origine è legata al soggiorno dell'esercito di Jan Jiskra da Brandys, che fu chiamato dopo la morte del re Sigismondo (nel 1437) per proteggere il nuovo re ungherese ancora minorenne Ladislao Pohrobok (1445-1457).

    Il castello di Spis è appartenuto a molti proprietari. Nel 1464 fu della famiglia di Zapolsky, il castello fu ricostruito da parte del suo nuovo proprietario Štefan Zápoľský, che ci volle fare una rappresentativa sede aristocratica. Egli costruì nel castello, il palazzo, sala dei cavalieri e capella di S. Elisabetta. Nelle camere del castello nacque anche suo figlio Giovanni (Ján), che dopo divenne il re dell’Ungheria. Nella prima parte del XVI secolo appartenne alla famiglia dei Thurzo ed l'ultimo proprietario dopo il 1636 fu la famiglia Csaky fino al 1945.

    Dopo un incendio nel 1780, il castello fu irrimediabilmente danneggiato. Il castello non fu più restaurato e pian piano diventò disabitato. Dal 1970 nel castello si svolgono imponenti lavori di restauro. Nella parte restaurata si trova l'esposizione della storia del castello di Spis e la prigione sotterranea con gli strumenti di tortura.
     
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  4. gheagabry
     
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    "Nel castello Bran si può “sentire” la vera leggenda, il mondo si apre verso la storia in un spazio indefinito del tempo, dove andare incontro a un mondo affascinante e unico, dove la grandezza si intreccia con il buon gusto, dove il mistero si fonde con l’eternità dalla una favola, dove la leggenda di Dracula, il vampiro diabolico, pare dominare all’infinito”


    IL CASTELLO DI BRAN



    Costruito nel 1378 sullo spuntone di una roccia, il castello di Bran doveva difendere e controllare la strada commerciale che univa la provincia di Valacchia alla Transilvania. Era anche un posto di dogana, residenza reale è divenuto ora museo di storia.
    Le prime informazioni sul castello si hanno fin dal 1377 quando re magiaro Ludovic de Anjou accorda il diritto degli abitanti di Brasov a costruire una fortezza di pietra su una roccia per permettere la sorveglianza della strada commerciale verso Bran. Il castello, su per lungo tempo occupato da: magiari, secco, austriaci avendo, per posizione strategia una funzione sia militare che economica. Tra il 1920 e il 1948 il castello divenne di proprietà della regina Maria di Romania, poi per la sua figlia Ileana. Dopo questo periodo il castello fu abbandonato fino al 1956, quando, a seguito di una parziale ristrutturazione, è stato aperto al pubblico come museo di storia e arte feudale.
    Il castello Bran è il più importante e significativo monumento meglio conservato come valore architettonico, in ogni periodo della sua storia, è stato modificato dai cambi di stili e correnti artistiche, da quella gotica militare a quella rinascimentale. La fortezza fu costruita con blocchi di pietra di fiume e di mattoni, per dare maggiore solidità e sicurezza in condizioni di lotte. E’ sormontato da quattro torri nei quattro punti cardinali: la torre della polveriera, la torre di osservazione, la torre a est e la torre della porta. Tra 1920-1927 il castello venne restaurato sotto guida dell’architetto della corte reale, Carol Liman, il quale la trasforma in una residenza estiva, con parco, lago, fontane e terazze.

    La fortezza è ora un museo dedicato a Dracula e agli Hohenzollern Sigmaringen che regnarono in Romania fino al 1947. L'esposizione parte dal cortile, angusto come le stanze. Sui tre piani sono esposti arredi, armature, quadri. Ma ci sono anche passaggi segreti e un letto dall'aspetto sinistro, indicato come il giaciglio di Dracula. Sembra che Vlad Tapes abbia soggiornato qui. E casi di vampirismo avvennero veramente in queste campagne. Il castello di Bran è il punto di partenza per un viaggio nella Transilvania "dove si sono scontrati Valacchi, Sassoni, e Turchi.
    Le camere e i corridoi delle mura di cinta del castello, formano un labirinto misterioso dove ci sono esposte importanti reperti dell’epoca e tra i più importanti: La sala d’armi dove sono presenti armi del XV-XVII secolo: balestre, fucili, spade e armature. La sala dei consigli o cancelleria del XVII secolo, con documenti emessi dalla cancelleria del castellano. La cappella della fortezza caratterizzata da elementi gotici. La sala di musica con palco di trave contiene pezzi in stile rinascimentale, tedesco, fiorentino, stile barocco austriaco, pezzi di ceramiche italiane, inglesi e spagnole risalenti al periodo che va dal XVI al XVIII secolo. La camera da letto con un imponente letto con baldacchino, monumentale come dimensione, appartengono allo stile barocco austriaco del XVII-XVIII secolo. La camera orientale o camera “tirolese”, con icone di legno, importanti per valore storico e artistico. Sotto le scale c’è una camera stretta che veniva usata come prigione del castello. Il capitello della fontana del cortile interno, che veniva usata come nascondiglio sotterraneo, rappresenta una importante scultura di pietra in stile rinascimentale completano complesso architettonico del castello. (Proff-ssa .ianina Cristina Chirila)

    Visto da lontano, il castello di Bran, conferma la fama macabra di cui gode. Contribuisce la vegetazione fitta di un verde cupo, le rocce a strapiombo sulle quali è stato costruito, le pareti scure e quasi senza finestre, il cielo spesso minaccioso per la presenza dei Carpazi. Avvicinandosi, l'effetto non cambia: lungo il sentiero che porta all'entrata, ci si sente spiati da spiriti che non hanno mai abbandonato il maniero che, dal Medioevo, sorveglia l'ingresso alla Transilvania. Bran in romeno significa infatti "porta": di qui, hanno tentato di passare invasori mongoli e turchi. La fama del castello, però, non viene da secoli di guerre e incursioni, ma dal personaggio che, secondo la leggenda, l'abitò, il Conte Dracula, [..]Da dove viene la leggenda? Tutto nasce dal libro di Bram Stoker Dracula, capolavoro della letteratura gotica pubblicato nel 1897. Alcuni studiosi riconobbero quello di Bran come il maniero descritto dall'autore irlandese: «Un panorama magnifico. Costruito sul limite estremo di un terribile precipizio».

    Il vero castello di Dracula, ora in rovina, e' situato sulle rive dell'Arges ed e' la fortezza di Poienari. Il castello di Bran fu usato da Vlad come quartiergenerale per le sue incursioni in Transilvania. In precedenza, il castello veniva utilizzato come fortezza e preso dai sassoni a protezione della città di Brasov che era un importante centro commerciale.

    …storia…


    La prima menzione di un luogo fortificato sul sito dove sorge oggi il castello di Bran risale ai primordi del XIII secolo. In quel tempo i Cavalieri Teutonici iniziarono a costruire sulla cima nota come Dietrichstein un fortino in legno a guardia della valle che da secoli permetteva il transito dei mercanti dalla Valacchia alla Transilvania nell'allora Burzenland. Nel 1242 la primitiva struttura, non si sa fino a che punto rimaneggiata, venne distrutta dall'incursione dei Mongoli. Il 19 novembre del 1377 Luigi I d'Ungheria riconobbe alla popolazione sassone della città di Braşov la libertà di erigere a proprie spese una struttura fortificata in pietra che sarebbe poi divenuta il castello di Bran; il limitrofo villaggio chiamato Bran sorse in concomitanza con l'erigenda. Sin dal 1378 la nuova rocca servì al Regno d'Ungheria come baluardo contro le incursioni dell'Impero ottomano. L'importanza strategica del castello ne fece uno strumento prezioso anche per i potentati cristiani che regnavano sui Principati danubiani: Bran venne infatti temporaneamente occupato ed utilizzato sia dal voivoda (principe) Mircea il Vecchio (Mircea Cel Bătrân) che da suo nipote, Vlad l'Impalatore (Vlad Ţepeş).
    A partire dal 1920, il castello di Bran divenne residenza dei sovrani del Regno di Romania. Vi soggiornarono a lungo la regina Maria di Sassonia-Coburgo-Gotha, che ristrutturò massicciamente gli interni secondo l'allora gusto art and craft rumeno, e sua figlia, la principessa Ileana di Romania. Nel 1948, quando la famiglia reale rumena venne scacciata dalle forze d'occupazione comuniste, il castello venne occupato.

    “Straniero di pietà e di compassione”
    (A.D.Xenopol)


    …La verità storica…


    Il principe Vlad Tepes ha giudato la Valacchia per tre volte (1448, 1456-1462, 1476), Fu un principe crudele e autoritario che usava tecniche dure di punizione: gli infami veniva pelati, bolliti, decapitati, impiccati, bruciati vivi, accecati, impalati, e proprio per queste crudeltà che prese il nome di Tepes. In virtù dei suoi metodi drastici ristabilì ordine nel paese. Ha combattuto, a fianco dei turchi nella campagna del 1462 guidati di Mohamed.
    Niccolo Modrussa un delegato del papa Paulus II vissuto ai tempi di Vlad Tepes , lo descrive come un nobile di mistero essendo ”…non troppo alto di statura, ma molto forte e robusto, freddo e terribile di aspetto, con un gran naso aquilino, narici larghe, un volto magro e rossiccio, con grandi occhi verdi spalancati e incorniciati da nere ciglia, molto folte e lunghe, che davano agli occhi un aspetto terrificante. Il viso e il mento erano rasati, ma portava i baffi. Le tempie larghe aumentavano l’ampiezza della fronte. Un collo taurino univa la testa alle sue larghe spalle coperte da ciocche nere dei suoi lunghi capelli neri.”
    In 1476 Vlad Tepes morirà nella battaglia con Basarab III, dopo essere tornato con un esercito di turchi e dopo un periodo in cui si era rifugiato prima a Bucarest e poi in Turchia. Vinta la battaglia Basarab III, Vlad fu assassinato, probabilmente colui che lo uccise, inviò la testa al sultano turco presso la corte di Costantinopoli. Vlad Tepes venne poi sepolto nel monastero di Snagov, e i suoi resti non verranno mai ritrovati.

    …la Leggenda…


    Il “vampiro dei Carpazi” più comunemente conosciuto come “Dracula”, nasce da un mito, da una immagine apparsa a Norimberga e illustrata da xilografie, a partire dal 1488 con “Le favole tedesche di Dracula voivoda” Questa esagerazione del personaggio fu merito degli ecclesiastici appartenenti all’ordine dei benedettini, cappuccini e altre, i quali si rifiutarono al subordinamento alle leggi dello stato imposte dal grande principe. Il più vecchio documento sulla campagna anti-dracula fu scritto dal monaco Iacob nel 1462 nel monastero di San Galin in Svizzera.
    Dalla fusione di favole tedesche e folclore, Vlad Tepes-Dracula, divenne il più famoso personaggio della Transilvania del XV secolo.

    L’irlandese Bram Stoker (1847-1912) usò diverse informazioni sulle risorse locali della Transilvania e anche inglesi per creare il suo romanzo “Dracula”, il primo vampiro della storia della letteratura con il libro “Del Principe di Valacchia e Moldavia”(1820) Nel libro veniva fatta menzione del principe Dracula e della sua lotta contro i turchi. Quello che era importante per Stoker (sopra al nome c’era la nota dell’autore) il quale precisa che “Dracula” significa in romeno “il diavolo”, e benché avesse avuto l’intenzione di chiamare il personaggio “Il conte Vampire”, il nome di Dracula sembrava più adatto.
    Nella cinematografia Dracula e la Transilvania, luogo dove sorge il misterioso castello con i vampiri nel bel mezzo di una fitta e buia foresta, divenne il set di oltre 750 produzioni tra film e documentari. Quello più famoso, realizzato dal regista Francisc Ford Coppola “Dracula”, (1992).
    Ma si è ristabilita la verità su Vlad Tepes citato, nel libri storici, come un personaggio corretto, giustiziere, “nel periodo del suo regno, potevi bere acqua dalla fontana della fortezza Targoviste, con un coppa d’oro massiccio senza avere il timore che potesse essere rubata”, cosi come confermano gli storici rumeni.

    …piccoli cenni sulla TRANSILVANIA…



    Purciardelli Walter

    La Transilvania, terra di montagne e foreste, fu abitata da Sassoni arrivati con i Cavalieri Teutonici chiamati per bloccare le invasioni da est. La città più ricca di storia è Alba Iulia, la Apulum della Dacia romana. Per i Rumeni è un luogo sacro, perché alla fine del Cinquecento fu capitale del primo nucleo nazionale. Cuore di Alba è la cittadella a forma stellare. Circondata da mura settecentesche, ha sei porte monumentali; in quella progettata dal viennese Johann Koning si svolge la cerimonia del cambio della guardia. All'interno della cittadella si fronteggiano la cattedrale ortodossa e quella cattolica, la prima università della Transilvania, il Museo Unirii, la Biblioteca Batthyaneum. Appena fuori Alba Iulia, la chiesa cinquecentesca fortificata di Biertan, Patrimonio Unesco. Gioiello di architettura sassone è Sibiu, restaurata quando, nel 2007, fu scelta come Capitale europea della Cultura. Piata Mare (Piazza Grande) è il cuore del centro dove si affacciano il Museo Brukenthal, la chiesa della Trinità e la Torre municipale, emblema della città. Altro luogo simbolo è il Ponte delle Bugie tra Piata Mica (Piazza Piccola) e la fortezza. “Il nome deriva da una leggenda: sul ponte si incontrano gli innamorati, se uno dei due racconta bugie, la struttura scricchiola.” Sighisoara è uno dei luoghi più visitati perché città d'origine di Vlad l'Impalatore. Non ha nulla di sinistro, però: Patrimonio Unesco, è un altro gioiello di architettura sassone. Su un palazzo, una targa ricorda: «Qui visse Vlad Dracul, padre di Vlad Tepes». Il palazzo è nella piazza della Torre dell'Orologio costruita nel XIII secolo quando dominavano le corporazioni che costruirono palazzi e chiese, le più belle sono la Biserica din Deal e la Biserica Manastirei. Anche Brasov è ricca di storia; il centro ruota intorno a Plata Sfatului (Piazza del Consiglio) che prende il nome dal Palazzo Sfatului, dove nel 1848 iniziò la rivolta contro l'Impero asburgico. Sempre sulla piazza, la Casa Negustorilor (Casa dei Mercanti) fu sede delle corporazioni. Le chiese vantano due primati: la Biserica Neagra ( neagra, nera, per un incendio) è la più grande chiesa gotica rumena; Sfantul Nicolae fu la prima chiesa ortodossa della Transilvania. Il luogo più fotografato, però, è la Strada Sforii, il vicolo più stretto della Romania. Largo solo un metro, un tempo proteggeva dagli invasori, oggi fa da cornice alle foto di coppia. (ROBERTO CARAMELLI)
     
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    "...sulle alture circostanti
    si ergono antichi castelli medioevali muniti di torrioni ..."

    IL CASTELLO DI ELTZ


    Il castello di Eltz è un castello medievale situato presso Wierschem sulle colline sovrastanti la Mosella tra Coblenza e Treviri, in Germania. È ancora oggi proprietà della stessa famiglia che vi visse dal XII sec., 33 generazioni fa. E ‘situato su uno sperone di roccia 70 m, su un importante via commerciale romana tra terreni agricoli ricchi e dei loro mercati.
    In Germania è considerato il castello più infestato del Paese, forse l’unico ma, con ben 8 fantasmi-cavalieri.
    E' castello consortile, una fortificazione medievale divisa tra i vari rami di una stessa famiglia. È quanto succede nel castello di Eltz, dove per lungo tempo convissero quattro differenti rami della casata, i cui rapporti erano minuziosamente regolati da un “contratto di tregua”. Ognuno dei quattro rami (i Platteiltz, i Kempenich, i Rodendorf e i Rubenach) avevano un proprio simbolo araldico e viveva in un’ala di sua proprietà all’interno degli edifici affacciati sullo stretto cortile del castello.Se uno dei rami si fosse estinto, la sua parte di proprietà sarebbe automaticamente passata ai restanti “colonnellati”, come erano appunto chiamati i diversi rami di una stessa famiglia. La parte più antica risale al XIII secolo mentre quella più recente a metà del XVI sec.

    I liberi cavalieri germanici del Sacro Romano Impero, guidati dai signori di Eltz, rifiutarono l’obbedienza all’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Contro di loro si mosse il fratello dell’imperatore, il Principe Baldovino di Treviri, che strinse un assedio al castello di Eltz, dove si erano asserragliati gli oppositori. Ma ogni assalto si rivelarò inutile contro le solide mura della fortificazione. Questo fatto dimostra come la difesa fosse arrivata ad avere la preminenza rispetto all’attacco.
    Costruito sulla roccia, il castello dava ampio campo di tiro e una netta superiorità di posizione ai difensori. Eltz si rivelò presochè inespugnabile per i mezzi di quel’epoca, grazie alle sue mura, tanto spesse da non essere danneggiate dai proiettili delle catapulte. Solo dopo due anni d'assedio, il principe riuscì ad ottenere la resa di Johann di Eltz.
    Nei secoli successivi,il castello godette di una lunga pace, favorita anche dall’abile politica della famiglia proprietaria, capace di destreggiarsi tra i contendenti. Fu così che durante la guerra dei Trent’Anni, un ramo della famiglia, protestante, riuscì a guadagnarsi la benevolenza degli svedesi che scorazzavano sul territorio, mentre un altro, servendo nell’esercito francese, poté garantire al castello l’immunità anche da quella parte.

    ..gli Eltz..


    I signori von und zu Eltz, nobiltà cattolica renana, prendono nome dal castello e località posti su un'altura sulla riva sinistra della Mosella, nell'eletto-
    rato di Treviri. Rudolf zu Eltz fu il primo perso-
    naggio storico conosciuto come testimone in un atto di donazione dell'imperatore Barbarossa (1157). Burg Eltz è tuttora della famiglia, appartenendogli dal XII per ben 33 generazioni. È un tipico Ganerburg, cioè un castello in condominio ereditario familiare. L'imponente costruzione è stata elevata con lo sforzo economico delle tre linee familiari dei von Eltz: i Ruebenach, i Rodendorf, i Kempenich. Ognuna di queste linee non avrebbe avuto le possibilità economiche per erigere una fortezza così vasta e possente. In questo modo, con lo sforzo congiunto è stato eretto un fortilizio per la difesa comune, sia pure composto da parti separate, per difendersi dalle mire espansionistiche dell'ambizioso arcivescovo elettore Baldwin di Treviri (1331-36). Nel 1472 fu terminata, sul lato ovest della fortificazione, la residenza in stile gotico di Lancelotto e Guglielmo della linea di Eltz-Ruebenach, caratterizzata dal salone inferiore ricco di decorazioni. I Ruebenach presero il nome dalla località omonima presso Coblenza (1272). Nel 1540 anche la residenza dei Rodendorf, costruita in stile tardo gotico, venne finita con la sala degli stendardi. I Rodendorf presero tale nome dopo Federico (1484-56), signore di Blieskastel, col secondo figlio, Giovanni Adolfo (1523-74), il ramo cadetto dei signori di Blieskastel e di Rodendorf, col matrimonio di Giovanni Adolfo con Caterina von Brantscheid, erede di Rodendorf (1563) e proprietaria dell'omonimo possesso presso Chateaurouge in Lorena. Infine, verso il 1530 fu terminata la parte dei Kempenich, ove tuttora vi risiedono. Quest'ultima linea ebbe origine con Antonio zu Eltz che nel 1581 acquistò la signoria di Kempenich, rimasta in proprietà della famiglia fino al 1777.

    La famiglia ha avuto vari membri elettori di Magonza e di Treviri. Giacomo, nel 1510) fu fervente contro-
    riformista cattolico, introdu-
    cendo, nella valle della Mosella, i gesuiti per combattere i calvinisti e i luterani. Nel 1624 Giovanni Giacomo ricevette la conferma per l'ufficio ereditario di “maresciallo di campo” dell'elettore di Treviri, divenendo il supremo comandante militare della regione in tempo di guerra, carica ereditaria riconosciuta dall' 8.6.1580. Nel 1646 gli Eltz entrarono a far parte della Camera dei Signori dell'elettorato. Durante la guerra della Grande Alleanza nel 1688-89, numerosi castelli del Reno furono distrutti dalle truppe francesi, ma grazie all'abile politica diplomatica di Giovanni Antonio zu Eltz Uettingen, la residenza fortificata di Burg Eltz fu salvata dalla distruzione. I von Eltz raggiunsero un grande potere con l'elettore *Filippo Carlo di Magonza, che divenne uno dei principi cattolici più potenti della Germania. Fedele alleato dell'imperatore Carlo VI, con gli elettori di Hannover e di Magonza costituì un forte gruppo per contenere l'influenza della Baviera, fino al 1742. Preso dai rimorsi dopo tale decisione molto sofferta, perché consideratosi traditore degli Asburgo, morì nel 1743. Famiglia equestre con proprietà signorili sovrane, nella linea anziana, grazie alla fedeltà verso l'imperatore nella controriforma e nelle guerre contro i Turchi, acquistò rilievo con Carlo Antonio Ernesto(1671-36), maresciallo ereditario di Treviri, che nel 9.11.1733 fu elevato a conte e cavaliere dell' impero, con il titolo di “Grande Palatino”, privilegio imperiale che gli permise di nominare notai pubblici, riconoscere figli illegittimi, conferire blasoni e stemmi, approvare giudici e clerici.
    La famiglia entrò così a fare parte della nobiltà equestre e acquistò vasti possessi anche in Croazia, come la signoria di Vukovar (1736) che divenne la residenza principale dei conti fino al 1945, quando ne furono espulsi dai comunisti. Regnarono sovrani sui beni signorili tedeschi fino a Ugo Filippo (1742-1818); le sue proprietà dal 1794, poste sulla riva sinistra del Reno e presso Treviri furono confiscate dai Francesi e lui fu chiamato “cittadino conte Eltz”. Venne scoperto in seguito che non era emigrato, ma si era nascosto a Magonza dal 1797. Nel 1815 con la vendita delle proprietà della linea dei baroni von Eltz Ruebenach, il conte Ugo Filippo divenne unico proprietario del castello, essendo la linea di Eltz Rodendorf estinta dal 1786 e le sue proprietà già ereditate dai Kempenich.

    “I liberi cavalieri dell'impero sono un corpus immediato dell'impero germanico, privo di voto o seggio alle Diete imperiali, ma in virtù della pace di Westfalia, le Capitolazioni delle elezioni imperiali e le altre leggi dell'impero, esercitano sui propri possessi tutti gli stessi diritti e giurisdizione dell'alta nobiltà.”
    (Johann C. Rebmann, 1783)


    ...i Cavalieri Imperiali...



    I Liberi Cavalieri Imperiali, o Cavalieri dell'Impero (in tedesco Reichsritter) erano un'organizzazione di liberi nobili del Sacro Romano Impero, dipendenti direttamente dall'Imperatore, il che era un chiaro rimando alla tradizione medioevale della nobiltà tedesca (Edelfrei). Erano il residuo della antica classe cavalleresca che fino al XVI secolo aveva dominato la storia delle terre meridionali tedesche. Per proteggere i propri diritti, questa associazione si organizzò in tre partiti (Partheien) già verso la fine del XV secolo. Dal 1422 molti di questi nobili ottennero dall'Imperatore l'"immediatezza", ovvero l'autorizzazione a governare e ad amministrare direttamente i feudi in loro possesso per conto dell'Imperatore, passando gradualmente da uno status di vassalli medioevali a quello di liberi signori protetti dal monarca. Dal 1577 i Cavalieri dell'Impero ottennero di essere ammessi a far parte del corpus equestre.
    Con la pace di Vestfalia, i privilegi della Reichsritterschaft vennero riconfermati. I cavalieri, puer esenti dalla matricola, dovevano però pagare una loro propria tassa (volontaria) all'Imperatore, avevano una sovranità limitata sui loro territori (diritto di legislazione, tassazione, giurisdizione civile, polizia, conio, tariffe doganali, caccia e godevano dell'applicazione libera di alcune forme di giustizia), e dello ius reformandi (il diritto di stabilire la religione da seguire nei loro territori). Le leggi familiari che regolavano la sopravvivenza delle famiglie di tradizione cavalleresca dovevano inoltre essere approvate dall'Imperatore in persona, il quale controllava anche i matrimoni dei vari membri appartenenti alla classe ed interveniva nelle questioni di eredità delle proprietà familiari.
     
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    IL CASTELLO DI PREDJAMA


    In Slovenia, a soli 10 chilometri dalle Grotte di Postumia si trova uno dei più pittoreschi castelli quello di Predjama. Nel periodo tra le due guerre mondiali la località omonima nel quale è situato si trovava in territorio italiano in provincia di Trieste, nel comune di Bucuie, che attualmente dipende dalla città di Postumia.
    Il castello misterioso e inespugnabile è incastrato nella parete verticale, alta 123 metri, e regna lì da più di 800 anni. Il suo aspetto romantico viene arricchito dallo scorrere del torrente Lokva che in profondità sotto il castello si perde nell'ipogeo.
    Il Castello di Predjama fu probabilmente costruito nel XII secolo. In quei tempi il castello fu chiamato Castello di Jama “grotta”. Nel 1350 il castello fu dei duchi austriaci. Nel 1398 le truppe Aquileia lo assediarono e gli diedero fuoco. Più tardi i cavalieri dalla città Est-tirolese di Lienz ne divennero proprietari e lo ribattezzarono Luegg Castello.
    La zona in cui sorge questo singolarissimo maniero è a soli nove chilometri dalle celeberrime Grotte di Postumia. Il territorio era abitato già 150.000 anni fa durante il Paleolitico carsico da una delle culture più antiche dell'Europa centro-meridionale. Non distante dal mare e dalla cosiddetta "Via degli Alberi", il luogo si trovava su una rete viaria utilizzata da epoca pre-romana. I Romani avevano istituito uno dei capisaldi del loro sistema di fortificazione a Bukovje, ultimo paese prima di Predjama, definito "claustra alpium juliarum". Nel Medioevo attraverso questa strada si trasportava il legname ed altro materiale ai porti navali dell'Adriatico. La direttrice sale verso la montagna, a Vrhe, sullo spartiacque naturale fatto di Flysh tra i fiumi che da un versante si gettano dnell'Adriatico e sull'altro nel Mar Nero. Rami di questi corsi d'acqua scorrono sotto le grotte del castello di Predjama e anche in quelle di Postumia. Le prime fonti scritte che citano il castello risalgono al XIII sec.
    Al quinto un ponte levatoio ci si immette in un lungo un percorso ricavato nella roccia, che sfocia in una caverna. La grande scalinata intagliata nella roccia prosegue verso una galleria all'aperto, fino alla soleggiata Vipava, dove si narra che Erasmo andasse a raccogliere le ciliegie. L'impressione che suscita la posizione di questo castello è che la parte architettonica sia nata come un espediente per occultare la grotta.

    L'abitante più famoso del castello fu il cavalier Erasmo di Predjama (dei Lueghi) che nel XI sec. oppose resistenza all'arbitrio imperiale. La storia racconta del cavaliere Erasmo, che cadde nelle ire del suo imperatore, Federico III, e dei suoi vassalli, per sfuggire alle quali si rifugiò in questo luogo, sotto la parete a strapiombo.
    Nelle lotte fra l'imperatore d'Austria ed il re d'Ungheria, Erasmo si schierò dalla parte di quest'ultimo. Quando poi l'imperatore fece decapitare un suo amico, Erasmo litigò con un parente dell'Imperatore e lo uccise, per il fatto che aveva offeso la memoria dell'amico. Poi, per sottrarsi alla condanna a morte, si rifugiò nel castello di Predjama, sfidò e irritò l'imperatore, attaccando di continuo le carovane di commercianti. Erasmo avevo fatto realizzare un cunicolo segreto, una piccola grotta direttamente dietro il ciglio della parete a strapiombo. L'imperatore ordinò al luogotenente di Trieste, tale Gaspare Ravbar, di catturare Erasmo. Però l'assedio dei soldati fu vano. Erasmo si faceva beffe di loro gettandogli pezzi di carne di bue arrosto e ciliege fresche.
    Fu solo con l'aiuto di un servitore infedele che il Ravbar riuscì a vincere Erasmo. Quando Erasmo si assentò per un attimo, il servo infedele diede un segnale e allora (era l'anno 1484) le pallottole di pietra catapultate dalla vallata, sfondarono la finestrina della ridotta e colpirono Erasmo alla testa, uccidendolo sul colpo. Secondo la leggenda il cavaliere sarebbe sepolto accanto alla chiesetta del XV secolo che oggi è in Slovenia uno dei rari esempi dell'archittetura tardogotica. Sulla sua tomba cresce un'imponente tiglio che la leggenda vuole sia stato piantato proprio dall'amata di Erasmo.Ancora oggi sono vive le leggende che da un lato lo glorificano come cavaliere appassionato, bello e nobile, e dall'altra lo dimostrano come cavaliere malvagio, brigantesco, sorpreso alla fine dalla morte.

    Nel 1570, su ordine di Ivan Kobenzl, venne costruito il castello nelle sembianze odierne. In una nicchia della cantina è stato scoperto il tesoro del castello del XVI secolo, oggi conservato al Museo Nazionale di Lubiana. Nel 1810 il castello passò in eredità al conte Michele Coronini e nel 1846 venne acquistato dal Principe di Windischgrätz. All'inizio del XVII secolo l'uscita segreta che portava ad una piccola foiba adiacente l'orlo della parete a strapiombo, venne murata perchè i ladri servendosi di questo passaggio erano entrati nel castello portandosi via molti oggetti preziosi.
    Il castello è accessibile da un solo lato, ma la leggenda vuole che il brigante Erasmo si approvvigionasse di viveri attraverso una galleria segreta che dal vecchio castello porta alla luce del sole. Dopo la seconda guerra mondiale gli speleologi di Postomja esplorarono e descrissero questo cunicolo roccioso e, per ragioni di sicurezza l'accesso venne nuovamente murato.
     
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    « Gli italiani erano muratori, i romeni costruivano terrazze, gli zingari erano coolie. Gli albanesi e greci lavoravano la pietra, i tedeschi e gli ungheresi lavoravano il legno. I turchi costruivano mattoni. Gli ingegneri erano polacchi, mentre gli scalpellini erano cecoslovacchi. I francesi erano disegnatori, gli inglesi erano alle misure. Si potevano osservare centinaia di costumi nazionali e parlavano, litigavano e cantavano in quattordici lingue in tutti i dialetti e desinenze, un mix gioioso di uomini, cavalli, carri, buoi e bufali domestici. »
    (Elisabetta di Wied, consorte del re Carlo I di Romania)


    IL CASTELLO DI PELES



    Il castello di Peleș è un castello edificato in stile neorina-
    scimentale situato nei Carpazi, vicino a Sinaia, nel distretto di Prahova, in Romania, su un esistente percorso medievale che collega la Transilvania e la Valacchia.
    Per forma e funzione, il castello di Peleş ha le caratteristiche di un palazzo, ma è stato sempre chiamato il castello. Il suo stile architettonico è una miscela di ispirazione romantica neorinascimentale e neogotico simile al castello di Neuschwanstein in Baviera. L'influenza sassone è presente nelle facciate del cortile interno, dotate di un allegorico murales e dipinti a mano, ornato Fachwerk simile allo stile dell'architettura alpina del nord Europa. Le decorazioni degli interni sono in gran parte influenzati dal barocco, con pesanti legni intagliati e tessuti raffinati. Il castello di Peleş ha un superficie di 3.200 metri quadrati, è dotato di oltre 170 camere, molte ornate con temi esclusivi provenienti da tutte le culture del pianeta. I temi variano a seconda della funzione (uffici, biblioteche, armerie, gallerie d'arte) o per stile (fiorentino, turco, arabo, francese, Imperiale). Tutte le camere sono estremamente e lussuosamente arredate e decorate nei minimi dettagli.
    Vi sono 30 bagni. La struttura ospita una delle più belle collezioni d'arte orientale e centrale : statue, dipinti, mobili, armi e armature, oro, argento, vetro colorato, avorio, porcellana, arazzi e tappeti. La collezione di armi e armature annovera oltre 4.000 pezzi, divisi tra Europa orientale e pezzi di guerre occidentali cerimoniali o da caccia e si estende su quattro secoli di storia. I tappeti orientali provengono da molte località diverse: Bukhara, Mossul, Isparta, Saruk, e Smirna. La porcellana proviene da Sèvres e Meissen, la pelle è di Córdoba. Forse l'arte più affascinante del castello è rappresentata dai dipinti a mano delle vetrate.
    Una statua torreggiante del re Carlo I, che si affaccia l'ingresso principale, è dello scultore italiano Raffaello Romanelli che realizzò anche sette terrazze del giardino neo-rinascimentale, per lo più di marmo di Carrara. Per forma e funzione, il castello di Peleş ha le caratteristiche di un palazzo, ma è stato sempre chiamato il castello. Il suo stile architettonico è una miscela di ispirazione romantica neorinascimentale e neogotico simile al castello di Neuschwanstein in Baviera. L'influenza sassone è presente nelle facciate del cortile interno, dotate di un allegorico murales e dipinti a mano, ornato Fachwerk simile allo stile dell'architettura alpina del nord Europa. Le decorazioni degli interni sono in gran parte influenzati dal barocco, con pesanti legni intagliati e tessuti raffinati. Il castello di Peleş ha un superficie di 3.200 metri quadrati, è dotato di oltre 170 camere, molte ornate con temi esclusivi provenienti da tutte le culture del pianeta. I temi variano a seconda della funzione (uffici, biblioteche, armerie, gallerie d'arte) o per stile (fiorentino, turco, arabo, francese, Imperiale). Tutte le camere sono estremamente e lussuosamente arredate e decorate nei minimi dettagli.
    Interessante inoltre il sistema di riscaldamento centralizzato, una novità assoluta per l’epoca di costruzione, non meno dell’ascensore di cui fu fornito. I giardini ospitano anche fontane, urne, scale, leoni a guardia, percorsi di marmo, e altri elementi decorativi.

    ...storia...


    Re Carlo I di Romania (1839-1914), sotto il cui regno il paese ottenne l'indipen-
    denza, nel 1866 si innamorò del magnifico scenario di montagna nei Carpazi. Nel 1872, la corona acquistò 1.300 chilometri quadrati di terreno nei pressi del fiume Arsa Piatra.
    Nella tenuta, nominata la "tenuta reale di Sinaia", venne commissionata la costruzione di una riserva reale di caccia e di una residenza estiva, furono dettate le prime fondamenta il 22 agosto 1873. I primi tre piani del progetto del castello, erano copie di altri palazzi già presenti in Europa occidentale : il re Carol I li respinse tutti come privi di originalità, e troppo costosi. L'architetto tedesco Johannes Schultz (1876-1883) vinse il progetto, presentando un piano più originale, qualcosa che fece appello al gusto del Re: una grande villa sontuosa nello stile alpino, in grado di unire diverse caratteristiche dei classici stili europei, per lo più seguendo l'eleganza italiana e l'estetica bavarese lungo le linee del Rinascimento. Il costo dei lavori del castello tra il 1875 e il 1914 è stato stimato in 16 milioni di Leu rumeni in oro (circa 120 milioni di dollari di oggi). Lavorarono alla sua costruzione tra i tre e quattrocento uomini.
    La costruzione del castello subì un leggero rallentamento durante la guerra rumena di indipendenza contro l'Impero ottomano avvenuta tra il 1877 ed il 1878. Il castello di Peleş festeggiò la sua inaugurazione con un ballo ufficiale reale, il 7 ottobre 1883. Re Carlo I di Romania e la regina Elisabetta di Wied, vissero nella villa di Foişor in fase di costruzione, come fece re Ferdinando I di Romania e la regina Maria di Sassonia-Coburgo-Gotha, durante la costruzione del castello di Pelişor. Nel castello nacque, nel 1893 Carlo II di Romania, dando un senso al castello quale "culla della dinastia", (culla della nazione), frase che Carlo I di Romania conferì al castello di Peleş.
    Dopo l'abdicazione forzata del re Michele I di Romania nel 1947, il regime comunista sequestrò tutti i beni reali, tra cui la tenuta di Peleş. Il castello venne trasformato, per un breve periodo, in attrazione turistica. Fu anche luogo di riposo e di svago per personalità culturali rumene. Nel 1953 venne trasformato in un museo. Nicolae Ceauşescu, tra il 1975 ed il 1990 chiuse l'intera aerea, durante gli ultimi anni del regime comunista. L'area venne dichiarata "area cerimoniale di interesse", e le uniche persone ammesse nella proprietà erano operai addetti alla manutenzione e personale militare.
    A Ceauşescu non piaceva molto il castello, infatti le sue visite furono rare. Dopo Rivoluzione rumena del 1989, i castelli di Peleş e Foişor sono stati riconsiderati quale patrimonio della nazione e aperti al pubblico. Oggi, il castello di Foişor funge da residenza presidenziale. Il palazzo Economat e palazzo Chambers della Guardia, sono stati trasformati in alberghi e ristoranti. Alcuni degli altri edifici della Tenuta di Peleş sono stati trasformati in ville turistiche, mentre alcuni di essi sono considerate quali "costruzioni protocollo di Stato". Nel 2006, il governo rumeno ha annunciato la restituzione del castello all'ex monarca Michele I. I negoziati tra l'ex re e il governo rumeno iniziarono presto, ma non si sono ancora conclusi. Il castello ora viene affittato dalla famiglia reale allo stato romeno.
    Nel corso della sua storia, ha ospitato alcuni personaggi importanti: reali, politici e artisti. Una delle visite più memorabili fu quella dell'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria il 2 ottobre 1896, che in seguito ha scritto in una lettera:
    « Il Castello Reale è circondato da un paesaggio fantastico, con giardini disposti a terrazze, il tutto circondato da fitte foreste. Il castello in sé è impressionante per le ricchezze accumulate: quadri e mobili nuovi e antichi, armi, ogni sorta di curiosità, il tutto disposto secondo un gusto raffinato. Abbiamo fatto una lunga escursione in montagna, un pic-nic sull'erba ascoltando musica gitana. Durante la nostra gita abbiamo fatto molte fotografie, e l'atmosfera era sempre estremamente piacevole. »
     
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  8. gheagabry
     
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    Castello di São Jorge



    Il Castello di São Jorge è un castello moresco che occupa una collina che domina il centro storico della città portoghese di Lisbona, sul fiume Tago.
    L'area del castello è di forma quadrata e originariamente era completamente circondata da mura, formando così la cittadella. L'entrata principale della cittadella è costituita da un cancello del XIX secolo con lo stemma del Portogallo, il nome della Regina Maria II e con la data, 1846. Questo cancello dà accesso alla piazza principale (Praça D'Armas), decorata con vecchi cannoni e una statua di bronzo di Re Alfonso Enrico, colui che liberò il castello.
    Sul lato nord-est dell'area della cittadella, sul punto più alto, si trova il castello medievale, ultimo baluardo di difesa. È di forma rettangolare ed ha dieci torri. Un muro con una torre divide il cortile del castello in due parti connesse però con una porta. Oltre alle mura, il castello è protetto a sud e ad est da alcune barbacane (barbacä), dei muri bassi che impediscono alle armi da assedio di avvicinarsi alle mura principali del castello. I lati nord ed ovest invece sono protetti naturalmente dalla ripida collina. Il castello è parzialmente circondato da un fossato, ora prosciugato. L'entrata principale è costituita da un ponte di pietra. Sul lato ovest, vi è un lungo muro non portante che finisce alla Torre de Couraça che serviva per controllare la valle sottostante e poteva anche essere una via di fuga nel caso che il castello fosse conquistato dai nemici.

    … storia…


    Sebbene si sia a conoscenza che le prime fortificazioni sulle colline di Lisbona siano state erette dal II secolo a.C., ricerche archeologiche hanno mostrato che l'occupazione umana esiste almeno dal VI secolo a.C., di tribù autoctone Celtiche e Iberiche, con probabili influenze da parte dei Fenici, Greci e dei Cartaginesi e in seguito dei Romani, Suebi, Visigoti e Mori. Nell'VIII sec. d.C. Lisboa era musulmana, e si chiamava Al-Ushbuna. Il castello vero e proprio risale al XI-XII secolo, quando Lisbona era un importante porto arabo. Il castello e la città di Lisbona furono liberate dal controllo dei Mori da Afonso Enrico che riuscì grazie all'aiuto dei crociati della Seconda Crociata. L'Assedio di Lisbona ebbe luogo nel 1147, fu l'unico successo di quella Crociata. Secondo una famosa leggenda, il cavaliere Martim Moniz, notando che una delle porte del castello era aperta, impedì che la porta si chiudesse di nuovo con il suo corpo, sacrificando la sua vita ma permettendo ai Cristiani di entrare nel castello.
    Il castello aiutò Lisbona ad impedire successive incursioni moresche alla fine del XII secolo. Quando Lisbona divenne la capitale del regno, nel 1255, divenne la sede del Palazzo Reale (l'Alcáçova), rinnovato attorno al 1300 da Re Dionigi I.
    Divenne il luogo prescelto per ricevere personaggi illustri nazionali e stranieri, per realizzare feste e per proclamare i sovrani nel corso del XIV, XV e XVI secolo. Il castello fu dedicato a San Giorgio nel tardo XIV secolo da Giovanni I, sposato con la Principessa inglese Filippa di Lancaster. Il santo guerriero, rappresentato mentre combatte il drago, era popolare in entrambe le nazioni. Tra il 1373 e il 1375, re Ferdinando I ordinò la costruzione della Nova Cerca o Cerca Fernandina, mura che chiudevano per la totalità del castello. Completato in due anni, aveva 77 torri e un perimetro di 5.400 metri.
    Dal XIV secolo agli inizi del XVI secolo, una delle torri (la Torre de Ulisses o Torre Albarrä) del castello ospitò l'archivio del Regno. Per questa ragione, l'Archivio Nazionale del Portogallo è ancora oggi chiamato Torre do Tombo, cioè Torre dell'Archivio. Eminenti cronisti come Fernão Lopes e Damião de Góis lavorarono qui. Come Palazzo Reale, il castello fu il luogo dell'incontro tra il navigatore Vasco da Gama, scopritore della via marina per l'India, e Re Manuele I nel 1498. Inoltre nel 1502 il castello fu teatro di un'esibizione del famoso scrittore di opere teatrali Gil Vicente che recitò il suo Monólogo do Vaqueiro in onore della nascita del figlio ed erede di Re Manuele I, il futuro Re Giovanni III. Fra il XIII e l'inizio del XVI secolo il Castello fu la residenza lisbonese dei regnanti portoghesi e della loro corte.

    Agli inizi del XVI secolo, Manuel I costruì un nuovo Palazzo Reale nei pressi del fiume Tago - il Palazzo Reale Ribeira - il vecchio castello medievale iniziò a perdere importanza. Un terremoto nel 1531 danneggiò il castello. Nel 1569, Re Sebastiano, ordinò la ricostruzione del Palazzo Reale per poterlo usare come sua residenza. A seguito dell’integrazione del Portogallo alla Corona di Spagna, nel 1580, il palazzo fu usato come prigione e caserma.
    Fu in gran parte distrutto dal terremoto del 1755. Dal 1780 al 1807 fu la sede dell'organizzazione caritatevole Casa Pia, che si occupava dell'educazione dei bambini disagiati. Nel 1788 il primo osservatorio geodetico del Portogallo venne creato nella Torre do Observatório.
    Dopo essere stato dichiarato monumento nazionale nel 1910, nel corso del secolo scorso è stato oggetto di importanti interventi di restauro La maggior parte delle strutture contrastanti con lo stile della costruzione, aggiunte nei secoli, vennero demolite.
     
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  9. gheagabry
     
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    IL CASTELLO DI LINDISFARNE


    Il Castello di Lindisfarne risale al XVI secolo, è situato sulla Holy Island, nei pressi di Berwick upon Tweed, Northum-
    berland, in Inghilterra. Lindi-
    sfarne e’ un’isola tidale ovvero con l’alta marea e’ un’isola a tutti gli effetti, mentre con la bassa marea e’ facilmente raggiungibile a piedi o con la macchina. Il Castello è uno dei tratti più caratteristici e suggestivi dell'isola e può essere visto per molti chilometri intorno.
    Il castello si trova in quella che fu la zona di confine molto volatile tra Inghilterra e Scozia. Non solo gli inglese e gli scozzesi combatterono, ma la zona fu spesso attaccata dai Vichinghi.

    La posizione di Lindisfarne nel Mare del Nord era vulnerabile agli attacchi da scozzesi e norvegesi, e dai tempi di Tudor era chiaro che vi era bisogno di una fortificazione più forte. Il castello fu costruito nel 1550, nel periodo in cui Il Priorato di Lindisfarne decadde, dopo che Enrico VIII soppresse il convento. Nel 1542 Enrico VIII ordinò il conte di Rutland per fortificare il sito da eventuali invasione scozzese.Tuttavia, non fu fortificata fino il 1549 e si dice che le pietre dell'Abbazia furono utilizzate come materiale da costruzione ma, è interessante notare che, il Priorato rimase in piedi fino a buona parte del XVII secolo, quando crollò per negligenza. Inoltre, il numero di pietre che furono usate per il castello è notevole rispetto a quelli che sarebbero stati disponibili in loco priorato. Una caratteristica molto interessante di recente scoperta è stato il rifacimento di pareti esposte a nord, che hanno caratterizzato l'uso di peli di Yak. Furono usati probabilmente, per ridurre l'erosione alle pareti causati da acqua piovana che scende le ripide pareti. E' un castello molto piccolo se lo confrontiamo con altri, ed è stato più di una fortezza. Il castello si trova sul punto più alto dell'isola, un tumulo vulcanico nota come Beblowe Craig. Quando Giacomo I salì al potere in Inghilterra, unendo i troni scozzesi e inglesi, la necessità per il castello diminuì. In questo periodo il castello era ancora presidiata da Berwick e protetto il piccolo Lindisfarne Harbour.
    Nel XVIII secolo il castello fu occupato per breve tempo dai ribelli giacobiti, ma fu subito riconquistato dai soldati di Berwick che imprigionarono i ribelli; fuggirono scavando la loro via d'uscita e si nascosero per nove giorni vicino al vicino Castello di Bamburgh.
    Negli anni successivi il castello fu utilizzato come guardia costiera ed è diventato una sorta di attrazione turistica.
    Nel 1901, divenne proprietà di Edward Hudson, un magnate dell'editoria e il proprietario della rivista Country Life. Si narra che Hudson e l'architetto si imbatterono nell'edificio durante un tour Northumberland e scavalcarono il muro di esplorare l'interno. Hudson lo restaurò e creò un giardino recintato, che in origine era stato orto del presidio, èda amico di lunga data Lutyens 'e collaboratore, Gertrude Jekyll tra il 1906 e il 1912. . Tra il 2002 e il 2006 è stato restaurato il disegno di impianto originale di Jekyll che ora si tiene nella collezione Reef presso la University of California, Berkeley.

    ...Holy island...


    L'Isola Sacra di Lindisfarne, comunemente nota solo come Holy Island, si trova nel nord-est dell'Inghilterra, sulla costa del Northumberland, appena sotto il Vallo di Adriano ed il confine con la Scozia. Come molti altri luoghi considerati sacri, è un'isola tidale. Forse questa sua caratteristica concorre alla sua sacralità: nei tempi antichi il mare era considerato una forza oscura e potente, incontrollabile ed indomabile, e veniva venerato come una divinità, una divinità temibile, di cui si cercava di ingraziarsi la benevolenza, ma che poteva anche donare nutrimento e salvezza.
    E' un luogo che non appartiene né alla terra né al mare, non era sempre accessibile, almeo non da tutti, che a tratti si isolava, si staccava dal resto del mondo, permettendo non solo la più totale introspezione, ma anche la più selvaggia comunione con il creato. Quasi come la Avalon delle leggende arturiane, nascosta e protetta dalla nebbia, accessibile solo di rado, solo da chi la cerca o da chi vi si imbatte per caso.
    Il Priorato di Lindisfarne ci ricorda il perché questo posto porti il suo nome. L'abbazia fu fondata nel VI secolo, agli albori della Cristianità, quando vi era ancora confusione se in realtà i Santi fossero preti o druidi. Il manufatto più importante che i suoi monaci hanno lasciato sono i cosiddetti Vangeli di Lindisfarne, una copia manoscritta in latino e riccamente illustrata, che attualmente è conservata presso la British Library a Londra.
    Dell'abbazia oggi non restano che rovine. Il monastero di Lindisfarne fu fondato da monaco irlandese San Aidan, che era stato mandato, al largo della costa occidentale della Scozia alla Northumbria, su richiesta di Re Oswald. Il convento fu fondato prima della fine del 634 e Aidan vi rimase fino alla sua morte nel 651. Il convento rimase l'unica sede vescovile in Northumbria per quasi trent'anni. Finian costruì una chiesa di legno "adatto per la sede di un vescovo". San Beda però criticò il fatto che la chiesa non fosse costruita in pietra, ma solo di quercia, paglia e canne. Più tardi, il vescovo Eadbert rimosse il tetto di paglia e ricoprì entrambe le pareti e il tetto in piombo. Lindisfarne divenne la base per evangelizione cristiana nel nord dell'Inghilterra. I monaci della comunità irlandese Iona si stabilirono sull'isola. Eadberht di Lindisfarne, il prima vescovo fu sepolto nel luogo e il suo il corpo venne riesumato, quando il convento fu abbandonato alla fine del IX secolo. Il convento fu rifondato in epoca normanna nel 1093 come casa benedettina e ha continuato fino alla sua soppressione nel 1536 sotto Enrico VIII.
     
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  10. gheagabry
     
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    "Le scogliere calcaree del White Rocks terminano bruscamente
    contro uno sperone di basalto scuro,
    che è maestosamente coronato dal Dunluce Castle."


    DUNLUCE CASTLE



    Dunluce Castle è uno dei monumenti storici più rappre-
    sentativi di Irlanda del Nord, arroccato sulla costa di Antrim a nord su un promon-
    torio roccioso drammatico. Costruzione tardo-medievale e del XVII secolo è circondato da rocce spaventosamente ripide su entrambi i lati.


    "il ponte rinforzato da un arco in pietra muraria. Una volta era solo uno stretto passaggio naturale che rendeva la fortificazione inespugnabile. Da qui vedo il mare fragoroso alzarsi e arricciarsi sulla costa. Proseguo sino a varcare l’ingresso vero e proprio del castello. Le difese della parte più antica del maniero hanno mura esterne possenti e due torri con due angoli giro. Il corpo originale venne distrutto da un cannone nel 1584 e poi ricostruito in stile scozzese.
    Cammino sino alla fila di colonne: in origine erano parte della Loggia che dava su un giardino elegante del XVI secolo. A causa dello sfaldarsi della roccia su cui posa la costruzione, la Manor House venne spostata in una posizione più centrale intorno al 1630. Era costituita da una Grande Hall con due enormi caminetti e tre finestre ad arco e una scalinata in legno che portava agli appartamenti privati. Nella zona nord c’era una dispensa, una stanza per le stoviglie e una vecchia cucina. Ma la parte che mi affascina di più e mi fa immaginare gli antichi proprietari è il vecchio tunnel proprio sotto la Torre a nord-est. Il passaggio segreto porta alla spiaggia e sembra che sia più vecchio del castello di 500 anni. Lì sotto venivano nascoste navi e imbarcazioni per raggiungere Rathlin Island o la Scozia. Continuo verso la Corte della Cucina con i laboratori al pianterreno, dove i pavimenti di basalto sono irregolari, e gli appartamenti al piano superiore che conservano pietre tagliate d’arenaria. Alla fine della roccia, le mura hanno perso la loro forza: nei secoli sono state attaccate dal mare che le ha indebolite ed erose sino a privarle della loro maestosità. Torno indietro sui miei passi guardano il cielo limpido che fa da soffitto al castello. Riattraverso il ponte e seguendo le indicazioni e le scale scendo sulla spiaggia. Da qui vedo chiaramente la grotta che, per paura di frane, è vietata al pubblico. Dal mare ancora in burrasca, ascolto raccontarmi le gesta dei clan che si sono succeduti nei secoli. E in brivido di freddo rivivo per un istante le loro gesta eroiche."
    (Andrea Lessona, www.ilreporter.com)


    L'interpretazione del nome, deriva da dun-lois, una combinazione di dun, 'forte', usato aggettivo e lois, la parola normalmente tradotta era 'anello forte', residenza fortificata.

    ...storia...



    Nel XIII secolo Richard Óg de Burgh, secondo conte dell'Ulster, fece costruire il primo castello a Dunluce. Si trattava semplice-
    mente di due torri di 9 metri di diametro.
    Verso la fine del XIII secolo, la famiglia McQuillan prese il controllo dell'area di Dunluce e del castello fino a che, dopo aver perso due grandi battaglie contro il clan dei MacDonald, cedettero a questi ultimi il controllo della regione.
    La prima testimonianza scritta del risale al 1513. In seguito il castello di Dunluce divenne la dimora del capo del clan dei MacDonnell di Antrim alleatosi con una nuova stirpe di MacDonald proveniente da Dunnyveg, in Scozia. Nel 1584, con la morte di James MacDonald, sesto capo del clan MacDonald di Antrim e Dunnyveg, la vallate di Antrim vennero occupate da Sorley Boy MacDonnell, uno dei suoi fratelli minori. Sorley Boy si impadronì del castello e lo ristrutturò in base al tipico stile scozzese. Tra le altre cose, Sorley Boy giurò fedeltà alla regina Elisabetta I, e ciò permetterà a suo figlio Randal di essere nominato poi primo conte di Antrim dal re Giacomo I. Nonostante le continue guerre, nel corso del XVI secolo, il castello vide molti cambiamenti architettonici e integrazioni. Dunluce raggiunse il suo apice nei primi anni del XVII secolo, con Randal MacDonnell, primo conte di Antrim. Quattro anni dopo, il galeone Girona della marina spagnola affondò a causa di una tempesta nelle acque davanti al castello. I MacDonnell si impadronirono del cannone dell'imbarcazione e vendettero il carico recuperato dal mare per pagare la ristrutturazione del castello. La struttura è stata assediata più volte lungo il corso della storia, come nel 1584, quando la regina Elisabetta voleva arrestare Sorley Boy MacDonnell, capo clan scozzese che lo abitò nel 1500. Durante questo periodo furono costruiti degli edifici della terraferma che formarono un piccolo paese. Nel 1641 fu la volta dell’esercito irlandese che distrusse il villaggio di Dunluce ma, fortunatamente, non il castello.
    Nel 1642 anche il Generale Munro in compagnia di un migliaio di soldati ha saccheggiato il Dunluce Castle. E nonostante l’incendio che nel 1641, devastò il villaggio di Dunluce, sono ancora visibili pezzi delle antiche mura. Nelle vicinanze della fortezza, si trovano delle rovine dell’antica chiesa di St. Cuthbert, che prende il nome da un monaco della Northumbrian e il – possibile – luogo di sepoltura di marinai e nobili dell’Armada spagnola. Recenti indagini archeologiche stanno cominciando a portare alla luce Dunluce Town, rivelando splendidi resti archeologici di strade acciottolate e case di mercanti. Dunluce sarà la dimora dei conti di Antrim fino all'impoverimento della famiglia MacDonnell, che raggiunse il suo culmine nel 1690, come conseguenza della Battaglia di Boyne. Durante il dominio dei MacDonnell, parte della cucina del castello collassò in mare. Secondo una leggenda, solo uno sguattero presente nella stanza sopravvisse all'incidente, in quanto l'angolo della stanza in cui era seduto fu l'unico a non crollare in acqua. La moglie del proprietario si rifiutò di vivere ancora nella struttura e da quel momento il castello fu abbandonato e molte sue parti vennero saccheggiate per poter costruire altri edifici nelle vicinanze.
    Il Dunluce Castle è stato donato al governo dell’Irlanda del Nord dal Conte di Antrim nel 1928, per essere conservato come monumento nazionale.


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  11. gheagabry
     
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    CASTELLO de HAAR



    Il castello De Haar È un castello in stile neogotico, il più grande e il secondo più visitato dei Paesi Bassi, dopo Muiderslot. Si trova in una zona di boschi e laghi vicino al villaggio di Haarzuilens, circondato da un fossato e un vasto parco di 445 ettari. Risalente al XIII-XIV secolo e ricostruito nella forma attuale tra il 1892 e il 1912 su progetto dell'architetto Pierre Cuypers. È il più grande castello dei Paesi Bassi. Il castello si trova nella via chiamata "Kasteellaan", nella parte occidentale del villaggio.

    Il castello, che fu eretto su depositi alluvionali del fiume Reno, è menzionato per la prima volta nel 1391, ma le sue origini risalgono forse al XIII secolo. All'epoca, l'edificio fu di proprietà della famiglia dei Van de Haar.
    Nel 1449, dopo la morte di Josyna van de Haar, che andò in sposa a Dirk van Zuylen, il castello divenne di proprietà della famiglia Van Zuylen van Nijevelt. L'edificio fu distrutto nel 1482 durante le lotte tra il vescovo e la città di Utrecht e in seguito ricostruito. Il castello si salvò dalla distruzione delle truppe francesi durante il Rampjaar nel 1672.
    Rampjaar significa anno del disastro, fa riferimento al 1672 quando l’esercito della Repubblica delle 7 Provincie Unite fu sconfitto in seguito all’attacco dell’Inghilterra, Francia, Baviera, Colonia e Monaco e una grande parte della repubblica fu invasa.
    Nel 1890, il castello, di cui esistevano soltanto delle rovine, fu ereditato da Étienne van Zuylen van Nijevelt, che sposò tre anni prima la baronessa francese Hélène Carline Betsy de Rothschild. La restaurazione fu il regalo di nozze che il barone ricevette da sua moglie. La nuova coppia di proprietari decise di ricostruire l'edificio, affidando il progetto al famoso architetto Pierre Cuypers. La ricostruzione durò vent'anni, dal 1892 al 1912. Le vecchie mura sono incorporate nella nuova costruzione del XIX secolo, Cuypers sottolineò la differenza tra il nuovo e il vecchio utilizzando un altro tipo di mattone per le nuove mura.
    Poiché la famiglia De Rothschild finanziò l’intera restaurazione del castello, all’interno sono presenti molti dettagli della famiglia come le stelle di David nei balconi della Sala dei Cavalieri, il motto della famiglia al centro della sala (a majoribus et virtute) e lo stemma della famiglia al centro della biblioteca. In un angolo della galleria del primo piano Cuypers fece mettere la propria statua.
    Gli interni del castello De Haar sono decorati con intagli in legno simili a quelli di una chiesa cattolica. Sono arredati con molte opere delle collezioni della famiglia De Rothschild. Tra queste antiche porcellane del Giappone e della Cina, antichi arazzi fiamminghi e quadri con illustrazioni religiose e una portantina del XVIII secolo della famiglia Tokugawan, Shogun giapponesi. Rimane solo un’altra portantina di una donna del Shogun nel mondo, è conservato nel museo di Tokyo.
    All’interno della Sala del Signore, alle estremità delle travi del soffitto ci sono delle punte dette “acchiappa fantasmi” perché si credeva che servissero per imprigionare i fantasmi durante la notte. Nella Sala da Ballo, il soffitto è in stile Art Nouveau decorato con fogli d’oro di 14 carati e illuminato da lampadine sospese, fu il primo esempio del lusso del XIX secolo.Le mattonelle della cucina sono decorate con gli stemmi delle famiglie che sono state proprietarie del castello, Van de Haar e Van Zuylen, furono realizzate specificamente per il castello a Franeker.

    Per realizzare il parco, nel XIX secolo, venne demolito il villaggio Haarzuilens, ad eccezione della chiesa che oggi è la cappella del castello. Fu costruito un nuovo villaggio a un km dal castello utilizzando i colori della famiglia Van Zuylen, il rosso e il bianco, che ancora oggi rimangono nel castello e nelle case di Haarzuilens.Il parco, progettato da Hendrik Copijn, ha molti giochi d’acqua e un giardino formale simile a quello di Versailles in stile barocco e paesaggi in stile inglese. Durante la seconda guerra mondiale molti dei giardini andarono persi perché il legno veniva utilizzato per accendere fuochi e il terreno per coltivare ortaggi. Oggi sono stati ripristinati.

    Nel 2000 la famiglia Van Zuylen van Nyevelt donò la proprietà del castello e i 45 ettari di giardini alla fondazione Kasteel de Haar, mentre il terreno circostante di 400 ettari fu acquistato dalla società olandese Natuurmonumenten.

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  12. gheagabry
     
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    Il castello di Mothe-Chandeniers



    Il Château de la Mothe- Chandeniers è un edificio medievale che si trova nel bel mezzo di un grande bosco nei pressi del paese di Les Trois-Moutiers, nella regione di Poitou-Charentes, in Francia.

    Il castello risale al XIII secolo, quando era la roccaforte della famiglia Bauçay, dipendente direttamente dal Re di Francia. Dopo la morte di Mary Jean Bauçay Rochechouart, passò a François de Rochechouart. Nel 1668, fu costretto ad abbandonare La Mothe ai suoi creditori. Durante il Medioevo fu conquistato per ben 2 volte dagli inglesi, per divenire uno dei luoghi più celebri per sontuose feste e vasti ricevimenti. Durante la Rivoluzione Francese fu saccheggiato e abbandonato.
    François Hennecart, ricco imprenditore parigino, lo acquistò nel 1809 e decise di restaurare il castello e i dintorni. Furono scavati canali, tracciato sentieri e piantato una vigna. Nel restauro fu mantenuta gran parte della costruzione medievale. Alla morte lasciò il castello in eredità a sua figlia Alexandrine Hennecart, sposata a Jacques Ardoin. Il castello venne ereditato dalla terza figlia, Marie Ardoin, che sposò nel 185,7 Edgard Baron Lejeune, scudiere all'imperatore Napoleone III, che intorno al 1870, iniziò una ricostruzione massiccia in gusto romantico, come da modello di Ludovico II. Il restauro si ispirò ai castelli della Loira, con l'acqua che circondava il castello.

    Il 13 marzo 1932, mentre il barone Robert Lejeune aveva appena installare il riscalda-
    mento centrale, scoppiò un violento incendio. I vigili del fuoco provenienti da tutta la regione non furono in grado di evitare il disastro. Solo la cappella, la colombaia e annessi furono stati risparmiati. Le Figaro nella sua edizione del 14 marzo, descrive la ricchezza distrutta: " Una biblioteca di libri rari, arazzi di Gobelins, mobili antichi e preziosi dipinti" Nel 1963, dopo la guerra in Algeria , industriale in pensione Jules Cavroy acquistò la tenuta (2000 ettari compresi 1.200 foresta di terreni agricoli e 800) alla vedova del barone Lejeune. Nel 1981 fu acquistato da Marc Demeyer, un insegnante francese, che tentò di restaurarlo, senza successo. I terreni vicini all’edificio furono acquistati dal Crédit Lyonnais, e venduti in lotti separati nell’ambito di un’evidente speculazione edilizia. Su alcuni giornali francesi si avanzò l’ipotesi che lo stesso istituto finanziario avesse impedito il restauro del castello, per scopi ancora non del tutto chiari. Il castello fu abbandonato al proprio destino.


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  13. gheagabry
     
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    IL CASTELLO DI SEGOVIA


    L'Alcázar di Segovia è una fortezza risalente al periodo della dominazione araba, tra il XI e inizio XII secolo, ma molto probabil-
    mente di origine romana, ampliata nel 400 e quasi completamente ricostruita nel 1862, è posto su un'altura situata ai margini della Sierra de Guadarrama nella città spagnola di Segovia. Il castello è situato su una scogliera a forma di prua di nave, che si trova alla confluenza dei fiumi Eresma e Klamores, vicino alle montagne di Guadarrama.
    L'alcázar fu residenza reale, accademia militare e prigione di Stato.
    Il castello racchiude in sé quattro diversi stili: romanico, gotico, mudejar, rinascimentale; comprende un patio, un fossato, il ponte levatoio e al suo interno una cappella e varie sale nobili che contengono le effigi di tutti i re di Spagna. Fu una fortezza inespugnabile per secoli, per questo era la chiave per il dominio della Castiglia.
    Ospita al suo interno un museo con numerose opere d’arte, armi e armature. Il castello ha ispirato i disegni di diversi castelli della Disney

    ...storia...


    Non si conosce la data di edificazione dell’Alcazar di Segovia, né chi ne fu il fondatore. Probabilmente risale alle origini della stessa città di Segovia, prima dell’arrivo dei romani. Ma già in epoca visigota esisteva al posto dell’Alcàzar una rocca eretto dai Romani che fu trasformata dagli Arabi in una poderosa fortezza.
    La fortezza è menzionata per la prima volta in un documento del 1122. Venne fatta costruire da Alfonso VI dopo la "Reconquista cristiana" e sostituì un edificio preesistente, eretto dai Romani, Visigoti e Arabi. Nel Medioevo è stata una delle dimore preferite dai re castigliani, nonché una fortezza chiave per il dominio della Castiglia. Nel XIII secolo Alfonso X El Sabio la scelse come propria residenza preferita. Nel secolo successivo a causa di scontri tra casate nobiliari, vennero rinforzate le mura e ampliato il sistema difensivo. Le modifiche vennero utilizzate dai re della dinastia Trastamara per costruire un congiunto di saloni secondo lo stile degli alcazares andalusi con decorazioni gotico-mudejar.
    Tra il 1352 e il 1358 venne ricostruita da Enrico II. Durante il regno di Juan II, nel XIV secolo, vennero organizzate grande feste cortigiane. Il re fece inoltre costruire la Torre del Homenaje con pianta quadrata sovrastata da quattro torreoni. La bellezza del castello aumentò grazie a Enrico IV, noto come “El Impotente”,e quando nel 1474 Enrico IV di morì, lasciando una figlia, illegittima ma, la sorellastra diciassettenne di Enrico, Isabella la Catolica, si fece proclamare regina nell’Alcàzar di Segovia, chiamando il vescovo per dare legittimazione religiosa alla sua incoronazione.
    Altre opere vennero poi realizzate da Felipe II, il quale nel 1570 celebrò nell’alcazar le sue nozze con la sua quarta moglie, Ana di Austria.
    Fino al 1764, il castello venne utilizzato come prigione di stato. Poi divenne la sede del Real Colegio de Artilleria fondata nel 1762 da Carlos III. Il Colegio venne trasferito nel 1862 nel Convento di San Francisco di Segovia in seguito ad un incendio che distrusse diverse parti dell’alcazar.
    Fu in parte ricostruito vent’anni più tardi in forme abbastanza fedeli all’originale, ma con alcuni interventi di gusto eclettico, visibili soprattutto nelle coperture. L’architetto che curò la ricostruzione fu A. Bermelo. In seguito alla restaurazione, venne installato al suo interno nel 1898 l’Archivio Generale militare.
    Nel 1931 venne dichiarato monumento storico artistico e nel 1953 venne fondato il Patronato del Alcazar de Segovia, responsabile della conservazione del castello e del museo che può essere visitato al suo interno.

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  14. gheagabry
     
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    "...vent'anni nell'oblio..."


    IL CASTELLO DI SAMMEZZANO


    Il castello di Sammez-
    zano, circondato da un ampio parco si erge sopra al paese di Leccio. L'edificio principale è una costru-
    zione eclettica in stile moresco ed è stata edificata nel 1605 per volere della famiglia Ximenes D'Aragona. La tenuta passò in eredità a Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona che lo riprogettò tra il 1853 e il 1889 facendone il più importante esempio di architettura orientalista in Italia. Nonostante Ferdinando non si fosse mai recato in oriente, grazie alle fonti bibliografiche e alla sua grande immaginazione, riuscì a creare 365 sale con architetture moresche e orientaleggianti, un ibrido di stili e di gusti. Ceramiche, archi, arabeschi e colori sgargianti realizzati nelle stanze interamente ornate di decorazioni geometriche da una squadra di abilissimi muratori e artigiani diretti da Ferdinando. Il marchese, esperto ed appassionato non solo di architettura ma anche di botanica, realizzò un’ampia area di circa 65 ettari, il cosiddetto Parco Storico, dove collocò oltre 130 piante rare ed esotiche che dovevano introdurre gli ospiti alle meraviglie dello stile “moresco” della Villa-Castello. Dopo la morte di Ferdinando Sammezzano, il castello perde la sua anima. Razziato dai nazisti, durante la seconda guerra mondiale che rubarono statue e fontane, dal 1970 al 1990 venne adibito a hotel di lusso senza grande successo. Nonostante la vendita all’asta del 1999, vinta da una società inglese, e alcuni urgenti lavori di restauro, oggi è in stato di abbandono, vittima di sciacalli. Grazie al gruppo di volontari, il castello è stato reso visitabile una o due volte all’anno, richiamando curiosi da tutta Europa. Oggi il degrado di Sammezzano è visibile dall’esterno, testimoniato dai danni dei vandali e del tempo. Una bellezza inestimabile che rischia di scomparire se non verrà salvata da qualcuno.
    Fu il Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona a progettarne l’aspetto attuale, realizzando tra il 1853 e il 1889 un’insolita e splendida struttura in stile moresco, l’arte islamica diffusasi nel Mediterraneo Occidentale tra la fine dell'XI secolo e la fine del XV. Il risultato fu un castello dall’architettura visionaria, coloratissima, che catapulta in uno scenario da Mille e una Notte. Se la facciata richiama alla mente il mausoleo indiano Taj Mahal, gli interni si ispirano nelle decorazioni all'Alhambra di Granada. Numerose e tutte diverse sono le stanze che racchiude al suo interno: tra queste spiccano la sala dei Pavoni, la galleria fra la sala degli Specchi e l'ottagono del Fumoir, la sala Bianca e persino una piccola cappella, andando a creare un incredibile labirinto di colori. Le pareti rivestite di mattoni, stucchi, piastrelle che furono realizzate “in loco” con mano d'opera locale seguendo l'onda della corrente culturale definita “Orientalismo” che si diffuse in tutta Europa dall'inizio dell'Ottocento e che vide in Firenze uno dei principali centri, Ferdinando iniziò a modificare la struttura esistente e realizzare nuove sale: la Sala d’'ngresso nel 1853, nel 1862 il Corridoio delle Stalattiti, la Sala da Ballo nel 1867 fino alla Torre centrale che riporta scolpita la data del 1889
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    ….il parco….


    Il parco è tra i più vasti della Toscana, venne costruito a metà dell'Otto-
    cento sfruttando terreni agricoli attorno alla sua proprietà e un ragnaia di lecci. Vi sono una grande quantità di specie arboree esotiche, come sequoie e altre resinose americane, mentre l'arredamento architettonico fu realizzato con elementi in stile moresco quali un ponte, una grotta artificiale (con statua di Venere), vasche, fontane e altre creazioni decorative in cotto. Il parco è un patrimonio botanico inestimabile formato non solo dalle specie arboree introdotte ma anche da quelle indigene. Solo una piccola parte delle piante ottocentesche è giunta ai giorni nostri: già nel 1890 delle 134 specie botaniche diverse piantate alcuni decenni prima, ne erano sopravvissute solo 37. Recentemente si è iniziato a rimettere in dimora alcune delle essenze andate perdute in un progetto di restauro che valorizzi la ricchezza botanica originale: sono presenti oggi esemplari di araucaria, tuja, tasso, cipresso, pino, abete, palma,yucca, querce, aceri, cedro dell'Atlante, cedro del Libano, bagolaro, frassino, ginepro, acacia, tiglio e numerose piante di interesse floriculturale. Nel parco si trova il più numeroso gruppo di sequoie giganti in Italia, con ben 57 esemplari adulti, tutti oltre i 35 metri; fra queste la cosiddetta "sequoia gemella", alta più di 50 metri e con uno circonferenza di 8,4 metri, che fa parte della ristretta cerchia dei 150 alberi di "eccezionale valore ambientale o monumentale".

    ….FERDINANDO PANCIATICHI XIMENES…..



    Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona, fu uomo protagonista della vita culturale, sociale e politica di Firenze, dal 1850 al 1870 quando divenne capitale d’Italia.
    Fu Socio onorario dell’Ordine degli Architetti e Ingegneri di Firenze, collezionista botanico, bibliofilo, imprenditore, politico e intellettuale poliedrico. Fece donazioni o collaborò con le istituzioni culturali di Firenze: l’Accademia di Belle Arti, il Museo del Bargello, gli Uffizi, l’Accademia dei Georgofili, la Società Toscana di Orticultura. Il suo archivio avente rilevanza pubblica fu donato nel 1888 alla Biblioteca Nazionale. In campo politico fu un combattente durante i moti del ’48 e un fedele sostenitore della causa nazionale. Fu inoltre Consigliere della Comunità di Firenze fino al 1865, di Reggello e Rignano sull’Arno, membro del Consiglio Compartimentale poi Consiglio Provinciale dal 1860 al 1864 e Deputato del Regno nella IX e X Legislatura fino al 1867, anno in cui rassegnò le proprie dimissioni.

    La sua figura è, infatti, legata soprattutto al Castello di Sammezzano al quale dedicò metà della sua vita. Nella “Sala Bianca” del Castello di Sammezzano campeggiano due frasi in spagnolo: “Nos contra Todos – Todos contra Nos” (Noi contro Tutti – Tutti contro di Noi), quasi un programma e una promessa.

    ..storia, miti e leggende..



    La storia del luogo viene fatta risalire all'epoca romana. Lo storico Robert Davidsohn, nella sua Storia di Firenze, afferma che nel 780 potrebbe esserci passato Carlo Magno di ritorno da Roma, dove aveva fatto battezzare il figlio dal Papa. Nel 1878 è documentata una visita da parte del re Umberto I. Appartenuto alla famiglia fiorentina dei Gualtierotti fino al 1488, il castello divenne poi proprietà di Bindo Altoviti e di Giovanni de' Medici. Nel 1564 il Granduca Cosimo I stabilì la bandita di Sammezzano, un ampio territorio dove era proibito pescare o cacciare senza permessi, per poi donare la tenuta al figlio Ferdinando, futuro Granduca di Toscana. Durante il ‘600 il castello venne acquistato dagli Ximenes d'Aaragona, per poi passare in eredità ai Panciatichi nel 1816.
    In un cabreo redatto dall'ingegnere Giuseppe Faldi nel 1818 il castello appare come una struttura di consistente volumetria, con bastione e scalinata d'entrata, nella parte opposta a quella delle attuali scale di accesso e di cui oggi non c'è più traccia. Quando passò in eredità a Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona, lo riprogettò tra il1853 e il 1889. In circa quaranta anni il marchese progettò, finanziò e fece realizzare il parco e il castello di Sammezzano, il più importante esempio di architettura orientalista in Italia.
    Nel dopoguerra è stato adibito a hotel di lusso. Nonostante la vendita all'asta del 1999 e alcuni urgenti lavori di restauro, è in stato di abbandono. . Nell'ottobre 2015 il castello è stato nuovamente messo all'asta a causa del fallimento della società italo-inglese che lo acquistò nel 1999
    Nell’ attuale degrado e sciacallaggio fu rubato uno dei due ”leoni piangenti” di terracotta risalenti al 1887, nonostante sia colpito da un’antica maledizione che predice a chi li viola, una morte analoga a quella subita dal padrone Ferdinando, deceduto nel 1897 per una paralisi progressiva.


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  15. gheagabry
     
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    « Poi che il Romano Uccello lo stendardo
    latino impose su l'itale terre,
    surgesti minaccioso baluardo. »
    (Guido Gozzano, il Castello di Agliè, vv 1-3)


    Il Castello di Aglie’


    Il Castello Ducale di Aglié si trova a poco più di 30 chilometri da Torino. Situato nell’ omonimo comune, fa parte delle Residenze Sabaude del Piemonte. Si tratta di un edificio dallo stile architet-
    tonico particolare in quanto somma di diversi stili che si sono succeduti nel corso dei secoli.
    Con i suoi ventimila metri quadrati di superficie sviluppati su quattro piani e altrettanti ammezzati, il Castello di Agliè è una delle più grandi dimore che la storia sabauda ci ha lasciato. Nei suoi saloni si conserva un enorme patrimonio di arredi, stimabile in oltre cinquemila oggetti. Gli fa corona un Giardino con labirinti, parterres, fontane, serre per le grandi piante di agrumi e un parco arricchito da piante plurisecolari, resti archeologici e un lago con un isolotto centrale. Il castello conta oltre 300 stanze, riccamente decorate e in parte arredate, come il favoloso salone da ballo centrale con affreschi del XVII secolo ed il salone d’ingresso con stucchi settecenteschi. Il castello è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO.

    Al suo interno si trovano delle sale uniche nel loro genere, come il “Museo delle Statue”, il magnifico Teatrino con gli arredi lignei integri, la Sala Cinese, dove si conserva una raccolta di oggetti. Negli ammezzati è allestito l’Ospedaletto, un vero e proprio ospedale militare realizzato negli anni della I Guerra mondiale. Il magnifico Teatrino, sorto sul luogo destinato in origine ad accogliere una cappella dedicata a S. Michele, mai compiuta, con gli arredi lignei integri e lo splendido corredo pittorico, è uno dei tesori più belli del castello
    La Sala Cinese conserva una raccolta di oggetti provenienti dall’Asia, con porcellane della Thailandia e altri oggetti tra i quali una statua di Buddha in oro. Nella stessa si trovano armature giapponesi del periodo Edo (1603-1867), appartenute a guerrieri di alto rango.
    Il “Museo delle Statue” o “Museo Tuscolano”, una Galleria d’arte d’eccezione, che raccoglie le antichità provenienti dagli scavi archeologici, condotti da Luigi Biondi nella Villa Tuscolana di Rufinella nei pressi di Roma, come quella che raffigura Enea con Anchise e Troilo che fugge da Ilio.
    La parte di giardino pensile, vicino al castello, conserva ancora oggi l´impianto tipico del giardino all´italiana. Il grande parco ad ovest realizzato tra il 1770 e il 1771, venne radicalmente trasformato dal Kurten nella prima metà dell´Ottocento secondo lo stile paesaggistico allora in voga.

    Il castello è stato usato come ambientazione per le serie televisive Maria José, Elisa di Rivombrosa e La bella e la bestia.

    …storia…



    Il nucleo originario del castello risale verosimil-
    mente al XII secolo, periodo in cui la dinastia dei San Martino si stava affermando nell’area canavesana. Nel XVI secolo il forte si presentava ancora di aspetto medievale, con un maschio centrale, una corte circondata da edifici rurali e un giardino, circondati da una robusta muraglia difensiva e da un fossato. Nel 1667 il conte Filippo San Martino, consigliere della Madama Reale Cristina di Francia, commissionò all'architetto reale Amedeo di Castellamonte la trasformazione della facciata sul giardino, il complesso della cappella di San Massimo, le due gallerie e il cortile. Nel 1764 i conti San Martino vendettero la proprietà ai Savoia, come appannaggio del secondogenito di Carlo Emanuele III, Benedetto Maria Maurizio, duca del Chiablese, e ne affidarono la ristrutturazione all'architetto Ignazio Birago di Borgaro che intervenne sugli interni realizzando ampi appartamenti. Il borgo stesso fu coinvolto nel vasto programma di rinnovamento, con l’edificazione dell’attuale parrocchiale, collegata al castello da una galleria coperta a due piani, tuttora esistente. Birago chiamò ad Agliè artisti cari alla corte torinese: i fratelli Filippo e Ignazio Collino per la statuaria delle fontane, lo stuccatore Giuseppe Bolina per gli apparati decorativi del grande atrio d’ingresso. Nei primi anni del XIX secolo, durante la dominazione napoleonica il castello fu trasformato in ospizio, il parco lottizzato e venduto a privati. A partire dal 1823 l'edificio rientrò a far parte dei possedimenti di Casa Savoia che, durante il regno di Carlo Felice, apportarono una significativa ristrutturazione degli interni, rinnovandone completamente gli arredi. La ristrutturazione venne affidata all'architetto Michele Borda di Saluzzo.
    Vennero eseguiti alti lavori, fra i quali il grande lago, il laghetto e le isole che modificarono radicalmente l'aspetto di giardino all'italiana, il tutto ad opera dell'architetto tedesco Xavier Kurten.
    La morte della vedova di Carlo Felice, Maria Cristina di Borbone-Napoli, avvenuta nel 1849, segnò il passaggio del castello a Carlo Alberto di Savoia-Carignano (Carlo Felice e Maria Cristina non ebbero eredi diretti), il quale lo lasciò al figlio cadetto Ferdinando di Savoia, duca di Genova, che nel 1939 lo vendette allo Stato italiano per 8 milioni di lire.

    ..la Famiglia San Martino d’Aglie’..



    La famiglia dei San Martino d’Aglie’ e’ tra le piu’ antiche della nobilta’ piemontese, discendente da re Arduino. Il conte Filippo Giuseppe San Martino d'Agliè è noto, oltre che consigliere politico della duchessa, letterato, musicista e coreografo, per essere stato l’amante della prima Madama Reale, Cristina di Francia, dal 1630 fino alla morte di lei. Filippo fin da giovane dimostrò un carattere libero e impetuoso: venne mandato dal padre a Roma dal cardinale Maurizio di Savoia dopo aver sfidato a duello un conte locale. E proprio frequentando la casa del mecenate Maurizio che Filippo sviluppò l’interesse e l’amore per il teatro, la musica e la letteratura che non l’abbandono’ per tutta la vita.

    Filippo e Cristina si incontrano a Cherasco, nel 1630 e provano subito una forte attrazione. Filippo d’Aglie’ divenne bersaglio delle accuse del popolo per gli stipendi, i titoli, i redditi che accumulava grazie alla benevolenza della duchessa. Nel 1638, un anno dopo la morte del marito di Cristina, il nunzio pontificio scriveva a Roma: “ Si dice che madama abbia segretamente sposato il conte Filippo e che dormano insieme ogni notte e pare che ve ne siano riscontri.” Alcuni sospettarono addirittura che Filippo sia stato il vero padre del secondo figlio della duchessa, Carlo Emanuele.

    Fu Filippo che organizzò la fuga dal palazzo di Cristina, radunando attorno a lei i sudditi rimasti fedeli, quando Tommaso entra a Torino con l’intenzione di arrestarla quale amica dei Francesi, nemici della Savoia. Fu Filippo che restò vicino a lei per tutta la guerra civile, consigliandola anche politicamente, affrontando con fermezza, al suo fianco le trattative con Richelieu e Luigi XIII.
    Per questo suo ruolo e per aver aiutato la duchessa a difendere l’autonomia sabauda, si attirò l’avversione del potente cardinale. Richelieu individuò nel conte un ostacolo ai suoi piani su Cristina e sul ducato sabaudo. Il 30 dicembre dell’anno del 1640, durante i preparativi del ballo di Capodanno a corte, mentre Cristina e la figlia Ludovica si stavano abbigliando, dei soldati francesi entrarono nel palazzo: un ufficiale si avvicinò deciso a Filippo e gli ordinò di seguirlo. “Per ordine di Luigi XIII, il conte d’Aglie’ deve lasciare Torino alla volta di Parigi, prigioniero dei Francesi. L’accusa fu quella di aver interferito, senza averne l’autorita’, nelle vicende belliche. Guardò ancora una volta la porta dalla quale avrebbe dovuto entrare da un momento all’altro Cristina, poi seguì deciso i suoi carcerieri.” Quando la duchessa apprese la notizia, svenne e la festa fu annullata.
    La prigionia di Filippo durò fino alla morte di Richelieu, nonostante tutti i tentativi di Cristina di intercedere presso il fratello Luigi. Fu una prigione dorata, nel castello di Vincennes, dove venne trattato dai nobili presenti come un loro pari e ricevette un trattamento degno del favorito della principessa “nemica”. Alla morte di Richelieu, il 30 dicembre 1642, Filippo venne liberato e riabbracciò Cristina, dopo due anni esatti di prigionia.
     
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